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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI QUADERNO 2005 /1 WWW.AIAF-AVVOCATI.IT LEZIONI DI DIRITTO DI FAMIGLIA

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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

QQUUAADDEERRNNOO22000055//11

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LEZIONI DI DIRITTO DDIFAMIGLIA

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QUADERNO2005/1

LEZIONI DI DIRITTO DI FAMIGLIA

RACCOLTA DI INTERVENTI AI CORSI AIAF DI

FORMAZIONE E AGGIORNAMENTOIN DIRITTO DI FAMIGLIA

2002 - 2005

ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI

A CURA DI MILENA PINI

SUPPLEMENTO AL N° 1 DI

AIAF RIVISTA

ANNO XNUOVA SERIE QUADRIMESTRALE

Redazione

GALLERIA BUENOS AIRES 1,20124 MILANO

TEL. E FAX 02.29535945EMAIL: [email protected]: WWW.AIAF-AVVOCATI.IT

Direttore responsabile

MILENA PINI

Comitato di redazione

GIAN ETTORE GASSANI

NICOLETTA MORANDI

ANTONINA SCOLARO

Stampa

TIPOGRAFIA

QUATRINI A. & FIGLI SNC

V. S.LUCIA 43-47, 01100 VITERBO

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AVVERTENZEGli Autori dei testi pubblicati, avendo collaboratocon l’AIAF al fine di sostenere la Sua attività asso-ciativa, di promozione culturale e formativa nelcampo del diritto di famiglia e minorile, hannoautorizzato l’AIAF all’utilizzo del loro contributo,a mezzo stampa o con ogni altro tipo di suppor-to, compreso cd-rom o altri supporti elettronici,senza richiedere alcun corrispettivo e con rinun-cia a richiedere e percepire da parte della stessaAssociazione, i diritti di autore conseguenti all’e-ventuale pubblicazione, utilizzazione economica,distribuzione e commercializzazione, a mezzostampa o altro tipo di supporto elettromagnetico. Conseguentemente, l’AIAF a tutela degli Autori edei loro elaborati, comunica ad ogni effetto dilegge, che l’utilizzo del materiale che vienemesso a disposizione dell’Utente è permesso sola-mente per scopi personali e privati, e ne è vietatala riproduzione anche parziale.In caso di violazione di tale divieto, AIAF e i sin-goli Autori si riservano il diritto di agire in sedegiudiziaria per il risarcimento dei danni subiti.

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3 Sommario6 Indice autori

1. I rapporti tra i coniugi in costanza di matrimonio,_in separazione e in divorzio_10 Diritti e doveri dei coniugi e loro evoluzione nelle varie vicende legali che

interessano il rapporto coniugaleL’OBBLIGO DI FEDELTÀ

VIOLAZIONE DELL’OBBLIGO DI FEDELTÀ AI FINI DEL RICONOSCIMENTO DELL’ADDEBITO

L’OBBLIGO DI ASSISTENZA MORALE E MATERIALE

L’OBBLIGO DI PRESTARE COLLABORAZIONE NELL’INTERESSE DELLA FAMIGLIA

L’OBBLIGO DI COABITAZIONE.L’ART. 146 COD. CIV.L’ART. 193 C.C.LA SOLIDARIETÀ POST CONIUGALE E LE SUE ESPRESSIONI

GLORIA SERVETTI

21 Violazione dei doveri coniugali e risarcimento del dannoADALGISA FRACCON

26 La responsabilità civile nelle relazioni familiari. Il danno esistenzialeCARLO RIMINI

30 Condotta vessatoria del coniuge: addebito della separazione e mobbingGIOVANNA FAVA

35 Rapporti economici tra coniugi in costanza di matrimonio e nella crisi coniugaleL’AUTONOMIA NEGOZIALE

LE CONVENZIONI MATRIMONIALI

NEGOZIAZIONE DEI CONIUGI E COMUNIONE LEGALE

ALTRI CASI DI AUTONOMIA NEGOZIALE DEI CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO

LA NEGOZIAZIONE DEI CONIUGI NELLA CRISI CONIUGALE

L’ACCORDO DI SEPARAZIONE. NATURA E CONTENUTO

L’ACCORDO DI SEPARAZIONE CONSENSUALE

GLI ACCORDI NON TRASFUSI NEL VERBALE DI SEPARAZIONE

ANTONINA SCOLARO

49 Presupposti e condizioni per una corretta negoziazione dei coniugiMIMMA MORETTI

2. I rapporti tra i genitori e i figli_55 Doveri e diritti dei genitori verso i figli

IL RAPPORTO GENITORI-FIGLI: UN RICHIAMO AI PRINCIPI GENERALI

ESSERE GENITORI

IL DOVERE DI EDUCAZIONE E DI ISTRUZIONE

LE SINGOLE SCELTE EDUCATIVE

IL DOVERE DI ISTRUZIONE

IL DOVERE DI MANTENIMENTO

I DIRITTI DEI GENITORI

MARIA DOSSETTI

69 Doveri dei genitori e diritti soggettivi del minore. Il diritto allo sviluppo dellapersonalitàCRISTINA CANZIANI

73 La responsabilità civile dei genitori verso i figliVIOLAZIONE DEI DOVERI GENITORIALI E LESIONE DEI DIRITTI SOGGETTIVI DEL FIGLIO

L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA SUL DANNO ESISTENZIALE SOFFERTO DAL FIGLIO

IL PRIMO ORIENTAMENTO: IL RIFERIMENTO ALL’ART. 2043 C.C.; IL DANNO-EVENTO

L’ATTUALE ORIENTAMENTO: L’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL’ART. 2059 C.C.; IL DANNO-CONSEGUENZA

I CRITERI DI VALUTAZIONE PER LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO MORALE E DEL DANNO ESISTENZIALE A FAVORE DEL

FIGLIO

MILENA PINI

81 Equo processo e rappresentanza del minoreAUGUSTA TOGNONI

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SOMMARIO

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86 La procedura di adottabilità prima e dopo la riforma del 2001ALBERTO FIGONE

3. La famiglia di fatto e la filiazione naturale_91 La famiglia di fatto

ESIGENZA DI UNA REGOLAMENTAZIONE MINIMA

IL RAPPORTO DI FILIAZIONE

I RAPPORTI TRA I CONVIVENTI

I RAPPORTI CON I TERZI

ANTONINA SCOLARO

96 La filiazione naturaleIL RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATURALE

L’AFFIDAMENTO DEL FIGLIO E IL SUO INSERIMENTO NELLA FAMIGLIA LEGITTIMA DEL GENITORE EX ART. 252 C.C.FORMA DEL RICONOSCIMENTO

IL COGNOME

L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO

LA DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITÀ O MATERNITÀ

IL DIRITTO AL MANTENIMENTO DELLA PROLE NON RICONOSCIBILE E NON RICONOSCIUTA

LA DISCRIMINAZIONE RESIDUA IN AMBITO SUCCESSORIO

LA LEGITTIMAZIONE DEL FIGLIO NATO FUORI DAL MATRIMONIO

LA LEGGE 154/2001 E LE PROPOSTE DI LEGGE SULLA REGOLAMENTAZIONE DELLA CONVIVENZA

ANNA GALIZIA DANOVI

4. Separazione personale e divorzio_113 I provvedimenti di natura patrimoniale nella separazione e nel divorzio

(Analisi delle risposte ai questionari dell’Associazione Nazionale Magistrati, riguardanti i provvedimenti di natura patrimoniale)PREMESSA

RAGIONI DEL CAOS

GESTIONE DELLA CRISI FAMILIARE DA PARTE DEL LEGISLATORE DEL 1975 E DEL LEGISLATORE DEL DIVORZIO.CRISI DEL MODELLO LEGALE DI FAMIGLIA

RISCHIO DI SOVRAPPOSIZIONE

ESAME DELLE RISPOSTE DATE AI QUESTIONARI

1. ACCERTAMENTO DEI REDDITI E PROVVEDIMENTI PROVVISORI

2. CONSEGUENZE DELLA MANCANZA DI DOCUMENTAZIONE SUI REDDITI. ATTIVAZIONE DI STRUMENTI DI INDAGINE ALTERNATIVI

- NELLA FASE PRESIDENZIALE

- NELLA FASE CONTENZIOSA

3. RICONOSCIMENTO DI UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO

- AL CONIUGE CHE LAVORA

- AL CONIUGE CON DISPONIBILITÀ PATRIMONIALI

- AL CONIUGE NEI CUI CONFRONTI SIA STATA PROPOSTA DOMANDA DI ADDEBITO

4. RICONOSCIMENTO DI UN ASSEGNO PROVVISORIO PER I FIGLI SE MANCA LA PROVA DEI REDDITI

5. CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO DEFINITIVO DI MANTENIMENTO

6. ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E DELLA SECONDA CASA.CONCLUSIONI

FIORELLA BUTTIGLIONE

133 La tutela del contributo al mantenimento. I provvedimenti cautelariIL SEQUESTRO

FONTI NORMATIVE

NATURA DELL’ISTITUTO

DIFFERENZE TRA IL SEQUESTRO PREVISTO IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

OGGETTO DEL SEQUESTRO (DIFFERENZE TRA SEQUESTRO IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DIVORZIO)PRESUPPOSTI TEMPORALI E COMPETENZA

IL REGIME DI STABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

L’ IPOTECA GIUDIZIALE

PREMESSE E FONTI NORMATIVE

SUPERFLUITÀ DELLA NORMA SPECIALE.LIMITI QUANTITATIVI ALL’ISCRIZIONE DELL’IPOTECA

IL PROBLEMA DELLA NON ISCRIVIBILITÀ DELL’IPOTECA GIUDIZIALE IN BASE A PROVVEDIMENTI DIVERSI

DALLA SENTENZA DEFINITIVA.IDONEITÀ DEL DECRETO EX ART. 148 C.C. A COSTITUIRE TITOLO IDONEO PER L’ISCRIZIONE

DELL’IPOTECA GIUDIZIALE

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

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L’AZIONE ESECUTIVA DIRETTA CONTRO IL TERZO

FONTI NORMATIVE

DIFFERENZE TRA L’ORDINE DI PAGAMENTO DIRETTO PREVISTO NELLA SEPARAZIONE

(ART. 156, 6° COMMA, C.C.) E NEL DIVORZIO

CONFIGURABILITÀ IN DIVORZIO DI UNA AZIONE ESECUTIVA DIRETTA CONTRO IL

TERZO DEBITORE DELL’OBBLIGATO.I PRESUPPOSTI

TIPOLOGIE DI PROVVEDIMENTI SUSCETTIBILI DI ESECUZIONE CONTRO IL TERZO

LIMITI QUANTITATIVI DELL’OBBLIGO DEL TERZO

FILIPPO DANOVI

156 L’ascolto del minore nei processi di separazione e divorzioRITA RUSSO

165 L’esecuzione dei provvedimenti di affidamento e di visita nei procedimenti diseparazione e divorzioI PROVVEDIMENTI ASSUNTI NEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO.LE SOLUZIONI PROPOSTE NEL TEMPO DA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

L’ATTUAZIONE DEMANDATA AL GIUDICE DEL MERITO

L’ ESECUZIONE DEGLI ORDINI DI PROTEZIONE

LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DEL MINORE

RITA RUSSO

180 La modifica delle condizioni di separazione e divorzioRIFERIMENTI NORMATIVI

DISPOSIZIONI MODIFICABILI - DISPOSIZIONI NON MODIFICABILI

ISTANZE DI MODIFICA CON RIFERIMENTO AI PROVVEDIMENTI DI NATURA ECONOMICA

ISTANZE DI MODIFICA CON RIFERIMENTO ALL’AFFIDAMENTO DEI MINORI E AI RAPPORTI GENITORI-FIGLI

ISTANZE DI MODIFICA CON RIFERIMENTO ALL’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE

LAURA COSENTINI

189 Il procedimento di modifica delle condizioniFRANCA ALESSIO

192 La mediazione familiare tra affetti e dirittiL’ORIGINE

IL MODELLO GEALA CULTURA DELLA MEDIAZIONE

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E LA “GIUSTIZIA DEL QUOTIDIANO”LA MEDIAZIONE FAMILIARE E I DIRITTI NELLE FAMIGLIE

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E LE POLITICHE SOCIALI PER LE FAMIGLIE

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E LA CULTURA DELL’INFANZIA

LA FORMAZIONE DEL MEDIATORE FAMILIARE

LA MEDIAZIONE FAMILIARE INTEGRATA: UNA PRATICA SOCIALE

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E I DIRITTI

GOVERNARE IL CONFLITTO NEL RISPETTO DELLE GARANZIE

MEDIATORE O AVVOCATO

IRENE BERNARDINI

5. Diritto internazionale privato e relazioni familiari_213 Dal regolamento n. 1347/2000 (Bruxelles II) al progetto di regolamento

n. 2201/2003 (Bruxelles II bis)PREMESSA

L’AMBITO DI APPLICAZIONE

LA DISCIPLINA DELLA COMPETENZA GIURISDIZIONALE

IL RICONOSCIMENTO DELLE DECISIONI

LA COOPERAZIONE FRA AUTORITÀ CENTRALI IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE

ALFIO FINOCCHIARO

223 Il sistema di diritto internazionale privato italiano nelle relazioni familiariPREMESSA

LA COMPETENZA - GIURISDIZIONE

IL RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE STRANIERE

LA LEGGE APPLICABILE AI RAPPORTI DI DIRITTO DI FAMIGLIA

DANIELA ABRAM

237 L’affidamento del figlio minore e il diritto di visita tra diritto internazionale ediritto internoNICOLETTA MORANDI

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SOMMARIO

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6. Formazione professionale e deontologia dell’ avvocato 243 La formazione professionale dell’avvocato di famiglia

RENATO VENERUSO

246 La formazione professionale: un approccio interdisciplinare nel rispetto dellediverse norme deontologichePAOLO MARTINELLI

254 L’assistenza e la consulenza dell’avvocato nella fase stragiudiziale. Questionidi deontologiaLE NORME DEONTOLOGICHE

IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA

LA FASE STRAGIUDIZIALE

ANNA GALIZIA DANOVI

258 La relazione tra avvocato e cliente minore di etàIL DIRITTO DEL MINORE ALL’ASSISTENZA LEGALE

IL MINORE È TITOLARE DI DIRITTI SOGGETTIVI

IL MINORE HA CAPACITÀ DI AGIRE NEL PROCESSO

LA RAPPRESENTANZA DEL MINORE IN GIUDIZIO DEVE ESSERE INTESA COME DIFESA TECNICA

LA RELAZIONE TRA L’AVVOCATO E IL CLIENTE MINORE, NEI PROCEDIMENTI CIVILI MINORILI

PREPARARSI ALL’ASCOLTO DEL MINORE

IL CONTESTO DELL’INCONTRO

COSTRUIRE UNA RELAZIONE CON IL MINORE

RAPPRESENTARE IL MINORE IN GIUDIZIO

RESPONSABILITÀ E DEONTOLOGIA PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO DEL MINORE

MILENA PINI

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SOMMARIO

INDICE AUTORI

ABRAM DANIELAAVVOCATO, FORO DI BOLOGNA; COMPONENTE DIRETTIVO NAZIONALE AIAF

ALESSIO FRANCAAVVOCATO, FORO DI LECCO; COMPONENTE DIRETTIVO NAZIONALE AIAF

BERNARDINI IRENEPSICOLOGA, PSICOTERAPEUTA, MEDIATRICE FAMILIARE; RESPONSABILE DEL CENTRO GEA-GENITORI ANCORA

DEL COMUNE DI MILANO

BUTTIGLIONE FIORELLAMAGISTRATO, TRIBUNALE DI CAGLIARI

CANZIANI CRISTINAMAGISTRATO, TRIBUNALE DI MILANO, SEZ. IX CIVILE

COSENTINI LAURAMAGISTRATO, TRIBUNALE DI MILANO, SEZ. IX CIVILE

DANOVI FILIPPOPROFESSORE ASSOCIATO DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO BICOCCA

DOSSETTI MARIADOCENTE DI DIRITTO DI FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO BICOCCA

FAVA GIOVANNAAVVOCATO, FORO DI REGGIO EMILIA; PRESIDENTE FORUM ASSOCIAZIONE DONNE GIURISTE

FIGONE ALBERTOAVVOCATO, FORO DI GENOVA; PRESIDENTE AIAF LIGURIA E COMPONENTE DIRETTIVO NAZIONALE AIAF

FINOCCHIARO ALFIOMAGISTRATO, CORTE COSTITUZIONALE

FRACCON ADALGISAMAGISTRATO, TRIBUNALE DI MILANO

GALIZIA DANOVI ANNAAVVOCATO, FORO DI MILANO; PRESIDENTE DEL CENTRO PER LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA

MARTINELLI PAOLOMAGISTRATO, TRIBUNALE DI GENOVA

MORANDI NICOLETTAAVVOCATO, FORO DI ROMA; COMPONENTE DIRETTIVO NAZIONALE AIAF

MORETTI MIMMADOCENTE DI DIRITTO DI FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

PINI MILENAAVVOCATO, FORO DI MILANO; PRESIDENTE AIAF LOMBARDIA; DIRETTORE DELLA RIVISTA E COMPONENTE

DEL DIRETTIVO NAZIONALE AIAF

RIMINI CARLOPROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO PRIVATO, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

RUSSO RITAMAGISTRATO, TRIBUNALE DI MESSINA

SCOLARO ANTONINAAVVOCATO, FORO DI TORINO; PRESIDENTE AIAF PIEMONTE E COMPONENTE DIRETTIVO NAZIONALE AIAF

SERVETTI GLORIAMAGISTRATO, CORTE D’APPELLO DI MILANO, SEZIONE DELLE PERSONE, DELLA FAMIGLIA, DEI MINORI

TOGNONI AUGUSTAMAGISTRATO, CORTE D’APPELLO DI MILANO, SEZIONE DELLE PERSONE, DELLA FAMIGLIA, DEI MINORI

VENERUSO RENATOAVVOCATO, FORO DI NAPOLI; VICEPRESIDENTE OUA

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

1. I RAPPORTITRA I CONIUGI

IN COSTANZA DIMATRIMONIO,

IN SEPARAZIONEE IN DIVORZIO

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Punto fondamentale, e per così dire di avvio, per ogni valutazione relativa allenorme sulla parità dei coniugi e sulla regolamentazione della famiglia -norme che ineriscono a quelli che sono i diritti e i doveri dei coniugi, dei

quali siamo qui chiamati ad occuparci - è l’art. 29 della Costituzione, frutto all’in-terno della stessa Assemblea Costituente di uno dei più attivi e pulsanti dibattitiregistrati nella redazione della nostra essenziale normativa di riferimento.Illustri commentatori hanno rilevato come il testo elaborato stia a dimostrare cheil legislatore costituzionale, pur affermando il principio della parità tra i coniugisotto il profilo morale e giuridico, non ha inteso prendere una posizione né perammettere né per escludere la possibilità di supremazia di uno dei coniugi ma siè limitato a segnalare al legislatore ordinario i principi che avrebbe dovutoseguire e ai quali avrebbe dovuto informare il proprio intervento, e cioè quellodell’uguaglianza dei coniugi e quello dell’unità della famiglia.Proprio per simile “aperta” e volutamente indefinita configurazione del precettosulla famiglia le norme del codicecivile del 1942 hanno potuto lunga-mente resistere alle censure disospetta incostituzionalità, tantoche varie sentenze, emesse almenoa far tempo dal 1958, hanno sempremostrato come l’intendimento delgiudice costituzionale fosse voltonon tanto a garantire - e a rendereeffettiva - l’uguaglianza dei coniugicon riferimento alla parità dei pote-ri decisionali loro riconducibili nelgoverno dell’istituzione familiarequanto, piuttosto, all’attuazionedella loro uguaglianza di fronte allalegge: e con ciò mi riferisco, in par-ticolare, a quelle decisioni (com-prese tra gli anni ‘60 e i ‘70) chehanno affermato di non poter addi-venire al riconoscimento dell’inco-stituzionalità di singole norme,quali quelle che attribuivano almarito la qualità di capo famiglia,perché non censurabili sotto il pro-filo della loro rispondenza al precetto costituzionale, pur essendo auspicabile unintervento legislativo di riforma dell’impianto codicistico (v. art. 144 del codicedel 1942, che prevedeva la figura del marito capo famiglia e l’obbligo dellamoglie di seguirlo ove avesse egli ritenuto di fissare la propria residenza).Su simili premesse storiche è, dunque, di tutta evidenza quanto di gravosa enti-tà si sia presentato il compito del legislatore della Riforma del 1975, il quale siè premurato di riconfermare il principio della parità dei coniugi con quella chepotrebbe essere letta come una solenne affermazione contenuta nell’art. 143primo comma cod. civ.: “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano glistessi diritti e assumono i medesimi doveri”.Ancor prima di passare all’analisi delle disposizioni in vigore che assumono

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

GLORIASERVETTIMAGISTRATO

CORTE D’APPELLO DI

MILANO

SEZIONE DELLE PERSONE,DELLA FAMIGLIA, DEI MINORI

DIRITTI E DOVERI DEICONIUGI E LORO

EVOLUZIONE NELLE VARIEVICENDE LEGALI CHE

INTERESSANO ILRAPPORTO CONIUGALE

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIAORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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elettivo rilievo per il tema che dobbiamo oggi affrontare, vorrei segnalare comenel nostro sistema codicistico siano peraltro rinvenibili disposizioni che integra-no una sorta di tutela anticipata degli effetti propri del matrimonio: mi riferiscoagli artt. 79, 80 e 81 c.c., ovvero a quelle norme che - pur affermando che la pro-messa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire quanto si fosse con-venuto per il caso di non adempimento - riconoscono la possibilità giuridica diagire sia per la restituzione dei doni sia per ottenere un risarcimento per le spesefatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa.Fatta questa prima notazione, mi preme ricordare che nella Riforma del 1975 laparità tra i coniugi anche sotto il profilo patrimoniale è stata riconosciuta, tral’altro, attraverso l’abolizione dell’istituto della dote, tipico di una posizionefemminile vissuta come subalterna e che trovava il proprio corollario nelle pre-visioni che imponevano sempre al marito di provvedere al mantenimento dellamoglie ed a quest’ultima di farsi carico di quello del marito solo se ed in quan-to questi fosse venuto a trovarsi privo di mezzi.Lasciato il piano storico, il cui valore oggi residua solo come riflessione cultu-rale, passerei all’esame dell’art. 143 c.c., norma primaria di riferimento conriguardo sia al periodo della convivenza coniugale sia al momento patologicodell’unione (art. 151 c.c.)Gli obblighi - reciproci, uguali e non suscettibili di difforme apprezzamento -sono dunque quelli ivi partitamente enunciati al secondo comma, e cioè la reci-proca fedeltà, l’assistenza morale e materiale, la collaborazione nell’interessedella famiglia e la coabitazione.A questi si aggiunge il dovere per entrambi i coniugi di “contribuire ai bisognidella famiglia”, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capa-cità di lavoro professionale o casalingo (comma terzo).

L’OBBLIGO DI FEDELTÀ

Secondo Jemolo la fedeltà non si riduce alla grossolanità del “non commettereadulterio”, ma deve essere intesa in una accezione più ampia, tanto che solo

uno dei doveri racchiusi nel concetto di fedeltà viene leso con l’adulterio, con ilche non si allude soltanto all’esclusività dei rapporti sessuali fra i coniugi maanche ad ogni manifestazione della vita più intima dei coniugi stessi, compresaessenzialmente quella sentimentale.Questo dovere reciproco - a seguito dell’abrogazione delle norme penali che san-zionavano l’adulterio - non può più considerarsi come obbligo di diritto pubbli-co ma si è trasformato in un impegno squisitamente privato ed esclusivamentefamiliare, alla cui violazione si ricollegano tuttavia effetti e conseguenze chel’ordinamento mantiene interesse a verificare e, in certo senso, a governare.Parte della dottrina (cfr. Alagna, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo dirit-to, Milano 1979) ha rilevato che il contenuto di tale obbligo non va identificatocon l’esclusiva sessuale “ma va collegato alla volontà di piena unione dei coniu-gi che può sussistere, malgrado palesi inosservanze della esclusiva sessuale”: ciòsignifica che viene ammesso che i coniugi possano reciprocamente dispensarsida ogni impegno al rispetto del dovere di esclusiva sessuale, senza che ciò siidentifichi con una implicita volontà disgregatrice dell’unità familiare e del vin-colo di coniugio, con la conseguenza che tale tipo di accordo ha piena efficaciagiuridica almeno nei rapporti interni e sino a quando permanga il consenso reci-proco, e ciò perché i coniugi, in mancanza di uno specifico obbligo dichiarato

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indisponibile in modo chiaro e inequivoco, sono liberi di operare le scelte piùconformi al modo di vita ad essi congeniale, purché queste avvengano sulla basedi un comune accordo e - aggiungo io - purché queste stesse scelte non siano talida produrre effetti censurabili all’esterno del rapporto di coppia, destinati aripercuotersi negativamente sulla famiglia nel suo complesso e, segnatamente,sullo sviluppo affettivo, educativo e sociale dei figli.Ed allora la fedeltà - intesa come reciproca dedizione fisica e spirituale di unconiuge nei confronti dell’altro - viene ad assumere nel nostro sistema normati-vo, in una prospettiva a priori, valenza di regola di condotta cui uniformarsi e,in una prospettiva a posteriori, funzione di parametro di riferimento per la valu-tazione del comportamento dei coniugi, del quale il giudice può essere chiamatoad avvalersi allorché tale dovere venga violato e di tale violazione in sede giuri-sdizionale sia invocato l’accertamento.

VIOLAZIONE DELL’OBBLIGO DI FEDELTÀ AI FINI DEL RICONOSCIMENTO DELL’ADDEBITO

Affermato dall’art. 143 l’obbligo nei termini che ho, in estrema sintesi, cerca-to di delineare, la sua effettiva valenza viene in discussione nel momento

della sua violazione, quanto a dire che proprio in ragione della sua pretesa vio-lazione è consentito procedere all’individuazione di un contenuto concreto e fat-tuale pertinente al precetto fino a quel momento astratto.Proviamo, allora, a seguire, a tratti ancora una volta necessariamente sommari,l’evoluzione giurisprudenziale in materia, attraverso il richiamo di sentenze cheritengo significative e di ausilio nel ripercorrere insieme le tappe che hanno, poi,condotto alle linee generalmente oggi condivise.Cass. S.U. n. 2494 del 23.04.1982In base alle nuove disposizioni dettate dalla legge n. 151/75…la violazione delreciproco dovere di fedeltà, ancorché sia stato ribadito come regola di condottadei coniugi (art. 143 c.c.), non legittima di per sé automaticamente la pronunziadi separazione con addebito al coniuge adultero, ma solo se abbia reso intolle-rabile la prosecuzione della convivenza o abbia recato grave pregiudizio all’e-ducazione della prole: pertanto, il giudice deve controllare l’oggettivo verificar-si di tali conseguenze, valutando, con apprezzamento incensurabile in sede dilegittimità se congruamente motivato, in qual misura la violazione di quel dove-re abbia inciso sulla vita familiare, tenuto conto delle modalità e delle frequen-ze dei fatti, del tipo di ambiente in cui si sono verificati e della sensibilità mora-le dei soggetti interessati. (Conforme alla massima, si veda anche Cass. n. 6256del 20.11.1982).Cass. n. 2173 del 2.03.1987La violazione dell’obbligo di fedeltà giustifica la pronuncia di addebito dellaseparazione qualora si accerti che la violazione medesima abbia determinato lafrattura del rapporto, mentre resta in proposito irrilevante che il giudizio diseparazione sia stato promosso proprio dal coniuge infedele, poiché la tolleran-za dell’altro coniuge, prima di richiedere siffatta pronuncia, non può valere adescludere l’illiceità di quel fatto, anche ai fini indicati.Cass. n. 4439 del 6.07.1988Ai fini dell’addebitabilità della separazione giudiziale l’obbligo di fedeltà vaosservato anche nelle more del giudizio di separazione, con la conseguenza chel’infedeltà di uno dei coniugi successiva all’autorizzazione a vivere separati

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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(art. 708 c.p.c.) va valutata anche per conoscerne l’intrinseca configurazionealla luce delle situazioni di fatto createsi fra i coniugi con la cessazione dellaconvivenza e delle loro reciproche azioni nelle more del giudizio di separazionesino alla relativa definizione.Cass. n. 1722 del 5.03.1990Nel procedimento di separazione personale l’esistenza di un accordo simulato-rio, con l’intesa dei coniugi di non adempiere agli obblighi e di non esercitare idiritti discendenti dal matrimonio, può assumere rilevanza, ai fini dell’addebitodella separazione, sotto il profilo soggettivo, quale ragione del convincimento inbuona fede del coniuge di non essere soggetto a detti obblighi.Questa sentenza induce una riflessione alla luce della tesi in precedenza ricorda-ta, in ragione della quale il concetto stesso di fedeltà può non assumere, nei rap-porti interni tra le parti, un valore assoluto ma solo relativo, lasciando spazio ericonoscimento ad un comune e consapevole approccio che, pure, si ponga incontrasto con il precetto generale ed astratto.Cass. n. 8667 del 16.07.1992Per pronunciare l’addebitabilità della separazione ad uno o ad entrambi iconiugi il giudice, anche se abbia accertato a carico dell’uno o dell’altro uncomportamento riprovevole, non è esonerato dall’obbligo di esaminare anche lacondotta dell’altro, non potendo quel comportamento essere giudicato senza unsuo raffronto con quello dell’altro coniuge, e quindi è tenuto a verificare se equale incidenza essi abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, sul verifi-carsi della crisi coniugale.È questa la prima netta e motivata affermazione del principio della doverosacomparazione tra le rispettive condotte dei coniugi, principio da allora in poidivenuto una costante nelle sentenze di legittimità e di merito.Cass. n. 7165 del 1.08.1994È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art.156 primo comma per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost. - sollevata sul presup-posto di un ingiustificato vantaggio del coniuge economicamente più forte, incaso di addebito al coniuge economicamente più debole, in quanto quest’ultimoverrebbe ad essere costretto alla riduzione delle sue condizioni di vita rispetto aquelle garantitegli in costanza di convivenza coniugale - atteso che rientra nelladiscrezionalità del legislatore prefigurare il venir meno dell’obbligo di manteni-mento nei confronti del coniuge che abbia violato i doveri discendenti dal matri-monio, anche in considerazione della inopportunità della conservazione, in sif-fatta ipotesi, a carico del coniuge incolpevole, dell’obbligo di assistenza mate-riale e morale nella sua interezza.Cass. n. 10512 del 7.12.1994Cass. n. 3098 del 17.03.1995La responsabilità della cessazione dell’unità familiare può essere accertata solocontestualmente alla pronuncia di separazione e i comportamenti dei coniugisuccessivi a tale pronuncia potranno rilevare solo ai fini del mutamento dellecondizioni della separazione o per la richiesta di inibitoria dell’uso del cogno-me ex art. 156 bis cod. civ. ma non potranno costituire il fondamento di una sen-tenza di addebito successiva alla separazione.Cass. n. 6566 del 17.07.1997L’obbligo di fedeltà sancito dall’art. 143 cod. civ. risulta strettamente connessoalla convivenza e non è compatibile con il regime di separazione: la riforma del

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1975 ha abrogato il testo dell’art. 156 ove era previsto, al primo comma, che “ilconiuge incolpevole conserva i diritti inerenti alla sua qualità di coniuge chenon sono incompatibili con lo stato di separazione” e vi ha sostituito una normaintitolata “effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi”, cosìche tale abrogazione non può essere interpretata se non nel senso della totaleabolizione delle disposizioni in essa contenute e della sola persistenza, in regi-me di separazione, dei soli diritti - doveri di carattere patrimoniale e con esclu-sione, dunque, dell’obbligo reciproco di fedeltà.È stato così, finalmente quanto a mio avviso tardivamente, riconosciuto il prin-cipio che l’obbligo di fedeltà non sussiste più in regime di separazione, il chedeve intendersi - stante il riferimento alla convivenza - anche con riguardo allasituazione di separazione “provvisoria”, ovvero quella che si protrae nelle moredel giudizio e sino alla sentenza definitiva.Cass. n. 10742 del 28.10.1998L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà può essere causa (anche esclusiva) del-l’addebito della separazione solo quando risulti che a tale violazione sia, infatto, riconducibile la crisi dell’unione, mentre il comportamento infedele, sesuccessivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza,non è di per sé solo rilevante e non può giustificare una pronuncia di addebitodella separazione quando non sia qualificabile come causa concorrente dellarottura del rapporto.Resta così esplicitamente affermato il principio del nesso eziologico, principiodivenuto patrimonio della giurisprudenza, come attesta la di poco successivaCass. n. 9472 del 7.09.1999 (con cui la S.C. ha riformato la sentenza del giudi-ce di merito che aveva escluso l’addebito della separazione, nonostante la accla-rata violazione dell’obbligo di fedeltà, ritenendo non sufficientemente motivatal’esclusione della rilevanza di tale vicenda quale causa efficiente della separa-zione, pur affermando nel contempo che l’adulterio da solo può non essere causadi separazione e motivo di addebito).Cass. n. 13747 del 18.09.2003La reiterata violazione, in assenza di una consolidata separazione di fatto, del-l’obbligo di fedeltà, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazioneextraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave dell’obbligoche, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convi-venza, deve ritenersi di regola causa della separazione e circostanza sufficientea giustificare l’addebito, sempre che non si constati la mancanza di nesso cau-sale tra l’infedeltà e la crisi coniugale…..Questa pronuncia, del resto in larga parte conforme a Cass. n. 7859 del9.06.2000, appare a mio avviso significativa di una tendenza maggiormente rigo-rosa rispetto al passato, attribuendo alla violazione dell’obbligo di fedeltà unapresunzione di gravità e di diretta incidenza sul fallimento del matrimonio, la cuiefficienza causale verrebbe meno solo in presenza di una prova negativa sulnesso eziologico.La breve rassegna si integra con il richiamo alla sentenza (Cass. n. 9472 del7.09.1999) che ha riconosciuto come l’infedeltà possa integrare causa di addebi-to anche se rimasta allo stadio del mero tentativo, mentre si deve ricordare chel’infedeltà può essere rilevante anche se solo apparente, ovvero se manchi laprova della sua consumazione ma vi siano stati comportamenti tali da rendereverosimile agli occhi dei terzi, e per questi ultimi credibile, la violazione (così

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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che, comunque, l’onore e il decoro dell’altro coniuge ne siano risultati compro-messi).

L’OBBLIGO DI ASSISTENZA MORALE E MATERIALE

L’assistenza morale è strettamente connessa all’obbligo di fedeltà, nel sensoche laddove vi sia violazione di quest’ultimo sarà presente anche la violazio-

ne della prima; può tuttavia non essere vero il contrario, in quanto si può mante-nere rispetto del dovere di fedeltà ma serbare una condotta che non tenga contodei bisogni psicologici ed affettivi dell’altro coniuge, parimenti rilevanti allor-ché si discuta di addebito ai sensi dell’art. 151 secondo comma cod. civ. (comesi verifica nell’ipotesi in cui, ad esempio, non si abbia vicinanza affettiva e soli-darietà in presenza di accadimenti personali gravi, si trascuri di osservare lasalute del partner, si ostacolino esigenze legittime, sia di svago che di lavoroecc.)Cass. n. 3437 del 7.06.1982Il diniego del reciproco obbligo di assistenza e collaborazione, posto a caricodei coniugi ex art. 143 secondo comma cod. civ., consistente nell’ingiustificatorifiuto di aiuto e conforto spirituale, con la volontaria aggressione della perso-nalità dell’altro per annientarla, deprimerla o comunque ostacolarla, integraviolazione dei doveri che derivano dal matrimonio e giustifica una pronuncia diseparazione con addebito.Cass. n. 2882 del 9.05.1985L’attività lavorativa, che venga espletata da uno dei coniugi (nella specie lamoglie) senza il gradimento dell’altro, non può di per sé costituire motivo diaddebito quando oggettivamente non contrasti con i fondamentali obblighiconiugali e familiari, ma può essere valutata al fine della suddetta addebitabili-tà solo ove sia stata intrapresa con il rifiuto di sottostare al metodo dell’accor-do, fissato dall’art. 144 in tema di indirizzo della vita familiare, in relazione cioèall’ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi.Per certi versi più semplice risulta, invece, l’accertamento della violazione del-l’obbligo di prestare assistenza materiale, per il più riferibile a contenuti econo-mici (a tutti noi è noto come una delle ipotesi più ricorrenti nelle nostre aule sia,ancora oggi, quella del marito unico lavoratore che tenga per sé l’intero stipen-dio e lesini alla moglie il denaro per le esigenze domestiche nonché per quellepersonali, anche minimali): va da sé che sarà in questo caso compito del giudiceil procedere all’accertamento, in concreto, delle caratteristiche di vita quotidia-na della coppia e all’attenta disamina delle risorse economiche, sì da individua-re il discrimine tra un atteggiamento improntato a una saggia e prudente utiliz-zazione dei proventi della famiglia e quello, invece, denotante una inaccettabilecompressione delle legittime, e proporzionate, aspettative del partner sul pianodella gestione economica della convivenza coniugale.

L’OBBLIGO DI PRESTARE COLLABORAZIONE NELL’INTERESSE DELLA FAMIGLIA

L’obbligo in parola si traduce (come sottolineato da A. Finocchiaro) nell’impo-sizione di un comportamento, attivo o omissivo, idoneo a favorire lo svolgi-

mento della personalità di chi, coniuge o figlio, condivide con l’obbligato unaesperienza di tipo familiare: è affermazione della concezione solidaristica delmatrimonio, che permane - ancorché attenuata per ragioni di fatto - anche dopo

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la cessazione della convivenza, con l’avvertenza che, nella sua vigenza, ove ilrelativo dovere sia violato viene ad integrarsi una ragione di addebito.Secondo la dottrina (Zatti) l’assistenza indica il dovere di perseguire e mantene-re la comunione attraverso l’attenzione ai bisogni dell’altro coniuge e il rispettodella sua persona, mentre con il termine collaborazione si intende il dovere dicooperare per stabilire e mantenere le condizioni più adeguate all’unità e conti-nuità del gruppo familiare, attraverso l’individuazione concorde di un progettodi vita e la soddisfazione dei bisogni comuni.La disposizione di nuovo conio è importante soprattutto perché sottolinea ladimensione “collettiva” della compagine familiare, nel mentre è opportuno pre-cisare che ciò che viene in considerazione non sono soltanto le esigenze comuniall’intero nucleo, bensì anche quelle individuali di ciascun componente, in quan-to (cfr. ancora Finocchiaro) “il più delle volte le une e le altre si intrecciano e siintegrano tra loro”.

L’OBBLIGO DI COABITAZIONE

Questa previsione dell’art. 143 deve essere letta in correlazione con la normache all’art. 144 seguente prevede che “i coniugi concordano tra loro l’indiriz-

zo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenzedi entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”.Ciò nonostante, in forza del parimenti novellato art. 45 c.c. “ciascuno dei coniu-gi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei pro-pri affari o interessi”: appare, dunque, evidente che l’obbligo in precedenza evi-denziato deve essere coordinato con il diritto qui a ciascuno dei coniugi ricono-sciuto, con l’effetto che la scelta di domicili separati (ove sorretta da valideragioni giustificative e non espressione di una volontà di disgregazione della vitain comune) non comporterà la violazione dell’obbligo di coabitazione.Il problema dovrà trovare la sua soluzione sul piano fattuale più che su quelloconcettuale, in quanto non ci si può nascondere che le due disposizioni paiono aprima vista confliggenti: si potrà, così, fare riferimento al luogo che i coniugi,nell’individuare l’indirizzo della loro vita familiare, hanno prescelto quale prin-cipale residenza del loro nucleo di coppia o costituito anche dai figli, accettandoperaltro che il domicilio di uno di loro sia diverso per meglio soddisfare le esi-genze del singolo (che però non possono porsi in contrasto stridente con quelledel partner o degli altri componenti il nucleo).La funzione della norma è stata, negli intenti del legislatore della Riforma, evi-dentemente quella di superare il principio - vigente sotto il codice del 1942 -secondo il quale il marito aveva il dovere di tenere la moglie presso di sé e lamoglie quello di seguire e condividere la residenza del marito.Il concetto di coabitazione viene, del resto, frequentemente nella prassi ricom-preso in quello di convivenza ed assume rilievo ai fini, ancora una volta, delriscontro dell’addebito: l’interruzione unilaterale ed ingiustificata della convi-venza (che in sé contiene il concetto di coabitazione, senza che se ne attui unacompleta sovrapposizione) integra, infatti, ragione di attribuzione della respon-sabilità ex art. 151 secondo comma cod. civ.Cass. n. 7920 del 28.08.1996L’abbandono della casa familiare, che di per sé costituisce violazione di unobbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazionein quanto porta alla impossibilità della convivenza, non concreta tale violazio-

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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ne se si provi - e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono - che essoè stato determinato da una giusta causa.Mi sembra di dover precisare che, in assenza di giusta causa, l’allontanamentodalla casa coniugale comporterà addebito anche se non accompagnato dalla man-cata somministrazione del mantenimento, quanto a dire dalla concorrente viola-zione di un altro degli obblighi enunciati dall’art. 143 c.c.

L’ART. 146 COD. CIV.

Strettamente correlato al tema della coabitazione è il disposto di cui all’art. 146c.c., il quale stabilisce che “il diritto all’assistenza morale e materiale previ-

sto dall’art. 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giu-sta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi” e precisa nel contempoche la proposizione delle domande di separazione o di annullamento o di divor-zio costituisce giusta causa di allontanamento; se non è questa l’ipotesi che siverifica, il giudice avrà il potere “secondo le circostanze” di ordinare il seque-stro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura idonea a garantire l’adempi-mento degli obblighi previsti dagli artt. 143 comma terzo e 147 c.c.La norma, come appare evidente, è destinata ad esplicare efficacia indiretta neiprocedimenti di separazione e, ove vi sia compatibilità, in quelli di divorzio, ren-dendo legittima la cessazione della coabitazione già con il deposito del relativoricorso, e prevede altresì una forma di provvedimento cautelare atipico o specia-le, volto a garantire una tutela interinale delle aspettative di mantenimento delconiuge soggetto passivo dell’abbandono.Vediamo, peraltro, che il legislatore ha previsto una sorta di “affievolimento”degli obblighi di cui abbiamo sinora parlato, ancorché strettamente connessoall’instaurazione delle azioni tipiche del diritto familiare, con valenza “bilatera-le”, da intendersi nel senso che la giusta causa sussisterà tanto con riguardo alconiuge che ha iniziato il giudizio quanto con riguardo a quello nei cui confron-ti il giudizio stesso sia stato promosso (Cass. n. 5331 del 9.12.1977).Benché la previsione normativa in esame non sia di frequente applicazione, mipare opportuno sottolineare che il coniuge che si allontana perde il diritto almantenimento soltanto quando l’allontanamento sia ingiustificato e persista ilrifiuto a tornare nonostante il richiamo dell’altro coniuge: se quest’ultimo, infat-ti, preferisce adeguarsi all’altrui unilaterale scelta e serba una condotta omissiva(e cioè non opera il richiamo), allora si avrà la realizzazione di una separazionedi fatto, nella quale restano in vigore gli obblighi ulteriori dell’art. 143 (Cass. n.3166 del 14 maggio 1981).Va da sé che, peraltro, l’ingiustificato allontanamento potrà essere fatto valere aifini del riconoscimento dell’addebito in capo alla parte che lo abbia operato e,ove riconosciuta la denunciata violazione, la pronuncia comporterà la perdita deldiritto al mantenimento e lascerà sopravvivere solo un diritto alimentare: matutto ciò sarà oggetto di valutazione nell’ambito del procedimento separativo ein questo non potrà più essere fatto riferimento all’antecedente ipotesi di cuiall’art. 146, il cui elettivo scopo è quello di garantire una regolamentazioneimmediata degli obblighi di mantenimento nonché la possibilità di adottare lospecifico strumento cautelare ivi previsto.

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L’ART. 193 C.C.

Se l’obbligo della coabitazione sancito dall’art. 143 si sviluppa, si integra e simodula alla stregua del disposto dell’art. 146 dianzi esaminato, ritengo di

poter dire che almeno in qualche misura l’obbligo all’assistenza materiale(secondo comma art. 143) e quello di contribuire ai bisogni della famiglia, gra-vante su ciascuno dei coniugi (terzo comma), assume a sua volta rilievo non soloai fini dell’addebito ma, anche, a livello della gestione patrimoniale della comu-nione coniugale, attraverso l’art. 193 c.c.Ed, infatti, la separazione giudiziale dei beni può essere disposta non solo nell’i-potesi di “cattiva amministrazione della comunione” o quando la condotta da unconiuge tenuta nell’amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi del-l’altro o della comunione o della famiglia, ma anche quando “uno dei coniuginon contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostan-ze o capacità di lavoro”, lasciando con ciò intendere un chiaro riferimento agliobblighi previsti dagli artt. 143 e 148, in relazione al precedente art. 147.Partendo da tale primaria considerazione non è mancato chi ha ritenuto di ravvi-sare nella separazione giudiziale dei beni una sorta di sanzione per i comporta-menti posti in essere in violazione del fine primario della comunione, ma se que-sto è certamente vero ritengo che si possa altrettanto vedere nell’istituto una con-corrente funzione sanzionatoria della violazione dei ricordati obblighi di cuiall’art. 143, senza affatto dimenticare che con l’introduzione del regime dicomunione legale è stato lo stesso legislatore a scegliere di utilizzare questo stru-mento per meglio garantire proprio l’adempimento dei descritti prioritari obbli-ghi e realizzare la parità tra i coniugi anche sotto il profilo patrimoniale (alme-no per quanto concerne gli aspetti dell’acquisizione alla massa comune e del suocorrelato accrescimento).

LA SOLIDARIETÀ POST CONIUGALE E LE SUE ESPRESSIONI

Se durante il matrimonio gli effetti della separazione sui rapporti patrimonialitra i coniugi sono in via elettiva regolati dall’art. 156 c.c. e dalla previsione

della corresponsione di un assegno periodico di mantenimento (o meramente ali-mentare, ove ne ricorrano i rigorosi presupposti e a carico dell’istante sia statoriconosciuto l’addebito), la normativa del divorzio - attraverso una serie di isti-tuti che si ricollegano alla titolarità di un assegno ex art. 5 legge n. 898/1970,come modificato dalla Novella 6 marzo 1987, n. 74 - ha introdotto il concettodella solidarietà post coniugale, quanto a dire di quella contenuta sopravvivenzadell’obbligo di reciproca assistenza materiale che, essendo previsto dall’art. 143c.c., avrebbe dovuto ragionevolmente venire meno con la cessazione o lo scio-glimento del vincolo matrimoniale.Non si deve dimenticare che, in particolare, con la Novella n. 74/1987 è venutaa modificarsi la natura dell’assegno di divorzio ed è stata attribuita assoluta pre-valenza alla funzione assistenziale del medesimo, così da evitare quelle situazio-ni di pura rendita parassitaria che nella Relazione di presentazione al Senatosono state fortemente stigmatizzate, e che proprio in tale contesto si afferma che“in considerazione dei parametri cui si fa riferimento a proposito dell’attribuzio-ne dell’assegno di mantenimento, in particolare del contributo dato da ciascunodei coniugi alla formazione del patrimonio e dei redditi personali e comuni, èapparso adeguato al rispetto della solidarietà economica che si instaura tra iconiugi durante la convivenza e rispondente alla stessa natura giuridica dell’in-

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dennità di liquidazione percepita a seguito della cessazione di un rapporto dilavoro assicurare al coniuge, titolare dell’assegno, una percentuale dell’indenni-tà di fine rapporto percepita dall’altro coniuge dopo la sentenza di divorzio” eche “in ossequio appunto al principio di solidarietà operante tra i coniugi incostanza di matrimonio, la percentuale di indennità va commisurata al 40% del-l’intera indennità che si riferisce agli anni in cui il rapporto di lavoro è coincisocon il matrimonio”.Il reiterato richiamo alla solidarietà propria del matrimonio fa sì che la disposi-zione di cui all’art. 12 bis possa essere vista come massima, e apprezzabile,espressione di una solidarietà post coniugale, ovvero di una solidarietà recipro-ca che, per quanto affievolita, non può dirsi totalmente venuta meno alla sua ces-sazione; ed è pacifico che questa concorrerà, nel caso di nuove nozze dell’obbli-gato, con la solidarietà connaturata a tale ulteriore vincolo matrimoniale, cosìcome peraltro a tale criterio può dirsi ispirata la normativa relativa alla pensionedi reversibilità, con la previsione di una sua conseguente ripartizione tra una plu-ralità di aventi diritto, in ragione di un pregresso e di un persistente vincoloconiugale al tempo del decesso dell’obbligato alla prestazione.Un’ulteriore esplicitazione della sopravvivenza, dopo lo scioglimento del matri-monio, di taluni effetti naturali ad esso correlati è a mio avviso rappresentatadalla disposizione di cui all’art. 5 comma terzo, secondo la quale il tribunale nelpronunciare la sentenza di divorzio “può autorizzare la donna che ne facciarichiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussistaun interesse suo o dei figli meritevole di tutela”.Credo che non possa essere posto in dubbio il fatto che simile previsione, laquale trova l’essenziale suo presupposto nel riscontro di un apprezzabile interes-se dell’ex coniuge istante, integri una forma particolare ed ulteriore di quellasolidarietà post coniugale che si è sin qui cercato di delineare, non (almeno diret-tamente) sotto il profilo economico o patrimoniale bensì sotto quello dell’assi-stenza morale che proprio dall’art. 143 è richiamata e qui nella sua più lata acce-zione applicata: vengono, infatti, superati gli effetti propri e naturali della pro-nuncia divorzile (ovvero la perdita del cognome maritale che la donna avevaaggiunto al proprio per effetto delle nozze, come previsto dal comma secondodell’art. 5), in ragione della riconosciuta possibilità di valorizzare un interessecollegato alla conservazione, sotto l’aspetto dell’individuazione della persona edella sua identità nelle relazioni sociali, di un elemento distintivo ricollegabileall’unione matrimoniale ormai venuta meno e con ciò si prevede che, in buonasostanza, sia imposto all’ex marito di rinunciare ad uno degli effetti legali dellapronuncia di status per approntare tutela a questo altrui interesse, dal legislatoreritenuto giuridicamente apprezzabile.

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Mentre ci si chiede se abbia ancora un senso oggi l’istituto dell’addebitodella separazione, come conseguenza della violazione dei doveri coniu-gali, al punto che i diversi progetti di legge delle ultime legislature ne

prevedono l’eliminazione, è affiorata negli ultimi tempi la tematica della respon-sabilità aquiliana, sull’onda della dilagante espansione che ha avuto negli ultimidecenni e soprattutto in questi anni l’area del danno alla persona.È proprio questa leva, la tutela della persona, in ogni sua manifestazione indivi-duale, relazionale, collettiva, ad avere consentito ed anzi imposto di rivedereposizioni che, all’interno del diritto di famiglia, “vietavano” ogni approccio allavalutazione dei comportamenti contrastanti con i doveri derivanti dal matrimo-nio che andasse oltre la canonica sanzione di cui all’art. 151, 2° comma, c.c.Revisione che si presenta come imprescindibile a fronte della ormai quotidiana“scoperta” attraverso i mezzi di comunicazione di un universo familiare violen-to, naturalmente a scapito dei soggetti più vulnerabili, al punto che persino unarecente legge, la n. 154 del4.4.2001, è intitolata alla violenzanelle relazioni familiari.Questa riflessione sulla condizionedella persona all’interno della fami-glia e, in particolare, del rapporto dicoppia, non può che partire dallavisione costituzionale, quale emer-ge dal raffronto (in termine tecnico,dal combinato disposto) tra gli artt.2 e 3 e l’art. 29 della Carta fonda-mentale, ovvero da una definizionedella famiglia come formazionesociale, nel cui seno l’individuopersegue la propria realizzazionecome persona. Non, quindi, comeun’entità sovraordinata, ma comeuno strumento che consente ad ogni componente del gruppo di esprimersi, nellesue aspirazioni, bisogni, affettività, capacità relazionale, in una condizione dipari dignità e pari responsabilità rispetto agli altri.È importante mettere in luce la funzione della famiglia di consentire alla perso-na di ricercare attraverso di essa la propria realizzazione, perché quest’otticaconsente di apprezzare pienamente il valore della famiglia e al tempo stesso del-l’esperienza che in essa si svolge, dal matrimonio, alla procreazione ed alla edu-cazione dei figli, alla condivisione di tutte le vicende che coinvolgono i suoimembri nelle varie età della vita. Esperienza di relazione, incardinata, quindi, sulreciproco rispetto, non solo, ma ancor più sul reciproco sostegno, necessario e,quindi, doveroso, per la coesione del gruppo e, al tempo stesso, anche se condiverse modalità e misura, per la soddisfazione delle esigenze individuali.I diritti e doveri reciproci dei coniugi, descritti, anche se non esaustivamente,dall’art. 143 c.c., rappresentano, quindi, posizioni costituzionalmente garantite,in quanto tali, meritevoli di tutela a tutti i livelli, tanto che per alcuni di essi èprevista la sanzione penale (artt. 570 ss. c.p.). Al di fuori della applicabilità dellenorme penali, cioè delle fattispecie tipiche di rilievo pubblicistico, rimane tuttauna serie di ipotesi, al di sotto di quella soglia di gravità, che tuttavia arrecano

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

ADALGISAFRACCONMAGISTRATO

TRIBUNALE DI MILANO

VIOLAZIONE DEI DOVERI CONIUGALI

E RISARCIMENTODEL DANNO

ARTICOLO PUBBLICATO SU LA RIVISTA DELL’AIAF, N. 1/2004, PAG. 24

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un danno ingiusto al coniuge, o al figlio, che non devono rimanere nel limbo diuna zona grigia in cui la persona è, in contrasto con i principi fondamentali, privadi protezione da parte dell’ordinamento.Con questa problematica la prassi ha avuto modo di misurarsi in poche occasio-ni, a giudicare dalle sentenze pubblicate, ma è noto come la materia si presti asoluzioni di tipo conciliativo, in cui la componente risarcitoria viene spessoassorbita da attribuzioni di tipo economico (come l’assegno) o patrimoniale(l’intestazione di un cespite immobiliare, o il versamento di una somma di dena-ro, talora qualificata come assegno una tantum).Si avverte, in ogni caso, una forte resistenza psicologica a infrangere il muro delsuono dell’addebito, ossia della speciale sanzione prevista dal codice, resistenzache altro non è se non il retaggio di una concezione della famiglia precostituzio-nale, anteriore alla Riforma del 1975, quando essa era organizzata secondo ilmodello patriarcale, quale centro di accumulo e di trasmissione del patrimonio,un gruppo chiuso (l’isola appena lambita dal mare del diritto, di jemolianamemoria), in cui le controversie tra i componenti venivano risolte al suo interno(Patti, Famiglia e responsabilità civile, 1984, 12 ss.).Per giustificare la conservazione di questa chiusura delle relazioni familiari si èinvocata la specialità della disciplina dell’addebito, come si legge in Cass.6.4.1993, n. 4108. Ma è un argomento debole.All’addebito della separazione, così come è configurato attualmente in virtù degliartt. 156 e 548, 2° comma c.c., è estranea ogni funzione, né diretta né indiretta, dinatura risarcitoria; l’unica riconoscibile finalità dell’istituto è quella di contenerela portata economica del dovere di solidarietà tra coniugi separati, disciplinando-ne gli effetti a vantaggio del coniuge obbligato al mantenimento e dei suoi eredi,specialmente dopo gli interventi della Corte costituzionale che negli anni ottantaha adeguato al principio solidaristico il sistema retributivo (sentenza 22.7.1985,n. 213, interpretativa di rigetto della questione di illegittimità dell’art. 2122 c.c.per contrasto con l’art. 3 Cost.) e previdenziale (sentenze 28.7.1987, n. 286;3.1.1988, n. 1009; 27.7.1989, n. 450). L’addebito, inoltre, ha suoi propri requisi-ti, in particolare, quello della relazione causale con l’intollerabilità della separa-zione, dai quali l’istanza ex art. 2043 c.c. prescinde completamente.A queste considerazioni si deve aggiungere che la componente risarcitoria del-l’assegno divorzile, conseguenza della violazione dei doveri coniugali durante laconvivenza, copre unicamente il danno da perdita del tenore di vita e del dirittoal mantenimento derivante dal matrimonio, ma non i danni ulteriori, diversi,come quelli aventi natura non patrimoniale (cfr. Cass. 26.5.95, n. 5866, GI, 1997,I, 1, 843); riprova ne sono le vicende cui è soggetto l’assegno in questione, qualil’estinzione per nuove nozze dell’avente diritto e per revisione ex art. 9 l. div., ola sua trasformazione in assegno alimentare a carico dell’eredità, in presenzadello stato di bisogno (art. 9-bis l. div.).Non sono certo queste le difficoltà con cui ci si deve misurare quando si tratta diapplicare l’art. 2043 c.c. alla violazione dei doveri sponsali. È, piuttosto, lapeculiarità della relazione di coppia, così come di quella genitoriale e, in gene-rale, delle relazioni affettive, a suggerire, ad imporre una particolare attenzionenella definizione dell’ingiustizia. Fino a che punto si può pretendere dal partnerun certo comportamento in nome del dovere di assistenza morale, o di collabo-razione; fino a che punto deve spingersi lo spirito di adattamento, di sacrificio,di solidarietà, senza tradire le proprie esigenze insopprimibili? Se la famiglia è

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un luogo di autorealizzazione, in essa dovrebbe esserci il massimo di libertàcompatibile con il massimo di solidarietà, due principi che talvolta, spesso pur-troppo, sembrano divergere irrimediabilmente.Pare, in definitiva, che la valutazione dell’ingiustizia del comportamento dell’a-gente, in presenza di un danno cagionato al coniuge come esito di una dedottaviolazione dei doveri derivanti dal matrimonio, debba essere particolarmenteoculata sull’individuazione (dei limiti) di quello specifico dovere che si assumetrasgredito.Gli esempi che vengono dalla prassi presentano, a tal proposito, condotte dimacroscopica gravità. Così quella del marito che si era completamente disinte-ressato della grave malattia psichica della moglie, la quale per ben quattro anniera rimasta in una condizione di completo abbandono dentro le mura domestiche,mentre si era attivato, chiedendo un t.s.o., solo in vista della necessità di rilascia-re l’abitazione. E poi, dopo un ricovero ospedaliero di oltre quaranta giorni, nelcorso dei quali era andato a trovarla solo un paio di volte, al momento delladimissione aveva manifestato assoluta indisponibilità a riaccoglierla presso di sé“per la diversa organizzazione della famiglia, nella quale non era prevista la pre-senza della moglie”, cosicché la signora era stata costretta a tornare a viverepresso i genitori.La sentenza del Tribunale di Firenze del 13.6.2000 (in Famiglia e diritto, 2001,161, con nota favorevole di Dogliotti; in Danno e Responsabilità, 2001, 741, connota favorevole di De Marzo) ha pronunciato la separazione con addebito almarito, ma non si è fermata qui. Lo ha, infatti, condannato a risarcire alla donnail danno biologico per la invalidità temporanea, durata tre anni e mezzo, ravvi-sando il profilo dell’ingiustizia nella violazione del dovere coniugale di assisten-za morale e materiale, la colpa nell’inescusabile ritardo dell’attivazione dei sus-sidi terapeutici, il danno nella compromissione della salute che ben poteva esse-re risparmiata alla poveretta, se solo il coniuge avesse chiamato il medico fin daquando la malattia l’aveva costretta nel più totale isolamento, anziché ignoranela gravità, e tentare di disfarsi della moglie con l’occasione del trasloco, tentati-vo peraltro perfettamente riuscito. Per l’invalidità temporanea è stata liquidata lasomma di £. 142.350.000 (£. 150.000 x gg. 1300, ridotte, poi, in ragione dell’etàdell’avente diritto), mentre è stata esclusa, per difetto di prova, la permanente.Ancor più singolare, ma fortunatamente meno grave del caso fiorentino è quelloesaminato dal Tribunale di Milano nella sentenza del 4.2.2002 (Guida al Diritto,2002, 37, con nota contraria di M. Finocchiaro; Resp. civile e previdenza 2002,1440, con nota favorevole di Cendon e Sebastio, 1257; Gius, 2002, 2239; GI,2002, I, 2291, con nota favorevole di Castagnaro; NGCC, 2003, 278, con notafavorevole di Fusaro; DR, 2003, 644, con nota favorevole di Migliorati).Dopo circa due-tre mesi dalla scoperta di una gravidanza voluta e ricercata, ilfuturo padre dichiara alla moglie di non volerne più sapere né di lei né del nasci-turo e tenta ostinatamente di indurla ad abortire, si assenta spesso da casa, tantoche la donna si rivolge ai Carabinieri per ben due volte denunciandone la scom-parsa. Quando ritorna, lascia alla moglie biglietti che attestano la sua sprezzan-te ed ostentata indifferenza per la sorte della gestante, al punto che una sera,rientrato a casa, dopo che questa era stata male tutto il giorno, si era allontanatonuovamente lasciandola sola. Come se tutto ciò non fosse stato sufficientemen-te chiaro, costui mette anche espressamente per iscritto di non provare nessunsentimento per la moglie e per il figlio nonché di rifiutare e di non avere alcun

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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interesse per nascituro.Il sospetto che l’uomo avesse in corso una relazione extraconiugale non trovaconferma nelle prove orali e, tuttavia, il Tribunale addebita al marito la separa-zione, in considerazione di questo comportamento clamorosamente contrastantenon solo con i doveri coniugali, ma perfino con i più elementari doveri di rispet-to e di solidarietà umana e, in particolare, di quelli derivanti dalla procreazione- in questo caso consapevolmente voluta ed attuata - che hanno riguardo non soloal frutto del concepimento ed al nascituro, ma altresì alla persona della gestan-te/madre. Oltre all’addebito, la sentenza condanna l’uomo a risarcire alla moglie,che aveva sviluppato una sindrome depressiva reattiva al comportamento coniu-gale, accertata dal medico curante, e che aveva poi subito il parto cesareo, inconsiderazione del fatto che la crescita fetale appariva rallentata ed asimmetrica,il danno non patrimoniale, ravvisato nelle sole sofferenze psicologiche subitedurante la gestazione e subito dopo il parto, con la somma, assai contenuta, di £.10.000.000. Il danno viene riconosciuto a norma dell’art. 2043 c.c., e non del-l’art. 2059 c.c., secondo l’orientamento allora prevalente, che ravvisava nellaseconda norma il mero danno morale soggettivo, vincolato all’art. 185 c.p.(prima, cioè delle note pronunce della S.C. del 31 maggio 2003, n.ri 8827e 8828).A queste pronunce positive va accostata, per meglio chiarire i termini della que-stione, nel senso sopra individuato della peculiarità dell’operazione valutativadell’ingiustizia, e cioè del bilanciamento del diritto di libertà dell’agente conquello della vittima a non subire la violazione di posizioni soggettive tutelate (siveda, in proposito, la motivazione di Cass. sez. u., 22.7.1999, n. 500), la decisio-ne del Tribunale di Savona 5.12.2002 (FD, 2002, 248, con nota di Dogliotti),nella quale la moglie, in sede di divorzio, lamentava che il marito, dal quale siera separata consensualmente, l’avesse lasciata dichiarandole di aspettare unbambino da un’altra donna, dopo che nei nove anni di convivenza le aveva sem-pre detto di non volere figli.Qui sembra evidente che sul piano giuridico (altro è, naturalmente, il foro inter-no) non c’è modo di valorizzare il supposto “tradimento”. L’intesa coniugale dinon procreare, non era minimamente vincolante per la donna che la condividevadel tutto liberamente, come non ha mancato di sottolineare il Tribunale. Una suaunilaterale decisione di rompere l’accordo non avrebbe potuto essere fondata-mente addotta dal marito quale ragione di addebito della separazione, per il casoin cui il comportamento della moglie avesse reso intollerabile la prosecuzionedella convivenza. Parallelamente, se il marito era stato indotto dalla nuova rela-zione a rivedere la preclusione verso la procreazione, non gliene può essere fattauna colpa, in quanto la sua pretesa precedentemente manifestata era suscettibiledi revisione in ogni momento.Ogni intesa che coinvolga i diritti irrinunciabili di libertà, cioè quelli che costi-tuiscono espressione fondamentale della persona, è necessariamente esposta allapossibilità di essere rovesciata a causa della trasformazione che il rapporto dicoppia e l’esperienza dei suoi componenti subisce giorno dopo giorno. Ciò checonta è la lealtà nel manifestare le proprie scelte ed il rispetto della sensibilitàaltrui, ma non sembra che, nel caso ligure, fosse questo il problema. In altri ter-mini, al di là della violazione del dovere di fedeltà per la relazione extraconiu-gale, il fatto della procreazione in sé non sembra essere ipotizzabile come causadi danno ingiusto alla moglie, più di quanto non lo sia stato il tradimento con

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l’altra donna. La libertà specifica di procreare, infatti, “pesa” di più, sul piattodella bilancia della valutazione dei contrapposti interessi, della tutela della posi-zione della moglie tradita.

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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I l sistema della responsabilità da fatto illecito ha subito negli ultimi quaran-t’anni un’evoluzione assai significativa. Si tratta forse del settore del dirittoprivato in cui l’elaborazione giurisprudenziale ha mutato in modo più radica-

le la struttura stessa del sistema.L’altro settore del diritto privato che ha subito negli ultimi quarant’anni la modi-ficazione più incisiva - in questo caso ad opera non della giurisprudenza ma dellegislatore - è proprio il diritto di famiglia.La combinazione di questi due fenomeni porta a dire che il tema della responsa-bilità civile all’interno della famiglia negli ultimi decenni si è evoluto in modoradicale. Nella lettura tradizionale dell’art. 2043 c.c. si affermavano i seguenti principi.a) Il sistema della responsabilità civile è un sistema retto dal principio di atipi-

cità dell’illecito. L’art. 2043 c.c. è una clausola generale (“Qualunquefatto...”); ciò tuttavia non significa che qualsiasi danno obbliga chi ha com-

messo il fatto che lo ha generato alrisarcimento. Infatti solo il dannoingiusto è fonte di responsabilità.Tradizionalmente si affermava cheè ingiusto il danno che deriva dallalesione di un diritto soggettivoassoluto. b) Nella valutazione delle conse-guenze dell’illecito, è irrilevante -si affermava - l’elemento soggetti-vo: posto che vi deve essere un doloo una colpa (fatta eccezione per leipotesi tipizzate dal legislatore diresponsabilità oggettiva) le conse-guenze del fatto non variano aseconda che esso sia commesso condolo o con colpa.

c) Nella determinazione del danno risarcibile ha generalmente rilievo solo ildanno patrimoniale ossia il danno economicamente valutabile secondo leregole indicate dall’art. 1223 c.c. per la responsabilità contrattuale. Si tratta diun sistema di commisurazione del danno modellato sull’inadempimento diuna obbligazione ossia sull’inadempimento di una prestazione che per suanatura ha carattere patrimoniale. I danni non patrimoniali sono risarcibili solonelle ipotesi tassativamente elencate dal legislatore. La regola fondamentaleera quindi quella della tipicità delle ipotesi di risarcimento del danno nonpatrimoniale: non a caso l’elenco di tali ipotesi era rigidamente desunto dalcatalogo dei fatti che costituiscono reato, secondo il disposto dell’art. 185 delcodice penale.

Questo sistema, come si diceva, ha subito una significativa evoluzione in rela-zione a tutti gli aspetti sopra indicati. a) Quanto alla delimitazione dei contorni dell’ingiustizia del danno, la giurispru-

denza, a partire dall’inizio degli anni ‘70, ha abbandonato il parametro dellalesione del diritto soggettivo assoluto. Si è iniziato affermando che può esse-

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CARLO RIMINIPROFESSORE

ORDINARIO DI DIRITTO

PRIVATO - UNIVERSITÀ

DEGLI STUDI DI MILANO

LA RESPONSABILITÀCIVILE NELLE RELAZIONI FAMILIARI. IL DANNO ESISTENZIALE

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIA ORGANIZZATO

DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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re oggetto di tutela aquiliana anche la lesione di un diritto di credito: colui cheinduce il debitore a non adempiere, è obbligato a risarcire le conseguenze pre-giudizievoli dell’inadempimento (la prima affermazione di tale orientamentosi trova nella sentenza della Cassazione n. 174/71, nota come “caso Meroni”).Più recentemente la Cassazione ha affermato che è ingiusta qualsiasi aggres-sione ad una posizione soggettiva giuridicamente tutelata. In questo quadro siè affermata, da un lato, la tutela aquiliana degli interessi legittimi (a partiredalla nota sentenza di legittimità n. 500/99), d’altro lato si è affermata la risar-cibilità della lesione di situazioni soggettive difficilmente qualificabili comeveri e propri diritti soggettivi: in particolare si è affermata la risarcibilità deldanno consistente nella impossibilità di intrattenere rapporti sessuali a causadelle lesioni subite dal coniuge (Cass. n. 6607/86).Ciò non significa che qualsiasi danno deve essere risarcito: è comunquenecessario individuare la lesione di una situazione giuridica che l’ordinamen-to comunque tutela.

b) Anche dal punto di vista della rilevanza del criterio soggettivo di imputazio-ne della responsabilità, la giurisprudenza più recente mostra una (seppur timi-da) evoluzione sulla base di modelli già elaborati in ordinamenti stranieri.Tendono ad affermarsi criteri di determinazione del danno risarcibile impron-tati all’esperienza dei punitive damages. Il danno risarcibile è tanto maggiorequanto più è significativa la volontà di cagionare il danno, così da rendere ilrisarcimento anche una sanzione per il fatto commesso. In una prospettivagiurisprudenziale per molti aspetti connessa con questa, si è talora affermatoche la qualificazione del fatto come ingiusto dipende dall’atteggiamento psi-cologico di chi lo pone in essere. Il medesimo fatto dannoso viene quindi con-siderato lecito o illecito a seconda che l’autore lo abbia commesso con dolo ocon colpa. Paradigmatica di questo atteggiamento è la giurisprudenza sullaseduzione con promessa di matrimonio: colui che ottenga i favori sessuali diuna persona promettendo il successivo matrimonio, è obbligato a risarcire ildanno (che è senz’altro un danno esistenziale) solo se egli sapeva che nonavrebbe adempiuto alla promessa (Cass. n. 7493/93).

c) Assai significativa è l’evoluzione relativa al risarcimento dei danni non stret-tamente patrimoniali. La giurisprudenza ha iniziato questo percorso afferman-do la risarcibilità del danno biologico, ossia del danno alla salute in quantotale, indipendentemente dalle ulteriori sue conseguenze patrimoniali (il riferi-mento ovvio è Cass. n. 3675/81).In una prima fase il danno derivante dalla lesione dei valori inerenti alla per-sona è stato qualificato al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 2059c.c.. La lesione dei valori inerenti alla persona veniva così sottratta alla limi-tazione di cui all’art. 2059 c.c., affermando che i diritti della persona, e ildiritto alla salute in particolare, fanno parte del patrimonio di un individuo equindi la loro compromissione si risolve in un danno patrimoniale.Successivamente si è assistito a due significative evoluzioni: da un lato la giu-risprudenza di merito ha sempre più diffusamente affermato che i valori ine-renti alla persona non comprendono solo la salute, ma qualsiasi forma di rea-lizzazione della persona medesima, quindi comprendono anche la compromis-sione dell’esistenza serena. Si è affermata così la risarcibilità non solo deldanno biologico, ma anche del danno esistenziale.La giurisprudenza di legittimità, invece, si è assunta il compito di riqualifica-

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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re il danno esistenziale, non più come danno patrimoniale, ma come dannonon patrimoniale, soggetto pertanto all’applicazione dell’art. 2059 c.c. (Cass.n. 8828/03, preceduta dalla meno esplicita Cass. n. 7283/03).Tuttavia si afferma espressamente che il danno esistenziale non è risarcibilesolo nelle ipotesi di cui all’art. 185 del codice penale, poiché, ogni volta chevengono in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, deveescludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegue siasoggetto al limite della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.. Una letturadella norma costituzionalmente orientata impone infatti di ritenere inoperanteil limite se la lesione riguarda valori della persona costituzionalmente garan-titi. Nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmenteprotetto, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno nonpatrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore dellaCostituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che ilriconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla personanon aventi natura economica, implicitamente, ma necessariamente, ne esige latutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge di riparazio-ne del danno non patrimoniale.

Dobbiamo ora applicare questi principi per fissare i contorni della risarcibilitàdel danno esistenziale conseguente alla violazione dei doveri familiari. A) In primo luogo, non ogni patimento esistenziale conseguente a vicende sfor-

tunate endofamiliari è risarcibile e ciò in applicazione del principio generalesopra esposto per cui non ogni danno deve essere risarcito. Il danno esisten-ziale è ingiusto solo se consegue alla violazione dei doveri che derivano dal-l’art. 143 e seguenti del codice civile: il dovere reciproco di fedeltà, il dove-re di assistenza morale e materiale, il dovere di collaborazione, il dovere dimantenere, istruire e educare i figli. Il danno che deriva dalla violazione di talidoveri è un danno ingiusto e come tale risarcibile. Vedremo però che non sem-pre sono risarcibili anche le conseguenze di natura non patrimoniale ma esi-stenziale della violazione di tali doveri.

B) Non qualsiasi violazione dei doveri familiari può giustificare il risarcimentodel danno esistenziale. Come si è visto innanzi, infatti, perché il danno esi-stenziale sia risarcibile non è sufficiente che il fatto che lo ha cagionato siaingiusto, ma è necessario che il fatto stesso incida su un interesse costituzio-nalmente protetto. Né è sufficiente rilevare che l’articolo 29 Cost. afferma chelo Stato riconosce i diritti della famiglia come società fondata sul matrimonio.Ciò non permette di concludere che tutti i diritti e i doveri previsti dalla leggeall’interno della famiglia siano costituzionalmente protetti. La sentenza dilegittimità n. 8828 del 2003 afferma infatti espressamente che la risarcibilitàdel danno esistenziale presuppone che la lesione riguardi i diritti inviolabilidella persona riconosciuti nella Costituzione. L’articolo 29 Cost. certo nonattribuisce tale rango a tutti i diritti dei componenti della famiglia l’uno neiconfronti dell’altro. Saranno invece risarcibili i danni esistenziali che conse-guono alla violazione di specifici diritti inviolabili della persona costituzio-nalmente garantiti: in primo luogo il diritto alla dignità della persona (art. 3Cost.). È quindi tenuto al risarcimento del danno esistenziale colui che lede idiritti degli altri familiari con un comportamento che ne comprometta anchela dignità.

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In secondo luogo il diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.). Così se unconiuge limita la libertà personale dell’altro, vietandogli di uscire di casa, ocontrollando in modo morboso i suoi spostamenti, deve risarcire il danno esi-stenziale. Allo stesso modo deve risarcire il danno esistenziale colui che effet-tua ispezioni o perquisizioni personali intollerabili.Un altro diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito è ildiritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.).Pertanto il coniuge che viola la privacy dell’altro in modo intollerabile, deverisarcire il danno esistenziale.Deve risarcire il danno esistenziale anche colui che impedisce al coniuge o aifigli di professare liberamente la fede religiosa in qualsiasi forma (art. 19 Cost.).Deve ovviamente risarcire il danno esistenziale colui che impedisce al coniu-ge o ai familiari di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.).Deve risarcire il danno esistenziale colui che viola sistematicamente il dirittodei figli ad essere educati ed istruiti (art. 30 Cost.; cfr. Cass. n. 7713/01).Deve risarcire il danno esistenziale colui che impedisce ai familiari (in parti-colare ai figli) di esercitare una professione, un’arte, o una scienza consonaalle loro inclinazioni e alle loro capacità (artt. 33 e 34 Cost.).Infine deve risarcire il danno esistenziale il marito che impedisce alla mogliedi lavorare (art. 37 Cost.).

C) Non esiste un diritto costituzionalmente garantito alla fedeltà dell’altro coniu-ge. Ciò significa che la semplice violazione dell’obbligo di fedeltà non com-porta il risarcimento del danno esistenziale. A conclusioni diverse si può arri-vare solo nei casi in cui la violazione dell’obbligo di fedeltà comporti unalesione della dignità dell’altro coniuge (T. Milano, 24 ottobre 2001). Nei casiin cui vi sia una lesione del diritto alla dignità, può essere chiamato a risarci-re il danno esistenziale anche colui o colei che abbia indotto il coniuge a vio-lare l’obbligo di fedeltà. È pacifico, infatti, che non esiste un dovere genera-le di astensione da ogni interferenza dalla vita familiare altrui (come esatta-mente ha affermato il Tribunale di Monza nella sentenza del 15 marzo 1997),ma esiste comunque un diritto assoluto costituzionalmente protetto alla digni-tà. Pertanto solo nell’ipotesi in cui il terzo leda tale diritto assoluto egli dovràrisarcire il danno esistenziale prodotto al coniuge tradito (solo entro questirigorosi limiti è condivisibile l’affermazione contenuta nella sentenza delTribunale di Roma del 17 settembre 1989).

D)Quanto alla determinazione del danno esistenziale risarcibile, è evidente che ilgiudice farà ampio riferimento al parametro dell’equità. Certamente (seguendo ilmodello dei punitive damages) non è difficile prevedere che, nella valutazioneequitativa del giudice, la sanzione risarcitoria sarà tanto maggiore quanto più ilcomportamento del responsabile appaia volontariamente lesivo della dignitàaltrui. Del pari non è irragionevole pensare che la misura del danno posa varia-re al variare delle condizioni economiche delle parti.

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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“Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circo-stanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazio-

ne, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivanodal matrimonio.”Così recita l’ultimo comma dell’art.151 c.c..Non c’è studioso del diritto di famiglia che abbia omesso di dire la sua su que-sta formulazione, residuo della vecchia -colpa-, e non c’è avvocato della materiache non si sia chiesto come dare visibilità e conseguenze concrete a questa pro-nuncia che, nella maggior parte dei casi, finisce per esaurirsi in una funzionesolo moralmente sanzionatoria. Come è noto le uniche conseguenze economicheespressamente previste della pronuncia di addebito, sono quelle di cui all’art.156c.c., secondo cui al coniuge cui non sia addebitata la separazione, e qualora nonabbia adeguati redditi propri, spetta un pieno diritto di ricevere dall’altro quan-to necessario al suo mantenimento, mentre al coniuge cui è addebitata la separa-

zione spetta il più ridotto dirittoagli alimenti ex art. 433 c.c. eseguenti, e all’art. 548 c.c. sui dirit-ti successori, per cui al coniuge cuiè stata addebitata la separazione,non sono riservati gli stessi dirittiereditari del coniuge non separatoma solo il diritto ad un assegnovitalizio, se ed in quanto titolare diassegno alimentare. Infine, ovel’assegno divorzile sia stato ricono-sciuto, del tutto indifferente rimanela precedente pronuncia di addebitodella separazione in ordine ai suc-cessivi eventuali rapporti patrimo-niali tra coniugi: diritto alla quotadel trattamento di fine rapporto,

assegno a carico dell’eredità, diritto alla pensione di reversibilità.La ridotta portata sanzionatoria dell’addebito, e la sua eccezionalità subordinataalla efficienza causale sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza,ha portato più di uno studioso a proporre l’ eliminazione dell’addebito dal nostroordinamento e a valutare più concretamente, sul piano della responsabilità civi-le, le condotte lesive dei diritti dei singoli membri della comunità familiare, nonsolo quelli propri di ogni essere umano, relativi alla salute psicofisica, all’inte-grità personale, alla riservatezza, alla dignità, all’onore, all’immagine, ma anchequelli propri dello status di coniuge1.La nozione di comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio,e tale da comportare la pronuncia di addebito, ha subito nel corso degli anni unacostante evoluzione. Si pensi alla violazione dell’obbligo di fedeltà, ora ritenutacostitutiva di sentenza dichiarativa di addebito non per il fatto in sé ma solo se,per le modalità in cui si svolge, configura lesione della dignità ed ingiuria gravenei confronti dell’altro e tale da provocare insanabile frattura matrimoniale2.

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

GIOVANNAFAVA

AVVOCATO DEL FORO

DI REGGIO EMILIA

PRESIDENTE FORUM

ASSOCIAZIONE

DONNE GIURISTE

CONDOTTA VESSATORIADEL CONIUGE: ADDEBITO DELLASEPARAZIONE E MOBBING

ARTICOLO PUBBLICATO SU LA RIVISTA DELL’AIAF, N. 1/2004, PAG. 27

1 A. FRACCON, Relazioni familiari e responsabilità civile, Cedam 20032 CASS. SEZ. I CIVILE, sent. 27 novembre 2003, n. 18132

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Anche la violenza fisica, quando non è un fatto isolato, ma una condotta ripetu-ta, è indubbiamente sanzionata con la dichiarazione di addebito. Meno facile tro-vare sentenze che si siano occupate dell’aggressione della sfera psichica del-l’altro, condotta più sinteticamente espressa ed identificata, per primo nell’am-bito giuslavoristico, con la parola inglese mobbing.Che cos’è il mobbing? Una recente sentenza della Sezione Lavoro dellaCassazione lo definisce “l’aggredire la sfera psichica altrui”3.Mobbing letteralmente vuol dire “aggressione” solo dopo la parola è stata colle-gata alla psiche. Nel caso esaminato dalla Cassazione si tratta di violenza sottilee oppressiva, comportamenti piccoli, formalmente leciti, e singolarmente irrile-vanti, ma che ripetuti e ininterrotti diventano ossessivi e insopportabili. Una vio-lenza nascosta e silenziosa, ma non per questo meno invasiva, qualche volta peg-giore della violenza fisica; una violenza per colpire la volontà e indurre all’erro-re o alle dimissioni.La parola forse è nuova, ma la tecnica è sempre la stessa: demansionare il lavo-ratore, isolarlo, privarlo degli strumenti di lavoro quali computer, posta elettro-nica, accesso ai dati aziendali, a volte del lavoro stesso, delegittimarlo, di fron-te ai colleghi o a terzi, contestare ogni sua azione anche la più piccola ed irrile-vante, sino a farlo sentire estraneo al contesto, insicuro, indurlo a sbagliare, pro-vocando la sua espulsione dal processo produttivo e dal rapporto di lavoro.Harald Ege ha sviluppato un questionario, il LIPT (Leyman Inventory ofPsychological Terrorism), e ha identificato 45 azioni mobbizzanti suddivise incinque macro categorie a seconda dell’aspetto colpito:- la possibilità di comunicare (la persona è impossibilitata a comunicare ade-

guatamente, viene messa a tacere, interrotta quando parla, non viene ascolta-ta)

- le relazioni sociali (la persona è isolata dagli altri, le viene impedito in varimodi di comunicare e relazionarsi con gli altri, è ignorata in quello che fa)

- l’immagine sociale (la reputazione e la sua opinione di sé vengono intaccateda maldicenze, derisioni in pubblico, pettegolezzi, umiliazioni, prese in giro)

- la qualità della situazione professionale (il suo lavoro perde significato, glivengono assegnati compiti privi di importanza o addirittura viene privata diquelli che ha, vengono rimarcati pesantemente i suoi errori)

- la salute (gli vengono assegnate mansioni umilianti o dannose, è vittima dimolestie)4.La vittima del mobbing, indipendentemente da un suo eventuale danno alla salu-te, è una persona ingiustamente colpita nella sua personalità e nella sua dignitàdi persona. Ed è facile osservare come lo schema individuato da Ege possa esse-re utilizzato efficacemente sia nel rapporto di lavoro che in quello familiare.Non è affatto infrequente, nelle motivazioni che inducono un coniuge a chiede-re la separazione, che l’avvocato si senta indicare come elementi determinantiper la separazione fatti apparentemente modesti, mentre altri più gravi non assu-mono tale rilevanza. Penso al caso di una signora non più giovane che, sposati ifigli e nonostante fosse ammalata e bisognosa di cure, si era determinata a chie-dere la separazione. Alla mia domanda sul perché, così avanti negli anni e senzaalcuna prospettiva di una vita economicamente migliore, mi rispose che era suo

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

3 CASS., SEZ. I CIVILE, sent 8 gennaio 2000, n. 143, Pres. Trezza, Rel. Prestipino4 HARALD EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè 2002

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desiderio almeno morire in pace: non erano stati i frequenti tradimenti del mari-to ad indurla a chiedere la separazione ma il fatto che lei aveva problemi di salu-te che le imponevano un preciso regime alimentare, ma a fare la spesa provvede-va il marito che riempiva quotidianamente il frigorifero di cibi per lei dannosi.Un fatto lecito, l’acquisto di cibo, finiva per essere, in quel caso, una vera e pro-pria vessazione nei confronti della moglie che non poteva recarsi a fare spesa eneppure scegliere cosa mangiare.Non sono infrequenti coniugi che impongono all’altro determinate modalità divita: il divieto di frequentare le amiche, gli amici, financo i parenti, l’uso o menodel telefono, la scelta dell’abbigliamento, la pettinatura5, il divieto di usarecosmetici, di usare il bancomat, l’obbligo di rendere conto di ogni azione e ognipiccola somma spesa.E quante volte non lo schiaffo, ma l’umiliazione e la delegittimazione, incidonopesantemente nella scelta separativa, frasi quali: “non vali niente” “sei una pocodi buono” “sei un fallito” “puoi andartene quando vuoi” “se non ti va bene quel-la è la porta” “sei una cerebrolesa” “non capisci niente” “non sai crescere i figli”“non sai neppure cucinare” “non combinerai mai niente nella vita” “non mipiaci” “a letto non vali niente” a volte dette anche in presenza dei figli e di per-sone estranee al nucleo familiare, così come i silenzi punitivi, ignorare l’altro ele sue scelte, delegittimandolo nei fatti, intaccando la sua autostima, annullando-ne la personalità.Le prime sentenze a utilizzare il termine mobbing per vessazioni sul luogo dilavoro sono del Tribunale di Torino, del 16 novembre 1999 e del 30 dicembre1999, poco dopo è giunta la nota sentenza della Corte di Appello di Torino, cheha utilizzato il concetto di mobbing in una vicenda familiare, ed in specie nellemolestie morali poste in essere dal marito nei confronti della moglie.Si legge nella sentenza “È emerso infatti che il comportamento tenuto dallo S.ha comportato, per tutta la durata del rapporto,… offesa alla dignità dell’altroconiuge, in considerazione degli aspetti esteriori con cui era coltivato e dell’am-biente in cui era esternato, ed è stato oggettivamente tale da cagionare sofferen-za e turbamenti lesivi all’immagine ed offese pregiudizievoli della personalitàdel coniuge con atteggiamenti di disistima e comportamenti espulsivi, partico-larmente gravi per i toni sprezzanti ed in quanto esternati alla presenza dei com-ponenti del gruppo parentale ed amicale, benché la moglie tentasse, in tali occa-sioni di ricomporre le fratture. Lo S. ha dunque tenuto nel corso del rapportouna condotta offensiva ed ingiuriosa sotto plurimi profili… L’attacco allaautostima della partner sia per le radici di appartenenza, sia come donna, checome compagna, non solo respinta nell’intimità del rapporto di coppia, mapubblicamente irrisa anche sul piano estetico … e svalutata in tutti i ruoli pro-pri del sodalizio familiare, ripetutamente invitata con toni pesanti ad andarse-ne di casa, perché compagna non gradita, l’ha poi sicuramente condizionata,demotivandola, nella scelta di rinunciare ad essere madre… il marito curòsempre e solo il rapporto di avere, trascurando quello dell’essere, e con compor-tamenti ingiuriosi protrattisi e pubblicamente esternati per tutta la durata delrapporto coniugale ferì la T. nell’autostima, nell’identità personale e nel signi-ficato che lei aveva della propria vita”.La Corte piemontese prosegue poi evidenziando la gravità della violazione dei

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

5 TRIB. CATANIA, 31 dicembre 1992, in Dir. Fam. Persone, 1993

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doveri sanciti dagli articoli 143 e 144 c.c. direttamente collegandosi ai principicostituzionali.“Il comportamento reiterato di S. è dunque risultato violatorio del principio dieguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto in generale dall’art.3 Cost.che trova, nell’art.29 Cost. la sua conferma e specificazione, onde allo stessodeve essere ascritta la responsabilità esclusiva della separazione, in considera-zione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio,in particolar modo al dovere di correttezza e di fedeltà… pertanto la complessi-va condotta dello S., secondo quanto emerso, fu eziologicamente tale da cagio-nare disagio, sofferenza e turbamenti, lesioni all’immagine, pregiudizievoli dellapersonalità del coniuge, con atteggiamenti ingiuriosi di disistima che la isolava-no dalla considerazione del gruppo di appartenenza e ne sollecitavano l’allon-tanamento, essendo esplicitamente e ripetutamente espulsivi.”6

La Corte fa quindi riferimento alla pressione psicologica, esercitata da un coniu-ge sull’altro per indurlo a comportamenti e scelte, da questi non condivise masubite al solo scopo di non essere estromesso dalla vita matrimoniale.La sentenza della Corte torinese, pur individuando nella condotta tenuta dalmarito il fenomeno internazionalmente noto come mobbing, si è limitata a pro-nunciare l’addebito della separazione. Per la giurisprudenza maggioritaria, infat-ti, l’addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabi-lità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre cir-costanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpe-vole al mantenimento7.La strada del risarcimento del danno in ambito familiare era già stata aperta dallagiurisprudenza di legittimità ma con riferimento a danni ad opera di terzi8, poidalla giurisprudenza di merito e di legittimità in relazione al rapporto genitore-figlio9.In relazione al rapporto coniugale significativa è una pronuncia del Tribunale diFirenze, per il quale, in un caso specifico di mancata assistenza, la condotta delconiuge è stata ritenuta, legittimante non solo la pronuncia di addebito dellaseparazione, ma anche di condanna, nel medesimo processo di separazione, alrisarcimento del danno c.d. biologico10.La novità della sentenza del Tribunale di Firenze è appunto la condanna delconiuge, concorrente e non alternativa, alla pronuncia dell’addebito e al risarci-mento del danno alla salute subito dalla moglie per l’inescusabile ritardo nel for-

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

6 C. APPELLO TORINO, 19 febbraio 20007 CASS., SEZ. I CIVILE, sent. 27 novembre 2003, n. 181328 CASS., SEZ. I civile, sent 11 novembre 1986, n. 66079 TRIB. MILANO, 10 febbraio 1999; CASSAZIONE, sent. 7 giugno 2000, n.7713; Trib. Roma, 13 giugno

2000. Osserva M.Dogliotti, (Dir. Fam e Per. 1/2002) commentando la sentenza del Tribunale diRoma “è un fenomeno nuovo e sorprendente l’immissione dello schema della responsabilità civileall’interno dei luoghi più riposti del diritto di famiglia, fenomeno sorprendente, ma in sostanza con-divisibile: l’area della responsabilità civile si estende ancora, e si affianca (ma per ora non li sosti-tuisce) a strumenti pur superati come l’addebito, lambisce profili di diritto particolare, caratterizzatiora da zone franche di privilegi deresponsabilizzanti, ora da situazioni di forte coercibilità... ma unapiù marcata incidenza dell’-altro- diritto non può che essere vista con favore, anche perché potreb-be contribuire a segnare una nuova prospettiva per i ruoli stessi all’interno della famiglia...marito,moglie, padre, madre, figlio non più, rispettivamente, titolari di posizioni di privilegio, di suprema-zia, o gravati da vincoli di soggezione, le une e gli altri particolari e esingolari, ma finalmente libe-ri, uguali, e compiutamente responsabili verso terzi, ed anche l’uno nei confronti dell’altro.”

10 TRIB. FIRENZE, 13 giugno 2000

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nirle i necessari sussidi terapeutici.Il caso di aggressione alla sfera psichica dell’altro, trattato dalla Corte di Appellodi Torino, non è entrato nel campo della responsabilità civile, tuttavia, se la con-dotta lesiva del mobbing, perpetrato attraverso i medesimi schemi comportamen-tali, è fonte di responsabilità nell’ambito lavorativo non si vede perché nondebba esserlo anche in ambito familiare11.Rimangono i problemi legati all’onere della prova, nel diritto di famiglia comenel diritto del lavoro. Con la sentenza n. 143 del 2000 la Cassazione dà risposteprecise e corrette a questo vecchio ma sempre ricorrente fenomeno, ora mobbing:la condanna è totale, ma allo stesso tempo si confermano alcuni principi impor-tanti. A cominciare dalla prova: è confermata la necessità di una prova rigorosa,a carico ovviamente di chi lamenta il fastidio, e va data una doppia prova: siadella lesione (il danno), sia del nesso causale con quel comportamento, che puòessere doloso o, dice sempre la Cassazione, anche colposo12.Non sfugge tuttavia all’interprete il fatto che il mobbing, fenomeno che può pro-curare morbilità e grave danno alla salute fisica e psichica, è fenomeno non previ-sto dal nostro ordinamento, ed è argomento proprio recentemente ritenuto dallaCorte Costituzionale di competenza dello Stato, per cui non è consentito alleRegioni legiferare autonomamente in materia13. Ne deriva che, non esistendo nelnostro ordinamento giuridico una definizione del mobbing14 ed una sua previsionecome reato o anche solo come condotta costitutiva di danno, i riferimenti norma-tivi sono ancora necessariamente, quelli di diritto comune. Per il diritto del lavorosi farà ricorso agli artt.2059 c.c. e 41 Cost., artt. 1175 c.c., 1176 c.c., 1375 c.c.,2087 cc., 2043 c.c., 2049 c.c. e art.2 Cost. mentre nell’ambito familiare si farà rife-rimento agli articoli 143, 144, 145 cc., artt. 2, 3 e 29 Costituzione, art. 2043 c.c.Ed accanto al più generale danno alla salute, dovranno considerarsi tutte lenuove figure di danno elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quali ildanno biologico, il danno da perdita di chance, il danno esistenziale15, il dannomorale, il danno alla vita di relazione, nonché il danno da rimbalzo, che la con-dotta mobbizzante produce sulle persone che sono in relazione con la vittimadelle condotte vessatorie. Nell’ambito familiare si avrà cura di considerare prin-cipalmente i figli, ma anche i genitori e l’area parentale.

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

11 MONATERI, BONA E OLIVA, Mobbing, Giuffrè, 2000, 126 e segg.12 M. MISCIONE, I fastidi morali sul lavoro e il mobbing13 C. COST., sent. 10-19 dicembre 2003, n.359, che ha dichiarato l’illegittimità della legge Regione

Lazio n.16/2002 in materia.14 AMATO, CASCIANO, LAZZERONI, LOFFREDO, Il mobbing, Giuffrè 2002, osservano l’importanza del ricon-

durre ad unità le singole condotte vessatorie proprio per meglio valutare l’entità del danno in quan-to “gli effetti dannosi del mobbing non sono una semplice sommatoria degli effetti dannosi delle sin-gole condotte persecutorie, per cui sarebbe sufficiente risarcirle singolarmente per avere risarcito iltutto. Ogni singola condotta persecutoria crea un precedente nella psiche e/o sul corpo della vitti-ma, il che significa che il danno provocato dalla seconda condotta dovrà essere valutato tenendoconto del substrato psicofisico già compromesso nel quale va ad innestarsi.”

15 G. CASSANO, Danno esistenziale, La Tribuna.Sul danno esistenziale da mobbing, in giurisprudenza, TRIB. FORLÌ 15.3.2001, Sorgi.

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L’AUTONOMIA NEGOZIALE

La materia in esame ha subito, nel corso degli ultimi anni, una decisa evolu-zione in senso negoziale, nell’ottica di assegnare all’autonomia privata unruolo primario nella definizione dei rapporti patrimoniali fra coniugi.

Si è passati, infatti, da una concezione “istituzionale” della famiglia, intesa comecomunità portatrice di valori a carattere superindividuale, quale “cellula delcorpo sociale cui l’interesse dei singoli deve piegarsi (CICU, 1965), ad una con-cezione di rango “costituzionale”, dove l’istituto familiare viene a trovare il suofondamento nei principi di uguaglianza e di pari dignità dei coniugi (artt. 3 e 29Cost.), mentre la posizione del singolo trova la sua tutela in quei diritti fonda-mentali che gli devono essere riconosciuti anche all’interno delle “formazionisociali” (e la famiglia è una tra le più importanti) in cui egli svolge la sua perso-nalità (art. 2 Cost.).Questa accentuata attenzione per l’autonomia dei privati all’interno del nucleofamiliare ha avuto un ulteriore svi-luppo attraverso la legislazioneordinaria, nell’ambito dell’introdu-zione del divorzio e della più gene-rale riforma del 1975: quest’ultima,in particolare, ha attribuito allanegozialità un tal rilievo da elevarel’accordo a strumento privilegiatoper la disciplina dei rapporti fami-liari, ed è precisamente in questaregola che la dottrina coglie unsegno della “privatizzazione” deldiritto di famiglia (Russo, 1983 eBriganti, 1997) ed il superamentodi quella concezione pubblicisticache voleva le posizioni individualidei singoli orientate al raggiungi-mento di interessi superiori o “pub-blici” (Alpa, Ferrando 1989).Va rilevato, tuttavia, che questaevoluzione non ha comportato pertutti gli autori un automatico acco-glimento della tesi favorevole alpieno dispiegamento dell’autonomia contrattuale nel campo familiare: molti diessi, anzi, giungono ad asserire che i privati non potrebbero formulare validemanifestazioni di volontà al di fuori dei casi in cui la legge espressamente ponea loro disposizione uno schema tipico (Così sostiene Galgano, 1988 e Ferri,1959); di contro, è stato esaurientemente dimostrato (Doria, 1996) che è conno-tato tipico degli effetti dell’attività negoziale che questi non siano sempre, ed inquanto tali, commisurati alla volontà delle parti, ben potendo invece, “in mag-giore o minore misura, divergere dal voluto” senza che con ciò il carattere nego-ziale della manifestazione di volontà possa ritenersi compromesso.Deve, pertanto, concludersi nel senso della sussistenza di un generale potere diautoregolamentazione dei coniugi nei rapporti familiari, quale esplicazione del-l’autonomia privata di cui all’art. 1322 c.c., conformemente all’attuale struttura

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

ANTONINASCOLAROAVVOCATO DEL FORO DI

TORINO

PRESIDENTE AIAFPIEMONTE

RAPPORTI ECONOMICITRA CONIUGI

IN COSTANZA DIMATRIMONIO,

IN SEPARAZIONEE IN DIVORZIO

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIAORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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della famiglia (non più monocratica ma basata su posizioni paritarie), nonchéalla ricezione del principio della risolubilità del vincolo matrimoniale.

LE CONVENZIONI MATRIMONIALI

In questo senso, la previsione di un regime patrimoniale legale (la comunionedei beni) non costituisce un ostacolo al dispiegarsi dell’autonomia contrattua-

le dei coniugi, la quale può, anzi, prevedere una diversa regolazione dei rappor-ti economici intercorrenti tra gli stessi, come dispone l’art. 159 c.c. (“Il regimepatrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipu-lata a norma dell’art. 162 c.c., è costituito dalla comunione dei beni”).Tali “convenzioni matrimoniali”, pur in assenza di un’espressa definizione legi-slativa, devono ricomprendersi nella più ampia categoria negoziale, qualificando-si come “contratti direttamente connessi alla vita familiare” (Santosuosso, 1983),con comunione di scopo, stante la coincidenza anziché la contrapposizione degliinteressi delle parti: effetto tipico delle convenzioni matrimoniali è, infatti, ladeterminazione negoziale delle regole del regime patrimoniale prescelto per ladisciplina dei futuri rapporti tra i coniugi, che realizza in sé l’interesse di questiultimi, a prescindere dagli eventi concreti ai quali tali regole dovranno applicarsi.Al di là, pertanto, dei limiti posti all’autonomia dei coniugi in tali determinazio-ni, va rilevata la generale tendenza ad un’interpretazione restrittiva degli stessi,nell’ottica di una accentuazione del potere negoziale delle parti (Oberto, 1999).Così, l’art. 160 c.c. dispone che “gli sposi non possono derogare né ai diritti néai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”; al riguardo, la dottri-na ha osservato come i diritti e i doveri cui la norma fa riferimento non possanoessere quelli di carattere personale: dalla natura contrattuale delle convenzionimatrimoniali, infatti, discende che in esse non è consentito disporre di rapportidiversi da quelli patrimoniali.Se ne deduce, di conseguenza, che il limite di derogabilità riguarda i doveri di con-tribuzione ex art. 143, 3° co. c.c. e di mantenimento dei figli ex art. 147 e 148.Quanto all’art. 161 c.c. la norma, lungi dall’inibire l’autonomia dei coniugi,sembra piuttosto rafforzarla; stabilisce, infatti, che “gli sposi non possono pattui-re in modo generico che i loro rapporti matrimoniali siano in tutto o in parteregolati da leggi alle quali non sono sottoposti dagli usi, ma devono enunciare inmodo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi lororapporti”.Il divieto della relatio concerne solo il richiamo a norme straniere o consuetudi-narie; restano pertanto ammissibili altri tipi di rinvio, per esempio a convenzio-ni in precedenza stipulate tra le parti.Se ne deduce, dunque, che l’ostacolo posto dall’art. 161 c.c. è di natura puramen-te formale, nel senso che nulla impedisce alle parti di tradurre dalla lingua stra-niera la regolamentazione di un certo istituto e di inserirla tale e quale nella loropattuizione.Proprio per questo motivo si è rilevato come la disposizione finisca con il forni-re un argomento alla tesi della libera stipulabilità di convenzioni atipiche,osservando in proposito che “la norma non stabilisce quali regimi si possono onon si possono adottare, ma presuppone che gli sposi siano liberi di adottareregimi patrimoniali diversi da quello legale tipico, con i soli limiti sanciti dalladisciplina della comunione convenzionale ed afferenti alla inderogabilità dellenorme relative all’amministrazione e all’eguaglianza di quote per i beni oggetto

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

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della comunione legale, e quindi anche di uniformare il regime liberamente pre-scelto ad un modello disegnato da un ordinamento straniero o da una consuetu-dine, anch’essa eventualmente straniera” (Moscarini, 1989, riprendendo Sacco,1977).Un’ulteriore dimostrazione dell’estensione del principio della libertà contrattua-le in questa materia è data dalla progressiva erosione della sfera di applicabilitàdelle regole formali previste per le convenzioni matrimoniali.Al fine di un’adeguata tutela dei terzi, l’art. 162 c.c. sancisce, infatti, la formadell’atto pubblico ad substantiam, con la conseguenza che l’inosservanza didetta forma (importando la nullità della convenzione) provoca l’automaticainstaurazione tra i coniugi del regime legale di comunione dei beni.A partire dalla riforma del diritto di famiglia, la giurisprudenza di legittimità hafornito una lettura vieppiù restrittiva della norma, al fine di circoscriverne almassimo l’applicazione pratica; cito, al riguardo:a) il caso in cui la Cassazione ha negato che l’accordo intercorso, prima della

riforma del diritto di famiglia, tra coniugi in regime di separazione dei beni,con il quale questi si obbligavano a versare in un unico conto corrente i pro-venti delle rispettive attività professionali costituisce convenzione matrimo-niale da stipularsi con atto pubblico a pena di nullità, con la conseguenza diammettere la prova di tale accordo anche a mezzo di testimoni; (Cass.18/8/93, n. 8758);

b) la ritenuta inapplicabilità dell’art. 162 c.c. alla divisione amichevole operatadai coniugi nel patrimonio già in comunione legale, una volta intervenuta unacausa di scioglimento di quest’ultima (Cass. 28/11/96, n. 10586);

c) l’inapplicabilità dell’art. 162 c.c. all’accordo per scrittura privata con il qualeun coniuge, successivamente alla stipula della convenzione di scioglimentodel regime legale, rinunciava ad ogni sua pretesa su un’azienda commercialeacquistata nel vigore del regime di comunione e corrispettivamente l’altro siobbligava a versargli una somma di denaro (Cass. 11/11/1996, n. 9846).

La riconosciuta autonomia contrattuale delle parti trova ulteriore conferma inmateria di modifica delle convenzioni matrimoniali, laddove oggi il III commadell’art. 162 segna il definitivo superamento della regola dell’immutabilità deiregimi matrimoniali.Quest’ultima era strettamente collegata allo storico (in quanto risalente alCodice Giustinianeo) divieto di donazione tra coniugi, nell’ottica di assicurareuna trasmissione “in linea verticale” dei patrimoni; tale ratio giustificatrice èvenuta meno in seguito alla caduta del principio della indissolubilità del vincolomatrimoniale, con la conseguenza che l’unico limite ad oggi esistente è il richia-mo all’inderogabilità dell’art. 194 c.c., nella parte in cui prevede la divisione inparti uguali dei beni già in comunione legale.

NEGOZIAZIONE DEI CONIUGI E COMUNIONE LEGALE

Quanto all’istituto della comunione legale, lo spazio concesso dal legislatorealla libertà negoziale dei coniugi è talmente ampio da contemplare, addirittu-

ra, la stessa possibilità di escludere (del tutto o in parte) l’operatività del regime,così attribuendo alla comunione carattere suppletico; ciò risulta:1) dall’art. 2647 c.c., laddove dispone che “devono essere trascritti, se hanno per

oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzionimatrimoniali che escludono i beni medesimi dalla comunione dei coniugi…”;

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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2) dall’art. 210 c.c. I co., il quale sancisce testualmente che “i coniugi possono,mediante convenzione stipulata a norma dell’art. 162, modificare il regimedella comunione legale dei beni, purché i patti non siano in contrasto con ledisposizioni dell’art. 161”.

In questo senso, del resto, è orientata la giurisprudenza di legittimità, la quale haritenuto ammissibile il rifiuto preventivo, da parte di un coniuge, del coacquistoex lege ai sensi dell’art. 177 lett. a), d) e cpv.; in particolare, (Cass. 2/6/1989 n.2688) dichiara testualmente che: “(…) l’atto di opposizione-rifiuto del coniuginon acquirente costituisce esplicazione della sua autonomia negoziale, ed essodetermina l’effetto di limitare l’efficacia soggettiva dell’atto di acquisto nei con-fronti del solo coniugi acquirente”. In tale ipotesi, è del tutto irrilevante che ilbene sia o meno compreso tra quelli che il codice indica come beni personali; alcontrario, il carattere personale (o meno) del bene ha rilevanza nell’ipotesi inver-sa, in cui cioè il coniuge non contraente non esprima il consenso all’acquistoesclusivo da parte dell’altro coniuge, il quale potrà ovviare alla mancata dichia-razione solo mediante un accertamento giudiziale della natura personale del bene.Bisogna sottolineare, poi, che il rifiuto della contitolarità del bene integra unadichiarazione con valore negoziale; da ciò discendono due importanti conse-guenze:1) non può essere revocato;2) il coniuge che lo ha espresso non può opporre ai creditori dell’altro coniuge o

agli aventi causa dal medesimo che il bene non aveva carattere personale.Queste significative aperture verso la negozialità relativamente all’oggetto dellacomunione legale, trovano riscontro anche nell’ambito dell’ amministrazione deibeni, essendo espressamente previsto (art. 180 c.c. I co.) che “l’amministrazionedei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa rela-tivi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi”.La norma esalta l’autonomia del singolo coniuge nei rapporti esterni, pur facen-do salva la regola dell’accordo per gli atti di disposizione e di straordinariaamministrazione (cfr. II co. art. 180 c.c.); la giurisprudenza ha ulteriormenteampliato questo principio, riconoscendo a ciascuno dei coniugi la possibilità diprocedere ad atti di disposizione di interi beni soggetti al regime legale: in taliipotesi, il consenso dell’altro coniuge (richiesto dal cpv. dell’art. 180 c.c. per gliatti di straordinaria amministrazione) si pone come un negozio unilaterale auto-rizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e cherappresenta un mero requisito di regolarità del procedimento di formazione del-l’atto di disposizione, la cui mancanza (laddove si tratti di bene immobile o dibene mobile registrato) si traduce in un vizio da far valere nei termini fissati dal-l’art. 184 c.c. (vale a dire, entro un anno dalla data in cui il coniuge il cui con-senso era necessario ha avuto conoscenza dell’atto ovvero entro un anno dalladata di trascrizione).Su questo punto, la Corte di Cassazione ha respinto la tesi della radicale ineffi-cacia degli atti compiuti, ricollegandosi ad una pronuncia della CorteCostituzionale (n. 311/1988) che attribuisce alla massa in comunione il caratte-re di “proprietà solidale”): secondo tale orientamento, infatti, la comunione lega-le dei beni tra i coniugi si differenzia da quella ordinaria in quanto trattasi di“comunione senza quote”, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di undiritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa lapartecipazione di estranei; ne consegue che “nei rapporti con i terzi, ciascun

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coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttaviadisporre dell’intero bene comune” (Cass. 14.1.1997 n. 284).È stata così respinta quella lettura restrittiva del disposto dell’art. 184 c.c., pro-posta da una parte della dottrina, secondo la quale la norma in esame avrebbepotuto trovare applicazione nel solo caso in cui l’immobile venduto fosse risul-tato “intestato” al solo coniuge alienante, dovendosi nelle altre ipotesi (“intesta-zione” ad entrambi, ovvero al solo coniuge del soggetto alienante) ricadere nellaregola generale dell’inefficacia (Cost. Sacco, 1997; Corsi, 1979; Santosuosso,1983), sanzione decisamente più grave di quella prevista dall’art. 184 c.c.(annullabilità).

ALTRI CASI DI AUTONOMIA NEGOZIALE DEI CONIUGI INCOSTANZA DI MATRIMONIO

Un altro istituto dove trova esplicazione l’autonomia privata dei coniugi èquello della comunione convenzionale, la quale si fonda precisamente su

un’espressa pattuizione degli stessi volta a “modificare il regime della comunio-ne legale dei beni”, sia pure con alcune limitazioni poste dall’art. 210 c.c.:1) non possono essere compresi nella comunione convenzionale i beni indicati

nella lettera c), d) ed e) dell’art. 179, in quanto trattasi di beni propri e per-sonali di ciascuno dei coniugi;

2) viene sancita l’inderogabilità delle norme della comunione legale relativeall’amministrazione dei beni e all’uguaglianza delle quote (limitatamente,però, ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale!).

Entro tali limiti (la cui portata, sul piano pratico, è assai limitata) i coniugi pos-sono variamente estendere l’oggetto della comunione ad esempio ai beni di cuiciascuno sia titolare prima del matrimonio (art. 179 lett. a) c.c.), ovvero a quelliacquistati in seguito per successione o donazione (art. 179 lett. b) c.c.); potràanche prevedersi che alla comunione convenzionale vadano attribuiti i frutti deibeni propri e dei proventi dell’attività separata di ciascuno, immediatamente, enon solo de residuo; i coniugi, infine, potranno escludere dalla comunione mede-sima talune categorie di beni, espressamente predeterminate.Deve ammettersi, pertanto, che i margini di modificabilità del regime legale con-cessi alle parti sono “sostanzialmente illimitati” (Santosuosso, 1993 e Auletta,1995), fornendo così ulteriore prova del riconoscimento della loro autonomianegoziale.

Nel regime di separazione dei beni si possono cogliere i segni del riconosci-mento dell’autonomia dei coniugi, a cominciare dal fatto stesso che il legislato-re, nell’attribuire alla comunione la dignità di regime legale, ha pur tuttavia con-cesso alle parti di escluderne in toto l’operatività.In particolare, i segni del rilievo attribuito alla negozialità sono evidenti nelmomento genetico dell’istituto, il quale sorge come “scelta dichiarata nell’atto dicelebrazione del matrimonio” (art. 162 II co. c.c.) ovvero come convenzione sti-pulata successivamente; la natura convenzionale di detto regime risulta, delresto, dalla norma (art. 215 c.c.) che ne fornisce la definizione: “i coniugi pos-sono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beniacquistati durante il matrimonio”).Il carattere negoziale dell’istituto si riverbera, poi, sulla materia dell’ammini-strazione e del godimento dei beni (artt. 217 s.s. c.c.), governata dal principio

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della libera disponibilità da parte dei rispettivi titolari (ex art. 217 I c. c.c. “cia-scun coniuge ha il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclu-sivo”), mentre la sanzione prevista dall’ultimo comma dell’art. 217 c.c. (obbligodi risarcimento del danno) per il coniuge che abbia amministrato o comunquecompiuto atti sui beni dell’altro, nonostante l’opposizione di quest’ultimo, con-ferma la necessità del ricorso agli ordinari strumenti negoziali previsti in mate-ria di mandato.

Per quanto riguarda il fondo patrimoniale la dottrina evidenzia due aspetti dacui emerge il rilievo attribuito all’autonomia negoziale:1) l’ampiezza dei poteri riconosciuti ai coniugi in ordine all’impiego dei beni

sottoposti a vincolo (consistenti in immobili, mobili registrati o titoli di cre-dito nominativi, compresi BOT, CCT e quote di partecipazioni a fondi comu-ni di investimento);

2) il potere delle parti di determinare discrezionalmente il contenuto dell’attocostitutivo del fondo, nel rispetto dei principi fondamentali che caratterizza-no l’istituto (Auletta, 1997), il quale si configura come “regime di cogestionedi uno o più beni vincolati ai bisogni della famiglia” (Bianca, 1985).

Ma il riconoscimento di tale autonomia si spinge oltre, fino a consentire alleparti di derogare a talune disposizioni poste a tutela dell’interesse familiare:l’art. 169 c.c., infatti, pur nella sua contorta formulazione, ammette che i coniu-gi possano disporre liberamente dei beni del fondo, pur in presenza di figli mino-ri. A questa conclusione perviene sia la maggioritaria dottrina (Gabrielli, 1982;Santosuosso, 1983; Finocchiaro, 1984; Auletta, 1990) sia l’unica pronuncia giu-risprudenziale in materia (Trib. Roma 27/6/1979).

La disciplina dell’impresa familiare concede un ampio spazio all’autonomiaprivata, a cominciare dall’inciso “salvo che sia configurabile un diverso rappor-to” con cui si apre l’art. 230 - bis c.c.; esso, peraltro, finisce per consentire allecoppie più accorte di aggirare le disposizioni poste a tutela del “coniuge debo-le”, rimuovendo in toto un istituto che, nell’intenzione del legislatore, avrebbedovuto apprestare un rimedio ai problemi posti dalla spontanea prestazione diattività lavorativa in ambito familiare!La giurisprudenza, poi, pur attribuendo all’impresa familiare natura quasi - con-trattuale, riconosce comunque effetto al negozio che se ne ponga eventualmenteall’origine, non lasciando così priva di effetti la volontà diretta a costituire unaserie di rapporti economici, purché non sia in contrasto con le disposizioni del-l’art. 230 bis c.c., avente carattere imperativo.In particolare, la Cassazione ritiene che ad integrare la fattispecie dell’impresafamiliare sia sufficiente “il fatto giuridico dell’esercizio continuativo di attivitàeconomica da parte di un gruppo familiare, non essendo a detto fine necessariauna dichiarazione di volontà (indispensabile, invece, per costituire un rapportogiuridico diverso)”.Peraltro, l’esistenza di un atto negoziale, che ribadisca o precisi la disciplinalegale dell’impresa familiare, non esclude la configurabilità della medesima,ferma comunque la necessità di verificare se le clausole di tale atto siano o no incontrasto con norme imperative dell’art. 230 bis c.c., con la conseguenza (nelprimo caso) della loro nullità e relativa sostituzione da parte delle norme impe-rative che ne risultino violate (Cass. 16/4/1992, n. 4650).

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Va rilevato, infine, che anche la riforma del sistema italiano di diritto interna-zionale privato, attuata con la legge 31.5.95 n. 218, ha segnato una decisa svol-ta verso un ulteriore potenziamento dell’autonomia contrattuale dei coniugi, acominciare dal ventaglio di possibilità che l’art. 30 l. cit. è venuto ad offrire alleparti, nel caso di matrimonio caratterizzato dalla presenza di un elemento diestraneità.Si noti che il numero stesso degli elementi di estraneità risulta incrementatorispetto al disposto dell’abrogato art. 19 prel., che ammetteva esclusivamente lastipula di convenzioni in base alla “nuova legge nazionale comune” nel caso di“cambiamento di cittadinanza dei coniugi”. La vigente normativa consente inve-ce la stipula di accordi in deroga rispetto ai principi fissati dall’art. 29 l. cit.anche nel caso di semplice residenza in (e non solo in caso di cittadinanza di) unpaese diverso da quello che costituisce l’elemento di collegamento rilevante perla determinazione della legge relativa ai rapporti personali, richiamata nel campodei rapporti patrimoniali (vale a dire quello di cui entrambi i coniugi sono citta-dini, o in cui “la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata”).Il legislatore è - tra l’altro - venuto implicitamente ad ammettere la possibilitàche i coniugi risiedano in luoghi distinti: pertanto, una coppia italiana in cui lamoglie, per esempio, per ragioni di lavoro, risieda all’estero, potrà convenire(per iscritto) che i rapporti economici siano regolati per l’appunto dalla legge delpaese di residenza di quest’ultima.Le opzioni consentite, per ciò che attiene ai rapporti patrimoniali, sono dunqueoggi le seguenti:a) legge nazionale comune;b) legge dello stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizza-

ta, se i coniugi hanno cittadinanze diverse o più cittadinanze comuni;c) legge dello stato del quale uno dei coniugi è cittadino, se così si è convenuto

per iscritto;d) legge dello stato nel quale uno dei coniugi risiede, se così si è convenuto per

iscritto;e) legge dello stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizza-

ta, se i coniugi che pure hanno una (sola) legge nazionale comune (non coin-cidente con la prima) hanno convenzionalmente deciso di far prevalere laprima sulla seconda.

Uno degli aspetti salienti dell’odierna regolamentazione del diritto internaziona-le privato dei rapporti patrimoniali tra coniugi è quindi costituito dalla facoltà diuna optio iuris ai sensi del primo comma dell’art. 30 cit., conformemente ad unodei criteri ispiratori della riforma del 1995, tesa ad esaltare nel suo complessoben più che in passato il criterio della volontà per l’individuazione della leggeapplicabile.La scelta del diritto applicabile potrà attuarsi sul presupposto della sussistenzadelle condizioni sopra evidenziate, e cioè che l’accordo sia concluso per iscrittoe che si riferisca alla legge di uno stato di cui uno dei coniugi abbia la cittadi-nanza o in cui uno di essi sia residente, oltre alla circostanza che il patto sia con-siderato valido dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l’accordo è statostipulato (art. 30 cpv. l. n. 218/95).Questa scelta di politica legislativa esalta l’autonomia dei coniugi permettendoloro di inserire nella lex contractus (matrimonii) istituti tratti da ordinamentidiversi dal nostro.

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Un’ultima osservazione: l’art. 30 cit. viene ad erodere almeno due dei limiti tra-dizionalmente posti dalle norme imperative in materia di convenzioni matrimo-niali. Il primo è di carattere formale ed attiene al requisito dell’atto notarile, exart. 162 c.c., stabilendosi invece, con riguardo all’accordo sulla legge applicabi-le, la sufficienza della mera forma scritta.Il secondo tocca invece il disposto dell’art. 161 c.c., secondo il quale “gli sposinono possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano intutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, madevono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendonoregolare questi loro rapporti”. È chiaro infatti che, nel momento in cui si consen-te ai coniugi di stipulare un pactum de lege utenda, si viene ad ammettere che intale fattispecie le parti possono limitarsi ad un generico richiamo al sistema diun dato paese.Né in proposito vale obiettare che a siffatta soluzione osterebbero ragioni dichiarezza, sussistendo il rischio di non poter concretamente individuare il regi-me prescelto: il generico richiamo ad un determinato ordinamento straniero,senza ulteriori specificazione, determina invero l’automatica applicazione delregime che in quel sistema viene designato quale “legale”, cioè applicabile indifetto di opzione per un regime diverso.

LA NEGOZIAZIONE DEI CONIUGI NELLA CRISI CONIUGALE

Dopo aver illustrato i tratti salienti della negozialità tra coniugi con riguardoalla fase “fisiologica” della vita coniugale, occorre prestare attenzione al

momento della crisi dell’unione. Qui si frappongono svariati interventi di tipogiurisdizionale, quali le procedure di separazione legale, di scioglimento e dicessazione degli effetti civili o, ancora, di annullamento del matrimonio, con cuil’attività negoziale delle parti viene ad interagire.Occorrerà, pertanto, stabilire se e in che misura questo intreccio di attività nego-ziale e attività giurisdizionale determini limitazioni al libero dispiegarsi dell’au-tonomia dei soggetti, ponendosi quale ostacolo alla configurabilità di contrattidella crisi coniugale.

L’ACCORDO DI SEPARAZIONE. NATURA E CONTENUTO

Al riguardo, la prima questione che si pone concerne l’individuazione dellanatura giuridica dell’accordo di separazione consensuale, dalla quale discen-

dono rilevanti risvolti pratici (si pensi, ad esempio, all’applicabilità delle dispo-sizioni dettate in materia di contratto in generale).Preliminare all’indagine è la corretta identificazione dell’oggetto della stessa, inquanto l’espressione “accordo di separazione” è usata per designare realtà ancheassai distinte tra di loro; in dottrina, infatti, ferve da tempo un acceso dibattito inordine alla determinazione del contenuto dell’accordo nel suo complesso, distin-guendosi tra contenuto necessario (o principale) e contenuto eventuale (o acces-sorio).La tesi prevalente in dottrina (Iemolo, 1950; Mantovani, 1992) e giurisprudenza(Cass. 15/5/1997 n. 4306) distingue tra:a) contenuto necessario, costituito dall’accordo sulla cessazione della coabita-

zione (negozio di separazione in senso stretto), nonché le pattuizioni concer-nenti la prole minorenne;

b) contenuto eventuale, costituito da tutte le altre condizioni della separazione.

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Tale distinzione non coincide esattamente con quella enunciata dallaCassazione all’inizio degli anni ’90 (cfr. Cass. 15/3/1991 n. 2788), fondata sul-l’antitesi tra:a) contenuto tipico, comprendente, oltre al consenso a vivere separati, tutte le

altre clausole eventualmente necessarie al fine dell’instaurazione del nuovoregime di vita (in ordine all’assegno di mantenimento, all’affidamento e man-tenimento della prole, al diritto di visita ai figli e all’assegnazione della casafamiliare);

b) contenuto atipico, caratterizzato in negativo dal fatto che i relativi accordi nonsarebbero “direttamente collegati ai diritti e agli obblighi che derivano dalperdurante matrimonio”.

Secondo la Suprema Corte, mentre le intese di cui al punto a) apparterrebberoalla categoria delle “convenzioni di famiglia, quali figure giuridiche distinte daicontratti e caratterizzate da un sostanziale parallelismo di interessi e volontà” (ecome tali sottratte alla disciplina dei contratti), quelle di cui al punto b) (e soloquelle) costituirebbero “espressioni di libera autonomia contrattuale”.Tale ricostruzione risente dei riflessi negativi che sulla negozialità tra coniugi incrisi esercitano le prese di posizione a favore del carattere non disponibile del-l’assegno di mantenimento e degli accordi preventivi il divorzio, cosa che impe-disce ai giudici di attrarre anche tale aspetto (pur evidentemente caratterizzatodalla patrimonialità) nella sfera contrattuale.L’aspetto positivo di tale giurisprudenza risiede nel fatto che la Cassazione,attraverso il richiamo alla figura del “contenuto atipico”, finisce con il legittima-re l’inserimento del verbale di separazione consensuale di tutti quegli accordiche, pur trovando sede ed occasione nella separazione consensuale, non hannocausa in questa, in quanto non sono direttamente collegati ai diritti e agli obbli-ghi che derivano dal perdurante matrimonio.Le conclusioni sono del resto perfettamente conformi a quelle sviluppate succes-sivamente dalla stessa Corte, pur se basandosi sulla prima distinzione suenuncia-ta: “rientra, infatti, nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione ogni sta-tuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi inconseguenza della separazione, comprese quelle attinenti al godimento e allaproprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessarioin relazione all’accordo di separazione e che il Tribunale (in sede di omologa)non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto aquelli disponibili di ciascuno di essi”.Tale indirizzo ricalca quello della prevalente dottrina, la quale tende ad amplia-re l’autonomia dei coniugi nella determinazione del contenuto degli accordipatrimoniali inseribili nel verbale di separazione.In effetti, le intese di ordine patrimoniale dirette alla disciplina della futura vita“da separati” costituiscono pur sempre oggetto del contenuto di quelle “condi-zioni” che i coniugi possono (anche se non necessariamente devono) presentareal vaglio del giudice.In definitiva, la manifestazione di volontà in cui si concreta il negozio di sepa-razione consensuale, si estende normalmente a tutte le condizioni di ordine per-sonale e patrimoniale che sia necessario stabilire secondo le contingenze, perconcretare lo statuto dei rapporti tra coniugi separati (Azzolina, 1991) ivi com-presa, per esempio, la possibilità di integrare, sotto il profilo formale, l’intesa diseparazione sottoposta al vaglio del Tribunale mediante rinvio per relationem ad

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un atto in precedenza sottoscritto dalle parti.Del resto, appare inevitabile, una volta riconosciuta la natura contrattuale degliaccordi di contenuto patrimoniale diretti a comporre il conflitto coniugale, con-cedere all’autonomia negoziale la capacità espansiva che le è propria (cfr. art.1322 c.c.), avuto riguardo al fatto che, in linea di principio, qualsiasi accordo trai coniugi diretto a disciplinare la futura vita “da separati” evitando l’insorgere dipossibili liti, appare senz’altro meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

L’ACCORDO DI SEPARAZIONE CONSENSUALE

Venendo ora ai profili specifici dell’accordo di separazione consensuale, essoè stato definito da molti studiosi come un accordo in senso stretto, atteso che

qui i coniugi vogliono lo stesso risultato (cessazione della convivenza) e quindiil loro consenso è determinato dall’identica causa.Questo indirizzo è stato seguito da una parte della giurisprudenza, che ha cosìrisolto l’antica questione della revocabilità del consenso alla separazione espres-so in fase presidenziale, prima dell’intervenuta omologa; in tal senso, si vedaTrib. Latina, 14/4/1988, secondo cui “il consenso manifestato dai coniugi confi-gura un accordo-convenzione, revocabile come tale unilateralmente fino a quan-do non sia intervenuta l’omologazione da parte del Tribunale”.Successivamente, questa impostazione è servita anche a negare l’applicazioneall’accordo di separazione consensuale delle norme contrattuali in materia dierrore di diritto (cfr. Trib. Genova 13/2/1981).La Cassazione, poi, ha voluto estendere la teoria in esame anche ad aspettiindubbiamente caratterizzati dalla patrimonialità, giungendo così a negare l’ap-plicazione della disciplina del contratto a favore di terzi (proprio perché figuraprevista in relazione all’istituto del contratto) alla clausola inserita all’interno diun accordo di separazione consensuale tra coniugi secondo la quale il marito siobbligava a mettere a disposizione del figlio e della moglie, per tutta la duratadella loro vita, un’abitazione, ad integrazione dell’assegno di mantenimentodovuto agli stessi (cfr. Cass. 25/9/1978 n. 4277); in tal modo la giurisprudenzadi legittimità è venuta ad ammettere la validità di un accordo diretto all’attribu-zione dall’uno all’altro coniuge, in sede di separazione consensuale, di uno o piùbeni determinati, precisando che “nulla vieta l’ammissibilità della costituzionedi un vero e proprio diritto reale immobiliare, in re aliena, rappresentato daldiritto di abitazione.Con sentenza n. 2887/1984 la Suprema Corte ha chiarito, sotto il profilo dellanatura del negozio in questione e al fine di accertarne i requisiti formali, che“l’atto con cui un coniuge si obbliga a trasferire gratuitamente all’altro determi-nati beni, successivamente all’omologazione della loro separazione personaleconsensuale e al dichiarato fine dell’integrativa regolamentazione del relativoregime patrimoniale”, non configura una convenzione matrimoniale, né unadonazione, bensì “un diverso contratto atipico, con propri presupposti e finalità,soggetto per la forma alla comune disciplina e, quindi, se concernente immobili,validamente stipulabile con scrittura privata, senza necessità di atto pubblico”(art. 1350 c.c.).All’inizio degli anni ’90, ad ulteriore chiarificazione, la Suprema Corte ha stabi-lito che “quei negozi che, pur trovando sede in occasione della separazione con-sensuale, non hanno causa in questa, in quanto non sono direttamente collegatiai diritti e agli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, non si configu-

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rano come convenzioni di famiglia, ma costituiscono espressioni di libera auto-nomia contrattuale, in tal modo ammettendo che tali accordi possano avere natu-ra contrattuale.È pacifica, invece, la natura negoziale di quelle pattuizioni che solitamenteaccompagnano, o che comunque possono accompagnare, l’intesa di separazionein senso stretto e che vengono a costituire il contenuto eventuale dell’accordo diseparazione (in senso lato).Al riguardo, non sembra potervi essere dubbio sulla natura non solo negoziale diquesti accordi, bensì addirittura contrattuale, allorquando gli stessi (come per lopiù accade), abbiano ad oggetto prestazioni di carattere patrimoniale.Potrà dunque parlarsi, al riguardo, di veri e propri contratti di separazione con-sensuale, intendendo per tali gli accordi di carattere patrimoniale su quelle chel’art. 711 c.p.c. definisce le “condizioni della separazione”.Taluni indirizzi seguiti dalla giurisprudenza negli ultimi anni testimoniano del-l’applicazione (spesso diretta cioè senza richiamo al concetto di analogia) delleregole contrattuali, a cominciare dal principio generale dell’autonomia contrat-tuale (art. 1322 c.c.) cui la Corte di Cassazione ha fatto espresso riferimento alfine di ammettere, per esempio, la validità di un contratto preliminare con ilquale uno dei coniugi, in vista di una futura separazione consensuale, aveva pro-messo di trasferire all’altro la proprietà di un bene immobile, anche se tale siste-mazione dei rapporti patrimoniali era avvenuta al di fuori di qualsiasi controlloda parte del giudice in sede di omologa (Cass. 5/7/1984 n. 3940).Ma la regola in esame ha ricevuto concreta applicazione in un’innumerevoleserie di casi che hanno portato il “diritto vivente” a determinare in nome delprincipio dell’autonomia contrattuale, una vera e propria dilatazione dell’usualecontenuto dell’accordo di separazione.Si è così deciso, per esempio, in relazione ad una complessa pattuizione transat-tiva di tutti i rapporti nati dal vincolo coniugale, che l’accordo dei coniugi sot-toposto all’omologazione del Tribunale ben può contenere rapporti patrimonialianche “non immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regimedi separazione o ai diritti e agli obblighi derivanti dal matrimonio”.Sempre in materia di transazione la Corte ha stabilito, in epoca ancora più recen-te, che “anche nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi è ammissi-bile il ricorso alla transazione per porre fine o per prevenire l’insorgenza di unalite tra le parti, sia pur nel rispetto della indisponibilità di talune posizioni sog-gettive, ed è configurabile la distinzione tra contratto di transazione novativo enon novativo, realizzandosi il primo tutte le volte che le parti diano luogo ad unregolamento d’interessi incompatibile con quello preesistente, in forza di unaprevisione contrattuale di fatti o di presupposti di fatto estranei al rapporto ori-ginario (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito cheha ritenuto novativa e, quindi, non suscettibile di risoluzione per inadempimen-to, a norma dell’art. 1976 c.c., la transazione con la quale il marito si obbligavaespressamente, in vista della separazione consensuale, a far conseguire allamoglie la proprietà di un appartamento in costruzione, allo scopo di eliminareuna situazione conflittuale tra le parti)”, Cass.12/5/1994 n.4647.Concludendo sul punto, deve rimarcarsi una significativa pronuncia giurispru-denziale (Cass.23/7/1987 n.6424), che giunge alla seguente affermazione: “I rap-porti patrimoniali fra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le parti, nonessendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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disponibili e rientrano nella loro autonomia privata”.Siffatte conclusioni trovano conferma anche sul piano pratico, con riferimentoall’individuazione dei criteri ermeneutici degli accordi in esame, nonché alleregole che ne disciplinano gli effetti, laddove l’equiparazione alla materia con-trattuale è più evidente.Così, mentre la Cassazione applica senz’altro all’accordo in materia di attribu-zione della casa familiare i canoni ermeneutici ex. art.1362 c.c (Cass.5/7/1988n.4420), mostrando altresì implicitamente di ritenere ammissibili prove per testiaventi ad oggetto l’interpretazione del contenuto di un verbale di separazioneconsensuale (Cass.14/1/1980 n.324), nella giurisprudenza di merito non si esitaa rinvenire in questo patto (coinvolgente un immobile in comproprietà tra iconiugi separati) gli estremi di un’intesa idonea ad imprimere al bene comuneuna destinazione incompatibile con la divisione, ex art.1112 c.c. (così Trib.Genova, 19/9/1986).

Da ultimo, va rilevato che parte della dottrina ammette la risoluzione per ina-dempimento dei contratti in esame: in tale orientamento si colloca anche unapronuncia di legittimità, che afferma addirittura la possibilità (in linea teorica) dirisolvere, per effetto dell’applicazione delle regole in tema di presupposizione, iltrasferimento immobiliare operato da un coniuge in favore dell’altro in adempi-mento di un’obbligazione assunta in sede di separazione consensuale, una voltadichiarato nullo il matrimonio. Determinante è pertanto l’accertamento (negati-vo, nel caso di specie) che l’attribuzione patrimoniale sia stata implicitamentesubordinata alla persistente validità del matrimonio.

GLI ACCORDI NON TRASFUSI NEL VERBALE DI SEPARAZIONE

Una volta accertata l’autonomia contrattuale delle parti in sede di separazioneconsensuale, si pone il problema di determinare l’operatività degli accordi fra

di esse intercorsi: al riguardo la giurisprudenza distingue a seconda che sianointervenuti in un momento anteriore o coevo o successivo alla omologazione.Sul punto è intervenuta una sentenza della Cassazione la quale, distinguendo duesituazioni in relazione alle modalità temporali, ha affermato che le pattuizionisuccessive sono “pienamente ammissibili ed efficaci”, purché non in contrastocon il limite ex art.160 c.c., in quanto esse trovano fondamento nell’art. 1322c.c.; al contrario le modifiche pattuite dai coniugi prima o in sede di omologa-zione, ma non trasfuse nel verbale di separazione, sono operanti solo se si collo-cano in posizione di “non interferenza” rispetto a quelle convenute, ovvero inposizione di “incontestabile maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato(Cass. 22/1/94 n. 657), come per l’assegno di mantenimento concordato in misu-ra superiore a quella sottoposta in omologazione.In sostanza alle convenzioni intervenute tra i coniugi viene riconosciuta concor-demente natura contrattuale, ma le medesime si ritengono affette da illiceitàdella causa se finalizzate ad ottenere il divorzio.Ormai da alcuni anni, infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte sta ripeten-do la massima secondo cui “gli accordi preventivi tra coniugi su regime econo-mico del divorzio sono affetti da radicale nullità per illiceità della causa” (Cass.11/8/92 n. 9494; Cass. 20/9/91 n. 9840; Cass. 6/12/91 n. 13128; Cass. 11/12/90n. 11788).Tale dichiarazione di nullità viene basata su varie motivazioni, quali:

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a) gli accordi preventivi avrebbero “l’effetto, se non anche lo scopo, di condizio-nare il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status, in uncampo, cioè, in cui la libertà di scelta e il diritto di difesa esigono invece diessere indeclinabilmente garantiti” (Cass. 11/10/92 n. 9494);

b) i coniugi non avrebbero il potere di disciplinare in anticipo i loro rapportipatrimoniali per l’eventualità del divorzio, perché “ la materia dei rapportipatrimoniali conseguente al divorzio è sottratta alla disponibilità delle parti edè affidata alle determinazioni del giudice, a tutela di interessi anche pubblici-stici” (Cass. 11/12/1990 n. 11788);

c) i suddetti patti preventivi sarebbero affetti da nullità per causa illecita perchéinciderebbero, “direttamente o indirettamente, sui comportamenti difensivinel processo di divorzio”.

La tesi affermata dalla giurisprudenza investe anche gli accordi con i quali iconiugi, in sede di separazione, escludono l’eventuale diritto del coniuge chenon ha mezzi adeguati all’assegno di divorzio, dichiarandoli nulli per illiceitàdella causa, in forza della indisponibilità preventiva dei diritti patrimonialiconseguenti allo scioglimento del matrimonio.Questa posizione giurisprudenziale diffusa e consolidata si articola sul riconosci-mento di tre posizioni pattizie poste in essere dai coniugi:1) accordi vietati, perché stipulati in aperto e formale contrasto con il principio

di disponibilità;2) accordi consentiti, perché formalmente estranei alla determinazione dell’as-

segno, anche se poi, dal punto di vista sostanziale, possono condizionare leparti e il giudice nella determinazione dell’assegno di divorzio;

3) accordi famulativi o serventi, coevi o successivi alla determinazione giudi-ziale, ammessi e considerati vincolanti (anche se in contrasto con il principiodella non disponibilità) solo perché si risolvono in un maggior vantaggio peril coniuge più debole.

In realtà, la giurisprudenza tende a salvaguardare una tesi che, a ben vedere,risulta ormai superata dalla mutata funzione della separazione; sarebbe più utile,pertanto, riflettere su alcuni punti fermi assolutamente incompatibili con il ricor-dato principio di indisponibilità.In primo luogo non si può dubitare che sia l’assegno di divorzio, sia quello diseparazione richiedono un’espressa domanda della parte, la cui mancanza nonpuò essere supplita né da un comportamento concludente, né da un interventoofficioso del giudice e neppure del Pubblico Ministero, con la conseguenza chein presenza di patti occulti e non impugnati il coniuge che non richieda l’asse-gno non lo otterrà, in quanto il giudice (pur in presenza di situazioni eclatanti)non può intervenire in assenza di apposita domanda (nonostante lo sbandieratoprincipio di indisponibilità!).Alla rinuncia preventiva che sfocia nell’assenza di richiesta va equiparata larinuncia successiva, valida ed efficace fin quando non revocata.Una situazione analoga si presenta quando l’avente diritto all’assegno dichiari dinon averne diritto ovvero riconosca che non sussistono i presupposti per la con-cessione dell’assegno medesimo: in quest’ipotesi, nonostante l’indisponibilità, ilgiudice non potrà stabilire alcun assegno anche se la posizione del coniuge debo-le bisognoso lo meriterebbe.Una seconda breccia sul fronte dell’indisponibilità è data dalla distinzione assai

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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frequente tra inammissibile rinuncia all’an e libera determinazione del quantum,rimessa alla disponibilità dei coniugi o ex coniugi, anche perché spesso sono glistessi giudici a sollecitare le parti a concludere un accordo extra processuale; èevidente, tuttavia, che il riconoscere la validità degli accordi sul quantum con-trasta fortemente con il principio di assoluta indisponibilità.Da quanto esposto emerge, pertanto, l’ambiguità di un atteggiamento giurispru-denziale che in astratto afferma vigorosamente la sussistenza di un principio(quello di indisponibilità), mentre nei casi di specie cerca in ogni modo di salva-guardare l’accordo patrimoniale raggiunto dalle parti, nella speranza che siadeflattivo della crisi coniugale in atto. (Per ulteriori approfondimenti sul punto,cfr. Cass.14/6/2000, n.8109).

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Solo qualche anno fa, o per lo meno un paio di decenni addietro, il tema dellacorretta negoziazione tra i coniugi si sarebbe risolto in poche parole e, certo,non avrebbe avuto il rilievo che oggi, giustamente, gli si riconosce.

Si tratta, infatti, di un argomento che potremmo definire “figlio” di un principioche un tempo, se non sconosciuto, era sicuramente negletto: l’autonomia privatadei coniugi e il loro potere di autoregolamentarsi.Una prima constatazione ci permette di esaminare la questione in tutta la suaportata. L’inequivocabile tendenza alla privatizzazione nei rapporti tra coniugicomporta l’ampliarsi dell’oggetto della possibile negoziazione: si tratta, quindi,di analizzare i settori in cui l’autoregolamentazione dei rapporti trova la suamassima estensione e, nel contempo, sia di individuarne i confini di liceità, siadi evidenziare quali fattori possano incidere negativamente sul corretto formarsidel consenso di ciascuno dei coniugi.Va anche detto che l’argomento pare tanto più interessante quanto più si noti chealla costante affermazione del rico-noscimento della privata autonomia- e si può quasi parlare di enfatizza-zione - non fa riscontro una ugualeattenzione al problema che qui ciinteressa. In taluni casi, sembraquasi che il potere riconosciuto aiconiugi di autoregolamentarsi sia ditale rilievo e una tale conquista daescludere l’opportunità di ogni altrae ulteriore indagine.Spesso e volentieri, infatti, è datoritrovare solo indicazioni generi-che, quelle stesse che venivano pro-poste nel periodo precedente allariforma, e ci si limita a ricordare lanecessaria capacità delle parti nellostipulare convenzioni matrimonialie che, nell’ambito della separazioneconsensuale, gli accordi relativi ai coniugi sono sottoposti al solo controllo dilegittimità, con la conseguenza che nessun esame verrà effettuato sul meritodegli accordi stessi.L’analisi delle numerose ipotesi nelle quali si esplica l’autoregolamentazione deiconiugi induce invece a riflessioni più accurate, tese ad evidenziare il pericoloche gli accordi raggiunti vadano ben oltre quanto sarebbe consentito e non sianostati scevri da condizionamenti.Se, poi, volessimo dubitare della possibile esistenza di tali interferenze e stati disudditanza, basta porre mente ad alcune brevissime considerazioni. La prima, diordine certamente storico, ma non per questo meno attendibile, ci porta a ricor-dare come, a giustificazione del divieto di donazione tra coniugi - divieto venu-to meno solo con la nota sentenza della Corte costituzionale n. 91/1973 - si affer-mava che il matrimonio creava una situazione tale per cui era forte il “timore chel’uno potesse essere circuito o costretto dall’altro a spogliarsi dei propri beni”. Ese pure non vi è dubbio della antistoricità e della contrarietà di tale opinione conla proclamata uguaglianza tra coniugi, non ci si può dimenticare che, ancora

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

MIMMAMORETTIDOCENTE DI DIRITTO DI

FAMIGLIA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI

MILANO

PRESUPPOSTI ECONDIZIONI

PER UNA CORRETTANEGOZIAZIONE

DEI CONIUGI

ARTICOLO PUBBLICATO SU LA RIVISTA DELL’AIAF, N.1/2004, PAG. 9

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oggi, il substrato di tale timore, ossia della non assoluta libertà mentale e dellapossibilità di interferenze che poco hanno a che fare con la libera contrattazione,emerge con chiarezza dall’art. 182 c.c., là dove si impone che le procure fraconiugi risultino da atto pubblico o da scrittura privata autenticata: la netta dero-ga al principio generale espresso dall’art. 1392 c.c., che richiede identità diforma tra procura e contratto che deve essere stipulato - e quindi, per ipotesianche la forma orale - non può che far riflettere.Tutto ciò premesso, mi pare che il momento in cui emergono maggiormente isuddetti rischi sia quello della crisi familiare e, in particolare, il momento in cuii coniugi decidano di separarsi consensualmente o, se già separati, di presentaredomanda congiunta di divorzio: è in questo momento, infatti, che l’aspetto patri-moniale del rapporto coniugale diventa preminente e, conseguentemente, lanegoziazione manifesta tutta la sua rilevanza.Prendendo inizialmente in considerazione l’ipotesi di separazione consensuale,non mi pare si possa dubitare di quanto sia ampio il potere riconosciuto ai coniu-gi di autoregolamentarsi: si ammette che possano liberamente stabilire l’an ed ilquantum dell’assegno, le modalità della sua corresponsione ed anche che essovenga corrisposto in un’unica soluzione, in analogia con quanto è disposto perl’ipotesi di divorzio. È a tutti noto, poi, come sia frequente l’inserimento dinegozi giuridici, quali i trasferimenti immobiliari, che certo non sono diretta-mente connessi alla separazione, ma in questa trovano semplicemente la lorooccasione. E, rispetto a tali accordi, si afferma la loro piena validità in quantorappresentano “la libera espressione dell’ autonomia negoziale”.La questione, però, si fa più complessa se si procede nell’analisi e si giunge arilevare come il possibile contenuto degli accordi di separazione venga presen-tato ancora più ampio e, in particolare, di come si ritenga che esso possa preve-dere anche ulteriori negozi, le cui caratteristiche destano ben più di un sospetto.In quella che sarei tentata di definire “smania di libertà”, si giunge, infatti, adaffermare che il verbale di separazione può anche validamente contenere larinuncia all’azione di nullità del matrimonio, all’azione di disconoscimento dellapaternità o, ancora, alla domanda di separazione giudiziale con addebito.In buona sostanza, emerge con chiarezza come si ritenga che i coniugi, nell’am-bito della possibilità di dettare le regole della loro separazione, possano coinvol-gere anche diritti inerenti allo status - quali la stessa valida costituzione del vin-colo matrimoniale o la discendenza biologica del figlio dal marito della madre -o, comunque, rinunciare a quegli effetti che discenderebbero dalla pronuncia diaddebito.Due, quindi, sono le questioni - peraltro strettamente correlate - che debbonoessere considerate: la disponibilità dei diritti che formano oggetto di pattuizioneed il “prezzo” pagato per ottenere che tali accordi vengano raggiunti.Per quanto concerne il primo aspetto, esso acquista tutta la sua rilevanza quandosi ponga mente alla circostanza che l’inserimento di tali pattuizioni sta ad indi-care la presenza di una chiara volontà transattiva, ossia che le suddette rinuncealtro non sono che la concessione reciproca rispetto ad altri benefici ottenuti conl’accordo di separazione.D’altronde è noto come venga generalmente ammessa la stipulazione di trans-azioni tra coniugi. Dunque, in una materia, quale quella familiare, tradizional-mente improntata alla indisponibilità dei diritti, si considera lecito un contrattodel quale si sancisce espressamente la nullità tutte le volte in cui i diritti che for-

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mano oggetto della lite siano, per loro natura o per espressa disposizione dilegge, indisponibili. E neppure la palese contraddizione tra l’effetto preclusivodella transazione ed il principio della revedibilità dei provvedimenti si frapponequale impedimento: la giurisprudenza supera l’ostacolo affermando che la trans-azione in materia familiare non può produrre un effetto maggiore di quello chederiverebbe da una sua sentenza e, quindi, ammette il contratto di transazioneprivandolo del suo effetto peculiare.Ciò precisato, non si può che rilevare che quando si dichiara ammissibile latransazione quale strumento di composizione della lite tra coniugi, si dovrebbefare riferimento a reciproche concessioni di diritti patrimoniali, ben diversi dallesuddette rinunce.I dubbi sulla correttezza di una negoziazione tanto ampia, peraltro, non si esau-riscono in quanto fin qui detto, ma coinvolgono l’altro aspetto menzionato, ossiaquali e quanti condizionamenti possano incidere sulla decisione dei coniugi diconcludere un accordo e, quindi, di dettare essi stessi le regole della loro condi-zione di separati o divorziati, escludendo di conseguenza l’etero-regolamenta-zione giudiziale.Riprendendo, ad esempio, il caso di rinuncia alla pronuncia di addebito, ben sipuò ipotizzare che essa sia ottenuta al fine di escludere la perdita dei diritti suc-cessori, diritti che, con la separazione consensuale, rimangono inalterati.Se, poi, si passa ad analizzare il momento dello scioglimento del vincolo, è faci-le rilevare come la scelta del procedimento su domanda congiunta, maggiormen-te celere e semplificato, possa essere influenzata e determinata da più di unamotivazione.Si può, innanzitutto, ipotizzare che un coniuge non si trovi in quella situazionedi “mancanza di mezzi adeguati” che gli permetterebbe di chiedere ed ottenerel’assegno di divorzio: un accordo, grazie al quale gli viene riconosciuto quello acui non avrebbe diritto, può certamente indurlo ad accettare di presentaredomanda congiunta. E la situazione può considerarsi tanto più determinante se sisuppone ulteriormente che, nel caso concreto, manchino i presupposti stessi perottenere lo scioglimento del vincolo: intervenuta una riconciliazione, eglipotrebbe eccepire l’interruzione della separazione triennale richiesta dallanorma, ma l’apporto economico che gli viene garantito lo induce a rinunciare atale diritto e ad accettare l’accordo. Se, poi, inseriamo l’ulteriore elemento deter-minato dalla circostanza che il coniuge divorziato, se non titolare di assegno,perde ogni ulteriore diritto di natura economica - quali il diritto alla pensione direversibilità e alla quota di indennità di fine rapporto - risulta sempre più agevo-le comprendere la pressione cui può essere sottoposto.Va anche precisato che l’influenza che un coniuge sarà in grado di esercitare sul-l’altro al fine di fargli raggiungere un accordo sarà tanto più forte quanto più dif-ferenziate siano le condizioni economiche e, a contrastare tale affermazione, nonpare sufficiente ricordare come il coniuge separato possa vantare il proprio dirit-to all’assegno di mantenimento, così come il divorziato possa godere di un asse-gno che gli consenta un tenore di vita “adeguato”. Al di là della considerazioneche difficilmente tali benefici consentono di vivere realmente con le stesse aspet-tative che si nutrivano prima della crisi coniugale, non vi è dubbio che la pres-sione derivante dall’incertezza relativa alla possibilità di ottenerli - e di poterliconservare - costituisce una forte spinta ad accettare quanto più possibile senzacorrere rischi.

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1. I RAPPORTI TRA I CONIUGI IN COSTANZA DI MATRIMONIO, IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

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Due brevi interrogativi finali si impongono: come si concilia quanto evidenziatocon il principio della tutela del contraente economicamente più debole - princi-pio ispiratore di tutta la riforma attuata con la l. 74/1987 - e come può esserevalutato il processo di formazione del consenso all’accordo di quel coniuge chesubisce, di fatto, la superiorità di chi può compensare le rinunce con beneficiimmediati e sicuramente quantificabili?Non è certo questa la sede per affrontare il delicato problema dell’incapacitànaturale e della sua effettiva estensione. Va tuttavia detto che il generale condi-zionamento che prima si è evidenziato - spesso acuito anche dall’incertezza edall’insicurezza di chi si troverà solo a fronteggiare tutti i delicati problemi digenitore affidatario - potrebbe non essere considerato tanto distante da quellostato di confusione e turbamento che, in materia contrattuale, ha trovato ricono-scimento e tutela.

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

2. I RAPPORTITRA I GENITORI E I FIGLI

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IL RAPPORTO GENITORI-FIGLI: UN RICHIAMO AI PRINCIPI GENERALI

I l tema richiede alcune premesse intorno a principi a tutti noti, che costituisco-no però il necessario punto di partenza per ogni considerazione successiva.

In primo luogo è bene ricordare che genitori e, rispettivamente, figli lo si è persempre, indipendentemente dall’età: molte norme lo attestano in vari settori del-l’ordinamento, come ad esempio le norme sull’obbligo degli alimenti e diversenorme penalistiche. Ma l’ordinamento prevede una disciplina organica soltantoper il rapporto tra genitori e figli minori, per le particolari esigenze di tutela e pro-mozione delle reciproche posizioni in un rapporto così complesso. Tutto quantosi dirà in questa sede presuppone quindi che i figli siano minori, o quanto menoche, benché maggiorenni, non abbiano ancora raggiunto l’autosufficienza.La fonte primaria da cui prendere le mosse per ricostruire la disciplina del rap-porto genitori-figli è l’art. 30, 1°comma, Cost.: “È dovere e dirittodei genitori mantenere, istruire ededucare i figli, anche se nati fuoridel matrimonio”. Secondo l’inter-pretazione ormai consolidata, lanorma afferma la pari dignità e lapiena eguaglianza di tutti i figli neiriguardi di chi li ha generati e,ancor prima, che il nomen di figliorispetto al genitore spetta a tutte lecreature procreate da un essereumano, indipendentemente dal lorostato giuridico. Per questo, il fatto stesso della procreazione fa sorgere verso cia-scuno dei genitori diritti e obblighi, il cui contenuto è sostanzialmente il mede-simo, indipendentemente dal fatto che i genitori siano coniugati o meno.Dunque, un figlio, sia esso legittimo, naturale riconosciuto o non riconosciuto,può pretendere l’adempimento dei doveri genitoriali nella loro pienezza.Del resto, nella disciplina del codice civile, così come riformata nel 1975, tro-viamo una conferma di questa lettura: l’art. 261 c.c., sui diritti e doveri del geni-tore che ha effettuato il riconoscimento di un figlio naturale, rinvia semplice-mente all’art. 147 c.c., benché tale norma sia collocata tra i diritti e doverinascenti dal matrimonio; e l’art. 279 c.c. attribuisce anche al figlio non ricono-sciuto gli stessi diritti al mantenimento, istruzione ed educazione nei confrontidei genitori.Possiamo così affermare che tutto quanto si può dire sul contenuto dei doverigenitoriali vale indipendentemente dallo status dei figli. E difatti l’acquisita con-sapevolezza della identità della condizione giuridica di figlio rispetto al genito-re che lo ha generato induce ad auspicare, da parte di molti, che anche il nostrolegislatore si risolva, sull’esempio della maggior parte delle legislazioni euro-pee, a disciplinare in modo unitario il rapporto di filiazione, pur mantenendonorme distinte riguardo al modo di accertamento dello status.Dall’idea che i doveri dei genitori abbiano un carattere per così dire “originario”,consegue l’orientamento, oggi sicuramente prevalente in dottrina, che affermal’indipendenza di tali doveri rispetto all’attribuzione della potestà. Il conferi-

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

MARIADOSSETTIDOCENTE DI DIRITTO DI

FAMIGLIA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI

MILANO BICOCCA

DOVERI E DIRITTI DEIGENITORI VERSO I FIGLI

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIAORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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mento formale ai genitori della potestà sui figli dipende dall’accertamento dellostatus e comporta l’investitura come genitori nei confronti dei terzi, nonché l’at-tribuzione di un complesso di poteri funzionali all’attuazione dei compiti geni-toriali. La titolarità della potestà può quindi incidere sulle modalità di attuazio-ne dei doveri dei genitori, ma non ne muta la sostanza e il contenuto.Inoltre, ci si può chiedere se, con il venir meno della potestà una volta che i figliabbiano raggiunto la maggiore età, cessino anche i doveri dei genitori.Sicuramente ciò non è vero per l’obbligo di mantenimento, perché vi sono normee giurisprudenza costante che lo prolungano fino a che i figli non abbiano rag-giunto l’autosufficienza economica, ma probabilmente si deve ritenere chesopravvivano in una certa misura anche gli altri doveri, sia perché, come chiari-rò meglio in seguito, la funzione genitoriale costituisce un tutto unico, all’inter-no della quale è difficile separare, in concreto, gli ambiti di intervento, ma ancheperché i compiti dei genitori non possono venir meno ad una data prestabilita,bensì solo quando il figlio non ha realmente più bisogno dell’appoggio e del con-fronto con i genitori, in una parola, della loro guida.Abbiamo affermato che i doveri dei genitori sorgono per il solo fatto di avermesso al mondo un figlio, ma occorre subito dopo rilevare che il luogo privile-giato per il loro adempimento è la famiglia fondata sul matrimonio, ossia la“società naturale” che nasce dalla vicendevole promessa e dal reciproco impegnodi un uomo e di una donna.Tra i molteplici indici normativi che depongono in questo senso possiamo ricor-dare: l’andamento discendente delle tre norme costituzionali dedicate alla fami-glia, ancorate alla enunciazione solenne dell’art. 29, nonché il richiamo, conte-nuto nell’art. 31, ai “compiti” riservati alla famiglia, insieme all’assunzione del-l’impegno, da parte della Repubblica, di agevolare la formazione della famigliae l’adempimento, appunto, dei suoi compiti; la collocazione sistematica dell’art.147 c.c. tra le norme qualificanti il “contenuto” del matrimonio; la nuova formu-lazione dell’art. 1 della legge n. 184/1983 (la c.d. legge sull’adozione, così comeriformata dalla l. 149/2001), che, oltre ad enunciare il diritto del minore “a cre-scere e ad essere educato nell’ambito della propria famiglia”, impegna gli orga-ni pubblici (Stato, Regioni, enti locali) a porre in essere tutti gli interventi ido-nei a sostenere e ad aiutare la famiglia per prevenire o risolvere le situazioni didifficoltà e rimuovere gli ostacoli alla realizzazione di quel diritto.Quando, come normalmente accade, la crescita dei figli avviene all’interno dellafamiglia, l’adempimento dei doveri genitoriali deve avvenire secondo il model-lo disegnato dall’art. 316 c.c., imperniato sul principio dell’esercizio congiuntodella potestà. Più precisamente, secondo l’art. 316, 2° comma, “la potestà è eser-citata di comune accordo da entrambi i genitori”: la formula, nella sua apprezza-bile sinteticità, vuol dire non solo che i genitori devono avere un comune proget-to educativo e accordarsi sulle decisioni che riguardano i figli, ma anche cheentrambi devono e possono metterle in atto. In altre parole, la collaborazionedeve essere continua e riguardare non soltanto gli aspetti decisionali, ma anchequelli operativi.Si è ricordato, in precedenza, che l’attribuzione della potestà sui figli è un effet-to dell’accertamento dello status di filiazione, sia esso legittimo o naturale, e oraoccorre aggiungere che le modalità del suo esercizio dipendono sostanzialmentedalla convivenza tra i genitori. Infatti, quando i genitori non siano coniugati, masiano tuttavia conviventi, si estende anche ad essi l’applicazione dell’art. 316

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(art. 317-bis, 2° comma), e d’altra parte, se i genitori, coniugati o meno, nonconvivono, la distribuzione tra di loro delle prerogative genitoriali e il relativoesercizio sono disciplinati in vario modo, secondo le circostanze (art. 317, 1° e2° comma e art. 317-bis, ult. comma).Ma, se la collaborazione tra i genitori e la loro presenza, pur con diverse moda-lità, in ogni fase della formazione dei figli sono un diritto del figlio nei confron-ti di ciascuno dei genitori, nella famiglia fondata sul matrimonio la collaborazio-ne nell’interesse dei figli è anche un diritto di ciascun coniuge nei confronti del-l’altro, al pari degli altri doveri matrimoniali: essere coniugi ed essere contem-poraneamente genitori è una realtà unica e inscindibile.Entro queste linee generali, le considerazioni che seguiranno saranno prevalen-temente rivolte ad illustrare il contenuto dei doveri dei genitori.

ESSERE GENITORI

Ciascuno di noi può constatare, anche per esperienza personale, che esseregenitori nel tempo attuale non solo è un mestiere difficile, ma esige un conti-

nuo adattamento ai cambiamenti nei rapporti sociali e alle mutevoli situazioniche circondano i nostri figli. È in grado il diritto, nel suo ambito, di risponderea questa esigenza di flessibilità?In linea generale direi che la risposta può essere positiva, in considerazione siadella nuova formulazione dell’art. 147, come scaturita dalla riforma del 1975, siadei contributi della giurisprudenza e della dottrina nel disegnare i compiti deigenitori.Sotto la rubrica “Doveri verso i figli”, l’art. 147 c.c. dispone: “Il matrimonioimpone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la proletenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni deifigli”.Un primo rilievo riguarda la terminologia: nella norma compaiono le parole“dovere” e “obbligo”, con una significativa modifica rispetto al testo originariodell’art. 147, nel codice del 1942, dove veniva impiegato il termine “obbligazio-ne”: il legislatore ha voluto sottolineare che nel rapporto genitori-figli la compo-nente etica dei comportamenti dovuti domina e condiziona quella patrimoniale,quando presente.Ma la vera novità della norma sta nell’indicazione dei parametri che devono gui-dare le scelte dei genitori: “capacità”, “inclinazioni naturali”, “aspirazioni deifigli”. Credo che con questa triade il legislatore abbia inteso non tanto isolarespecifici termini di riferimento, ma sinteticamente stabilire che l’agire dei geni-tori deve porre al centro il figlio, i suoi interessi, il rispetto della sua personali-tà. In altre parole, ciascun figlio, anche se minore, è una persona, con la sua indi-vidualità irripetibile. Si tratta di un principio interpretativo di fondamentaleimportanza, che permette di considerare e valutare unitariamente il contenuto el’attuazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, in quan-to componenti di un unico processo formativo. Ai genitori non viene più impo-sto, come nel testo originario della norma, uno scopo estrinseco e vincolante,quasi fossero investiti di una funzione pubblica, ossia la funzione di educare ifigli in modo “conforme ai principi della morale” (“e al sentimento nazionalefascista”, inciso, questo, eliminato immediatamente dopo la caduta del regime),bensì il compito di aiutare il figlio e accompagnarlo nello sviluppo della propriapersonalità e nel riconoscimento delle proprie potenzialità.

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Questa concezione unificante dei compiti dei genitori si arricchisce di indicazio-ni e strumenti che provengono da altri testi di legge, che hanno in comune loscopo di tutelare e promuovere la personalità dei fanciulli. Si pensi ad esempioal principio dell’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano, introdot-to esplicitamente per la prima volta nel nostro ordinamento dalla riforma dellalegge sull’adozione (n. 149/2001). Successivamente l’Italia ha ratificato laConvenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei bambini fatta a Strasburgo nel1996, ma la legge di ratifica (n. 77/2003), ha inspiegabilmente limitato l’appli-cazione del principio a procedimenti del tutto marginali.Si deve comunque ritenere che il principio dell’ascolto, per la sua valenza gene-rale, travalichi l’ambito settoriale nel quale è stato espressamente recepito, edanzi da alcuni era ritenuto già entrato nel nostro ordinamento in virtù della rati-fica (con l. n. 176/1991) della Convenzione di New York del 1989 sui diritti delfanciullo, che, all’art. 12, conteneva una enunciazione molto ampia di quel prin-cipio, che avrebbe richiesto norme interne di attuazione. Vale la pena di trascri-verne il testo: “1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimen-to il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lointeressa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazionetenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà inparticolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudi-ziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappre-sentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di proce-dura della legislazione nazionale”.In ogni caso, anche l’attività interpretativa può essere un veicolo che permette aiprincipi sanciti nelle Convenzioni internazionali di operare nel nostro ordina-mento, nei tanti casi in cui quelle Convenzioni, benché sottoscritte dal governoitaliano non siano ancora state ratificate da una legge dello Stato, oppure, ben-ché ratificate, non ancora attuate.Infine, e sopra tutto, la raggiunta e diffusa consapevolezza che il minore è una personacomporta che egli debba godere, in concreto, dei diritti fondamentali che laCostituzione riconosce a tutti, naturalmente compatibilmente con l’età e le circostanze.Dunque, essere genitori oggi è un compito estremamente ricco e complesso, mafortemente unificato da un criterio-guida, quello di far conquistare ad un figliola piena esplicazione della propria personalità. L’attuazione di questo compitoesige un costante contatto, una relazione personale dei genitori con i figli, e perquesto si deve sottolineare il carattere personalissimo dei loro doveri, che i geni-tori non possono trasferire o integralmente delegare ad altri.Ma il ruolo riconosciuto alla famiglia dalle norme costituzionali ed anche ilnuovo tenore dell’art. 147 danno un’ulteriore indicazione di capitale importan-za: le scelte educative vengono fatte esclusivamente all’interno della famiglia,della quale lo stesso legislatore costituente si impegna a rispettare l’autonomia(art. 2 Cost.). Appare davvero significativo che nella Costituzione non vi siatraccia di indicazioni precettive quanto alle forme, ai modi, ai contenuti dellafunzione educativa; e questa impostazione è stata seguita dal legislatore dellariforma, che, come si è ricordato, ha rinunciato a determinare nell’art. 147 c.c.un modello educativo generale.L’unico limite all’azione educativa dei genitori è dunque estrinseco e negativo,nel senso che l’intervento dello Stato è previsto solo quando la condotta dei geni-tori possa causare pregiudizio ai figli (artt. 330 e 333 c.c.), oppure sia in se stes-

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sa illecita in quanto diretta a crescere i figli in contrasto con i principi essenzia-li della convivenza civile.Fissate queste premesse, è possibile esaminare alcuni degli aspetti specifici epropri dei singoli doveri genitoriali, ben consapevoli delle loro interazioni reci-proche e senza perdere di vista i principi fondamentali e unificanti.

IL DOVERE DI EDUCAZIONE E DI ISTRUZIONE

Invertendo l’ordine degli artt. 30 Cost. e 147 c.c., preferisco iniziare con alcu-ne considerazioni sul contenuto e sulle modalità di attuazione dell’obbligo di

educazione, poiché dalle scelte in questo campo dipendono le linee di fondo del-l’attività formativa dei genitori.La definizione del concetto di educazione coinvolge conoscenze complesse, pro-prie delle scienze sociali, psicologiche e pedagogiche, ma ai nostri fini è suffi-ciente ricordare che educare significa formare una persona, assicurando lo svi-luppo integrale delle sue capacità e attitudini, e permetterle di trovare la sua giu-sta collocazione nella società. C’è quindi una dimensione individuale dell’edu-cazione, che ha come scopo quello di favorire lo sviluppo di una personalità cheè sempre unica e irripetibile, ma nello stesso tempo c’è anche la dimensionesociale, perché quella persona dovrà imparare a vivere nel mondo dei suoi simi-li e a rispettare i valori del corpo sociale a cui appartiene. Da una parte i figlihanno in sé i germi di un futuro di cui saranno i costruttori e dal quale i genito-ri saranno esclusi, ma dall’altro questo futuro ha radici in un passato e in un pre-sente di cui la famiglia è custode e cinghia di trasmissione. L’educazione simuove allora tra questi due poli: novità e tradizione, perché non esiste uno svi-luppo “anonimo” della personalità, una capacità critica senza metri di giudizio,una maturità senza valori.Alla base delle scelte educative, affinché il figlio possa sviluppare una compiu-ta e salda personalità, vi sono dunque le scelte di valore. I genitori non possonoprescindere dall’educazione al rispetto dei valori fondanti della nostra società, inprimo luogo i principi supremi dell’ordinamento, quali riconosciuti dalla Cartacostituzionale. Ma i genitori hanno anche il dovere e il diritto di offrire ai figli ilproprio patrimonio di esperienza, cultura, convinzioni etiche, politiche, religio-se. Offrire e non imporre, perché è ormai superata, nel costume come nella legi-slazione, la logica autoritaria cui si ispirava in passato il rapporto genitori-figli,sostituita ora dal principio del rispetto della personalità del figlio. A questo punto occorre chiedersi in che misura i figli possono partecipare allescelte educative che li riguardano.Qualche interprete ritiene che il problema educativo debba essere risolto allaluce dell’equazione esistente tra minore e persona e alla conseguente applicazio-ne del principio di eguaglianza, che non tollera ripartizioni delle persone in clas-si di età: la funzione educativa viene così sostanzialmente concepita come unostrumento per tutelare i figli e quindi per porre limiti esterni all’esplicazionedella loro personalità, non come un compito di indirizzo e guida. Ma questa ten-denza ad omologare i minori in un’unica categoria contrasta con i risultati deglistudi degli psicologi dell’età evolutiva (oltre che, forse, con il buon senso!), edanche sul versante delle scienze giuridiche prevale l’opinione che il modo diesercitare la funzione educativa si trasforma con la crescita e la maturazione delfiglio.I bambini piccoli non sono in grado di partecipare attivamente al processo edu-

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cativo, e quindi le scelte in questo campo sono rimesse alla discrezionalità deigenitori, i quali comunque devono essere attenti a non comprimere o mortifica-re la personalità dei loro figli e a discernere i loro veri bisogni e interessi. In que-sta fase, il problema che l’ordinamento è chiamato a risolvere riguarda i modi dirisoluzione di un eventuale conflitto tra i genitori circa gli indirizzi da seguire(art. 316 c.c.). Invece, quando il figlio inizia ad acquistare capacità di discerni-mento si può parlare di dialogo e confronto con i genitori, e tra l’uno e gli altripossono verificarsi situazioni di conflitto, per superare le quali occorre indivi-duare criteri e regole.Sia le scienze psico-pedagogiche, sia l’art. 147 c.c., che sostanzialmente ne harecepito alcuni orientamenti, concepiscono l’educazione come un vero e propriorapporto bilaterale tra genitori e figli, basato sul reciproco scambio, sull’intera-zione, sulla partecipazione diretta del figlio al processo educativo e alla vitafamiliare. Tuttavia il rapporto tra genitori e figli non può essere un rapporto pari-tetico, fondato su un confronto “democratico”, come alcuni autori suggeriscono,ma è un rapporto necessariamente asimmetrico per un insieme di ragioni che sipossono condensare nella considerazione che il ruolo di genitore non può ridur-si a quella di un amico, di un confidente, perché un genitore deve essere primadi tutto “genitore”, punto di riferimento insostituibile per i figli.In ogni caso le modifiche della funzione educativa sono progressive, e dipendo-no dalle singole circostanze; tanto meno è possibile indicare con precisione un’e-tà (qualcuno aveva suggerito i 14 anni, come per l’imputabilità in materia pena-le), che possa costituire il punto di passaggio da un sistema educativo ancorafondato su decisioni unilaterali dei genitori ad un sistema di decisioni condivise.Ma oltre a ciò, si deve ritenere che il figlio minore conquisti, con la crescita,anche diritti di libertà che può esercitare personalmente e autonomamente. Bastiqui ricordare la disciplina del matrimonio del minore, dove è previsto che l’im-pulso al necessario procedimento autorizzatorio possa essere dato solo dal mino-re stesso (art. 84 c.c.).

LE SINGOLE SCELTE EDUCATIVE

In sintesi, allora, il compito educativo dei genitori si muove tra questi due esi-genze: da un lato il rispetto e la promozione della personalità dei figli, e dal-

l’altro la capacità di essere guide attente, sicure e, quando è necessario, ancheferme, avendo presente che l’autonomia dei figli deve crescere con l’età, ed èinoltre proporzionale al grado di “personalità” delle scelte da compiere.Ad esempio, quando sono in gioco le scelte ideali di fondo, come quelle in mate-ria religiosa o politica, si ritiene che possa essere riconosciuta ben presto alminore la capacità di autodeterminarsi, sempre naturalmente a condizione chesia raggiunta almeno la capacità naturale (il principio fu affermato chiaramentein una storica decisione antecedente alla riforma del diritto di famiglia, che risol-se un contrasto in materia di educazione religiosa tra il padre e la figlia a favoredi quest’ultima: Trib. min. Genova, 9 febbraio 1959). Un riconoscimento legi-slativo dell’autonomia del minore nelle scelte in campo religioso è stato compiu-to dalla legge n. 281/1986, intitolata “Capacità di scelte scolastiche e di iscrizio-ne nelle scuole secondarie superiori”, senza però esautorare totalmente i genito-ri dai loro compiti educativi: è stato infatti previsto che gli studenti della scuolasecondaria superiore esercitino personalmente all’atto dell’iscrizione il diritto discelta in materia di insegnamento religioso, ma la domanda di iscrizione dei figli

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minori, contenente anche la dichiarazione di scelta, deve essere sottoscritta daalmeno uno dei genitori “nell’adempimento della responsabilità educativa di cuiall’art. 147 del codice civile”. Il fatto che i genitori, finché i figli sono minori,mantengono la responsabilità e le prerogative connesse con il dovere educativocomporta che non necessariamente e non in tutti i casi la volontà dei figli deveprevalere su quella dei genitori, anche se è loro riconosciuta la capacità in mate-ria di scelte religiose. Quando la personalità del minore non è ancora perfetta-mente formata c’è il rischio che il giovane subisca la suggestione o sia addirittu-ra strumentalizzato da gruppi religiosi totalizzanti o che praticano riti esoterici opeggio: in questo caso sul diritto di libertà del minore prevale sicuramente ildovere di protezione dei genitori.Quanto alle scelte esistenziali e in campo affettivo, il compito dei genitori èmolto delicato, perché essi non possono abbandonare il figlio a se stesso e lodevono accompagnare nella maturazione delle sue decisioni, ma nello stessotempo devono sempre far prevalere il bene del figlio e il rispetto per le sue esi-genze di crescita. Sicuramente la circostanza nella quale normalmente è maggiorvisibile il contrasto tra genitori e figli minori è quella dei rapporti affettivi conl’altro sesso. L’equilibrio tra esigenze di protezione ed esigenze di autonomia èin questa materia particolarmente delicato e non sopporta indicazioni di caratte-re generale. Si può soltanto considerare che, se i genitori hanno il compito dieducare all’autonomia di giudizio il figlio e promuoverne la libertà di scelta, tut-tavia è loro dovere proteggerlo da esperienze negative, o peggio pericolose. Ipochi interventi della giurisprudenza in questo campo riguardano situazioni-limite, in cui non vi era certo il problema del bilanciamento tra i diversi punti divista del figlio e dei genitori, ma era necessario far cessare un comportamentodei genitori gravemente lesivo della dignità del figlio (v. ad esempio Trib. min.Napoli, 13 gennaio 1983). Una materia del tutto diversa, ma sempre appartenente all’area delle relazioniaffettive, nella quale, negli ultimi tempi, dottrina e giurisprudenza hanno avutomodo di misurare la adeguatezza del comportamento dei genitori è quella delrapporto tra il figlio minore i e nonni. Nel nostro ordinamento, come è noto, ainonni non è formalmente riconosciuto un vero e proprio diritto a frequentare inipoti, e per ovviare a questa lacuna sono state presentate in parlamento diverseproposte di legge, l’ultima delle quali nel 2003, e che prevede l’inserimento nelcodice di un articolo 317-ter, intitolato “Diritto di visita degli ascendenti”. Unatesi dottrinale, peraltro, ritiene che una pluralità di dati normativi permettano giàdi riconoscere ai nonni questo diritto, ma si tratta di un orientamento minorita-rio che non ha fino ad ora trovato accoglimento in giurisprudenza.In realtà, la prospettiva dovrebbe essere rovesciata e la questione risolta ponen-do al centro il bambino e il suo interesse a crescere godendo delle molteplicitàdelle relazioni familiari, con il solo limite dell’effettivo pregiudizio che questirapporti possano arrecargli. Questa impostazione, del resto, è seguita da alcuniordinamenti europei: in Francia, nella recente legge di riforma del 2002, su l’au-torité parentale; in Gran Bretagna, nel Family Law Act del 1996 (mentre nellalegge tedesca di riforma della filiazione, entrata in vigore nel 1998, è riconosciu-to ai nonni, ai fratelli, nonché al marito ed alla moglie di ciascuno dei genitoricon cui il minore abbia a lungo convissuto, un vero e proprio diritto di visitaquando questo giovi all’interesse del minore).Occorre comunque segnalare che, benché la nostra giurisprudenza neghi che esi-

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sta un diritto perfetto dei nonni a frequentare i nipoti, e come tale azionabileautonomamente, tuttavia nelle motivazioni di alcune decisioni si leggono affer-mazioni che riconoscono e tutelano l’interesse dei nipoti a coltivare il vincoloaffettivo con i nonni, ai quali può essere impedito dai genitori di frequentare inipoti solo in presenza di serie e comprovate ragioni (Cass., n. 9606/1998). Ilriconoscimento dell’importanza del rapporto con i nonni per il corretto sviluppopsicologico dei bambini è stato alla base anche di una decisione che si segnalaperché riguardante una vicenda alquanto singolare: i giudici hanno respinto unadomanda congiunta di divorzio e rimesso le parti davanti al giudice istruttore, anorma dell’art. 4, 13° comma, l. div., perché nell’accordo tra i coniugi il padreassumeva l’impegno di non far avere alla figlia rapporti “di alcun genere” con ipropri genitori (Trib. Napoli, 18 giugno 1990).Un altro campo in cui le scelte educative possono intersecarsi con i diritti fonda-mentali della persona è quello delle scelte in materia sanitaria. In questa sedenon intendo soffermarmi sui casi in cui i genitori, per le loro convinzioni religio-se o per le loro scelte di vita, rifiutano trattamenti medici necessari per il figliominore che non è ancora in grado di autodeterminarsi, come rifiuto di vaccina-zioni, trasfusioni, alimentazione che non sia strettamente vegetariana: in questicasi, come è noto, è possibile ricorrere al giudice minorile per ottenere un prov-vedimento ex art. 333 c.c., che permette di neutralizzare la condotta pregiudizie-vole dei genitori.Vorrei invece accennare al tema, oggi emergente, del riconoscimento anche alminore della capacità di prendere personalmente decisioni relative ad atti medi-ci che lo riguardino. Anche in questa materia, così delicata, si assiste alla presadi coscienza del fatto che il minore deve essere realmente coinvolto nel proces-so decisionale in relazione alla sua capacità di discernimento.Richiamo, a questo proposito, una vicenda umana e giudiziaria emblematica,proprio perché in essa emerge il ruolo da protagonista riconosciuto ad una bam-bina nel prendere decisioni vitali che la riguardano. Si trattava di una bambinadi dieci anni che, essendo affetta da una grave forma di leucemia, era stata sot-toposta a trattamento chemioterapico, efficace nei confronti della malattia, macon effetti collaterali molto dolorosi. A un certo punto i genitori, di fronte allesofferenze della bambina, erano passati al metodo Di Bella, ma i medici dell’o-spedale che aveva avuto in cura la piccola paziente, preoccupati perché a loroparere questa scelta avrebbe potuto avere esito letale, chiedono al tribunale unprovvedimento che li autorizzi a riprendere la chemioterapia. Dalle tre decisioniattraverso le quali si svolge la vicenda giudiziaria risultano i seguenti passaggi:in un primo tempo i giudici emanano un provvedimento con cui impongono aigenitori di riprendere la terapia interrotta, sospendendone provvisoriamente l’e-secuzione coattiva per dare loro modo di convincere la bambina (Trib. min.Brescia, decr., 28 dicembre 1998); quindi, di fronte all’inottemperanza dei geni-tori, il giudice d’appello revoca l’ordinanza di sospensione dell’esecuzione deldecreto (App. Brescia, 13 febbraio 1999); infine, in seguito alla persistente resi-stenza dei genitori, il tribunale sospende definitivamente, sia pure “con ramma-rico” il provvedimento (Trib. min. Brescia, 22 maggio 1999), riconoscendo, insostanza, l’esigenza di rispettare una decisione presa consapevolmente e solidal-mente dalla bambina e dai suoi genitori. Si segnala, in questa vicenda, in primoluogo la effettiva attuazione del diritto del minore ad essere ascoltato: si legge,nella motivazione del terzo provvedimento, che la bambina, durante la consulen-

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za tecnica a cui è stata sottoposta, “ha dimostrato nell’esprimersi senza esitazio-ni e nel dialogare una determinazione e una lucidità non facilmente riscontrabi-li in una bambina della sua età”; ma soprattutto emerge il fatto che questa matu-rità era frutto del rapporto educativo aperto e insieme intimo instaurato con igenitori: di fronte all’espressione di una volontà, frutto di un processo svoltosiall’interno di una famiglia armonicamente strutturata, i giudici si ritirano. Il mes-saggio finale che si può trarre da questo caso così doloroso e così “al limite” è ilseguente: là dove la famiglia funziona, l’ordinamento ne rispetta l’autonomia.

IL DOVERE DI ISTRUZIONE

Al dovere di educazione è strettamente connesso quello di istruzione. Essorichiede in primo luogo l’adempimento dell’obbligo scolastico, che è un

dovere di carattere pubblico, la cui inosservanza da parte dei genitori è penal-mente sanzionata (art. 731 c.p.). Ma ciò non esaurisce certamente la portata del-l’art. 147 c.c., che esige che i genitori permettano al figlio di raggiungere la for-mazione più completa, non solo scolastica ma anche professionale, in relazionealle sue capacità e alle sue aspirazioni, compatibilmente con i mezzi economicidella famiglia: la compenetrazione tra i doveri genitoriali e l’unitarietà delloscopo a cui devono tendere, che è quello della migliore costruzione della perso-nalità del figlio, è qui particolarmente evidente. In alcune circostanze anzi gliaspetti educativi, riguardanti scelte esistenziali, possono apparire prevalentirispetto alle considerazioni strettamente connesse alle esigenze dell’istruzione,come nei casi in cui i genitori si indirizzino a scegliere una scuola privata, piut-tosto che quella pubblica, oppure quando debbano discutere con il figlio la deci-sione di non proseguire nel corso degli studi.In ogni caso, anche nelle scelte relative al tipo di studi occorre contemperare ilrispetto per le esigenze del figlio e per le sue autonome scelte con il dovere diindirizzare e consigliare. Della necessità di un equilibrio tra questi due poli dàtestimonianza, ancora una volta, la legge n. 281/1986, che prevede che le sceltein ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attività culturale e formativasiano effettuate personalmente dallo studente, di età minore, che si iscrive ad unaclasse di scuola media superiore, ma siano anche sottoscritte da almeno uno deigenitori all’atto dell’iscrizione.

IL DOVERE DI MANTENIMENTO

Tra i doveri dei genitori, l’obbligo di mantenimento è quello più spiccatamen-te connotato in termini patrimoniali, benché questa sua caratteristica non ne

esaurisca il contenuto.Muovendo dalla qualificazione del diritto del figlio al mantenimento non comediritto a mero contenuto patrimoniale, ma come diritto fondamentale della per-sona, costituzionalmente garantito, la Corte di cassazione, in un caso di inadem-pimento, è giunta a riconoscere al figlio il diritto al risarcimento, per il fatto insé della lesione e a prescindere dalla sussistenza di conseguenze negative patri-moniali, per il danno arrecatogli dalla condotta del genitore obbligato al suomantenimento, che ostinatamente per lunghi anni non gli aveva erogato i mezzidi sussistenza e che pur aveva in seguito versato le somme arretrate (Cass., n.7713/2000). La decisione ha avuto una grande risonanza perché per la primavolta ha riconosciuto che la lesione dei diritti fondamentali connessi alla condi-zione di figlio si risolve in un danno esistenziale e alla vita di relazione. Occorre

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peraltro ricordare che la sentenza non è andata esente da critiche, per avere ripro-posto la contestata distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, e ricolle-gato la tutela risarcitoria unicamente al fatto della lesione dell’interesse protet-to, prescindendo dalla dimostrazione della sussistenza di un concreto pregiudi-zio esistenziale.Quanto al contenuto specificamente patrimoniale dell’obbligo di mantenimento,bisogna partire dalla considerazione che mantenere significa assicurare il soddi-sfacimento di tutte le esigenze di vita di un determinato soggetto, compatibil-mente con la condizione economica e la posizione sociale del nucleo familiare acui appartiene. Tuttavia, nel caso dei figli, i consueti parametri per stabilire l’en-tità dell’obbligo di mantenimento non sono decisivi, in quanto occorre contem-perare le valutazioni oggettive con le scelte e le esigenze educative. Di conse-guenza, le possibilità economiche della famiglia vengono in considerazione solocome limite massimo del diritto dei figli al mantenimento, che può attestarsi adun livello più basso, quando i genitori intendano educare i figli ad una certasobrietà, all’interno di un omogeneo tenore di vita familiare. Non potrebberoinvece essere ammesse disparità di trattamento tra i figli, a meno che esse nonsiano chiaramente motivate da esigenze specifiche, di studio, di cura o altro.Come tutti gli altri doveri genitoriali, anche l’obbligo di mantenimento grava suentrambi i genitori, e per questo gli si attribuisce generalmente carattere di obbli-gazione solidale. Alcuni autori però ritengono questa qualificazione impropria epreferiscono parlare di obbligazione globale di risultato, con la conseguenza che,se un genitore provvede integralmente al mantenimento della prole, l’inadempi-mento dell’altro sarebbe penalmente irrilevante. Per la giurisprudenza, invece, aifini della configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza fami-liare (art. 570 c.p.), è sufficiente che uno solo dei genitori ometta la prestazionedei mezzi di sussistenza ai figli, anche quando l’altro provveda in via sussidiariaai bisogni della prole (Cass. pen., 21 marzo 1996).Una questione, che ha importanti risvolti pratici, è quella della rilevanza “ester-na” dei doveri di mantenere, istruire ed educare la prole, ossia se la responsabi-lità patrimoniale per le obbligazioni assunte da uno dei genitori per far fronte adesigenze dei figli si estenda anche al genitore che è rimasto estraneo all’attonegoziale.La materia è complessa e controversa. Limitando in questa sede il discorso all’i-potesi in cui i genitori siano coniugati, una prima distinzione deve essere fattacon riguardo al regime patrimoniale della famiglia: se i coniugi sono in comu-nione dei beni, sono applicabili gli articoli 186 e 190 c.c.: responsabilità princi-pale dei beni comuni e responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi nellamisura della metà del debito (fatta salva sempre comunque la responsabilità delgenitore che ha contratto l’obbligazione, in virtù del principio generale di cuiall’art. 2740 c.c.). È un dato di fatto però che queste norme non sono in grado dirisolvere tutti i problemi, perché anche in presenza del regime di comunione ilpatrimonio comune può essere incapiente e il coniuge che ha contratto l’obbliga-zione privo di un suo patrimonio personale; o, d’altra parte, i coniugi possonoaver optato per il regime di separazione. Ci si chiede allora se il coniuge che nonha contratto l’obbligazione sia tenuto nei confronti dei creditori, in virtù del fattoche anche su di lui gravano i doveri genitoriali. La giurisprudenza dellaCassazione, in contrasto con l’orientamento prevalente in dottrina, ritiene che inlinea generale debba essere applicato il principio della relatività del contratto, e

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che quindi solo il coniuge contraente debba rispondere delle obbligazioni assun-te nei confronti dei creditori. Questa regola subisce però due eccezioni. La primaeccezione ricorre quando viene fatta applicazione del principio dell’apparenzagiuridica: se i coniugi, con il loro comportamento, hanno ingenerato nel terzocontraente l’affidamento che l’obbligazione, riguardante un bisogno della fami-glia, sia stata contratta anche per conto del coniuge non stipulante, quest’ultimosarà responsabile in solido con il coniuge agente (Cass., n. 7501/1995); la secon-da eccezione si ha in presenza di obbligazioni contratte per soddisfare esigenzeprimarie della persona, di livello costituzionale, come, in particolare, la curadella salute del figlio, poiché si ritiene che in tal caso il genitore agisca in virtùdi un mandato tacito ricevuto dall’altro (Cass., n. 12021/2002).Invece, nei rapporti interni tra i genitori il peso economico dell’obbligo di man-tenimento si ripartisce secondo il criterio indicato dall’art. 148, ossia “in propor-zione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionaleo casalingo”. Poiché questo criterio è rilevante solo nei rapporti interni esso nonvale, come si è detto, a limitare la responsabilità verso l’esterno di chi ha assun-to l’obbligazione, e nemmeno attribuisce ai creditori distinte azioni dirette neilimiti risultanti dalla proporzione delle disponibilità economiche dei genitori. Nella determinazione degli oneri gravanti sui genitori, bisogna tenere presente,oltre alla loro condizione patrimoniale, anche l’età e le attività svolte dai figli.Infatti essi, finché convivono con la famiglia, devono contribuire al ménagefamiliare in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito (art. 315).Una delle modalità di adempimento dell’obbligo di mantenimento è normalmen-te la convivenza dei figli con i genitori. La pretesa del figlio di vivere per contoproprio si potrà ritenere fondata solo quando, in presenza dei necessari mezzieconomici, la diversa residenza sia giustificata da ragioni oggettive (studio,avviamento professionale, salute, ecc.).Una questione sulla quale la giurisprudenza è chiamata spesso a pronunciarsi èquella della durata dell’obbligo di mantenimento. L’orientamento consolidatodei giudici, sia di legittimità sia di merito, è nel senso che l’obbligo dei genitoridi mantenere i figli continua oltre la maggiore età, fino a quando il figlio abbiaraggiunto l’autosufficienza economica o, comunque, fino a quando egli non siastato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente indipen-dente. Perché vi sia autosufficienza economica del figlio maggiorenne, è suffi-ciente che egli percepisca un reddito corrispondente alla professionalità acquisi-ta, senza che assuma alcuna rilevanza il tenore di vita precedentemente goduto,in costanza di matrimonio o durante la separazione dei genitori. Di conseguen-za, non perde il diritto ad essere mantenuto il figlio maggiorenne che rifiuti unasistemazione lavorativa non adeguata a quella cui la sua specifica preparazione,le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti, purché l’atteggiamentodi rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia e si mani-festi nei limiti di tempo in cui le aspirazioni del figlio abbiano una ragionevolepossibilità di essere realizzate (da ultimo v. Cass., n. 22214/2004). In ogni caso,l’ onere di provare che il figlio è divenuto autosufficiente o che il mancato svol-gimento di un’attività lavorativa dipende da un suo atteggiamento di inerzia o dirifiuto ingiustificato, incombe sul genitore che intende far valere la cessazionedel diritto del figlio ad essere mantenuto (Cass., n. 4765/2002). Normalmente, aqueste affermazioni di principio non corrisponde poi una sentenza che dichiari inconcreto cessato l’obbligo di mantenimento perché il figlio maggiorenne è stato

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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messo in condizioni di automantenersi, o ha rifiutato un posto di lavoro adegua-to; recentemente, invece la Cassazione ha ritenuto che il mancato compimentodegli studi universitari fosse addebitabile a colpevole inerzia della figlia delricorrente, e che fosse ingiustificato il rifiuto di lei di accettare un posto di lavo-ro offertole dal padre presso un banca, ancorché in una sede diversa dalla suacittà di residenza (Cass., n. 951/2005).Come tutti i doveri genitoriali, anche l’obbligo di mantenimento ha natura stret-tamente personale e non può essere delegato ad altri. Ne fa fede, tra l’altro, l’art.148, 1° comma, là dove dispone che, qualora i genitori non abbiano mezzi suffi-cienti, debbono intervenire gli ascendenti, legittimi o naturali, che sono tenuti afornire agli stessi genitori i mezzi necessari: in altre parole, l’ obbligo degliascendenti sussiste nei confronti dei genitori privi di mezzi e non direttamentenei confronti dei loro figli. Poiché l’ obbligo di mantenimento grava primaria-mente e integralmente sui genitori, l’obbligo a carico degli ascendenti sorge soloquando i genitori non abbiano la disponibilità dei mezzi sufficienti al manteni-mento dei figli, e non anche quando i genitori, pur avendo mezzi sufficienti,siano inadempienti (Cass., n. 3402/1995). Secondo una diversa opinione dottri-nale, invece, essendo la norma dettata nell’interesse dei figli, l’obbligo degliascendenti sorgerebbe anche quando i genitori, pur non mancando di redditi, ten-gano un comportamento che limiti la loro capacità di provvedere in modo ragio-nevole al mantenimento dei figli.Un cenno merita anche la tutela monitoria prevista dall’art. 148 per l’ipotesi diinadempimento degli obblighi nei confronti dei figli. In questo caso il presiden-te del tribunale può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbliga-to, proporzionale agli stessi, sia versata direttamente al coniuge adempiente o achi di fatto sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione o l’educazionedella prole. Legittimato a chiedere il provvedimento è chiunque vi abbia interes-se: oltre al coniuge adempiente, dunque, gli ascendenti adempienti, i figli dive-nuti maggiorenni, che, convivendo con la famiglia, contribuiscono al manteni-mento della stessa (art. 315) e coloro che, pur non essendo obbligati al manteni-mento, sono obbligati agli alimenti, nonché gli istituti di assistenza presso i qualisiano ricoverati i figli. Legittimato passivo è l’“obbligato”, ossia i coniugi e gliascendenti, mentre destinatario dell’ordine giudiziale sembra debba essere ildebitor debitoris, come, ad esempio, il datore di lavoro del genitore inadempien-te. Ma è stato sostenuto, sia in dottrina che in giurisprudenza, che lo strumentodella distrazione coattiva possa essere applicato pure nei confronti degli obbli-gati principali (Cass., n. 3402/1995).Infine, la Corte costituzionale, con una sentenza interpretativa, ha precisato cheil decreto con il quale il giudice ordina ad uno dei coniugi di versare parte deipropri redditi all’altro, al fine di mantenimento della prole, è titolo per iscrivereipoteca giudiziale sui beni dell’obbligato, ma non altrettanto quando l’ordine èrivolto al debitore del genitore, ossia ad un terzo estraneo agli obblighi familia-ri (Corte cost., n. 236/2002).

I DIRITTI DEI GENITORI

Nelle pagine che precedono si è molto parlato dei doveri dei genitori e benpoco dei loro diritti, ma l’art. 30 Cost. enuncia, dopo il dovere, anche il dirit-

to dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (l’ordine prescelto, cheindica prima il dovere e poi il diritto, non è senza significato!), e dunque occor-

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re chiedersi in quale misura e con quale significato dobbiamo e possiamo oggiparlare dei diritti dei genitori.È noto che il riconoscimento di un diritto nel testo costituzionale attribuisce aquesta posizione soggettiva il rilievo di diritto fondamentale, di carattere assolu-to, che gode di tutte le garanzie connesse con questa sua natura: la tutela costi-tuzionale del diritto stesso, che non può essere cancellato, se non con il procedi-mento di revisione costituzionale, e l’impegno a rimuovere gli ostacoli e a pro-muovere le condizioni più favorevoli per il suo esercizio.Di questa natura è il diritto dei genitori, che possono esigere dallo Stato il rispet-to della loro funzione, ma anche gli interventi necessari a favorire l’esplicazio-ne dei loro compiti, secondo la formula usata dall’art. 31 Cost. Occorre dire chenegli ultimi anni vi è stata una progressiva sensibilizzazione dei poteri pubbliciriguardo alle difficoltà di carattere economico, sociale, morale in cui si dibatte lafamiglia, che hanno portato ad alcuni significativi provvedimenti legislativi.Basti qui ricordare la legge n. 285/1997 recante “Disposizioni per la promozio-ne di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” e la legge n. 53/2000recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il dirit-to alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, poitrasfusa nel “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela esostegno della maternità e della paternità” approvato con d.lg. n. 151/2001.Questi crescenti interventi dello Stato, propri dello “stato sociale” o “welfarestate”, testimoniano della centralità della famiglia nella società e dunque dell’in-teresse “pubblico” che lo Stato le riconosce, il che però non è e non deve esserein contraddizione con il rispetto della autonomia della famiglia, ossia della suadimensione privata, che sicuramente la riforma del 1975 ha privilegiato e pro-mosso.Possiamo dunque affermare che i diritti dei genitori si connotano oggi soprattut-to come diritti “sociali”, da valere nei confronti dei pubblici poteri, mentrehanno perso molte delle loro antiche caratteristiche di diritti privatistici. Esseerano connesse con la assoluta preminenza del principio di autorità su cui sibasava l’organizzazione della famiglia, che conferiva al titolare delle potestàfamiliari precisi diritti nei confronti dei soggetti sottoposti alla sua autorità. Lariforma del diritto di famiglia ha rovesciato i principi ordinanti della vita fami-gliare, indicandoli nel principio di eguaglianza tra i coniugi, nella collaborazio-ne nell’assistenza tra i membri della famiglia, e ha cancellato quasi tutte lenorme che erano espressione del precedente sistema. Quanto, in particolare, airapporti tra genitori e figli, una traccia dell’antico principio di autorità è rimasta,ad esempio, nella sopravvivenza dell’art. 318, che disciplina il potere dei geni-tori di richiamare il figlio che si sia allontanato senza permesso dalla casa deigenitori o dalla “dimora da essi assegnatagli”. Si tratta comunque di una normadella quale è già stata proposta l’abrogazione.Peraltro, la riforma del 1975 si è innestata in un processo di mutamento delcostume che si è fatto poi sempre più rapido e radicale, per cui sarebbe oggiinconcepibile un esercizio dei doveri e delle prerogative (forse espressionemigliore di “diritti”) dei genitori secondo gli antichi schemi autoritari. Come hocercato di illustrare nelle pagine precedenti, essere genitori non può più consi-stere nell’imprimere unilateralmente e dall’alto un modello ai propri figli, ma sifonda su un costante impegno di attenzione di ascolto dei figli e, con il cresceredell’età, su un confronto di idee reale e rispettoso della loro personalità.

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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La nuova “forma” che hanno assunto i doveri e i diritti dei genitori rendono sem-pre più attuale e pressante l’esigenza, da tanti sostenuta, che venga anche modi-ficata la formula con cui si designa il complesso delle prerogative dei genitori:non più “potestà”, ma “funzione” o “responsabilità” genitoriale, a sottolineare lafinalità esclusiva per cui quelle prerogative sono riconosciute, quella della curadei figli nel rispetto della loro personalità.Nella formazione ed evoluzione del costume anche le parole hanno il loro peso!

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Èormai pacifico nella nostra cultura che al minore devono essere riconosciuti

i medesimi diritti della persona adulta: il minore non è un minus rispettoall’adulto, bensì un soggetto che si modula diversamente, a seconda del suo

grado di sviluppo, rispetto a diritti che sono fondamentali anche per lui, e chesono innanzitutto i diritti contenuti nella Costituzione.Questi diritti trovano un esplicito riconoscimento nell’art. 30 Cost., che si riferi-sce in particolare al dovere e al diritto dei genitori di educare e di provvedere aiminori, e dal quale possiamo desumere il diritto del minore ad essere educatoall’interno della propria famiglia.Una più precisa definizione dei diritti del minore, al di là di un generico dirittoall’educazione e al mantenimento, si trova nella Convenzione di New York del1989 sui Diritti del Fanciullo, ratificata dall’Italia nel 1991, che introduce unprincipio fondamentale, che già era venuto maturando a livello giurisprudenzia-le, in base al quale nell’ambito di qualsiasi procedura avente ad oggetto la situa-zione di un minore, l’interesse diquesti, inteso come realizzazionedei suoi diritti fondamentali, è daconsiderarsi preminente, e deveessere tenuto in primaria considera-zione nel conflitto che può verifi-carsi con i diritti altrui ed in parti-colar modo con i diritti dei genitori.Il medesimo principio è contenutonella Convenzione di Strasburgodel 1996 sull’esercizio dei dirittidel minore, che tuttavia, pur se fir-mata dall’Italia, non è stata ancoraratificata: senza tale ratifica, credonon sia ipotizzabile una riforma delprocesso minorile e, in generale deiprocessi che riguardano l’eserciziodella potestà da parte dei genitori,perché è proprio in questaConvenzione che troviamo definitoin modo sostanziale i diritti del minore all’ascolto, ad una rappresentanza e ildiritto a che le opinioni del minore siano tenute in massima considerazione.Venendo all’esame della Convenzione di New York, si deve innanzitutto rileva-re che viene riconosciuto al minore il diritto alla vita, da intendersi non solocome diritto ad esistere ma anche nell’accezione di diritto a poter disporre dellapropria vita, e, nell’art. 24, il diritto di godere del miglior stato di salute possi-bile e di beneficiare di servizi medici di riabilitazione.Ritengo che oggi si possa affermare, anche per il minore, che il diritto alla salu-te comprende il diritto, per il minore stesso, di essere adeguatamente informatosulla sua malattia, sulle terapie che possono essergli somministrate e sulle con-seguenze delle terapie.C’è un ampio dibattito giurisprudenziale in corso, riguardo a se, e fino a chepunto, sia possibile per un minore disporre della propria vita in caso di malattiedevastanti, malattie gravissime, e riguardo al diritto del minore ad essere infor-mato in merito ai pericoli per la propria vita, con la possibilità per lo stesso di

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

CRISTINACANZIANIMAGISTRATO

TRIBUNALE DI MILANO,SEZ. IX CIVILE

DOVERI DEI GENITORIE DIRITTI SOGGETTIVI

DEL MINORE. IL DIRITTO ALLO SVILUPPO

DELLA PERSONALITÀ

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE DELL’ “AVVOCATO DEL MINORE”ORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, GENNAIO-GIUGNO 2002

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rifiutare di sottoporsi a determinate terapie (è evidente che la casistica si riferi-sce a minori adolescenti, ormai prossimi alla maggiore età).Sono problematiche che hanno trovato espressione in numerose pronunce deiTribunali per i Minorenni, nelle quali è emersa la necessità fondamentale diascoltare e di informare il minore, tenendo conto evidentemente della capacità didiscernimento, del grado di maturità e dello sviluppo psicologico raggiunto dallostesso.L’orientamento giurisprudenziale prevalente è quello di riconoscere al minorenon solo il diritto di essere informato, ma anche di effettuare delle scelte relati-ve alla propria salute, condivise nell’ambito familiare, con i genitori e con le per-sone a lui affettivamente più vicine. È intervenuta in merito anche una pronun-cia della Corte Costituzionale, che consente l’applicazione degli artt. 330 eseguenti del codice civile in materia di affievolimento e di decadenza della pote-stà genitoriale, in caso vi sia un rilevante contrasto tra la volontà del minore equella dei genitori: si pensi alla materia delle vaccinazioni, o alla materia delletrasfusioni di sangue, peraltro in via di superamento dato che oggi sono consen-tite le trasfusioni di plasma, accettate anche dai Testimoni di Geova. In materiadi diritto alla salute, vi sono state alcune pronunce molto interessanti, ad esem-pio sul caso delle cure oncologiche e alternative, o delle diete vegetariane.Recentemente sulla rivista “Minori e Giustizia” è stata pubblicata una sentenzadel Tribunale per i Minorenni di Brescia estremamente interessante da questopunto di vista, nella quale il Tribunale ha ritenuto di non dover intervenire poi-ché non si ravvisava nessuna violazione nel comportamento dei genitori, chepure avevano scelto di far curare il figli secondo una terapia che non era quellaufficialmente riconosciuta, dando atto del fatto che questi genitori si erano mossiper conoscere, per approfondire, e che non essendoci in quel momento la possi-bilità di scegliere una soluzione sicura e certa, perché non si garantiva che lacura ufficiale avrebbe dato i risultati sperati, si riconosceva pienamente il dirit-to dei genitori a rivolgersi ad altre forme di cura. In altre pronunce del Tribunaleper i Minorenni di Milano si è ritenuto opportuno non intervenire, nonostante ilrifiuto dei genitori di far curare i figli secondo le terapie più consigliate e piùaccreditate, a tutela del diritto del minore alla fiducia e alla protezione da partedei propri genitori.La Convenzione di New York riconosce inoltre al minore il diritto al nome e allacittadinanza (art. 7), e a preservare la propria identità, ivi compresa la naziona-lità e le relazioni familiari, senza ingerenze illegali (art. 8); il diritto del fanciul-lo capace di discernimento ad esprimere liberamente la sua opinione su ogni que-stione che lo interessa, che deve essere debitamente presa in considerazionetenendo conto della sua età e del suo grado di maturità (art. 12); il diritto allalibertà di espressione, ovvero “…la libertà di ricercare, di ricevere, di divulgareinformazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sottoforma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta dal fan-ciullo” (art. 13). È qui importante sottolineare come le limitazioni previste nellaConvenzione che vengono poste al diritto alla libertà di espressione del minorenon rimandano ai genitori, ma sono essenzialmente di ordine pubblico, per cui“l’esercizio di questo diritto può essere limitato dal rispetto del diritto o dellareputazione altrui, o dalla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordinepubblico, della salute o della moralità pubbliche”.L’art. 14 della Convenzione che riguarda il diritto del minore alla libertà di pen-

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siero, di coscienza e di religione, introduce poi un principio in base al quale siriconosce ai genitori il diritto-dovere “di guidare - non di interferire - il fanciul-lo nell’esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo svi-luppo delle sue capacità” (questo è l’unico criterio che viene individuato dallalegge).Il minore ha altresì diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica (art.15), e non deve essere soggetto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vitaprivata, nell’affettività, nella sua famiglia, nel suo domicilio, nella sua corri-spondenza e neppure ad affronti illegali che possano nuocere al suo onore e allasua reputazione (art. 16): il minore non è dunque una entità a sé, è un soggettodi relazione, vive attraverso delle relazioni, e i suoi diritti si coniugano con ilbisogno di appartenenza, il bisogno di essere e di godere della ricchezza di rela-zioni affettive e sociali.Altro principio fondamentale è quello sancito nell’art. 27 della Convenzione, incui viene riconosciuto “il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficien-te per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale”, enon possiamo non ricordare che in passato, anche in alcune zone del nostroPaese, di fronte a livelli di povertà elevatissimi, spesso ci si è trovati di frontealla necessità di garantire in qualunque modo al minore le condizioni di vitaminime, sufficienti, che la povertà dei genitori e l’inesistenza di uno Stato o diadeguati servizi non erano in grado di assicurare.Tale ipotesi che si riferisce alla situazione economica del minore e della suafamiglia, è da tenere distinta dal diritto all’educazione, inteso come istruzionema non solo, laddove l’art. 29, afferma che “l’educazione deve avere come fina-lità: favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo dellesue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutte le loro potenzialità;sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sualingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali delpaese nel quale vive, del paese di cui può essere originario, delle civiltà diversedalla sua; preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in unasocietà libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di ugua-glianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e reli-giosi e delle persone di origine autoctona; sviluppare nel fanciullo il rispettodell’ambiente naturale”.In questo periodo storico tali indicazioni sono importantissime.Passando all’esame dei diritti del minore che si rinvengono nel nostro ordina-mento, in relazione ai principi contenuti nella Convenzione, si deve tenere in pri-maria considerazione:- il diritto, ribadito come fondamentale nell’art. 1 della legge n.149 del 2001 di

riforma dell’adozione, dove si afferma che “il minore ha diritto di crescere edessere educato all’interno della propria famiglia”; si riconosce che la fami-glia d’origine è il luogo privilegiato nel quale i diritti del minore devonoesplicarsi;

- l’art. 147 del codice civile, che esalta i doveri dei genitori, ma dal quale sca-turisce anche il diritto del figlio al mantenimento, all’ istruzione, all’educa-zione in conformità ai propri bisogni, aspirazioni e capacità. A tale proposito,nella Convenzione di New York, l’art. 5 afferma la responsabilità, il diritto eil dovere dei genitori di dare al fanciullo, in maniera corrispondente allo svi-luppo delle sue capacità, l’orientamento e i consigli adeguati all’esercizio dei

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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diritti che gli sono riconosciuti; l’art. 18 ribadisce la responsabilità di entram-bi i genitori, senza possibilità di delegare uno o l’altro, di provvedere all’edu-cazione e al mantenimento del minore; l’art. 27 afferma che “spetta al geni-tore o alle altre persone che hanno l’affidamento del fanciullo la responsabi-lità fondamentale di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loromezzi finanziari, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo”.Nessun genitore, dunque, può trincerarsi dietro il semplice fatto che non lavo-ra o non può lavorare, o che comunque non ha i mezzi, perché ha un obbligogiuridico di procurarseli.

Se è vero che il minore ha tutti questi diritti è anche vero che è soggetto a for-mazione, e necessita di orientamento, guida e protezione. Per tali motivi vieneattribuita ai genitori la potestà, che non è più intesa come un potere assoluto suifigli, bensì come un insieme di doveri, legati ai diritti di cui abbiamo finora par-lato, che possono essere utilizzati esclusivamente nell’interesse del minore,quindi, come realizzazione dei diritti del minore, primo tra tutti il diritto ad esse-re sé stesso, a crescere e svilupparsi con la propria personalità, anche in contra-sto con i genitori stessi.Da quanto affermato sembrerebbe tutto semplice, ma i conflitti ci sono e sonospesso gravi.Occorre dunque ribadire la necessità che si crei una relazione tra soggetti chesappiano comunicare tra loro, che si rispettino e che siano partecipi l’uno conl’altro delle proprie esperienze culturali, affettive, di vita, religiose.Le persone si costruiscono attraverso le relazioni, e il legame fondamentale èquello con i genitori, la relazione familiare: il minore, oltre ad averne diritto, haanche bisogno che questa relazione venga mantenuta.

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VIOLAZIONE DEI DOVERI GENITORIALI E LESIONE DEI DIRITTI SOGGETTIVI DEL FIGLIO

Nei trent’anni trascorsi dal varo della riforma del diritto di famiglia abbiamoassistito al passaggio da una concezione istituzionale e autoritaria della fami-glia, a quella che individua la famiglia come comunità, fondata sulla recipro-

ca solidarietà dei suoi componenti, portatori di autonomi diritti soggettivi.Questa trasformazione, verso una famiglia dove la tutela dei diritti soggettivi deisingoli diventa predominante, quale condizione per la piena e libera realizzazio-ne della persona umana, pur trovando limite e contemperamento nel rispetto deidiritti degli altri soggetti della relazione familiare e nell’esigenza di una convi-venza fondata sulla parità e solidarietà, ha consentito l’apertura del diritto difamiglia a nuovi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. Con il passare deltempo si è così iniziato ad ammettere l’applicazione, in questa materia discipli-nata da norme speciali, anche delle norme generali, ed in particolare quelle chedisciplinano la responsabilità civilee il risarcimento del danno.La domanda di un risarcimento deldanno, che si ritiene aver subitoingiustamente a causa del compor-tamento illecito tenuto da altri, èdivenuta negli ultimi anni unarichiesta sempre più frequente, chel’avvocato si sente rivolgere dalcliente già nella fase della consu-lenza stragiudiziale. In ambito didiritto di famiglia si tratta di unadomanda che trova fondamento nontanto in un desiderio di vendetta odi sterile rivendicazione nei con-fronti dell’altro, coniuge, o convi-vente, o genitore, quanto nella sempre più forte consapevolezza di essere statiprivati di un bene, di un diritto, di una possibilità di vita diversa, di avere cioèsubito un vero e proprio danno che si ha diritto a veder risarcito sul piano mora-le, prima ancora che a livello economico.La giurisprudenza ha quindi iniziato a recepire questa domanda di accerta-mento della responsabilità del coniuge o del genitore che ha causato un dannoal partner o al figlio, giungendo ad ammettere il conseguente risarcimento diun danno cd esistenziale, sul presupposto dell’insufficienza delle sanzionipreviste dal diritto di famiglia a dare ristoro alla vittima del comportamentoillecito.In particolare, per quanto riguarda la responsabilità del genitore nei confrontidei figli, si è recentemente affermato in una sentenza emessa dal Tribunale diVenezia che stante il dovere del genitore, previsto dall’art. 30 Cost., di esse-re presente nella vita del figlio, per fornirgli un apporto morale ed assisten-ziale, sotto il profilo sia economico che educativo, laddove vi sia invece unatotale, immotivata, reiterata e perdurante assenza del genitore, si configurala lesione del diritto del figlio all’assistenza morale e materiale, e la conse-guente sussistenza di un danno esistenziale, che risulta provato quando lostesso figlio abbia avuto la percezione e la consapevolezza dell’effetto priva-

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

MILENA PINIAVVOCATO DEL FORO DI

MILANO

PRESIDENTE AIAFLOMBARDIA

LA RESPONSABILITÀCIVILE DEI GENITORI

VERSO I FIGLI

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE ED AGGIORNAMENTOPROFESSIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA, ORGANIZZATO DALL’AIAF SICILIA,

MESSINA, 23 MARZO 2005

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tivo dell’apporto genitoriale1.Il caso si riferisce ad un padre che, nonostante la pronuncia di dichiarazione dipaternità e un successivo provvedimento che quantificava il contributo al man-tenimento della figlia, non aveva mai adempiuto, per vent’anni, a tale obbligocontributivo, né si era mai interessato della figlia, e il Tribunale di Venezia, consentenza 16 - 30 giugno 2004, ha riconosciuto il risarcimento a favore del figlio,sia del danno morale che del danno esistenziale, quale conseguenza della con-dotta illecita del genitore che si è totalmente sottratto all’obbligo, costituzio-nalmente sancito, di assistere, mantenere ed educare la prole (art. 30 Cost.).

L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA SUL DANNO ESISTENZIALE SOFFERTO DAL FIGLIO

La sentenza del Tribunale di Venezia del giugno 2004 è particolarmente interes-sante perché è il punto di arrivo di una elaborazione giurisprudenziale sul

danno esistenziale sofferto dal figlio a causa del comportamento illecito delgenitore, che aveva trovato una prima conferma nella sentenza 7 giugno 2000 n.77132 della Corte di Cassazione, e che si è poi modificata alla luce degli ultimiorientamenti espressi dalla Cassazione nelle sentenze n. 8827 e n. 8828 del 31maggio 20033 e dalla Corte Costituzionale nella sentenza 11 luglio 2003 n. 2334,che hanno dato una univoca interpretazione dell’art. 2059 c.c. e del danno nonpatrimoniale.

IL PRIMO ORIENTAMENTO: IL RIFERIMENTO ALL’ART. 2043 C.C.; IL DANNO-EVENTO

Nel caso di cui alla sentenza 7713/2000 la Cassazione ha ritenuto che il com-portamento omissivo e negligente del genitore (ritardato pagamento dell’as-

segno di mantenimento) concretizzi una “lesione in sé” dei diritti del figliominore, diritti impliciti nella condizione giuridica “di figlio e di minore”, il cuirispetto da parte dei genitori è presupposto fondamentale per la sana ed equili-brata crescita dello stesso, oltre che condizione per un suo inserimento non pro-blematico nel contesto sociale.La Corte era giunta a quella conclusione affermando l’applicabilità del principiostabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 184/86, con la quale erastato riconosciuto, in caso di lesione della salute, il diritto al risarcimento del c.d.danno biologico.Questo principio, ha sostenuto la Cassazione, è riferibile ad ogni analoga lesio-ne di diritti fondamentali della persona, risolventesi in un danno esistenziale, edella vita di relazione, e la lesione dei diritti fondamentali della persona, collo-cati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, è soggettaalla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento), indipen-dentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare(danno conseguenza).

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

1 TRIB.VENEZIA, Sez. Terza Civ., sent. 16 - 30 giugno 2004, in Il Merito, n. 1-2005, Il Sole 24 Ore, connota di M. PINI, Riflessioni e perplessità in merito alla risarcibilità e ai criteri di liquidazione deldanno non patrimoniale a favore del figlio

2 CASS., sentenza 7 giugno 2000, n. 7713, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 2000, 23, pag. 423 CASS., sentenze 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 2003, 25,

pag. 494 C. COST., sentenza 11 luglio 2003, n. 233, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 2003, 31,pag. 32

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Richiamandosi ai principi costituzionali che garantiscono i valori della persona,e a una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c., la Cassazioneaveva in quella sentenza sostenuto che “il citato art. 2043 c.c., correlato agliartt. 2 e ss. Costituzione, va così necessariamente esteso fino a ricomprendere ilrisarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danniche almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della personaumana”.In conclusione la S.C. aveva ritenuto che il giudice di primo grado aveva corretta-mente riconosciuto, ai sensi dell’art. 2043 c.c., al figlio naturale il risarcimento deldanno non già morale, da illecito penale, bensì il danno esistenziale, da lesione insé dei suoi diritti fondamentali in conseguenza della condotta del genitore.La sentenza era stata oggetto di un acceso dibattito, e autorevoli Autori5 aveva-no espresso dissenso e perplessità rispetto alle motivazioni e alle conclusioni cuiera giunta la S.C., ritenendo che la via indicata da quella pronuncia per la tuteladei diritti fondamentali della persona, in quanto figlio e in quanto minore, nonfosse conforme al diritto. In particolare, veniva rilevato che il diritto “nell’attua-le momento storico, non prevede come reato né la mera procreazione di un figliofuori dal matrimonio, né il rifiuto del preteso padre di riconoscerlo e di provve-dere alle sue esigenze morali e patrimoniali, in assenza di una previa pronunziagiudiziale che quel rapporto di paternità accerti”; che poteva semmai essererisarcito il danno che il minore avesse, a qualsiasi livello, anche meramente psi-cologico, risentito per il mancato adempimento dell’obbligo contributivo, adecorrere dalla data del passaggio in giudicato della sentenza che dichiarava lafiliazione naturale6.

L’ATTUALE ORIENTAMENTO: L’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL’ART. 2059 C.C.; IL DANNO-CONSEGUENZA

Come è noto, la Corte di Cassazione ha successivamente mutato orientamento,e con la sentenza n. 8828 del 31 maggio 2003, trattando un caso di perdita

definitiva del rapporto parentale per morte di un congiunto a causa di un inciden-te stradale, ha affermato che “l’interesse... alla intangibilità della sfera degliaffetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilitàdella libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umananell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, lacui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.” costituisce un “interesse pro-tetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione nonapre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043, nel cui ambito rientrano idanni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o meglio: ad una riparazione), aisensi dell’art. 2059…”.Definendo il danno non patrimoniale “come categoria ampia, comprensiva diogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona”, la S.C. ha quindiprecisato che l’art. 2059 c.c. ha una funzione non più sanzionatoria, bensìrisarcitoria, a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti.

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

5 M.FINOCCHIARO, In assenza di un dimostrato pregiudizio del minore non è giustificabile una condan-na al risarcimento, in Guida al Diritto, 2000, 23, pag. 45 e ss.

6 M.FINOCCHIARO, In assenza di un dimostrato pregiudizio del minore non è giustificabile una condan-na al risarcimento, cit.

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Ne è seguito l’intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza 233/03ha escluso che la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. siasubordinata al concreto accertamento degli elementi costitutivi di un illecitopenale, in quanto è sufficiente che tale danno sia riferito alla astratta fattispeciedi reato.Recependo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nelle sentenze delmaggio 2003, la Corte costituzionale ha quindi confermato l’interpretazionecostituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’a-stratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale deri-vante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno mora-le soggettivo, cioè l’ingiusta sofferenza contingente, per la lesione dell’integritàmorale, tutelata ex art. 2 Cost.; sia il danno biologico in senso stretto, intesocome lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica efisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sial’ulteriore danno non patrimoniale (spesso definito in dottrina e giurisprudenzacome “esistenziale”), derivante dalla lesione di altri interessi di rango costitu-zionale inerenti alla persona, e consistente nella perdita o nell’impedimento diun’attività7.Nelle citate sentenze la Corte di Cassazione, ha chiaramente precisato che ildanno non patrimoniale deve essere allegato e provato, ed ha escluso che ildanno coincida con la lesione dell’interesse protetto: “deve affermarsi invece chedalla lesione dell’interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire…. conse-guenze, che in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezzae consistenza, in termini di intensità e protrazione nel tempo.”Questo nuovo orientamento che sostiene la tesi del danno-conseguenza, nonpuò che essere condiviso, in quanto diversamente, e soprattutto in materia didiritto di famiglia, il ritenere che il danno non patrimoniale coincida con la meralesione dell’interesse costituzionalmente protetto, senza necessità della provadelle conseguenze dannose subite dalla persona, anche se si tratta di un figliominore, finisce per comportare una indiscriminata estensione dell’azione giudi-ziaria finalizzata al risarcimento, a qualsiasi caso (separazione, divorzio, affida-mento familiare, adozione, mancato adempimento di obblighi di natura morale,assistenziale ed economica, etc.) in cui il genitore sia venuto meno ai doveri pre-scritti dall’art. 30 Cost. e dall’art. 147 c.c..

Esaminando l’applicazione di questi principi al diritto di famiglia, ci si chie-de quali conseguenze possano derivare dal comportamento illecito del geni-tore; quali siano i presupposti per il riconoscimento del danno morale e deldanno esistenziale a favore del figlio; quali criteri da applicare per la liqui-dazione del danno morale e del danno esistenziale.La sentenza del Tribunale di Venezia sopra citata dà alcune interessanti rispo-ste a questi quesiti, anche se si ritengono solo parzialmente condivisibili.La domanda risarcitoria svolta dalla madre e dalla figlia, presa in esame dalTribunale di Venezia nel giugno 2004, viene qualificata e riferita al dannomorale conseguente alla consumazione del reato di violazione degli obblighifamiliari previsto dall’art. 570 c.p., astrattamente valutabile. Particolare rilevan-

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

7 C. COST., sentenza 11 luglio 2003, n. 233, cit.; CASSANO E COLASANTI, La nozione di danno non patri-moniale: ambiti di incertezza e punti fermi, in Il Merito, Il Sole 24 Ore, luglio/agosto 2004, p. 23 ss.

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za viene data dal Tribunale al comportamento doloso del genitore, che si èmanifestato con il pervicace disinteresse verso la figlia, sotto il profilo economi-co, assistenziale ed educativo, ignorandone, sin dalla gravidanza dell’alloracompagna, la nascita, le sorti, la vita, le esigenze economiche.Nel caso esaminato dal Tribunale risulta incontestato il mancato adempimentodel padre, per vent’anni, al versamento delle somme dovute per il contributo almantenimento della figlia, che erano state determinate in un precedente procedi-mento civile, e quindi pacifica la consumazione del reato. Peraltro, essendosi ilprocedimento penale estinto per amnistia, il Tribunale di Venezia valuta la fatti-specie corrispondente nella sua oggettività all’astratta previsione del reato di cuiall’art. 570 c.p., secondo la già citata interpretazione dell’art. 2059 c.c. data dallaCorte Costituzionale con la sentenza n. 233/03, che ha escluso che il risarcimen-to del danno non patrimoniale alla persona sia subordinato al concreto accerta-mento degli elementi costitutivi di un illecito penale.Anche tenendo conto di questa lettura, costituzionalmente orientata, dell’artico-lo 2059 Cc, il Tribunale di Venezia non ha comunque avuto dubbi sulla risarci-bilità del danno morale alle due attrici, che fa discendere dalla sussistenza, nelcaso concreto, degli estremi del reato di violazione degli obblighi familiari.

Ancor più recentemente il Tribunale di Monza, con sentenza n. 2994 del 8.7.04-16.11.04, seguendo lo stesso percorso interpretativo, alla luce delle sentenzedella Cassazione del 2003, ha riconosciuto, nell’ambito di un giudizio di divor-zio, alla madre, genitore non affidatario, il danno non patrimoniale “conseguen-te alla compromissione da questa sofferta nella sfera dei propri rapporti con ilfiglio minore, avendo subito per comportamento addebitabile all’altro genitore,l’interruzione di ogni relazione con questi negli ultimi dieci anni”. Il Tribunaledi Monza ha ritenuto in questo caso la sussistenza di una “lesione di un dirittopersonale costituzionalmente garantito, fatto costitutivo del diritto al risarci-mento dei danni non patrimoniali, sotto l’aspetto sia del danno morale soggetti-vo, sia dell’ulteriore pregiudizio derivante dalla privazione delle positività deri-vanti dal rapporto parentale. Detto danno - si afferma nella sentenza - potrà tro-vare congruo risarcimento anche indipendentemente dall’accertamento, in viapuramente astratta ed incidentale, di una responsabilità penale (e quindi delriconoscimento di una volontà dolosa del genitore affidatario di eludere i prov-vedimenti che regolavano i rapporti tra il figlio e la madre non affidataria),sulla semplice verifica del connotato colposo della condotta, idoneo a sostene-re l’imputabilità dell’evento lesivo secondo i criteri di cui all’art. 2043 c.c..In conclusione il Tribunale ritiene che il genitore affidatario sia venuto meno alfondamentale dovere, morale e giuridico, di non ostacolare, ma anzi favorire lapaartecipazione dell’altro genitore alla crescita e alla vita affettiva del figlio, eche tale condotta antigiuridica abbia provocato un grave pregiudizio al dirittopersonale del genitore non affidatario alla piena realizzazione del rapportoparentale con il figlio, senza contare il danno che ne risulta inferto al medesimominore per la perdita dell’insostituibile relazione affettiva con la madre”.

I CRITERI DI VALUTAZIONE PER LA LIQUIDAZIONE DEL DANNOMORALE E DEL DANNO ESISTENZIALE A FAVORE DEL FIGLIO

Considerato che il danno morale soggettivo consiste nel “transeunte turba-mento dello stato d’animo della vittima”8, è cioè un danno di natura esclusi-

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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vamente psicologica che si esaurisce nel dolore provocato dal fatto dannoso9, ilrisarcimento pecuniario è lo strumento per ottenere soddisfazioni in sostituzionedel dolore ingiustamente provato. Il danno verrà necessariamente liquidato in viaequitativa ai sensi dell’art. 1226 Cc e con riferimento a vari criteri, che ilTribunale di Venezia nel caso in esame individua nella gravità dei fatti, nell’in-tensità del dolo, nella durata dell’inadempimento.Particolare rilevanza, ai fini della liquidazione del danno, assume nella pronuncia delgiudice veneziano l’intensità del dolo, che connota la condotta del convenuto: “all’i-niziale disinteresse, forse rimozione, della vicenda della nascita, pur raggiunta unaetà matura, e relativa sopradetta capacità economica, a fronte della esistenza di untitolo finanche incontrovertibile, nulla ha mai ritenuto di versare; nulla ritiene, inquesto procedimento, di allegare a giustificazione di tale e tanta trascuratezza”.

Al danno morale si aggiunge il danno c.d. esistenziale, che secondo il recenteorientamento giurisprudenziale deriva dalla lesione di interessi di rango costitu-zionale (diversi dal diritto all’integrità psichica e fisica) inerenti alla persona, econsiste in un non facere, nella privazione di un’attività o di un rapporto, conconseguenze di natura psicologica, che si traduce in cambiamenti peggiorativipermanenti, anche se non sempre definitivi, delle proprie abitudini di vita e dellerelazioni interpersonali10.Nella sentenza del Tribunale di Venezia il danno esistenziale viene identificatocon la violazione di diritti soggettivi assoluti di rango costituzionale, laddove sirileva che”… la nostra carta costituzionale obbliga i genitori, anche naturali esenza distinzione alcuna sulla natura del vincolo che li lega, ad assistere mate-rialmente e moralmente la prole, dunque un obbligo non meramente patrimonia-le ma esteso, come è ovvio, alla assistenza educativa. Solo in assenza aut inca-pacità di costoro la stessa fonte costituzionale prevede forme sostitutive di assi-stenza”. L’art. 30 Cost. - si sottolinea nella sentenza - esige la presenza del geni-tore, il suo apporto, qualunque ne sia l’esito: “in altri termini tutto, o quasi tutto,salvi i maltrattamenti, purché al fatto naturale del concepimento, proprio adogni specie animale, non consegua il mero disinteresse, la morte presunta, percosì dire, della figura genitoriale”.E ritenendo che, nella fattispecie, la “morte presunta” del genitore si è consuma-ta per certo con tutto quanto ne consegue in termini privativi, l’accertamento sisposta sul piano probatorio.

Per quanto concerne la prova del danno non patrimoniale riferito alla lesionedi diritti costituzionalmente garantiti, riconosciuti ad ogni persona nell’ambitodelle relazioni familiari - c.d. danno esistenziale - giova ricordare che la S.C., nelcaso di danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, ha affermato che taledanno “consiste in una perdita, nella privazione di un valore non economico, mapersonale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto,dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni personali, secondo levarie modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo

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8 CORTE COST., sentenza 11 luglio 2003, n. 233, cit.9 CASS. PEN., sentenza 22 gennaio 2004, n. 2050, in www.InfoLEGES.it

CASS. PEN., sentenza 22 gennaio 2004, n. 2050, cit.10 CASS., sentenza 31 maggio 2003, n. 8828, cit.

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familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza dellalesione dell’interesse protetto”11.Il Tribunale di Venezia, seguendo tale impostazione metodologica, si chiede:“date le predette coordinate (il dovere genitoriale di essere in qualche modo pre-sente; nella specie la totale immotivata reiterata e perdurante assenza del padrequivi convenuto), ebbene F. ha sofferto conseguenze lesive, manifeste e apprez-zabili, nel suo percorso di maturazione e crescita evolutiva, fossero anche esse,come è ovvio nella specie, fortemente legate alle stesse valutazioni soggettivedell’interessata?”. La soluzione positiva data dal giudice veneziano si fondasulla circostanza, comprovata, di una totale assenza di contributo assistenziale,oltre l’ambito strettamente patrimoniale, che, in via presuntiva, si ritiene abbiacomportato conseguenze lesive.Ma non solo. Il Tribunale attribuisce rilevanza probatoria anche alla percezio-ne sofferta da parte della figlia di essere stata privata di un diritto, dell’apportomorale ed assistenziale del genitore, e ciò nonostante la c.t.u. non avesse eviden-ziato nella stessa esiti apprezzabili sul piano psicopatologico, o l’esistenza diturbe comportamentali.L’effetto privativo, sostiene il Tribunale, è comunque rilevante ed eclatante, nonavendo la figlia ricevuto alcunché, nello sviluppo della propria personalità, nelcoacervo delle scelte esistenziali della crescita di cui avrebbe potuto godere, conun contributo, con le modalità, i tempi ed i criteri, sostanzialmente non sindaca-bili, offribili dal genitore.

Quanto alla liquidazione del danno esistenziale, vertendosi in tema di lesionedi valori inerenti alla persona, non potrà che avvenire in base a valutazione equi-tativa ai sensi degli articoli 1226 e 2056 Cc, considerati i diversi fattori relativialla situazione personale e familiare della persona che ha tenuto la condotta ille-cita e della persona che ne ha subito le conseguenze.Il Tribunale di Venezia ha ad esempio liquidato il danno esistenziale in via equi-tativa, tenendo presente gli elementi di fatto che hanno connotato la vicenda(rifiuto della paternità, mancato adempimento degli obblighi di assistenza fami-liare, durata dell’inadempimento, dolo intenso, assenza di motivazione ragione-vole), “riflessi nella percezione della danneggiata”.

Non convince peraltro la liquidazione separata del danno morale e del dannoesistenziale, operata dal Tribunale di Venezia, che ha tra l’altro valutato il dannoesistenziale in misura inferiore al primo, e senza alcun preciso riferimento, inentrambi i casi, alle conseguenze dannose subite dalla madre e dalla figlia, inrelazione alla loro situazione personale ed economica. Queste motivazioni susci-tano perplessità e, stante la frequente difficoltà di determinare l’importo da liqui-dare per ogni voce di danno, soprattutto per quanto concerne la violazione didiritti attinenti la sfera dei rapporti familiari, sembra più corretto l’orientamentodi quei giudici che accordano un risarcimento integrale del danno non patrimo-niale, in tutte le sue componenti, sempre che la parte attrice abbia formulato larichiesta di ristoro con allegazione e descrizione dei pregiudizi personali patiti,a prescindere dalle categorie risarcitorie invocate.12

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

11 T. GENOVA n. 4232 e 4233 del 2003, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 2004, 18, pag. 4912 CASS., sentenza 31 maggio 2003 n. 8828, cit.; Cass, sentenza 11 novembre 2003, n. 16946, in Cd-

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Giova ricordare che la Cassazione, mettendo in guardia dal rischio di duplicazio-ne del risarcimento, nei casi di attribuzione congiunta del danno morale sogget-tivo e del danno esistenziale, ha tenuto a sottolineare che il giudice di merito nelliquidare il danno morale deve considerare la più limitata funzione di ristorodella sofferenza contingente che gli va riconosciuta, e quindi assicurare che siaraggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare ilcomplessivo risarcimento.13

In conclusione, non si può non rilevare la difficoltà, nel caso esaminato dalTribunale di Venezia, come in altri analoghi, di individuare le specifiche e concre-te conseguenze lesive sul figlio della condotta illecita posta in essere dal genitore,e la conseguente necessità di fare ricorso alla valutazione prognostica e presuntiva.Sorge quindi la preoccupazione per una possibile indiscriminata estensionedel riconoscimento del danno c.d. esistenziale ad una casistica molto ampiarelativa al rapporto genitore-figli, dove si potrebbe giungere a dare rilevan-za alla condotta del genitore connotata non solo da dolo, ma anche da colpa(ad esempio nella cura della prole), secondo peraltro l’orientamento inaugu-rato dal Tribunale di Monza.Preoccupazioni che sono state avvertite anche per altri ambiti giuridici, e checomportano la necessità di non indulgere alla tentazione di condanne esemplari,motivate principalmente da valutazioni etiche, o di infliggere cd. pene private.14

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Rom Famiglia e diritto, 1/200413 CASS., sentenza 31 maggio 2003 n. 8828, cit.; Cass, sentenza 11 novembre 2003, n. 16946, in Cd-

Rom Famiglia e diritto, 1/200414 PONZANELLI, Attenzione: non è danno esistenziale, ma vera e propria pena privata, in Danno e resp.,

2000, 841, a commento della sentenza della Cassazione n. 7713/2000

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La centralità del soggetto “minore”, inteso come soggetto di diritti nella fami-glia e nella società, è un elemento prioritario nella nostra cultura giuridica,sociologica e psicologica e qualificante del processo logico- giuridico del

giudice. Del resto il principio ispiratore di tutte le norme nelle quali è coinvoltoil minore, è proprio l’interesse del minore, esclusivo o preminente, due aggetti-vi molto diversi, sui quali potremmo a lungo discutere. Ritengo però che questiprincipi, la cui enunciazione troviamo chiarissima e inequivoca in tutte le con-venzioni internazionali, possono rimanere delle clausole vuote, di stile, se nonhanno dei riscontri processuali.Il tema della rappresentanza del minore nel processo è da tempo oggetto didiscussione; già nel 1982 - 1984 era stata sollevata una questione di costituzio-nalità dal Tribunale di Genova, in riferimento ai processi di separazione e divor-zio, ed in quella occasione la Corte Costituzionale, con sentenza del 14 luglio1986, aveva disatteso le argomentazioni avvertendo che “l’intervento obbligato-rio del pubblico ministero ed ilpotere del giudice di andare ultrapetitum e di disporre d’ufficio inda-gini e mezzi di prova, sono misuredirette alla tutela d’ufficio degliinteressi dei minori, e quindi costi-tuiscono una specifica scelta dellegislatore, che non ha ravvisatol’opportunità di istituzionalizzareun conflitto tra genitori e figli conl’attribuzione al minore della qua-lità di parte e la nomina di un cura-tore per la rappresentanza”.Questa decisione della Corte non hacerto sopito l’esigenza che si è suc-cessivamente evidenziata nel dibat-tito giurisprudenziale e dottrinale. Sono stati anche presentati sull’argomento deidisegni di legge nel 1996, di iniziativa dei senatori Pulcero e Caruso, ed una pro-posta di legge del 13 dicembre del 1996 di iniziativa dei deputati Gambati eSignorini, che hanno riproposto il tema della rappresentanza del minore, attra-verso un curatore, un difensore.Nel 1999 la Corte di Appello di Genova ha sollevato una eccezione di incostitu-zionalità degli artt. 333 e 336 del codice civile, degli artt. 738 e 739 del codicedi procedura civile, per violazione degli art. 24 comma 2 e 3, degli art. 30 e 31della Costituzione, nella parte in cui nel procedimento, relativo alla potestà geni-toriale, non si prevede la nomina di un curatore rappresentante del minore.L’ordinanza della Corte di Appello di Genova è molto articolata, e richiama, conun excursus storico, la successione delle convenzioni internazionali; le sue moti-vazioni sono a mio avviso importanti e ancora attuali. La Corte di Appello diGenova afferma che “nel procedimento ai sensi degli art. 333 e 336 del codicecivile, nei quali il giudice assume ogni opportuno e conveniente provvedimentoper la prole, e che attinge effetti assai rilevanti sull’avvenire del fanciullo, e sul-l’ulteriore sviluppo della sua personalità, al minore non è dato di stare in giudi-zio a mezzo di un curatore speciale per la tutela dei suoi interessi, e neppure èprevisto che egli sia obbligatoriamente sentito. Nessuno potrebbe contestare che

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

AUGUSTATOGNONIMAGISTRATO

CORTE D’APPELLO DI

MILANO

SEZIONE DELLE PERSONE,DELLA FAMIGLIA E DEI

MINORI

EQUO PROCESSO E RAPPRESENTANZA

DEL MINORE

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE DELL’AVVOCATO DEL MINOREORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, GENNAIO-GIUGNO 2002

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il minore sia titolare di interessi specifici, morali e patrimoniali in relazione alleesperienze che lo riguardano, ma questi non sono adeguatamente protetti dallapresenza di genitori o parenti, potenziali destinatari di provvedimenti. Né l’inte-resse del minore pare sufficientemente protetto dall’intervento del pubblicoministero, il quale non sta in giudizio come sostituto processuale del minore,perché i poteri del pubblico ministero non si ricollegano ad un interesse specifi-co e particolare. Egli opera nel corso del processo per l’attuazione della legge,per assicurare la legalità nella risoluzione della controversia, nella quale vestesi preoccupa sì della tutela dell’interesse del minore, ma non certamente inmodo esclusivo, in ogni caso la difesa del fanciullo non offrirebbe le medesimegaranzie di quella esercitata dal rappresentante privato direttamente impegnatoin tale ufficio. Analogamente, non potrebbe costituire valida alternativa allanomina di un curatore il potere pur largamente ufficioso del Collegio... Del restola nomina di un curatore e rappresentante del minore non è sconosciuta alnostro ordinamento…”. Vengono quindi elencati i provvedimenti in cui è previ-sta la nomina del curatore speciale. L’ordinanza continua affermando che “laConvenzione di New York e la Convenzione di Strasburgo forse ci consentono giàdi nominare un difensore al minore”, e la Corte di Appello di Genova sostieneche forse si potrebbe già far valere questa norma, e risolvere il problema, ma cheè preferibile che tutto sia demandato al legislatore per evitare interpretazioni chepotrebbero non essere condivise. Sotto questo profilo ha rimesso gli atti allaCorte Costituzionale, la quale ancora una volta non ha ritenuto di dare importan-za a questo argomento.Il problema che noi oggi dobbiamo affrontare con molte difficoltà è questo: nellaprospettiva di una cultura della giurisdizione non si può ignorare il dibattito sullalegittimità del procedimento camerale, con particolare attenzione al pieno rispettodi tutte le regole del contraddittorio ed alla corretta ripartizione degli oneri e deiprincipi probatori; tutto questo è ancora più attuale alla luce del novellato articolo111 Cost., che ribadendo il principio del contraddittorio, afferma che “…ogni pro-cesso si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizione di parità…”.Ma cosa si deve intendere per contraddittorio e parità nel processo minorile?Il processo minorile è lo strumento per individuare quale sia in concreto il bilan-ciamento tra diritti soggettivi pieni, cioè il diritto del genitore ad educare il figlioe il diritto del minore ad essere educato in modo adeguato allo sviluppo della suapersonalità. Con la precisazione che l’ordinamento ha già individuato nell’ambi-to del bilanciamento dei due diritti, quale è il diritto meritevole di maggiore tute-la. Emerge quindi uno scompenso di contraddittorio.Una giurisdizione forte, quale è quella minorile, data l’importanza primaria deidiritti su cui incide, deve essere una giurisdizione forte anche nelle sue garanzie.Il contraddittorio deve essere compatibile con il tipo di processo minorile, cioènonostante il procedimento inquisitorio.In sostanza noi ci troviamo in un determinato procedimento nel quale dobbiamocercare di rendere compatibili queste norme. Il giudice che è consapevole di que-sta scelta legislativa deve riconoscere e dare spazio alla voce di tutti gli interes-sati, anche se è proprio lui che scandisce il ritmo della procedura, che individuale informazioni da assumere e decide nel senso più favorevole al minore.Sulla circostanza che il giudice individui le informazioni da assumere, possiamometterci un punto di domanda, perché dobbiamo poi esaminare la proposizione“…davanti ad un giudice terzo ed imparziale”.

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In definitiva ritengo che il contraddittorio debba essere inteso come possibilitàdi poter partecipare al giudizio, da parte di tutti i soggetti, al fine della ricostru-zione della verità.Si tratta di una proposizione semplice, che però presenta molte difficoltà diapplicazione.Nel processo minorile come possiamo vedere la garanzia del giusto processo?Come tutelare il diritto del minore, portatore di diritti riconosciuti a livello costi-tuzionale, senza peraltro ignorare che anche il genitore è portatore di un dirittocostituzionalmente protetto.La prevalenza dell’interesse del minore deve risultare da una valutazione fattanon in chiave della soddisfazione dei bisogni dell’adulto, ma solo in ordine albenessere del minore, che è da individuare.I profili specifici che devono essere oggetto di approfondimento sono le garan-zie ed il significato di cognizione piena, concetto che sembra stridente con il pro-cedimento in camera di consiglio.Fatte queste considerazioni, non possiamo ignorare le convenzioni internaziona-li, in particolare la Convenzione di Strasburgo laddove afferma che “il minore èun soggetto titolare di situazioni giuridiche consistenti in diritti soggettivi”.Questa proposizione è importante perché secondo la definizione di contradditto-rio contenuta nell’art. 101 c.p.c., noi abbiamo un soggetto che chiede e l’altroche contesta la domanda. I due soggetti quindi sono parti processuali. Nel proce-dimento in camera di consiglio si dice che si può parlare di contraddittorio quan-do c’è un controinteressato. Il problema a questo punto inizia ad essere delicato.Il minore è un controinteressato? È una parte processuale? Ovviamente no. Illegislatore non lo vede come parte processuale, lo vede addirittura così superio-re a tutti, come bene individuale, che non lo vede neanche inserito nel processo.Credo che questo sia un nodo cruciale.In questo contraddittorio, dovendo rendere compatibile l’art. 111 dellaCostituzione con le altre norme a nostra disposizione, possiamo inserire il mino-re? Possiamo ritenere il minore un soggetto da contraddittorio?Bisogna prestare attenzione alle conseguenze dell’affermazione che il minore èun soggetto necessario al contraddittorio. Le convenzioni internazionali ratifica-te, che quindi sono diventate leggi dello Stato consentono di considerare il mino-re come un soggetto necessario al contraddittorio? Gran parte degli avvocatiritiene di si.Ho ritenuto prudente l’ordinanza della Corte di Appello di Genova, che puresplicitando questa impostazione, ha però cercato di responsabilizzare il legisla-tore affermando che se veramente il minore è un soggetto così importante nelprocesso, è il legislatore stesso che deve affermarlo.Sotto questo profilo alcuni prospettano dubbi di costituzionalità in relazioneall’art. 3 Cost., con argomentazioni talvolta contraddittorie: cioè si sostiene chesi ha una violazione dell’art. 3 Cost. perché non c’è la parità. Ma perché non c’èla parità? Perché il minore è in posizione sovraordinata agli altri soggetti del pro-cesso, e non si può, come si usa dire, privatizzarlo riportandolo allo stesso livel-lo degli altri soggetti come dispone l’art. 3 Cost..La Convenzione di Strasburgo introduce peraltro la figura dell’avvocato, e rico-nosce al minore con riguardo ad ogni procedimento giudiziario che lo interessidirettamente, il diritto di informativa, il diritto di esprimere liberamente la pro-pria opinione sui fatti di causa che lo riguardano, il diritto di partecipare quale

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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parte autonoma al giudizio, il diritto di essere rappresentato e assistito dal difen-sore privato scelto nella persona di un avvocato. Sono convinta, e non può esse-re altrimenti, che l’intervento dell’avvocato è di estrema rilevanza sotto il profi-lo giuridico ed anche ai fini di una più vasta area di mediazione e di collabora-zione tra tutti gli operatori del settore minorile per perseguire il raggiungimentodel bene del minore.È però ancora da chiarire se l’avvocato del minore deve essere rappresentantesostanziale, processuale, semplice nuncius.Quale rapporto deve avere l’avvocato o il curatore (il quale pur avendo unadiversa funzione spesso coincide con la figura dell’avvocato) con il minore, checosa il minore deve dire all’avvocato, come l’avvocato deve interpretare il mino-re. È stato rilevato che l’intervento estemporaneo del curatore speciale, con fun-zioni esclusivamente processuali, non è esauriente, perché costituirebbe, secon-do l’opinione di alcuni, un doppione del tutore provvisorio introdotto per le pro-cedure dello stato di adottabilità.Emerge anche la proposta di una figura di difensore pubblico del minore, che inforza di un mandato istituzionale assuma la rappresentanza degli interessi delminore fuori e dentro il processo, con compiti processuali di rappresentanza delminore, di acquisizione di prove, di produzioni e deduzioni, nonché di sollecita-zione dell’attività del pubblico ministero.Credo che sia inoltre importante ricordare che la difesa tecnica deve essere acarico dello Stato, secondo l’opinione prevalente, così come succede per la dife-sa del minore nel processo penale minorile.Qualunque sarà la scelta, la figura di questo avvocato sarà importantissima edovrà essere studiata e creata molto bene. Non so come, non spetta a me dirlo,comunque è necessaria una professionalità, una specializzazione, perché il ruoloche assume è veramente delicatissimo.Allo stato attuale si ritiene che il processo minorile realizzi la parità tra le parti,perché gli atti mentre devono essere messi a disposizione del pubblico ministe-ro, non sempre vengono messi a disposizione delle parti complessivamente, per-ché si possa effettuare una difesa efficiente.Il principio di parità tra le parti, comporta la necessità di riconoscimento deipoteri di domanda, di eccezione e di replica. Ai sensi dell’art. 111 dellaCostituzione sussiste l’obbligo per il giudice di provocare la discussione delleparti anche sulle questioni di diritto, questioni processuali e qualunque altra que-stione che sia dotata di un’incidenza decisoria, che ritenga di sollevare d’ufficio.Il diritto inviolabile di difesa previsto dall’art. 24 della costituzione, assume unadimensione bilaterale di reciprocità, quale garanzia che deve essere riconosciutain condizione di parità ad ogni parte che è coinvolta nel processo. Assurge pro-prio a presupposto funzionale e strumentale del contraddittorio.Possiamo dire che si sia realizzato un contraddittorio equilibrato e ragionevolesolo se sono assicurate a ciascuna delle parti contrapposte nel giudizio, in con-dizioni di effettiva parità, le pari possibilità di influire con l’esercizio di poteridi argomentazioni, di eccezioni ecc.Nel principio della parità delle parti, certamente lo spazio maggiore deve esserededicato al minore.Mi sembra importante sottolineare che un aspetto importante sarà costituito dal-l’audizione del minore, che potrà essere diretta o indiretta.Personalmente ritengo molto utile, secondo l’esperienza che abbiamo avuto nella

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Corte d’Appello di Milano, l’audizione diretta del minore, senza intermediari.Anche il minore di età inferiore ai dieci anni, ovviamente facendo riferimentocaso per caso alla sua capacità di discernimento, è in grado di esprimere concet-ti molto importanti e di dare una visione chiara di quella che è la sua situazionenell’ambito familiare nel quale vive.Non sono preoccupata per l’audizione del minore, anche se molti parlano di trau-ma per il minore che deve essere sentito in tribunale; ovviamente dipende dallemodalità con cui viene effettuata l’audizione, però il minore che arriva in tribu-nale ha alle spalle una situazione così pesante, così grave, che forse può essereconsiderata una liberazione parlare con il giudice.In Corte abbiamo ricevuto anche lettere di minori che chiedevano di essereascoltati.Vi dirò di più, in una causa molto delicata avevamo disposto l’audizione di unaminorenne di tredici anni, audizione che non era gradita a nessuna delle due parti,alla vigilia dell’audizione del minore, gli avvocati con le parti mi hanno comunica-to che si erano messe d’accordo. Una settimana dopo mi è arrivata la lettera di que-sta ragazzina che diceva “mi dispiace che lei ha avuto paura di sentirmi”.Questo mi ha fatto riflettere che forse questa ragazzina aveva delle cose moltoimportanti da dire.Dobbiamo ora esaminare la proposizione “…davanti ad un giudice terzo edimparziale”.Come possiamo evitare che il giudice sia colui che ha l’iniziativa del procedi-mento, colui che acquisisce le prove, colui che decide?Probabilmente lo schema più semplice, che del resto il legislatore ci ha già pro-posto nel giudizio di opposizione allo stato di adattabilità, è di dare impulso alpubblico ministero. Pubblico ministero che prende l’iniziativa e che avvia il pro-cedimento e acquisisce le prove dai servizi sociali.Anche il problema dell’assunzione delle prove da parte dei servizi sociali è unanota dolente, mi riferisco a come vengono raccolte le prove, a quali possonoessere le tutele, ecc. Forse voi avvocati che siete più “sul campo” avete unavisione più concreta rispetto a quella che abbiamo noi in Corte, dove ci ritrovia-mo relazioni sociali già acquisite e già esaminate dal giudice di primo grado.Anche noi disponiamo l’acquisizione delle prove, però in appello è già presentela difesa delle parti, perciò credo che sia diversa l’acquisizione e la valutazionedelle prove.Mi rendo conto della rilevanza dei problemi che ho cercato di prospettare eauspico un intervento legislativo che veramente colmi questo vuoto e specifichiil ruolo del minore e della sua difesa nel processo. Ritengo quindi opportuno par-tire con una certa cautela, e sollecitare il legislatore ad emanare norme chiare etrasparenti per evitare possibili complicazioni sotto ogni profilo.

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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La legge n. 149 del 2001 ha profondamente modificato la disciplina adoziona-le, soprattutto in ambito processuale. E in questo si rinvengono in sostanzale previsioni più condivisibili (cfr., per tutti, DOGLIOTTI, Adozione di mag-

giorenni e minori, in Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano 2002, 81 ss.).Fino alla riforma, ma anche dopo (perché, come è ben noto, le norme processua-li della l. 149 non sono ancora operative e ci si avvia probabilmente verso un’ul-teriore proroga), si rinviene una netta distinzione fra la fase eventuale dell’oppo-sizione al decreto di adottabilità, nella quale è sicuramente rispettato il principiodel contraddittorio e sono abbastanza efficacemente garantire le posizioni ditutte le parti, da quella che conduce invece a tale dichiarazione, fase camerale edinquisitoria (assai significativamente essa viene aperta officiosamente dal giudi-ce) con scarse garanzie difensive per i genitori dei minori, che il tribunale mino-rile reputa abbandonati.Soprattutto in questa fase è ben difficile per il difensore individuare quali siano

gli accertamenti effettuati, i docu-menti e le relazioni prodotte chespesso non vengono messi a dispo-sizione delle parti. Neppure èrichiesto il patrocinio del difensore,e spesso i genitori sono chiamatidavanti al tribunale per i minorenni,senza rendersi ben conto di qualesia lo scopo della procedura o seaddirittura vi sia una procedura incorso. E i genitori, non assistitidagli avvocati, divenuti destinataridi prescrizioni del giudice, assolu-tamente non sanno che l’inottempe-ranza ad esse, condurrebbe diretta-mente alla dichiarazione di adotta-bilità. Non tutti i tribunali minorilisi comportano in questo modo, ma

va precisato che è la legge stessa a non offrire al riguardo sufficienti garanzie.Emerge, pur da una trattazione estremamente sommaria, una procedura in evi-dente contrasto con il principio del contraddittorio e con l’esigenza di terzietàdel giudice, assicurata dall’art. 111 Cost.Come si è detto, la legge n. 149 ha reso operante il principio del contraddittoriofin dall’inizio della procedura, introducendo notevoli innovazioni ed ispirandosialla duplice esigenza di snellire il procedimento, ma pure di assicurare ognigaranzia difensiva ai genitori e allo stesso minore, sin dall’inizio della procedu-ra. Altrettanto accettabile l’esclusione di un’apertura del procedimento d’ufficio.Sarà il p.m. presso il tribunale minorile a ricevere le diverse segnalazioni e, dopoaver effettuato gli opportuni accertamenti, a chiedere al giudice di aprire la pro-cedura di adottabilità, ove ravvisi la sussistenza di una situazione di abbandono,lasciando così al giudicante quella terzietà, richiesta, come si diceva, dall’art.111 Cost. e che spesso nel settore minorile viene dimenticata.Ricevuto il ricorso, il presidente del tribunale per minorenni o un giudice da luidelegato provvede all’apertura del procedimento relativo allo stato di abbando-no del minore; come primo atto, avverte i genitori o, in mancanza, i parenti entro

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

ALBERTOFIGONE

AVVOCATO DEL FORODI GENOVA

PRESIDENTE AIAFLIGURIA

LA PROCEDURA DIADOTTABILITÀPRIMA E DOPO LARIFORMA DEL 2001

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIA ORGANIZZATO

DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 – MAGGIO 2005

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il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore e li invita a nomi-nare un difensore, informandoli della nomina di uno di ufficio, ove essi non viprovvedano. I genitori dunque sono comunque rappresentanti sin dall’iniziodella procedura (art. 10).Per di più l’art. 8 novellato precisa a chiare lettere che il procedimento devesvolgersi fin dall’inizio anche con l’assistenza legale del minore. Pur trattando-si di una previsione assai ambigua, contenuta in una norma di diritto sostanzia-le, che definisce lo stato di abbandono del minore e che non trova un riscontropreciso nelle disposizioni a contenuto processuale, è da ritenere tuttavia che ilpresidente o il giudice delegato debba nominare anche un rappresentante delminore (un curatore che sia anche avvocato e che dunque agisca in duplice veste,ovvero che a sua volta nomini un avvocato).Siamo tutti in attesa della disciplina che renderà finalmente operative le previ-sioni suindicate: quale che sia la decisione adottata, in ordine al patrocinio e alcompenso dell’avvocato, dovrà comunque essere assicurata una forte specializ-zazione del difensore e un continuo suo aggiornamento.Secondo la novella, le parti e i loro difensori possono partecipare a tutti gliaccertamenti disposti dal tribunale (e dunque si dovrebbe individuare, magarinella prassi, una modalità di partecipazione anche per gli accertamenti dei servi-zi sociali, pur tenendo presente le peculiarità di tale mezzo istruttorio), presen-tare istanze istruttorie, prendere visione ed estrarre copia degli atti del fascicolo,previa autorizzazione del giudice. Si ammette dunque al riguardo una possibile“secretazione” di alcuni atti, ben conosciuta nella prassi del giudice minorile,anche se totalmente estranea alla logica del processo civile. Dovrebbe comunquetrattarsi di una secretazione temporanea, apparendo del tutto illegittimo che ilgiudice tenga conto, nella decisione finale, di un documento, se questo non siastato, almeno dopo la chiusura dell’istruttoria, esaminato dalla parte, per appre-stare le opportune difese.Non è prevista la fase di opposizione: disposizione sicuramente condivisibile, inquanto contraddittorio e garanzie difensiva sono assicurati sin dall’inizio dellaprocedura (a questo punto l’opposizione apparirebbe come un inutile doppione).La prima fase del giudizio si conclude con una sentenza che dichiara lo stato diadottabilità o pronuncia il non luogo a provvedere, impugnabile presso la corted’appello e, successivamente, presso la Cassazione. È assai significativo che illegislatore abbia fissato un termine anche per l’udienza davanti alla SupremaCorte, pur se ovviamente soltanto ordinatorio…, e cioè entro sessanta giorni daldeposito degli atti introduttivi. Precedentemente i tempi si dilatavano, talora pro-prio in Cassazione, in evidente contrasto con l’esigenza imprescindibile per ilminore di acquisire uno status definitivo. Che sia il primo nucleo per la futuraformazione di una sezione famiglia presso la Suprema Corte, che conosce giàuna sezione lavoro ed una tributaria?

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2. I RAPPORTI TRA I GENITORI E I FIGLI

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

3. LA FAMIGLIA DI FATTO ELA FILIAZIONE NATURALE

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ESIGENZA DI UNA REGOLAMENTAZIONE MINIMA

Con il termine “famiglia di fatto” s’intendono tutte le situazioni di conviven-za tra due persone, di sesso diverso (o anche del medesimo sesso, se si fariferimento alla concezione di respiro più internazionale), legate da una

comunione di vita e di affetti caratterizzate da stabilità e continuità e riscontrosociale, senza che l’unione venga formalizzata mediante il matrimonio. Il termi-ne racchiude in sé non solo la fattispecie di convivenza more uxorio che discen-de da una libera scelta della coppia, la quale decide di non sottoporre il propriorapporto alla disciplina giuridica del vincolo coniugale, ma costituisce, in segui-to all’introduzione del divorzio, la situazione nella quale viene a versare la cop-pia in attesa del divorzio o dell’annullamento di un precedente matrimonio.Inoltre, a godere del medesimo disconoscimento legislativo, concorrono concet-tualmente tutte quelle situazioni non codificate e suscettibili di diversa definizio-ne come il concubinato e l’unione libera o di fatto, tutte accomunate dal caratte-re non matrimoniale dell’unione,alle quali rimane dubbio se estende-re in futuro l’auspicabile cappelloregolamentativo della famiglia difatto oppure distinguere.La famiglia di fatto si contrapponealla famiglia legittima, modellofamiliare disciplinato compiuta-mente dall’ordinamento italiano,poggiante sulla previsione costitu-zionale dell’art. 29 in base al quale“La Repubblica riconosce i dirittidella famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Considerata l’a-tipicità della fattispecie, si pone dunque il problema della rilevanza giuridicadella famiglia di fatto, vale a dire se e in quali termini l’ordinamento riconducaa una simile unione effetti giuridici, onde fornire un modello comportamentaleappetibile, alternativo a quello tradizionale. In assenza di specifiche previsioninormative, l’opinione maggioritaria versa nel senso di non estendere alla fami-glia di fatto le attribuzioni previste dall’ordinamento per quella legittima, ancheil relazione al doveroso rispetto della libera scelta delle parti di non sottoporre laloro unione al complesso di norme vigente in materia matrimoniale. In questadirezione la Corte Costituzionale ha negato la possibilità di estendere alla convi-venza more uxorio le previsioni degli artt. 151, 155 c.c. e 706 c.p.c. per la diffe-renza delle situazioni raffrontate, pena la violazione della libera determinazionedelle parti nella scelta (C. Cost. 166/1998).La tendenza a regolamentare la famiglia di fatto è oggi un argomento di dibatti-to in sede de jure condendo, come dimostrano le recenti proposte di legge inmateria (tra cui quella delle On. Turco-Mussolini), che riflettono una sensibilitàmaturata a livello comunitario rivolta alla promozione dell’autonomia contrat-tuale privata in materia di famiglia che ha preso forma a partire dalla direttiva2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’infor-mazione nel mercato interno, ratificata con d. legis. 9 aprile 2003, n. 70, e attra-verso il nuovo regolamento dell’Unione Europea in tema di competenza, ricono-scimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabi-lità parentale, del 27 novembre 2003, n° 2201/2003.

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

ANTONINASCOLAROAVVOCATO DEL FORO DI

TORINO

PRESIDENTE AIAFPIEMONTE

LA FAMIGLIA DI FATTO

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIAORGANIZZATO DALL'AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004-MAGGIO 2005

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Pare quindi omai superabile il tradizionale silenzio normativo dell’ordinamentoitaliano in materia, poggiante su considerazioni di antieconomicità del vagliogiurisdizionale della famiglia di fatto, comunemente ascritte al carattere preca-rio di tali unioni, che scevre da ogni formalità, possono venir meno in ognimomento. Legittimando la famiglia di fatto come formazione sociale riferibileall’art. 2 Cost., la giurisprudenza in primis (si veda App. Firenze 12.02.1991),seguita oggi finalmente dal legislatore, vengono a ristabilire il contatto con ilsentire sociale maturato nell’ultimo ventennio.

Nell’ottica d’individuare una nuova forma di tutela occorre, pertanto, far riferi-mento di volta in volta a criteri e soluzioni diverse; sotto questo profilo è oppor-tuno distinguere tre diversi aspetti del problema.

IL RAPPORTO DI FILIAZIONE

L’atteggiamento puericocentrico sviluppatosi in seno alla nostra società haingenerato un profondo mutamento nel diritto, per cui la soddisfazione dei

bisogni dei bambini ha assunto un’importanza centrale, passando da una situa-zione di regolamentazione pressoché inesistente, al riconoscimento della titola-rità di propri diritti azionabili in giudizio.La filiazione naturale appare oggi pressoché equiparata a quella legittima, anchese la rilevanza della filiazione naturale come propugnata dall’art. 30 Cost. nonimporta conseguentemente il riconoscimento di uno status familiare di fatto. Ilfiglio naturale, infatti, pur godendo degli stessi diritti del figlio legittimo nei rap-porti con i terzi, non è titolare di uno status, tanto da dover sacrificare parte deipropri diritti qualora si rivelino incompatibili con i diritti dei membri della fami-glia legittima successivamente costituita dal genitore.Neppure si può desumere dal riconoscimento di una famiglia di fatto dal dispo-sto dell’art. 317 bis c.c., il quale disciplina l’esercizio della potestà da parte deigenitori naturali conviventi; atteso che però la norma mira alla tutela del figlio enon ai rapporti tra genitori, ne consegue che essa troverà applicazione anchenelle ipotesi in cui manchi una pur minima organizzazione di tipo familiare: aisensi del secondo comma, “Se i genitori non convivono, l’esercizio della potestàspetta al genitore col quale il figlio convive, ovvero se non convive con alcunodi essi, al primo che ha fatto il riconoscimento”.Sempre nell’ottica della tutela dei diritti del figlio, la giurisprudenza riconosceall’ex convivente con figli a carico una posizione affine all’assegnazione dellacasa coniugale (Corte Cost. 404/1998).La giurisprudenza sembra infine ormai ammettere la validità di accordi aventi adoggetto l’affidamento della prole naturale (vedi Trib. Palermo, 18.02.1987; Trib.Monza, 22.06.1990; Trib. Min. Reggio Calabria, 17.10.1994; App. Milano,4.12.1995; Cass., Sez. Un., 25.5.1993, n. 5847). Da cui consegue che ormai nes-sun dubbio dovrebbe poi porsi sull’ammissibilità dell’eventuale regolamentazio-ne pattizia della misura in cui ciascuno dei conviventi contribuirà al manteni-mento dei figli (eventualmente anche non minorenni).

I RAPPORTI TRA I CONVIVENTI

La questione dei diritti e obblighi tra i conviventi nei loro reciproci rapporti èdi cruciale importanza nell’ottica di una ricostruzione normativa della fami-

glia di fatto. Occorre pertanto operare debite distinzioni a seconda che si tratti di

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rapporti mortis causa oppure inter vivos.Per quanto attiene ai rapporti mortis causa, la Corte Costituzionale ha negato(sent. 310/1989 e sent.10/1998) che il partner possa essere assimilato ex art. 3Cost. al coniuge. Tale riconoscimento postulerebbe due inaccettabili corollari: ilcontrasto con il diritto successorio, stante l’impossibilità d’individuare categoriedei successibili in base a rapporti certi e incontestabili; e la necessità di una spe-cifica previsione normativa di diritti e obblighi fra i conviventi, a discapito dellavolontà delle parti di rifuggire da qualificazioni giuridiche. È stato così negatoal partner la possibilità di succedere nel diritto all’abitazione della casa di pro-prietà del partner defunto, attribuito al coniuge superstite ex art. 540 c.c. Nonpare inoltre possibile usufruire di mezzi di tutela alternativi come l’istituto deltrust per il contrasto normativo non ancora superato con i principi di responsabi-lità patrimoniale ex art. 2740 c.c.Per quanto riguarda i rapporti inter vivos, occorre innanzitutto stabilire se sussi-stano obblighi di mantenimento in costanza di convivenza. La giurisprudenza èormai arrivata riconoscere, dopo una lunga evoluzione, la natura solidaristicadell’obbligo di mantenimento a favore del convivente più debole, ravvisandol’insorgere di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. Così, ad esempio nel-l’acquisto di un appartamento a favore della donna (Cass. 60/1969) o nell’elar-gizione di somme di danaro a favore dell’uomo che si trovi in difficoltà econo-miche (Cass. 389/1975). Tuttavia nonostante il dichiarato intento di tutelare del-l’affidamento della parte debole, se da una parte un simile atteggiamento pro-muove la configurazione di un obbligo di mantenimento simile ai comportamen-ti che di norma dovrebbero sussistere tra coniugi ex art. 143 c.c., è pur vero chela disciplina dell’art. 2034 c.c. si limita meramente ad escludere la ripetibilità diquanto è stato spontaneamente versato in esecuzione di doveri morali o sociali.In seguito alla cessazione della convivenza, invece, la giurisprudenza è costan-te nell’affermare che nulla è dovuto a titolo di mantenimento, neppure se la rot-tura della convivenza sia ingiustificata, non costituendo tale comportamento unillecito ex art. 2043 c.c. per il principio volenti non fit iniuria. A sostegno di que-sta tesi, che nega il diritto al mantenimento da parte dell’ex-convivente, vieneposto il carattere di precarietà e revocabilità unilaterale che contraddistingue laconvivenza more uxorio, configuratesi come una mera situazione fattuale, cui siricollegano esclusivamente diritti e doveri di carattere morale. Sul piano pratico,la conseguenza è che la richiesta di uno dei due conviventi di un contributo alsuo mantenimento, manca di quel fumus bonis juris richiesto dalla legge per lapronuncia di un provvedimento di urgenza, atteso che la giurisprudenza non con-templa l’esistenza di alcun diritto di mantenimento in capo all’ex convivente difatto (Trib. Napoli, 8.07.1999). I conviventi vengono pertanto equiparati a terziestranei, con conseguente impossibilità di apprestare una qualche tutela sia pureminima, nei confronti della parte economicamente più debole, specialmente inassenza di figli. Si pensi al partner non proprietario o non titolare del diritto digodimento sulla casa paraconiugale, che, se scacciato, non ha alcun diritto diabitazione né può far valere una situazione possessoria che la prevalente giuri-sprudenza nega, assimilando il partner a un ospite.In conclusione, si può quindi osservare il vuoto normativo viene parzialmentecolmato dal riconoscimento operato dalla giurisprudenza di forme di regolamen-tazione demandate all’autonomia privata. In quanto contratti atipici, sonoammissibili sulla scorta dell’art. 1322 c.c., purché perseguano interessi merite-

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

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voli di tutela e non contrastino con norme imperative, principi di ordine pubbli-co e di buon costume.Così, risulta valido ed efficace il contratto di costituzione di usufrutto d’immo-bile stipulato tra due conviventi more uxorio, senza corrispettivo alcuno, oveesso trovi fondamento nella convivenza stessa e nell’assetto che i conviventiintendono dare ai rapporti (Trib. Savona 7.03.2001). Ed è proprio nell’otticapragmatica di una progressiva contrattualizzazione del diritto di famiglia, che lafamiglia di fatto sembra finalmente acquisire effettiva rilevanza giuridica,mediante appositi “contratti di convivenza”, manifestazioni di volontà principal-mente dirette a disciplinare i rapporti patrimoniali, ancorché estese a profili dicarattere personale come i doveri di fedeltà, assistenza morale, collaborazione ecoabitazione, apparentemente inidonei a costituire «prestazione» ai sensi del-l’art. 1174 c.c. e a essere dedotti in contratto secondo il disposto dell’art. 1321c.c.. Un simile negozio comporta tuttavia la necessità di meccanismi pubblicita-ri che garantiscano un certo grado di opponibilità ai terzi.

I RAPPORTI CON I TERZI

Nei rapporti con i terzi la rilevanza della famiglia di fatto poggia sul dato fat-tuale della stabile convivenza, al fine della distinzione dal semplice rapporto

occasionale (Cass. 3503/1998).Ad esempio, in materia di revisione dell’assegno di separazione o divorzio, seconvivente è l’obbligato, dovrà tenersi conto della contribuzione al ménage para-coniugale; se invece convivente è chi riceve l’assegno, dovrà tenersi conto del-l’aiuto che costui riceve dal partner. La convivenza more uxorio di coniuge sepa-rato che abbia acquisito carattere di stabilità è dunque in grado d’influire sull’en-tità dell’assegno di divorzio (Cass. 13060/2002).Analogamente, mentre è pacifico in giurisprudenza che l’uccisione del partnerdà sempre diritto al risarcimento del danno morale ex art. 2059 c.c. (C. Cost.372/1998), per quello patrimoniale il superstite deve dare la prova della conti-nuità delle contribuzioni ricevute in vita dal defunto (Ass. App. Ancona17.4.2002).Inoltre al convivente superstite è stato riconosciuto il diritto a succedere nel con-tratto di locazione ex art. 6, L. E., in caso di morte del partner locatario. A diffe-renza del caso di rottura del ménage, per cui la successione è subordinata al fattoche al convivente vengano assegnati i figli naturali.Un’equiparazione normativa si rende infine necessaria in alcuni specifici casicome, per la materia penale, le previsioni riguardanti il favoreggiamento perso-nale, l’omessa denuncia, il reato di mancata assistenza familiare e maltrattamen-ti in famiglia. In diritto civile, si rende necessaria soprattutto per la tutela delcontributo lavorativo del convivente nell’impresa familiare ex art. 230 bis c.c.Auspicabile sarebbe anche una modifica dell’attuale doppio canale di giurisdizio-ne che trova conferma nella sentenza della Corte Costituzionale n. 451/1997, per iconviventi con prole, i quali devono adire il Tribunale dei Minorenni per le verten-ze in materia di affidamento dei figli, e il Tribunale Ordinario per la determinazio-ne del relativo assegno di mantenimento in caso di cessazione della convivenza.In conclusione, sarebbe auspicabile l’attribuzione di un maggior rilievo allafamiglia di fatto attraverso una disciplina legislativa discreta e rispettosa dell’au-tonomia negoziale dei conviventi, intesi quali componenti di un nucleo familia-re. La forza della famiglia di fatto potrebbe quindi risiedere nella forza del con-

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tratto, come ormai confermato dalla felice esperienze di diversi ordinamenti stra-nieri, poggiando su caratteri di duttilità e concretezza che ne faciliterebbero lafruizione, difficilmente garantibili da una disciplina imposta dall’alto. Del resto,il contratto non ha forse forza di legge tra le parti?

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

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La crescente diffusione sociale del fenomeno delle famiglie di fatto porta aduna necessaria riflessione su quali siano gli attuali diritti e doveri dei mem-bri del nucleo familiare, nonché sulla presenza di garanzie a tutela di una

unione che, pur non essendo fondata sul matrimonio, non suscita più quellariprovazione sociale, conseguenza delle tradizioni religiose ed etiche del nostroPaese, a lungo sostenuta.Dalla fine degli anni sessanta ad oggi si è assistito ad un lento quanto inesorabi-le percorso, tuttora in atto, indirizzato verso un generale riconoscimento dellafamiglia di fatto come modello alternativo di aggregazione e come strutturasociale alternativa alla famiglia legittima.La generalizzata disapprovazione sociale nei confronti delle relazioni extraco-niugali manifestata sia nel Codice Penale, attraverso la previsione dell’adulterioe del concubinato come reati, sia nel Codice Civile, con la discriminazione deifigli naturali e la valutazione del tradimento come causa di separazione, viene ad

essere intaccata dapprima dalle pro-nunce della Corte Costituzionale 19dicembre 1968, n. 126 e 3 dicembre1969, n. 147, che abrogano i reati diadulterio e concubinato, successi-vamente dalla legge sul divorzio898/1970, che regolarizza le posi-zioni dei conviventi nonostante l’e-sistenza di un precedente matrimo-nio di uno dei membri della coppia,ed infine dalla legge di riforma deldiritto di famiglia del 19 maggio

1975, n. 151.Viene quindi finalmente rispettato il principio costituzionale (art. 30 Cost.) oveafferma che “la legge assicura ai figli naturali nati fuori dal matrimonio ognitutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglialegittima”.In armonia con questo principio, la tutela giuridica accordata ad entrambi gli sta-tus di figlio (legittimo e naturale) si differenzia sotto due aspetti: la prima parti-colarità concerne l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima, inconsiderazione del fatto che tale ingresso deve essere necessariamente autorizza-to dall’autorità giudiziaria, dietro valutazione dell’interesse del minore e consen-so del coniuge e dei figli legittimi ultrasedicenni.La seconda differenza si rileva nell’ambito delle successioni mortis causa, conriferimento al diritto di commutazione, spettante ai figli legittimi, cui compete lafacoltà di soddisfare la porzione spettante ai figli naturali per mezzo di denaro odi beni immobili ereditari, previo consenso degli stessi figli naturali e, in casocontrario, ad esito della decisione del Giudice (art. 537, comma 3, c.c.).La riforma del 1975 ha profondamente inciso sulla disciplina della filiazionenaturale: in particolare, gli artt. 250 c.c. e ss. appaiono modificati dimostrando,da un lato, una maggiore adeguatezza al testo costituzionale per mezzo dellaequiparazione tra status legittimo e naturale nel diritto della prole al manteni-mento, istruzione ed educazione da parte dei genitori e, dall’altro, una particola-re attenzione rivolta al figlio nato fuori dal matrimonio, sia nei rapporti con imembri della famiglia legittima del padre o della madre naturali, sia nella mani-

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ANNA GALIZIADANOVI

AVVOCATO DEL FORODI MILANO

PRESIDENTE DELCENTRO PER LA

RIFORMA DEL DIRITTODI FAMIGLIA

LA FILIAZIONE NATURALE

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA

ORGANIZZATO DALL’AIAF SALERNO, MARZO - MAGGIO 2004

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festazione della sua volontà.La filiazione naturale richiede essenzialmente due requisiti: la nascita del figlioin assenza di matrimonio ed il riconoscimento ovvero la dichiarazione giudizia-le di paternità o maternità.

IL RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATURALE

L’art. 250 c.c. delinea il riconoscimento come atto personale per mezzo delquale coloro che sono responsabili della procreazione decidono di assumere

lo status di genitori, congiuntamente o separatamente. Si tratta non solo di unatto volontario, per il quale è richiesta la capacità d’intendere e di volere ed unpieno convincimento espresso senza termini o condizioni, ma anche di unadichiarazione di scienza, per mezzo della quale si dà pubblicità alla filiazione;inoltre, richiedendo tale dichiarazione una decisione strettamente intima e priva-ta, non sono ammessi rappresentanti legali o volontari.Il riconoscimento non può essere considerato come negozio giuridico, poiché glieffetti non sono determinati dal genitore, ma derivano direttamente ex lege.Le fondamentali innovazioni introdotte dall’art. 102 della legge 151/1975, cheha modificato l’art. 250 c.c., sono rappresentate dalla possibilità di riconosci-mento dei figli adulterini, prima negata in virtù di una incondizionata riprovazio-ne sociale nei confronti della relazione extraconiugale e dei suoi frutti, nonchédall’affermazione della rilevanza dell’assenso del figlio ultrasedicenne affinchéil riconoscimento sia produttivo di effetti.L’assenso del figlio viene così ad assumere la veste di una condictio iuris diapprovazione dell’atto di riconoscimento, di per sé valido ma inefficace: “neconsegue che, essendo il riconoscimento irrevocabile, l’assenso potrà essere pre-stato in ogni tempo, determinandone l’efficacia, posto che la norma non prevedealcun termine di decadenza”1.Nel caso in cui il minore non abbia ancora compiuto i sedici anni, l’art. 250,comma 3, c.c. prevede che sia necessario il consenso dell’altro genitore cheabbia già provveduto al riconoscimento, allo scopo di poter valutare comparati-vamente nel concreto l’interesse del figlio in vista dello sviluppo equilibrato edarmonico del fanciullo. La natura giuridica del consenso è dubbia: la dottrina haparlato sia di autorizzazione, che di condizione di efficacia del riconoscimento;è invece evidente il suo carattere discrezionale poiché nel caso in cui il genitoreche ha già riconosciuto il figlio ritenga che questi potrebbe essere danneggiatonel suo interesse dal riconoscimento, può negare il consenso.Tale decisione può essere impugnata davanti al Tribunale per i minorenni, intro-ducendo così un procedimento di volontaria giurisdizione, il cui oggetto è l’in-dagine del reale interesse del minore, in cui il fanciullo viene ad essere conside-rato parte e quindi deve essere certamente ascoltato ed eventualmente rappresen-tato in giudizio da un curatore. Ciò che dovrà essere oggetto di valutazione daparte del giudice non sarà quindi la moralità o l’idoneità dell’adulto di esseregenitore, ma l’incidenza che il riconoscimento potrebbe avere sul fanciullo, tantopiù che i poteri inquisitori sono ampi e non c’è vincolo dato dalle allegazionidelle parti: la situazione viene quindi considerata dal punto di vista del superio-re interesse del minore e ciò ha giustificato, ad esempio, la pronuncia delTribunale per i minorenni di Milano (sentenza 4 maggio 1977) che ha ritenuto

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

1 DOGLIOTTI, FIGONE, Famiglia e procedimento, Milano, 2001, pg. 197.

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non fosse a favore del figlio il riconoscimento da parte del genitore che nonavesse mai costruito con lui alcun tipo di valido rapporto affettivo.La decisione viene assunta dal Tribunale in camera di consiglio e, in caso diaccoglimento della domanda, tiene luogo del mancato consenso ed è quindi daritenersi condizione di efficacia del riconoscimento. Contro di essa si può ricor-rere in Appello, ma non in Cassazione, se non ai sensi dell’art. 111 Cost.L’orientamento della riforma circa l’eliminazione del divieto di riconoscimento deifigli adulterini non ha trovato applicazione con riferimento ai figli incestuosi, cioènati da soggetti legati da un vincolo di parentela in linea retta all’infinito ovveroin linea collaterale nel secondo grado o da rapporto di affinità in linea retta.Al riguardo le sole eccezioni che consentono il riconoscimento sono da riferirsialla ipotesi in cui il padre e la madre non fossero a conoscenza del vincolo almomento del concepimento, come pure al caso in cui il matrimonio che è causadell’affinità sia stato dichiarato nullo (in tal caso, poiché la dichiarazione operaex tunc, i figli vengono considerati come mai stati incestuosi). Circa l’accerta-mento della buona fede dei genitori (o di uno di essi), la dottrina è divisa: sidiscute se tale requisito sia da provare in sede di riconoscimento oppure sia suf-ficiente una mera attestazione.Si rende necessaria l’autorizzazione del Giudice, preventiva rispetto al ricono-scimento, affinché venga valutato l’interesse del minore per mezzo della compa-razione tra i vantaggi che potrebbero derivare al fanciullo dalla instaurazione diun rapporto giuridicamente riconosciuto con il padre o la madre e gli eventualipregiudizi dati dalla pubblicità della propria origine incestuosa.La competenza è del Tribunale dei minorenni del luogo in cui il figlio risiede; ilprocedimento si svolge in camera di consiglio ed è richiesto il parere del pubbli-co ministero.Se il Tribunale nega l’autorizzazione e vi è stato precedente riconoscimento del-l’altro genitore senza che si sia configurato un intervento giurisdizionale, ilGiudice può consentire al minore di impugnare il riconoscimento ex art. 264 c.c.,nominando un curatore speciale ed aprendo un procedimento di adottabilità.2

L’AFFIDAMENTO DEL FIGLIO E IL SUO INSERIMENTO NELLA FAMIGLIA LEGITTIMA DEL GENITORE EX ART. 252 C.C.

L’art. 252 c.c. si occupa del tema delle condizioni dell’affidamento del figlioadulterino a seconda che il riconoscimento da parte del genitore sia avvenu-

to durante o anteriormente al suo matrimonio.Il primo comma stabilisce che, in caso di costanza di matrimonio, la decisionesulla custodia del figlio naturale viene assunta dal Giudice, che ha il compito divalutare tutte le circostanze e adottare ogni provvedimento idoneo a garantirel’interesse morale e materiale del fanciullo, compreso l’ammontare del contribu-to periodico al mantenimento da parte del non affidatario.Il Giudice può autorizzare, ai sensi del secondo comma, previo consenso dell’al-tro genitore che abbia proceduto al riconoscimento e dei figli legittimi ultrasedi-cenni e conviventi, l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima delpadre o della madre, a condizione che i coniugi siano conviventi, non invece se

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2 In caso di riconoscimento effettuato nonostante il divieto previsto dall’art. 251 c.c., il pubblico mini-stero o chiunque abbia interesse potrà agire per l’annullamento.

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il genitore naturale sia divorziato o anche solo separato di fatto e non vi sianofigli legittimi.Viene quindi dato risalto alla volontà del figlio adolescente, riconoscendo ildiritto ad una vita serena ed in armonia con il proprio ambiente familiare diappartenenza, nel quale egli vive. Se, da un lato, il figlio adulterino ha la possi-bilità concreta di entrare a fare parte della famiglia legittima del padre, qualoraciò corrisponda al suo superiore interesse, dall’altro non viene trascurata la prolelegittima ed il pari diritto di questa ad una crescita armonica ed equilibrata.D’altra parte, la collocazione in un contesto ostile non potrebbe essere di benes-sere ad alcuno dei membri della famiglia: pertanto viene lasciata all’autonomiadel minore sedicenne, figlio legittimo, la scelta se accogliere un altro soggetto,legato da vincoli di parentela con uno dei suoi genitori, oppure se opporsi a taleingresso, paralizzandolo.Se il riconoscimento è intervenuto anteriormente al matrimonio, l’art. 252,comma 3, c.c dispone che l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legitti-ma sia subordinato al consenso dell’altro coniuge; da questo si prescinde quan-do il figlio fosse già convivente con il genitore all’atto delle nozze o l’altroconiuge fosse a conoscenza della sua esistenza.Anche in questo caso è richiesto inoltre il consenso del genitore che abbia giàproceduto al riconoscimento, essendo irrilevante il dissenso del genitore biolo-gico in quanto tale.Peraltro, anche qualora siano sussistenti tutti i consensi sopraindicati, unico verointerprete decisivo di ciò che si possa realmente definire “interesse del minore”è e rimane il Giudice, il quale può negare l’autorizzazione se ritiene che l’ingres-so nella famiglia legittima sia pregiudizievole e/o arrechi turbamento alla sferapersonale, morale e materiale del fanciullo.

FORMA DEL RICONOSCIMENTO

Il riconoscimento ha forma libera, purché sia manifestata una chiara volontàunivoca: nell’atto di nascita, in un’attestazione davanti all’Ufficiale dello Stato

Civile, in un atto pubblico o in un testamento.Possono essere riconosciuti anche i figli concepiti non ancora nati o del figliopremorto a favore dei suoi discendenti legittimi e dei suoi figli naturali ricono-sciuti, ma l’atto non può mai mettere in discussione lo status di figlio legittimoo legittimato (art. 253 c.c.).Essendo un atto unilaterale, il riconoscimento, anche se da parte di entrambi igenitori, crea rapporti paralleli e distinti con la prole.Di conseguenza, gli effetti dell’atto sono personali e limitati al suo autore: ogniindicazione relativa all’altro genitore è inefficace e, se ricevute dall’Ufficialedello Stato Civile (che incorre così in sanzione), devono essere cancellate (art.258 c.c.).La piena parificazione tra prole legittima e naturale trova espressione in campocivile nell’enunciazione dell’art. 261 c.c., che fa discendere dal riconoscimentodel figlio nato fuori dal matrimonio, in capo ai genitori, tutti i doveri ed i dirittiprevisti nel rapporto genitoriale legittimo.

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

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IL COGNOME

Èevidente che il cognome3 è uno degli elementi caratterizzanti la persona.Nel caso in cui il figlio sia naturale, l’assunzione del nome del padre o della

madre assume un particolare significato di appartenenza ad un contesto familia-re ed è conseguenza del riconoscimento: l’ordinamento dimostra di volere attri-buire al genitore che più prontamente ha desiderato assumersi la responsabilitànei confronti della prole il diritto di dare il proprio nome alla discendenza, ameno che il riconoscimento sia avvenuto contemporaneamente da parte del padree della madre, nel qual caso il figlio naturale acquisisce il cognome del padre.Ciò non appare dissonante rispetto al principio di uguaglianza in quanto anchenella famiglia legittima, il figlio assume il cognome paterno.Se la madre ha preceduto il padre nel riconoscimento, il figlio maggiorenne puòassumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello dellamadre.Se invece si tratta di prole minore d’età, è il Tribunale dei minorenni che decidetra le soluzioni di cui sopra considerando esclusivamente l’interesse del fanciul-lo (art. 262 c.c.).

L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO

L’impugnativa del riconoscimento può avvenire con l’esercizio di diverse azioni:per difetto di veridicità, per violenza e per effetto di interdizione giudiziale.

In particolare, l’art. 263 c.c. dispone che il riconoscimento possa essere impu-gnato per difetto di veridicità dell’autore del riconoscimento, da colui che èstato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse.Nel procedimento contenzioso è ammessa ogni tipo di prova, anche genetica oematologica4, mirata a dimostrare che l’autore dell’atto che ha creato lo status nonè anche responsabile della procreazione: nel caso in cui sia contestata la materni-tà, sarà necessario che la madre che si manifesta come tale non abbia partorito ilbambino riconosciuto, o abbia dato alla luce un bambino diverso; se invece l’im-pugnazione è diretta contro la paternità, occorrerà provare, ad esempio, l’impo-tenza di generare o l’assenza di rapporti con la madre del riconosciuto.È da considerare che, sotto certi aspetti, vi è un parallelismo tra l’impugnazioneconsiderata e la contestazione di legittimità poiché sembra sussistere ai sensidell’articolo 263 c.c. un’opposizione allo stato di figlio naturale: l’imprescritti-bilità dell’azione comporta per la prole nata fuori dal matrimonio la possibilità,sfavorevole dal punto di vista della certezza, di vedere impugnato in qualsiasimomento il proprio status, diversamente da quanto previsto per il disconosci-mento che è infatti sottoposto a brevi termini di decadenza.La ratio di tale distinzione risiede nello scopo fondamentale proprio di tutta ladisciplina in materia di filiazione, ovvero l’accertamento dei reali rapporti inter-correnti tra gli interessati sia di carattere personale che patrimoniale.Sono legittimati attivi colui che abbia proceduto al riconoscimento, l’altro geni-

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3 La Corte Costituzionale, con sent. 23 luglio 1996, n. 297, ha peraltro affermato l’incostituzionalitàdell’art. 262 c.c. nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, nell’assumere il cognomedel genitore che lo ha riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a man-tenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attri-buitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome fosse divenuto autonomo segno distinti-vo della sua identità personale.

4 CASS., 16 marzo 1991, n. 2820

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tore, il figlio ed, in generale, chiunque vi abbia interesse (parenti, eredi, il verogenitore che fornisca la prova di essere tale).L’impugnazione da parte del figlio è esclusa finché egli sia minore o interdetto;tuttavia è prevista la possibilità che il Giudice autorizzi all’azione il fanciulloattraverso la nomina di un curatore speciale, con provvedimento assunto incamera di consiglio su istanza del pubblico ministero, del tutore, del genitore cheabbia validamente riconosciuto o del figlio ultrasedicenne riconosciuto quindipienamente autonomo nella tutela del suo stato (art. 264 c.c.).Il Giudice può procedere d’ufficio se vi sia il sospetto di falsi riconoscimenti alloscopo di eludere la legge sull’adozione.La legittimazione passiva si riferisce invece al genitore, il cui riconoscimento èimpugnato, ed il riconosciuto, a favore del quale, se minore, sarà nominato dalTribunale ordinario un curatore speciale.Allo scopo di evidenziare l’intento del legislatore di anteporre il favor veritatisa quello legitimitatis, considerato il carattere accertativo del riconoscimento, ladisposizione in esame stabilisce che l’impugnazione è ammessa anche dopo lalegittimazione.La dottrina5 ha ritenuto di dovere estendere il contenuto della norma in via ana-logica anche al riconoscimento contra legem, non invece alla mancanza di assen-si e consensi, che rende il riconoscimento inefficace e che prevede, se l’atto èstato annotato sui registri dello Stato Civile, solo un’azione di rettifica.Conseguenza necessaria del giudizio è l’accertamento erga omnes dell’esistenzao meno dello stato naturale.Le conseguenze dell’accoglimento della domanda possono essere molto graviper il minore, soprattutto in caso di esercizio tardivo dell’azione vista la suaimprescrittibilità, in quanto egli perde definitivamente il suo status ed è dichia-rato, se privo dell’altro genitore, in condizione di abbandono. La Cassazione6 hapertanto ritenuto che sia comunque possibile il mantenimento del cognome oveesso costituisca un elemento fondamentale dell’identità del figlio in quanto por-tato per anni.L’art. 265 c.c si riferisce all’ipotesi di riconoscimento effettuato per violenza psi-chica, così come considerata dall’art. 1434 e ss. c.c, ed offre un valido strumen-to affinché lo status naturale sia attribuito in condizioni di veridicità e libertà.Legittimato all’azione è l’autore del riconoscimento che abbia subito violenza,quindi eventualmente anche il minore, per mezzo di un rappresentante legale oautonomamente entro un anno dal compimento della maggiore età.Ferma restando la natura di atto personalissimo del riconoscimento, esso devenecessariamente provenire da persona capace di agire.Qualora vi sia sentenza giudiziale di interdizione dell’autore (tassativamente inquesta ipotesi, essendo escluse l’incapacità naturale e l’interdizione legale), neconsegue un evidente mancanza di certezza giuridica; pertanto è ammessa impu-gnazione da parte del rappresentante legale e, dopo l’eventuale revoca, dallostesso interdetto entro un anno (art. 266 c.c.).L’azione di impugnazione del riconoscimento per violenza o per interdizioneviene trasmessa, in caso di morte dell’autore, ai discendenti, ascendenti o eredi,

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

5 CARRARO, Commentario alla riforma del diritto di famiglia, Padova, 1977; Dogliotti, Figone, MazzaGalanti Codice dei minori, Milano, 1999.

6 CASS. 4 aprile 1978, n. 1507.

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con l’esclusione degli aventi causa, stante il contenuto non patrimoniale dell’at-to (art. 267 c.c.).Ogni qual volta il riconoscimento sia impugnato, il Tribunale può dare, nel corsodel giudizio e anche d’ufficio, tutti i provvedimenti che ritiene opportuni nell’in-teresse del figlio, ad esempio, sulla sospensione della trascrizione del riconosci-mento ovvero relativi all’affidamento e all’esercizio della potestà.Si tratta di provvedimenti provvisori che possono pertanto essere confermati,modificati o integrati dalla pronuncia definitiva ed impugnati con essa.

LA DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITÀ O MATERNITÀ.

Qualora i genitori decidano di non procedere al riconoscimento, atto libero evolontario, si aprono due strade: la dichiarazione dello stato di abbandono

ovvero la possibilità per il figlio di esperire un’azione imprescrittibile da eserci-tare davanti al Tribunale, volta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paterni-tà o maternità.La riforma del 1975 ha profondamente modificato il regime dell’impugnazione,ammettendola in ogni caso e con ogni mezzo di prova (purché siano forniti indi-zi gravi, precisi e concordanti e con il solo limite dei casi di divieto di riconosci-mento) ed ha esteso il suo ambito di applicazione anche alla prole nata o conce-pita prima della sua entrata in vigore purché il decorso dei termini di decadenzaprevisti dalla disciplina precedente non sia stato dichiarato con sentenza passatain giudicato.Le presunzioni tassativamente contemplate dall’art. 269 c.c. prima della riforma,individuate nella convivenza della madre e del presunto padre al tempo del con-cepimento, nella paternità risultante indirettamente da sentenza civile o penale oda dichiarazione scritta del presunto padre, nel ratto o nella violenza carnale nelconcepimento e nel possesso di stato di figlio naturale, sono oggi consideratecome elementi di prova o come meri indizi cui il giudice può fare riferimento alfine di formare il proprio convincimento.Lo sviluppo della ricerca scientifica in campo biologico e medico consente oggila possibilità dell’utilizzo di prove ematiche ed immunogenetiche che offrono ungrado di certezza pressoché assoluta circa l’esistenza di un vincolo di filiazione.Tuttavia, l’ammissione di tali indagini rimane nella facoltà del giudice, il qualepuò ritenere di non ricorrervi già disponendo di sufficienti elementi processualiutili ai fini della decisione. D’altra parte, il rifiuto ingiustificato di sottoporsiall’analisi ematologica è comportamento suscettibile di essere valutato ex art.116 c.p.c.All’ultimo comma dell’art. 269 c.c. viene precisato che la mera dichiarazionedella madre o l’esistenza di rapporti col presunto padre non costituiscono provadella paternità naturale, ma in realtà, se accompagnati da altri elementi rilevan-ti, anche tali indizi possono essere oggetto del libero apprezzamento del giudice.Ai sensi dell’art. 270 c.c., l’azione spetta esclusivamente al figlio, rispetto alquale è imprescrittibile, e dà vita ad un rito di carattere contenzioso con citazio-ne ad udienza fissa. In caso di morte del legittimato attivo, i discendenti, al finedi far valere l’interesse riflesso iure sanguinis alla dichiarazione giudiziale, pos-sono promuovere il giudizio entro due anni dal decesso, a pena di decadenza, oproseguire il procedimento, se il figlio muore dopo aver esercitato l’azione. Èperaltro sufficiente la proposizione del ricorso di ammissibilità ex art. 274 c.c.entro il termine.

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L’art. 273 c.c. disciplina l’ipotesi di un procedimento sui generis, di stampocamerale ma con alcuni caratteri propri del rito contenzioso, davanti al Tribunaledei minorenni, nel caso in cui il figlio, legittimato attivo, sia minore d’età evenga perciò rappresentato dal genitore, compresa la madre del nascituro7 o daltutore nell’esperimento dell’azione, esercitata in suo nome e per suo conto. Sitratta quindi di una sostituzione processuale, volta a fare dichiarare la filiazionedel rappresentato.Se la domanda è proposta dal tutore, il giudice dovrà fornire un’autorizzazioneche attesti l’avvenuta verifica dell’utilità del procedimento per il minore e potràanche nominare un curatore speciale.Il soggetto ultrasedicenne non può esperire l’azione autonomamente, tuttavia ilsuo consenso è condizione per l’instaurazione e la continuazione del processo:tale previsione è perfettamente in linea con la generale impostazione della rifor-ma del 1975, volta ad accentuare l’autonomia del minore adolescente.L’attribuzione della competenza avviene in virtù del soggetto della cui filiazio-ne si tratta: se minore, il Tribunale adito è quello dei minorenni, in caso contra-rio, si ricorre al Tribunale ordinario. Nonostante le diverse eccezioni sollevate,tale distinzione (introdotta con l’entrata in vigore della legge 184/1983) è statamantenuta.Dopo lunghe discussioni dottrinali, la Cassazione8 ha affermato la natura came-rale del procedimento davanti al Tribunale del luogo di residenza del genitoreconvenuto, precisando che il termine per l’appello è quello del rito ordinario eche la forma è quella del ricorso anche se la citazione non vizia l’appello, pur-ché l’iscrizione al ruolo sia avvenuta entro trenta giorni dalla notifica della sen-tenza impugnata.Il procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità si artico-la in due fasi autonome: la prima si concretizza in un giudizio di ammissibilitàdell’azione, la seconda nel processo di merito. Tale ripartizione è stata criticatain quanto ritenuta dalla giurisprudenza residuo storico che comporta un’inutilesdoppiamento e tempi processuali più lunghi; tuttavia la Corte Costituzionale haritenuto di confermarla come legittima.Per quanto riguarda il giudizio di delibazione ex art. 274 c.c., l’oggetto preso inconsiderazione è la probabilità del vincolo di filiazione.Secondo una prima tendenza, la Cassazione9 riteneva che il Giudice avrebbedovuto valutare la sussistenza del fumus bonis iuris, evitando così processi teme-rari o avventati; successivamente, l’ammissibilità è stata invece ricondotta esclu-sivamente alla non manifesta infondatezza, rilevando inoltre l’innovativo riferi-mento alle “specifiche circostanze” in luogo ai precedenti “indizi” richiesti perl’azione.In virtù dell’intervento della Suprema Corte10, che ha dichiarato l’articolo inesame costituzionalmente illegittimo nella parte in cui ometteva il riferimentoall’interesse del minore infrasedicenne nell’esercizio dell’azione da parte delgenitore esercente la potestà, da un lato è stato dato riconoscimento alla posizio-ne soggettiva del fanciullo di fronte ad un genitore che non intende essere tale,

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

7 TRIBUNALE DI BRESCIA, 1 febbraio 1982, in Giur. It., 1983, I, 2, pg. 350.8 CASS. S. U. 19 giugno 1996, n. 5629.9 CASS. 28 settembre 1977, n. 4130.10 CORTE COST. 20 luglio 1990 n. 341.

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dall’altro si è fornita una nozione talmente ampia da non potere essere utilizza-ta validamente come criterio guida senza un intervento chiarificatore. Di conse-guenza, la giurisprudenza ha individuato una serie di aspetti (personali, sociali,economici, relazionali) che potessero definire l’interesse del minore; tuttavia èrimasto aperto il problema del collegamento e della eventuale gerarchia tra talielementi, anche se è da ritenere che solo la valutazione approfondita del casoconcreto possa offrire una valida risposta.Giudice competente sull’ammissibilità è lo stesso che valuterà il merito. Il rito ècamerale: il Giudice decide sul ricorso, sentito il Pubblico Ministero, con decre-to reclamabile e ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost., considerata la suadefinitività ed il carattere decisorio.Relativamente all’incidenza del giudizio di delibazione sulla fase di merito, pre-messo che il primo deve sempre precedere il secondo perché vi sia una funzio-nalità nella ripartizione, è da ritenere che il Giudice della prima fase possa pro-nunciarsi anche su questioni preliminari di rito e di merito, come ad esempio lalegittimazione attiva, l’integrità del contraddittorio ovvero la presenza di giudi-cati, con la conseguenza che la relativa pronuncia sarà efficace anche nel proces-so successivo (fermo restando che, vista l’autonomia dei due momenti proces-suali, le eventuali nullità vanno dedotte solo in sede di impugnazione e non nellafase di merito).Ai sensi dell’art. 276 c.c. è legittimato passivo il presunto genitore, poiché l’a-zione è diretta ad ottenere la dichiarazione di status naturale mediante l’accerta-mento dell’esistenza di un vincolo di filiazione nei suoi confronti. Peraltro, cosìcome il figlio, anche il padre o la madre minorenni devono stare in giudizio permezzo di un rappresentante legale, non essendo sufficiente ad attribuire pienacapacità processuale la previsione legislativa della facoltà di riconoscimento daparte dell’ultrasedicenne.In caso di morte del presunto genitore, l’azione è esperita nei confronti deglieredi; in assenza di questi ultimi, sarà nominato un curatore speciale dietrorichiesta da presentarsi al Presidente del Tribunale ordinario o minorile, a secon-da che l’attore sia o meno maggiorenne.All’ultimo comma viene prevista la possibilità di intervento autonomo da partedi chiunque abbia interesse a contraddire: tale soggetto potrebbe essere, ad esem-pio, l’avente causa degli eredi, un parente stretto dell’attore o del presunto padreovvero l’altro genitore naturale.La sentenza con la quale si dichiara la filiazione naturale produce i medesimieffetti retroattivi del riconoscimento (art. 277 c.c.). Se il figlio è minore, ilGiudice può adottare tutte le misure di carattere personale che ritiene più oppor-tune a garanzia del minore stesso: tali provvedimenti sono provvisori e potrannoessere oggetto di impugnazione con la sentenza definitiva.

IL DIRITTO AL MANTENIMENTO DELLA PROLE NON RICONOSCIBILE E NON RICONOSCIUTA

Oltre alle azioni di stato sopra considerate, la riforma ha innovato profonda-mente il giudizio mirato ad ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educa-

zione del figlio minore ovvero gli alimenti per il maggiorenne.L’art. 279 c.c. delinea pertanto una situazione assimilabile alla ricerca dellapaternità o maternità in quanto il procedimento è mirato alla identificazione delsoggetto titolare degli obblighi genitoriali sanciti dal dettato costituzionale. Il

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riferimento è non solo alla prole non riconoscibile (i figli incestuosi) ma ancheai figli non riconosciuti, a quelli per i quali non è stata proposta azione ex art.269 c.c. ovvero a favore dei quali non è stato prestato il consenso previsto dal-l’art. 250, comma 4, c.c.In particolare, la norma in esame estende il diritto agli alimenti (ma sarebbe piùopportuno parlare di diritto al mantenimento) già contemplato dall’art. 426 c.c.in relazione ai figli legittimi e naturali riconosciuti o accertati giudizialmente, atutti i figli.L’obbligo alimentare varia a seconda che il beneficiario sia minore o maggiored’età.Nel primo caso, il contenuto è rappresentato dal pagamento di un assegno perio-dico a garanzia del mantenimento, dell’istruzione e dell’educazione; nella secon-da ipotesi, dalla corresponsione degli alimenti, fermo restando che il diritto almantenimento perdura fino alla autonomia economica del figlio naturale (cosìcome nel caso della prole legittima).L’azione viene esercitata, secondo il dettato della norma, solo dal figlio che, seminorenne, viene rappresentato da un curatore speciale nominato dal Giudice surichiesta del Pubblico Ministero o del genitore che esercita la potestà; in propo-sito, la dottrina ha ritenuto che sia senz’altro più razionale ammettere che il geni-tore possa, se lo vuole, agire in nome e per conto del figlio.È legittimato passivo il genitore cui è richiesto l’adempimento degli obblighi dicui sopra. Non è prevista la possibilità di rivolgere l’azione nei confronti diascendenti o parenti in caso di morte o incapacità del padre o della madre nel farfronte ai suoi obblighi.

LA DISCRIMINAZIONE RESIDUA IN AMBITO SUCCESSORIO

Èperaltro da rilevare che, dal punto di vista successorio, sussiste ancora un ulti-mo retaggio della preferenza accordata alla famiglia legittima dal codice del

1942, dato dal trattamento differenziato dei figli naturali rispetto a quelli legitti-mi: infatti, l’art. 537 c.c. riconosce il cosiddetto “diritto di commutazione” deifigli legittimi, che si concretizza nella facoltà accordata dalla legge di corrispon-dere in denaro o in beni immobili ereditari la parte di eredità spettante ai figlinaturali, escludendoli così dalla comunione ereditaria.I figli naturali possono peraltro opporsi a tale decisione. In tal caso, decide ilgiudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali.

LA LEGITTIMAZIONE DEL FIGLIO NATO FUORI DAL MATRIMONIO

Ai sensi dell’art. 280 c.c., il figlio nato fuori dal matrimonio acquisisce lo sta-tus di legittimo per mezzo della legittimazione.

Esistono due cause fondamentali che giustificano tale modificazione: un succes-sivo matrimonio ovvero un provvedimento del Giudice.Presupposto dell’istituto in esame è la sussistenza di una disparità, che peraltrola riforma del diritto di famiglia ha cercato di appianare, tra i figli naturali equelli legittimi.Infatti, se da un lato le modifiche a favore di un’equiparazione sono state molte-plici, dall’altro alcuni residui storici sono stati mantenuti: si pensi, ad esempio,alla disciplina del cognome, all’inserimento nella famiglia, ai rapporti ereditari,nonché alla efficacia del rapporto di filiazione, limitata esclusivamente alla per-

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sona del genitore che ha compiuto il riconoscimento.Affinché la legittimazione operi, è necessario che il figlio sia stato riconosciuto,anche se non da entrambi i genitori, poiché non si può prescindere dall’esisten-za di un positivo atto formale che accerti il rapporto di filiazione; l’ordinamentovieta infatti l’applicazione della disciplina ex art. 280 c.c. ai figli che non posso-no essere riconosciuti (art. 281 c.c.) ma consente la legittimazione dei figli pre-morti a favore dei discendenti legittimi o dei figli naturali (art. 282 c.c.).La menzione, da parte del legislatore, delle nozioni di “figli legittimi o legittima-ti” nell’enunciazione di alcune norme ha il solo significato di sottolineare ladistinzione tra la posizione di chi sia legittimo dalla nascita e chi sia legittimatoper cause successive.La prima fonte di legittimazione è rappresentata dal susseguente matrimonio deigenitori: il figlio naturale diventa legittimo automaticamente, addirittura anchecontro la volontà dei coniugi. Appare evidente che, in questo caso, l’interessetutelato non è quello dei soggetti coinvolti bensì la tutela della unità della fami-glia legittima.La seconda causa di modificazione di status è data invece dal provvedimento delGiudice: la riforma del 1975 è stata particolarmente incisiva, sostituendo laforma del decreto presidenziale, espressione di mera discrezionalità amministra-tiva, con una pronuncia del Giudice, rappresentativa del riconoscimento dell’e-sistenza di un diritto, ove ne ricorrano i presupposti.Inoltre, il legislatore è intervenuto anche sui presupposti, innovando le condizio-ni, nonché sul fine della legittimazione contemplando l’interesse del figlio.Premesse imprescindibili sono individuate dall’art. 284 c.c. nella legittimazione,negli assensi e consensi necessari e nella impossibilità, o sussistenza di un gra-vissimo ostacolo, con riferimento alla legittimazione per matrimonio.Per quanto riguarda il primo presupposto, la domanda deve essere avanzataesclusivamente dai genitori (o da uno di essi), purché ultrasedicenni, coerente-mente con il divieto per il minore di sedici anni di riconoscere il figlio.Solo in caso di morte, sono legittimati il figlio (art. 285 c.c.) o un suo ascenden-te (art. 286 c.c.).Relativamente ai soggetti coinvolti dalla legittimazione, è necessario in ognicaso l’assenso del coniuge del richiedente, se la convivenza è in atto, in vistadella tutela della famiglia legittima.È altresì necessario il consenso del figlio legittimando maggiore degli anni sedi-ci, se non ancora riconosciuto, in quanto gli è attribuita una sufficiente maturitàdi giudizio in ordine agli effetti della modificazione del suo stato. Nel caso di unfanciullo di età inferiore, a parità di condizioni, si richiede invece il consensodell’altro genitore o del curatore speciale. È peraltro da sottolineare che la ratiodella eventualità del riconoscimento vede quest’ultimo implicitamente esistentenella domanda di legittimazione; di conseguenza, se il figlio è già riconosciuto,il consenso e l’assenso di cui sopra non sono richiesti.La condizione dell’”impossibilità o gravissimo ostacolo a legittimare il figlioper susseguente matrimonio” rappresenta il presupposto fondamentale dell’inter-vento del Giudice. La riforma del 1975 è intervenuta modificando la nozione di“impossibilità o almeno gravissimo ostacolo”, allo scopo di distinguere netta-mente le due ipotesi e di contribuire al superamento dell’applicazione dellanorma alle sole situazioni eccezionali (in virtù di una sorta di arbitraria “conces-sione dall’alto”), affermando così l’esistenza di un diritto in capo al richiedente

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ed in presenza di particolari presupposti.Quanto al contenuto della impossibilità, la giurisprudenza11 ha ritenuto di fareriferimento alle ipotesi di impedimento oggettivo, come la morte, la scomparsa,l’assenza, l’interdizione legale o gli impedimenti matrimoniali previsti dall’art.87 c.c., nonché al caso in cui manchi il riconoscimento dell’altro genitore, inquanto la volontà del richiedente non è da sola sufficiente alla legittimazione:infatti, “se un genitore ha riconosciuto il figlio naturale o intende riconoscerlo, enon si conosce l’altro genitore oppure questo è morto senza riconoscere il figlio,o comunque non ha intenzione di riconoscerlo, anche se magari i due genitorisiano uniti in matrimonio, dovrebbe configurarsi l’ipotesi dell’impossibilità”.12

La nozione di “gravissimo ostacolo” si configura invece relativamente a profilidi carattere soggettivo, ad esempio sotto il profilo morale o fisico: malattie con-tagiose, impotenza, gravi infermità, immoralità, comportamenti violenti. Laestrema gravità dell’impedimento deve essere comunque tale da non consentireuna vita di relazione familiare equilibrata ed armoniosa.La riforma del 1975 ha voluto estendere la considerazione dell’interesse delminore anche all’ambito della legittimazione, lasciando tuttavia al Giudice ilcompito di individuarlo e prestare garanzia nella fattispecie concreta.Infatti, se a prima vista la modificazione di stato sembra portare al fanciullo solodei vantaggi, secondo un’indagine più approfondita possono emergere alcuneconsiderazioni di segno opposto, ad esempio l’assenza di buoni rapporti tra geni-tore e figlio, l’inserimento in un contesto estraneo o anche i disagi derivanti dallasola sostituzione del cognome.Il procedimento di legittimazione ha inizio con ricorso presentato davanti alPresidente del Tribunale nella cui circoscrizione ha residenza il richiedente13.Il rito è camerale: il Presidente nomina un relatore che riferisce in camera di con-siglio, il Giudice assume sommarie informazioni allo scopo di valutare l’esisten-za delle condizioni richieste ed il Pubblico Ministero esprime il proprio parere.Il processo si conclude con sentenza non soggetta ad impugnazione ordinaria maa reclamo davanti alla Corte d’appello, da parte del Pubblico Ministero o delrichiedente, da avanzare entro venti giorni dalla comunicazione.Contro la relativa pronuncia, emanata nella forma della sentenza e a seguito dirito sommario, è possibile ricorrere in Cassazione nei termini ordinari.È prevista dall’art. 289 c.c. la possibilità, per chiunque vi abbia interesse, diesperire un’azione imprescrittibile volta a contestare lo stato di figlio legittima-to. Sono condizioni tassative la mancanza della domanda da parte del genitorecosì come il difetto di età, l’assenza delle condizioni richieste in caso di mortedel genitore o la mancanza di assenso del coniuge (ma in tal caso solo tale sog-getto è legittimato all’azione).La decorrenza degli effetti della legittimazione è prevista, nel caso di susseguen-te matrimonio, dalla data delle nozze, se i figli sono stati riconosciuti da entram-bi i genitori all’atto della celebrazione o anteriormente, ovvero dal giorno delriconoscimento, se avvenuto dopo il matrimonio, anche se uno dei coniugi rico-

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3. LA FAMIGLIA DI FATTO E LA FILIAZIONE NATURALE

11 TRIB. MILANO, 5 marzo 1976 in Giur. merito,1977, I, 1048; TRIB. MIN. ROMA, 8 giugno 1976 in Giur.it, 1978, I, 2, 62.

12 DOGLIOTTI, FIGONE, MAZZA GALANTI, op. loc. cit., pg. 94.13 Se il figlio è maggiorenne si procede davanti al Tribunale ordinario, altrimenti è competente il giu-

dice minorile.

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nosca il figlio successivamente e l’altro l’avesse già riconosciuto prima o all’at-to delle nozze.Nell’ipotesi di provvedimento del Giudice, gli effetti decorrono, ai sensi dell’art. 290c.c., dalla data del provvedimento14 e sono limitati al genitore che ha legittimato.Nulla è disposto circa il cognome, anche se è prevedibile che, se legittimante èil padre, si applicherà la regola generale.Qualora la legittimazione provenga dalla madre si ritiene che la prole debbaassumere il cognome di lei (anche se, secondo parte della dottrina, tale previsio-ne dovrebbe cedere di fronte al padre che abbia anche solo effettuato il ricono-scimento).In caso di morte antecedente al provvedimento, l’efficacia decorre dal decesso,sempre che la domanda sia stata presentata dagli eredi entro un anno dalla stes-sa data.Se uno soltanto dei genitori è legittimante, l’altro viene escluso dalla successio-ne del figlio ex art. 578, comma 3, c.c.

LA LEGGE 154/2001 E LE PROPOSTE DI LEGGE SULLAREGOLAMENTAZIONE DELLA CONVIVENZA

Negli ultimi anni c’è stata una tendenza verso la ricerca di una regolamentazio-ne delle convivenze matrimoniali.

I progetti di legge proposti alle Camere15 tendono soprattutto a stabilire una cer-tificazione volta ad attestare lo status di unione civile, la cui acquisizione, a dettadei proponenti formerebbe una serie di garanzie ai familiari più deboli (estensio-ne dei diritti successori per quanto riguarda l’uso della casa scelta come stabiledimora familiare per un periodo pari alla durata della convivenza in caso didecesso del convivente titolare del diritto immobiliare; riconoscimento del dirit-to delle licenze per paternità e per maternità nei rapporti di lavoro subordinato;estensione del concetto di impresa familiare al convivente). Le proposte non sono pervenute ad alcuna soluzione ma nel frattempo il legisla-tore del 2001 è intervenuto ed ha introdotto una significativa innovazione a tute-la della filiazione naturale modificando il testo degli artt. 330 e 333 c.c. cosic-ché il Giudice, nel pronunciare la decadenza del genitore dalla potestà sui figli onell’adottare opportuni provvedimenti possa disporre l’allontanamento del geni-tore o del convivente che maltratta o abusa del minore.Allo stesso modo, la legge 4 aprile 2001, n. 154 sulle misure contro la violenzanelle relazioni familiari ha introdotto gli artt. 342 bis e 342 ter c.c., consentendocosì al Giudice di ordinare al coniuge o al convivente la cessazione della condot-ta che sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale, ovvero allalibertà dell’altro coniuge o convivente, potendo altresì stabilire l’allontanamen-to dalla casa familiare del coniuge o del convivente autore della condotta pregiu-dizievole e, se del caso, ordinare a costui di non avvicinarsi ai luoghi abitual-mente frequentati dal familiare o dal convivente leso, ed in particolare al luogodi lavoro, al domicilio della famiglia d’origine o di altri prossimi congiunti e in

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14 Parte della dottrina ritiene si debba fare riferimento al passaggio in giudicato della sentenza, altriAutori si riferiscono al mero deposito in cancelleria.

15 Proposta di legge n. 467 del 5 maggio 1994 (on. Ajala, Sbarbati); n. 185 del 28 aprile 1994 (on.Cioni e Mancioni), n. 1518 del 22 ottobre 1996 (Salvato, Carcerino, Cò, Russo Spena); n. 616 del29 maggio 1999 (on. Lisi); n. 682 del 10 maggio 1996 (on. Sbarbati); n. 4399 del 20 ottobre 2003(on. Mussolini, Turco)

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prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia.Le nuove normative sono sicuramente apprezzabili sotto un profilo di tutelaimmediata alla parte debole ma rimane il rammarico che in questa delicatissimamateria e malgrado i cambiamenti intervenuti nel tessuto sociale e nelle norma-tive internazionali, la difesa del minore rimanga demandata ancora oggi esclusi-vamente al Giudice.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

4. SEPARAZIONEPERSONALE E DIVORZIO

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PREMESSA

Dall’indagine svolta dalla ANM con l’invio di un questionario in tutti iTribunali d’Italia per verificare le “prassi” nei processi di separazionee di divorzio, è emersa una serie nutrita di “nodi critici” anche in rela-

zione ai provvedimenti di natura patrimoniale e particolarmente in tema di:a- accertamento del reddito dei coniugi;b- riconoscimento dell’assegno di mantenimento (in sede di separazione e di

divorzio) per il coniuge più debole, e dell’assegno di mantenimento per ifigli affidati ad uno dei genitori e comunque con lui conviventi oltre lamaggiore età;

c- criteri di determinazione di detti assegni;d- assegnazione della casa coniugale e della seconda casa.Le risposte date ai questionari hanno svelato un CAOS nella interpretazionee nella applicazione della legge e, per certi aspetti, anche la mancanza dinorme utili a risolvere i problemiche si presentano ricorrentementenella pratica dei processi.La situazione ci impone unariflessione comune sulla regola-mentazione dei rapporti patrimo-niali e sulla necessità di indivi-duare criteri più certi ai quali pos-sano fare riferimento gli avvocatiprima, ed i giudici poi, quandodevono decidere la “sorte econo-mica”, ed a volte esistenziale,della famiglia in crisi.Attualmente i “poveri coniugi” edi “poveri figli” sono in balia della“discrezionalità”, a volte del“sentimento” o anche dell’”arbi-trio” del giudice, proprio quandola famiglia entra nei palazzi digiustizia alla ricerca di qualcuno,al di sopra delle parti, che com-ponga un conflitto, già così dolo-roso per tutti: genitori e figli ne-cessitano di una regolamentazio-ne dei rapporti che consenta a cia-scuno di ritrovare un minimo dirinnovato equilibrio.

RAGIONI DEL CAOS

Una chiave importante per leggere e capire le risposte date ai questio-nari: modello di famiglia disegnato dal legislatore e ratio delle norme

Per il legislatore, famiglia significa:1 - sotto il profilo patrimoniale

a- assunzione di responsabilità da parte del coniuge più forte economica-mente per il mantenimento materiale del coniuge più debole e dei figli;

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

FIORELLABUTTIGLIONEMAGISTRATO

TRIBUNALE DI CAGLIARI

I PROVVEDIMENTI DINATURA PATRIMONIALENELLA SEPARAZIONE

E NEL DIVORZIOANALISI DELLE RISPOSTE AI QUESTIONARI

DELL’ANM RIGUARDANTI I PROVVEDIMENTI DI NATURA PATRIMONIALE

RELAZIONE TENUTA AL CONVEGNO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI“VIAGGIO NEI PROCESSI DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO. COME ATTUARE UN

PROCESSO RAGIONEVOLE”- ROMA, RESIDENCE DI RIPETTA, 3 GIUGNO 2003

Si ringrazia la Dott. ssa Fiorella Buttiglione per l’autorizzazione alla pubblicazione

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b- pari importanza e dignità dell’apporto di ciascuno ai bisogni della famiglia;c- comunione legale dei beni.

2 - Sotto il profilo dei rapporti personali, famiglia significa:a - solidarietà e reciproco rispetto tra i coniugi;b - assunzione di responsabilità da parte di entrambi i genitori nell’istrui-re, allevare ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclina-zione naturale e delle aspirazioni dei figli (art. 147 c.c.).

I coniugi, nella visione del legislatore, si prestano reciproca assistenza mora-le e materiale; vi è una totale collaborazione nella gestione dei bisogni dellafamiglia e dei figli; hanno il denaro in comune. Insomma, la famiglia è un’i-sola felice, dove non ha spazio l’egoismo e la prevaricazione; dove tutto sidivide nel bene e nel male; dove il “successo” degli affari di famiglia è frut-to dell’apporto di tutti, senza che sia considerato di serie B il lavoro casalin-go; dove, comunque vadano le cose, ciascun coniuge beneficerà della ric-chezza acquisita durante il matrimonio ed in eguale misura subirà la “pover-tà” che a volte segue alla separazione.In questo modello di famiglia, il matrimonio viene concepito come un vin-colo morale e materiale, che dura oltre la separazione e che cessa solo con lasentenza di divorzio definitiva, alla quale, tuttavia, sopravvive pur sempreun obbligo di solidarietà, che implica che all’ex coniuge viene assicurato inlinea di massima quanto necessario per il suo mantenimento secondo il pre-gresso tenore di vita, se non ha mezzi propri.

GESTIONE DELLA CRISI FAMILIARE DA PARTE DEL LEGISLATOREDEL 1975 E DEL LEGISLATORE DEL DIVORZIO.

Sotto il profilo patrimoniale: _a- si tutela il coniuge debole ed i figli assicurando loro lo stesso tenore di

vita. Il concetto è chiaro: significa potere fare le stesse cose e godere dellestesse utilità, ed in ultima analisi significa avere la stessa possibilità di spesa,cioè gli stessi soldi che si spendevano prima.Sotto il profilo dei rapporti personali:a- si tutela il valore “uomo” e “donna”, ove sia leso dal comportamento dell’al-

tro coniuge (addebito della separazione con le sue conseguenza patrimoniali);b- si tutela il diritto dei figli ad avere sempre 2 genitori (affidamento ad 1 geni-

tore e diritto di visita dell’altro).

CRISI DEL MODELLO LEGALE DI FAMIGLIA

Ma a questo punto dobbiamo anche domandarci: quel modello di famigliaesiste ancora nella realtà d’oggi? Oppure, la famiglia è cambiata, sta

cambiando?Le coppie più giovani e quelle che vanno formandosi, si identificano con ilmarito-tipo, con la moglie-tipo, che il legislatore ha tenuto presente neldisegnare quell’isola felice?La domanda è retorica perché sappiamo tutti che, in tanti casi, non è più così.Basta ascoltare i nostri figli, che vivono in un mondo in rapida evoluzione,e che hanno vissuto l’esperienza dei genitori separati, per sapere in che dire-zione stanno andando le cose.Io credo che proprio il progressivo scollamento tra la “fattispecie astrat-

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ta” di famiglia e la concreta famiglia che si presenta ogni giorno davanti algiudice della separazione e del divorzio, sia una delle ragioni che determi-na il caos di interpretazioni e soluzioni, che è già emerso dalle relazioniche avete ascoltato e che è confermato anche per quanto attiene ai rapportipatrimoniali, come vedremo tra poco.Tuttavia, credo anche che l’applicazione delle norme in vigore, ispirate alla“famiglia ideale”, sovente porta a soluzioni che non soddisfano chi chiedetutela (penso al coniuge debole con figli a carico al quale non è dato un asse-gno adeguato; penso al genitore non affidatario che a volte viene ostacolatonei rapporti con i figli) non sempre perché il dettato legislativo sia carente,ma perché in molti casi se ne da un’interpretazione riduttiva, che non tieneconto appunto della ratio delle norme stesse.Ricordo l’art. 155 c.c. dove si parla di “misura e modo della contribuzioneal mantenimento, all’istruzione e all’educazione”; e l’art. 6 legge Div.“affidamento congiunto o alternato” applicabile alla separazione di cui nonsi fa adeguata applicazione.

RISCHIO DI SOVRAPPOSIZIONE

Ma penso anche che ci sia un’altra ragione, forse maggiormente ricorren-te, della regolamentazione dei rapporti familiari per così dire “multifor-

me”, quale è emersa dalle risposte ai questionari.Interveniamo in un campo in cui non si parla solo di soldi, come nella mag-gior parte delle cause che conosce il giudice civile, ma dove i soldi si intrec-ciano con le emozioni, con i sentimenti, con la psicologia delle persone, conla sofferenza. Gestiamo, insieme, denaro ed affetti; gestiamo un microcosmofamiliare in cui sono di diversa natura le regole che lo muovono.Nelle cause di separazione e di divorzio c’è un rischio, che io chiamo disovrapposizione, cioè il rischio che l’avvocato e il giudice, anche senza ren-dersene ben conto e senza volerlo, sovrappongano al modello di famiglia cheè nella legge, la propria esperienza diretta e indiretta dei rapporti tra i coniu-gi e dei rapporti tra i genitori e i figli, facendo inammissibilmente ascende-re a regola del caso concreto il proprio modello di vita, la propria esperien-za personale e la propria formazione culturale.Anche questo, a mio avviso, giustifica la presenza di risposte così diverse traloro pur quando la norma è sufficientemente chiara.Per tali motivi la famiglia in crisi, oggi più che mai, necessita di un giudicespecializzato, poco importa dove lo vogliamo collocare, di idonee struttu-re esterne di cui ci si possa agevolmente e tempestivamente servire, di unanuova cultura diffusa, oltre che di nuove norme giuridiche.Norme che difficilmente potranno prevedere e risolvere tutti gli aspetti pro-blematici di quella complessa vicenda umana che è la famiglia; soprattuttose non terranno conto delle reali esigenze di tutti i componenti della nuovafamiglia, in cui la figura della moglie-madre-casalinga, è stata sostituitanella maggior parte dei casi dalla moglie-madre-lavoratrice; il padre, sem-pre più spesso, vuole conciliare il suo ruolo di esclusivo o principale produt-tore del reddito familiare con il desiderio di essere più presente nella cresci-ta dei suoi figli; i figli, che sempre più vogliono la presenza dei 2 genitoriche, pur nella diversità dei ruoli, siano capaci di ascoltarli, consigliarli, sup-portarli nelle scelte difficili e di rispettare la loro personalità.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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Interventi frammentari, che si dovessero innestare sull’impianto legislati-vo, inevitabilmente si porranno in contrasto con lo spirito complessivo dellalegge, creando nuovi problemi.Che senso avrebbe continuare a parlare di solidarietà tra i coniugi che per-mane pur dopo la separazione; di vincolo matrimoniale che viene meno soloa seguito di una nuova causa e di una sentenza di divorzio, a distanza di qual-che anno dalla interruzione della convivenza, e poi stabilire che la comunio-ne legale dei beni si scioglie sin dal momento dell’udienza presidenziale,quando i coniugi vengono autorizzati a vivere separati?

Non era questo il progetto di vita che i coniugi hanno condiviso, e che hannodato per presupposto quando si sono ripartiti i compiti nella gestione dellafamiglia. Quando un coniuge ha assunto su di sé la cura della casa e dei figli,rinunciando o comunque mettendo in secondo piano le sue capacità profes-sionali, consentendo all’altro di dedicarsi al lavoro esterno e di creare quelpatrimonio visibile costituito da beni teoricamente da godere insieme allafamiglia e da dividere equamente alla fine del matrimonio, ed anche quelpatrimonio invisibile costituito dalla sua professionalità, fonte di guadagnoa sua esclusiva, presente e futura disposizione.Il coniuge debole si trova alla fine della convivenza ed alla resa dei conti, anon poter più spendere alcuna valida capacità di lavoro e contemporaneamen-te a non poter contare sulle utilità che gli erano state promesse. Ne consegueuna perdita in termini economici, ma anche una non meno grave delusione eduna perdita di ogni fiducia nella lealtà e nella solidarietà tra i coniugi.Stiamo già parlando di un’altra famiglia.

Ci auguriamo tutti che i vari progetti di legge in cantiere approdino ad unadisciplina armonica degli interessi e delle aspirazioni di entrambi iconiugi e dei figli, tenendo conto del nuovo modello di famiglia che si staormai ben delineando, consapevoli che anche per la “nostra famiglia” è vali-do l’insegnamento secondo cui “la pace non è solo assenza di conflitti, maanche presenza di giustizia”, e la giustizia è considerazione e rispettoanche delle esigenze dell’altro.

ESAME RISPOSTE QUESTIONARI

1. ACCERTAMENTO DEI REDDITI E PROVVEDIMENTI PROVVISORI

Anzitutto, si deve ricordare che i provvedimenti temporanei ed urgenti rite-nuti opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, vengono dati in via

provvisoria dal Presidente del Tribunale, o da un giudice da lui delegato,davanti al quale compaiono i coniugi per il tentativo di conciliazione (v. art.708 c.p.c. per chi ritiene che ancora sia in vigore, e art. 4 comma 8 leggedivorzio). Ma si tratta di una provvisorietà che, salve eventuali modificheper mutamenti di circostanze nel corso del processo (art 708 comma 4c.p.c.), è destinata a durare a lungo, considerati i noti tempi di definizionedella cause.È dunque necessario che quella determinazione “provvisoria” dell’assegnosia già dal primo momento in grado di soddisfare il più possibile le reali esi-genze del coniuge più debole e dei figli in modo da assicurare loro il mante-

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

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nimento, ovverosia, come già detto, la conservazione dello stesso tenore divita, e cioè la stessa disponibilità di danaro.In caso contrario, un assegno provvisorio di mantenimento che sia inade-guato impoverisce automaticamente ed inevitabilmente il coniuge debo-le e mortifica le esigenze e le aspettative dei figli.Di fatto cosa succede nella prassi dei nostri Tribunali quando il Presidentedeve adottare i provvedimenti provvisori?È risultato che non c’è alcuna certezza:- sui criteri per determinare l’assegno di mantenimento;- sull’obbligatorietà della produzione della dichiarazione dei redditi;- sulla richiesta d’ufficio di tale documentazione o sulla necessità dell’i-

stanza di parte;- sul tempo e sul modo in cui viene richiesta la dichiarazione dei redditi.

In dettaglio è risultato quanto segue.Abbiamo chiesto ai giudici sulla base di quali elementi il Presidente deter-mina l’assegno.

GRAFICO BDETERMINAZIONE ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Determinazione presidenziale sulla base delle dichiarazioni dei redditi 39del tenore di vita dei coniugi 32altro 10

Devo subito dire che è emersa chiara la diffi-coltà di stabilire l’assegno e la mancanza diconcreti criteri di riferimento. Indicativo diciò è il fatto che non tutti i Tribunali hannorisposto a tale domanda: ci sono state solo 36risposte su 50. Ciò significa che 14 Tribunalinon hanno saputo dare alcuna indicazione certaed hanno preferito “tacere”.

Vi è stata poi una varietà di risposte: il 48% si basa sulla dichiarazione deiredditi (39 risposte), il 40% sul tenore di vita (32 risposte) e il 12% (8risposte) su “altro”, variamente intendendosi per altro: l’interrogatorio delleparti, le indagini della guardia di finanza, informazioni varie, le esigenze ele responsabilità delle parti (?), le dichiarazioni e i documenti, dichiarazionidei coniugi (2 risposte); la capacità lavorativa (1 risposta); dichiarazionidelle parti (1 risposta); capacità reddituale media dell’attività svolta (1 rispo-sta); esigenze dei minori (1 risposta); regime adottato durante la convivenza(1 risposta); situazione economica, dichiarazioni e contestazioni (1 risposta).Questo altro vuol dire tutto e niente perché non c’e un criterio che renda inalcun modo “prevedibile” e “determinabile” dalle parti la misura dell’asse-gno. Le domande “cosa potrò chiedere al giudice” e “cosa dovrò dare”rimangono senza risposta, ostacolando la possibilità di un accordo sul puntoche prescinda dalla decisione del giudice.In sostanza non è possibile capire e prevedere in alcun modo come siorienterà il Presidente.

117

4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

Determinazione presidenziale dell'assegno di mantenimento sulla base:

12%48%

40%

delle dichiarazioni dei redditidel tenore di vita dei coniugialtro

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Ma la cosa più singolare è l’atteggiamento che emerge in relazione alladichiarazione dei redditi.La dizione della norma è chiara; l’art. 5 comma 9 legge divorzio stabilisceche “i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione davanti alPresidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni docu-mentazione relativa ai loro redditi ed al loro patrimonio personale e comu-ne. In caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi e suipatrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche dellapolizia tributaria”. Norma applicabile al giudizio di separazione personaledei coniugi.I grafici da B1 a B6 ci illustrano le prassi in materiaLe risposte alla domanda se la produzione della dichiarazione dei redditiè ritenuta obbligatoria, sono illustrate dal

GRAFICO B1La produzione della dichiarazione dei redditi è ritenuta obbligatoria

si 21no 17

Contro il 55% (21 risposte) che ritiene obbliga-toria la produzione, il 45% (17 risposte) è diparere contrario, nonostante la chiara dizionedella norma.Ciò significa che la determinazione dell’asse-gno avviene spesso senza utilizzare quel rile-vatore minimo delle disponibilità patrimoniali

del coniuge obbligato a corrisponderlo, che è costituito dalla dichiarazionedei redditi, e che il Presidente si basa su quell’”altro” di cui abbiamo parla-to prima che, di fatto, nel provvedimento rimane poi oscuro, per cui non èdato capire a quale situazione patrimoniale (entrate dell’obbligato, spese del-l’avente diritto ecc.) si sia ispirato il Presidente.

GRAFICO B2La produzione della dichiarazione dei redditi è oggetto di richiesta espressa

sì 32no 11

Emerge che se la dichiarazione dei redditi non èprodotta spontaneamente, solo il 74% (32 rispo-ste) la richiede espressamente, ma il 26% (11risposte) non la richiede affatto.In sostanza la produzione della dichiarazionedei redditi per molti dei rispondenti è rimessaalla facoltà delle parti, come è confermato dal

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

La produzione della dichiarazione dei redditi è ritenuta obbligatoria ex lege

si55%

no45%

La produzione della dichiarazione dei redditi è oggetto di richiesta espressa:

si74%

no26%

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GRAFICO B5La produzione della dichiarazione dei redditi è rimessa alla facoltà delle parti

si 17no 18

Ma perché non si richiede la dichiarazione deiredditi (ovviamente quando sia stata presentataagli uffici finanziari) prima di decidere?.Anche in relazione ad una norma chiara e sem-plice ci sono ingiustificate difformità di prassiapplicative.Si ignora la legge?, ci si rimette all’iniziativadelle parti senza considerare l’esigenza superiore di tutela dei figli?. Fattosta che in tal caso, sganciati dalla dichiarazione dei redditi, con una prassi diverbalizzazione spesso inesistente di quanto avvenuto nell’udienza presiden-ziale e di provvedimenti presidenziali “laconici” nei quali il più delle voltenon si fa alcun riferimento ai dati di calcolo ed alle circostanze tenute pre-senti per liquidare l’assegno provvisorio, sarà difficile capire le ragioni delquantum liquidato, e ciò creerà difficoltà alle parti, al giudice istruttore insede di eventuale modifica del provvedimento in corso di causa, al Collegio,che dovrà pronunciare la sentenza e così via.

GRAFICO B3La produzione della dichiarazione dei redditi è oggetto di richiesta espressa col decreto di fissazione dell’udienza:

si 5no 27

È però emerso che vi sono Presidenti più soler-ti che richiedono la produzione della dichiara-zione dei redditi già con il decreto di fissazio-ne dell’udienza presidenziale, ciò vale per il16% dei casi (5 risposte), mentre l’84% non larichiede (27 risposte).

GRAFICO B4.La produzione della dichiarazione dei redditi è oggetto di richiesta espressa all’udienza:

si 23no 11

In udienza viene chiesta la produzione delladichiarazione dei redditi dal 68% (23 risposte)mentre il 32% (11 risposte) non la richiede.Si ripete: ci sono tante prassi in relazione aduna norma sufficientemente chiara.Allora mettiamoci d’accordo e stabiliamo quellache sembra esser la cosa più utile anche a farrisparmiare tempo: richiediamo la dichiarazionedei redditi con il decreto di fissazione d’udienza, se non altro per ricordare

119

4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

La produzione della dichiarazione dei redditi è oggetto di richiesta espressa col decreto di

fissazione dell'udienza

si16%

no84%

La produzione della dichiarazione dei redditi è oggetto di richiesta espressa all'udienza

si68%

no32%

La produzione della dichiarazione dei redditi è rimessa alla facoltà delle parti

si49%no

51%

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alle parti che dovremo averla a disposizione per decidere, almeno nell’udien-za di comparizione.

GRAFICO B6La produzione della dichiarazione dei redditise ritenuta obbligatoria o richiesta, per quanti anni di imposta

l’ultimo 8gli ultimi due 14gli ultimi tre 15altro 0

Il Grafico B6 evidenzia prassi differenti anchein relazione al numero di anni per i quali èrichiesta la dichiarazione dei redditi.Il 44% (14 risposte) la chiede per gli ultimi

due anni; il 31% (10 risposte) per gli ultimi tre anni; il 25% (8 risposte) perl’ultimo anno.Sul punto ci si deve domandare come fa il Presidente a valutare il tenoredi vita pregresso, nel caso di redditi non fissi, che oscillano negli anni,avendo a disposizione solo l’ultima dichiarazione dei redditi?Anche qui potremmo trovare un accordo.

2. CONSEGUENZE DELLA MANCATA DOCUMENTAZIONE DEIREDDITI. ATTIVAZIONE DI STRUMENTI DI INDAGINE ALTERNATIVI

Non c’è certezza anche per tale ipotesi.

2.1 NELLA FASE PRESIDENZIALEAbbiamo chiesto ai giudici se, mancando la documentazione sui redditi, ven-gono attivati in sede presidenziale strumenti di indagine alternativi, in par-ticolare indagini tramite la guardia di finanza, presso le banche o altro.Come si dirà meglio dopo, la maggior parte dei giudici ritiene, anzitutto, chele indagini vadano disposte nella fase contenziosa, cioè dopo la fase presi-denziale. Vi sono 3 sole risposte che dicono “in ogni fase” ed 1 “prevalen-temente nella fase istruttoria”.

Senza entrare nei dettagli delle risposte che sono evidenziate dai grafici C1,C2, C3, C4, C5, devo sottolineare che solo una parte dei giudici, che insede presidenziale attivano strumenti di indagine, sulla base di richiestegeneriche, indirizza normalmente l’attività con indicazione specifica delleindagini da svolgere e dei risultati che si intendono perseguire. Il rapportopiù frequente è con la Guardia di Finanza; gli Uffici Finanziari e le Banchevengono coinvolti molto meno.Ricordo, altresì, che l’esperienza insegna che la gran parte delle indagini daparte della P.T. dà risultati deludenti e ciò potrebbe anche dipendere dallamancanza di richieste specifiche. Ma bisogna anche dire che nella prassi si èosservata una certa riluttanza della Polizia Tributaria ad approfondire gliaccertamenti sul patrimonio di uno o di entrambi i coniugi, in quanto ritienedi avere degli obiettivi prioritari, indicati dal Ministero per ciascun annosolare, e considera alcune delle indagini di cui discutiamo non rientrare nep-

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

La produzione della dichiarazione dei redditi se ritenuta obbligatoria o richiesta,

per quanti anni di imposta

l'ultimo25%

gli ultimi due44%

gli ultimi tre31% altro

0%

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pure nelle sue competenze. Per questo nella maggior parte dei casi la P.T. silimita a mettere a disposizione documentazione e notizie che le parti potreb-bero fornire direttamente tramite i loro difensori.Occorrerà trovare una soluzione di questo problema, altrimenti avremouna inutilità quanto ai risultati ed un ulteriore ritardo nella definizionedei processi.

GRAFICO C1Conseguenze della mancata documentazione sui redditiattivazione di strumenti per ottenere tali dati in sede presidenziale: richieste generiche

si 22no 11

Comunque, quando in sede presidenziale si attiva-no strumenti di indagine, per il 67% (22 risposte)vengono attivati sulla base di richieste generiche,per il 33% (11 risposte) no.

GRAFICO C2Con indicazioni di specifiche attività di indagine

si 18no 13

Il 58% (18 risposte) dei giudici, che attivano strumentidi indagine, indica specifiche attività di indagine; il42% (13 risposte) non lo fa.

Dai Grafici C3, C4, C5risulta che:

GRAFICO C3Con indicazioni di specifiche attività di indagine alla G.F.

sempre 3spesso 13raramente 11mai 4

le indicazioni specifiche vengono richiestealla Guardia di Finanza sempre dal 10% (3risposte); spesso dal 42% (13 risposte);raramente dal 35% (11 risposte); mai dal13% (4 risposte).

GRAFICO C4Con indicazioni di specifiche attività di indagine presso gli uffici finanziari

sempre 0spesso 5raramente 9mai 11

agli Uffici Finanziari sempre 0%; spesso dal 20%

121

4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

Conseguenze della mancata documentazione sui redditi attivazione di strumenti per ottenere tali dati in sede

presidenziale: richieste generiche

si67%

no33%

Con indicazioni di specifiche attività di indagine presso gli uffici finanziari

sempre0% spesso

20%

raramente36%

mai44%

Con indicazioni di specifiche attività di indagine alla Guardia di Finanza

sempre10%

spesso42%

raramente35%

mai13%

Con indicazioni di specifiche attività di indagine

si58%

no42%

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(5 risposte); raramente dal 36% (9 risposte); mai dal 44% (11 risposte).

GRAFICO C5Con specifiche attività di indagine presso le banche

sempre 0spesso 4raramente 8mai 10

alle Banche sempre 0%; spesso dal 18% (4risposte); raramente dal 36% (8 risposte); maidal 46% (10 risposte).

2.2 NELLA FASE CONTENZIOSAPremetto che, in relazione al presupposto dell’accertamento dei redditi leindagini di Polizia Tributaria, come già detto, per la maggior parte dei giu-dici, vanno disposte dopo la fase presidenziale, ovvero nella fase contenzio-sa.(Risposte: 2 fase contenziosa; 14 istruttoria; 2 trattazione; 1 fino alla chiusu-ra della trattazione; 3 qualsiasi fase; 1 prevalentemente istruttoria; 1 colle-giale; 1 dopo fase presidenziale).In particolare si ritiene che più frequentemente vengono disposte dal G.I.(risposte: 40 si; 1 esclude che lo possa fare il G.I.).Va rilevato che la maggior parte ritiene anche che occorra una specifica con-testazione delle dichiarazioni fiscali (risposte: 21 per la contestazione spe-cifica; 16 no).Abbiamo verificato i TEMPI impiegatiQuando il Collegio, su istanza di parte, dispone indagini, la decisione vienepresa entro un lasso di tempo che va da 15 giorni -1 mese a 60 giorni.Voglio sperare che chi ha risposto “alcuni anni” abbia inteso dire che è taleil tempo che occorre per l’espletamento delle indagini, e non per decideresull’istanza della parte.

PROSPETTO 1Se si ritiene che la decisione spetti al Collegio, quanto tempo trascorre tra la richiesta di parte e la pronunzia del Collegio?

- 15gg-1 mese 1- decisione in udienza o riservata 1- 1 mese 1- 2 mesi 1- 20-30 giorni 1- 30-60 giorni 2- alcuni anni 1

Comunque, è emerso che il Collegio dispone le indagini raramente (30 rispo-ste: le dispone raramente; 5 risposte: spesso; 1 risposta: mai).Il tempo occorrente per le risposte da parte della Polizia Tributaria varia da1 a 7 mesi. Vi è anche un’esperienza di indagini lentissime.

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

Con specifiche attività di indagine presso le banche

sempre0%

spesso18%

raramente36%

mai46%

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PROSPETTO 2Tempo occorrente per la risposta nel caso di acquisizione di informazioni a mezzo di polizia tributaria

- 3 mesi 7- 1 mese 3- 2-3 mesi 2- 45 giorni 1- qualche mese 2- 2 mesi 4- vario 1- 6 mesi 4- 4-5 mesi 2- 3-4 mesi 1- 6-7 mesi 1- 4 mesi 1- 5 mesi 1- + mesi 1- lentissime 1

È anche interessante rilevare come 21 giudici ritengano che si possonodisporre indagini presso l’ABI o la Banca d’Italia; 18 giudici non lo ritie-ne possibile. È evidentemente un problema da chiarire.

Alla domanda se la prova di un tenore di vita più alto rispetto a quello risul-tante dalla dichiarazione dei redditi è motivo per disporre indagini, la mag-gior parte dei Tribunali rispondono di sì (risposte 35).

A questo punto devo sottolineare la perplessità che suscita la risposta alladomanda se, una volta acquisita la dichiarazione dei redditi, è possibilediscostarsi dalla stessa nella determinazione dell’assegno di manteni-mento.

GRAFICO C6Nella determinazione dell’assegno di mantenimentoè possibile discostarsi dai dati della dichiarazione dei redditi?

si 43no 2

Si dà il caso di redditi dichiarati, manifesta-mente non veritieri, in relazione al quale un 4%di giudici (2 risposte) ritiene che il Presidentesia vincolato alla dichiarazione dei redditi. Perfortuna il 96% (43 risposte) ritiene che lo sipossa fare, con ciò mettendosi in grado dideterminare in misura più congrua e reale quell’assegno provvisorio che,come già ho detto, è destinato ad assicurare la soddisfazione delle necessitàdel coniuge debole e dei figli per un tempo mediamente abbastanza lungo.Come si vede la situazione è un po’ sconcertante perché di certezza deldiritto ce n’è poca.

123

4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

Percentuale dei casi in cui nella determinazione dell'assegno di mantenimento è possibile discostarsi

dai dati della dichiarazione dei redditi

si96% no

4%

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3. RICONOSCIMENTO DI UN ASSEGNO AL CONIUGE CHELAVORA O NEI CUI CONFRONTI È STATA PROPOSTA DOMANDADI ADDEBITO.

Vediamo ora come è trattato dai giudici il coniuge che lavora

GRAFICO D1Assegno di mantenimento al coniuge che lavora

si 22no 20

Oltre la metà, il 52% (22 risposte) riconosce ugualmentel’assegno provvisorio di mantenimento. Evidentemente ecorrettamente il lavoro in sé non è considerato un fattoimpeditivo, ovviamente se il reddito percepito non con-sente di conservare lo stesso tenore di vita. Ma il 48% (20risposte) non glielo riconosce, e in tal caso avremo unconiuge inevitabilmente e ingiustamente destinato a

diventare più povero.

GRAFICO D2Riconoscimento dell’assegno di mantenimento al coniuge che non lavora ma con disponibilità patrimoniali

sì 29no 12

Se poi il coniuge non lavora ma ha propriedisponibilità patrimoniali, non vi dovrebbeessere grande differenza dal caso che precededi coniuge che lavora. Ciò che conta è, infat-ti, la possibilità di conservare lo stesso tenoredi vita. Lavoro e fonti diverse ma pur sempre

produttive di reddito dovrebbero essere considerate alla stessa maniera. Lerisposte sono coerenti e sostanzialmente analoghe: il 71% (29 risposte) rico-nosce l’assegno provvisorio; il 29% (12 risposte) non lo riconosce.

GRAFICO D3Assegno di mantenimento al coniuge nei cui confronti è proposta domanda di addebito

si 30no 13

La semplice proposizione della domanda diaddebito è considerata impeditiva del ricono-scimento di un assegno sia pure provvisoriodal 30% (13 risposte) dei giudici.In questo caso, sono ironica, c’è la presunzio-ne di colpevolezza. È ovvio che a questi giu-dici potranno essere strumentalmente proposte

domande di addebito pretestuose, tanto “a pagare c’è sempre tempo”.Fortunatamente il 70% (30 risposte), in linea con i principi, riconosce l’as-

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

Riconoscimento dell'assegno di mantenimento al coniuge che non lavora ma con disponibilità patrimoniali

si71%

no29%

Riconoscimento dell'assegno di mantenimento al coniuge nei cui confronti è proposta domanda di addebito

si70%

no30%

Riconoscimento dell'assegno di mantenimento al coniuge che lavora

si52%

no48%

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segno provvisorio anche in questo caso.

Da quanto sin qui detto ben si vede come il coniuge “povero”, o comun-que non sufficientemente “ricco” da mantenere lo stesso tenore di vita,non ha proprio modo di sapere come si regolerà il giudice; se e quantopotrà ottenere per continuare a provvedere alle proprie personali neces-sità, in un momento così difficile della vita, quando, oltre alle difficoltàpsicologiche e sentimentali da superare, avrà a suo carico pressochécompleto, la responsabilità materiale e spesso anche morale, dell’alleva-mento, educazione ed istruzione dei figli.

4. RICONOSCIMENTO DI UN ASSEGNO PROVVISORIO PER I FIGLIMANCANDO LA PROVA DEI REDDITIUna conferma delle difficoltà di determinare l’assegno di mantenimento siha esaminando le risposte date alla domanda se, non avendo la possibilità diquantificare i redditi, il Presidente comunque riconosce un assegno minimodi mantenimento, almeno per i figli.

GRAFICO D4Nell’impossibilità di determinare i redditi si opera una determinazione minima dell’assegno per il mantenimento dei figli

si 37no 4

Vi è un 10% di giudici (4 risposte)che non sta-bilisce alcun assegno neppure per i figli.Poiché è lecito supporre che sino alla compari-zione davanti al Presidente questi figli abbianopur mangiato, siano andati a scuola, si sianovestiti ecc., è doveroso domandarsi comedovrebbe fare dal quel momento in avanti il coniuge affidatario, in ipotesiprivo di reddito, a provvedere alle necessità dei figli.Ma anche tra il 90% dei giudici (37 risposte) di buon senso che, utilizzandoun minimo di criteri presuntivi, riconosce un assegno, vi è una varietà note-vole di risposte sul quantum liquidato, risposte che è difficile riassumere inun grafico e che sono riassunte nel seguente prospetto

PROSPETTO 3Se nell’impossibilità di determinare i redditi in fase presidenziale si opera unadeterminazione minima dell’assegno per il mantenimento dei figli o come contributo per il mantenimento prima di rinviare innanzi al g.i. a quanto ammonta l’importo?

- minimo 50 euro per figlio- 100 euro 2- 125 euro per un figlio- euro 100-150- euro 125-150 per ciascun figlio- euro 150: 2- euro 175: 3- 200 euro: 9- euro 225- 200 euro per un figlio e 300-350 per due- ogni caso va valutato singolarmente

125

4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

Nell'impossibilità di quantificare i redditi in fase presidenziale si opera una determinazione minima dell'assegno per il

mantenimento dei figli

si90% no

10%

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- da 250 a 400 euro - a seconda dei redditi: 6- 1/3 del reddito

Come si vede si va da 50 euro per figlio a 400 euro. Alcuni, poi, rispondono“a seconda dei redditi”, “1/3 del reddito” dimenticando che il presuppostodella domanda era che non si conoscesse il reddito del genitore obbligato.Solo 1 giudice, salomonicamente, ha risposto che “ogni caso va valutato sin-golarmente”. Questo è vero, ma resta il problema della necessità di un mini-mo di prevedibilità della decisione del giudice, perché i coniugi sappiano, siapure a grandi linee, “cosa potranno avere” e/o “cosa dovranno dare”.

5. CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO DEFINITIVO DIMANTENIMENTOIl “nodo più cruciale” di tutti è quello relativo ai criteri di determinazionedell’assegno di mantenimento per il coniuge più debole e per i figli.Un grande sconcerto si prova nell’esaminare le risposte sui criteri che ven-gono utilizzati dai giudici.Non è stato possibile riportare le risposte in un grafico; si dovrebbe ridurrela torta in fettine piccolissime.

PROSPETTO 4Criteri di liquidazione

- tenore di vita: 3- redditi e tenore di vita: 3- redditi, patrimonio e tenore di vita 2- redditi 2- redditi rispettivi 2- redditi e patrimonio 1- redditi concretamente determinati 1- condizioni patrimoniali 1- situazione patrimoniale e presenza di figli 1- redditi, assegnazione della casa e numero dei figli 1- un terzo o un quarto del reddito 1- assegnazione della casa e redditi (non più di un quarto) 1- redditi e numero dei beneficiari 1- equilibrio tra i redditi 1- durata del matrimonio 1- capacità economiche e tenore di vita 1- condizioni patrimoniali e condizioni di vita 1- ogni caso viene valutato singolarmente 1- mediamente 1/3 della retribuzione a favore del coniuge senza redditi e

con figli 1- perequare le disponibilità dei coniugi 1- dichiarazioni dei coniugi 1- risorse economiche 1- valutazione sommaria 1- equitativi 1- valutazione comparativa 4- reddito complessivo del gruppo familiare diviso per il numero dei componenti 1- 20% del reddito per il solo coniuge; 35% per un figlio; 40-45% per due figli 1- esigenze dei minori 1- tenore di vita pregresso e valutazione comparativa 1- minimo per i figli, punto di incontro tra le esigenze di entrambi,

tenuto conto dell’assegnazione della casa coniugale 1

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- tenore di vita, durata del matrimonio, uso della casa, entità della sproporzione 1- tenore di vita precedente 1

Tra le varie risposte, ne vanno sottolineate alcune.Si dice che “ogni caso viene valutato singolarmente”; che si fa “una valuta-zione sommaria”; o, più salomonicamente, che “si liquida in via equitativa”.Ma qual’è questa equità?. Non è dato capirlo.Anche le risposte che sembrano tenere conto della ratio delle norme in mate-ria di assegno di mantenimento o di divorzio; quelle che fanno riferimento al“tenore di vita” pregresso, non ci dicono poi se c’è un criterio più specificoper stabilire “QUANTO DARE” e “QUANTO AVERE”.Eppure, come detto, avere lo stesso tenore di vita significa “avere la stessadisponibilità di danaro da spendere” per fare le medesime cosa che si face-vano prima, avere lo “stesso potere di acquisto”.Mi domando come si può realizzare questo che è l’interesse che la normavuole tutelare, riconoscendo, come fa 1 Tribunale, 1/3 del reddito del coniu-ge obbligato in favore dell’altro coniuge che non lavora e al quale sonoanche affidati i figli; oppure, come risponde un altro Tribunale, assegnandola casa e riconoscendo ¼ del reddito dell’obbligato.

Ci troviamo evidentemente in un terreno di disparità e ingiustizia enormi.Così si verificano situazioni in cui non è neppure assicurato il minimo vita-le, e situazioni in cui pur avendo il coniuge obbligato disponibilità che glie-lo consentirebbero, alla fine l’assegno riconosciuto dal giudice è ben lonta-no dal consentire lo stesso tenore di vita al coniuge debole ed ai figli.Quanto tutto ciò sia ingiusto e porti ad una perdita di fiducia del processocome luogo dove avere giustizia, lo si capisce se si pensa al modello difamiglia disegnato dal legislatore, di cui abbiamo già parlato.

I sociologi stanno studiando il problema dell’impoverimento della donnaseparata, in particolare se affidataria dei figli. Problema che è molto diffu-so, e che non può sottacersi o mettersi in dubbio perché ci sono anche deicasi di marito impoverito o perché qualche marito viene scambiato solo perun “portafogli” al quale attingere.Dunque, alla resa dei conti, il coniuge più debole ha ormai meno capacitàprofessionale da spendere rispetto all’altro coniuge e non ha neppure le uti-lità che gli erano state promesse; in definitiva si impoverisce.I giudici si trovano di fronte ad un settore molto delicato; sin da quando lafamiglia viene costituita i coniugi fanno dei soldi e dell’amore un unico pac-chetto. I soldi si accompagnano ai sentimenti, si inseriscono nella gestionedi rapporti sentimentali ed a volte significano possibilità per i figli di unavita più serena, di praticare sport, di seguire studi che comportano una mag-giore spesa ma che gli assicurano una crescita più armoniosa e completa epiù sicure prospettive di lavoro.È necessaria una gestione equilibrata del problema soldi nel processo, per-ché è un modo per ridurre la conflittualità, liberando il coniuge debole, chedeve affrontare anche il difficile compito di portare avanti una famiglia par-zialmente decapitata, quantomeno dalle preoccupazioni di carattere econo-mico; è un modo per agevolare il dialogo dei coniugi separati nell’interesse

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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dei figli e per consentire ai figli di non doversi privare delle utilità di cuiprima beneficiavano.Se vogliamo che la famiglia ritrovi un equilibrio, dobbiamo riflettere e capi-re come si stanno ridisegnando i ruoli dei vari componenti della famiglia;quali responsabilità e quali compiti oggi svolge la moglie e madre lavoratri-ce; come si deve rapportare il marito e padre nella coppia e nei rapporti coni figli. E non dobbiamo farci fuorviare da quei casi che peraltro rappresenta-no una reazione patologica alla separazione, per fortuna neppure così diffu-si: di madri, che impediscono ai figli il rapporto con il padre, per rancorepersonale, ritorsione o per ottenere più soldi; e d’altra parte di padri, checon il pretesto del diritto di visita dei figli (dei quali magari prima dellaseparazione si sono ben poco occupati e ai quali dopo la separazione nonassicurano neanche il tanto per vivere), cercano di interferire ancora nellavita della ex- moglie, non essendo riusciti ad assorbire il fallimento delleloro unione matrimoniale.Personalmente posso confermare che, nella maggior parte dei processi cheper tanti anni ho trattato, il fondamentale punto dolente è proprio stato quel-lo della determinazione dell’assegno di mantenimento. Devo anche dire chenella quasi totalità dei casi ho visto la madre affidataria dovere confrontar-si con un padre, che di sua spontanea volontà non offriva nulla o offrivasomme inadeguate; con un padre che non pagava per nulla o pagava in partel’assegno disposto dal giudice, disinteressandosi del fatto che in questo modometteva in difficoltà anche e soprattutto i figli, oltre che la madre affidataria.Spesso non interferiva e non determinava questo comportamento vile ilregime dell’affidamento; si trattava di casi in cui il padre non aveva asso-lutamente chiesto di avere con sé i figli o di casi in cui i figli avevano giàcompiuto 18 anni ed i rapporti con il padre erano assolutamente liberi.

Il problema dell’assegno di mantenimento c’è, è grave, e favorisce la con-flittualità il fatto di non avere criteri di liquidazione certi.E ci sarà anche in futuro, anche nell’ipotesi in cui vadano in porto i proget-ti di legge sul mantenimento diretto dei figli a seguito dell’affidamento con-diviso. Infatti, si dovrà ritornare all’assegno, e dunque al mantenimento indi-retto, se l’affidamento condiviso non funziona in concreto. In ogni caso, ilproblema dell’assegno sussiste per il mantenimento del coniuge più debole,che non ha redditi che gli consentano di mantenere lo stesso tenore di vita, eper i figli maggiorenni, che restano a carico mediamente per altri 10 lunghianni e forse di più.Nella relazione al progetto di legge n. 66 del 30.5.2001, si dà atto di studi incorso per approntare apposite tabelle elaborate su base ISTAT al fine diottenere stime oggettive, uniformi, prevedibili (Maglietta M. et altri Attidel Convegno “ Le politiche sociali in Toscana”- Siena, 16.2.2001), sullequali basare l’assegno di mantenimento.Può essere un primo passo (sempre che i criteri di formazione delle tabellesiano condivisibili) per evitare quella ingiusta disparità di trattamento deisoggetti deboli della famiglia, affidati alla sola discrezionalità del giudicecon le conseguenze che abbiamo visto.Ovviamente andrà sempre fatta salva la possibilità per le parti di fornire pre-cise prove sulla concreta situazione patrimoniale della famiglia; sull’effetti-

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

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vo bilancio delle entrate e delle spese affrontate in costanza di convivenza.In sostanza, si tratterebbe di un metodo analogo a quello seguito per usciredal pantano della liquidazione del cd. danno biologico: determinazione di unvalore base uguale per tutti del punto di invalidità, da adeguare tuttavia allecircostanze del caso concreto.

A questo punto devo però anche dire che tutto è complicato dal fatto che ilgiudice, a volte, non ha gli elementi indispensabili per decidere bene; occor-rerebbe anzitutto la prova concreta di quanto la famiglia spendeva primadella separazione; quanto costava la gestione della casa e dei figli; insommaqual’era il bilancio familiare?Ci si concentra sull’accertamento dei redditi; ma sappiamo bene come certiredditi siano difficilmente accertabili (basti pensare al numero elevato dicontribuenti che hanno approfittato del recente condono fiscale, alla cd.“evasione legittima” dove il ricco, abile conoscitore delle leggi tributarie,alla fine riesce ad apparire povero, ed alla scarsa o quasi nulla efficacia delleindagini che disponiamo tramite la P.T.); mentre si trascura di provare laspesa.Ma quanti coniugi che si separano sanno dirci esattamente quanto spendeva-no? In particolare, quante donne, casalinghe o anche con un proprio lavoroma senza accesso ai conti del marito, il quale monopolizzava l’amministra-zione del reddito familiare, ci sanno dire l’importo delle spese che si affron-tavano in corso di convivenza? Quanto costavano i figli, la casa, la gestionedelle automobili, l’importo delle bollette ecc??.Occorre che lo sforzo probatorio si incentri anche su tali aspetti ed in questoè importante la collaborazione dei difensori.Comunque, noi giudici dobbiamo tentare nell’immediato di correggere edevitare le ingiustizie in atto. Potremmo fare più ampio e corretto ricorso allepresunzioni per accertare i redditi o la necessità di spesa; potremmo fareriferimento a fonti pubbliche di conoscenza della spesa media della famigliaper fasce di reddito e della ripartizione del bilancio familiare; a c.t.u. per lavalutazione delle situazioni patrimoniali più complesse ecc..In particolare, potremmo cominciare a disporre, quando non emergono con-troindicazioni di sorta, che il coniuge non affidatario, che mostra tanta diffi-coltà a “tirar fuori” i soldi, almeno si occupi personalmente dei figli in rela-zione a particolari loro esigenze di studio, sport, ecc. (l’art. 155 c.c. prevedeche il giudice disponga non solo la misura ma anche il “modo” in cui il nonaffidatario deve provvedere al mantenimento, cura, educazione ed istruzionedei figli).In tal modo il coniuge affidatario potrebbe recuperare del tempo da dedica-re alle sue personali esigenze di vita e di lavoro, tempo non meno importan-te e necessario del danaro che riceve quale contributo per il mantenimentodei figli. Tempo che gli consentirebbe di acquisire una maggiore autonomia,anche economica, ed una affrancazione dalla sgradevole dipendenza dall’al-tro coniuge che peraltro, il più delle volte, si sottrae in tutto o in parte all’a-dempimento degli obblighi liberamente assunti.In attesa di nuove leggi e dei prospettati criteri oggettivi di ripartizione deibilanci delle famiglie, da utilizzare in mancanza di altra prova specifica, ènecessario continuare il lavoro di confronto e di discussione.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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6. ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE

GRAFICO E1Assegnazione della casa solo al coniuge affidatario

si 46no 2

La casa familiare, centro di affetti, punto di riferimen-to psicologico e materiale dei figli, di preferenza,secondo quanto detta il legislatore, spetta al coniugeaffidatario dei figli o con il quale vivono i figli mag-

giorenni non ancora autosufficienti (v. art. 155 comma 4 c.c. e art. 6 comma6 L.D.).Coerentemente con il disposto legislativo, e secondo la prevalente interpre-tazione datane dalla Cassazione, il 96% (46 risposte) dei giudici rispondeche può essere assegnata solo al coniuge affidatario; ma il 4% (2 risposte)afferma che può essere assegnata anche al coniuge cui non siano stati affida-ti i figli.

GRAFICO E2Assegnazione della casa al coniuge non affidatario o senza prole

si 12no 32

In risposta alla domanda se la casa possa essere asse-gnata al coniuge non affidatario o senza prole, il 73%(32 risposte) lo esclude; ma il 27% (12 risposte) loammette. Non ci sono più specifiche indicazioni sulle

ipotesi in cui si assegna la casa pur in mancanza di figli conviventi.In effetti però il problema esiste e si pone a volte drammaticamente nellapratica.Compaiono davanti al giudice coppie, appartenenti a realtà sociali in cui lacasa (si pensi ai paesi di non grandi dimensioni) è parte integrante del pro-prio vissuto, vicina a quella di parenti, amici e conoscenti con cui si hannofrequentazioni quotidiane; coppie, magari anche anziane, radicate in queldomicilio e in quel territorio, per le quali sarebbe un vero trauma abbando-nare la casa, tanto più se non hanno la possibilità di comprarne un’altra o didividere immediatamente quella che possiedono, o se hanno difficoltà aprenderne un’altra in locazione.Nessuno dei due se ne va spontaneamente; ognuno dei due cerca di rimaner-vi attaccato, eppure vi è in atto tra i coniugi un grave conflitto, il giudice liautorizza a vivere separati, ma non può, neppure provvisoriamente, dire chidei due può restare in casa e chi se ne deve andare.Non è facile spiegare ai separandi che il giudizio di separazione o di divor-zio hanno forme e finalità diverse; che la divisione della casa la devono chie-dere ad un altro giudice, dopo essersi rivolti nuovamente ad un avvocato ini-ziando un altro processo che chissà quando finirà. Francamente i separandinon lo comprendono e spesso continuano a domandarti “va bene ma per orachi se ne deve andare?”.

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

Assegnazione della casa solo al coniuge affidatario

si96%

no4%

Assegnazione della casa al coniuge non affidatario o senza prole

si27%

no73%

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Da indagini sociologiche è emerso che il problema non si pone così frequen-temente al Nord, dove le coppie senza figli quasi mai rimangono nella stes-sa casa; le ragioni ce le possono spiegare i sociologi.Ma il 27% dei giudici, che ha ritenuto di dovere assegnare la casa pur inmancanza di figli, evidentemente è stato posto davanti a questo problema edha dovuto risolverlo, magari stiracchiando le norme, ma evitando un dram-ma nella tragedia. Sul punto un intervento del legislatore sarebbe quanto maiopportuno.Esiste anche il problema dell’assegnazione della seconda casa

GRAFICO E 3Si procede all’assegnazione della seconda casa

si 9no 36

È vero che il giudizio di separazione non deve diventarela sede per decidere di tutti i rapporti patrimoniali tra iconiugi; in tale ottica l’80% (36 risposte) dei giudiciritiene di non poter assegnare la seconda casa, ma il 20%(9 risposte) la assegna.Non si capisce bene se la seconda casa viene sempre assegnata al coniugeaffidatario dei figli unitamente alla casa principale dove risiede abitualmen-te la famiglia, o se viene assegnata al coniuge non affidatario, che ha dovu-to lasciare il domicilio coniugale e che chiede di poter utilizzare la secondacasa, avendo difficoltà a prenderne un’altra in affitto.I casi possono essere i più vari, comunque non può disconoscersi che asse-gnare la seconda casa a volte può concorrere ad un complessivo e più equi-librato regolamento dei rapporti della famiglia in crisi, evitando il ricorso anuove cause e nuove conflittualità.È un problema che esiste e che ricorre nella pratica e che è opportuno cheil legislatore della separazione vi ponga rimedio.

CONCLUSIONI

Si può concludere dicendo che la pratica dei processi ha evidenziato unaserie di nodi problematici che il legislatore della riforma potrà e dovrà

tenere presente, facendone oggetto di una disciplina che consenta, se possi-bile, di ridurre al minimo il rischio di interpretazioni così difformi quali sonoemerse in questo convegno.Nel frattempo dico ai giudici ed agli avvocati che occorre una sensibilizzazio-ne ed uno sforzo particolare per aiutare i “poveri coniugi” ed “i poveri figli”,a non subire oltre al trauma della separazione, il trauma del processo.

Il giudice della separazione e del divorzio deve cercare una regolamentazio-ne la più equilibrata possibile di “QUEL CHE RESTA DELLA FAMIGLIA”.Deve tutelare effettivamente e concretamente l’interesse del coniuge piùdebole e dei figli a conservare, pur nella disgregazione dell’unità familiare,le abitudini di vita pregresse ed i rapporti di affetto tra i figli ed entrambi igenitori, evitando loro di dover fare i conti anche con le difficoltà economi-che che un assegno inadeguato determina; e deve impedire, per altro verso,

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

Si procede all'assegnazione della seconda casa

si20%

no80%

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che il coniuge non affidatario diventi il genitore del “week end” e che, seeconomicamente più forte, possa essere trattato, come ho già detto, alla stre-gua di un semplice “portafoglio” al quale attingere.Al legislatore che si accinge a ridisegnare la disciplina della nuova famigliaun invito a considerare:- che le norme sono dirette alla generalità dei cittadini ovvero sono diret-

te a classi indeterminate di soggetti, per quel che ci interessa a tuttiindistintamente i mariti, le mogli, e i figli;

- e che, prescindendo dai mutevoli interessi di singole categorie, ascoltan-do tutti ma non facendosi condizionare da alcuno, il legislatore deve det-tare precetti astratti, in grado di prevenire i conflitti e di consentirne laloro agevole composizione, e ciò avviene tanto più facilmente quanto piùla regolamentazione dei rapporti dà una risposta concreta alle esigenze ditutela di tutti i destinatari del precetto, nella specie della moglie, del mari-to e dei figli.

A noi tutti cittadini, compresi mogli, mariti e figli, voglio rivolgere un affet-tuoso invito a recuperare il senso della responsabilità ed il senso dei valori,ricordando a tutti noi che:“Il diritto riflette ma non determina il valore morale di una società.I valori di una società sufficientemente giusta si rifletteranno in un dirittosufficientemente giusto. Tanto migliore è la società tanto minor diritto visarà. In Paradiso non vi sarà diritto e il leone starà accanto all’agnello.I valori di una società ingiusta si rifletteranno in un diritto ingiusto. Tantopeggiore sarà la società tanto più diritto vi sarà. Nell’Inferno non vi saràaltro che diritto, e le garanzie processuali verranno osservate meticolosa-mente.” (Holmes, The Common Law (1881) in The proving Years, 1963,Howe ed, 38).

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1. IL SEQUESTRO

La legge riconosce al creditore di prestazioni alimentari la facoltà dichiedere al giudice di sottoporre a sequestro i beni dell’obbligatoogni qualvolta sussista il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempi-

mento delle obbligazioni poste a suo carico.La ratio di questa forma di tutela è evidente: l’eventuale sottrazione da partedi un coniuge agli impegni di natura economica, imposti dal giudice o con-cordati dalle parti, può persino giungere a privare l’altro coniuge e i figli diquanto è loro necessario per la quotidiana e concreta sopravvivenza.

FONTI NORMATIVE

Nell’ambito della separazione l’istituto del sequestro è stato introdotto nel1975 in occasione della riforma del diritto di famiglia (art. 156 c.c.).

La legge sul divorzio, invece, nella sua versione originaria, nulla prevedevain materia di sequestro e si limita-va a riconoscere il potere del giu-dice di imporre al coniuge obbli-gato di prestare idonea garanziareale o personale, qualora ravvi-sasse il pericolo che questi si sot-traesse all’adempimento degliobblighi economici a suo carico.Solo nel 1987, nell’intento digiungere a una parificazione delledue discipline, il legislatore haintrodotto l’istituto del sequestroanche nell’ambito del divorzio.Vale la pena di ricordare che,ancor prima che nella separazione,l’istituito del sequestro trovavaadeguata disciplina nell’art 146, 2°comma, c.c. che, in epoca antece-dente al 1975, riconosceva, in casodi allontanamento della solamoglie dal domicilio coniugale, la facoltà del giudice di ordinare, a profitto delmarito e dei figli, il sequestro di parte dei frutti dei beni parafernali.Attualmente tale articolo, modificato dalla riforma del diritto di famigliadispone che, in caso di ingiustificato allontanamento dalla residenza familia-re, il giudice possa disporre il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi,nella misura atta a garantire l’adempimento degli obblighi generici di contri-buire ai bisogni della famiglia (in particolare, dell’obbligo di contribuzioneprevisto dall’art. 143, 3° comma, e di quello di mantenimento, istruzione ededucazione della prole sancito dal successivo art. 147 c.c).

NATURA DELL’ISTITUTO

Fin dall’introduzione del “sequestro familiare” si è sviluppato un accesodibattito circa la natura di questo particolare strumento di tutela, in parti-

colare ci si è chiesti se tale nuovo istituto potesse rientrare nella fattispeciegiuridica identificabile nel sequestro conservativo, ovvero se si trattasse di

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

FILIPPODANOVI

PROFESSOREASSOCIATO DI DIRITTO

PROCESSUALE CIVILE,UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

DI MILANO BICOCCA

LA TUTELA DELCONTRIBUTO AL

MANTENIMENTO.I PROVVEDIMENTI

CAUTELARI

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIAORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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uno strumento sconosciuto al nostro ordinamento.LA DOTTRINALe dottrine contrastanti sono sostanzialmente due.- Un primo filone dottrinale minoritario, ritiene di poter ascrivere il sequestro

familiare nell’ambito del più ampio genus del sequestro conservativo e ciò siaa motivo dell’esigenza di colmare le carenze della disciplina attraverso l’uti-lizzo delle disposizioni sostanziali previste dagli art. 671 e ss c.p.c., sia inragione del fatto che l’utilizzo del termine “sequestro” rivelerebbe un’impli-cita volontà del legislatore di operare un rinvio all’omonima figura preesi-stente. L’analogia tra le due forme di tutela cautelare troverebbe, inoltre, unagiustificazione nell’identità delle funzioni svolte: ed infatti la misura inesame, tendendo ad “assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragionidel creditore”, perseguirebbe un fine coincidente con quello del sequestroconservativo.

- Altra dottrina, di contro, ritiene che si tratti di una misura coercitiva ati-pica (non riconducibile alla fattispecie dell’ordinario sequestro conserva-tivo), svincolata dal necessario collegamento con l’esecuzione forzata ediretta a realizzare un’indisponibilità a tempo indeterminato del patrimo-nio dell’obbligato a garanzia del futuro adempimento periodico.Lo scopo immediato del sequestro risulterebbe non tanto quello di mante-nere integre le garanzie patrimoniali del creditore fino all’accertamentodel merito, quanto quello di coartare la volontà ed il comportamento deldebitore verso l’adempimento puntuale degli obblighi sanciti. Questosequestro speciale, dunque, pur essendo diretto ad assicurare la fruttuosi-tà del provvedimento attributivo dell’assegno, agirebbe psicologicamentesull’obbligato, attraverso l’imposizione a tempo indeterminato di un vin-colo sui beni, al fine di indurlo a desistere dall’inadempimento.Conseguenza diretta di ciò sarebbe l’inapplicabilità al sequestro familiaredella nuova disciplina del procedimento cautelare uniforme prevista inmateria di procedimenti cautelari in generale (art. 669-bis e successivic.p.c.).Inoltre, sempre secondo questa impostazione, mentre il sequestro conser-vativo ex art. 671 c.p.c. rappresenta una misura cautelare sempre provvi-soria, poiché destinata a convertirsi in pignoramento qualora il creditoresequestrante abbia ottenuto la sentenza di condanna esecutiva, il sequestrofamiliare è suscettibile di produrre effetti duraturi nel tempo senza alcunaprevedibile limitazione in linea con la funzione di condanna in futuro pro-pria delle sentenze di separazione e divorzio (nella parte in cui accertanol’obbligo di mantenimento) e con la natura periodica delle obbligazionialimentari.

LA GIURISPRUDENZALa giurisprudenza è intervenuta, nell’ambito di questo contrasto dottrinale,riconoscendo il carattere atipico del provvedimento in oggetto, stabilendola natura non tipicamente cautelare bensì di garanzia preventiva del seque-stro sui beni dell’obbligato (tra gli altri, il Tribunale Sala Consilina dispo-nendo che “il sequestro previsto dall’art. 8, ultimo comma, l. div. è un prov-vedimento cautelare non assoggettabile alle disciplina uniforme delle misu-

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re cautelari previste negli art. 669 bis ss. c.p.c., né per il rito né per i pre-supposti sostanziali: infatti il provvedimento va adottato dal tribunale nelleforme del rito camerale ex art. 737 ss. c.p.c. e non può ricondursi alla figu-ra del sequestro, che è un mezzo di conservazione della garanzia patrimo-niale, sicché non si applicano le norme degli art. 671 ss. c.p.c., né occorreil periculum in mora inteso come rischio di perdere la garanzia patrimonia-le generica di cui all’art. 2740 c.c.).Tra le due forme di sequestro vi sono evidenti differenze:- ai fini dell’emanazione del sequestro conservativo è necessaria irrinun-

ciabilmente la presenza di due requisiti: il fumus boni iuris (apparentefondatezza della pretesa creditoria avanzata) e il periculum in mora (fon-dato timore di perdere la garanzia del proprio credito nelle more del giu-dizio di merito.

- per ciò che riguarda l’emanazione del sequestro previsto in materia didiritto di famiglia poiché occorre un titolo esecutivo già formato (costi-tuito dalla sentenza o dai provvedimenti resi in sede di udienza presiden-ziale) non è necessario l’accertamento del fumus boni iuris. Quanto alpericulum in mora, mentre il sequestro ex art. 156 c.c. sembra prescinder-ne in ragione della necessaria sussistenza dell’inadempimento, l’art. 8 l.div. non prevede nulla a riguardo, anche se si ritiene comunque, che il giu-dice debba in ogni caso valutare la sussistenza quantomeno di un meropericolo di futuro inadempimento del debitore.

- un’ulteriore divergenza tra i due istituti risiede nella non necessaria stru-mentalità del sequestro familiare rispetto a un successivo giudizio dimerito previsto dalla disciplina uniforme dei procedimenti cautelari. E,infatti, la funzione dell’istituto, che è quella di vincolare a tempo indeter-minato i beni del coniuge, verrebbe vanificata qualora il sequestro venis-se meno per effetto della pronuncia di merito, così come accade nel casodel sequestro conservativo.

DIFFERENZE TRA IL SEQUESTRO PREVISTO IN SEPARAZIONE E IN DIVORZIO

La differente dizione letterale del sequestro previsto in materia di separa-zione e divorzio non ha consentito la realizzazione di un impianto norma-

tivo uniforme.Ed infatti, con l’introduzione dell’istituto del sequestro nell’ambito deldivorzio ne è derivata, proprio in questo ambito, una tutela del coniuge debo-le più penetrante rispetto a quella prevista in sede di separazione.Dalla semplice lettura comparata delle norme risultano alcune differenze chehanno condotto la dottrina a chiedersi se tali disparità fossero indice di un’e-spressa volontà legislativa di diversificazione degli istituti o se piuttosto fos-sero soltanto frutto di una sorta di disattenzione del legislatore.Notiamo, in primo luogo, che l’art. 8 l. div. non richiede espressamente aifini della concessione del sequestro la sussistenza di una pregressa inadem-pienza ad opera dell’obbligato, ma si limita a sottolineare la sussistenza diuna generica esigenza di soddisfazione e conservazione delle ragioni del cre-ditore, ossia solo un nesso di strumentalità della misura rispetto alla tuteladelle ragioni del creditore.Secondariamente, la norma non accenna alla possibilità di sottoporre a

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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sequestro solo parte dei beni dell’obbligato, lasciando intendere che l’interopatrimonio del coniuge obbligato possa essere investito dal provvedimento,salva la possibilità di assoggettare i crediti dell’onerato per pensioni, salarie stipendi a sequestro o pignoramento solo fino a concorrenza della metà delcredito.Nonostante le divergenze letterali, parte della dottrina ha ritenuto che nessu-na particolare differenza sostanziale sia riscontrabile tra i due istituti disequestro e che la mancata previsione, nel sequestro previsto dalla legge suldivorzio, del requisito della pregressa inadempienza non sia elemento deter-minante ai fini di una diversificazione delle due ipotesi normative; in parti-colare, ciò avrà semplicemente l’effetto di rafforzare la tutela del creditorealimentare consentendo al giudice di autorizzare il sequestro anche solo inpresenza di un mero pericolo di futuro inadempimento.A tale riguardo un notevole contributo alla questione è stato fornito dallagiurisprudenza veronese1, che si è espressa nel senso di ritenere che “ancor-ché la novella del 1987 non si riferisca esclusivamente all’ipotesi di inadem-pienza ma alla più ampia finalità di “assicurare che siano soddisfatte o con-servate la ragione del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi…”non vi è dubbio che la misura di cui all’art. 8 l. div. abbia voluto estendereal divorzio il sequestro previsto in sede di separazione.

OGGETTO DEL SEQUESTRO (DIFFERENZE TRA SEQUESTRO IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DIVORZIO)

L’art. 156 c.c. prevede esplicitamente che solo parte dei beni del debitorepossano essere assoggettati al vincolo di indisponibilità: è evidente la

volontà del legislatore di non consentire l’indiscriminato sequestro di tutticespiti dell’obbligato, ma soltanto di quella porzione che consenta una vali-da tutela del diritto di mantenimento riconosciuto in favore del coniuge edella prole.Nell’art. 8 l. div. invece non sono indicati quali siano i limiti entro i quali ilpatrimonio del debitore possa essere sottoposto a sequestro. Tuttavia, si ritie-ne che l’omesso riferimento al limite quantitativo dei beni suscettibili diessere oggetto di sequestro non possa in ogni caso condurre alla previsionedi un vincolo generalizzato che investa l’intero patrimonio dell’obbligato.Sarebbe quindi preclusa al giudice la facoltà di emettere un provvedimentosenza la contestuale indicazione del limite fino a concorrenza del quale ilvincolo debba esplicare i suoi effetti.È infatti evidente che un’eventuale previsione indeterminata si porrebbe inevidente contrasto con i principi costituzionali del nostro ordinamento, cheè del tutto estraneo a misure di garanzia consistenti in vincoli che si esten-dono su tutti i beni di un soggetto. Detta interpretazione “limitativa” è, inol-tre, avvalorata dalla disposizione conclusiva dell’art. 8 l. div. che prevedeche i crediti dell’obbligato derivanti da stipendi, o pensioni possano essereoggetto di sequestro solo nel limite della metà.Per ciò che riguarda, infine, la questione relativa alla quantificazione speci-fica del credito da tutelare e di conseguenza dei beni da sottoporre a seque-stro, occorre rilevare innanzi tutto come trattandosi di obbligazioni di carat-

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1 TRIB. VERONA, 17 novembre 1993.

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tere periodico (che possono essere modificate nel loro ammontare e la cuiestinzione avverrà in un momento che non è dato di stabilire a priori) appa-re necessario il ricorso a un parametro di valutazione che operi una capita-lizzazione degli obblighi in essere, tenuto conto del loro ammontare nelmomento in cui il sequestro viene concesso.In mancanza di una precisa disposizione normativa a riguardo potrebbe, dun-que, farsi riferimento al criterio già previsto in materia di iscrizione ipoteca-ria, consistente nella determinazione dell’ammontare del credito e del corri-spondente valore dei beni da sottoporre a sequestro, attraverso una capitaliz-zazione della somma da corrispondere alla scadenza stabilita dalla sentenzaattraverso il riferimento alle indicazioni contenute nelle tabelle previste dalr.d. n. 1403 del 9 ottobre 1922 relative alla costituzione delle rendite vitalizie.

PRESUPPOSTI TEMPORALI E COMPETENZA

Per quanto riguarda i presupposti temporali di concessione della misura ela competenza a emanarla possono individuarsi due interpretazioni diver-

genti.Secondo un primo orientamento il sequestro può essere concesso una voltaemanata la sentenza di separazione o divorzio ovvero, al massimo, all’attodell’emanazione della stessa sentenza.In questo caso, la competenza del tribunale e l’applicabilità del procedimen-to in camera di consiglio sembra possa affermarsi in base all’art. 38 disp.att. c.c..Secondo un opposto orientamento, la competenza del giudice istruttore desi-gnato nel giudizio di separazione e divorzio a emettere il provvedimento disequestro dovrebbe, invece, essere ritenuta sussistente anche anteriormenteall’emanazione di un’eventuale sentenza non definitiva sul vincolo, a tuteladel presumibile diritto della parte a vedersi attribuire un assegno di separa-zione o divorzio all’esito del procedimento.Il sequestro potrebbe essere emanato sia dal tribunale a seguito di un proce-dimento camerale successivo ai giudici di separazione e divorzio, sia con lamedesima sentenza che conclude i giudizi, sia dal presidente e ciò in quantoil pericolo dell’inadempienza nonché la tutela delle ragioni del creditorepotrebbero trovare origine non soltanto in obblighi sanciti in un provvedi-mento conclusivo, bensì anche in provvedimenti provvisori e urgenti.Il tema relativo alla competenza, con particolare attenzione nei confronti delsequestro previsto in materia si separazione, è stato oggetto di attenzione daparte della corte costituzionale che, mentre in un primo momento ha ritenu-to che soltanto il collegio, e non il presidente del tribunale, potesse autoriz-zare il provvedimento in esame in quanto, non essendo identificabile con ilsequestro conservativo, non avrebbero potuto trovare applicazione le relati-ve disposizioni, è da ultimo giunta a sancire l’illegittimità dell’art. 156 c.c.nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare, nelcorso di una causa di separazione, il provvedimento di sequestro dei beni delconiuge obbligato al mantenimento.

IL REGIME DI STABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

Iprovvedimenti emessi in sede di separazione e divorzio tra i coniugi pos-sono essere temporanei ed urgenti ovvero definitivi.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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I primi sono emessi dal presidente del tribunale e rivestono la forma diun’ordinanza (immediatamente esecutiva) temporanea e pertanto modifica-bile; i secondi sono emessi dal collegio con la sentenza che conclude il pro-cesso.La sentenza conclusiva del giudizio di separazione e divorzio ha natura com-posita: essa è caratterizzata da una pronuncia principale (di accoglimento odi rigetto della domanda di separazione e divorzio) e da plurime pronunceaccessorie riguardanti i figli e i rapporti patrimoniali tra i coniugi, la deter-minazione dell’assegno, le garanzie per il suo pagamento ecc..Mentre la pronuncia principale è destinata ad acquisire l’immutabilità dellacosa giudicata, le statuizioni di carattere accessorio, in considerazione dellaloro natura di provvedimenti adottati rebus sic stantibus, possono essereoggetto di revisione indipendentemente dal passaggio in giudicato della sen-tenza, qualora sopravvengano “giustificati motivi” dopo la sentenza che hapronunciato il divorzio.Per quanto attiene al sequestro, il vincolo da esso posto in essere è caratte-rizzato da una sorta di indeterminatezza temporale essendo il provvedimen-to idoneo a produrre i suoi effetti fino a che persista il pericolo di una sottra-zione del coniuge ai doveri patrimoniali derivanti dal matrimonio. Tuttavia,come è stato osservato, l’indeterminatezza temporale del vincolo apparetemperata dalla particolare natura giuridica del credito garantito essendo lostesso accertato e contenuto in una sentenza o in un provvedimento interina-le sottoposto alla regola rebus sic stantibus.Ne deriva che il coniuge che ottenga una revisione dell’assegno di manteni-mento o divorzio dovuto al coniuge, potrà chiedere una riduzione dei benisottoposti a sequestro in ragione della minore entità del credito garantito, cosìcome, qualora offra un’adeguata garanzia (ipoteca, fideiussione) fino a con-correnza dell’intero valore dei beni sui quali grava il vincolo o su parte diesso, potrà richiedere rispettivamente la revoca o la riduzione del sequestro.

2. L’IPOTECA GIUDIZIALE.

PREMESSE E FONTI NORMATIVE

Tra i modelli di garanzia del credito si colloca anche l’ipoteca: un dirittoreale che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale

grava il vincolo di garanzia e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzoricavato dall’espropriazione.L’ipoteca attribuisce a chi ne è titolare il diritto di sequela, ossia il diritto diespropriare il bene anche se esso viene alienato. Si tratta, infatti, di un dirit-to che, inerendo al bene, è indifferente ai mutamenti relativi alla sua titola-rità.Possono essere oggetto di ipoteca, ex art. 2810 c.c., i beni immobili con leloro pertinenze, i beni mobili registrati, i diritti reali di godimento - esclusele servitù, che non possono formare oggetto di espropriazione separatamen-te dal fondo dominante - le rendite dello Stato, nonché la quota di un beneindiviso.L’istituto è caratterizzato da due principi: quello di specialità, in base alquale il vincolo deve riguardare beni “specialmente” indicati, e quello diindivisibilità in base al quale l’ipoteca sussiste per intero sopra tutti i beni

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gravati dal vincolo e sopra ogni loro parte.In ragione della gravità del vincolo, il legislatore ha prescritto un regimerigoroso di pubblicità e ciò perché chiunque sia posto nella condizione diconoscere se il bene sia gravato da ipoteca.Quanto alle fonti, l’ipoteca può essere iscritta in forza di una norma di legge(ipoteca legale), in forza di un atto di volontà del debitore (ipoteca volonta-ria) o in base a una sentenza (ipoteca giudiziale).Dalla lettura dell’art. 2818 c.c. si comprende che chi ha ottenuto una senten-za di condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbli-gazione, anche se non esecutiva, dispone di un titolo per iscrivere ipoteca.Sarà, pertanto, sufficiente che il creditore, anche tramite un’iniziativa unila-terale (cioè anche senza il consenso del debitore), presenti il titolo al conser-vatore dei registri immobiliari (del luogo in cui è sito l’immobile del debito-re) e chieda, a garanzia del diritto risultante nella sentenza, l’iscrizione del-l’ipoteca su quel determinato bene.Dall’analisi dell’art. 2818 c.c emerge con tutta evidenza come il legislatoreabbia inteso introdurre una sorta di principio di tassatività dei provvedimen-ti che diversi dalla sentenza sono comunque idonei all’iscrizione dell’ipote-ca, indicando chiaramente che possono costituire valido titolo ipotecariosolo quelli ai quali la legge attribuisca espressamente tale valore (tra questisi collocano: il decreto ingiuntivo anche se provvisoriamente esecutivo epassibile di opposizione; il lodo arbitrale quando è stato reso esecutivo; lesentenze pronunciate dalle autorità straniere, ove siano efficaci ai sensi degliart. 64 e 65 della legge 31 maggio 1995, n. 218, salvo che le convenzioniinternazionali dispongano diversamente).Non pare, pertanto, che si possa propendere per un’interpretazione estensivadel termine “sentenza”, diretta a consentire che tutti gli altri provvedimentirecanti sostanza di condanna, ma formalmente diversi dalla sentenza, possa-no costituire titolo valido ad iscrivere l’ipoteca.Mentre era pacifica la possibilità di iscrivere ipoteca per le obbligazioni chederivano da una sentenza di divorzio o di separazione (in forza del richiamoesplicito operato dall’art. 156 c.c. e dall’art. 8 l. div) per quanto riguarda latutela delle obbligazioni di mantenimento, contenute nell’accordo raggiuntodalle parti in sede di separazione consensuale e successivamente omologatodal tribunale con decreto, è stato necessario l’intervento della Corte costitu-zionale2 che ha dichiarato illegittimo, per violazione del principio di ugua-glianza contenuto nella carta costituzionale (art. 3), l’art. 158 c.c. nella partein cui non dispone che il decreto di omologazione della separazione consen-suale costituisca titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.Grazie a questo intervento (che ha condotto a una sostanziale parificazionedella posizione dei coniugi consensualmente separati e di quelli la cui sepa-razione sia stata pronunciata con sentenza) è allo stato ormai pacifico che, aifini dell’iscrizione del vincolo ipotecario, le obbligazioni di mantenimento(a garanzia delle quali si procede) possano trovare origine sia nell’accordodelle parti sia in un ordine del giudice e che potrà trattarsi tanto di obbliga-zioni periodiche che di importi forfettariamente determinati come nell’ipote-si di corresponsione in unica soluzione dell’assegno di divorzio.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

2 CORTE COST., 18 febbraio 1988, n. 186.

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SUPERFLUITÀ DELLA NORMA SPECIALE

L’esistenza di una norma di carattere generale, quale l’art. 2818 c.c. che,come abbiamo visto in precedenza, riconosce senza alcun limite che ogni

sentenza o altro provvedimento giudiziale equivalente costituisce titolo periscrivere ipoteca sui beni del debitore, ha indotto la dottrina a chiedersi perquali motivi il legislatore abbia ritenuto di dover specificare che le sentenzedi divorzio (art. 8, 2 comma) e separazione (art. 156, 5 comma) originasse-ro anch’esse idonei titoli ipotecari.Ed infatti già in base ai principi generali, tali sentenze, nella parte in cuihanno natura di condanna al pagamento di prestazioni di carattere alimenta-re, avrebbero potuto agevolmente rientrare nella previsione generale dell’art.2818 c.c. senza alcuna necessità di un richiamo espresso.A tutto ciò si aggiunga che la possibilità di iscrivere ipoteca sui beni dell’ob-bligato sulla base di sentenze di condanna a prestazioni alimentari di carat-tere periodico non era mai stata oggetto di discussione da parte della giuri-sprudenza di legittimità la quale, al contrario, aveva addirittura dichiaratoinammissibile, per mancanza dell’interesse ad agire, la domanda avanzata algiudice dall’ex coniuge - titolare di un assegno di divorzio - al fine di otte-nere un’espressa autorizzazione a procedere all’iscrizione dell’ipoteca.Mentre alcuni degli autori che si sono occupati della questione sono arrivatialla conclusione che le disposizioni in esame siano effettivamente superflue,essendo in particolare inutili precisazioni che nulla aggiungono a quanto sta-bilito dalle norme generali, altri hanno ritenuto che si sia trattato di un parti-colare scrupolo del legislatore diretto a fugare ogni possibile dubbio circa lapossibilità di iscrivere ipoteca anche a garanzia di un credito che, in quantorelativo a prestazioni alimentari suscettibili di essere ripetute nel tempo, nonpuò essere preventivamente accertato nel suo esatto ammontare complessivo.

LIMITI QUANTITATIVI ALL’ISCRIZIONE DELL’IPOTECA

L’art. 156 c.c. e l’articolo 8, 2° comma l. div. non indicano alcun criterio perla determinazione della somma per la quale sia possibile iscrivere l’ipoteca.

Escludendo che tale somma possa essere individuata nel solo importo men-sile dell’assegno, stabilito nella sentenza e trattandosi di un credito destina-to, pur essendo attuale, a perdurare nel tempo per un periodo che non è datodi stabilire a priori, l’ipoteca viene iscritta dal creditore per l’importo cheegli stesso individua e indica, così come previsto dall’art. 2839 c.c. secondoil quale la somma, se non è determinata nel titolo, è indicata dal creditorenella nota per l’iscrizione.3

È evidente che, pur essendo riconosciuta al creditore la facoltà di determina-re unilateralmente la somma da garantire, in applicazione dei principi diordine generale, a tutela della posizione sostanziale del debitore si profilauna sorta di autoresponsabilità del creditore, il quale sarà tenuto al risarci-

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3 È opportuno ricordare l’irrilevanza del carattere periodico delle obbligazioni, non configurandosialcuna incompatibilità tra l’istituto dell’ipoteca giudiziale e la sussistenza di un credito non determi-nato aprioristicamente e in modo irrefutabile nel suo ammontare, ritenendosi sufficiente che il cre-dito, sebbene non possa considerarsi né liquido e né esigibile, sia determinato nei suoi elementiessenziali. Ed infatti gli obblighi di mantenimento sono caratterizzati da una dimensione dinamica enon statica non essendo gli stessi ancorati ad un momento storico definitivo, ma continuando adevolversi nel tempo, senza che per tali motivi sia possibile una previsione di quella che sarà la loroeffettiva consistenza.

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mento dei danni in caso di false dichiarazioni rese e il diritto del debitore aricorrere al giudice per ottenere la riduzione dell’importo, qualora la garan-zia richiesta risulti manifestamente esorbitante.Quanto a quest’ultimo punto si rileva come il giudice non goda di una discre-zionalità piena: egli dovrà pertanto indirizzarsi verso la ricerca di criteri checonsentano una determinazione legata ad elementi di riferimento obiettivi.A far chiarezza sul punto è intervenuta la Suprema Corte, prescrivendo che l’i-scrizione ipotecaria in base alla sentenza attributiva dell’assegno di divorzio,prevista dall’art. 8, 2° comma l. div. può essere effettuata per la somma indi-cata dal creditore, fatta salva la possibilità per il debitore di chiederne la ridu-zione tramite un ricorso al giudice. Tuttavia, si precisa che il giudicante, nongodendo di discrezionalità piena, è tenuto ad applicare criteri che faccianoriferimento a elementi obiettivi, quali le tabelle previste dal r.d. 9 ottobre 1922n. 1403 per la costituzione delle rendite vitalizie immediate. In ogni caso, sirileva che la prelazione precostituita dal creditore dell’assegno può essere fattavalere solo nei limiti delle rate scadute e non pagate e non incide sulla dispo-nibilità del bene ipotecato e sulla capacità di essere garanzia di future obbliga-zioni, restando anzi soggetta alla riduzione ai sensi del comma 2 dell’art. 2873c.c. dopo la estinzione di un quinto della somma capitalizzata”.

IL PROBLEMA DELLA NON ISCRIVIBILITÀ DELL’IPOTECA GIUDIZIALE IN BASE A PROVVEDIMENTI DIVERSI DALLA SENTENZA DEFINITIVA.

Nonostante il dettato normativo dell’art. 2818 c.c. si riferisca, nella suaprima parte, a una tipologia ben precisa di provvedimenti idonei a funge-

re da titolo ipotecario, e nel suo secondo comma, tramite una disposizione dirimando, introduca un principio di tassatività, dottrina e giurisprudenza sisono più volte chieste se altri provvedimenti, recanti sostanza di condanna alpagamento di somme di denaro e natura esecutiva, possano costituire validotitolo ipotecario, ancorché non appartenenti al genus delle sentenze e nonespressamente richiamati dalla legge.Ci si riferisce principalmente al tentativo di ritenere valido titolo ipotecariol’ordinanza contenente i provvedimenti provvisori resi nel corso del giudiziodi separazione e divorzio.La risposta unanime a tale quesito è stata negativa principalmente perché,essendo incontestata l’affermazione di un principio di tassatività nell’ambi-to dell’art. 2818 c.c., non vi è traccia nel nostro ordinamento di alcuna dispo-sizione che autorizzi un’interpretazione diretta ad ammettere l’iscrizioneipotecaria in base a provvedimenti provvisori.In proposito parte della dottrina ha ritenuto che il principale elemento con-trario sia costituito proprio dalla provvisorietà e mancanza di stabilità pro-pria dei provvedimenti resi dal presidente. Infatti, prescindendo dalla circo-stanza che il legislatore abbia volutamente utilizzato il termine “sentenza”,in modo che ogni interpretazione estensiva del termine non potrebbe trovareapplicazione, non può allo stato contestarsi che le ordinanze, benché esecu-tive, siano continuamente modificabili e suscettibili di revoca da parte delgiudice e, in quanto provvisorie, destinate ad essere assorbite in una succes-siva pronuncia di merito.4

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

4 Come è stato osservato, il carattere della stabilità dell’ordinanza in oggetto non potrà desumersi dalla

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Di contro si è osservato che il carattere provvisorio dell’ordinanza nonavrebbe alcun carattere ostativo in quanto l’iscrizione dell’ipoteca è previstadal legislatore anche in forza di provvedimenti provvisori; si pensi, peresempio, al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c..E, infatti, se è pur vero che tale decreto è per sua natura idoneo ad acquisireuna stabilità definitiva (nell’ipotesi di mancata opposizione o di confermadell’ordine in esso contenuto da parte della sentenza definitiva del giudizio),è altrettanto vero che nell’ambito del giudizio di opposizione anche l’effica-cia concessa ex art. 642 c.p.c. può essere revocata.La non indispensabilità del requisito della stabilità è, inoltre, confermatadalla circostanza che, nell’ambito dei giudizi in materia di diritto di famiglia,gli accertamenti effettuati dal giudice, seppur definitivi, producono i loroeffetti solo finché permangono in essere le circostanze di fatto che li hannogiustificati, essendo gli stessi subordinati alla regola rebus sic stantibus.Nel panorama dottrinale sommariamente descritto si è inserita una vicendagiudiziaria, che ha visto affermata in ogni grado del procedimento la nonidoneità del provvedimento interinale (ovvero del provvedimento provviso-rio non definitivo del giudizio suscettibile di essere modificato nel corso delprocedimento) a costituire valido titolo ipotecario e che ha avuto come puntodi approdo un’ordinanza della Corte costituzionale.Il caso ha visto un coniuge iscrivere ipoteca in forza di un ordinanza presi-denziale resa ex art. 708 c.p.c in un giudizio di separazione e della successi-va ordinanza modificativa pronunciata dal giudice istruttore e la controparteottenere dal tribunale di Roma5 la dichiarazione di illegittimità dell’iscrizio-ne accompagnata dalla condanna al risarcimento dei danni.Successivamente, la questione è stata sottoposta prima alla Corte di appellodi Roma, che ha riformato la sola parte relativa al risarcimento del danno inconsiderazione del fatto che non era stata data prova del danno subito, poialla Corte di cassazione6 che ha stabilito, in relazione al secondo comma del-l’art. 2818 c.c., che quando la disposizione utilizza il termine “tale effetto”non si riferisce al contenuto del provvedimento (ossia al fatto che contengauna condanna al pagamento), bensì alla circostanza che la legge attribuiscaad esso l’efficacia di titolo esecutivo per l’iscrizione di ipoteca. Si trattereb-be, infatti, di una norma di richiamo, finalizzata a che la legge indichi tassa-tivamente i provvedimenti diversi dalla sentenza che abbiano il medesimoeffetto, cioè l’idoneità a consentire l’iscrizione del vincolo ipotecario.La stessa Corte di cassazione tuttavia ha ritenuto “rilevante e non manifesta-mente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 3 e 4dell’art. 708 c.p.c., per contrasto con gli art. 3 e 30 Cost., nella parte in cuinon prevedono che i provvedimenti dati dal presidente del tribunale o quellisuccessivi di revoca o di modifica resi dal giudice istruttore costituiscanotitolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ai sensi dell’art. 2818 c.c.”. Afondamento della decisione la Corte ha ritenuto in contrasto con i dettati

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loro potenziale ultrattività nelle ipotesi di estinzione del giudizio. Ed infatti si tratta di situazioni deltutto particolari e per questo non idonee a dare fondamento ad una regola generale diretta a sanci-re l’idoneità dell’ordinanza ex art. 708 c.p.c. a costituire titolo per l’iscrizione ipotecaria.

5 TRIB. ROMA, 18 febbraio 1997.6 CASS. 25 novembre 2000, n. 1100.

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costituzionali la possibilità di effettuare l’iscrizione di ipoteca solamentesulla base delle sentenza di separazione e divorzio e non in un momento pre-cedente, momento nel quale la necessità di tutela per il creditore, diretta aconservare le garanzie patrimoniali del debitore, è particolarmente intensa.La Corte costituzionale,7 tuttavia, ha poi dichiarato infondata la questione dilegittimità costituzionale dell’art. 708 c.p.c.. E infatti, l’esistenza nell’ambi-to del nostro sistema positivo di una gamma di mezzi di rafforzamento dellagaranzia patrimoniale (come, per esempio, il sequestro e l’ordine al terzo dipagare direttamente agli aventi diritto al mantenimento parte delle sommedovute dall’obbligato) rende infondata la censura di incostituzionalità percontrasto con l’art. 30 Cost.. Parimenti, a parere della Corte, deve ritenersiinsussistente la violazione dell’art. 3 Cost., dal momento che il legislatore èlibero di stabilire, nell’ambito della ragionevolezza, quali provvedimenti -diversi dalla sentenza - siano idonei a consentire l’iscrizione di ipoteca.Una soluzione prospettata da alcuni autori, diretta a inserire l’ordinanza pre-sidenziale nell’ambito dei titoli ipotecari, troverebbe origine nella sua natu-ra anticipatoria; si potrebbe, infatti, sostenere che tale natura comporti unaproduzione anticipata degli effetti contenuti nel provvedimento definitivo e,tra questi, anche quello dell’idoneità del provvedimento ad essere validotitolo ipotecario. Tale teoria si presta, tuttavia, ad alcune obiezioni: infatti,non tutti gli effetti della sentenza sono anticipati dall’ordinanza presidenzia-le e, in particolare, sembra doversi escludere l’anticipazione dell’effettocostitutivo. Per esempio, per ciò che concerne il momento in cui si verificalo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, è evi-dente che tale effetto si produrrà soltanto con la sentenza definitiva e certa-mente non si presta a essere anticipato con l’ordinanza in esame. E identicheconclusioni si devono trarre riguardo la costituzione dello status di separati,che si determina solo con la sentenza o con il decreto omologato dalTribunale.Tutt’al più si potrebbe argomentare che non sarebbero gli effetti costitutiviad essere anticipati, bensì gli effetti collegati alle domande di contenutopatrimoniale, nei confronti delle quali è maggiormente avvertita dal credito-re l’esigenza di ottenerne soddisfazione pur trattandosi di diritti riconosciu-ti provvisoriamente. Attraverso tale ricostruzione la possibilità di iscrivereipoteca in forza di un provvedimento non definitivo sarebbe maggiormentegiustificata in quanto corrispondente ad una tutela anticipata del credito dimantenimento certamente meritevole di tutela.

IDONEITÀ DEL DECRETO EX ART. 148 C.C. A COSTITUIRE TITOLOIDONEO PER L’ISCRIZIONE DELL’IPOTECA GIUDIZIALE

Si è posto il problema dell’ idoneità del decreto ex art. 148 c.c. a costituiretitolo idoneo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.

Si è osservato come alcune sue caratteristiche siano irrilevanti ai fini dellapretesa idoneità (o inidoneità) all’iscrizione di ipoteca giudiziale.Così, in primo luogo, il dato che i decreti ex art. 148 c.c. non siano «carat-terizzati dall’essere conclusivi di un giudizio» non pare probante, non essen-do realmente significativo ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca che il provvedi-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

7 CORTE COST., ordinanza 24 giugno 2002.

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mento giudiziale disponga di tale effettivo carattere.In particolare, se pure tra i provvedimenti idonei all’iscrizione di ipotecasono «statisticamente» più frequenti le ipotesi di provvedimenti definitivi,eventualmente anche non passati in giudicato la caratteristica di definire ilgiudizio cui mettono capo non può certamente considerarsi presuppostoimprescindibile ai fini dell’iscrizione giudiziale del vincolo ipotecario.Al riguardo si richiama, come in presenza annotato, l’ipotesi dell’ordinanzadi ingiunzione, che ove provvisoriamente esecutiva costituisce titolo per l’i-scrizione di ipoteca giudiziale ex art. 186-ter, 6° comma, c.p.c.. e ancora, piùsignificativa l’ipotesi del decreto ingiuntivo ex art. 642 c.p.c., provvisoria-mente esecutivo ab origine, che in forza del disposto dell’art. 655 c.p.c.costituisce titolo per iscrizione di ipoteca, indipendentemente dalla consu-mazione del potere di opposizione.In definitiva, dunque, la presenza di alcuni provvedimenti non «conclusivi»del giudizio, espressamente indicati dal legislatore come titoli idonei all’i-scrizione di ipoteca giudiziale, conferma come il naturale propagarsi neltempo dei crediti al mantenimento e la necessità di una loro salvaguardiaanche provvisoria e immediata, impongano per quanto possibile di ricorrerea strumenti di tutela diacronici, non rigidamente presupponesti un provvedi-mento definitivo e irretrattabile.Sotto altro profilo, anche la astratta possibilità di ricorrere a ulteriori stru-menti giudiziari, comunque finalizzati a garantire il soddisfacimento degliobblighi patrimoniali scaturenti dai rapporti di famiglia, non pare rilevante.A rigore, invero, se pure la funzione dell’ipoteca giudiziale è quella di assicu-rare il regolare adempimento dell’obbligazione per l’avente diritto, in ciò nondistinguendosi dal sequestro o dagli ordini di pagamento pure previsti dallenorme speciali, è del pari innegabile che l’ipoteca consenta la produzione dieffetti diversi da quelli ottenibili tramite le ulteriori misure in questione.Il richiamo alle particolari misure cautelari offerte dall’ordinamento è dun-que scarsamente significativo sul piano sistematico, essendo la tutela offer-ta dall’ipoteca giudiziale dotata di proprie caratteristiche e di una propriafunzione, non interamente accostabili e intercambiabili alle provvidenze cuila tutela cautelare viene incontro.Ove poi si considerino le più intense esigenze di protezione di cui gli obbli-ghi in esame necessitano, risulta non percorribile il tentativo di affermareche l’esistenza di rimedi che rendono possibile il ricorso a quest’ultimapossa realmente colmare la lacuna creata dall’assenza della prima.In ogni caso, poi, anche ritenendo che la previsione di ulteriori strumenti di raf-forzamento delle garanzie patrimoniali assuma significato in relazione al temain esame, tale ragionamento può essere compiuto all’interno di giudizi (come laseparazione e il divorzio) nei quali il legislatore ha specificamente introdottouna serie di specifici rimedi a ciò finalizzati8, ma non pare corretto in relazioneal decreto ex art. 148 c.c., dotato esclusivamente della vis executiva.Si avverte pertanto l’esigenza di una pars construens, attraverso un percorsoargomentativo logico-razionale che porti a comprendere quale regime debba

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8 È sulla base di queste considerazioni che la Consulta ha dichiarato infondata la questione di legitti-mità in relazione alla impossibilità di iscrivere ipoteca giudiziale sulla base dei provvedimenti presi-denziali della separazione o del divorzio, e dei relativi provvedimenti di modifica e revoca da partedell’istruttore (Corte cost., ord. 24 giugno 2002, n. 272).

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essere applicato al decreto de quo ai fini dell’iscrizione di ipoteca giudiziale.A questo proposito, il primo aspetto da affrontare è quello relativo alla natu-ra del decreto di cui all’art. 148 c.c.Tale provvedimento costituisce uno strumento atipico, diversamente atteg-giantesi in relazione ad alcuni fattori variabili, pur nel mantenimento di unafinalità che rimane immutata: salvaguardare il diritto al mantenimento deifigli legittimi (in ipotesi patologiche del rapporto coniugale, comunque nontali da sfociare nella separazione), nonché dei figli naturali.In effetti, la natura del decreto in esame si presenta come composita in rela-zione alla diversa dimensione soggettiva che può assumere la lite.Va infatti tenuto presente che la legittimazione si presenta in primo luogodiffusa ex latere actoris, essendo titolare del potere di proporre la domanda«chiunque vi ha interesse» (dunque soggetti evidentemente legati da un vin-colo al minore, ma non necessariamente predeterminati). A conferma di taleparticolarità, si prevede espressamente che l’ordine di corresponsione degliimporti venga emanato non necessariamente in favore dell’altro genitore, maeventualmente anche di «chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istru-zione e l’educazione della prole».Anche dal lato passivo la legittimazione si presenta poi potenzialmente con-corrente. Ed invero, anche gli obbligati inadempienti possono essere plurimi(non solo il genitore ma anche ulteriori ascendenti)9, in via tra loro concor-rente o graduata. Ma soprattutto, non è senza rilievo che l’ordine sia emana-bile non direttamente contro l’obbligato diretto (inadempiente), bensì anchenei confronti di soggetti terzi dai quali l’inadempiente tragga «redditi» (inaltri termini, suoi debitori).La differenza essenziale tra le due ipotesi attiene alla natura del provvedimen-to, dalla quale gli effetti (sostanziali e processuali) traggono vita. A questoriguardo, invero, non si può non considerare sintomatica la differenza dell’ini-ziativa contro l’inadempiente stesso, rispetto a quella contro il terzo debitore.Nel primo caso, la tutela giurisdizionale viene invocata nei confronti di coluiche rappresenta in via immediata e diretta il legittimato passivo, essendo ilsoggetto tenuto all’adempimento della obbligazione sostanziale protetta.Questi è quindi parte a pieno titolo, non solo in senso processuale, ma anchein senso sostanziale.Diversa è invece la proposizione della domanda contro un terzo, e la richie-sta dell’ordine nei confronti di un soggetto che è invece del tutto estraneonon solo all’obbligazione tutelata dal procedimento, ma anche al giudiziostesso, e non può quindi subire alcuna preclusione.Nel primo caso, il generico (e atecnico) contenuto impositivo proprio di tuttigli ordini giudiziali, è possibile ravvisare nel provvedimento anche un veroe proprio carattere condannatorio. L’obbligato è infatti chiamato giudizial-mente ad adempiere a una obbligazione scaturente ex lege, a motivo del suopregresso comportamento, e quindi secondo il tratto comune della categoriagiuridica condanna, che si fonda sull’inadempimento di una obbligazione

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

9 È stato peraltro precisato al riguardo che i nonni o gli altri eventuali ascendenti non devono ritener-si obbligati in qualità di fideiussori delle obbligazioni dei propri discendenti, bensì unicamente obbli-gati al mantenimento o alla prestazione degli alimenti in virtù del principio della solidarietà familia-re e in base alla scala gerarchica prevista dalla legge, senza possibilità quindi di considerare la lorolegittimazione sussidiaria di carattere generale (in tal senso Cass. 23 marzo 1995, n. 3402).

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civile. In questa ipotesi si riscontra pertanto la violazione dell’ordine giuri-dico e in virtù di essa l’intervento giudiziale ha il primario scopo di restau-rare il diritto violato, con ciò integrando a pieno titolo l’attuazione della san-zione che costituisce il quid proprii della figura della condanna.Nettamente diversa è invece l’ipotesi in cui l’ordine sia pronunciato nei con-fronti di un terzo, debitore dell’obbligato. La funzione di salvaguardare l’ob-bligazione di mantenimento viene in questo caso perseguita spostando l’at-tenzione nei confronti di un soggetto terzo ad essa estraneo, e pur tuttavialegato da un rapporto di debito con il debitore principale. L’ordine giudizia-le permane, ma è evidente che risenta non più soltanto della obbligazioneinsoddisfatta ma anche dell’ulteriore collegamento soggettivo, essendo ilrapporto divenuto trilatero.È pur vero che strutturalmente la reazione del debitore diretto e quella delterzo è identicamente costruita dal legislatore (nelle forme dell’opposizionea ingiunzione), ed è parimenti vero che l’art. 148, 3° comma, c.c. qualifica ildecreto come titolo esecutivo, non distinguendo tra i casi in cui lo stessoviene concesso contro l’inadempiente ovvero contro il terzo, e chiarendoquindi che l’esecutorietà possa aversi anche contro il terzo; ma è tuttaviainnegabile che la posizione del terzo rimanga nettamente distinta da quelladell’inadempiente in prima battuta.Infatti, l’ordine contro il terzo si instaura su di un rapporto di debito total-mente estraneo all’obbligazione di mantenimento, modificandone la struttu-ra originaria senza ovviamente alcun effetto di accertamento o preclusivo neiconfronti del terzo. In questa prospettiva, il decreto ex art. 148 c.c. muta dun-que la propria funzione, in quanto attuando un trasferimento coattivo delloius exigendi, o come meglio precisato, affiancando all’obbligazione origina-ria una nuova posizione debitoria, diviene uno strumento essenzialmente didistrazione dei redditi.Tali aspetti sono ancor più percepibili ove si analizzi il modo di atteggiarsidiacronico del rapporto. L’ordine ex art. 148 c.c. è di base sempre emanatoper il futuro, tanto ove sia stato pronunciato contro l’obbligato diretto checontro il terzo. È l’obbligazione sottostante insoddisfatta, infatti, che regolail naturale propagarsi degli effetti del provvedimento nel tempo.Questo sviluppo logico è tuttavia pur sempre vincolato da un punto di vistasostanziale a eventi diversi. Nel primo caso (ordine nei confronti dell’obbli-gato) la permanenza dell’ordine dipende integralmente dal perdurare del-l’obbligazione sottostante. Nel secondo caso (ordine nei confronti del terzo),invece, il provvedimento può perdere la sua ratio giustificatrice (esponendo-si a modifica o revoca) non soltanto per il venir meno dell’obbligazione sot-tostante, ma anche a motivo di ogni eventuale modifica dell’obbligazioneche lega il terzo all’obbligato suo creditore.Pretendere di iscrivere ipoteca giudiziale nei confronti del terzo sarebbeallora in questi casi eccessivo, poiché il vincolo in capo al terzo non sareb-be collegato a una sua obbligazione, e sulla base di questa quantificato, bensìverrebbe a dipendere da un rapporto diverso da quello che giustifica l’iscri-zione stessa. Il vincolo rappresentato dalla garanzia ipotecaria diverrebbequindi in questo caso manifestamente esorbitante.Anzi. In questa ipotesi viene piuttosto da chiedersi se anche la stessa quali-tà di titolo esecutivo, pur riconosciuta ex lege, non sia eccessiva e non rischi

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di comprimere ingiustamente il diritto di difesa del terzo.L’obiettivo di salvaguardare l’effettività delle obbligazioni di mantenimento,attraverso l’introduzione di nuovi rimedi ovvero l’estensione di questi asituazioni e ipotesi non espressamente disciplinate, costituisce innegabil-mente un importante traguardo al quale il legislatore ha dimostrato di vole-re aspirare.In questa prospettiva, tuttavia, sussiste il rischio concreto che la naturale esi-genza di differenziazione possa trasformarsi, a motivo della frammentarietàe disorganicità delle norme di riferimento, in vera e propria disomogeneitàdi trattamento, contraria ai principi costituzionali e ai valori fondamentalidel sistema.È infatti indispensabile garantire simultaneamente su due contrapposte esigen-ze: da un lato, salvaguardare il valore «intrinseco» delle obbligazioni di man-tenimento, nella convinzione che rappresenti effettivamente fine primario del-l’ordinamento assicurare a tali crediti il massimo grado di protezione possibi-le (e in tale ambito predisporre ogni strumento idoneo a rafforzare la fruttuo-sità di tali obbligazioni); dall’altro, contemperare il grado di differenziazioneche per motivi intrinseci la tutela in esame richiede con il principio di ugua-glianza e con il rispetto del diritto di difesa di tutti i soggetti coinvolti.

3. L’AZIONE ESECUTIVA DIRETTA CONTRO IL TERZO

FONTI NORMATIVE

L’art. 8, 3° comma, l. div., nella sua originaria formulazione consentiva algiudice di garantire l’adempimento degli obblighi economici, sanciti a

favore del coniuge e/o dei figli nella sentenza di scioglimento del matrimo-nio, ordinando che una quota dei redditi o dei proventi di lavoro dell’obbli-gato venisse versata direttamente agli aventi diritto. Ciò, sia nella sentenzaconclusiva del giudizio, sia mediante successivi provvedimenti in camera diconsiglio.Successivamente con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 (L. 19maggio 1975, n. 151) la possibilità prevista in materia di divorzio è stata este-sa anche nell’ambito dei giudizi di separazione laddove, al 6° comma dell’art.156 c.c., è stata introdotta la possibilità anche per il giudice della separazionedi “ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme didenaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agliaventi diritto”, limitando però tale possibilità ai casi di “inadempienza” degliobblighi di mantenimento stabiliti nella sentenza di separazione.In un momento ancora successivo con la riforma del 1987 (L. 6 marzo 1987,n. 74) il disposto normativo dell’art. 8, 3° comma, l. div. è stato modificato.La modifica introdotta, oltre a configurare l’effettiva e protratta inadempien-za dell’ex coniuge quale presupposto necessario del pagamento diretto, eli-mina la necessità dell’intervento giudiziale nei confronti di quest’ultimo.In base al regime attuale previsto in materia di divorzio, pertanto, la parte cuisia stato riconosciuto il diritto a ricevere il pagamento di un assegno perio-dico, per sé o per i figli, quando questo non le venga corrisposto, può rivol-gersi direttamente al terzo tenuto a versare somme all’obbligato principa-le, senza alcuna necessità di ricorso in via preventiva all’autorità giudiziaria,né per ottenere un ordine contro il terzo, né per accertare l’esistenza del

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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debito di quest’ultimo nei confronti dell’ex coniuge obbligato. E così l’avente diritto ha titolo per richiedere direttamente al datore di lavo-ro dell’obbligato inadempiente, o all’ente che a costui eroga la pensioneautonomamente e la documentazione relativa agli emolumenti corrispostiglie, una volta ottenuta la documentazione, potrà agire nei confronti del terzo,se necessario anche in via esecutiva, per ottenere direttamente il versamentodi quanto dovuto.

DIFFERENZE TRA L’ORDINE DI PAGAMENTO DIRETTO PREVISTO NELLA SEPARAZIONE (ART. 156, 6° COMMA, C.C.) E NEL DIVORZIO

La prima, e più rilevante, differenza riguarda la necessità di un provvedi-mento giudiziale che ancora sussiste per il giudizio di separazione e che è

stata, invece, completamente eliminata in sede di divorzio.Il procedimento si inserisce tra quelli camerali che caratterizzano il giudiziodi separazione, con presentazione del ricorso, nomina di un relatore, assun-zione di informazioni, parere obbligatorio del pubblico ministero. Il ricorsoandrà notificato al coniuge obbligato, ma non al terzo debitor debitoris,estraneo al giudizio di separazione, il quale peraltro potrebbe essere sentitoper assumere sommarie informazioni. Il tribunale pronuncerà, quindi, undecreto che potrà essere impugnato con reclamo. L’ordine di pagamentodiretto potrà essere dato, comunque, anche nel corso del giudizio di separa-zione, a seguito di semplice istanza riportata nel processo verbale. Sia in uncaso che nell’altro il provvedimento emesso a tutela della corresponsionedell’assegno alimentare sarà immediatamente esecutivo.In secondo luogo, benché entrambe le norme prevedano quale presuppostonecessario l’inadempienza del coniuge obbligato, l’art. 156 c.c. non fissaalcun ulteriore limite temporale per poter procedere alla richiesta di corre-sponsione diretta al terzo.L’assenza di tale limite, nonché, in particolare, l’intervento di un provvedi-mento giudiziale, permettono inoltre di prescindere anche dalle altre condi-zioni formali stabilite dall’art. 8, 3° comma, l. div., (intimazione ad adem-piere, notificazione al terzo del provvedimento che stabilisce l’assegno,comunicazione al debitore di alimenti della notificazione al terzo).L’art. 156, 6° comma, c.c. consente, poi, di utilizzare la forma di tutela delpagamento diretto dell’assegno da parte del terzo indipendentemente dalcarattere periodico o meno della somma che quest’ultimo deve corrisponde-re al debitore di alimenti.La norma in materia di separazione, a differenza della corrispondente dispo-sizione contenuta nella legge del divorzio, non precisa quali obblighi patri-moniali posti a carico di uno dei coniugi intenda tutelare. L’inserimento delmezzo di tutela nella norma volta a disciplinare gli effetti della separazionesui rapporti patrimoniali tra i coniugi, poteva far pensare che lo strumento digaranzia fosse applicabile soltanto al diritto al mantenimento del cosiddettoconiuge più debole. Sul punto è, comunque, intervenuta la Corte costituzio-nale, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nellaparte in cui non prevede la sua applicabilità anche a favore dei figli, nonchéai provvedimenti economici stabiliti in sede di separazione consensuale.10

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10 Si vedano CORTE COST. 31 maggio 1983, n. 144 e 6 luglio 1994, n. 278.

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Un’ulteriore diversità tra la disposizione riguardante la garanzia del paga-mento diretto da parte del terzo contenuta nell’art. 156 c.c. e quella contenu-ta nell’art. 8 l. div., potrebbe ravvisarsi nel fatto che, mentre quest’ultimalimita il pignoramento delle somme dovute al debitore di alimenti alla metà,la prima nulla dispone al riguardo. La lacuna normativa si giustifica, proba-bilmente, con il fatto che la norma in materia di separazione ha come ogget-to qualsiasi somma dovuta al coniuge obbligato, anche non periodica e quin-di non necessariamente destinata a soddisfare le esigenze di vita di costui.Nonostante ciò, recentemente la giurisprudenza11, sposando la tesi della natu-ra esecutiva dell’ordine di pagamento diretto rivolto al terzo nel giudizio diseparazione, ha affermato l’applicabilità anche ad esso del limite inderoga-bile della metà delle somme stabilito dall’art. 545, 3° comma, c.c.Quest’ultima norma si riferisce, però, soltanto al caso di concorso di piùpignoramenti, per regolare il quale l’art. 8 della legge del divorzio si rimet-te invece alla valutazione del giudice dell’esecuzione.In realtà, diversi elementi ostacolano la riconducibilità della garanzia previ-sta dall’art. 156, 6° comma, c.c., all’ambito esecutivo. Primo fra tutti, il fattoche la norma non preveda la possibilità di procedere ad esecuzione forzatacontro il terzo debitor debitoris che resti inadempiente, come fa invece il 4°comma dell’art. 8 l. div..Infine, va segnalato che mentre nel giudizio di divorzio si tende ad esigerela definitività del provvedimento suscettibile di esecuzione contro il terzo,nel giudizio di separazione la giurisprudenza ha, invece, ritenuto che l’am-bito di applicazione dell’art. 156, 6° comma, c.c., possa essere esteso aiprovvedimenti emessi nel corso del giudizio dal giudice istruttore12. In que-sta prospettiva, si è ritenuto anche che lo stesso presidente del tribunaledovrebbe disporre del potere di emanare l’ordine al terzo, qualora l’obbliga-to abbia già manifestato un precedente e univoco rifiuto ad ottemperare aglioneri economici comunque posti a suo carico dalla legge13.

CONFIGURABILITÀ IN DIVORZIO DI UNA AZIONE ESECUTIVADIRETTA CONTRO IL TERZO DEBITORE DELL’OBBLIGATO.

Èevidente che il ricorso previsto dall’art 8 l. div comporta l’instaurarsi diun rapporto obbligatorio tra l’avente diritto e la parte terza.

Si tratta di un rapporto trilaterale ex coniuge creditore - ex coniuge debito-re - terzo debitore dell’ex coniuge onerato difficilmente qualificabile sottoil profilo teorico-giuridico. Parte della dottrina vi ha ravvisato un’ipotesi dilegittimazione all’esercizio del credito altrui, mentre altri la riconducononell’ambito delle vicende traslative del credito, attraverso lo schema di una

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

11 Si veda TRIB. MILANO ordinanza 22 maggio 2001, nella causa Paese - TV Tras S.r.l.. la quale ha cosìdisposto: “Il limite massimo della metà della retribuzione, previsto dall’art. 545, 3° comma, c.p.c.per il caso di concorso di più pignoramenti, si applica anche al caso della concorrenza con un pre-cedente ordine di pagamento diretto ex art. 156, 6° comma, c.c., stante l’assimilazione di quest’ul-timo alla procedura espropriativi presso terzi”.

12 Si veda in proposito la sentenza della Corte Cost. 6 luglio 1994, n. 278, la quale ha dichiarato l’il-legittimità dell’art. 156, 6° comma, c.c., “nella parte in cui non prevede che il giudice istruttorepossa adottare, nel corso della causa di separazione, il provvedimento di ordinare ai terzi debitoridel coniuge obbligato al mantenimento di versare una parte delle somme direttamente agli aventidiritto”.

13 Si veda Trib. Torino del 16 giugno 1986.

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delegazione avente fonte legale, oppure di una cessione coattiva del credito.Taluni autori, infine, considerano l’ipotesi una nuova e peculiare forma diesecuzione sul credito verso terzi.Il nuovo rapporto obbligatorio tra il creditore di alimenti e il debitore deldebitore ha, in realtà, una vera e propria funzione di garanzia soltanto perle rate dell’assegno non ancora scadute, affiancando per queste allaresponsabilità patrimoniale dell’ex coniuge onerato quella del terzo suodebitore. In ogni caso, pur trattandosi di un’ipotesi di trasferimento previstadalla legge del credito in funzione di garanzia, l’oggetto di tale successionea titolo particolare va qualificato, secondo autorevole dottrina come unaposizione di aspettativa tutelata, piuttosto che come un credito attuale vero eproprio.Il credito dell’ex coniuge a ricevere la corresponsione degli assegni già sca-duti costituisce, invece, un normale credito di somma di denaro, per lasoddisfazione del quale l’avente diritto può fare ricorso alle norme ordinariesull’espropriazione del credito presso terzi.Ai sensi dell’art. 8 della legge sul divorzio ove il terzo cui sia stato notifi-cato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diret-ta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegliquale assegno di mantenimento ai sensi degli articoli 5 e 6.La norma è certamente singolare sotto il profilo procedurale, in quanto pre-vede l’esperimento di un’azione esecutiva nei confronti del terzo, in base aun titolo formatosi in un procedimento al quale egli è del tutto estraneo. Èevidente, comunque, l’ulteriore intento rafforzativo della tutela del diritto,poiché senza dubbio la norma esercita nei confronti del terzo un’efficaciadeterrente non irrilevante. In ogni caso, dal momento che un’azione esecuti-va non può prescindere dalla notificazione del titolo esecutivo, questo sideve ritenere costituito dalla copia autentica del provvedimento che ha rico-nosciuto il diritto all’assegno di divorzio, unitamente alla copia dell’atto dicostituzione in mora dell’ex coniuge debitore e dell’invito a pagare notifica-to al terzo.Più problematica appare la questione delle difese opponibili all’esecuzione,sia da parte del terzo che da parte dell’ex coniuge onerato. Come giustamen-te osservato, “l’unica soluzione che può evitare un contrasto con il diritto didifesa garantito dall’art. 24 della Costituzione è quella di riconoscere adambedue la possibilità di far valere le loro ragioni prima dell’inizio dellaprocedura esecutiva, con una semplice azione di accertamento negativo, pro-ponibile non appena sia stato notificato loro l’invito al pagamento direttorivolto al terzo”. In tale senso si è espressa di recente anche la giurispruden-za, riconoscendo il diritto del coniuge divorziato a contestare autonomamen-te, mediante un ordinario giudizio di cognizione, l’iniziativa del titolare del-l’assegno.Può anche accadere che il coniuge beneficiario, al momento di notificare aldatore di lavoro (la parte terza) dell’ex coniuge obbligato la richiesta dipagamento diretto, scopra che lo stipendio (il credito, appunto) sia già ogget-to di altri pignoramenti. L’ipotesi è prevista dal 5° comma del medesimo.Qualora il credito del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi siastato già pignorato al momento della notificazione, all’assegnazione e alla

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ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta la corresponsione periodi-ca dell’assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti nell’esecu-zione, provvede il giudice dell’esecuzione.

I PRESUPPOSTI

Ipresupposti sono differenti in sede di separazione e divorzio.

Separazione: L’art. 156 c.c è chiaro nell’indicare come presupposto impre-scindibile l’inadempimento, da provarsi quanto al pregresso, e che deveancora essere attuale al momento della richiesta. Tuttavia la suprema corte(cass. n. 7303/1983 e n. 1095/1990) ha ritenuto legittimo l’ordine al terzoemesso anche sulla base di un non puntuale adempimento: “ Il non puntua-le adempimento dell’obbligo di mantenimento anche se di pochi giornirispetto alla scadenza imposta legittima l’emanazione dell’ordine ai terzitenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniugeobbligato che una parte di essi venga versato direttamente all’avente dirit-to, ove tale comportamento provochi fondati dubbi sulla tempestività deifuturi pagamenti (Cass. 9 dicembre 1983, n. 7303) e ciò soprattutto in con-siderazione della funzione cui adempie l’assegno e che viene ad essere fru-strata anche da semplici ritardi.”Altro elemento che si rileva immediatamente dal dato testuale della norma èquello riconducibile alla necessità di una precisa istanza di parte, fatta salvala possibilità di un intervento d’ufficio a tutela degli obblighi disposti infavore della prole.Nell’ambito del divorzio: Presupposto necessario per procedere all’azionediretta nei confronti del terzo che l’ex coniuge obbligato sia in ritardo dialmeno 30 giorni nel pagamento dell’assegno. Di conseguenza, si deve rite-nere che una inadempienza di durata inferiore non legittimerebbe il ricorsoalla procedura prevista dall’art. 8, 3° comma, l. div., così come non la legit-timerebbe il persistente ritardo dell’ex coniuge nel versamento degli assegnidovuti.Dall’interpretazione del disposto normativo in esame, si desume inoltre chel’inadempimento richiesto è quello che precede la costituzione in mora delconiuge onerato e non, come pur sostenuto da alcuni, quello che persiste pertrenta giorni dopo la ricezione della raccomandata che lo costituisce in mora.L’inadempimento dovrà ovviamente esistere anche nel momento in cui siinstaura la procedura, poiché l’azione per il pagamento diretto è una formadi tutela dei diritti dell’ex coniuge creditore e non di sanzione nei confrontidel debitore. È vero, comunque, che l’inadempimento protrattosi nel tempo,sia pure sanato, potrà essere considerato tra gli indizi di un pericolo di ina-dempimento futuro e dare, quindi, luogo all’ordine rivolto all’ex coniugeonerato di prestare un’idonea garanzia reale o personale, ai sensi dell’art. 8,1° comma, l. div.Mentre nel giudizio di separazione è necessario l’intervento del giudicenell’ambito del divorzio è consentito al creditore di ottenere direttamen-te dal debitore del debitore la corresponsione dell’assegno.In divorzio quindi il primo passo da compiere consiste nell’intimare alconiuge onerato di adempiere, mediante raccomandata con ricevuta di ritor-no. Benché l’art. 8, 3° comma, l. div., non la menzioni espressamente, è da

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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ritenere parimenti valida l’intimazione fatta a mezzo di ufficiale giudiziario,che consente di realizzare con altrettanta e forse maggiore efficacia la noti-ficazione richiesta dalla norma. Il riferimento alla lettera raccomandata conricevuta di ritorno va ritenuto quale indicazione dei requisiti formali minimiche il creditore di alimenti deve rispettare se vuole costituire in mora il debi-tore. Bisogna, comunque, precisare che l’espressione usata dal legislatore“costituzione in mora” è impropria. L’art. 1219, 2° comma, n. 3, c.c. nonrichiede, infatti, alcuna costituzione in mora per le obbligazioni pecuniariescadute da eseguirsi al domicilio del creditore. L’intimazione ad adempiererivolta all’ex coniuge onerato ha, in realtà, più che altro la funzione di pre-costituire una prova documentale da opporre al terzo per ottenere da questiil pagamento diretto dell’assegno dovuto al creditore.Ulteriore condizione formale che l’ex coniuge avente diritto deve soddisfareè la notifica al terzo in copia autentica del provvedimento che dispone e pre-cisa l’ammontare dell’assegno di divorzio.Infine, la norma in esame prescrive la comunicazione all’ex coniuge inadem-piente dell’avvenuta notificazione al terzo suo debitore. Benché la formula-zione normativa sia equivoca, è chiaro che tale comunicazione dovrà essereeffettuata dal creditore procedente e non dal terzo.L’obbligo del terzo sorge nel momento in cui egli riceve la notifica del prov-vedimento contenente le statuizioni economiche connesse al divorzio, a pre-scindere, dunque, dal corretto adempimento da parte del creditore di alimen-ti delle altre due condizioni formali poste a suo carico dall’art. 8, 3° comma,l. div. Il terzo potrà, quindi, opporsi alla pretesa azionata nei suoi confronti,semplicemente e soltanto facendo valere le irregolarità che riguardano lanotificazione a lui effettuata.Il terzo non potrà neppure opporre al creditore l’avvenuto adempimento, daparte dell’onerato, della prestazione connessa all’assegno di divorzio, dalmomento che in proposito egli è carente di un interesse giuridicamenteapprezzabile ai sensi del generale disposto dell’art. 100 c.p.c.Come già evidenziato, infatti, attraverso la procedura prevista dall’art. 8, 3°comma, l. div., il terzo diviene diretto debitore dell’ex coniuge creditore. Ciòsi evince, del resto, dall’espressa previsione secondo la quale, in caso di ina-dempienza od inottemperanza del terzo, il creditore potrà agire esecutiva-mente nei suoi confronti (art. 8, 4° comma, l. div.).La dottrina ha, comunque, lamentato la scarsa attenzione del legislatore dellariforma per il problema, ovvero per il caso in cui il procedimento non siastato correttamente instaurato. Come già argomentato, nel rispetto del dirit-to alla difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), sarebbe logicosupporre che il terzo e l’ex coniuge onerato possano contestare tempestiva-mente l’iniziativa del creditore, senza dover attendere l’inizio dell’azioneesecutiva diretta. Dal momento che la procedura prevista dall’art. 8, 3°comma, l. div., non richiede l’adozione di alcun provvedimento giudiziale,l’unico rimedio possibile è instaurare un ordinario giudizio di cognizionevolto a far accertare la carenza dei presupposti necessari per esigere dal terzoil pagamento diretto dell’assegno divorzile. Non trattandosi di opposizioneagli atti esecutivi, l’eventuale sentenza di accertamento negativo dell’obbli-go del terzo sarà ovviamente appellabile e non immediatamente ricorribile inCassazione.

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Qualora, invece, il terzo si limiti a non adempiere, l’ex coniuge creditorepotrà instaurare l’azione esecutiva diretta nei suoi confronti previa notifica-zione del titolo in base al quale procede, munito di formula esecutiva. Taletitolo sarà necessariamente composito, ovvero sarà costituito dall’insiemedelle condizioni formali prescritte dall’art. 8, 3° comma, l. div., per ottenereil pagamento diretto dal terzo (intimazione ad adempiere rivolta all’exconiuge onerato; provvedimento giudiziale che stabilisce l’obbligo di corri-spondere l’assegno e ne determina l’ammontare, già notificato al terzo;comunicazione all’ex coniuge onerato dell’attivata procedura per il paga-mento diretto).

TIPOLOGIE DI PROVVEDIMENTI SUSCETTIBILI DI ESECUZIONECONTRO IL TERZO

Si è dibattuto in merito all’individuazione del provvedimento giudizialeche consente di attivare la procedura prevista dall’art. 8, 3° comma, l. div.

Secondo una prima prospettiva si potrebbe sostenere che possa trattarsi,tanto della sentenza di divorzio che sancisce le obbligazioni patrimonialiaccessorie, quanto del provvedimento camerale emesso successivamente aisensi dell’art. 9 l. div., sia infine delle ordinanze rese dal presidente o dalgiudice istruttore nel corso del procedimento di divorzio. La stessa relazio-ne parlamentare alla riforma del 1987, del resto, argomentando a propositodella nuova formulazione del terzo comma dell’art. 8 l. div., richiama espres-samente l’esecutività del provvedimento presidenziale provvisorio, cosìcome della sentenza di primo grado ex art. 4 della legge 898/1970, testonovellato.Quest’ultima soluzione è stata, tuttavia, criticata da altra parte della dottrinarilevando, innanzi tutto, che la norma in esame è collocata nella legge dopole disposizioni riguardanti lo svolgimento del giudizio di divorzio e l’ema-nazione della relativa sentenza. Al di là degli argomenti offerti da un’inter-pretazione sistematica della disciplina del divorzio, l’ordinanza presidenzia-le resterebbe comunque testualmente esclusa dal novero dei provvedimentinotificabili al terzo, in quanto l’art. 8 l. div., dedicato ai mezzi di tutela delledisposizioni patrimoniali nel divorzio, si apre facendo espresso riferimentoal “tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civi-li del matrimonio”. Lo stesso articolo, al secondo comma, parla poi della“sentenza” che “costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale …”.In ogni caso, non si possono trascurare i problemi che si verrebbero a porrenel caso in cui il provvedimento presidenziale che dispone l’assegno a van-taggio del coniuge non fosse poi confermato nella sentenza, per la riscontra-ta insussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 5 l. div., e fosse invece giàstata attivata la procedura volta a garantire tale corresponsione periodica.Analoghe osservazioni potrebbero essere avanzate anche con riguardo allasentenza di primo grado. Benché, infatti, i capi della stessa aventi contenutoeconomico siano immediatamente esecutivi ex lege, e nonostante la loro qua-lificazione di prestazioni periodiche operata dall’art. 5 l. div., qualora in sededi impugnazione venisse riscontrata la carenza dei presupposti per la pro-nuncia di divorzio, resterebbe travolta non solo la statuizione principale rela-tiva allo scioglimento del matrimonio, ma anche quelle accessorie concer-nenti i provvedimenti economici. Questi ultimi non sarebbero più qualifica-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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bili come assegni divorzili, né di conseguenza tutelabili ai sensi dell’art. 8l. div.Come giustamente osservato,14 sarebbe dunque, opportuno procedere nelleforme dell’azione diretta solo in presenza di un titolo definitivo, almeno conriguardo al caso dell’assegno a favore del coniuge.Maggiore elasticità potrà esservi, invece, per quel che concerne l’assegno dimantenimento a favore dei figli, la cui qualificazione giuridica non muta aseconda che si verta in sede di separazione legale tra i coniugi o in sede didivorzio.

LIMITI QUANTITATIVI DELL’OBBLIGO DEL TERZO.

Amente dell’art. 8, 6° comma l. div. lo Stato e gli altri enti pubblici (indi-cati nell’art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il

pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendentidelle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del Presidente dellaRepubblica 5 gennaio 1950, n. 180) nonché gli altri enti datori di lavoro cuisia stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell’assegnoe l’invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione perio-dica, non possono versare a quest’ultimo oltre la metà delle somme dovuteal coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumentiaccessori.In base al dettato normativo la disposizione limitativa trova, dunque, appli-cazione tanto nel caso in cui il debitor debitoris sia un datore di lavoro pub-blico, quanto nel caso in cui si tratti, invece, di un datore di lavoro privato.D’altronde, la ratio della norma non giustifica, infatti, alcuna differenziazio-ne tra datori di lavoro costituiti in enti e datori di lavoro individuali, che, oveattuata, presenterebbe indubbi profili di illegittimità costituzionale.Come precedentemente accennato, trattandosi dell’estensione ai crediti ali-mentari del limite tassativamente previsto nelle leggi relative al sequestro, alpignoramento e alla cessione di stipendi, salari e pensioni, ulteriori proble-mi interpretativi sorgono nel caso in cui il credito dell’ex coniuge onerato siagià oggetto di un precedente pignoramento.Ci si chiede, infatti, se il limite della “metà delle somme dovute al coniugeobbligato” previsto dalla legge sul divorzio, debba intendersi in senso asso-luto, includendo, dunque, nel computo anche la somma già in precedenzapignorata, o relativamente ai soli crediti che l’art. 8, 6° comma, l. div., inten-de tutelare. Al fine di risolvere tale dubbio interpretativo non si può nontenere conto della ratio del limite, chiaramente diretto ad assicurare all’ob-bligato principale la disponibilità degli importi necessari a soddisfare le pro-prie personali esigenze di vita, la quale ratio fa intendere che il limite abbiavalenza assoluta. Ciò sia pure con la consapevolezza di esporre, in talemodo, il creditore di alimenti al rischio che il debitore diminuisca le suegaranzie attraverso la precostituzione volontaria di altri debiti, contro i qualiall’ex coniuge creditore non resterebbe che esperire un’azione revocatoria exart. 2901 c.c., con l’ulteriore onere di provare la mala fede del terzo credito-re.Il limite introdotto dalla riforma del 1987 pone inoltre interessanti questioni

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14 Cfr. G. SERVETTI [1995], p. 395.

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di diritto intertemporale. Avendo il credito garantito natura di corresponsio-ne periodica, la nuova normativa più favorevole al debitore potrà, infatti,applicarsi alle fattispecie non ancora esaurite, vale a dire alle corresponsio-ni non ancora effettuate. Tuttavia, dal momento che la precedente disciplinaprevedeva l’intervento del giudice del divorzio volto a ordinare al terzo ilpagamento diretto dell’assegno, la riduzione dell’ammontare di quest’ultimoentro i limiti della nuova normativa richiederà, logicamente, che il debitoreinteressato instauri un procedimento giudiziale per ottenere una statuizionemodificativa della precedente.Anche in base all’attuale formulazione dell’art. 8, 6° comma, l. div., nessunlimite troverà, invece, applicazione nel caso in cui il creditore di alimentiagisca nei confronti di un terzo tenuto a corrispondere somme all’ex coniu-ge onerato in virtù di un rapporto diverso dal rapporto di lavoro (per esem-pio, un rapporto di locazione).

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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Iprocessi di separazione e divorzio riguardano indiscutibilmente i coniugi,che sono i soli soggetti legittimati alla azione, pur se si tratta di giudizinei quali ai sensi dell’art. 70 c.p.c. è obbligatoria la partecipazione del

P.M..1

È altrettanto indiscutibile però che alla famiglia formata dal matrimonio par-tecipano anche i minori i quali oltre a vantare diritti soggettivi specifici neiconfronti dei genitori sono comunque soggetti interessati al mantenimentodella comunità familiare in quanto formazione sociale ove la loro personali-tà si forma.L’esame dei principi costituzionali, secondo una linea di tendenza che dagliartt. 2 e 3 conduce agli artt. 29, 30 e 31 Costituzione, costituisce una dellefondamentali chiavi di lettura delle problematiche relative alla vita dei mino-ri nella famiglia.La Costituzione mette in primaria evidenza i valori relativi alla formazione

ed alla crescita umana, e se lacarta costituzionale nominalisti-camente poco si sofferma suiminori o sulla minore età è inragione di una scelta di sostanza afavore del minore, consideratopersona al pari di ogni altro sog-getto, senza alcun bisogno diesplicite quanto sovrabbondantienunciazioni in proposito; vice-versa l’ordinamento precostitu-zionale era prodigo di riferimentialla particolarità della condizioneminorile, quasi a considerarlosoggetto diverso dalla persona.Questo spiega le ragioni per le

quali il legislatore, nei giudizi in esame, ha disposto che i provvedimentirelativi alla prole vengano assunti dal giudice nell’esclusivo interesse mora-le e materiale della medesima.Ed a tal proposito non va dimenticato che, nel corso dei lavori preparatoriper la riforma del diritto di famiglia, venne respinto un emendamento che, inmateria, prevedeva una norma in base alla quale i provvedimenti relativi allaprole dovevano essere assunti non nell’esclusivo interesse dei figli ma anchenell’interesse della famiglia e dei genitori.2

Il minore dunque nella famiglia e nella vicenda della crisi coniugale è porta-tore di un proprio interesse, autonomo rispetto a quello dei genitori ed in ipo-tesi anche divergente da esso.

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RITA RUSSOMAGISTRATO

TRIBUNALE DI MESSINA

L’ASCOLTO DEL MINORENEI PROCESSI DISEPARAZIONE E DIVORZIO

RELAZIONE TENUTA AL CONVEGNO “IL MINORE ASCOLTATO”, ORGANIZZATO DALL’AIAFSICILIA, MESSINA, LUGLIO 2004

1 La partecipazione del P.M. in questi giudizi,ed in genere in quelli previsti dall’art. 70 c.p.c. va inte-sa nel senso che al P.M. devono essere comunicati gli atti affinché egli ne prenda cognizione e possavalutare modalità, tempi e limiti del suo intervento. Assolto quest’onere non è poi necessaria la effet-tiva partecipazione del P.M. alle udienze né vi è obbligo per quest’ultimo di presentare specificheconclusioni Anche un semplice visto da parte del P.M. impedisce che il procedimento possa consi-derarsi affetto da nullità (Cass. 24/11/1998 n. 11915 e Cass. 19/112000 n. 571) Non così nei giudi-zi per il mantenimento della prole ex art. 148 e 381 cod. civ. nei quali la partecipazione del P.M.non è necessaria (Cass. 20 giugno 2000 n.8382)

2 Così si esprime anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 815 del 1986

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Di conseguenza si pone la questione se i minori rivestano nell’ambito delprocesso di separazione e divorzio la qualità di parte processuale ai sensidell’art. 100 c.p.c., se non per proporre la domanda, quantomeno per con-traddire alla stessa, dibattito da tempo presente in dottrina e in giurispruden-za. Diverse pronunce dei giudici di merito e di legittimità hanno negato talequalifica ai minori, tanto nel processo di divorzio ove si è escluso che i figlipossano rivestire la qualifica di parte necessaria sul presupposto che i lorointeressi alla persistenza del vincolo coniugale tra i genitori non avrebberoconsistenza giuridica di diritto sostanziale, e dunque non possono riceveretutela ex art. 24 Costituzione3, tanto nel processo di separazione. In questitermini una nota pronuncia della S. C. ha ritenuto che nei giudizi di separa-zione, ancorché la tutela degli interessi dei figli minori costituisca finalitàprevalente - o addirittura esclusiva - dei provvedimenti che li riguardano,non si avrebbe comunque riconoscimento della qualifica di parte e non èquindi necessaria la nomina di un rappresentante4.L’esigenza di garantire in giudizio che le garanzie predisposte dall’ordina-mento per i minori nella crisi del rapporto coniugale vengano effettivamenteattuate ha originato un acceso dibattito tra chi sostiene la necessità dellanomina di un curatore speciale nei giudizi di separazione e divorzio -cosicome in ogni procedura di crisi della famiglia, anche se di fatto- e chi inveceritiene che i minori in detti processi hanno solo una posizione riflessa e nonpossono aspirare ad una tutela diretta essendo destinatari non già di provve-dimenti ma di effetti di provvedimenti adottati nei conforti dei genitori.Della questione è stata anche investita la Corte Costituzionale, per eccezio-ni di legittimità sollevate dal Tribunale di Genova, con ordinanze del 1 apri-le 1982 e del 26 settembre 1986, nei confronti degli artt. 5 della legge898/1970 e 708 c.p.c. e con riferimento agli artt. 3, 24 e 30 dellaCostituzione nella parte in cui non prevedono la nomina di un curatore spe-ciale a rappresentare il minore nei giudizio di separazione e divorzio conriguardo ai provvedimenti di affidamento e correlati ad esso. In questa occa-sione la Corte ha escluso5 la fondatezza delle questione muovendo dalla con-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

3 Cassazione 25 giugno 1977 n. 2714 in Diritto della famiglia e delle persone del 1977; Tribunale diPalermo 7 giugno 1972 in Foro Il. N. 1 del 1973; Cassazione del 26 aprile 1974 n. 1195 in Foro H.N. 1 del 1974

4 “Nel giudizio di separazione, che ha ad oggetto l’accertamento della sussistenza dei presupposti del-l’autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale ces-sazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e con i figli, la qualità di partespetta esclusivamente ai coniugi e non può essere riconosciuta ai parenti di questi, neppure al limi-tato fine di meglio tutelare gli interessi dei figli minori; ai parenti, infatti, la legge espressamente rico-nosce soltanto la legittimazione a sollecitare, in diversa sede, il controllo giudiziario sull’eserciziodella potestà dei genitori (art. 336 c.c.) al fine di conseguire la tutela degli oggettivi interessi deiminori.” Cassazione civile sez. I, 17 gennaio 1996, n. 364; Giust. civ. Mass. 1996,75; Famiglia ediritto 1996,227 con nota di Venchiarutti; Studium Juris 1996, 743. La stessa sentenza si segnala peravere approfondito il tema delle prescrizioni in materia di affidamento dei minori: “In tema di sepa-razione personale dei coniugi, il diritto del genitore non affidatario a mantenere vivo il rapporto affet-tivo con i figli, interessandosi anche della loro educazione e istruzione, essendo sempre finalizzatoe subordinato al perseguimento dell’interesse dei minori, può essere legittimamente disciplinato dalgiudice della separazione in modo da non recare pregiudizio alla salute psicofisica dei minori mede-simi, anche prevedendo particolari cautele e restrizioni agli incontri, ovvero arrivando perfino asospenderli del tutto se necessario.”

5 Non è fondata, in riferimento agli art. 3, comma 1 e 2, 24, comma 2, e 30 cost., la questione dilegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 (in relazione all’art. 6, comma 2), della l. 1 dicembre1970 n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e dell’art. 708 c.p.c. (in relazione

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siderazione che l’interesse dei minori nelle procedure di separazione e divor-zio è adeguatamente tutelato dalla presenza del P.M. e comunque dai poteriofficiosi del giudice, che in questi casi è svincolato dal principio dispositivodel processo e può decidere anche extra et ultra petita tenendo in considera-zione del prevalente interesse dei minori.Anzi la Corte ha anche espresso il convincimento che il legislatore abbia diproposito voluto evitare la nomina di un curatore in quanto essa comporte-rebbe il riconoscimento ed istituzionalizzazione del potenziale conflitto diinteressi tra figlio e genitori riguardo all’affidamento; ciò costituirebbe inultima analisi una maggiore garanzia per il minore stesso che viene preser-vato dal diretto intervento nella litigiosità potenzialmente presente tra leparti6.Gli argomenti esposti dalla Corte Costituzionale, come già in altri casi, evi-denziano la discrezionalità del legislatore nello scegliere tra più soluzionicoerenti con i dettati della Costituzione e quindi il non attribuire la qualità diparte a tutti i soggetti che hanno un interesse al processo o nel processo (aquesta ultima categoria invero sembrano appartenere ai minori); ma alquan-to astratte appaiono le motivazioni relative alla temuta istituzionalizzazionedel conflitto, quasi che non l’esservi strumento specifico di tutela per un pos-sibile pregiudizio a beni e diritti possa impedire che il pregiudizio si verifi-chi nella realtà; non deve essere trascurato il dato di fatto e cioè che spessonella realtà la crisi coniugale determina se non un conflitto tra i genitori ed ilminore direttamente, quantomeno una divergenza tra gli interessi effettivi deiminori e la loro rappresentazione innanzi al giudice, che, rimessa alle pro-spettazioni degli stessi genitori finisce spesso per essere falsata e distorta,consapevolmente o meno, dal conflitto tra i genitori stessi; e se le motivazio-ni della Corte Costituzionale sono indubbiamente valide in quanto esprimo-no la - per certi versi scontata - esigenza di evitare manifeste ingerenze nellavita del minore, che non deve essere costretto alla partecipazione alla litesostanziale e processuale tra i genitori, vanno però decisamente rifiutate nellatrasposizione che spesso ne viene fatta nella realtà dei singoli processi e chesi traduce nella volontà o - malvezzo acquisto - di volere tenere sempre edassolutamente lontano il minore dal processo, al punto di avversarne anche lastessa audizione da parte del giudice o di un suo ausiliario.Deve peraltro prendersi atto che la presenza attiva del minore nel processo è

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all’art. 155 c.c.), nella parte in cui, rispettivamente nel giudizio di cessazione degli effetti civili delmatrimonio e nel giudizio di separazione personale dei coniugi, non prevedono la nomina di uncuratore speciale che rappresenti in giudizio il minore figlio delle parti, in ordine alla pronuncia sul-l’affidamento e ad ogni altro provvedimento che lo riguardi. I giudizi in questione, infatti, non atten-gono né si riflettono sullo “status” dei figli, ed inoltre, essendo preordinati a scegliere la soluzionemigliore per gli interessi del minore, gli interessi di quest’ultimo non rimangono senza tutela, masono garantiti di una serie non indifferente di misure. Non è fondata, con riferimento agli art. 3, 24e 30 Cost. la questione di legittimità costituzionale degli art. 5, comma 1 (in relazione all’art. 6,comma 2) della 1. 1 dicembre 1970 n. 898 e 708 c.p.c. (in relazione all’art. 155 c.c.), nella partein cui dette norme non prevedono la nomina di un curatore speciale che rappresenti il figlio mino-re delle parti nel giudizio di separazione tra coniugi o di divorzio, in ordine alla pronuncia sull’affi-damento e ad ogni altro provvedimento che lo riguardi. Corte costituzionale 14 luglio 1986 n. 185,Casagrande c. Gorla e altro, Dir. famiglia 1986, 883. Vita not. 1986, 1135. Giust. civ. 1987,1,2188.Rass. dir. civ. 1987, 468(nota).

6 Sulla scelta di evitare la istituzionalizzazione del conflitto v. anche M.DOGLIOTTI- A. FIGONE“Divorzio-Il procedimento” in “Il diritto privato nella giurisprudenza fam.” a cura di P. Cendon,Torino 2000, VI, 199

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anche questione considerata dalle convenzioni internazionali, sulla cui ope-ratività nell’ordinamento interno ha avuto modo di esprimersi di recente lastessa Corte Costituzionale.La Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989,ratificata con legge n. 176 del 1991 prevede all’art. 12 che il fanciullo capa-ce di discernimento ha diritto di esprimere liberamente la sua opinione suogni questione che lo interessa e soggiunge al comma 2 che “A tal fine, sidarà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni pro-cedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente,siatramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibilecon le regole di procedura della legislazione nazionale”. La CorteCostituzionale nella sentenza n. 1/2002 ha ritenuto che “tale prescrizione,ormai entrata nell’ordinamento, è idonea ad integrare - ove necessario - ladisciplina dell’art. 336, secondo comma, cod. civ., nel senso di configurareil minore come parte del procedimento, con la necessità del contraddittorionei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensidell’art. 78 c.p.c.7.A parte i casi tendenti al patologico, o seriamente compromessi dalla condot-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

7 Corte Costituzionale 16/30 gennaio 2002 n. 1: Ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimi-tà costituzionale del combinato disposto degli artt. 739, secondo comma, e 136 e del combinatodisposto degli artt. 739, secondo comma, e 741 del codice di procedura civile, sollevate dalla Corted’Appello di Torino, sezione per i minori, in riferimento agli artt. 2,3, primo comma, 24, secondocomma, 97, primo comma, e 111, secondo e sesto comma, della Costituzione, Ha dichiarato nonfondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 336, secondo comma, del codice civile, sol-levate dalla Corte d’appello di Torino, sezione per i minorenni, in riferimento agli artt. 3, primo esecondo comma, 24, secondo comma, 30, primo comma, 31, secondo comma, e 111, primo esecondo comma, della Costituzione, Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionaledell’art. 336, terzo comma, del codice civile, sollevate dalla Corte d’appello di Torino, sezione peri minorenni, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 111, primo e secondocomma, della Costituzione, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionaledegli artt. 737, 738 e 739 del codice di procedura civile e 336 del codice civile, sollevata dalla Corted’Appello di Genova, sezione per i minorenni, in riferimento all’art. 111 della Costituzione.Questa affermazione, oltre alla indubbia valenza che può trarsi per il caso specifico, relativo ad unprocedimento di decadenza dalla potestà genitoriale, induce ad interrogarsi se, stante l’operativitàdella norma internazionale richiamata nel nostro sistema, un processo di separazione e divorzio ovenon è dato a spazio ed attenzione ai diritti del minore può considerarsi un giusto processo. L’uso deltermine “rappresentante o organo appropriato” inoltre evidenzia anche il problema della rappresen-tatività dei genitori rispetto agli interessi del minore. I genitori infatti in quanto titolari della potestàsono i legali rappresentanti dei diritti del minore, anche nella crisi della famiglia e formalmente ilprocesso di divorzio e separazione non importa un conflitto di interessi, come avviene ad esempionel processo per disconoscimento della legittimità (art. 244 c.c.); ma tuttavia può anche darsi il casoche i genitori pur non in conflitto diretto di interessi con il minore non riescano in questi processi arendersi interpreti adeguati delle esigenze dei minori stessi, non da ultimo perché l’affidamento delminore può essere ambito per motivi di gratificazione personale o per i vantaggi economici che com-porta quali l’assegnazione della casa coniugale e la legittimazione a riscuotere il contributo al man-tenimento della prole da parte dell’altro coniuge.Invero nella prassi giudiziaria è ormai consolidato l’orientamento di accertare, in casi dubbi, l’effet-tiva configurazione degli interessi del minore non attraverso i genitori ma attraverso gli specialisti delsociale e dell’infanzia e dell’ adolescenza, ma non è altrettanto maturata l’idea che i dati rilevantialla decisione che riguardano la prole possono essere raccolti tramite l’ascolto diretto del minore:questa idea incontra resistenze di vario tipo non ultima l’idea che il minore possa essere strumenta-lizzato ed “indottrinato” nelle sue dichiarazioni dal genitore con il quale convive o che ha maggio-re influenza su di lui. A maggior ragione però in questi casi l’ascolto del minore, anche alla presenza di un ausiliario esper-to, può rivelarsi prezioso, al fine di individuare tempestivamente i casi di volontaria alterazione del-l’equilibrio nei rapporti tra genitori e figli e di programmare un intervento idoneo prima che la occa-sionale attività di suggestione divenga nel tempo costruzione di personalità nevrotiche o devianti chematurano immotivato odio ed avversione verso l’uno o l’altro dei genitori.

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ta irresponsabile dei genitori, si deve in genere rilevare che la minore etàcomprende un arco di tempo consistente all’interno del quale una razionalee giudiziosa personalità si delinea di norma prima del compimento deidiciotto anni, come lo stesso ordinamento giuridico riconosce: il minoresedicenne può essere emancipato, può contrarre matrimonio, può riconosce-re il figlio naturale, porre ostacolo ad essere a sua volta riconosciuto comefiglio naturale (artt.84, 90, 165, 250 cod. civ.); ed è esperienza di tutti i gior-ni che i minori di dodici e quattordici anni viaggiano da soli anche all’este-ro, scelgono autonomamente i corsi di studi, le attività sportive, impieganosenza la compagnia dei genitori il loro tempo libero, in altre parole si auto-determinano secondo il loro discernimento nelle questioni di vita quotidianache li riguardano.La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli firmata aStrasburgo il 25 gennaio 1996 recentemente ratificata dallo Stato italianomuove appunto dal presupposto che raggiunta una certa età, suscettibile divariazione secondo le norme di diritto interno, il fanciullo maturi un discer-nimento sufficiente a vantare diritti nelle procedure che lo riguardano, dirit-ti che sinteticamente possono così schematizzarsi:- ricevere ogni informazione pertinente- essere consultato ed esprimere la propria opinione- essere informato delle eventuali conseguenze della attuazione della suaopinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisioneIn particolare la Convenzione impone al giudice, prima di adottare una deci-sione nell’interesse del fanciullo, di valutare se le informazioni di cui dispo-ne sono sufficienti e, nel caso, di assumerne altre anche attraverso i genito-ri; inoltre di valutare se il fanciullo ha ricevuto informazioni sufficienti e diprocedere alla audizione personale del minore in età di discernimento, senecessario anche in privato cioè senza l’osservanza del contraddittorio; diraccogliere la sua opinione e di tenerne conto.Deve però rilevarsi che la Convenzione di Strasburgo per scelta del legisla-tore italiano (legge di ratifica del 20 marzo 2003 n. 77 strumento di ratificadepositato il 4 luglio 2003) non è direttamente precettiva nei giudizi di sepa-razione e divorzio.L’Italia ha circoscritto l’operatività delle predette regole ad ipotesi ove giàera previsto l’obbligo di sentire il minore, ovvero prevista la sua presenzanel processo tramite un curatore speciale: si tratta delle ipotesi previste dal-l’art. 145 cod. civ. (l’intervento del giudice nella famiglia, peraltro caso discarsa ricorrenza pratica), di quelle concernenti il disconoscimento di pater-nità e l’autorizzazione ad impugnare il riconoscimento (art. 244 ultimocomma, 247 ultimo comma, 264 II comma e 274 cod. civ.) nonché di quellerelative alla impugnazione di atti concernenti il patrimonio (art. 322 e 323cod. civ.)Al momento quindi la Convenzione, quanto agli effetti diretti nei processinazionali, appare più che altro ricognitiva ed esplicativa in modo sistemati-co di principi già espressi, ma è ancora difficile valutarne l’incidenza effet-tiva nella evoluzione della giurisprudenza.Nella prassi interpretativa tuttavia essa rafforza indubbiamente l’opinione dichi ritiene che l’art. 6 della legge 898/1970, limitante nella sua restrittivaformulazione l’audizione del minore ai casi in cui sia “strettamente necessa-

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rio”, resti superato dalla necessità, imposta dal generale quadro della legi-slazione internazionale, di considerare il minore come soggetto i cui deside-ri aspirazioni ed aspirazioni devono trovare ingresso quanto più possibilediretto in un processo ove si dispone anche dei suoi interessi.

Muovendo quindi da queste premesse si deve concludere i figli minori nonvanno considerati parte in senso tecnico nei giudizi di separazione e divor-zio, ma tuttavia soggetti titolari di interessi e diritti sui quali le decisioniadottate nei giudizi di separazione inevitabilmente incidono: per meglio dire,incidono sui diritti ed interessi dei minori le scelte dei genitori in ordine almantenimento della convivenza e del vincolo e l’ordinamento conferisce algiudice della separazione e del divorzio il potere-dovere di vigilare e di atti-varsi affinché dette scelte, pur nella conseguente modificazione dello stan-dard di vita familiare, non pregiudichino gli interessi dei minori.Le esigenze del minore devono essere quindi rappresentate, e cioè messe inevidenza, nel procedimento, in primo luogo dagli stessi genitori e comunqueattraverso gli strumenti di accertamento dei quali dispone il giudice. In que-sto senso può dirsi che il minore deve sempre essere ascoltato nel processo,anche se in via indiretta, laddove per ascolto si intende il raccogliere notizieed informazioni sul minore, sulle sue consuetudini ed esigenze di vita. Lefonti di queste notizie sono in primo luogo i genitori, ma anche i servizisociali incaricati dal giudice di indagini socio-ambientali e nei casi più com-plessi lo psicologo o il neuropsichiatra infantile al quale si conferisce, nelcorso della consulenza tecnica d’ufficio, specifico mandato di ascolto delminore, spesso al fine di decodificarne comportamenti contraddittori odichiarazioni di particolare rilievo rese dal minore stesso, anche in sedediversa da quella civile8. Frequente è, nell’ambito dei poteri istruttori offi-ciosi, il ricorso da parte del giudice alle indagini socio ambientali: i servizisociali tendono in effetti ad avere ruoli sempre di maggior rilievo nei giudi-zi di separazione e divorzio ed anche nei relativi procedimenti esecutivi; essifungono da strumenti di indagine per raccogliere tutti gli elementi utili alledecisioni, ma anche quali organi di assistenza e supporto nella attuazione deiprovvedimenti e possono considerarsi dei veri e propri ausiliari del giudicein quanto persone esperte o comunque idonee al compimento di determinatiatti, che richiedono la loro specifica competenza e professionalità, la cui col-laborazione può quindi essere richiesta, ai sensi dell’art. 68 c.p.c. non solodal giudice della cognizione o della esecuzione ma anche dallo stesso uffi-ciale giudiziario9.Il ruolo dei servizi sociali è espressamente riconosciuto dalla legge 184/1983come modificata dalla legge 149/2001 in particolare quali organi di accerta-mento, assistenza e vigilanza nelle procedure di affidamento dei minori,competenze demandate al Tribunale per i minorenni; nelle stesse funzioni il

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8 Non è raro infatti il caso in cui parallelo al processo civile corra un processo penale, per le diversetipologie di reato che possono compiersi nell’ambito familiare, quali i maltrattamenti, le percosse,la violazione degli obblighi familiari, nei casi più gravi la violenza sessuale: in tutti questi processiil minore di norma è teste, quando non anche parte lesa.

9 La S.C. qualifica come ausiliario ex art. 68 c.p.c. del giudice il soggetto incaricato dal giudice dellaesecuzione, del compimento di un’attività specifica (v. Cassazione civile sez. II, 27 luglio 1999, n.8115, sia pure con riferimento a diversa fattispecie)

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servizio sociale è utilizzabile anche da parte del giudice della separazione edivorzio che quando adotta ovvero attua provvedimenti riguardanti i minoriagisce sostanzialmente come giudice minorile

10.

L’operatore del servizio sociale deve in ogni caso distinguersi dal consulen-te, in quanto scopo di quest’ultimo è quello di raccogliere elementi di fatto,valutarli e trasmettere queste informazioni al giudice, mentre lo scopo dellaattività dell’assistente sociale è quello di aiutare i soggetti con i quali ven-gono a contratto nell’ottica della composizione del conflitto; in questo sensodeve anche notarsi che il ruolo dei servizi sociali non è strettamente limita-to al mandato del giudice dal momento che il provvedimento giudiziale haper i servizi anche il valore di una segnalazione di uno stato di bisogno assi-stenziale, che obbliga comunque il servizio sociale ad intervenire nell’ambi-to delle proprie funzioni e compiti anche autonomi. Nel dettaglio poi i diver-si enti locali hanno specifici protocolli d’intesa con l’autorità giudiziaria ocomunque progetti di collaborazione con i giudici minorili.L’indagine socio ambientale è uno degli strumenti che consentono di inseri-re nei giudizi di separazione e divorzio uno spazio per l’ascolto del minorein senso lato, inteso come rilevazione delle esigenze e dei bisogni del mino-re, dal momento che la conoscenza e valutazione dell’interesse del minore èindispensabile per il giudice al fine di adottare i provvedimenti sull’affida-mento. Qualora tuttavia esso non risulti sufficiente e principalmente ove iminori siano già in età di potere consapevolmente esprimere opinioni ragio-nate si deve valutare la possibile utilità nel processo della audizione direttadel minore.Non è ancora stata introdotta nel nostro ordinamento una norma di portatagenerale che superando le frammentarie disposizioni oggi esistenti fissi unaetà raggiunta la quale il minore si presume avere raggiunto un sufficientediscernimento.Ad esempio il codice civile all’art. 316 dispone che nel caso di contrasto trai genitori, il giudice suggerisce le determinazioni che ritiene più opportunesentiti i genitori ed il figlio se maggiore degli anni quattordici: altre normeinvece riconoscono che compiuti i sedici anni possono compiersi degli attiproduttivi di effetti giuridici, ad esempio (art. 250 cod. civ.) riconoscere ilfiglio naturale ovvero previa autorizzazione del Tribunale contrarre matri-monio (art. 84 cod. civ.). Autorevole dottrina11 esclude che tale norma sia rin-venibile nell’art. 10 della legge 184/1983 che nel testo attualmente vigenteprevede che siano sentiti nei procedimenti di adozione e di affidamento “iminori che hanno compiuto gli anni dodici ed anche i minori di età inferiorein considerazione della loro capacità di discernimento”. Infatti la normanulla precisa sulle ragioni della scelta ed inoltre non è una norma di caratte-re generale, viceversa essendo dettata con esclusivo riferimento ai processi

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10 Questa è ad esempio l’opinione espressa dal Tribunale di Bari, 21 novembre 2000: “Il tribunale civi-le ordinario, allorquando deve operare nell’interesse dei minori con la latitudine dei poteri di cuiall’art. 155 c.c. e dell’art. 6 1. n. 898 del 1 dicembre 1970, rientra nella categoria delle autorità giu-diziarie minorili e come tale può servirsi dei centri di mediazione familiare, appartenenti all’ampiacategoria dei servizi sociali, che assistono il giudice in qualità di esperti nella negoziazione dellacrisi coniugale e che, pertanto, sono idonei al compimento, ex art. 68 c.p.c. di atti (ricomposizio-ne del conflitto) che egli non è nelle condizioni oggettive di compiere.” In Famiglia e diritto 2001,72

11 M. FINOCCHIARO, Commenti alla legge 777/2003 in Guida al diritto 23/2003 pg.22, 23

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di affidamento familiare e di adozione.Tuttavia la norma, in quanto diretta a disciplinare le formalità della audizio-ne in un processo che si conclude con decisioni rilevanti per la vita del mino-re costituisce un riferimento importante, sia pure non obbligatorio, prenden-do sostanzialmente atto di una realtà di fatto e cioè della tendenziale discri-minazione tra le due fasi della minore età: l’infanzia e l’adolescenza, que-st’ultima caratterizzata spesso da un precoce sviluppo intellettivo e da capa-cità di autodeterminarsi e interagire autonomamente con il contesto sociale.L’audizione diretta del minore impone ovviamente delle cautele riferite nonsolo all’età ma anche ai tempi ed alle modalità della audizione.Quanto ai tempi, ove si ravvisi l’opportunità o la necessità di questa audizio-ne, appare più proficuo procedere subito e cioè prima di adottare, anche invia provvisoria, un provvedimento di affidamento che creando nel tempodelle consolidate abitudini ponga poi il decidente, e segnatamente ilCollegio, nella alternativa tra il mantenere la prole presso un genitore rive-latosi non del tutto idoneo ovvero strappare il minore alle abitudini di vitaconsolidate e spesso anche all’ ambiente (città, quartiere, scuola) nel quale siè acclimatato. L’udienza presidenziale del resto, pur essendo finalizzata allaadozione dei provvedimenti provvisori non esclude nella sua struttura unaaudizione del minore anche eventualmente alla presenza di un ausiliarionominato ex art. 68 c.p.c.12

L’ausiliario del giudice anzi appare in questi casi una figura estremamenteutile della quale giovarsi ogni qualvolta possibile, senza tuttavia trasformar-lo in una anticipata consulenza tecnica che potrebbe prematuramente consu-mare ed invalidare gli esiti di accertamenti non ripetibili quali i test psicolo-gici. Nelle concrete modalità dell’ascolto la Convenzione di Strasburgo nonpuò che costituire un riferimento importante che pone le linee guida ed iprincipi fondamentali, in quanto non incompatibili con la struttura del pro-cesso così come è delineato dalla legislazione nazionale: pertanto correttaappare l’osservazione che il minore prima di essere ascoltato ha diritto haricevere una adeguata informazione sul procedimento e sulle conseguenze diesso, ma non altrettanto compatibile con il diritto processuale nazionale l’i-dea che in applicazione dell’art. 6 della Convenzione il minore dovrebbeessere sentito in assenza dei genitori13 ipotesi che peraltro la norma interna-zionale limita al caso necessario. All’esame del minore condotto dal giudi-ce, in quanto atto inserito nel processo hanno facoltà e diritto di assistere leparti ed i loro difensori, a meno che le parti stesse non rinuncino a questaprerogativa: tuttavia non per questo l’esame del minore si può trasformare inuna cross examination o in un esame testimoniale civile.Appare opportuno allora che i difensori discutano preventivamente con ilgiudice ed eventualmente anche con l’ausiliario le questioni sulle quali desi-derano che il minore si esprima, di modo che, recepite queste indicazioni daidifensori e integrate con quanto l’ausiliario suggerisce, l’audizione resti perquanto possibile organizzata nelle forme del colloquio tra il giudice ed il

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

12 L’ausiliario può essere in questi casi lo stesso assistente sociale ovvero uno psicologo o un neurop-sichiatra infantile la cui presenza non è però diretta a periziare il minore ma solo ad aiutare il giu-dice a decodificarne i comportamenti e le espressioni, nonché a porre domande adeguate.

13 Cfr. A. LIUZZI “La convenzione europea sull’esercizio dei diritto dei fanciulli; prime osservazioni” inFamiglia e Diritto 3/2003, pg. 290 e segg.

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minore.Altra cautela, della cui adozione si dovrebbero rendere garanti in primoluogo i procuratori delle parti è quella di non far decidere né all’uno néall’altro dei genitori il momento e le modalità di audizione del figlio mino-re. Il genitore che conduce in udienza direttamente il minore insistendo perla sua audizione non si sottrae al sospetto che egli abbia colto un momentoemotivo particolare e l’audizione non potrà in questi casi prescindere daldubbio del condizionamento ovvero dell’uso del minore come strumento dipressione nei confronti dell’altro.In conclusione si deve rilevare come un adeguato spazio di ascolto per ilminore nel processo civile non può prescindere dalla progressiva acquisizio-ne e consolidamento delle competenze specialistiche, tanto dei giudici chedegli avvocati.È illusorio pensare che il banco judicis divida l’amministrazione della giu-stizia in due parti diseguali che non perseguono gli stessi obiettivi finali:giudici ed avvocati concorrono alla stessa funzione in due ruoli diversi edhanno gli stessi doveri di probità e lealtà. Né gli uni né gli altri possono sot-trarsi all’onere della specializzazione: non è corretto ed è anche rischiosoaffrontare un problema giuridico ed umano di tale rilevanza senza avere glistrumenti professionali adeguati all’impresa e senza farsi carico dell’oneredi collaborare nel processo, senza per questo perdere di vista gli obiettivi delmandato professionale.È poi evidente che se i due termini del binomio inscindibile non parlano lastessa lingua non possono capirsi: la specializzazione dei giudici e degliavvocati dovrebbe quindi seguire binari paralleli e tra loro comunicanti.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

RITA RUSSOMAGISTRATO

TRIBUNALE DI MESSINA

PREMESSA

L’argomento della esecuzione dei provvedimenti che riguardano i mino-ri è complesso e presenta qualche difficoltà, spesso evidenziata dalladottrina, ad essere affrontato con riferimento alle categorie giuridiche

tradizionali: infatti questi provvedimenti, siano essi adottati nell’ambito diun giudizio di separazione e divorzio, ovvero come ordini di protezioneovvero ancora emessi dal Tribunale per i minorenni ex art. 330 cod. civ.,hanno tutti la caratteristica comune di essere pronunciati nell’interesse delminore ma al tempo stesso di disporre d’autorità del minore e delle sue abi-tudini di vita, spostandolo da un luogo all’altro, decidendo chi e come devefrequentare o non frequentare, dandogli un domicilio.Esaminando nel dettaglio le vari ipotesi di provvedimenti che interessano iminori si vedrà come diverse sono le soluzioni di esecuzione, o di attuazione -come secondo alcuni è più corretto parlare - proposte dalla dottrina, dalla giuri-sprudenza e dallo stesso legislatore.

I PROVVEDIMENTIASSUNTI NEI GIUDIZI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO

Il giudice di primo grado che è inve-stito in modo diretto di tutte le pro-

blematiche relative all’affidamentodei minori nell’ambito dei giudizi diseparazione e divorzio, specie neicasi di maggiore conflittualità, disolito tende ad un approccio piuttostoempirico alla materia, alla ricerca, trale varie soluzioni possibili, di quellache funzioni meglio o per maggiortempo possibile.Questo importa inevitabilmenteche tra i diversi uffici giudiziaridislocati sul territorio le soluzionipossono essere diverse, secondola formazione culturale dei singoli operatori, secondo le risorse disponibili,secondo anche l’ambiente sociale e familiare ove ci si trovi ad operare.Se questo è in parte anche il compito del giudice e cioè quello di prendereatto della singolarità del caso specifico ed applicare la norma adeguata, unapremessa di carattere generale può comunque essere utile a capire il motivodella divergenza delle prassi sul territorio e per individuare possibili soluzio-ni, che allo stato della legislazione, possano realizzare al meglio i rilevantiinteressi in evidenza in questi casi.

ESECUZIONE ED ATTUAZIONE

Èutile quindi premettere come alcune autorevoli voci dubitino che per que-sti provvedimenti possa parlarsi di esecuzione in senso proprio1, preferen-

1 DANOVI F. L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alla consegna dei minori tra dirit-

L’ESECUZIONE DEIPROVVEDIMENTI DI

AFFIDAMENTO E DI VISITANEI PROCEDIMENTI DI

SEPARAZIONE E DIVORZIO

RELAZIONE TENUTA AL CONVEGNO “PROCEDIMENTI DI ESECUZIONE NELLASEPARAZIONE E NEL DIVORZIO”, ORGANIZZATO DALL’AIAF SICILIA,

MESSINA, DICEMBRE 2004

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do piuttosto utilizzare il termine attuazione, scelto peraltro dallo stesso legis-latore nell’art. 6 della legge 898/1970 come modificato dalla legge 74/1987.La prima definizione - esecuzione - può essere riservata senz’altro all’ areadei provvedimenti economici quali l’erogazione periodica dell’ assegno dimantenimento o aventi comunque ad oggetto un bene anche in quanto fun-zionale ad assicurare la realizzazione dell’interesse della prole (ad es. la casaconiugale), mentre la seconda - attuazione - è più spesso utilizzata per iprovvedimenti in materia di affidamento e che stabiliscono modi e tempi difrequentazione del minore con il genitore non affidatario.Quanto alla prima categoria si tratta di mezzi di esecuzione noti, e comuni atutte le obbligazioni pecuniarie o di rilascio, con la specialità di poter otte-nere l’adempimento della obbligazione di periodica prestazione di somme didenaro direttamente dal terzo obbligato: nel giudizio di separazione con unprovvedimento del giudice, dopo la sentenza di divorzio con la proceduraprevista dall’art. 8 comma 3 della legge 898/1970.Invece quanto ai provvedimenti che riguardano l’affidamento dei minori,parlando di attuazione e non di esecuzione2 si intende far constatare la diffi-coltà di concepire per i provvedimenti in materia di affidamento e consegnadei minori come una esecuzione forzata strictu sensu, intesa ossia come unaesecuzione posta in essere secondo i modelli rigorosi del codice di rito, ecioè tanto ove si consideri la peculiarità dei comportamenti imposti al sog-getto obbligato, tanto ove si consideri la assoluta atipicità del c.d. oggettodella esecuzione e cioè il minore che è in condizioni di opporre una autono-ma resistenza alla esecuzione stessa.

IL COMPORTAMENTO DEL SOGGETTO OBBLIGATO

Iprovvedimenti riguardanti i minori non sono provvedimenti di condanna insenso proprio e non vedono una contrapposizione di interessi tra due parti

(anche se spesso queste parti sono in acceso conflitto tra di loro) ma tendo-no a realizzare un regolamento di vita nell’interesse prevalente di un terzorispetto al soggetto obbligato e, in definitiva la volontà delle parti non è nep-pure vincolante nel predisporre questo regolamento: i provvedimenti cheriguardano l’affidamento del minore si adottano infatti anche d’ufficio edanche a prescindere dalla volontà espressa dai genitori.Inoltre non si è alla presenza di una specifica obbligazione da adempiere.Allora, più che di obbligazione in senso tecnico è forse più adeguato parlaredi un generale dovere di entrambi i genitori di attenersi a comportamentisatisfattivi dell’interesse del minore e tra questi quelli che sono strumentalia garantire il mantenersi e consolidarsi di un adeguato rapporto con entram-bi anche nella crisi coniugale: a questo fine i provvedimenti in materia diaffidamento dettano modalità di concreta realizzazione di questo dovere,specificando i comportamenti cui attenersi, secondo una valutazione fattocaso per caso.L’aspetto materiale della consegna del minore, ad esempio, non è sicuramen-

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to vigente e prospettive di riforma in Il diritto di Famiglia e delle persone 2001, 1783 e segg.2 DANOVI F. ibidem in modo tipico (ad esempio la consegna del bene nella vendita è -secondo la valu-

tazione del legislatore- il tipico adempimento che soddisfa il compratore) ma di comportamentiimposti dal giudice alle parti secondo una valutazione fatta caso per caso e la cui esecuzione impor-ta anche una partecipazione personale ed emotiva delle parti stesse.

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te satisfattivo rispetto alla complessità dei comportamenti dovuti, connessi econsequenziali al trasferimento materiale da un genitore all’altro: infatti ilgenitore che consegna non deve provvedere solo ad una mera traditio maaltresì ad una idonea preparazione psicologica ed emotiva del minore e dalcanto suo il genitore ricevente deve provvedere per tutto il tempo in cui avràcon sé il minore alle esigenze di quest’ultimo connesse alla sua crescita, edu-cazione ed istruzione.Si evidenzia così il carattere strettamente personale degli obblighi in que-stione e la mancanza di una fungibilità in senso proprio dal momento che sitratta di comportamenti connessi ed attuativi della funzione parentale; tantoche una parte della dottrina e della giurisprudenza hanno espresso opinioneche i provvedimenti in materia di affidamento dei minori siano de iure ine-seguibili3.

LA RESISTENZA DEL MINORE

Come sopra accennato il processo di separazione e divorzio tende ancheattraverso le sue varie scansioni processuali a verificare qual è il program-

ma di vita più idoneo a soddisfare gli interessi dei figli minori, e questo pro-gramma o regolamento, che viene imposto ai genitori dal giudice, o da loroconcordato e ritenuto dal giudice idoneo a realizzare l’interesse del minore equindi omologato e reso esecutivo, ha la peculiarità di non divenire mai cosagiudicata in senso stretto, atteso che questi provvedimenti sono adottatirebus sic stantibus; e spesso il fatto nuovo che rende evidente la necessità diuna modifica si evidenzia proprio in sede di esecuzione, quando si manifestaad esempio una forte resistenza dello stesso minore ad adattarsi al regola-mento che è stato predisposto dal giudice.In effetti il minore più che oggetto del provvedimento e degli obblighi impo-sti con esso, ne è al tempo stesso il mezzo e fine; è il mezzo nel senso che laesecuzione non può svolgersi senza di lui e deve tenere conto della sua even-tuale resistenza, dovendosene in tal caso approfondire i motivi; è il fine nelsenso che la esecuzione avviene principalmente nel suo interesse e quindinon può prescindere dalle sue effettive esigenze, ed il giudice deve - ogniqualvolta incontri resistenze o difficoltà nella esecuzione - porsi il problemase il provvedimento, anche se passato in giudicato, è tuttora, di fronte allaprova dei fatti, un provvedimento idoneo ad essere eseguito ed a realizzaregli interessi del minore.La questione della resistenza del minore, sia essa spontanea che indotta, sor-retta da giusti motivi propri del minore o soltanto determinata dal suo schie-rarsi a favore dell’uno o dell’ altro genitore è talmente frequente nella prati-ca da avere indotto la stessa Corte di Cassazione, giudice normalmente estra-neo all’esame del fatto, a considerare il caso. È la nota sentenza del 15 gen-naio 1998 n. 317 secondo la quale la manifestazione da parte del figlio ado-lescente di sentimenti di avversione o di ripulsa nei confronti del genitorenon affidatario, ove argomenti consapevolmente e seriamente i motivi dell’intervenuto distacco affettivo e psicologico costituisce dato sufficiente per

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

3 MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile voI.V IV ed. Milano 1923,3FOMACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori Contributo alla teoria della esecuzioneforzata in forma specifica, Milano, 1991, pg. 16 e ss.

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indurre il giudice a sospendere anche totalmente ed a tempo indeterminato ildiritto di visita del genitore non affidatario allo scopo di evitare effetti pre-giudizievoli per il minore.La sentenza è interessante perché evidenzia come a fronte di difficoltà esecu-tive, molto spesso più che pervenire alla effettiva esecuzione del provvedi-mento si giunge alla modificazione del provvedimento stesso e questo natu-ralmente evidenzia un altro problema di fondo in ordine alla competenza perla esecuzione o attuazione dei provvedimenti che riguardano i minori.Le difficoltà esecutive costituiscono in un certo senso la pietra di paragonedella bontà del provvedimento e cioè l’idoneità di quel regolamento in pre-cedenza predisposto a realizzare l’interesse del minore: e allora il problemadiviene tracciare il limite tra esecuzione o attuazione e modificazione delprovvedimento ed individuare di conseguenza un giudice competente perl’uno e per l’altro, nonché gli strumenti processuali utilizzabili e in concre-to quali le modalità di esecuzione e gli ausiliari eventualmente da designare.Sul punto della scelta degli ausiliari si deve evidenziare che se i problemisono quelli sopra evidenziati e cioè la possibile resistenza del minore o ilcomportamento non collaborativo del genitore è evidente che il ricorsoall’Ufficiale giudiziario o alla forza pubblica non è di particolare utilità inquanto questi ausiliari hanno i mezzi per vincere le resistenze materiali, manon quelle morali.

LE SOLUZIONI PROPOSTE NEL TEMPO DA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

L’ESECUZIONE PER VIA BREVE E PER CONSEGNA DI COSE MOBILI

ILa giurisprudenza tradizionale risalente agli anni ‘60 prendendo spuntodalla teoria di Carnelutti faceva riferimento per i provvedimenti provviso-

ri alla attuazione in via breve e cioè concentrando tutti i poteri nelle manidell’ufficiale giudiziario (v. Cass. l dicembre 1966, n. 2823, Cass. 7 ottobre1980 n. 5374) e considerava i provvedimenti definitivi eseguibili con ilricorso alla esecuzione specifica per consegna di cose mobili argomentandoche pur non essendo l’uomo paragonabile ad una cosa mobile l’individuo ela persona sono connotate da un elemento materiale che è il corpo umanosuscettibile di divenire oggetto di rapporti giuridici4.La tesi ha suscitato più di una perplessità e soprattutto si è rivelata inadegua-ta alla prova dei fatti; non è attraverso la consegna materiale del corpo delminore che si realizzano gli interessi ed i diritti di natura personale che iprovvedimenti in materia di affidamento tutelano anche se è pur vero che inassenza di una relazione fisica tra il minore ed il genitore non si può neppu-re realizzare la partecipazione al percorso formativo ed educativo del mino-re stesso.La tesi comunque anche se sostenuta da autorevole dottrina ha trovato scar-si riscontri nella pratica e comunque piuttosto risalenti nel tempo5.Soprattutto sono molto forti le perplessità sulla attuazione in via breve per-ché questo concentrerebbe troppi poteri nelle mani di un soggetto sprovvisto

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4 Tesi ripresa in dottrina in particolare da FORNACIARI, Op cit., pg. 16 e ss.5 Trib. Roma 12 ottobre 1951 in Foro It. 1952,1 123 ss.

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di idonee competenze (l’ufficiale giudiziario) con una discrezionalità troppoampia.In questo stesso senso sarebbe meglio escludere, a meno che non sia espres-samente previsto nel provvedimento (ad esempio in un ordine di protezione)il diretto ricorso alla forza pubblica.

L’ESECUZIONE PER MEZZO DEL GIUDICE TUTELARE

Un’altra soluzione proposta è quella di riservare al Giudice Tutelare l’ese-cuzione dei provvedimenti che riguardano i minori, in quanto questo

organo è investito per legge del potere di vigilanza ex art. 337 c.c. e senz’al-tro possiede la necessaria cultura giuridica e forma mentis per individuare glistrumenti di intervento adatti al caso. Varie sono le obiezioni mosse a questaproposta, tra le quali la più convincente è data dal fatto che il G.T. non dispo-ne di uno strumento processuale rituale per intervenire in sede esecutiva, cherispetti quantomeno le scansioni minime della instaurazione del contraddit-torio, della difesa tecnica e dei limiti legislativi di intervento: e quindi sipongono una serie di problemi in termini di giusto processo, principio ormaicostituzionalizzato.In ogni caso il Giudice Tutelare non può modificare il provvedimento vigen-te, anche se spesso nella prassi il suo intervento in quanto svincolato dal unoschema processuale specifico tende a realizzare proprio una modifica (irri-tuale) del provvedimento e pertanto il suo intervento non è utile a risolverei problemi conseguenti al rivelarsi della inadeguatezza del provvedimento daeseguire.

L’ESECUZIONE DEGLI OBBLIGHI DI FARE

La soluzione maggiormente seguita in giurisprudenza è quella del ricorsoalla esecuzione specifica degli obblighi di fare ex art. 612 c.p.c. a volte

con un correlativo inquadramento della posizione del minore come colui cheè soggetto ad un obbligo di pati.La soluzione è recepita dalla Suprema Corte e largamente applicata dallagiurisprudenza di merito6 e secondo questa tesi il processo esecutivo dovreb-be essere preceduto dai rituali preliminari quali la notificazione del titoloesecutivo e del precetto, e successivamente l’avente diritto potrebbe ricorre-re al giudice della esecuzione ex art. 612 c.p.c. il quale sarebbe così investi-to delle facoltà, ove insorgano difficoltà nella esecuzione, di adottare i prov-vedimenti più opportuni.Non di rado infatti il giudice della esecuzione adito ex art. 612 c.p.c interes-sa i Servizi Sociali al fine di essere coadiuvato nel superare le difficoltà dellaesecuzione, demandando indagini socio ambientali, a volte con contestualeadozione di provvedimenti sospensivi oppure disponendo che gli incontriavvengano presso la sede del Servizio, ovvero con un calendario di incontriassistiti.La soluzione riceve alcune critiche di carattere teorico e dottrinale7 ma nelcomplesso è una soluzione ampiamente attuata nella pratica e che in molti

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

6 Cass. I I gennaio 1979 n. 220, Cass. 15 gennaio 1979 n. 292, Cass. 15dicembre 1982, n. 6912Cass.12 novembre 1984 n. 5696, App. Palemlo 20 aprile 1990 Trib. Roma 8 aprile 1988

7 DANOVI, op. cit., 539 e segg.

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casi ha dato buoni risultati: tuttavia essa è utilizzabile soltanto per le senten-ze passate in giudicato o altri provvedimenti definitivi8 e, anche in quest’am-bito, se ne devono evidenziare due limiti di ordine praticoIl primo limite è che il ricorso a strumenti concreti di esecuzione adatti alcaso concerto dipende anche dalla cultura e specializzazione del giudiceinvestito della esecuzione.Spesso si è evidenziato come la materia della famiglia richieda da parte dell’operatore del diritto una formazione specialistica e questo vale anche in sedeesecutiva; infatti il sistema funziona quando il giudice della esecuzione sisveste dalla sua consueta forma mentis di giudice aduso ad eseguire provve-dimenti di demolizione di edifici abusivi e simili e si comporta secondo glischerni dei giudici della famiglia, ad esempio ricorrendo all’ausilio deiServizi Sociali e agendo con la gradualità che la fattispecie richiede.Il secondo limite è dato dalla mancanza di potere da parte del giudice dellaesecuzione -così come anche avviene per il giudice tutelare- di modificare ilprovvedimento.Come sopra si accennava, spesso il fatto nuovo che manifesta la inidoneitàdel provvedimento a reggere alla prova dei fatti si evidenzia in sede esecuti-va: per esempio accade che il genitore affidatario abusando della continuitàdella relazione con il figlio minore induca in questi sentimenti di avversioneverso l’altro e quindi con il tempo si determina nel minore una forte resisten-za ad incontrarsi con l’altro genitore, oltre che possibilmente tutta una seriedi problemi psicologici dati dal fatto che il minore è stato costretto a sceglie-re ed a schierarsi nel conflitto tra i genitori.In questi casi più che un problema di esecuzione si evidenzia un errore divalutazione nel provvedimento: vale a dire che è stato ritenuto idoneo all’affidamento un genitore che poi invece ha abusato di questa sua qualità stru-mentalizzando il minore e quindi il punto non è tanto eseguire quel provve-dimento ma cambiarlo9.Peraltro questo comportamento ove accertato può costituire anche il reato dimancata esecuzione del provvedimento del giudice art. 388 c.p.È questo il noto orientamento espresso da Cass. pen. 13 luglio 1990.La S.C. evidenzia che “in tema di mancata esecuzione dolosa di un provve-dimento del giudice concernente l’affidamento dei minori, la valutazione delcontenuto del provvedimento e degli obblighi che ne derivano sui destinata-ri non deve essere compiuta in termini grettamente letterali, ma alla lucedell’interesse dei minori che li ispira e che ne costituisce la ragion d’essere“, dando rilevo penale al comportamento “equivalente alla sostanziale lesio-ne dell’interesse del figlio a conservare validi rapporti affettivi con entram-bi i genitori”.In questa sentenza in sostanza si è ritenuto censurabile, sotto il profilo pena-le il comportamento eccessivamente fiscale del genitore sugli orari10.

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8 Ancora Cass. 7 ottobre 1980 distingueva tra provvedimenti provvisori eseguibili in via breve attra-verso l’ufficiale giudiziario (impostazione oggi superata dall’ art. 6 comma 10 della legge 898/1970come modificata dalla legge 74/1987) e tutte le ipotesi di provvedimenti definitivi per le quali leforme da seguire sarebbero quelle di cui agli artt. 612 e segg. c.p.c.

9 Anche eventua1mente affidando il minore ai Servizi Sociali del Comune v. Cass. 8 maggio 2003 n. 697010 È interessante anche una sentenza del Tribunale di Roma in tema di risarcimento del danno:

“Qualora il coniuge/genitore separato (o divorziato) ed affidatario della prole impedisca costante-

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L’orientamento è stato di recente ribadito da Cass. sez. feriale 4 ottobre 2003n. 37814.

L’ATTUAZIONE DEMANDATA AL GIUDICE DEL MERITO

Ciò premesso si deve rilevare che dal 1987 in poi vi è un riferimento legis-lativo cui fare riferimento e cioè l’art. 6 comma 10 della legge 898/1070

come modificato dalla legge 74/1987 il quale dispone che alla attuazione deiprovvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice delmerito. La norma riguarda i procedimenti di divorzio ma può includersi nelnovero di quelle norme applicabili estensivamente anche ai giudizi di sepa-razione stante la identità di ratio legis.

GIUDIZIO PENDENTE

La soluzione di cui all’art. 6 comma 10 citato è agevolmente praticabile incorso di causa di separazione e divorzio: anzi, le difficoltà esecutive sono

appunto la pietra di paragone della bontà ed adeguatezza del provvedimentoprovvisorio reso dal Presidente, che può essere sempre modificato in corsodi causa dal giudice istruttore.Il giudice istruttore in corso di causa dispone di tutti i mezzi idonei ad assi-curare una valida (nel senso che realizzi gli interessi di cui sopra detto)attuazione del provvedimento: può disporre la comparizione dei coniugi, puòprocedere all’ascolto del minore in forma diretta, valendosi se del caso di unausiliario, ovvero indiretta a mezzo dei servizi sociali o di un c.t.u..Inoltre il giudice istruttore può avvalersi della collaborazione esecutiva, maanche propositiva del Servizio Sociale, al quale si può demandare di predi-sporre un calendario di incontri assistiti tra genitori e figli ed al tempo stes-so di indagare la volontà del minore o le cause delle difficoltà riscontrate insede esecutiva.I Servizi Sociali tendono in effetti ad avere ruoli sempre di maggior rilievonei giudizi di separazione e divorzio ed anche nei relativi procedimenti ese-cutivi; essi fungono da strumenti di indagine per raccogliere tutti gli elemen-ti utili alle decisioni, ma anche quali organi di assistenza e supporto nellaattuazione dei provvedimenti e possono considerarsi dei veri e propri ausi-liari del giudice in quanto persone esperte o comunque idonee al compimen-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

mente, continuativamente e per lungo tempo, senza alcun vero, adeguato motivo, al genitore nonaffidatario di visitarla e di permanere con essa, malgrado questi abbia esperito ogni mezzo perinstaurare e mantenere con i figli il necessario e doveroso rapporto parentale ed abbia sempre adem-piuto all’obbligo di mantenimento, la condotta del genitore affidatario, riconducibile, peraltro,all’art. 388 c.p., non può non arrecare al genitore non affidatario danni morali e biologici di perma-nente, non trascurabile rilevanza (c.d. micro-permanente invalidità), danni risarcibili ex art. 1226,2043, 2057, 2059 e 2727 C.c..In ogni caso, qualora dalla condotta di cui sopra del genitore affida-tario abbia a derivare anche alla prole un danno certo e non indifferente, il genitore nonaffidatario,privo di “legittimatio ad processum”, non può chiedere per la propria prole alcun risarci-mento, ritenuto che su quest’ultima esercita in via esclusiva la potestà parentale il genitore affidata-rio e che, sussistendo un palese conflitto di interesse, è necessaria la nomina di un curatore specia-le” (nella specie, il figlio era apparso con certezza gravato da una lacerante situazione di incertezzaesistenziale e da un profondo, pernicioso conflitto interiore, combattuto, com’era, tra la paura di“perdere la madre” e la necessità di “conoscere il padre”. (Tribunale Roma, 13 giugno 2000 in Dir.famiglia 2001, 209) - confermata la condanna della madre per non avere adottato i comportamentiindispensabili a consentire l’effettivo diritto di visita al padre, “non fornendo sul piano materiale esu quello del rapporto con la figlia minore quel!’apporto minimo in termini di coordinamento ecooperazione che è sempre necessario per garantire l’esecuzione secondo buona fede (id est: la nonelusione) dei provvedimenti del giudice civile concernenti i minori”

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to di determinati atti, che richiedono la loro specifica competenza e profes-sionalità, la cui collaborazione può quindi essere richiesta, ai sensi dell’art.68 c.p.c. non solo dal giudice della cognizione o della esecuzione ma anchedallo stesso ufficiale giudiziario11.Il ruolo dei servizi sociali è espressamente riconosciuto dalla legge 184/1983come modificata dalla legge 149/2001, in particolare quali organi di accerta-mento, assistenza e vigilanza nelle procedure di affidamento dei minori, main genere si tratta di collaborazioni utilizzabili anche da parte del giudicedella separazione e divorzio che quando adotta ovvero attua provvedimentiriguardanti minori agisce sostanzialmente come giudice minorile12.Tuttavia l’operatore del Servizio Sociale può distinguersi dal consulente inquanto scopo di quest’ultimo è quello di raccogliere elementi di fatto, valu-tarli e trasmettere queste informazioni al giudice, mentre lo scopo della atti-vità dell’assistente sociale è quello di aiutare i soggetti con i quali viene acontratto nell’ ottica della composizione del conflitto.In questo senso deve anche notarsi che il ruolo dei Servizi non è strettamen-te limitato al mandato del giudice, dal momento che il provvedimento giudi-ziale ha essenzialmente per i Servizi il valore di una segnalazione di unostato di bisogno assistenziale che obbliga comunque il servizio sociale adintervenire nell’ ambito delle proprie funzioni e compiti anche autonomi.Nel dettaglio poi i diversi enti locali hanno specifici protocolli d’intesa conl’autorità giudiziaria o comunque progetti di collaborazione con i giudiciminorili.Si tratta di una collaborazione che normalmente produce buoni frutti.Dando mandato ai Servizi Sociali di predisporre un calendario di incontriassistiti si consegue il vantaggio di far avvenire gli incontri almeno nellafase iniziale in territorio neutro (ad esempio presso la sede del servizio o altrilocali idonei) ed alla presenza di personale specializzato che può intervenireper favorire l’incontro reale tra i soggetti e vincere le resistenze morali di cuisopra si è detto: nei casi più complessi può anche essere utile far precederegli incontri da alcuni colloqui con degli psicologi o dei neuropsichiatri infan-tili, per comprendere le ragioni della resistenza del minore o della ostilità deigenitori e promuovere interventi specifici di recupero.Tutto questo materiale oltre a servire nella immediatezza dei fatti ad attuareil provvedimento, previa se il caso modifica dello stesso, ha ingresso nel giu-dizio anche come materiale istruttorio da sottoporre all’attenzione del

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11 La S.C. qualifica come ausiliario ex art, 68 c.p,c, del giudice il soggetto incaricato dal giudice dellaesecuzione, del compimento di un’attività specifica (v, Cassazione civile sez, II, 27 luglio 1999, n,8115. sia pure con riferimento a diversa fattispecie) Inoltre lo stesso Ufficiale Giudiziario nella ese-cuzione di provvedimenti a contenuto prevalentemente patrimoniale può trovarsi di fronte a proble-matiche inerenti i figli minori: si pensi ad esempio alle problematiche che possono presentarsi nelcorso della esecuzione per rilascio della casa coniugale assegnata all’uno o all’altro coniuge; in que-sto caso lo stesso Ufficiale giudiziario incaricato della esecuzione potrebbe risolvere le situazioni piùdelicate con l’ausilio dell’assistente sociale

12 Questa è ad esempio l’opinione espressa dal Tribunale Bari, 21 novembre 2000: “Il tribunale civileordinario, allorquando deve operare nell’interesse dei minori con la latitudine dei poteri di cui all’art.155 c.c. e all’art. 6 l. n. 898 del l dicembre 1970, rientra nella categoria delle autorità giudiziarieminorili e come tale può servirsi dei centri di mediazione familiare, appartenenti all’ampia catego-ria dei servizi sociali, che assistono il giudice in qualità di esperti nella negoziazione della crisiconiugale e che, pertanto, sono idonei al compimento, ex art. 68 c.p.c. di atti (ricomposizione delconflitto) che egli non è nelle condizioni oggettive di compiere.” In Famiglia e diritto 2001, 72

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Collegio in modo da potere elaborare in sede decisoria un provvedimentodefinitivo che costituisca un programma quanto più tendenzialmente stabilee soddisfacente degli equilibri familiari.Infatti un provvedimento, le cui possibilità di attuazione sono già state speri-mentate e se il caso calibrate in corso di causa, è maggiormente idoneo a man-tenere la sua efficacia anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

GIUDIZIO CONCLUSO

In ragione delle argomentazioni sopra esposte appare preferibile anche inquesto caso che l’esecuzione sia considerata una competenza del giudice

del merito, che, concluso il processo con provvedimento definitivo, è ilCollegio, il quale è competente anche ad apportare le modifiche al provvedi-mento stesso ove ne sia richiesto ex art. 710 c.p.c. e art. 9 legge 898/1970; ilche determina però non poche difficoltà pratiche di attuazione, tanto che èstata avanzata la proposta di rivolgersi in questi casi al Presidente delTribunale.Adottando una soluzione più pratica potrebbe allora farsi una distinzione, inbase alla domanda proposta dalla parte: se la parte richiede una mera esecu-zione che non importi modifica del provvedimento, il giudice competentepotrebbe essere individuato nel giudice della esecuzione, che a differenza delgiudice tutelare dispone di un rituale strumento processuale, purché si trattidi un giudice che è al tempo stesso specializzato nella materia della famiglia:il che si potrebbe risolvere con una apposita designa tabellare individuandoun giudice della esecuzione all’interno della sezione famiglia, che operereb-be attraverso lo strumento della esecuzione degli obblighi di fare, ma facen-do riferimento anche alla sua specializzazione in materia e quindi calibran-do gli interventi sulle peculiari esigenze del caso.Volendo creare un sigla si potrebbe indicarlo come G.E.F. (giudice della ese-cuzione in materia di famig1ia)13.Egli può avvalersi, nella concreta esecuzione, che dovrebbe svolgersi nelleforme della esecuzione degli obblighi di fare ma opportunamente adattataalla fattispecie, dell’ ausilio dei servizi sociali, ovvero in casi estremi anchedella forza pubblica, preferibilmente indicandola negli agenti ed ufficiali diP.s. della sezione minori e famiglia, ove costituita, presso le locali Questure.L’ausilio dei servizi sociali può esplicarsi tanto nella fase esecutiva (adesempio nel prelevare il minore illegittimamente trattenuto presso il genito-re non affidatario) tanto nella fase di ricognizione delle problematiche.Tuttavia poiché l’intervento del giudice della esecuzione è definito dal limi-te di non poter adottare modifiche del provvedimento definitivo, in questocaso l’attività di ricognizione ed indagine da parte dei servizi sociali serveprincipalmente a mettere il G.E.F. nelle condizioni di valutare se per esegui-re il provvedimento sono sufficienti piccoli adattamenti che non costituisco-no modifica dello stesso (ad esempio che il padre prelevi il minore all’usci-ta della scuola anziché presso il domicilio della madre, un eventuale calen-dario di incontri preparatori presso i servizi sociali limitati al tempo stretta-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

13 Conclusioni del gruppo di lavoro sul tema “Ascolto del minore, affidamento e diritto di visita, ese-cuzione dei provvedimenti di affidamento e visita” costituito nell’ambito dell’incontro di studio orga-nizzato dal CSM e dalla ANM con la partecipazione dell’AIAF su “Le prassi nelle cause di separa-zione e divorzio” Roma, 15-17 dicembre 2003

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mente necessario a rimuovere le cause del rifiuto) ovvero modifiche sostan-ziali che incidono sulle condizioni dell’affidamento, e se la situazione si pre-senti talmente complessa che necessita una vera e propria indagine di meri-to, unita eventualmente ad una modifica del provvedimento che consenta alminore di seguire un percorso di sostegno e se il caso anche terapeutico; inquesti casi il G.E.F. deve prendere atto che si trascende dai limiti della veraè propria fase esecutiva ed eventualmente previa la sospensione della esecu-zione dichiarare che si tratta di decisioni di competenza del giudice collegia-le ove questi venga adito ex art. 710 c.p.c. e 9 della legge. 898/1970.

RAPPORTI CON IL GIUDIZIO EX ART. 710 C.P.C E 9 1.898/1970

Se viene presentata una contestuale richiesta di modifica ed esecuzione(ovvero di una modifica al fine di garantire una attuazione del provvedi-

mento conforme agli interessi e alle esigenze del minore) può individuarsi lacompetenza del Collegio e ciò tanto nel caso in cui il ricorso venga presen-tato ex art. 710 c.p.c. e 9 1. 898/1970 sin dall’inizio, che nel caso in cui unricorso innominato o rubricato sub 612 c.p.c. venga presentato al giudicedella esecuzione ma avente quale evidente contenuto sostanziale una richie-sta di modifica.In questi casi il Giudice della esecuzione, nell’esercizio dei poteri di quali-ficazione della domanda, potrebbe direttamente rimettere gli atti al Collegio,così come analogamente il Collegio potrebbe rimettere gli atti al Giudicedella esecuzione tabellarmente designato ove prima facie il ricorso sia qua-lificabile come interamente esecutivo.Avviato il procedimento ex art. 710 c.p.c., ove si richieda anche un interven-to esecutivo, l’iter è analogo, anche se adattato al rito camerale, a quelloseguito in pendenza della causa di merito innanzi all’istruttore.Se la gravità della situazione lo richiede, può farsi buon uso del III commadell’art. 710 c.p.c.(facoltà che si deve ritenere consentita anche nei giudiziex art. 9 legge div. stante l’applicazione delle stesse norme procedimentali)per garantire l’effettiva realizzazione dell’interesse del minore: ad esempiodemandare provvisoriamente e temporaneamente ai Servizi sociali alcunipoteri in ordine all’esercizio della potestà, segnatamente per far seguire alminore quel percorso di sostegno terapeutico che gli serve per recuperare ilrapporto con l’uno o con l’altro genitore o comunque per conseguire unamaggiore serenità, qualora il genitore affidatario non si dimostri disponibileo addirittura ostacoli questi interventi; consentirgli una provvisoria perma-nenza presso terzi (ad esempio gli ascendenti); domiciliarlo provvisoriamen-te presso un genitore diverso da quello affidatario. Il tutto nell’ottica delrecupero di un rapporto parentale bilaterale consapevole ed attento alle esi-genze del minore, che è la condizione prima per una adeguata attuazione deiprovvedimenti adottatati in materia.Ove si accetti lo schema di attuazione dei provvedimenti come sopra espo-sto si deve però al tempo stesso evidenziare un rilevante limite alla vigentenormativa: manca la possibilità che il ricorso ex art. 710 c.p.c. - quando siverificano queste insuperabili difficoltà nella esecuzione- venga promossoad iniziativa del P.M. nell’interesse dei figli, eventualmente anche su solle-citazione fatta dal Giudice tutelare.Ove fosse adottata questa modifica legislativa il quadro si completerebbe in

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modo abbastanza soddisfacente con un maggior contenuto alle funzioni divigilanza del G.T. e la possibilità che l’interesse del minore trovi una auto-noma forma di tutela anche a prescindere dall’impulso dei genitori.

L’ ESECUZIONE DEGLI ORDINI DI PROTEZIONE

La legge 4 aprile 200l n.154 consente alla persona che subisce pregiudizioall’integrità fisica o morale o alla libertà a causa della condotta dell’ altro

convivente, di rivolgersi al giudice civile, per ottenere il c.d. ordine di pro-tezione; e cioè l’allontanamento della persona che usa violenza dal domici-lio familiare e l’ordine di cessare dalla condotta pregiudizievole e di nonavvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dai familiari vittime dell’abuso, ed eventualmente l’adozione di provvedimenti economici a sostegnodel coniuge, del convivente e della famiglia, se il soggetto allontanato è ilpercettore di reddito.Al giudice civile sono stati conferiti da questa legge poteri particolarmenteincisivi, anche se limitati nel tempo, in particolar modo da quando l’art. 1legge 6 novembre 2003 n. 304 ha abrogato il limite della sussistenza di unreato perseguibile d’ufficio.Nello stesso tempo la legge 28 marzo 2001 n. 149 ha inserito all’art. 330codice civile un inciso che consente al giudice minorile, sussistendo gravimotivi, non soltanto di allontanare il minore dal domicilio domestico, maanche ordinare l’allontanamento del genitore o del convivente che abusa delminore. Si capovolge così la prospettiva della tutela del minore, prendendoin considerazione il suo diritto a non essere esiliato dall’ambiente domesti-co quando l’elemento di disturbo o di abuso può essere isolato.Si deve tuttavia notare che l’intervento legislativo nel settore civile ordina-rio è stato più completo e soprattutto dotato di uno specifico strumento ese-cutivo, essendo espressamente previsto che con il medesimo decreto il giu-dice determina le modalità di attuazione e che ove sorgano difficoltà o con-testazioni in ordine alla esecuzione lo stesso giudice provvede con decretoad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione con facoltà diricorrere anche all’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.Si conferma così ulteriormente l’indicazione legislativa di demandare l’at-tuazione dei provvedimenti allo stesso giudice che li ha emessi; di contro ilgiudice minorile è provvisto di uno strumento meno efficace, considerandoche il contenuto dell’ ordine di protezione è limitato al solo allontanamentodalla residenza familiare, ed anche perché la norma nulla dice sulla attuazio-ne del provvedimento, lasciando irrisolti uno dei principali problemi che ilgiudice minorile deve quotidianamente affrontare e che a volte risolve inse-rendo comunque nel provvedimento delle disposizioni per la sua attuazione.Il giudice civile invece in ragione della sopra richiamata disposizione del-l’art. 342 ter è investito espressamente della funzione esecutiva.Questa norma nel riconoscere un ampio margine di discrezionalità esecutiva,consente di designare specificamente nel provvedimento il soggetto che devegarantire l’effettivo allontanamento ed anche impedire il riavvicinamentodel soggetto abusante per tutta la durata dell’ ordine di protezione, anche conriferimento territoriale, per esempio consente di indicare la locale stazionedei Carabinieri se la famiglia è domiciliata in zona periferica o la questuracittadina che di norma ha una sezione apposita per le questioni che riguarda-

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no i minori; questo serve anche ad evitare che nel momento in cui il sogget-to tutelato chiama la forza pubblica per dare attuazione all’ordine si ponga-no speciose questioni di competenza che ritardano di fatto l’intervento, ed aquesto fine può essere utile far comunicare dalla cancelleria l’ordine di pro-tezione anche allo specifico ausiliario designato per l’attuazione.Inoltre il riferimento all’ufficiale sanitario consente -con una interpretazionemoderatamente estensiva- di rivolgersi ai locali servizi delle USL nel caso incui le condotte di abuso siano collegate, come spesso accade, a problemi dialcolismo, tossicodipendenza e salute mentale. In definitiva anche in ragio-ne della facoltà espressamente riconosciuta di interessare i servizi sociali, icentri di mediazione familiare ed anche le associazioni di volontariato il giu-dice civile può con l’ordine di protezione entrare in dettagli molto specificie disporre di tutta una rete di soggetti attivi sul territorio che possono tutticollaborare nella attuazione dell’ ordine.Al giudice minorile non sono date espressamente le stesse facoltà: questonaturalmente induce a chiedersi se in via analogica il giudice minorile possautilizzare gli strumenti di attuazione di cui all’art. 342 ter oppure se la normadeve ritenersi di natura eccezionale e quindi non suscettibile di interpretazio-ne analogica, e se essa esprima una preferenza legislativa per l’intervento delgiudice civile anche a tutela dei minori in questi casi specifici, o quantome-no nel dare ordini di protezione molto incisivi ma a durata temporalmentelimitata, mentre al giudice minorile sarebbe riservata la tradizionale area diintervento per le situazioni critiche che vanno gestite sul lungo periodo.Infine si deve ricordare che la parte che elude l’ordine di protezione reso dalgiudice civile si espone alle pene previste dall’art. 388 c.p. come espressa-mente disposto dall’ art. 6 della legge 154/200l.

LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DEL MINORE

La legge 15 gennaio 1994 n. 64 in ratifica ed esecuzione della Convenzioneinternazionale dell’ Aja del 25 ottobre 1980 si occupa della c.d. sottrazio-

ne internazionale dei minori e cioè di una peculiare difficoltà della esecuzio-ne dei provvedimenti o degli accordi vigenti in materia di affidamento deiminori che può verificarsi quando i genitori risiedono in Stati diversi.La Convenzione ha come scopo quello di assicurare l’immediato rientro delminore illecitamente sottratto e trattenuto in uno degli Stati contraenti e diassicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato con-traente siano effettivamente rispettati negli altri Stati.Nel caso in cui il minore è sottratto al genitore residente nel territorio nazio-nale viene interessato il Ministero di Giustizia servizi minorili (la c.d. auto-rità centrale) che opera avviando la richiesta di restituzione all’autorità cen-trale straniera ed alla autorità giudiziaria dello Stato ove il minore è statoportato; la Convenzione conferisce facoltà alle parti di adire anche diretta-mente l’autorità giudiziaria straniera.Analogamente per il minore sottratto al genitore residente all’estero e porta-to in Italia, può pervenire la richiesta di restituzione, e a decidere su di essaè competente, secondo quanto disposto dalla legge di ratifica ed esecuzione,il Tribunale per i minorenni del luogo ove si trova il minore con appositoprocedimento camerale e con compiti specifici demandati al Procuratoredella Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

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Il P.M. è infatti investito tanto della iniziativa, con ricorso in via d’urgenza,ove la richiesta di rimpatrio del minore pervenga attraverso l’Autorità cen-trale, tanto della esecuzione della decisione, cioè dell’effettivo rimpatrio chedeve curare anche avvalendosi dei servizi minorili dell’amministrazionedella giustizia.Il rimpatrio è, peraltro, subordinato al fatto che la sottrazione si possa quali-ficare illecita, secondo quanto previsto dall’ art.3 della citata Convenzione;vale a dire, ogni volta che il trasferimento del minore è operato in violazio-ne di qualsivoglia “diritto di affidamento” efficace nell’ordinamento delloStato di residenza, purché alla titolarità del diritto si accompagni l’effettivoesercizio di esso.Due sono, quindi, i presupposti giuridici per potere beneficiare della tuteladella Convenzione: un elemento giuridico ed un elemento di fatto.Quanto al primo elemento, l’art.3 dispone che il “diritto di affidamento” puòderivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministra-tiva o da un accordo in vigore “in base alla legislazione dello Stato nel qualeil minore aveva la sua residenza abituale”.14

Per quanto riguarda, invece, l’elemento di fatto, inteso a norma dell’art. 3lett. b) come “esercizio effettivo del diritto di custodia”, la sua sussistenza èpresunta fino a prova contraria, in quanto, secondo l’art.l3, chi si oppone alritorno può dimostrare che la persona cui era affidato il minore non esercita-va effettivamente il diritto di affidamento.Il Giudice adito dovrà accertare la sussistenza di tali presupposti giuridicied, in caso di esito positivo, ordinare il rimpatrio del minore, senza entrarenel merito della regolamentazione della potestà genitoriale, materia questariservata esclusivamente alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria straniera.In alcune ipotesi eccezionali, peraltro, è lasciato un certo margine di discre-zionalità all’autorità giudiziaria adita, nel valutare l’opportunità di ordinareil rientro.Tra queste vi è il caso in cui si accerti un fondato rischio che il rientro delminore comporti effetti pregiudizievoli per l’equilibrato sviluppo psico-fisi-co, ovvero il caso in cui si verifichi che il minore, che abbia raggiunto un etàed un grado di maturità tali che appaia opportuno tenere conto del suo pare-re, si opponga al ritorno (art.13 lett. b) e comma 2).Non sussiste tuttavia un obbligo del giudice di procedere all’audizione delminore, in quanto l’art. 7, comma 3, della legge prevede che il Tribunale peri minorenni può disporla, qualora la ritenga opportuna, tenuto conto dell’etàdel minore, dell’esigenza di evitargli ulteriori traumi psichici e della celeri-tà del procedimento, mentre l’art. 13, comma 2, della citata Convenzione,concernente il caso di opposizione del minore all’ordine di rimpatrio, subor-dina la rilevanza da attribuire al rifiuto del minore al raggiungimento daparte di questi di una certa età al di sotto della quale, secondo nozioni dicomune esperienza, riservate all’apprezzamento del giudice del merito, è

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

14 La nozione di residenza abituale, ai fini della applicazione del1a convenzione, non coincide conquella di domicilio, (art. 43 c.c.) né con quella di carattere formale di residenza scelta d’accordo trai coniugi (art. 144 c.c.) in quanto corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intender-si il luogo in cui il minore in virtù di una durevole e stabile permanenza anche di fatto ha il centrodei propri legami affettivi non solo parentali derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidia-na vita di relazione, accertamento demandato al giudice di merito (Cass. 19544/2003)

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sconsigliabile dare peso alla sua opinione, se contrastante con la presunzio-ne del prevalente interesse del minore a ritornare presso l’affidatario al qualeè stato sottratto. (Cass. n. 19544 del 19/12/2003)Con la stessa sentenza la Corte ha ritenuto che non è incompatibile con laprocedura camerale volta ad accertare i presupposti per l’ordine di rimpatriol’espletamento di una consulenza tecnica.La Convenzione si ispira quindi a principi di tutela del minore inteso comesoggetto di diritti, e non considerato come mero oggetto di provvedimento;essa considera e riconosce rilevanza alle stesse difficoltà esecutive che siprospettano per l’attuazione dei provvedimenti nazionali e di cui sopra si èdetto, e che riguardano il comportamento del soggetto obbligato e la resi-stenza del soggetto passivo. Infatti, la Convenzione impone ai contraenti diattivarsi tramite la Autorità centrale in primo luogo per la consegna volonta-ria del minore e comunque per agevolare una composizione amichevole - adincentivare cioè la collaborazione infungibile del genitore - ed in ogni casoil rimpatrio può essere rifiutato quando si accerti che il minore si oppone alrientro e che ha raggiunto una età ed un grado di maturità tali che si rendeopportuno tener conto del suo parere; ulteriormente se è trascorso più di unanno dalla sottrazione il ritorno del minore è ordinato a meno che non siadimostrato che il minore si è integrato nel nuovo ambiente.Vengono così posti in evidenza dei principi che valgono anche in linea gene-rale nelle questioni esecutive nazionali, in quanto esprimono l’orientamentoattuale dello Stato in questa materia che è in definitiva anche un orientamen-to internazionale in materia di diritti della persona e dal quale quindi non sipuò prescindere. Vale a dire che il minore non può più essere considerato lacosa mobile o il corpus di cui effettuare la consegna, ma si deve dare atto cheè un soggetto di diritti che ha una propria opinione, meritevole di essereascoltata quando egli abbia raggiunto la maturità ed in ogni caso, a qualun-que età, ha diritto al rispetto delle sue condizioni di ambientamento ed albenessere psico-fisico15.Così il problema di fondo anche in caso di esecuzioni internazionali restaquello già evidenziato nei precedenti paragrafi, del distinguere la fase mera-mente esecutiva da quella modificativa del provvedimento che si tende adattuare: nel caso della sottrazione internazionale ad esempio, pur non aven-do lo Stato italiano, almeno in astratto, il potere di incidere sul provvedimen-to di affidamento reso dalla autorità giurisdizionale straniera, se tuttavia inesito alla procedura camerale il Tribunale per i minorenni rifiuta il rimpatriodel minore - ove si verifichino le condizioni ostative- di fatto il Tribunale ita-liano modifica la decisione assunta dalla autorità estera perché conferiscelegittimità alla permanenza del minore presso un soggetto diverso dall’affi-datario.La necessità quindi di tener conto della modificabilità in sede esecutiva deiprovvedimenti in materia di affidamento, anzi del fatto che la sede esecutivadiviene spesso il momento processuale ove l’esigenza di modifica si rivela,e il rilievo che è ormai principio espresso da parte dello Stato quello della

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15 Oltre che, ovviamente al rispetto dei diritti fondamentali della persona, ed invero che la stessaConvenzione dell’Aja prevede che il ritorno del minore può essere rifiutato quando non è consenti-to dai principi fondamentali dello Stato richiesto, relativamente alla protezione dei diritti dell’uomoe delle libertà fondamentali.

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importanza della volontà (libera e consapevole) del minore anche nella faseesecutiva, permette di proporre, per le questioni esecutive nazionali, la solu-zione di cui si è detto, così come è stata discussa ed elaborata dal gruppo dilavoro nell’ incontro di studio organizzato dal CSM sulle prassi nelle causedi separazione e divorzio.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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LAURACOSENTINI

MAGISTRATOTRIBUNALE DI MILANO,

SEZ. IX CIVILE

RIFERIMENTI NORMATIVI

MODIFICA CONDIZIONI SEPARAZIONEArt.155 comma 8 c.c.“… I coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposi-zioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestàsu di essi e le disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo”Art.156 c.c.“Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cuinon sia addebitata la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto ènecessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.…Il giudice… può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o perso-nale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighiprevisti dai precedenti commi e dall’art.155.

…In caso di inadempienza, surichiesta dell’avente diritto, il giudi-ce può disporre il sequestro di partedei beni del coniuge obbligato eordinare a terzi, tenuti a corrispon-dere anche periodicamente sommedi denaro all’obbligato, che unaparte di esse venga versata diretta-mente agli aventi diritto.Qualora sopravvengano giustificatimotivi il giudice, su istanza di parte,può disporre la revisione o la modi-fica dei provvedimenti di cui aicommi precedenti”.Art.710 c.p.c.“Le parti possono sempre chiedere,con le forme del procedimento in

camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi ela prole conseguenti la separazione.Il tribunale, sentite le parti, provvede alla eventuale ammissione di mezzi istrut-tori e può delegare per l’assunzione uno dei suoi componenti.Ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il tribunale puòadottare provvedimenti provvisori e può ulteriormente modificarne il contenutonel corso del procedimento”.

MODIFICA CONDIZIONI DIVORZIOArt.9 L.898/70 e succ. modd.“Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia loscioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, incamera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazionedel pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle dispo-sizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e allemodalità dei contributi da corrispondersi ai sensi degli art.5 (in favore dell’exconiuge) e 6 (in favore dei figli).

LA MODIFICA DELLECONDIZIONI DISEPARAZIONE E DIVORZIO

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIA ORGANIZZATO

DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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DISPOSIZIONI MODIFICABILI - DISPOSIZIONI NON MODIFICABILI

La lettura delle suddette norme già consente di individuare una caratteri-stica comune nelle disposizioni di separazione e divorzio soggette a pos-sibile modifica: sono disposizioni che, disciplinando i rapporti persona-

li genitori-figli ovvero i rapporti economici inerenti il mantenimento dei figlie del coniuge economicamente più debole, sanciscono una regolamentazio-ne di comportamenti destinati a protrarsi nel tempo, e che il tribunale, insede di separazione o divorzio, ha pronunciato sulla base degli accertamentidi fatto svolti in quel momento; al variare delle situazioni accertate, si pre-vede il diritto di chiedere una modifica di regolamentazioni che si reputinonon più conformi alla nuova situazione.Le disposizioni in oggetto, passibili di modifica, si dicono soggette allaregola rebus sic stantibus, ovvero destinate a protrarsi sino a che rimangainalterata la situazione di fatto che ne è stata il presupposto.Erroneamente a mio avviso taluni affermano che tali disposizioni, proprioperché sempre soggette a modifica, non passino mai in giudicato. Ove inve-ro disposizioni sancite in una sentenza di separazione o divorzio, soggetta agravame, la sentenza passerà in giudicato nei termini consueti (o perché nonimpugnata nei termini o perché emessa dal giudice di secondo grado o dalgiudice di legittimità), e solo dopo il passaggio in giudicato della pronuncia,ove si verifichi un mutamento delle circostanze, ne potrà essere chiesta lamodifica.Ne discende che:- non potrà mai chiedersi la modifica di disposizioni sancite in una pronun-cia non ancora passata in giudicato (nel giudizio di gravame, sarà lo stessogiudice d’appello a valutare la congruità della pronuncia anche alla lucedelle eventuali circostanze sopravvenute)- il ricorso di modifica non deve essere impostato come un ricorso d’appel-lo, nel quale ci si dolga di un’erronea valutazione del giudice di primo grado,ma dovranno venire addotti i fatti nuovi in relazione ai quali le disposizionidi cui alla pronuncia di separazione o divorzio si rivelano inadeguate.

Le considerazioni che precedono consentono inoltre di escludere la modifi-cabilità di quelle disposizioni che, pur contenute in una pronuncia di separa-zione, non siano la regolamentazione di comportamenti futuri destinanti aripetersi nel tempo (come tale soggetta alla regola rebus sic stantibus), masiano atti negoziali tra coniugi, solitamente a contenuto patrimoniale, ido-nei a comporre i contrasti che sopravvengono in sede di cessazione del rap-porto di convivenza o del vincolo matrimoniale. Riportati in un verbale diseparazione consensuale o in una sentenza di divorzio congiunto, sono espli-cazione di un’autonomia negoziale che, sancita dall’art.1322 c.c., purchénon violi i diritti e doveri inderogabili che derivano dal vincolo coniugale odalla genitorialità (artt.160 e 147 c.c.), consente di dividere patrimoni, tra-sferire beni, disciplinare le sorti di imprese familiari, attività artigianali oimprese condotte in forma societaria. Al pari di qualunque condizione con-trattuale, ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolta che per mutuoconsenso o per cause ammesse dalla legge (art.1372 c.c.), per cui, anche secontenuta in una pronuncia di separazione o divorzio, non se ne può certa-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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mente chiedere la modifica nell’ambito di un giudizio camerale, ma sipotranno attivare in un giudizio ordinario gli strumenti consentiti dalla legge(annullamento, risoluzione, ecc.).

Parimenti non potranno inserirsi in un procedimento camerale di modificaistanze restitutorie o di risarcimento danni tra coniugi, essendo estranee altema della regolamentazione dei rapporti genitori-figli o del contributo alloro mantenimento.

Il giudizio di modifica non può infine essere attivato per chiedere la modifi-ca del titolo della separazione (ossia da separazione consensuale a separa-zione con addebito). Argomento oggetto di vivo dibattito in ambito dottrina-rio e giurisprudenziale negli anni passati, oggi sembra si sia consolidato l’o-rientamento che esclude la modificabilità del titolo della separazione (e ciòindipendentemente dall’ambito processuale, ordinario o camerale, attivato).In estrema sintesi, si afferma che la pronuncia di addebito richiede un accer-tamento che non può che riferirsi al momento in cui le parti, o anche una soladi esse, valutando l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, sirivolgono al giudice per una pronuncia di separazione consensuale o giudi-ziale. Sulla premessa che il comportamento di un coniuge in violazione deidoveri coniugali o genitoriali può comportare una pronuncia di addebito soloin quanto si accerti sia stato causa della frattura coniugale, per avere deter-minato l’intollerabilità della convivenza, sarà irrilevante non solo un fattosopravvenuto alla separazione consensuale o giudiziale, ma anche la cono-scenza a posteriori di un fatto pregresso dato che, ignorato nel momento incui veniva chiesta la separazione, non può in quanto tale avere avuto rilevan-za causale diretta nel processo di formazione della volontà di separarsi, evi-dentemente sorretta da altre cause. (vedi Cass.30.7.1999 n.8272).

ISTANZE DI MODIFICA CON RIFERIMENTO AI PROVVEDIMENTI DI NATURA ECONOMICA

In termini statistici sono le istanze più numerose e risentono molto spessodell’andamento economico-produttivo della nostra società. In momenti di

sviluppo economico prevalgono le istanze di aumento dell’assegno perconiuge o figli. In momenti di recessione prevalgono istanze di riduzionedella contribuzione economica, se non a volte di totale esonero.Presupponendo il più delle volte l’assunto di un intervenuto peggioramentoo miglioramento delle condizioni economiche del coniuge obbligato o del-l’avente diritto, è fondamentale offrire un quadro probatorio di dette condi-zioni con riferimento non solo all’epoca del ricorso ma anche a quella dellapregressa pronuncia consensuale o giudiziale di separazione o divorzio, ondeconsentire al giudicante di valutare l’effettivo prodursi o meno dell’asseritomutamento (nello stesso decreto di convocazione delle parti il nostro tribu-nale ha inserito la richiesta di produzione delle dichiarazioni dei redditidegli ultimi tre anni, ma purtroppo constatiamo che tale richiesta è ancoramolto spesso inevasa).L’istruttoria viene in primo luogo condotta in udienza, nel contradditto-rio delle parti, dando spazio alle loro reciproche dichiarazioni e confutazio-ni (la verbalizzazione è spesso fonte primaria di prova per il giudice).

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Utile, nel caso di redditi da lavoro autonomo, artigianale, imprenditoriale, èla produzione della documentazione bancaria (offerta come prova, o chie-sta a prova ex art.210 c.p.c.), che peraltro non si limiti agli ultimi mesi mache riguardi un più ampio lasso di tempo; solo così potrà emergere la soffe-renza finanziaria addotta da una parte, ovvero al contrario la situazione dimaggior floridezza economica dedotta dall’altra.Deve in ogni caso tenersi conto che nel procedimento camerale l’istruttorianon viene condotta secondo un rigore formale di tempi e decadenze;l’art.738 c.p.c. sancisce che “il giudice può assumere informazioni”, percui possono trovare ingresso tutti i mezzi istruttori attivati anche d’ufficio.Presupposto di modifica di un’istanza di esonero dal pagamento dell’assegnoper il coniuge più debole può essere la circostanza che detto coniuge abbiainstaurato una stabile convivenza con altra persona: tendenzialmente l’ac-certamento di una convivenza stabile e protratta nel tempo fa presumere unacondivisione delle spese di casa e del menage familiare e reciproci assolvi-menti di oneri assistenziali (sia pure in assenza di vincoli di natura giuridi-ca), il che risulta in antitesi con il perdurare di un contributo di mantenimen-to da parte dell’altro coniuge (vedi Cass. sent. n.5024/97), e nel rispetto diquella medesima ratio che ha indotto il legislatore ad escludere automatica-mente l’assegno di divorzio ove il beneficiario passi a nuove nozze (art.5 ult.co. L.898/70).Nella casistica delle istanze di modifica in punto economico compare anchedi frequente la circostanza che il coniuge obbligato abbia incrementato i pro-pri oneri avendo una nuova famiglia e nuovi figli: non è scontato che talecircostanza venga recepita dal tribunale come legittimo motivo di riduzionedegli oneri economici del genitore nei confronti della prima famiglia. Siparte dalla considerazione che l’assunzione dei nuovi oneri sia frutto di unadecisione consapevole, che in quanto tale non può andare a detrimento deifigli già nati, ma dovrà tradursi in maggior sacrificio del genitore stesso,ossia in una riduzione delle sue spese personali. Si tende quindi a non acco-gliere l’istanza di riduzione, se non in presenza di redditi molto bassi, cheappaiano incompatibili con il mantenimento di un contributo per i figli diprimo letto decisamente al di sopra di quanto può essere offerto ai nuovi naticon il reddito rimanente.

ISTANZE DI MODIFICA CON RIFERIMENTOALL’AFFIDAMENTO DEI MINORI E AI RAPPORTI GENITORI-FIGLI

IA sostegno di tali istanze potranno essere prospettati i più svariati fatti, cir-costanze, comportamenti, ma dovranno tutti avere come denominatore

comune la loro rilevanza “con esclusivo riferimento all’interesse morale emateriale della prole” (art.155 comma 1 c.c.). Il Tribunale modificherà ledisposizioni in essere in quanto possa accertare che non siano più idonee atutelare l’interesse dei minori e a rispettarne le esigenze.

A volte si rivela sufficiente intervenire sulla regolamentazione dei tempi odelle modalità di permanenza dei minori con il genitore non affidatario (lec.d. facoltà di visita). Non è infrequente che la conflittualità tra genitori siatale che, aggrappati a un rispetto rigoroso (ma più spesso ottuso) delle dispo-

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sizioni sancite, non comprendano l’esigenza di una maggiore flessibilità edisponibilità per venire incontro alle sopravvenute diverse esigenze di padre,madre, figli:- i figli crescono e dalla fase dell’accudimento materiale si passa a quella

degli accompagnamenti, e poi a quella del rispetto delle loro progressiveistanze di autonomia (ad esempio è spesso problematico il tema del per-nottamento quando la separazione, in presenza di figli molto piccoli, pre-vedeva solo incontri di pochi ore)

- i genitori possono cambiare lavoro, orari, città- le nuove relazioni affettive dei genitori si assume turbino i minori (in tal

caso difficilmente il giudice accoglie istanze di esclusione delle facoltà divisita o di previsione esplicita di divieti di incontro con il partner, tenden-do piuttosto a prevedere una gradualità di inserimento del minore nelnuovo mondo relazionale del genitore)

Negli ultimi anni si osservano (e si apprezzano) istanze rivolte alla modificadelle sole facoltà di visita, che non necessariamente coinvolgano (se non cen’è ragione) la disciplina dell’affidamento e del collocamento della prole.Mettere in discussione aprioristicamente (come più di frequente accadeva inpassato) la capacità del genitore di accudire o educare i figli (magari al ritenu-to fine di ottenere di più sul fronte della mera frequentazione) può solo alimen-tare maggiore conflittualità e sollecitare la parte convenuta a replicare in ter-mini ancora più accesi, riproponendo tematiche di contrasto che non giovanodi certo alla gestione della loro genitorialità in un contesto di separazione.

Ci sono comunque situazioni che giustamente portano a mettere in discussio-ne l’affidamento, il più delle volte con riferimento all’esercizio della pote-stà genitoriale, ma talvolta anche con riferimento al collocamento dellaprole.Affidamento e collocamento sono invero concetti che possono andaredisgiunti.Sul presupposto che l’affidatario “ha l’esercizio esclusivo della potestà sulminore” (art.155 c.c.), con la pronuncia di affidamento il giudice stabilisce achi spetta l’esercizio della potestà sul minore. L’affidamento coinciderà conil collocamento solo in caso di affidamento esclusivo a un genitore. In casodi affidamento congiunto, il minore sarà collocato presso un genitore o pres-so l’altro. In caso di affidamento a terzi (persona fisica o ente pubblico), ilminore potrà rimanere collocato presso uno dei genitori, oppure presso altrapersona o famiglia, oppure in comunità.In un giudizio di modifica può pertanto non venire messo in discussione il col-locamento del minore (perché presso quel genitore il minore riceve accudi-mento e affetto adeguati), ma unicamente il tema dell’esercizio della potestà.

La “potestà genitoriale” (di cui la legge non dà alcuna definizione esatta)può ritenersi l’insieme dei diritti-doveri del genitore nei confronti del figlio,diritto-dovere di accudirlo, mantenerlo, educarlo, ma anche vederlo, fre-quentarlo, conoscerlo, perché solo così il genitore potrà capire quali sono lesue esigenze, le sue inclinazioni, aspirazioni, i suoi problemi, ed assumereper lui le decisioni più corrette per una crescita serena ed equilibrata.Quando due genitori si separano, la legge dice (art.317 c.c.) che mantengo-

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no entrambi la titolarità della potestà sul minore (quindi il diritto-dovere diaccudirlo, mantenerlo, educarlo, frequentarlo, ecc…), ma solo l’affidatariopuò esercitarla, intendendosi per “esercizio della potestà genitoriale” piùche altro il potere decisionale del genitore per ciò che riguarda il figlio.

In caso di affidamento esclusivo a un solo genitore, ogni decisione è dicompetenza di questi, tranne le “decisioni di maggiore interesse” che “sonoadottate da entrambi i genitori” (così l’art.155 c.c.). Le decisioni di maggio-re interesse si ritiene siano quelle più incisive relative alla salute (non quin-di una visita di controllo, ma la scelta dello specialista privato, soprattutto sesi deve decidere tra terapia tradizionale o meno, un intervento chirurgico,una psicoterapia, una terapia farmacologica particolare, un’indagine invasi-va, ecc.), alla scelta scolastica (soprattutto in termini di indirizzo di studioo tipologia di scuola), al collocamento (trasferimento in altra località),all’avviamento lavorativo, ecc..In caso di affidamento congiunto a entrambi i genitori, gli stessi dovrannoassumere congiuntamente tutte le decisioni che riguardano il minore, impor-tanti o meno importanti. Di fatto tuttavia le decisioni della quotidianità (igie-ne personale, alimentazione, orari, ecc.) non potranno che essere assunte dalgenitore che avrà con sé il minore in quel momento (nell’arco della settima-na, del week end, delle vacanze)Nella pratica la distinzione tra affidamento esclusivo e congiunto sembraassottigliarsi, se si considera che le decisioni della quotidianità sono sempreassunte dal solo genitore che sta con il minore in quel momento e le decisio-ni più importanti devono sempre essere assunte da entrambi.La principale distinzione si coglie pertanto se si guarda non al momentodecisionale interno tra genitori, bensì al momento in cui la decisione si espli-cita all’esterno, perché all’affidamento consegue il diritto di rappresenta-re il minore all’esterno (di firmare come suo rappresentante legale)- affidamento esclusivo -in caso di disaccordo è il genitore affidatario che,

anche per le decisioni più importanti, ha il potere di rappresentare il mino-re all’esterno (può iscriverlo a scuola, richiedere una data terapia, unintervento chirurgico, ecc.). il genitore non affidatario, se non è d’accor-do, potrà rivolgersi al giudice successivamente

- affidamento congiunto -solo i genitori congiuntamente hanno la rappre-sentanza del minore, per cui in caso di disaccordo non potrà un solo coaf-fidatario iscrivere un figlio a scuola, richiedere una psicoterapia, ecc.., madovranno preventivamente rivolgersi al giudice per dirimere il contrasto

Su tali premesse possono cogliersi le valutazioni che inducono il giudice adaccogliere o meno un’istanza di passaggio dall’affidamento esclusivo all’af-fidamento congiunto o viceversa.L’affidamento congiunto sottolinea la pariteticità del ruolo genitoriale, per leparti e per lo stesso figlio (non c’è un genitore che vince sull’altro, uno diserie A e uno di serie B). Potrà prevedersi non solo in caso di genitori cheabbiano già una buona intesa e capacità di collaborazione nell’interesse delminore (se il legislatore avesse inteso ciò, ne avrebbe forse subordinato laprevisione all’accordo delle parti), ma anche quando il genitore affidatariotende a vivere il figlio come cosa propria, escludendo l’altro genitore dal

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percorso educativo o decisionale, o ritenendo di poter essere arbitro di tutto.Parimenti potrà disporsi per sollecitare un genitore assente ad assumersi lesue responsabilità.L’affidamento congiunto non sarà invece opportuno quando si accerti cheviene interpretato in modo distorto, solo come mezzo per interferire nellavita dell’altro genitore, ovvero quando l’eccessivo contrasto e la sfiduciareciproca arriverebbe al punto di paralizzare ogni decisione.Si sta optando talvolta per l’affidamento congiunto in caso di coniugi didiversa cittadinanza, quando si teme che il genitore straniero possa attuareun improvviso e non concordato trasferimento all’estero con i figli; il geni-tore coaffidatario sembra abbia maggiori possibilità di far valere all’estero ipropri diritti.

Per completezza è il caso di precisare che il giudice che decide nel contra-sto tra genitori sull’assunzione delle decisioni relative ai figli, quale men-zionato rispettivamente dagli artt. 155 c.3 c.c. e 6 c.4 L.898/70, si è ritenutoessere il tribunale nel giudizio camerale di modifica, riconoscendosi allarelativa pronuncia una valenza integrativa di accordi o disposizioni di sepa-razione o divorzio che non contemplavano il punto in discussione; la compe-tenza residuale del T.M., ex art.316 c.c. e 38 disp. att. c.c., ricorre nel con-trasto tra genitori naturali o genitori legittimi ancora conviventi (vediCass.3.11.2000 n.14360)

L’affidamento a terzi o all’Ente Pubblico è provvedimento fortementelimitativo della potestà genitoriale.Potrà ricorrersi ad esso per attuarsi un forte controllo sul genitore collocata-rio (o su entrambi) con riferimento a capacità educative e di accudimento delfiglio, ovvero quando la conflittualità è a un tale livello che i genitori, puraffettivi ed accudenti, non riescono ad assumere alcuna decisione concorda-ta, neppure circa i tempi e le modalità di permanenza del minore con l’uno ocon l’altro, e le statuizioni del tribunale, pur dettagliate, non riescono mai acoprire tutte le ipotesi, per cui sarà l’ente affidatario che di volta in volta sta-bilirà tempi e modalità.Sotto il profilo decisionale, se uno dei genitori è rimasto collocatario, a luisono rimesse le decisioni della quotidianità, mentre le restanti decisioni sonodi competenza dell’ente, o del terzo. I genitori, ove non siano decaduti dallapotestà, dovranno essere sentiti per le decisioni di maggiore interesse, ma illoro parere non sarà vincolante e in caso di contrasto tra genitori ed entedecide quest’ultimo; in tal caso i genitori hanno facoltà di rivolgersi al giu-dice per dirimere il contrasto.

Le istanze di modifica possono mettere in discussione non solo l’affidamen-to ma anche lo stesso collocamento del minore presso un genitore. La casi-stica è varia: può assumersi che il genitore sia divenuto maltrattante ocomunque incapace sotto il profilo affettivo, educativo, di accudimento (avolte per subentrate malattie fisiche o psichiche dello stesso); può denunciar-si il disagio del minore di fronte alla subentrata relazione/convivenza delgenitore o di fronte al proposito dello stesso, attuato o meno, di trasferirsialtrove; può semplicemente affermarsi il subentrato desiderio del minore di

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voler vivere presso l’altro genitore.Il tema del trasferimento del genitore in altra città o in altro Stato stadivenendo sempre più spesso oggetto di istanze di modifica, a volte svolte inprevenzione (talvolta dallo stesso genitore affidatario che chiede quasi unconsenso a trasferirsi con i figli), a volte all’esito di un avvenuto trasferi-mento, che si rappresenta come evento estremamente pregiudizievole alminore. In ogni caso è bene sottolineare che il Tribunale non può certo inter-venire sulla decisione del genitore (cittadino o straniero) di trasferirsi altro-ve, ma unicamente sulla soluzione affidamento/collocamento, di cui si veri-ficherà la perdurante conformità all’interesse del minore (è purtroppo sem-pre la scelta del minor male, dato che per il minore è comunque un proble-ma allontanarsi da uno dei due genitori).Solitamente, all’esito di un accertamento mediante CTU, emerge che, quan-to più i bambini sono piccoli, il loro legame al genitore già affidatario pre-vale, e l’abbandono di questo sarebbe più doloroso e destabilizzante rispettoall’abbandono dell’altro genitore e del luogo logistico di affetti, relazioni,amicizie; con il crescere dell’età si assiste a un progressivo spostamento del-l’asse sul territorio in cui si sono intessute tutte le relazioniaffettive/sociali/scolastiche e l’abbandono del territorio può apparire piùdestabilizzante rispetto all’allontanamento dal genitore già affidatario (esempreché vi siano buoni rapporti con l’altro genitore, per cui può ipotizzar-si un’adeguata convivenza con lo stesso).Nel caso in cui il collocamento venga messo in discussione per l’asseritasubentrata inadeguatezza o incapacità dell’affidatario, l’istruttoria potrà pre-vedere indagini da parte dei servizi psico-sociali del territorio, l’audizionediretta del minore, l’approfondimento mediante CTU psicologica o medico-psichiatrica sulle parti o sul minore. In alcuni casi, nelle more, pur mante-nendosi il collocamento originario, potrebbe disporsi in via provvisoria eurgente l’affidamento del minore all’ente pubblico al fine di esercitare unmaggiore controllo circa l’asserito pregiudizio al minore.La possibilità che il minore venga non solo affidato ma anche collocato pres-so terzi o in comunità, è un caso limite cui si ricorre quando neppure l’altrogenitore dia garanzie di affettività o adeguato accudimento.

È quest’ultimo un ambito di possibile sovrapposizione di competenze traT.O. e T.M. (oggetto di contrasti interpretativi anche tra gli stessi giudici).Per molto tempo si è detto che ogniqualvolta sia necessario un provvedimen-to sulla potestà genitoriale, o di decadenza, o di limitazione dell’esercizio, ècompetente il T.M., salvo poi discutere sulla tipologia dei provvedimentilimitativi della potestà, al fine di stabilire quali sono quelli che può emette-re solo il T.M. e quali quelli che può emettere anche il T.O. nell’ambito di unprocedimento di separazione/divorzio o modifica di sep. o div.. Nel tentati-vo di pervenire ad una soluzione che limiti il più possibile la sovrapposizio-ne di competenze tra due uffici giudiziari, a tutto danno del minore, i giudi-ci milanesi sono in maggioranza orientati a ritenere che, salvo le pronunce didecadenza dalla potestà (di competenza del solo T.M. ex art.330 c.c.), il T.O.,quando provvede nell’ambito di un giudizio di separazione, divorzio o modi-fica di separazione o divorzio, possa emettere ogni tipo di provvedimento atutela del minore, anche quindi limitativo della potestà genitoriale (quale

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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potrebbe essere un provvedimento di affidamento del figlio all’ente territo-riale o di collocamento eterofamiliare), certamente compreso negli artt.155c.c. o 6 L.div. quando rimettono al tribunale la decisone di affidamento e l’a-dozione di ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferi-mento all’interesse morale e materiale di essa.

ISTANZE DI MODIFICA CON RIFERIMENTOALL’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALEDopo accesi contrasti interpretativi in merito alla valenza del provvedimen-to di assegnazione della casa coniugale, è prevalso l’orientamento che lopone tra i provvedimenti ad esclusiva tutela della prole, escludendosene lanatura di contributo al mantenimento del coniuge più debole, con ciò privi-legiandosi la collocazione della sua disciplina nell’ambito della norma desti-nata ai Provvedimenti riguardo ai figli, ossia rispettivamente l’art.155 c.4c.c., operante tra coniugi separati, e l’art.6 c.6 L.div., operante tra coniugidivorziati.Ne discende che:- modificandosi il collocamento del minore da un genitore all’altro, è legit-

timo chiedere il cambio di assegnazione nel godimento dell’alloggio giàcasa coniugale, onde consentire al minore di rimanere nella stessa casa

- non potrà revocarsi l’assegnazione della casa al coniuge già affidatariosino a che convivente con un figlio maggiorenne ma economicamente nonautonomo (e non per sua colpa)

- in caso di coniugi comproprietari potrà revocarsi l’assegnazione esclusivadella casa al coniuge già affidatario quando non conviva più stabilmentecon il minore o quando vi conviva con un figlio maggiorenne divenutoeconomicamente autonomo

- in caso di coniugi comproprietari, ancorché venga revocata l’assegnazio-ne esclusiva, non potrà ordinarsene il rilascio, derivando il diritto di godi-mento dalla comproprietà (ogni controversia in proposito potrà essererisolta mediante giudizio di divisione immobiliare o al più mediante ricor-so in punto amministrazione del bene comune, ex art.1105 c.4 c.c.).

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

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Iprocedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio sisvolgono nelle forme del rito camerale, ma, in questo caso, l’oggetto delprocesso è la trattazione di diritti soggettivi veri e propri, sui quali tra le

parti si instaura un contenzioso. Ne deriva che uno strumento processualepensato per risolvere questioni di volontaria giurisdizione, intesa come solu-zione di interessi, deve adattarsi alla trattazione di diritti soggettivi.Le regole processuali vanno desunte dagli artt da 737 a 742 c.p.c. con l’in-tegrazione della necessità del contraddittorio e il richiamo ad una fase istrut-toria (“sentite le parti ed assunti eventuali mezzi istruttori”).La domanda si propone con ricorso a sensi dell’art. 737 c.p.c., e il Presidentefissa l’ udienza di comparizione delle parti, dà termine per la notifica delricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, nomina il Giudice relatore.La costituzione della parte convenuta può avvenire in udienza, e in quellasede possono essere proposte anche domande riconvenzionali, mancandonelle norme citate l’indicazionedi un termine a comparire.Secondo l’orientamento dellaCassazione (v. Cass. civ. sez. 1,sent. 25 ottobre 2000 n. 14022)“nella parte non regolata - il pro-cedimento (ndr) - risulta rimesso,nel suo svolgimento alla discipli-na concretamente dettata dal giu-dice, la quale dovrà garantire ilrispetto del principio del contrad-dittorio e di quello del diritto didifesa. Con la conseguenza chepotranno essere proposte pertutto il corso di esso domandenuove, anche riconvenzionali,senza con ciò che la loro eventuale mancata proposizione possa impedirnela proposizione in separato giudizio e che potranno altresì essere ammesseanche prove nuove in correlazione con i fatti sopravvenuti dedotti nel corsodel processo, fatti che potranno essere presi in esame se e ove dedotti e sem-pre nei limiti delle domande proposte investendo l’ufficiosità del procedi-mento unicamente il profilo dell’impulso al suo svolgimento ed, in certamisura, l’acquisizione del materiale probatorio”.Ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il tribunalepuò adottare provvedimenti provvisori e può ulteriormente modificarne ilcontenuto nel corso del procedimento.L’intervento del P.M. è obbligatorio, almeno nei giudizi per la modifica deiprovvedimenti riguardanti i figli.Il procedimento si conclude con decreto motivato reclamabile avanti la Corted’appello, ex art. 739 c.p.c., nel termine perentorio di 10 giorni decorrentedalla notificazione ed è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111Cost., in quanto il giudizio per la revisione delle disposizioni relative aiconiugi e alla prole, ancorché si svolga con rito camerale, “configura pursempre un processo contenzioso che si svolge nel pieno contraddittorio delleparti, titolari di confliggenti diritti soggettivi, e che si chiude con un decre-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

FRANCAALESSIOAVVOCATO DEL FORO DI

LECCO

DIRETTIVO NAZIONALE

AIAF

IL PROCEDIMENTO DI MODIFICA

DELLE CONDIZIONI

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIAORGANIZZATO DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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to, che ha natura sostanziale di sentenza” (Cass. civ. sez. 1, 4 settembre1996 n. 8063), ma in senso contrario si è pronunciata con sentenza 4.9.1997n. 8495, riaprendo così la questione sulla possibilità di riconoscere efficaciadi giudicato, pure solo rebus sic stantibus, ai provvedimenti resi con riferi-mento all’art. 155 c.c..Il giudizio di secondo grado, instaurato con il reclamo, ha per oggetto larevisione della decisione nei limiti del devolutum e delle censure formulateed in correlazione alle domande formulate in quella sede. Mentre possonoessere allegati fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, inquanto queste ultime snaturerebbero la natura del reclamo quale mezzo diimpugnazione.Quanto alle fase istruttoria, è pacifico che devono essere assicurati l’eserci-zio del diritto di difesa e la garanzia del contraddittorio specialmente nellaformazione della prova, nel rispetto del novellato art. 111 Cost., avendo leparti facoltà di interrogare e far interrogare le persone che rendono dichiara-zioni a loro carico. (Cass. civ. sez. 1, 21 giugno 2002, n. 9084)Quali sono i mezzi istruttori cui l’art 710 c.p.c. fa riferimento e che possonoessere disposti d’ufficio? Sicuramente tutti quegli strumenti di indagine pro-batoria di cui si avvale il Giudice della famiglia (C.T.U., relazioni degli assi-stenti sociali, indagini patrimoniali a mezzo della Guardia di Finanza, oltreche i mezzi tipici del codice di rito).Sarà certamente possibile disporre d’ufficio mezzi di prova sulle condizionirelative al minore.Quanto ai diritti patrimoniali tra i coniugi si pone il problema dell’interpre-tazione della contestazione della parte quale presupposto per procedere allaindagine di Polizia tributaria, da considerare comunque come uno strumentoprobatorio da disporsi d’ufficio.L’unico limite a detto potere, che costituisce una deroga alle regole generalidell’onere della prova, è rappresentato dal fatto che il Giudice, potendoseneavvalere, non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimentoed alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostra-zione da parte loro degli assunti sui quali le richieste si basano. In tal caso siritiene che il Giudice debba disporre accertamenti d’ufficio, avvalendosianche della Polizia tributaria.La modifica ex art. 710 è proponibile o proseguibile in pendenza del proce-dimento di divorzio?Secondo alcuni la proposizione del ricorso di divorzio, in pendenza del pro-cedimento ex art. 710 c.p.c., per conseguire la modifica delle condizioniaccessorie della separazione, non determina, quanto a tale ultimo procedi-mento, la cessazione della materia del contendere o l’improcedibilità delladomanda, in quanto il giudice del divorzio non può provvedere con riferi-mento alle situazioni preesistenti al giudizio; secondo altri il ricorso è inve-ce improcedibile, in quanto la modifica va richiesta al giudice del divorzio.Poiché l’assegno di mantenimento in favore di uno dei coniugi in regime diseparazione è dovuto sino al passaggio in giudicato della sentenza che pro-nuncia il divorzio, deve sempre ritenersi ammissibile per l’opportunità delsimultaneus processus innanzi allo stesso giudice per la definizione dellequestioni patrimoniali connesse, la domanda di adeguamento dell’assegno diseparazione nel corso del giudizio di divorzio.

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Ne consegue che ogni altra modifica delle condizioni della separazionedovrebbe ritenersi proponibile nel giudizio di divorzio, con l’esclusionequindi della possibilità di proporre il ricorso ex art. 710 c.p.c.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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L’ORIGINE

L’ idea di realizzare anche in Italia un servizio di mediazione familiare ématurata, per noi dell’Associazione e poi del Centro GeA-Genitoriancora, a partire dal disagio che già nei primi anni ’80 avvertivamo.

Impegnati a vario titolo nel lavoro con le famiglie alle prese con separazionidifficili, sentivamo che il nostro intervento, di psicoterapeuti o di consulentidel giudice ad esempio, era sostanzialmente fuori centro: il cuore del proble-ma, la sofferenza dei bambini a causa dell’alta conflittualità tra i genitori, sisottraeva il più delle volte alla possibilità, da parte nostra, di incidere signi-ficativamente. Restava imbrigliato nelle trame del conflitto tra i genitori.La più illuminata delle sentenze, la più brillante delle terapie, la più scrupo-losa delle perizie rischiavano troppo spesso di rimbalzare, vanificate, sulmuro di gomma di affetti e relazioni ormai devastate. Invece di accrescere innoi il pessimismo, per altro assai diffuso, circa la possibilità per i genitori

separati di garantire la crescitaequilibrata dei loro figli, questeconsiderazioni, la nostra stessainsoddisfazione, c’indussero aporci alcune domande paradossa-li: E se lasciare i bambini “inbalia” dei loro genitori fosse lastrada giusta, o almeno in molticasi percorribile? Perché nonassecondare e cercare un senso aquella sorta di resistenza, di forzacentripeta che tiene legata la sortedi ogni bambino a quella dei suoigenitori? E se buona parte deiproblemi fosse originata propriodal fatto che, lungo la strada della

separazione, troppi personaggi (giudici, avvocati, periti di parte e d’ufficio ecosì via), quasi tutti armati delle migliori intenzioni, finiscono per esonera-re i genitori dall’assumersi fino in fondo questa responsabilità?

Ci pareva sostanzialmente punitiva la solitudine e l’isolamento in cui la cop-pia genitoriale in separazione viene lasciata dalla collettività, proprio quan-do la rottura scatena la tempesta delle emozioni ma al tempo stesso rendeurgenti e gravi scelte e decisioni. Così come ci appariva stigmatizzante l’es-sere rinviati così al mondo giudiziario per dirimere una vicenda che solo inparte attiene ai diritti: come se la separazione fosse una forma di devianza.L’iter giudiziario, o meglio la scena giudiziaria, con il suo linguaggio, i suoiriti, le sue coreografie, il proliferare dei suoi attori e dei suoi personaggi,comunica implicitamente ai genitori che si separano un messaggio comples-sivo che finisce per rinforzare proprio quei sentimenti e quei comportamen-ti che sono per tanti versi di impedimento ai loro figli, ma anche a loro stes-si, per superarare costruttivamente la crisi della separazione: si sentono e sicomportano da individui infantilizzati e passivizzati, ai limiti della patologiae della devianza, colpevoli, irresponsabili, individui che, di fatto, deleganola gestione dei propri affetti più intimi, la quotidianità stessa dei propri figli

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

IRENEBERNARDINI

PSICOLOGA,PSICOTERAPEUTA,

MEDIATRICE FAMILIARE.RESPONSABILE DEL

CENTRO GEA-GENITORI ANCORA DELCOMUNE DI MILANO

LA MEDIAZIONEFAMILIARE TRA AFFETTI E DIRITTI

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE IN DIRITTO DI FAMIGLIA ORGANIZZATO

DALL’AIAF LOMBARDIA, MILANO, MAGGIO 2004 - MAGGIO 2005

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ad altri, figli che spesso finiscono per trattare come prede e ostaggi.Succede allora, solo allora, che le famiglie, promosse a “casi”, tornano aiservizi o agli psicologi consulenti d’ufficio per essere oggetto di perizie,controlli o terapie più o meno coatte: ecco la separazione come patologia.L’eco collettiva alla separazione é da noi ancora subdolamente colpevoliz-zante e stigmatizzante. L’offerta d’aiuto sociale, intesa come offerta di ser-vizi, in tema di separazione é ambigua, e l’ambiguità si traduce in un vuoto.L’intervento per così dire tradizionale sulla separazione mira dunque a ripa-rare, il più delle volte tardivamente. I colleghi del GeA ed io ci andavamoconvincendo, invece, della necessità di mettere a disposizione dei nucleifamiliari alle prese con la separazione un aiuto che fosse a monte della stes-sa prevenzione: un aiuto nel segno della fiducia, che fosse sostegno allo svi-luppo, promozione delle risorse.

IL MODELLO GEA

Il Centro GeA-Genitori ancora è il primo servizio pubblico italiano dimediazione familiare. È stato aperto alla fine del 1989 dal Comune di

Milano, che ne ha affidato la realizzazione all’Associazione omonima che nel1986, spinti dalle considerazioni appena accennate, Fulvio Scaparro, io edaltri avevamo costituito per promuovere la mediazione familiare. Si avvale diun’équipe di sei operatori (psicologi e assistenti sociali già esperti in materiadi conflittualità familiare e formati alla mediazione familiare), e di una figu-ra addetta alla segreteria. I cenni che seguono relativamente al dipanarsi con-creto del processo di mediazione familiare fanno riferimento all’esperienzadel Centro GeA ma in sostanza descrivono anche la pratica di tutti quei ser-vizi di mediazione familiare che negli ultimi anni sono sorti nel Paese inseguito alle iniziative di formazione attivate dall’Associazione GeA.Qualunque sia la provenienza delle coppie di genitori (attraverso l’accessospontaneo o per proposta di altri operatori), il Centro GeA garantisce loro latotale autonomia e l’assoluta discrezione. Fin dal primo contatto (è sempreuno dei due genitori a telefonare), verificata la congruità della richiesta conciò che il servizio offre, ci adoperiamo affinché si possa avere la compresen-za di entrambi i genitori fin dal primo colloquio. Se questo appare difficil-mente praticabile, fissiamo un primo colloquio individuale che tuttavia saràorientato in gran parte a verificare la coinvolgibilità dell’altro genitore.Nell’arco dei primi due o tre colloqui congiunti i genitori e il mediatore valu-tano insieme l’opportunità, la motivazione, le risorse, le condizioni per intra-prendere o meno il percorso di mediazione familiare. Le controindicazioni aprocedere sulla strada della mediazione non hanno tanto a che fare con l’a-sprezza del conflitto, quanto con fattori come: l’assenza di plenipotenziarie-tà di uno o di entrambi i genitori (eccesso di dipendenza dalla famiglia d’o-rigine, dal nuovo partner, dal legale); la presenza di una patologia psichiatri-ca in atto (la mediazione familiare chiede molto agli individui che, se afflit-ti da una sofferenza psichica rilevante se pure latente, potrebbero scompen-sarsi); l’accusa reciproca o unilaterale circa comportamenti violenti o dimolestie sessuali (è improponibile un patto genitoriale a chi, se pure stru-mentalmente, si rivolga o subisca accuse di tale gravità); l’assenza o lacarenza di risorse genitoriali che, pur defatigate dal conflitto, consentano dirilanciare una prospettiva di lavoro comune nell’interesse dei figli; l’indi-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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sponibilità o l’inopportunità a concordare la ““tregua giudiziaria”“, vale adire a sospendere le ostilità e le procedure giudiziarie per la durata del per-corso di mediazione.Una volta avviato il processo di mediazione, GeA offre ai genitori una seriedi colloqui (8/12), protetti dal segreto professionale, in cui, con l’aiuto delmediatore familiare, affrontare i nodi conflittuali relativi ai bambini e giun-gere, molto concretamente, a prendere delle decisioni. Con l’aiuto delmediatore familiare i genitori progettano il futuro delle relazioni con i figli:con chi abiteranno, quando e come incontreranno il genitore non conviven-te, quali sono le regole comuni, in che misura e in che modo mamma e papàsi occuperanno di loro, come impostare i rapporti con gli eventuali nuovipartner e/o con i fratelli nati dalle nuove unioni e così via. Quando avere pre-senti entrambi i genitori si rivela impossibile, GeA offre anche al singolooccasioni di consultazione e sostegno, attraverso incontri individuali o grup-pi di mutuo aiuto. L’esperienza dei gruppi, introdotta negli anni più recentima ormai consolidata, si è rivelata a tal punto interessante e apprezzata daigenitori che vi hanno partecipato che abbiamo deciso di ampliarne il poten-ziale. Anche avvalendoci del finanziamento ottenuto su questo specifico pro-getto dalla Legge 285 a favore dei Minori, stiamo varando altre due tipolo-gie di gruppi: una è rivolta ai nonni che vivono di riflesso la separazione deipropri figli e giocano un ruolo spesso molto importante nella vita affettivadei nipoti; l’altra si rivolge alle nuove coppie, vale a dire a coloro che si uni-scono e/o formano una famiglia provenendo, l’uno o l’altra o entrambi, daunioni precedenti da cui sono nati dei figli. Il fine fondamentale di questigruppi è il confronto e il sostegno reciproco tra persone che a vario titoloattraversano l’esperienza di “fare famiglia” al di fuori degli schemi tradizio-nali e dei modelli di comportamento consolidati: diviene allora preziosal’opportunità di condividere non solo le difficoltà ma anche le soluzioni checiascuno, facendo leva sulle proprie risorse e competenze spontanee sa met-tere in campo.Si rivolgono al GeA sia coppie in procinto di separarsi sia genitori già sepa-rati ma ancora in cerca di un accordo. L’intesa raggiunta attraverso il lavorodi mediazione riguarda la sostanza delle decisioni: la definizione e l’integra-zione giuridica è demandata agli operatori del diritto, autonomamente attiva-ti dai genitori stessi, con i quali cerchiamo di stabilire ove necessariomomenti di integrazione e collaborazione. Ma su questo mi soffermerò piùavanti. Un dettaglio interessante: nel “modello GeA” sia per il contratto ini-ziale sia per l’esito del processo non è prevista, almeno come passaggio vin-colante o intrinseco alla metodologia, la redazione di un’intesa scritta. Sivuole così evitare ogni forma di burocratizzazione del processo e del consen-so, salvaguardando l’originalità e la personalizzazione di ogni percorso: cisono genitori per i quali redigere — in ogni caso di proprio pugno- un’inte-sa scritta ha il senso benefico di ritualizzare l’accordo ritrovato, per altriquesto stesso atto assume il significato di cristallizzare la sfiducia (verbavolant…). Il mediatore, in questa prospettiva, valuta la possibilità di soste-nere o addirittura sollecitare la trascrizione degli accordi, così come puòvalutare di non incoraggiarne l’intenzione, a seconda del significato che ciòassume in quella particolare vicenda separativa e conflittuale.Da noi le persone vengono per accesso diretto o su invio di magistrati, altri

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operatori dei Servizi territoriali. Negli ultimi anni prevalgono gli accessidiretti: il”passa parola” di chi ha tratto vantaggio dal lavoro con noi è laforma di pubblicità che ci è più gradita.Il rapporto con i magistrati della separazione è improntato alla più rigorosaautonomia. Il giudice (a Milano GeA può contare su una sezione specializ-zata in materia di minori e famiglia), con iniziativa propria o su sollecitazio-ne di una delle parti, illustra e propone il lavoro di mediazione familiare: seentrambi i genitori sono d’accordo, il giudice ne prende atto e dispone uncongruo rinvio dell’udienza successiva per dar loro modo di intraprendere,senza sovrapposizioni e interferenze giudiziarie, la mediazione. L’esito èriferito al giudice dai genitori stessi, supportati dai loro legali: nessun con-tatto diretto, né scritto né orale, intercorre tra il mediatore e il giudice.Abbiamo chiesto e ottenuto che la sede fosse accogliente, gradevole.Facciamo di tutto affinché le nostre risposte siano tempestive, affinché nonvi siano attese. Vorremmo trattarli bene, questi genitori, anche per sfatare ilpregiudizio, purtroppo largamente fondato, che il servizio pubblico sia sino-nimo di sciatterie e trafile burocratiche. Vorremmo accoglierli nel miglioredei modi anche perché sono persone che, dietro la “maschera del cattivo”soffrono molto e, venendo al GeA, accettano, più o meno di buon grado, diesporsi a un confronto difficile, evitato magari per anni.

GeA vuol dire “genitori ancora”: noi crediamo fermamente che, pur nellaseparazione, i bambini possano e debbano poter contare su entrambi i geni-tori; che la fine dell’unione coniugale possa e debba essere disgiunta daldestino della coppia genitoriale. Crediamo insomma, e l’esperienza ce lo staconfermando, che non la separazione in sé sia necessariamente sinonimo deldisastro degli affetti cui tante volte assistiamo, bensì una separazione attra-versata e sentita, complice purtroppo il sociale da noi ancora molto colpevo-lizzante e penalizzante verso chi si separa, come catastrofe irreparabile,come sconfitta colpevole che va compensata ed esorcizzata ricercando vitto-rie a volta tragiche, come appunto quelle celebrate con l’ottenimento dell’af-fidamento dei figli al costo della distorsione, che a volte si protrae per anni,della loro quotidianità, delle loro relazioni primarie.Ma l’obiettivo sostanziale del lavoro di mediazione, mancando il quale ognidecisione e accordo rischia di avere vita breve e stentata, è che i genitoririescano a ripristinare un canale di comunicazione tra loro che consenta, nelpresente e nel futuro, il costituirsi di una sorta di zona franca, di area dellarelazione sgombra dal conflitto, in cui insediare e alimentare la necessità ela possibilità di occuparsi insieme dei figli a dispetto del disgiungersi dellestorie personali.Finora al GeA si sono rivolti i genitori di circa 6000 bambini e ragazzi.

Molti dei nostri incontri, al GeA, con i genitori, sono spesi a concordare idettagli di un mercoledì pomeriggio: se il papà si fermerà al portone, se rag-giungerà il pianerottolo o se potrà entrare in casa, indugiarvi qualche minu-to e addirittura togliersi il cappotto. Oppure può succedere che due genitori,da anni distanti e ostili siano aiutati ad accordarsi sul “ Babbo Natale con-giunto”, ossia a risparmiare ai loro bambini la beffa crudele dei doppioni,concorrenti tra loro, di piccoli e grandi riti familiari.

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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Il privilegio, se così si può dire, della ricerca di soluzioni attuata attraversola mediazione familiare sta nel consenso, strumento e insieme fine ultimo ditutto il lavoro. Questo consente ai genitori di ritagliare e calibrare ogni deci-sione sulla realtà particolare della loro situazione, sui loro bambini veri, enon sull’astratto “interesse del minore”. Se Carlo regge bene due notti allasettimana fuori casa, se, quando e come comunicargli i cambiamenti in attonella famiglia, se la domenica é meglio rientrare in tempo per il bagno e lacena con la mamma o può tirare tardi con papà senza risentirne, se d’inver-no é meglio tornare a casa dopo l’asilo e invece, con la bella stagione, puòstare con papà fino all’ora di cena, a tutto questo chi può rispondere se noni suoi genitori, magari con un po’ d’aiuto? Ma soprattutto: se l’accordo,magari un po’ sbilenco, perché tiene conto dei turni di papà, e delle suoleserali della mamma, è frutto dell’intesa ricercata e trovata in prima personadai suoi genitori, Carlo avrà buone possibilità di vederlo rispettato e attuatosenza strappi o recriminazioni. Avrà accanto dei genitori, magari non trion-fanti, ma certo non sconfitti o frustrati da decisioni imposte dall’esterno.Prendere in prima persona piccole e grandi decisioni concordate sui bambiniserve ai genitori anche per recuperare o, qualche volta, imparare un metodo:parlarsi, consultarsi, tenere conto l’uno dell’altra, decidere insieme, incrocia-re, anche da lontano, lo sguardo sui propri figli, in una parola:comunicare.Il nostro costante rifiuto della delega inizialmente sconcerta i genitori, cosìcome il nostro continuo rimando a loro, come coppia genitoriale, quando sitratta di capire il comportamento dei loro bambini e le piccole o grandi deci-sioni da prendere di conseguenza. Ma è per noi motivo di grande soddisfa-zione quando una di queste decisioni, assunte da loro in prima persona sullabase di loro valutazioni, sortisce effetti positivi, ad esempio tranquillizzantisui bambini, e osserviamo in quel padre e in quella madre il rifluire dellafiducia in sé. È come se dicessero:”Ma allora si può!”Nei nostri colloqui di mediazione familiare i bambini, fisicamente assenti,sono tuttavia presenti dall’inizio alla fine nella mediazione affettiva dei lorogenitori. Il mediatore assume per così dire la rappresentanza dei bambini,nelsenso che richiama costantemente, pur evitando con cura toni colpevolizzan-ti o ricattatori, al loro interesse, ma è una rappresentanza temporanea cheritorna ai genitori nell’arco del colloquio, una rappresentanza che non ha mainulla di istituzionale, che mai sottrae quel particolare bambino alla rete dirappresentazioni ed affetti che lo legano a quei particolari genitori.Sappiamo bene che rispettare un bambino nella sua individualità e dignità dipersona significa non poter mai prescindere dai suoi affetti primari di cui,specie se è piccolo, letteralmente si nutre. Sappiamo anche che vale di più laminima mossa positiva operata da un genitore “quasi perfetto” o “sufficien-temente buono”, come dicono i grandi della psicologia infantile, della piùbrillante delle indicazioni fornita da noi cosiddetti esperti e applicata passi-vamente dal genitore.Una mediazione riuscita è per noi quella in cui, alla fine, i bambini possonocontare su quella circolarità di emozioni, di vissuti, di conferme coerenti eunivoche, su quella compattezza e continuità di vita che solo la comunica-zione efficace tra i genitori può garantire.Una buona mediazione familiare non deve sviluppare dipendenza. Nella faseconclusiva del percorso di mediazione, dedicata al consolidamento delle

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intese e al bilancio del lavoro svolto, l’attenzione del mediatore è a restitui-re ai genitori tutto il merito, per così dire, dei risultati ottenuti. Una buonamediazione, in altre parole, non deve sviluppare gratitudine: i genitori devo-no poterne uscire con un sentimento di ritrovata fiducia in se stessi e nell’al-leanza con l’altro, con la percezione del grande impegno profuso. Grati a sestessi, insomma, e consci della concreta possibilità di affrontare anche diffi-coltà future mettendo in campo quelle modalità di comunicazione e di rela-zione che hanno saputo sperimentare in mediazione. La porta del centro dimediazione, naturalmente, rimane aperta per tutti coloro che, successiva-mente, sentissero l’esigenza di utilizzare nuovamente la stanza della media-zione per fronteggiare eventi critici o rischi di regressione nel portare avan-ti l’alleanza genitoriale. Alludo ad esempio all’avvio di una convivenza, allanascita di un fratello, al progetto di trasferimento di uno dei genitori, all’ap-prossimarsi del divorzio e così via. La ripresa del lavoro di mediazione, cheil mediatore prospetta come eventualità per la quale si rende disponibilesenza tuttavia sollecitarla, consiste in casi come questi in un numero ridottodi incontri centrati sulla specificità della questione sollevata.Per quanto attiene invece alla verifica dei risultati ottenuti, alla loro tenutanel tempo, noi procediamo ciclicamente a un follow-up: i genitori che hannoconcluso il percorso di mediazione vengono intervistati, a distanza di alme-no due anni, da un operatore diverso da quello incontrato nel corso dellamediazione, su una serie di aspetti che qualificano la bontà e la tenuta del-l’alleanza genitoriale.Il modello di mediazione di cui ho appena tracciato il profilo essenzialefonda le proprie scelte metodologiche, la specificità della pratica concreta sualcuni presupposti e nessi di ordine culturale che sono parte irrinunciabiledella prassi quotidiana. Gli accenni che seguono sono dunque finalizzati arendere conto di elementi intrinseci al nostro fare e pensare alla mediazionefamiliare.

LA CULTURA DELLA MEDIAZIONE

Ciò che più affascina della mediazione familiare è la carica innovativa, ilrespiro culturale e etico che la sostiene - e che essa, nel suo piccolo, può

infondere-, il suo potenziale per così dire eversivo di tutto quanto c’è di rigi-do, stereotipato in un certo familismo - ancora più o meno subdolamente dif-fuso nella nostra società - e nella cultura del sospetto che segnavano e segna-no il modo di leggere e operare sulle relazioni tra le persone: nelle politichesociali, nella cultura giuridica, nella stessa cultura psicologica. La fase pio-nieristica della mediazione familiare in Italia sta per concludersi. Siamo aridosso di iniziative legislative su questa materia: il che per noi,che ci abbia-mo creduto per primi, è una grande soddisfazione, ma anche fonte di qual-che preoccupazione. Il potenziale innovativo della mediazione familiare,infatti, potrebbe andare perduto e ridursi a replica di interventi e pratiche giàpresenti. Per questo è utile accennare ad alcuni punti chiave che fanno dellamediazione familiare una speranza di libertà e non un ennesimo, magari bendissimulato, strumento di controllo sociale. Sono punti che, tra l’altro, inse-riscono la mediazione familiare in filoni culturali e di ricerca più generaliarricchendone,se così possiamo dire, lo statuto epistemologico.

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LA MEDIAZIONE FAMILIARE E LA “GIUSTIZIA DEL QUOTIDIANO”

Si va diffondendo all’interno della cultura giuridica, ma non solo, l’idea cheoccorra individuare e potenziare forme di tutela extragiudiziarie o miste

per affrontare controversie e interessi contrastanti. È il tema della degiurisdi-zionalizzazione e della degiuridificazione, del diritto mite o leggero. Lamediazione familiare si inserisce a pieno titolo in questo contesto, nel filonecioè dell’autotutela, che nulla ha a che vedere, ovviamente, con una sorta diarte di arrangiarsi o di perdita delle tutele garantite dalla giurisdizione, mapiuttosto con uno spostamento dell’accento dalla risoluzione del conflitto algoverno del conflitto, che evoca la necessità e la capacita di condurre diretta-mente, evitando ogni delega, il processo di ricerca di soluzioni e inteseDa più parti è ormai avvertita l’esigenza di offrire alle donne e agli uominiche attraversano la crisi separativa, ma soprattutto ai loro figli, un’opportu-nità per affrontare in modo alternativo, ancorché non antagonistico, alla viagiudiziaria il conflitto che spesso li contrappone: un conflitto che può esse-re governato secondo un criterio di autoregolazione che sventi la delega inun campo, quello delle relazioni affettive e familiari, in cui abdicare alle pro-prie responsabilità dirette implica necessariamente un danno per i minori.Il concetto e prima ancora l’immagine del “governare “ il conflitto, che acco-muna tra l’altro tutte le pratiche di mediazione (in campo sociale, penale,interculturale) ben si attaglia alla pratica della mediazione familiare perchéimplica un ‘idea dinamica ed evolutiva del conflitto stesso: che non va com-presso, stigmatizzato, patologizzato, se mai, paradossalmente, riconosciuto,valorizzato e assecondato (proprio come le onde del mare in tempesta quan-do si governa una barca), per poter essere poi domato nei suoi aspetti distrut-tivi e degenerativi.L’ipotesi di una degiurisdizionalizzazione generalizzata della materia dellaseparazione tra genitori è rischiosa. In una società ancora tanto sperequatanella relazione tra i generi e tra le generazioni è anzi da temere il venir menodell’insostituibile funzione di garanzia rappresentata dalla giurisdizione.Purtroppo affiorano anche da noi in Italia delle posizioni ideologiche e insie-me superficiali che presentano la mediazione familiare come via sostitutivae antagonistica all’iter legale, posizioni che, spesso, a causa della propriomancanza di radici nell’esperienza, liquidano volgarmente la figura deimagistrati e soprattutto degli avvocati come quelli che alimentano il confit-to. Chi l’esperienza ce l’ha, invece, sa bene come il processo, le sue regole,le sue garanzie siano in molti casi l’unico strumento per ottenere tutela e giu-stizia. (Aggiungo, utilizzando la metafora del “diritto mite”, che delegarel’intervento sul conflitto separativo a psicologi o assistenti sociali, non ècerto di per sé garanzia di “mitezza”: il rischio di prepotenza e prevaricazio-ne nelle relazioni d’aiuto è ben noto.) Occorre piuttosto sviluppare tramediatori e operatori del diritto il massimo della collaborazione e del con-fronto, nel rispetto però delle rispettive autonomie e competenze.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E I DIRITTI NELLE FAMIGLIE

Un’altra area di dibattito e di ricerca da cui la mediazione familiare traesollecitazioni importanti e alla quale, al tempo stesso può offrire spunti e

supporti significativi, è quella attorno al complesso delle regole dettate daldiritto di famiglia. Da più parti si ritiene che pur nella grande vitalità che

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caratterizza la famiglia nel nostro Paese, le profonde trasformazioni chel’hanno segnata sono all’origine della sua maggiore fragilità: la famigliadegli affetti, segnata dalla soggettività, fondata sulla realtà delle relazioni, hapreso il sopravvento sul istituzionalità del vincolo. La prescrittività, la nor-matività molto penetranti che ad oggi regolano le relazioni coniugali sonoritenute da alcuni da rivedere a favore di una autoregolamentazione di tipopattizio tra i soggetti stessi della relazione. In questa direzione vanno adesempio le proposte di abolizione dell’istituto dell’addebito, o in generaledell’alleggerimento della regolazione degli aspetti più intimi delle relazionipersonali (si pensi agli obblighi derivanti dal matrimonio e in particolareall’obbligo di fedeltà). La mediazione familiare, riproponendosi di affianca-re i genitori in separazione nella ricerca di intese e accordi a favore dei figli,si inscrive pienamente in quest’ordine di riflessioni: per molti versi può con-siderarsi un laboratorio in cui i soggetti ricercano e rinnovano un patto traloro, un patto genitoriale, in cui coniugare la libertà della scelta e l’ autode-terminazione individuale con le responsabilità genitoriali. Un laboratorio incui si cerca di passare dalla dimensione normativa a quella più propriamen-te etica. La mediazione familiare, in questo senso, è uno strumento al passocon la necessità, per la famiglia in trasformazione, di rifondarsi attorno all’autoregolamentazione e alle responsabilità di cura. Io credo che la mediazio-ne familiare possa trovare un suo fondamento etico proprio nell’assegnare erestituire tensione ideale alla quotidianità come ambito di valori, di sceltemorali. Il patto tra i partner e con la società, di cui si parla a proposito delmatrimonio, io propongo di riferirlo, parlando di mediazione familiare,anche all’intesa che i genitori trovano o ritrovano nella stanza della media-zione: é un patto che si rinnova tra loro, per i figli, per sé stessi, che arginae contraddice lo stereotipo sociale della separazione come catastrofe. Unpatto che riscatta il futuro delle relazioni dal fatalismo che rischia di conce-dere ai rapporti tra grandi e piccoli, dopo la separazione, una dimensioneresiduale e ai bambini, in particolare, un destino di orfanità parziale.Il minimalismo della mediazione familiare, l’accento che questa pratica ponesulla riorganizzazione della quotidianità costituisce il suo fondamento etico:ciascuno, ciascuna famiglia, intesa come un nucleo fondato sulla solidarietà,ha diritto all’agio, al ben-essere. La mediazione é un’opportunità che accet-ta a priori la legittimità delle molteplici scelte di vita che le trasformazionisociali in atto comportano, i modi diversi di “fare famiglia”.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E LE POLITICHE SOCIALI PER LE FAMIGLIE

Innovativi sono quei servizi che “rendono competente della cura di sé ilsoggetto ‘bisognoso’; degerarchizzano la relazione di cura per valorizzare

l’esperienza di chi riceve la cura e per orientare l’intervento all’autono-mia…; promuovono la simmetria nelle responsabilità concrete di madri epadri…; considerano le competenze di cura di chi ha bisogno, attraversol’implementazione dell’auto-aiuto, del valore dell’esperienza di vita del sog-getto rispetto alle sintomatologie patologiche, della ‘gratuità’ dello scam-bio...”. Sono parole scritte dalla pedagogista Franca Bimbi in un contesto1

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

1 Si tratta di un documento di lavoro predisposto per il “Comitato tecnico-scientifico per la promozionedelle politiche sociali rivolte alle famiglie” istituito nel 1997 dal Ministero per la Solidarietà sociale.

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riferito alle politiche sociali in generale, che solo marginalmente implicanoil tema specifico della mediazione familiare. Eppure sono parole che descri-vono il cuore della filosofia e, vorrei dire della deontologia della mediazio-ne familiare. Promuovere le risorse, le competenze, sostenere lo sviluppo,valorizzare l’autonomia, la reciprocità, la mutualità dei soggetti e delle rela-zioni, scoraggiare la delega e la dipendenza, deistituzionalizzare il conflittoe la rappresentanza dei minori: questi sono al tempo stesso gli obiettivimolto concreti della mediazione familiare e al tempo stesso i fondamentidella sua eticaMolto importante è dunque che la proposta concreta della mediazione sial’articolazione di una più ampia offerta di sostegno alle risorse e alle compe-tenze genitoriali. Che si situi cioè all’interno di un intervento più complessi-vo di sostegno alle criticità del quotidiano, alla “normalità” dell’esperienzadella crisi come evento ed eventualità fisiologica del vivere e della comples-sità delle relazioni tra le generazioni.. Che sia dunque nettamente iscritta, econtribuisca e fondarla, nella cultura e nell’etica della responsabilità e dellasceltaLa mediazione familiare, da intendersi non come strumento paragiudiziarioma posta all’interno delle politiche sociali per le famiglie, in tanto sarà unostrumento utile e innovativo in quanto la si ponga fuori da una logica istitu-zionale datata e rigida che considera il cittadino utente di prestazioni e biso-gnoso di interventi specialistici, perlopiù riparatori, o di controllo sociale piùo meno dissimulato: la mediazione familiare nel servizio pubblico deveoffrire ai cittadini che attraversano la crisi separativa un tempo, un luogo eun interlocutore qualificato che promuovano la loro attivazione responsabi-le nel processo decisionale che li impegna a favore dei propri figli.Ogni forma di automatismo o di prescrizione coatta della mediazione, cheperaltro non ha dato buoni frutti là dove è stata applicata, vanificherebbe ilpotenziale di azione preventiva sul disagio infantile prodotto dal conflittogenitoriale, in quanto neutralizzerebbe in partenza il messaggio forte chel’offerta e l’esperienza della mediazione propone ai genitori in conflitto: lapiena assunzione di responsabilità, il rigetto di ogni delega o rappresentanzaistituzionale nel processo decisionale a favore dei figli, la scelta e la concre-ta praticabilità di un sodalizio genitoriale a fronte dello scioglimento dellacoppia coniugale. L’invio alla mediazione familiare da parte del magistratodeve essere subordinato all’accordo delle parti e non prefigurare in alcunmodo l’obbligo per il mediatore di riferire al magistrato.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E LA CULTURA DELL’INFANZIA

Il bambino a favore del quale noi mediatori lavoriamo, è il figlio un po’tri-ste e un po’ felice-proprio come tutti i bambini- di genitori sufficientemen-

te buoni.Più é piccolo, un bambino, e meno esiste, psicologicamente parlando, al difuori della rete di relazioni che lo sostiene. Non può esserci amicizia nei suoiconfronti se non c’é amicizia verso e tra le persone che per lui contano. Suopadre e sua madre, scrive Bettelheim, sono per lui la luna e il sole.“L’esclusivo interesse del minore” recita la legge quando indica il criterioprincipale cui il giudice deve ispirarsi nel dirimere i contrasti della separa-zione coniugale. Quell’“esclusivo” contiene, aldilà delle intenzioni, il

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rischio di porre una sorta di antagonismo tra il bambino e i suoi genitori.Come se fosse possibile fare il suo bene senza tenere conto, in gran conto, ilbene dei suoi genitori: la loro dignità, le loro risorse,la loro responsabilità.Il “bambino diviso” é uno dei tanti stereotipi che vanno ad alimentare unapseudo cultura dell’infanzia che scinde artificiosamente l’immagine delbambino in due stereotipi opposti: da una parte c’é il bambino del MulinoBianco, all’estremo opposto c’é il bambino del Telefono azzurro. Un bambi-no, nel nostro immaginario alimentato a spot,può essere solo unilateralmen-te felice e fortunato o altrettanto radicalmente infelice e sfortunato. È unacultura dell’infanzia che ci allontana dai bambini veri, che sono un po’buo-ni e un po’ cattivi, un po’ tristi e un po’ felici. Come tutti noi.La mediazione familiare vorrebbe dunque essere un antidoto a quella pseu-docultura dell’infanzia che con la scusa di difendere e tutelare i bambini vor-rebbe sottrarli, non solo simbolicamente, alla rappresentanza e alla relazio-ne con i suoi genitori, con esiti, tra l’altro, pericolosamente autoritari. Pensoad esempio al grande favore incontrato dall’ indirizzo europeo di introdurre,in ogni giudizio che coinvolga un minore, ad esempio la separazione tra isuoi genitori, una figura di curatore (volgarmente detto “avvocato del bam-bino”). Questo, aldilà delle intenzioni, introdurrebbe, con la incisività di unalegge, l’idea che due genitori, per il fatto stesso che si separano, sono inodore di inadeguatezza, non sono più capaci di rappresentare come tutti glialtri i bisogni dei loro figli. I fautori dell’“avvocato del bambino” sono disolito gli stessi che plaudono alle notizie provenienti perlopiù dagli StatiUniti sui bambini che vanno da Giudice per “divorziare dai genitori” o per“cambiare famiglia”. Per costoro rispettare un bambino evidentemente vuoldire negargli uno dei suoi diritti principali, quello che Winnicott definiva “ildiritto all’immaturità e all’irresponsabilità”. Rispettare un bambino è ineffetti cosa assai complessa, trattarlo come un adulto, anzi come una sorta dinano è senz’altro più semplice. Osservarlo, ascoltarlo, cercare di cogliere eaccogliere i suoi bisogni più profondi: occorre che questo avvenga, finché èpossibile, entro la mediazione di una relazione affettiva. È quella, la relazio-ne con e tra i suoi genitori, che occorre in tutti i modi salvaguardare, riatti-vare, riparare. Senza violarla.

LA FORMAZIONE DEL MEDIATORE FAMILIARE

In Italia si assiste al proliferare di iniziative nel campo della formazionealla mediazione familiare. Ma, a parte alcune esperienze collaudate e con-

solidate, vi è il rischio concreto che la mediazione familiare si diffonda nelnostro Paese in modo improvvisato, attraverso la riconversione disinvolta diapprocci e competenze diverse (consulenza, psicoterapie, consulenza legaleecc), e non sostenuto da regole precise -sulla formazione degli operatori,sulla loro deontologia, sulla correttezza metodologica e dei rapporti istitu-zionali - a tutela degli utenti.Chi fa mediazione familiare deve essere all’altezza di un compito che solo inparte si sostiene sulla competenza tecnica: deve farsi portatore di una vera epropria filosofia delle relazioni familiari dentro uno scenario più ampio,quello dei diritti di cittadinanza.Riflettere sulla soggettività dell’operatore é doveroso: nella mediazionefamiliare, come in tutte le professionalità centrate sulla relazione d’aiuto,

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l’equazione personale di ciascuno é un fattore determinante per la riuscita oil fallimento dell’intervento. Il paradosso del mediatore familiare - uno tra itanti, giacché di paradossi la mediazione familiare ne propone in gran nume-ro - é che deve leggere tutti i libri e poi lasciarli tutti fuori dalla stanza delcolloquio. Fuori, accanto alle armi che, simbolicamente, i genitori depongo-no prima di entrare nella stanza della mediazione.La formazione del mediatore familiare è complessa: le conoscenze indispen-sabili in materia psicologica e giuridica devono potersi comporre in un atteg-giamento culturale e umano di fondo centrato sull’attribuzione di valore e difiducia nelle risorse dei genitori in separazione. Il mediatore ha infatti com-piti difficili e delicati:quello, ad esempio, di assumere temporaneamente, esenza sottrarla alla relazione,la rappresentanza del bambino; di assumere ilsuo punto di vista senza identificarcisi; di portare in primo piano i suoi biso-gni e le sue domande vincendo la tentazione di fornire anche le risposte,identificandosi così, quel che è ancora più pericoloso, con una sorta di super-genitore perfetto; deve reggere la frustrazione di essere un testimone, se pureattivo e se necessario molto direttivo quanto alle regole del gioco, di un per-corso altrui, un percorso che lui può solo aiutare a ritagliare, ma non può enon deve prescrivere; deve in qualche misura mettersi al servizio delle cop-pie di genitori che si trova di fronte, calibrandosi di volta in volta in funzio-ne di quella mamma di quel papà e delle loro risorse affettive, culturali erelazionali, sapendo che la più brillante delle soluzioni non vale nulla al con-fronto di quel poco o di quel tanto che, con il suo aiuto, quei genitori sapran-no produrre autonomamente e quindi realisticamente rispettare a vantaggiodei loro figli.Nel corso dei colloqui l’attenzione del mediatore è a mantenere i genitorisempre attivi, protagonisti e responsabili, a non sovrapporre il proprio, pre-sunto, sapere di esperto a ciò che loro possono realisticamente conseguirecon le proprie forze e in funzione del grado di maturazione individuale e dicoppia della loro crisi e del suo superamento. Nei colloqui di mediazionefamiliare i bambini sono presenti dall’inizio alla fine, ma sempre nellamediazione affettiva dei loro genitori. Il mediatore assume per così dire larappresentanza dei bambini,nel senso che richiama costantemente al lorointeresse, pur evitando con cura toni colpevolizzanti o ricattatori, ma è unarappresentanza temporanea che ritorna ai genitori nell’arco del colloquio,una rappresentanza che non ha mai nulla di istituzionale, che mai sottraequel particolare bambino alla rete di rappresentazioni ed affetti che lo lega-no a quei particolari genitori. Il mediatore familiare non é un signore dibuona volontà.Il mediatore familiare deve assumere ed essere portatore di un nuovopunto di vista sul conflitto e sui suoi rimedi: non basta, e anzi può esserefuorviante, che l’avvocato, o il perito, o lo psicoterapeuta si trasferisca nellastanza della mediazione. Affrontare il conflitto tra genitori, vale a dire uncompito tra i più impegnativi, può risultare per certi versi meno arduo perl’operatore se può appoggiarsi, o nascondersi,dietro a un ruolo forte come è,se pure in modi diversi, quello del perito e quello del terapeuta. Il mandatodel Tribunale per l’uno, la rassicurante e autorevole complessità dell’approc-cio clinico per il secondo sono al tempo stesso ancore per fronteggiare latempesta emotiva del conflitto.

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L’autorevolezza e/o il potere decisionale, e di riflesso la distanza emotivagarantita all’operatore, di cui il terapeuta o il perito o l’assistente socialedispongono in partenza in virtù del ruolo e della fisiologica asimmetria deirispettivi setting, il mediatore non solo non può ma non deve considerarlesue prerogative. L’autorevolezza, la credibilità deve conquistarsele sulcampo in termini di fiducia. Il patrimonio teorico e tecnico derivante dallaclinica e dalle competenze giuridiche deve essere acquisito e poi, parados-salmente appunto, dimenticato, o meglio messo a servizio di finalità che noncoincidono con quelle degli universi teorici di partenza.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE INTEGRATA: UNA PRATICA SOCIALE

Con il passare degli anni la mediazione familiare che fa riferimento all’e-sperienza GeA si è dunque allontanata sempre più dal paradigma di un

intervento per così dire clinico, e sempre più ci troviamo ad operare in unclima di mutualità: è un “lavoro a tre”, in cui i genitori e il mediatore, ognu-no con le proprie risorse e competenze, si aggirano tra i meandri del conflit-to, si “ sporcano le mani”, come si dice, in cerca di sbocchi positivi, tali cioèda consentire di governare e non necessariamente di risolvere il conflittostesso, stanandone quegli spunti riparativi e ricostruttivi che sempre, o quasisempre, la lite in sé contiene.

LA MEDIAZIONE FAMILIARE E I DIRITTI

Tempo fa, in occasione di un incontro di formazione, un assistente socialesuggerì che la mediazione familiare poteva essere pensata come una “pra-

tica democratica” tesa, appunto, ad alimentare la democrazia nelle relazioni.I cittadini-genitori che animano la stanza della mediazione possono esserepercepiti in questa chiave così radicata nella dimensione dei diritti di citta-dinanza e del legame sociale anche grazie al confronto fitto e costante chenegli anni abbiamo avuto con i rappresentanti del diritto, avvocati e magi-strati.Credo davvero che un bagno di umiltà nella cultura giuridica, che compren-da la conoscenza approfondita di tutti i passaggi e le eventualità delle proce-dure giudiziarie che riguardano la separazione e il divorzio tra genitori, siaun presupposto irrinunciabile per la formazione e l’aggiornamento costantedi un buon mediatore familiare. Senza la consapevolezza, fondata sullaconoscenza e sull’esperienza, di agire in una materia in cui si intrecciano ein parte confliggono le ragioni degli affetti - per definizione condivisi - equelle dei diritti - per definizione individuali - il mediatore familiare corre ilrischio paradossale di non proteggere la necessaria autonomia del propriocampo d’azione e, al tempo stesso, quello di invadere il campo giuridico: congravi conseguenze, appunto, per quei cittadini di cui stiamo parlando.E qui conviene, per amor di chiarezza, fare un passo indietro, riprendendo lastoria del GeA e la sua evoluzione.Quando, verso la metà degli anni ’80, abbiamo cominciato a lavorare all’i-dea di promuovere anche in Italia la mediazione familiare, i colleghi delGeA ed io eravamo spinti soprattutto dal desiderio di trovare un rimedio aidanni evidenti prodotti dall’unilateralità e dell’ipertrofia della soluzione giu-diziaria al conflitto separativo tra genitori: burocratizzazione degli affetti,

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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impoverimento, passivizzazione e patologizzazione della genitorialità, atutto danno dei bambini che, pure, tutti quanti dicevamo di voler tutelare.All’inizio della nostra pratica di mediatori familiari, tutta tesa a trovare auto-nomia e legittimazione, a far conoscere e riconoscere la nostra specificità,abbiamo sicuramente corso il rischio di enfatizzare la natura alternativa dellamediazione rispetto all’iter giudiziario fino a sconfinare nell’antagonismo.Verso gli avvocati, ad esempio, abbiamo coltivato una posizione a tratti per-secutoria e per molti versi infantile: il dovere della riservatezza spesso si tra-duceva in reticenza; qualsiasi obiezione giungesse da parte dei legali deigenitori in mediazione era da noi percepita, almeno in prima battuta, comeun attentato arbitrario alla nostra meritoria opera di pace. Strada facendo,piuttosto in fretta direi, grazie soprattutto alla critiche spietate e insiemeaffettuose di alcuni avvocati che hanno accettato di incontrarsi con noi conregolarità proprio per confrontare i rispettivi punti di vista- abbiamo capitoche il nostro atteggiamento ultradifensivo nei confronti degli avvocati dipen-deva in larga parte da fattori estranei all’intento di proteggere il lavoro con igenitori che incontravamo.C’era, per cominciare,una sorta di complesso d’inferiorità: che impresa cisembrava a quel tempo (siamo nel 1989-90) guadagnare credito, noi scono-sciuti e misconosciuti mediatori privi di qualsivoglia potere e/o legittimazio-ne istituzionale, al confronto con una figura professionale di tradizione seco-lare così prossima al potere forte della giurisdizione! Inoltre un sorta dipaternalismo supponente e dalle sfumature pericolosamente onnipotenti, dicui fortunatamente ci siamo disfatti ben presto, ci portava a coltivare più omeno subdolamente il pensiero che lì, nell’accogliente stanza della media-zione, avremmo sottratto quei poveri genitori dalle grinfie di giudici e avvo-cati - tutti tesi, i primi, a fendere salomonicamente in due bambini innocen-ti, gli altri, ad ingaggiare sanguinose battaglie giudiziarie solo per aggiunge-re tacche alla canna delle loro abilità forensi. Insomma, un’edizione rivedu-ta e corretta del buon vecchio e deleterio “Io ti salverò”.Il diritto di famiglia, i suoi principi ispiratori, le diverse procedure, l’intimaconnessione tra provvedimenti o intese relative ai figli con aspetti di carat-tere patrimoniale ed economico, l’istituto dell’addebito e le sue conseguen-ze, le garanzie assicurate dal processo, il contraddittorio, la consulenza tec-nica, la diversa natura delle udienze... Conoscere, comprendere a fondo que-sti e altri aspetti della vicenda giuridica e giudiziaria della separazione ci ècostato e ci costa fatica ma è stato un passaggio prezioso verso la costruzio-ne di un’autonomia autentica dall’iter giudiziario e dai suoi protagonisti:un’autonomia resa possibile non dalla negazione infantile e demonizzante diun universo di regole e di un linguaggio che sarebbe molto pericoloso perquesta via voler liquidare, bensì radicata nella scelta consapevole di seguireuna via differente, la via della mediazione, ma nel pieno e sentito rispettodella legalità.Ben presto dunque abbiamo sentito il bisogno di rivedere il nostro modo dilavorare: da un modello di mediazione parziale tutta concentrata sul rappor-to affettivo e organizzativo genitori-figli, correlata a una solida alleanza coni magistrati invianti e a quella separatezza reciprocamente sospettosa con gliavvocati di cui accennavo sopra, siamo passati gradualmente al modello cheattualmente pratichiamo e che per così dire esportiamo nei nostri corsi di for-

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mazione e in tutte le sedi istituzionali e non, dove siamo chiamati a interve-nire, e che abbiamo chiamato di mediazione familiare integrata.

GOVERNARE IL CONFLITTO NEL RISPETTO DELLE GARANZIE

Il mediatore familiare, garante della riservatezza del processo di mediazio-ne e della sua autonomia dall’iter legale e giudiziario, affronta con i geni-

tori in separazione tutti i temi che li vedono in conflitto (i figli, in primoluogo, ma anche le questioni di carattere economico e patrimoniale). Su tuttii conflitti di ordine affettivo e relazionale il mediatore, oltre a facilitare lacomunicazione tra i partner, è attivo e propositivo quanto alla ricerca di solu-zioni e intese, e se ne assume la responsabilità insieme con i genitori. Vale adire che mette le sue conoscenze, il patrimonio di esperienze e soluzioni dicui, grazie all’incontro con tanti genitori, diviene depositario a disposizionedei suoi interlocutori. Non dà consigli, non si sostituisce ai genitori -questoormai lo sappiamo bene. Ma chi fa questo lavoro sa anche che solo metten-dosi in gioco personalmente e con grande generosità il mediatore riesce adattivare le risorse positive dei genitori.Sulle questioni di più stretta rilevanza economica e patrimoniale e - questoè un aspetto importante - sulla formulazione giuridica di tutti gli accordi,ilmediatore lavora sì al recupero di una possibilità di dialogo e confronto fat-tivi, alla chiarificazione delle posizioni e delle richieste reciproche, ma, aridosso della decisione o in presenza di un contrasto che permane, rimandaesplicitamente alla funzione dei legali di fiducia. Legali con cui il mediato-re cerca e coltiva rapporti il più possibile collaborativi, pur sempre nelrispetto dell’autonomia reciproca e della riservatezza.Concretamente, se giungono in mediazione genitori che non hanno ancoraavviato alcuna procedura legale né consultato un avvocato, noi procediamocon il nostro percorso ma, strada facendo o a ridosso della conclusione,siache le intese e gli accordi stiano prendendo forma, sia che si producano situa-zioni di impasse su questioni di ordine economico e/o patrimoniale, noi ciattiviamo affinché i genitori consultino un legale. Se necessario, indichiamoloro i luoghi in cui viene erogato un servizio di consulenza legale gratuito.Quando i genitori che si rivolgono a noi hanno già dei legali di fiducia e/oabbiano già intrapreso l’azione legale, è nostra cura che i rispettivi avvocativengano informati dai loro assistiti -forniamo loro per questo del materialeillustrativo- circa la natura e le regole del percorso di mediazione, ci rendia-mo disponibili a un eventuale contatto preliminare diretto su questioni gene-rali di metodo, ma poi, com’è ovvio, chiediamo o comunque sia imponiamola massima riservatezza quanto agli sviluppi e ai contenuti della mediazione.Analogamente a quanto ho accennato sopra, il rinvio ai legali di fiducia deigenitori è d’obbligo per noi in almeno quattro casi:1) Quando, malgrado l’opera di facilitazione e di decodificazione operata

dalla mediazione, un contrasto d’ordine patrimoniale e/o finanziario bloc-ca il procedere del lavoro.

2) Quando, al contrario, in mediazione si sviluppano potenziali accordi diquesta natura, a ridosso di una possibile decisione e quantificazione.

3) Quando, nel quadro di un iter giudiziario già avviato, la richiesta che ilmediatore fa di tregua giudiziaria (il più delle volte si tratta di rinviare unudienza troppo a ridosso del percorso della mediazione) rischia di conflig-

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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gere con l’interesse dell’uno o dell’altro genitore. (Differire un’udienzada cui, ad esempio, un padre si aspetti un provvedimento circa il periododi vacanza da trascorrere con i figli, quando una mediazione appenaavviata e dagli esiti incerti non sia in grado di offrirgli nulla di certo in talsenso può, rivelarsi dannoso per quel padre. Oppure, assecondare l’accor-do, preso in mediazione, secondo cui uno dei genitori lascia la casa coniu-gale senza che vi sia stata l’udienza presidenziale e dunque l’autorizzazio-ne del giudice in tal senso rischia, se l’accordo tra i genitori rientra, diesporre chi si è allontanato all’accusa di aver disatteso l’obbligo dellacoabitazione.) In tutti questi casi accordi transitori e/o scritture private trale parti, ad opera dei loro legali, consentono alla mediazione di prosegui-re essendo però entrambi i genitori tutelati.

4) Quando, infine, i genitori in mediazione giungano ad accordi sostanzialisu tutte le questioni che li vedevano in opposizione: noi invitiamo semprei genitori a verificare e a dar forma giuridica corretta alle loro intese conl’aiuto dei loro legali.

MEDIATORE O AVVOCATO

Da questa breve schematizzazione spero emergano alcuni aspetti rilevanti.Innanzi tutto lo sforzo di integrare il processo di mediazione -che punta

al superamento degli egoismi e dell’individualismo esasperato a favore del-l’intesa genitoriale - con la tutela dei diritti individuali e con le garanzie sucui, in assenza o in seguito al fallimento, sempre possibile, di un autenticoesito consensuale, si deve sempre poter contare. E per garanzie sono daintendersi, ovviamente, quelle assicurate dalla giurisdizione e dalla possibi-lità di accedervi.È importante che chiunque abbia a cuore la mediazione familiare non sotto-valuti il rischio di onnipotenza che essa porta con sé. Il rischio di divenire unluogo di compressione dei diritti, di estorsione subdola del consenso, di con-trollo sociale in edizione modernista e demagogica. Per assicurare la traspa-renza del suo percorso senza sacrificare la sua indispensabile riservatezza, lamediazione deve aprirsi consapevolmente e volontariamente allo sguardo deldiritto. Uno sguardo che a tale scopo deve essere dislocato “altrove” rispet-to alla stanza della mediazione. O forse è meglio dire che è la mediazioneche ha bisogno di tenersi lontana dai luoghi istituzionali del conflitto e deisuoi rimedi.Altro, differente non vuole dire nemico o antagonista. Ma chi porta il puntodi vista degli affetti, della continuità del sodalizio genitoriale, non può esse-re la stessa figura che porta il punto di vista dei diritti e degli interessi indi-viduali di quella donna e di quell’uomo che non sono solo genitori, maanche,appunto, cittadini. Riunire in una sola figura l’uno e l’altro punto divista, aldilà del problema delle competenze, sicuramente secondario, rischiadi avere un esito autoritario, che non lascia liberi i cittadini di modulare leproprie scelte integrando, ognuno come crede, le istanze che provengonodagli universi distinti ma non per questo nemici degli affetti e dei diritti.Il modello di mediazione familiare integrata che ho tratteggiato è in qualchemisura volutamente precario: esporre il nostro lavoro alla verifica in temporeale o, comunque sia, alla fine del percorso, all’intervento dei legali signi-fica correre sempre il rischio che accordi e intese vengano messe in discus-

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sione. Ebbene, per noi mediatori questo dovrebbe essere di grande conforto:sapere che eventuali iniquità o anche solo false intese maturate nel processodi mediazione, e da noi assecondate o per inesperienza o per eccesso di zelomediatorio, sono state rimesse in discussione, dovrebbe tranquillizzarci.L’esperienza concreta degli ultimi anni, basata sulla pratica che ho appenadescritto, ha definitivamente smontato lo stereotipo dell’avvocato pronto adistruggere i frutti della mediazione e tutto teso ad alimentare la lite.. Capitadavvero raramente che gli accordi maturati in mediazione incontrino obie-zioni radicali da parte dei legali delle parti: forse perché noi mediatori siamosempre più capaci di valutarne per tempo il profilo giuridico, sappiamo fer-marci per tempo, ma senz’altro anche perché, paradossalmente, la chiamatain causa dei legali parallelamente a un percorso di mediazione sentito e par-tecipato finisce per “contagiarli” e guadagnare anche i più agguerriti tra loroallo spirito mediativo.Da quanto ho esposto finora forse si può capire perché noi del GeA siamocontrari a un modello di mediazione globale, in cui un unico mediatore o inco - mediazione con un esperto legale si riproponga di accompagnare i geni-tori alla definizione di tutti i nodi conflittuali: la dialettica tra i due differen-ti punti di vista, collocati in sedi differenti ci appare più garantista e conso-na alla cultura della scelta. E, di conseguenza, si capirà perché noi del GeAsiamo prudenti nel dare accesso alla formazione completa alla mediazionefamiliare agli avvocati.È evidente, o almeno lo spero, che non tratta di un’esclusione ostile, ma dipreservare i cittadini che si rivolgono alla mediazione dalla confusione trapiani diversi, dal rischio di totalizzazione e prevaricazione dei loro diversiinteressi. Si tratta cioè, se mai, di valorizzare la funzione dell’avvocato, inquanto figura che presidia non tanto la lite quanto la legalità del percorsodecisionale. Come dicevo, non è o almeno non lo è in prima istanza, una que-stione di competenza: un buon mediatore è soprattutto caratterizzato da atti-tudini personali, esperienza e passione. Conosco personalmente avvocati giàoggi capaci più di tanti psicologi freschi di scuola clinica di mediare un con-flitto separativo. Il punto è un altro: se un mediatore familiare di formazio-ne psicosociale è in grado, come io ritengo, di accedere con consapevolezzaa una pratica di mediazione familiare sorvegliata, attenta a non sconfinaresul terreno dei diritti, possiamo chiedere altrettanto, specularmente, a unmediatore di formazione giuridica? Possiamo realisticamente aspettarci cherispetti, ad esempio, il principio espresso dalla Raccomandazione diStrasburgo secondo cui il mediatore non deve offrire consulenza legale, semai solo informazioni? Che non entri, ad esempio, nel merito della quantifi-cazione dell’assegno di mantenimento per i figli o per il coniuge più debolese non per aiutare i genitori a parlarne efficacemente? Che si astenga -altroesempio- dal definire insieme a loro la formula dell’affidamento ma si fermialle intese sostanziali e lasci che la definizione giuridica dell’assetto riguar-dante i figli sia precisata insieme agli avvocati delle parti? Possiamo realisti-camente aspettarci che in una fase ancora così arretrata e confusa dell’affer-mazione della mediazione familiare in questo Paese, un avvocato possa dav-vero decidere di fare il mediatore e quindi, almeno temporaneamente, auto-sospendersi dalla pratica forense, come un minimo di rigore deontologicorichiederebbe? E dunque qual’è il vantaggio in tutto questo per i cittadini,

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4. SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO

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potenziali fruitori della mediazione familiare? (È facilmente comprensibile,se mai, il vantaggio di chi,aprendo i nostri corsi di formazione alla media-zione familiare agli avvocati, acquisirebbe numerosi ottimi clienti.) Èapprezzabile l’interesse genuino di molti avvocati ad accostarsi alla media-zione familiare. Tuttavia le esperienze già consolidate in questo campo, mihanno convinto che molti di loro in realtà non vogliono cambiare mestiere:vogliono solo saperne di più, e magari far proprie alcune suggestioni o tec-niche mediative da utilizzare nella loro pratica professionale. Per questosono molto apprezzate le iniziative formative che noi del GeA abbiamo inquesti anni sviluppato verso gli operatori del diritto: sono corsi di aggiorna-mento e sensibilizzazione rivolti agli avvocati una decina di incontri pome-ridiani) che noi mediatori, insieme e esperti del diritto di famiglia, conducia-mo con l’obiettivo di formare “avvocati esperti in mediazione familiare”,capaci cioè di collaborare con i mediatori sulla base di un linguaggio e di unacultura condivisa.

L’intuizione iniziale, dunque, quella di offrire ai genitori in separazione unluogo, un tempo e un interlocutore “altro” rispetto ai luoghi, ai tempi e agliinterlocutori della scena giudiziaria si è sostanziata e radicata perdendo tut-tavia per strada quel tanto di antagonistico o concorrenziale che potevaesservi all’inizio. Anzi, noi mediatori familiari ci riconosciamo e riceviamosollecitazioni importanti -questo volume sta a dimostrarlo- in quell’areadella ricerca socio-giuridica che si occupa delle ADR (alternative disputeresolutions), ovvero l’area delle soluzioni alternative delle controversie. Èproprio in campo giuridico se ne è già accennato- che sempre più si fa sen-tire la necessità di individuare metodi e figure di autoregolazione dei conflit-ti che,ampliando il campo della legalità e non certo rifiutandola, li restitui-scano, per così dire, alla comunità sottraendoli all’esclusività del processo edel giudizio formale. Già in più occasioni la commissione del ConsiglioSuperiore della Magistratura che ne organizza i corsi di formazione ha invi-tato noi mediatori a tenere, all’interno di iniziative sui temi della concilia-zione e della mediazione, seminari sulla mediazione. Così come molto for-mativo è stato l’incarico rivolto ad alcuni di noi dell’Associazione GeA dallaProvincia di Torino d’intesa con la locale Procura della Repubblica di con-durre alcuni incontri all’interno di un corso rivolto alle Forze dell’Ordine: ilnostro compito era passare loro spunti e tecniche di mediazione finalizzati avalorizzare lo spazio per la “bonaria composizione” dei conflitti che sotto-stanno alle querele e agli esposti dei cittadini. I corsi che rivolgiamo agliavvocati e, per ultimo, in ordine di tempo, il Master sulle ADR chel’Università di Macerata sta svolgendo insieme con l’Associazione GeA con-fermano ogni giorno che l’istanza a degiudiziarizzare alcune categorie dicontroversie per restituirle agli attori sociali e alla comunità sventando dele-ga e burocratizzazione è diffusa e sentita anche e forse soprattutto dal mondodel diritto.Oggi, almeno per quanto riguarda l’esperienza GeA, il rapporto con ilmondo del diritto e del giudizio è un confronto fra adulti, senza più ombra dicomplessi di inferiorità, fondato sulla valorizzazione della differenza. Unconfronto che può spingerci, oggi, a interrompere una mediazione che puresembra procedere al meglio perché siamo in grado di capire che il

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consenso,fittizio, ha radici nella debolezza. E allora ci vuole un buon avvo-cato. Un confronto che però rivela, anche, che i bambini figli di genitori nonconiugati, se sopravviene un conflitto separativo, sono oggettivamentediscriminati rispetto ai figli legittimi: il trattamento che la coppia genitoria-le riceve rispettivamente al Tribunale per i Minorenni e al Tribunale ordina-rio è molto diverso, e dunque inevitabilmente diverse le conseguenze suifigli. Non è un caso, del resto, che i principi della riservatezza e dell’acces-so volontario alla mediazione fatichino ad essere accolti, compresi e apprez-zati a pieno dalla magistratura minorile, mentre l’alleanza tra mediatori egiudici ordinari è più agevole.A proposito di suggestioni che a noi mediatori giungono dal mondo del dirit-to: i colleghi del GeA ed io abbiamo letto e studiato di recente il saggio diEligio Resta dal titolo Giudicare, conciliare, mediare. È stata una letturailluminante che abbiamo sentito come conferma, in un contesto di alto pro-filo scientifico, della filosofia e la pratica del nostro modo di lavorare.Da tempo i colleghi del GeA ed io andiamo interrogandoci sul tema dellaneutralità del mediatore. Riflessioni e sollecitazioni così feconde come quel-le del saggio di Resta2 mi incoraggiano a congedarmi con una provocazione- a fin di bene, naturalmente: e se ci decidessimo, adesso che siamo grandiabbastanza, ad abbandonare la figura tutta difensiva del terzo neutrale, pal-lida caricatura del giudice, per accollarci con fierezza e coraggio tutta la par-zialità che occorre per sporcarci le mani nella sofferenza e nella rabbia delledonne e degli uomini che incontriamo nella stanza della mediazione? Seoltre a farlo, tutti i giorni -anche perché altrimenti nessuna mediazione fun-ziona- avessimo il coraggio di scriverlo nelle nostre magniloquenti defini-zioni?

2 La mediazione familiare é un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o inseguito alla separazione o al divorzio: in un contesto strutturato il mediatore, come terzo neutralee con una formazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e inautonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i partner elaborino in prima persona un pro-gramma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune respon-sabilità genitoriale(Definizione adottata dalla Società Italiana di Mediazione familiare).

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

5. DIRITTOINTERNAZIONALE

PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

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PREMESSA

I l regolamento CE n. 1347/2000 (c.d. regolamento Bruxelles II)1 è stato adot-tato dal Consiglio il 29 maggio 2000 ed è entrato in vigore il 1° marzo 2001(art. 46).

Il nuovo progetto di regolamento del Consiglio Europeo relativo alla competen-za, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ein materia di responsabilità genitoriale (c.d. regolamento Bruxelles II bis), èstato approvato nella sua attuale versione a Bruxelles il 20 ottobre 2003, ed èprevisto che abrogherà il regolamento n. 1347/2000 (n. 28 del Considerando) dalmomento della sua entrata in applicazione (art. 71, comma 1).Ove si tenga presente il disposto del successivo art. 72, paragrafo 2, il nuovoregolamento si applica dal 1° marzo 2005, ad eccezione degli artt. 67, 68, 69 e70, che si applicano dal 1° agosto 2004, che corrisponde alla data della sua entra-ta in vigore. Gli articoli da ultimo citati riguar-dano le informazioni che gli Statimembri debbono dare allaCommissione relativamente alleautorità centrali e alle lingue accet-tate (art. 67), ai giudici e ai mezzidi impugnazione (art. 68); allamodificazione dei certificati stan-dard (art. 69); al funzionamento delComitato che assiste la Commissio-ne (art. 70). Attualmente è tuttora in vigore ilregolamento CE n. 1347/2000 (c.d.regolamento Bruxelles II), mentretra i considerando del nuovo rego-lamento è stabilito che “ai fini delfunzionamento del presente regola-mento, è opportuno che la Commis-sione ne esamini l’applicazione perproporre, se del caso, le modifichenecessarie” (n. 28).Il regolamento 1347/2000 discipli-na la competenza giurisdizionale(ovverosia la potestas iudicandi), ilriconoscimento e l’esecuzione in ambito comunitario delle decisioni in materiamatrimoniale (divorzio, separazione e annullamento del matrimonio) e in mate-ria di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi.

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

ALFIOFINOCCHIAROMAGISTRATO

CORTE COSTITUZIONALE

DAL REGOLAMENTON. 1347/2000

(BRUXELLES II) ALPROGETTO DI

REGOLAMENTON. 2201/2003

(BRUXELLES II BIS)

RELAZIONE TENUTA AL CONVEGNO “IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO DIFAMIGLIA”, ORGANIZZATO DALL’AIAF NAZIONALE, ROMA, 20-21 MAGGIO 2004

1 Per un primo approccio al regolamento cfr. F. UCCELLA, La prima pietra per la costruzione di undiritto europeo delle relazioni familiari: il regolamento n. 1347 del 2000 relativo alla competenza,al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestàdei genitori sui figli di entrambi i coniugi, Giust. civ. 2001, II, 313; M. TREZZA, Il progetto “RomaIII”: verso uno strumento comunitario in materia di divorzio, Familia 2001, 221; I. QUEIROLO,Comunità europea e diritto di famiglia: primi interventi “diretti” in tema di separazione e divorzio,Familia 2002, 449; A. FIGONE, Brevi note sul Regolamento del Consiglio CE n. 1347/2000,Famiglia e diritto 2002, 101; R. CONTI, Il Regolamento CE “Bruxelles II” in tema di cause matri-

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Sia il regolamento Bruxelles II, che il Bruxelles II bis perseguono il fine di rea-lizzare un’effettiva libertà di circolazione delle persone.In effetti, il pilastro fondante dell’Unione europea, fin dalla sua istituzione conil Trattato di Roma del 1957, consiste nella volontà di istituire e organizzare unmercato interno ai paesi aderenti ove sia garantita la libera circolazione dellemerci (artt. 23-38 del Trattato), delle persone, dei servizi e dei capitali (artt. 39-80 del Trattato: a loro volta il perseguimento di tali principi si propone di garan-tire una effettiva concorrenzialità all’interno del mercato comune).Se questi obiettivi erano già chiari alla fine degli anni ’50, ovverosia al momen-to dell’Istituzione della Comunità economica europea (fondata da Italia, Francia,Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo), meno chiarezza vi era circa i mezzida apprestare per conseguire questi stessi obiettivi.Ciò perché il diritto di famiglia è stato dapprima trascurato dall’Unione europea,che, quando era ancora semplicemente “comunità economica europea” ha rivol-to i suoi sforzi esclusivamente nella direzione di una integrazione economica,trascurando altri aspetti, come quello politico e quello che a noi interessa, ovve-rosia il diritto di famiglia.Solo di recente si è acquisita piena consapevolezza che una effettiva Unionedell’Europa si può realizzare solo attraverso una integrazione e una coope-razione in tutti i campi, ivi compreso il diritto di famiglia, e ciò anche al finedi realizzare una effettiva integrazione economica.Si è infatti compreso che esiste una necessaria interdipendenza tra l’aspetto eco-nomico dell’Unione (e in particolare il principio di libera circolazione delle per-sone) e il diritto di famiglia: è evidente infatti che un soggetto può essere forte-mente condizionato nella decisione di spostarsi da uno Stato all’altrodell’Unione se, a seguito di detto spostamento, non gli venissero garantiti i dirit-ti e gli status di cui risulta titolare nel Paese di provenienza.Questo collegamento tra il principio di libera circolazione delle persone e il rico-noscimento delle decisioni in materia di famiglia è confermato dal dettato degliartt. 61 e 65 del Trattato CE, che impegna il Consiglio ad adottare misure nel set-tore della cooperazione giudiziaria in materia civile, fra cui il miglioramento ela semplificazione del riconoscimento delle decisioni in materia civile.Di queste considerazioni si è inoltre fatto carico il progetto di Costituzione europea.Appare infatti subito chiaro, dalla lettura del progetto di Costituzione, il defini-tivo superamento della concezione iniziale dell’Unione europea, attenta solo aduna integrazione economica. Questa nuova Costituzione pone invece su uno stes-so piano di importanza l’aspetto economico e l’aspetto della tutela dei diritti del-l’uomo e in particolare dei più deboli.Può pertanto dirsi che l’attenzione dell’Unione europea nei confronti dei proble-mi del diritto di famiglia prescinde ormai da una loro eventuale strumentalitàrispetto ad un miglioramento della libera circolazione della persone e ha ormaiacquistato una sua autonoma dignità e autonomia.In altre parole la famiglia, e, in particolare, i minori vengono protetti perché laloro tutela viene considerato un valore a sé, anche se dalla loro protezione nonsi ricavano dei vantaggi economici neppure indiretti.

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moniali, ivi 2002, 107; G. ALPA, Alcune osservazioni sul diritto comunitario e sul diritto europeodella famiglia, Familia 2003, 439; T. HELMS, Diritto processuale in materia di diritto di famiglianell’Unione europea, Familia 2003, 471.

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La facilità degli spostamenti, il sempre maggior numero di unioni tra soggetti dinazionalità diverse, i crescenti scambi economici e culturali fra paesi lontani, ladimensione internazionale delle organizzazioni criminali che trafficano donne ebambini, la diffusione globale delle malattie, fanno sì dunque che sia sempre piùnecessaria la cooperazione del maggior numero di Stati possibile per renderedavvero efficace la tutela internazionale della famiglia.

Sia il regolamento CE n. 1347/2000, che il progetto Bruxelles II bis, in quantoregolamenti comunitari, non necessitano di legge di ratifica, e, in virtù del prin-cipio della prevalenza del diritto comunitario su quello interno, prevalgono sulleleggi dei singoli stati eventualmente da essi difformi.In Italia, come è noto, vige il principio che il giudice, in caso di difformità traregolamento comunitario e legge statale, può disapplicare quest’ultima applican-do direttamente il regolamento comunitario, senza necessità di adire la Cortecostituzionale per chiedere la dichiarazione di illegittimità costituzionale dellalegge statale.

L’AMBITO DI APPLICAZIONE

Sia nel regolamento n. 1347/2000 che nel Bruxelles II bis l’art. 1 è dedicatoall’ambito di applicazione. Mentre è rimasta sostanzialmente identica la let-

tera a)2; profondamente modificata è la lettera b) dello stesso art. 1.Il testo di cui al regolamento n. 1347/2000 prevede la sua applicazione ai “pro-cedimenti civili relativi alla potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi,instaurati in occasione dei procedimenti in materia matrimoniali di cui alla let-tera a)”.L’ art. 1, paragrafo 1, lettera b) del Regolamento Bruxelles II bis dispone la suaapplicazione “all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale oparziale della responsabilità genitoriale” e cioè i diritti e i doveri di cui è inve-stita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, dellalegge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore (art.2, punto 7).Il successivo paragrafo 2 dello stesso articolo precisa: “Le materie di cui alparagrafo 1, lettera b) riguardano in particolare:a) il diritto di affidamento [idest: i diritti e doveri concernenti la cura della per-

sona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguar-do al suo luogo di residenza] e il diritto di visita [idest: in particolare il dirit-to di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale perun periodo di tempo limitato];

b) la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi;c) la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente avente la responsa-

bilità della persone o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano;d) la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto;e) le misure di protezione del minore legato all’amministrazione, alla conserva-

zione o all’alienazione dei beni del minore”.

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

2 “Il presente Regolamento si applica ai seguenti procedimenti: a) procedimenti relativi al divorzio,alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio” (Regolamento n.1347/2000). “Il presente regolamento si applica, indipendentemente dal tipo delle autorità giurisdi-zionali, alle materie civili relative: al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento delmatrimonio” (Regolamento Bruxelles II bis).

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L’ambito di applicazione è però limitato dal paragrafo 3, secondo il quale: “Ilpresente regolamento non si applica:a) alla determinazione o all’impugnazione della filiazione;b) alla decisione relativa all’adozione, alle misure che la preparano o all’annul-

lamento o alla revoca dell’adozione;c) ai nomi e ai cognomi del minore;d) all’emancipazione;e) alle obbligazioni alimentari;f) ai trust e alle successioni;g) ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori”.Con il nuovo regolamento, ai fini dell’ambito di applicazione, si prescinde com-pletamente dallo stato legittimo dei figli e dal collegamento dei provvedimenticon l’annullamento, il divorzio e la separazione, ma si prendono in considerazio-ne gli interventi giudiziari che riguardano i minori e i soggetti, anche maggioren-ni, incapaci di provvedere a se stessi.Sull’ambito di applicazione il progetto di regolamento Bruxelles II bis ha inno-vato in maniera significativa estendendo notevolmente la portata del BruxellesII. Infatti, il nuovo regolamento ha sempre riferimento alla materia del divorzio,separazione e annullamento del matrimonio ma ha allargato la sua sfera di appli-cazione a tutte le decisioni in materia di potestà genitoriale, ivi comprese lemisure di tutela del minore, indipendentemente da qualsiasi collegamento conuna causa matrimoniale.Il nuovo regolamento ha inoltre una struttura normativa più dettagliata, specifi-cando la sua sfera di applicazione sia in positivo che in negativo, individuandocioè specificamente le discipline in cui non trova applicazione (in particolare lostesso non si applica all’impugnazione della filiazione e all’adozione). Restanoescluse da entrambi i regolamenti le disposizioni relative alla colpa dei coniugi,ai rapporti patrimoniali fra coniugi, alla cessazione del legame che unisce cop-pie di fatto o omosessuali e alle decisioni concernenti l’affidamento dei figli.Tali esclusioni non sono state determinate da una scelta libera, ma sono state“obbligate” dall’impossibilità di trovare un accordo che potesse mettere d’accor-do i vari Paesi: troppo diverse e distanti culturalmente sono le legislazioni nazio-nali sul punto.I regolamenti si applicano se il coniuge convenuto in giudizio è cittadino o resi-dente in uno stato membro; restringe conseguentemente il campo di applicazio-ne della analoga norma di diritto internazionale privato italiano (art. 32, l.218/95), che prevede, come criteri di collegamento, la cittadinanza italiana diuno dei coniugi, il fatto che il matrimonio sia stato celebrato in Italia, il domici-lio o la residenza italiana del convenuto.

LA DISCIPLINA DELLA COMPETENZA GIURISDIZIONALE

Gli artt. dal 2 al 12 riguardano la disciplina della competenza giurisdizio-nale.

I criteri più significativi per individuare la competenza sono dati alternativamen-te dalla residenza abituale dei coniugi o dalla residenza del convenuto.La giurisprudenza comunitaria privilegia un’interpretazione autonoma del con-cetto di residenza, indipendente cioè dal significato di tale parola all’internodegli Stati membri, al fine di garantire un’uniformità di applicazione al regola-mento. La residenza abituale, secondo un’opinione prevalsa in seno alla

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Conferenza dell’Aja, in cui tale nozione ebbe origine, consiste in una situazionedi mero fatto, implicante la presenza fisica (dimora) non transitoria di un sogget-to in un dato luogo. Per Inghilterra e Irlanda occorre invece fare riferimento aldomicile, ove si pone l’accento sull’esigenza che ogni soggetto, in ogni momen-to della sua vita, abbia un unico domicilio, da individuare secondo il criteriodella maggiore permanenza temporale. Il criterio dunque non è molto dissimileda quello della residenza individuato per gli altri paesi, ove pure assume rilevan-za l’abitualità della dimora in un dato luogo.Quanto alle domande relative alla potestà dei genitori sul figlio di entrambi iconiugi, per il regolamento Bruxelles II è competente lo stesso giudice compe-tente in materia di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio se ilfiglio risiede nello stesso Stato membro, altrimenti solo se almeno uno dei coniu-gi esercita la potestà sul figlio o la competenza del giudice è stata accettata daiconiugi ed è corrispondente all’interesse superiore del figlio.Il Bruxelles II bis invece, sul punto, contiene due significative modifiche.La prima (è questo rileva anche in altri luoghi del progetto di regolamento), è chenon si parla più di figli ma di minori (vengono cioè individuati, nell’ambito deifigli solo quei soggetti ritenuti particolarmente meritevoli di tutela).La seconda è che la competenza viene determinata comunque dal luogo di resi-denza del minore; criterio residuale è quello della competenza dello Stato ove sitrova il minore; in ogni caso il polo di attrazione della competenza è sempredeterminato dal minore e non, come nel regolamento Bruxelles II, tendenzialmen-te, da quello ove si svolge il giudizio di annullamento, separazione o divorzio.Il luogo di svolgimento di questi giudizi può determinare la proroga della com-petenza sulle domande relative alla responsabilità dei genitori se: a) almeno unodei coniugi esercita la responsabilità genitoriale sul figlio; e b) la competenzagiurisdizionale di tali autorità giurisdizionali è stata accettata espressamente o inqualsiasi altri modo univoco dai coniugi e dai titolari della responsabilità geni-toriale alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite, ed è conforme all’in-teresse superiore del minore.Il progetto del citato nuovo regolamento sostitutivo del 1347/2000 CE esprimedunque il principio secondo cui il criterio nel determinare la competenza fra Statiè quello di assicurare la vicinanza tra il minore e il suo luogo di residenza abi-tuale: dovrebbero pertanto essere competenti le giurisdizioni dello Stato membroove il minore risiede abitualmente.In via eccezionale (art. 15) le autorità giurisdizionali di uno Stato membro com-petenti a conoscere del merito, qualora ritengano che l’autorità giurisdizionale diun altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame particolare sia piùadatto a trattare il caso o una sua parte specifica e ove ciò corrisponda all’interes-se superiore del minore - per essere divenuto la residenza abituale del minore dopoche l’autorità giurisdizionale sia stata adita o è la residenza abituale del minore, oè il Paese di cui il minore è cittadino o è la residenza abituale di uno dei titolaridella responsabilità genitoriale o la causa riguarda le misure di protezione delminore legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei benidel minore situati sul territorio di questo Stato membro - possono: a) interrompe-re l’esame del caso o della parte in questione e invitare le parti a presentaredomanda all’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro, oppure b) chiedereall’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro di assumere la competenza.L’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente a conoscere del meri-

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

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to fissa un termine entro il quale le autorità giurisdizionali dell’altro Stato devo-no essere adite. Decorso inutilmente tale termine, la competenza continua adessere esercitata dall’autorità preventivamente adita. Le autorità giurisdizionaledi quest’altro Stato membro possono accettare la competenza, ove ciò corrispon-da all’interesse del minore, entro sei settimane dal momento in cui sono adite e,in questo caso, l’autorità giurisdizionale preventivamente adita declina la propriacompetenza, mentre, in caso contrario, la competenza continua ad essere eserci-tata dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita.Si è introdotto un meccanismo, forse esemplato sul c.d. forum conveniens, per ilquale, ai fini della competenza, si può prescindere dai criteri generali che la indi-viduano e si deroga alla stessa per motivi particolari che possono portare allacompetenza del giudice di un altro Stato.La soluzione escogitata non è delle più agevoli e può comportare - sia pure perrealizzare il superiore interesse del minore - un forse ingiustificato allungamen-to dei tempi processuali.È da ritenere che il giudice indicato come competente non possa a sua volta indi-care come competente il giudice di un terzo Stato.

Nei casi di sottrazione illecita del minore (art. 10), l’autorità giurisdizionaledello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediata-mente prima del trasferimento o del mancato rientro conserva la competenza giu-risdizionale fino a che il minore non abbia acquisito la residenza in un altro Statomembro e se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affi-damento ha accettato il trasferimento o mancato rientro o se il minore ha sog-giornato in quell’altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona,istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, oavrebbero dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e ilminore si è integrato nel nuovo ambiente e ricorrono particolari condizioni (man-cata presentazione di domanda di rientro entro un anno; ritiro della domanda dirientro; chiusura di un procedimento innanzi al giudice dello Stato di residenzaabituale; emissione da parte di quest’ultimo giudice di una decisione di affida-mento non prevedente il ritorno del minore). Si attribuisce rilevanza a compor-tamenti che presuppongono una rinuncia alla originaria competenza.

In caso di trasferimento o mancato rientro illecito del minore (art. 11) laConvenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 continua ad essere applicata, con lemodifiche espressamente indicate dall’art. 11.

IL RICONOSCIMENTO DELLE DECISIONI

Nessun cambiamento avviene nel passaggio dal Bruxelles II al Bruxelles IIbis per quanto riguarda il riconoscimento delle decisioni.

È infatti identico il tenore letterale dell’art. 14 del Bruxelles II e dell’art. 21 delprogetto di Bruxelles II bis: “le decisioni pronunciate in uno Stato membro sonoriconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcunprocedimento”.L’automaticità si fonda sul principio della reciproca fiducia, sulla presunzioneche i requisiti del riconoscimento siano soddisfatti ad opera del giudice che ponein essere il provvedimento. In tal senso sono coerenti le disposizioni di entram-bi i regolamenti che prevedono il divieto di riesaminare sia la competenza giuri-

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sdizionale del giudice che ha emesso la decisione, sia il merito di quest’ultima.Non vi sono cambiamenti di rilievo, nel passaggio da un regolamento all’altro,per quanto riguarda i motivi di non riconoscimento. Il riconoscimento può esse-re negato solo in particolari casi predeterminati: manifesta contrarietà all’ordinepubblico, violazione del diritto di difesa, decisione incompatibile con un’altraresa fra le medesime parti. L’unica modifica riguarda il caso della decisionepresa senza che il figlio abbia avuto la possibilità di essere stato ascoltato: ilBruxelles II bis non parla più di figlio ma di minore, ma per il resto il contenu-to è identico.In considerazione, infine, del fatto che il Bruxelles II bis disciplina il colloca-mento del minore in un altro Stato membro (art. 56), è stata introdotta quale ulte-riore causa di non riconoscimento il mancato rispetto della procedura previstanella norma da ultimo citata.

Mentre per le decisioni in materia matrimoniale - per entrambi i regolamenti - èsufficiente il principio dell’automaticità del riconoscimento, per quanto riguardale decisioni relative all’esercizio della potestà dei genitori su un figlio dientrambi i coniugi - sempre secondo entrambi regolamenti (ma con le precisazio-ni di cui al prossimo paragrafo per quanto riguarda il Bruxelles II bis) - è neces-saria, per ottenerne la dichiarazione di esecutività, un’apposita istanza al giudi-ce (da individuarsi secondo criteri variabili da Stato a Stato: in Italia è la Corted’appello). Tale fase si svolge inaudita altera parte: il giudice decide senza con-traddittorio e senza indugio se accogliere l’istanza o rigettarla.Esistono poi altre due fasi, meramente eventuali.La prima di queste due fasi consiste nell’opposizione proposta, a seconda deicasi, dal richiedente l’exequatur o dalla persona contro cui è invocata l’esecuzio-ne. Si svolge davanti allo stesso giudice, ma questa volta in contraddittorio.È infine possibile un’ulteriore impugnazione davanti a un giudice diverso (inItalia la Cassazione).

Il progetto di regolamento Bruxelles II bis, rispetto al Bruxelles II, contiene unasezione, radicalmente nuova, dedicata all’esecuzione di taluni decisioni riguar-danti il minore, per le quali si fa eccezione alla necessità di svolgere la proce-dura per ottenere la dichiarazione di esecutività descritta nel paragrafo preceden-te.In particolare gli artt. 41 e 42 stabiliscono che il diritto di visita del minore e ilritorno del minore ordinati da un giudice di uno Stato membro sono riconosciu-ti ed eseguibili in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiara-zione di esecutività, purché sia il minore che le parti abbiano avuto la possibili-tà di essere state ascoltate dal giudice che ha emesso il provvedimento, salvo chel’audizione non sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suogrado di maturità.

LA COOPERAZIONE FRA AUTORITÀ CENTRALI IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE

Di particolare interesse nel progetto di regolamento Bruxelles II bis è il capo,del tutto nuovo e innovativo rispetto al regolamento n. 1347/2000, dedicato

alla “cooperazione fra autorità centrali in materia di responsabilità genito-riale”.

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Partendo dalla presa d’atto che una integrazione legislativa in materia di dirittodi famiglia è ancora lontana, il nuovo progetto di regolamento Bruxelles II bispunta molto sull’obiettivo dello scambio di informazioni fra Stati, in particolaresulle diverse legislazioni nei rispettivi paesi.In effetti il ruolo della cooperazione internazionale è sempre più spesso affidatoad Autorità ad hoc, insidiate ciascuna in ogni Paese che abbia aderito ad una con-venzione, e con il compito di scambiarsi informazioni - anche sulle rispettivelegislazioni in materia - di promuovere iniziative, di coinvolgere organizzazioninon governative, di vigilare sulla effettiva attuazione della Convenzione, di pro-porre miglioramenti o adeguamenti, soprattutto nella direzione della semplifica-zione e della rapidità delle procedure di reciproco riconoscimento.Nel progetto del nuovo Regolamento particolare interesse rivestono quellenorme che prevedono che ogni Stato membro designi una o più autorità centraliincaricate di assisterlo nell’applicazione del presente regolamento con l’incaricodi trasmettere informazioni sulle legislazioni e le procedure nazionali, e adotta-no provvedimenti per migliorare l’applicazione del presente regolamento e raf-forzare la cooperazione fra Stati e fra Autorità. A tal fine, si può ricorrere allarete giudiziaria europea in materia civile e commerciale istituita con decisione2001/470/CE3”.Tali Autorità inoltre hanno il compito di:- raccogliere e scambiare informazioni sulla situazione del minore, su qualsia-

si procedura in corso, su qualsiasi decisione riguardante il minore;- fornire informazioni e assistenza ai titolari della potestà genitoriale che chie-

dono il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione sul loro territorio;- facilitare le comunicazioni tra giurisdizioni;- fornire informazioni e assistenza utili per l’affidamento di un minore ad un

istituto da parte delle giurisdizioni;- facilitare la conclusione di accordi tra i titolari della potestà genitoriale ricor-

rendo alla mediazione o altri mezzi e facilitare a tal fine la cooperazionetransfrontaliera.

Inoltre, qualora la giurisdizione competente stabilisca l’affidamento del minoread un istituto e qualora detto affidamento debba avvenire in un altro Stato mem-bro, la stessa sarà tenuta a consultare previamente l’Autorità centrale competen-te di quest’ultimo Stato membro. Ancora: i titolari della potestà genitoriale pos-sono trasmettere all’Autorità centrale dello Stato membro in cui risiedono o incui risiede il minore una richiesta di assistenza.Infine l’art. 59 stabilisce che le autorità centrali, per facilitare l’applicazione delpresente regolamento, si riuniranno regolarmente. La convocazione di detteriunioni viene effettuata conformemente alla decisione n. 2001/470/CE delConsiglio relativa alla creazione di una rete giudiziaria europea in materia civi-le e commerciale.La figura di un’Autorità centrale per ogni paese con il compito di fungere da tra-

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3 Si tratta della decisione del Consiglio del 28 maggio 2001, presente fra gli allegati. Essa prevede l’i-stituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale. Tale rete segue gli stessiprincipi del progetto di Regolamento in esame, ovverosia l’istituzione di Autorità centrali, magistra-ti di collegamento, punti di contatto o qualsiasi autorità amministrativa o giudiziaria con il compito- da svolgersi anche mediante riunioni periodiche - di agevolare la cooperazione giudiziaria, facili-tare lo scambio di informazioni, predisporre e tenere aggiornato un sistema d’informazione accessi-bile al pubblico, garantire una applicazione effettiva e pratica degli atti comunitari o delle conven-zioni vigenti fra stati membri.

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mite nello scambio di informazioni non è nuova nella recente legislazione inmateria di famiglia:- l’art. 16 della l. n. 77/2003 sui diritti dei fanciulli spiega che ai fini della pre-

sente Convenzione è istituito un comitato permanente che ha facoltà di pro-muovere la cooperazione internazionale fra gli organi che nei vari Stati for-mulano proposte per migliorare ulteriormente il dispositivo legislativo relati-vo all’esercizio dei diritti dei fanciulli;

- la Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla protezione dei fanciulli pre-vede che ogni Stato deve designare una Autorità centrale con l’incarico divigilare a che siano effettivamente eseguiti nel proprio stato gli obblighiimposti dalla convenzione a tutela dei minori. Queste Autorità centrali hannoinoltre il compito di fornire alle autorità giudiziarie e amministrative compe-tenti degli altri paesi le informazioni circa le legislazioni e i servizi disponi-bili in materia di protezione dei fanciulli (art. 30).

Nei rapporti con talune convenzioni multilaterali, mentre il regolamentoBruxelles II, con riferimento alla Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1966,sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l’ese-cuzione delle decisioni, nonché la cooperazione, in materia di potestà dei geni-tori e di misure per la tutela dei minori, prevedeva la propria prevalenza solo nel-l’ipotesi di minore avente residenza abituale in uno Stato membro, il regolamen-to Bruxelles II bis prevede la propria prevalenza, per quanto riguarda il ricono-scimento e l’esecuzione di una decisione emessa dal giudice competente di unoStato membro nel territorio di un altro Stato membro, anche se il minore risiedeabitualmente nel territorio di uno Stato non membro che è parte contraente didetta convenzione.

L’Unione europea è lontana dall’avere raggiunto una integrazione legislativa,che sarebbe alla base di una efficace cooperazione internazionale. Lo dimostral’impossibilità di adottare un regolamento in materia di famiglia che abbraccianche le decisioni in materia di rapporti patrimoniali fra coniugi, causa l’ecces-siva distanza fra le legislazioni dei vari paesi.Tali difficoltà al processo di integrazione legislativo sono apportate dalle diffe-renti culture e tradizioni dei vari paesi: mentre la globalizzazione nel campo eco-nomico sta facendo sentire il proprio peso, mai come nel campo della famiglia sifanno sentire le diverse tradizioni dei vari paesi, gelosi (giustamente!) delle pro-prie culture.I Paesi dell’Unione europea sono 25, ma “i diritti di famiglia” sono dunque inrealtà ancora di più, perché non sempre si tratta di materia riservata alla potestàesclusiva statale: a Cipro ogni comunità religiosa (ortodossa, islamica, cattolica)ha un suo diritto matrimoniale; analogamente vi sono delle differenze del dirittomatrimoniale in Gran Bretagna nelle diverse nazioni (Inghilterra, Scozia, Galles,Irlanda del nord) e in Spagna (Castiglia e Aragona).Tuttavia in questo quadro, un significativo passo avanti nel processo di integra-zione è stato fatto proprio con il progetto di regolamento Bruxelles II bis, che seandrà in porto, avrà esteso la portata del precedente regolamento a tutte le deci-sioni nei confronti del minore, a prescindere da un loro collegamento con unacausa di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio; avrà reso più agileil riconoscimento delle decisioni in alcuni campi significativi (diritto di visita e

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ritorno del minore); avrà reso possibile una migliore collaborazione e coordina-mento fra Stati mediante la creazione di Autorità di collegamento le quali, parten-do dal più umile obiettivo di scambiare informazioni circa la situazione del mino-re e sulla legislazione dei vari paesi, contribuendo ad una migliore conoscenzaall’interno dell’Unione europea delle legislazioni dei vari paesi, contribuisconosignificativamente alla formazione di una cultura giuridica unica e alla creazionedi quell’humus culturale comune che, senza dimenticare la peculiarità delle diver-se esperienze dei vari paesi, può permettere in futuro di pensare di addivenire aduna legislazione europea comune anche in materia di famiglia.

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PREMESSA1

L’allargamento dell’Unione Europea, con il recente ingresso di 10 nuovipaesi, rende necessario anche per il giusmatrimonialista l’analisi ed il con-fronto con le regole, di diversa provenienza, che governano le problema-

tiche familiari.Lo scenario europeo che si presenta è di straordinario interesse in quanto coin-volge il diritto nazionale familiare di 25 paesi a cui si aggiungono le diversitàculturali - e quindi anche giuridiche - di cui sono portatori gli immigrati extra-comunitari che, stabilmente o meno, sono presenti sul territorio degli Statidell’Unione Europea.Sussiste il rischio che i matrimonialisti italiani rimangano alla periferia deldibattito che già in altri paesi europei vanta invece decenni di riflessioni cultu-rali, di elaborazioni dottrinarie e di traduzioni giurisprudenziali.Occorre partire dalla constatazione che i riferimenti normativi sono dati dall’in-trecciarsi di norme di diversa pro-venienza statuale, convenzionale ecomunitaria e dalla considerazioneche le questioni attengono sia ilmomento processuale, in primisquelle afferenti alla individuazionedella competenza giurisdizionalesia quelle riguardanti la leggeapplicabile al momento in cui laquestione si pone.In questo quadro normativo nonentrano in gioco norme comunitariedi diritto sostanziale in quanto nonesiste un “diritto di famiglia euro-peo” che si ponga come legislazio-ne sopranazionale comune agliStati dell’Unione2.Sinteticamente è possibile afferma-re che ogni Stato nazionale, anche all’interno dell’Unione, è portatore di un pro-prio diritto di famiglia quando non di un diritto regionale come appare dall’espe-rienza della regione della Catalogna.Si consideri, altresì, che gli stessi istituti giuridici non trovano una perfetta coin-cidenza concettuale tra un paese e l’altro e che taluni di essa non trovano equi-valenti, come avviene per le Unioni registrate, il che pone anche l’ulteriore pro-blema di qualificazione degli istituti medesimi.La stessa fase della conflittualità e della crisi coniugale non prevede ugualeregolamentazione in quanto la maggior parte degli Stati ignora l’istituto della

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

DANIELAABRAMAVVOCATO DEL FORO DI

BOLOGNA

DIRETTIVO NAZIONALE

AIAF

IL SISTEMA DI DIRITTOINTERNAZIONALE

PRIVATO ITALIANO NELLERELAZIONI FAMILIARI

RELAZIONE TENUTA AL CONVEGNO “IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO DIFAMIGLIA”, ORGANIZZATO DALL’AIAF NAZIONALE, ROMA, 20-21 MAGGIO 2004

1 Quando viene omesso il riferimento di un articolo alla legge, questa si intende la legge 31 maggio1995 n. 218 “Riforma del sistema di diritto internazionale privato” entrata in vigore il 1° settembre1995, ad eccezione del titolo quarto (relativo all’efficacia di sentenze ed atti stranieri) differita al 31dicembre 1996.

2 GUTTIERES-REMIDDI, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo con specifico riferimento al dirittodi famiglia (artt. 8 e 12). Esame delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle violazioni delle normedella convenzione commesse dai giudici italiani, in ABRAM-FABJ (a cura di) Le evoluzioni nel dirittodi famiglia in relazione al diritto privato italiano. Le possibilità di un diritto di famiglia europeo,2003 Ipsoa.

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separazione coniugale, bensì conosce quale istituto di risoluzione della crisiconiugale il solo procedimento divorzile.La norma statuale italiana di principale riferimento è rappresentata dalla legge218 del 19953 oltre ad altre norme collocate nel codice sostanziale e di rito ed inleggi speciali. Con la legge di riforma del diritto internazionale privato si è prov-veduto alla redazione di un corpus normativo organico. Accanto alla regolamen-tazione degli aspetti spiccatamente processuali, quali la enucleazione dei criterifondanti la competenza-giurisdizione e la previsione del principio generale del-l’automatico riconoscimento dei provvedimenti e degli atti stranieri (norme cheattengono ai conflitti di giurisdizione), si vanno a prevedere i meccanismi diindividuazione della legge in concreto applicabile, tramite i criteri di collega-mento ovvero tramite norme sostanziali speciali riguardanti la risoluzione delconflitto di norme.A differenza della precedente disciplina contenuta nelle disposizioni sulla leggein generale, la legge n. 218/95 prevede nuovi istituti di ordine generale, masignificativamente e frequentemente incidenti nel diritto internazionale privatofamiliare, quali la previsione dell’istituto del rinvio (art. 13), così come predi-spone una analitica e specifica disciplina dei rapporti giuridici riguardanti ildiritto di famiglia.

LA COMPETENZA - GIURISDIZIONE

La giurisdizione italiana viene incardinata innanzitutto tramite i criteri genera-li indicati all’art. 3 (Ambito della giurisdizione) della legge del 1995, che con-

dizionano la sussistenza della giurisdizione italiana esclusivamente nell’ipotesiin cui il convenuto in giudizio sia straniero, ma che non valgono come limite allagiurisdizione nelle cause promosse dallo straniero nei confronti di un italiano.4

In primo luogo rileva il foro ove il convenuto è residente o domiciliato5, facen-do altresì salve le ipotesi contenute in norme speciali che prescindono dalla com-petenza per territorio6. Si esclude, per quanto attiene le controversie in materiadi status, l’elemento costituito dall’esistenza in Italia di un procuratore autoriz-zato a stare in giudizio ex art. 77 c.p.c. applicabile alle sole controversie di natu-ra patrimoniale7. La valutazione della residenza o del domicilio in Italia va valu-tata secondo la legge italiana8.Il secondo criterio generale, richiamato mediante il rinvio operato dalla primaparte del secondo comma dell’art. 3 ai titoli previsti dalla Convenzione diBruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzionedelle decisioni in materia civile e commerciale9, per espressa disposizione del-

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3 POCAR, Il nuovo diritto internazionale privato italiano, Milano, 1995 contenente la Relazione al dise-gno di legge 1192 Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato presentato nel corsodella XI legislatura al Senato della Repubblica dal Ministro di Grazia e Giustizia.

4 CASS. S.U. 8 febbraio 2001, n. 46.5 Trib. Roma 2 gennaio 2003 n. 4: si afferma la giurisdizione del giudice italiano ai sensi dell’art. 3,

in considerazione della residenza in Italia di entrambi per quanto i coniugi siano entrambi stranieried abbiano contratto il matrimonio all’estero.

6 Art. 3 relativo al Disegno di Legge, in Pocar, op. cit. 158.7 art. 32 Relazione al Disegno di legge n. 1192 XI legislatura, in Pocar op.cit. 157. 8 Cass. S.U. n.309/99.9 La Convenzione di Bruxelles resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971 n. 804 entrata in vigo-

re il 1 febbraio 1973 è stata sostituita dal 1 marzo 2002 per i procedimenti radicati successivamen-te a tale data dal Regolamento CEE n. 44/2001 del 22 dicembre 2001- c.d. Bruxelles I- riguardante

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l’art. 1 del testo convenzionale, non attiene alla materia matrimoniale.La Corte di Cassazione ha specificato quali controversie debbono intendersiescluse: quelle relative allo status dei coniugi (separazione o divorzio), quelleattinenti gli stessi coniugi ed i figli nati dal matrimonio, sia di carattere patrimo-niale che concernenti l’affidamento dei figli ad uno dei coniugi, nonché il regi-me dei loro rapporti con il coniuge non affidatario.10

Pur tuttavia, la Convenzione di Bruxelles, sostituita dal Regolamento comunita-rio n. 44/01 in vigore dal 1 marzo 2002 tra tutti gli Stati membri dell’UnioneEuropea con l’eccezione della Danimarca, riguarda la disciplina familiare inquanto prevede, in materia alimentare, un’ipotesi di competenza specialeimprontata al favor creditoris11: viene riconosciuta la possibilità di convenire ingiudizio il debitore domiciliato in altro Stato contraente, avanti il luogo di domi-cilio o residenza abituale del creditore.Quando il credito sia fatto valere come domanda accessoria ad una azione rela-tiva allo stato delle persone è riconosciuta anche la competenza del giudice chia-mato a conoscere della domanda principale secondo la legge nazionale conesclusione dell’ipotesi che la competenza del giudice dell’azione di status siafondata esclusivamente sulla cittadinanza di una delle parti.Quale terzo ed ultimo criterio generale previsto all’art. 3 rimane, in via residua-le per le materie non comprese nella Convenzione di Bruxelles, quello che operamediante il rinvio alle norme relative alla competenza interna per territorio, indi-viduabili nel codice di procedura civile e nelle leggi speciali. Si tratta del crite-rio del foro di residenza dell’attore quando il convenuto risieda o dimori all’e-stero, ovvero ne sia sconosciuta la dimora12, destinato ad avere in materia un rile-vo non secondario se si accede alla tesi, accolta dalla Cassazione, che la portatadebba estendersi all’intera previsione dell’art. 18 c.p.c. Si delinea, dunque, unulteriore titolo di attribuzione della giurisdizione anche nella materia che cioccupa.Pertanto, se il convenuto è residente in Italia opera la disposizione di cui al Icomma dell’art. 3; se invece la residenza in Italia è del solo attore la giurisdizio-ne italiana può sussistere per il rinvio dell’art. 3 c. 2 ad altre disposizioni dilegge, vale a dire l’art. 18 c. 2 c.p.c., nonché l’art. 4 c. 1 della legge divorzile che

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile ecommerciale. L’articolo 1 c.2 n.1 della Convenzione ripreso testualmente dall’art. 1 c.2 lett. A delRegolamento n. 44/2001 esclude dall’ambito di applicabilità le materie riguardanti lo stato e la capa-cità delle persone fisiche, il regime patrimoniale tra coniugi, i testamenti e le successioni: in questematerie continuano a applicarsi le convenzioni previgenti così come disposto dall’art. 56.1Convenzione Bruxelles 27/09/1968.

10 Cass. S.U., 27 novembre 1998 n. 12056 in Riv. dir. int. priv. e proc. 1999, 601; Cass. 9 dicembre1998 n. 10954 in Riv. dir. int. priv. e proc. 1997, 519; Cass. 1 aprile 1993 n. 3885, in Riv. Dir.Internazionale, 1994, 212; per il merito Tribunale di Catania 20 dicembre 1999, in Giur. Merito,2000, I, 545.

11 Art. 5.2 Reg. CE n.44/ 2001: “La persona domiciliata nel territorio di uno stato membro può essereconvenuta in un altro stato membro: omissis...2) in materia di obbligazioni alimentari, davanti al giu-dice del luogo in cui il creditore di alimenti ha il domicilio o la residenza abituale o, qualora si trat-ti di una domanda accessoria ad un azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice com-petente a conoscere quest’ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondisulla cittadinanza di una delle parti”.

12 Cass. S.U. 27 novembre 1998 n. 12056, cit. L’interpretazione è oggetto di numerose critiche dottri-nali: Ballarino, Diritto internazionale privato, 1996, 112, secondo cui l’art. 18 comma 2 rimaneestraneo dai fori richiamati dall’art. 3 della legge 218 del 1995 essendo la disciplina dei fori gene-rali disciplinata in via esclusiva dall’art.3 l.218.95.

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va a ricomprendere anche i procedimenti di separazione personale dei coniugiper l’effetto -fino all’entrata in vigore di un nuovo codice di procedura civile-dell’art. 23 l. 74/87. Viene così data soluzione anche al problema della compe-tenza per territorio allorquando nessuno dei coniugi abbia la residenza in Italia enemmeno vi abbia il proprio domicilio il ricorrente, ammettendo che possa veni-re adito ogni Tribunale della Repubblica, soluzione, questa, che si ritiene valgaanche per le azioni di nullità e annullamento.13

Ai criteri generali si aggiungono quelli previsti in via alternativa specificatamen-te per i procedimenti di volontaria giurisdizione.Per quanto non espressamente richiamato dall’art. 32, l’art. 9 (Volontaria giuri-sdizione) è ritenuto di portata generale “quando il provvedimento concerne uncittadino italiano o una persona residente in Italia o riguardi situazioni o rappor-ti ai quali è applicabile la legge italiana”; dunque, in via esemplificativa, per iprocedimenti di separazione coniugale consensuale, ma non per i procedimentidi divorzio in quanto conclusi con sentenza costitutiva di uno status.Per la materia cautelare valgono i criteri indicati dall’art. 10: “quando il provve-dimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizio-ne nel merito”.Rilevano inoltre i criteri speciali previsti per determinati rapporti giuridici.In particolare, per quanto riguarda i procedimenti relativi alla nullità, alla sepa-razione coniugale, allo scioglimento del matrimonio (art. 32) concorrono in viaalternativa, oltre quelli indicati all’art. 3, il possesso della cittadinanza italianada parte di almeno uno dei coniugi ovvero l’avvenuta celebrazione del matrimo-nio di entrambi i coniugi stranieri in Italia.Così, altri criteri speciali sono definiti in materia di filiazione e di rapporti per-sonali tra genitori e figli: accanto a quelli previsti dagli artt. 3 e 9, l’art. 37 intro-duce la cittadinanza o la residenza in Italia di almeno uno dei genitori o delfiglio; in materia adottiva l’art. 40 indica quali titoli di giurisdizione la cittadi-nanza italiana di almeno uno degli adottandi o dell’adottando, ovvero la residen-za in Italia se stranieri, ovvero lo stato di abbandono in Italia del minore. Inmateria di protezione dei minori l’art. 42, operando la nazionalizzazione dellaConvenzione dell’Aja del 5 ottobre 196114, ha dato rilievo come foro generale aquello di residenza del minore. Il possesso della cittadinanza italiana conserva, dunque, con i titoli aggiuntivi digiurisdizione, un rilievo ancora di primo piano nella materia familiare.Con gli ulteriori criteri specifici concorrenti in via alternativa -l’avvenuta cele-brazione del matrimonio in Italia, la residenza in Italia di almeno uno dei geni-tori o del figlio- si giunge ad un’espansione della giurisdizione italiana eccessi-va, soprattutto in assenza di elementi di contatto significativi, come accade allor-quando trattasi di due cittadini stranieri che abbiano solamente contratto matri-monio in Italia.15

In più occasioni le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate

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13 Così la Relazione ministeriale, in Pocar, op. cit., 173 14 La Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabi-

le in materia di protezione del minore è entrata in vigore per l’Italia a livello internazionale in data22 aprile 1995.

15 BALLARINO con la collaborazione BONOMI, op.cit., 423 ritiene che in questa ipotesi il criterio di col-legamento dell’avvenuta celebrazione in Italia debba interpretarsi in modo restrittivo applicandosiesclusivamente ai procedimenti di nullità ovvero di annullamento del matrimonio.

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sulla sussistenza della giurisdizione italiana in relazione alla sorte del vincoloconiugale.La Corte di Cassazione16 ha ritenuto la giurisdizione italiana in una causa diseparazione coniugale, in quanto il disposto dell’art. 3 c. 1 non è esaustivo deicriteri di collegamento che radicano la giurisdizione italiana in funzione del forodelle persone fisiche, ma va integrato con i criteri relativi alla competenza terri-toriale, tenendo conto anche delle varie previsioni contenute nell’art. 18 e dal-l’altro che la formulazione della norma non consente in alcun modo di ritenerlaapplicabile solo ai cosiddetti fori speciali.Così anche la giurisprudenza di merito: nel sistema di diritto internazionale pri-vato la giurisdizione italiana viene ritenuta sussistente in una causa di divorzioin base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio (art. 3 c. 2 ultimaparte), dunque in forza del criterio basilare per la determinazione del foro gene-rale delle persone fisiche ex art. 18 c. 2 c.p.c.17

A più riprese la giurisprudenza di legittimità ha ribadito la sussistenza della giu-risdizione italiana18 nel procedimento di separazione coniugale pur pendendoavanti al giudice straniero il procedimento di divorzio, stante l’insussistenza dilitispendenza o di continenza tra i due giudizi.In una altra vicenda che vedeva protagonisti due cittadini italiani residenti inFrancia, la moglie trasferitasi in Italia radicava un procedimento di separazioneed il marito eccepiva il difetto di giurisdizione, stante la pendenza avanti l’auto-rità giudiziaria francese di un procedimento di divorzio, ove la moglie eccepivala litispendenza. Nel caso di specie, oltre a richiamare la consolidata giurispru-denza in materia sulla insussistenza dell’identità di oggetto e di titolo trattando-si di due procedimenti, quello di separazione e di divorzio, completamente auto-nomi, la Corte evidenziava la “diversità di struttura e finalità dell’assegno diseparazione rispetto a quello divorzile e la circostanza che la pronuncia sullaseparazione è destinata a perdere efficacia per effetto e con decorrenza dalla sen-tenza di divorzio.19

Questi orientamenti interpretativi, basati sulle norme di diritto internazionalecomune statuali, devono confrontarsi dal 1 marzo 2001 con il Regolamento euro-peo n. 1237/00 (cd. Bruxelles II) relativo alla competenza, al riconoscimento edall’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e potestà dei genitori suifigli di entrambi, a cui andrà ad applicarsi dal 1 marzo 2005 il Regolamento n.2201/03 (c.d. Bruxelles II bis), mutando il quadro giuridico dei paesi aderentiall’Unione Europea.In via di principio, i Regolamenti comunitari prevalgono20 -per quanto da essispecificatamente disciplinato nelle materie di loro competenza- sul diritto nazio-nale (creando così nell’ambito di applicazione ratione materiae uno spazio giu-ridico europeo comune a tutti gli stati dell’Unione con l’eccezione dellaDanimarca)e sulle convenzioni internazionali sia quelle concluse tra due o più

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

16 Cass. S.U. 27 novembre 1998, cit.; Cass. S.U. 20 ottobre 1995 n. 10935, in Fam. Dir. 1996, 18.17 Trib. Milano 27 febbraio 2002, in Riv. dir. int. priv. proc., 2002,1041.18 Cass. S. U. 20 ottobre 1995 n. 10935, cit.19 Cass.S.U. 20 luglio 2001 n. 9884 con nota Conti, Le Sezioni Unite tra passato e futuro sulla litispen-

denza internazionale in materia di separazione e divorzio, in Fam.dir. 2002, 1320.20 I regolamenti comunitari hanno efficacia diretta secondo quanto stabilito dall’art. 249 del Trattato

istitutivo della Comunità Europea e del relativo ordine di esecuzione l. 14 ottobre 1957 n. 1203.

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Stati membri (art.36) che quelle esplicitamente indicate all’art. 3721, che invececontinuano a sopravvivere nei rapporti con gli Stati terzi oltre che con la stessaDanimarca.Quanto al sistema convenzionale internazionale, bilaterale ovvero multilaterale,questo prevale sulle norme statuali interne secondo il disposto dell’art. 2 dellalegge 218/95 (“le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applica-zione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”).Sul piano convenzionale internazionale si segnala la Convenzione dell’Aja del 5ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e la legge applicabile in materia diprotezione dei minori.22

Oltre a stabilire norme di conflitto uniformi e ad indicare i presupposti per ilriconoscimento e l’efficacia in uno Stato delle sentenze straniere23, il testo con-venzionale individua24 nella residenza abituale del minore il titolo principale diattribuzione della giurisdizione25, titolo anche da ultimo ribadito in una comples-sa vicenda che, per quello che qui interessa, può essere così sintetizzata.Un cittadino italiano aveva divorziato in Egitto da una cittadina egiziana e lasentenza, trascritta in Italia, nulla disponeva circa il regime affidativo dei mino-ri, contenuto invece in un separato atto pubblico che prevedeva l’affidamento deiminori al padre con regolamentazione delle modalità di incontro con la madre.Nel giudizio instaurato dal padre cittadino italiano ex art. 9 della legge divorzi-le volto a chiedere l’affidamento dei figli, il Tribunale di Rovigo riteneva sussi-stente la giurisdizione italiana in forza del rinvio contenuto nell’art. 42 dellalegge 218.95 al testo convenzionale, sulla considerazione della circostanza chela residenza abituale dei minori si trovava in Italia26.La sentenza si muove in linea con l’orientamento anche della giurisprudenza dilegittimità, ribadito in diverse occasioni27, secondo il quale l’ampia dizione(“adottare misure tendenti alla protezione della... persona e dei… beni) contenu-ta nella norma pattizia, consente che vi siano compresi anche i provvedimentiriguardanti l’affidamento.

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21 Convenzione dell’Aja, del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabilein materia di protezione dei minori; Convenzione del Lussemburgo, dell’8 settembre 1967, sul rico-noscimento delle decisioni relative al vincolo matrimoniale; Convenzione dell’Aja, del 1 giugno1970, sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali; Convenzione europea, del 20maggio 1980, sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei mino-ri e di ristabilimento dell’affidamento; Convenzione dell’Aja, del 19 ottobre 1996, sulla competen-za giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento e l’esecuzione, in materia di potestà deigenitori e di misure per la tutela dei minori purché il minore abbia la residenza abituale in uno stato.

22 Per l’Italia lo strumento pattizio rileva sia in quanto ratificato che in quanto espressamente richiama-to dall’art. 42 della legge 218.95 relativo alla giurisdizione ed alla legge applicabile in materia diprotezione minorile.

23 La Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 resa esecutiva con legge 24 ottobre 1980 n.742 è inter-nazionalmente in vigore oltre all’Italia, a: Austria, Cina (esclusivamente per il territorio di Macao),Francia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi-Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna,Svizzera e Turchia.

24 Art. 1: le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello stato di residenza abituale di un minoresono competenti, salvo le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso della presenteConvenzione, ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni.

25 L’art. 15 del testo convenzionale prevede la possibilità che uno Stato riservi la competenza a prov-vedere alle misure di protezione del minore, alle autorità che si pronunciano sulla domanda di sepa-razione e di divorzio.

26 Trib. Rovigo, decreto 12 novembre 2003, in Fam.dir., 2004, 179.27 Cass. S.U. 9 gennaio 2001.

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Anche in questa vicenda il provvedimento affronta la questione della litispen-denza internazionale. La convenuta si era costituita nel giudizio radicato in Italiaeccependo la litispendenza internazionale in quanto era radicato in Egitto un pro-cedimento contro l’ex- marito volto ad ottenere l’ affidamento a suo favore.Poiché l’eccezione sollevata impone al giudice di sospendere il giudizio solo seil provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, nelnostro caso il provvedimento egiziano non avrebbe potuto aver effetto in Italiaper carenza di giurisdizione, non sussistendo titolo affinché la giurisdizione egi-ziana potesse ritenersi competente. A giudizio del Tribunale la competenza giu-risdizionale, nel caso trattato, va individuata esclusivamente dai criteri indicatidalla Convenzione, a nulla rilevando quelli generali previsti dall’art. 3, in consi-derazione del richiamo convenzionale “in ogni caso operato” dall’art. 42.

IL RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE STRANIERE

La disciplina della litispendenza internazionale trova il suo completamento nelriconoscimento in Italia dei provvedimenti emessi dall’autorità straniera, che

prevede, in linea di principio, l’automatico riconoscimento del provvedimentostraniero28 con valenza di giudicato, riservando l’instaurazione del procedimentodelibativo allorquando vi sia l’inottemperanza, ovvero la contestazione del rico-noscimento o la necessità di procedere ad esecuzione forzata29; tuttavia, il coor-dinamento tra le norme relative al riconoscimento automatico (art. 6430, art. 6531

e 6632) non è di immediata comprensione.L’art. 64 fa riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere stabilendopresupposti non dissimili da quelli previsti dalla disciplina abrogata (la sussi-stenza della competenza del giudice straniero33, oltre alla garanzia del diritto alladifesa, rispetto del principio del contraddittorio, insussistenza del contrasto digiudicati, non contrarietà all’ordine pubblico). Il successivo art. 65 circoscrive,rationae materiae, la portata del riconoscimento ai provvedimenti relativi allacapacità delle persone, all’esistenza di rapporti di famiglia e ai diritti della per-sonalità e richiede un quid pluris non previsto dall’art. 64, stabilendo che i prov-vedimenti debbano provenire dall’autorità dello Stato (ovvero, se provenienti dauno Stato terzo produrre effetti in quello Stato) la cui legge disciplina il rappor-

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28 App. Venezia 14 novembre 1997 in Riv. dir. int. priv. proc., 1998, 951.29 “La ragione di innovare, rispetto al regime del 1942, deriva dal proposito di semplificare il control-

lo, che deve dar luogo ad un provvedimento del giudice solo quando le parti dissentano intorno allaefficacia in Italia della sentenza straniera, mentre nel caso di efficacia riconosciuta anche spontanea-mente dalle parti non vi è ragione di instaurare un apposito processo”, Relazione al disegno di legge,in Pocar, op. cit., 196.

30 Riconoscimento di sentenze straniere.31 Riconoscimento di provvedimenti stranieri.32 Riconoscimento di provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione.33 Cass. 16 novembre 1987 n. 8375 “in ordine all’accertamento della competenza giurisdizionale del

giudice straniero, la Corte di Cassazione non ha gli stessi poteri di indagine sui presupposti di fattodella giurisdizione o della competenza che le sono riconosciuti dall’ordinamento in relazione alladeterminazione della giurisdizione e della competenza degli organi giurisdizionali nazionali, madeve limitarsi a controllare se il giudice della delibazione abbia osservato le forme relative a quelgiudizio, con la conseguenza che le è inibito il riesame delle prove documentali prodotte davanti aquel giudice, per procedere ad una nuova ed autonoma valutazione di esse, essendo vincolanti gliapprezzamenti espressi dal giudice nel merito, sempre che siano sorretti da motivazione congrua edimmune da vizi logici ed errori di diritto.Conforme a Cass. 4 marzo 1980 n. 1436, Giust. Civ Mass. 1980, 619.

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to in contestazione secondo i principi del diritto internazionale privato italiano,oltre che richiedere il rispetto delle garanzie defensionali e la non contrarietàall’ordine pubblico.Similmente l’art. 66 disciplina il riconoscimento dei provvedimenti di volonta-ria giurisdizione in quanto “immediatamente costitutivi di situazioni giuridichemateriali”.In estrema sintesi, sono individuabili due diverse posizioni interpretative, purtalvolta diversamente articolate al loro interno: la prima34 fa prevalere l’art. 65 inforza della specialità per materia sull’art. 64, norma ritenuta di portata generale;la seconda prospettazione,35 maggioritaria, fa leva sulla necessaria complemen-tarietà e compenetrazione tra le due norme “posto che l’operatività dell’ art. 65è circoscritta ai provvedimenti adottati nello Stato la cui legge è richiamata dallenorme della presente legge e mira a configurare, così come l’art. 66 relativo aiprovvedimenti di volontaria giurisdizione, un percorso ulteriormente semplifica-to rispetto all’art. 64, riferendosi prevalentemente a situazioni quasi totalmenteinterne ad un orientamento straniero”36, così come avviene, ad esempio, per lapronuncia di divorzio tra cittadini svizzeri resa in Svizzera anche se il loro matri-monio sia stato celebrato in Italia.La questione interpretativa ha un notevole rilievo pratico.Accogliendo la prima soluzione, si giunge a non dare rilievo in Italia alla pro-nuncia straniera di divorzio e di separazione che, pur in presenza dei requisiti dicui all’art. 64, sia però carente sotto il profilo del criterio di collegamento daparte del nostro diritto internazionale privato così come richiesto dall’art. 65: invia esemplificativa non potrà produrre effetto in Italia la sentenza straniera didivorzio riguardante due cittadini pronunciata secondo la lex fori.Se si aderisce alla seconda interpretazione, si perviene ad un ampliamento delleipotesi di riconoscimento data dal sommarsi degli effetti dell’una e dell’altranorma, prescindendo dalla competenza dell’organo straniero ovvero dalla leggeapplicata.In ogni caso, le divergenze tra le due impostazioni scompaiono, per escluderel’operatività dell’art. 65, quando le norme di conflitto italiane vadano a designa-re in forza dei criteri di collegamento come competente la legge italiana.Merita segnalare una pronuncia della Corte d’ Appello di Milano37, dove sisostiene che “il disposto dell’art. 65 imponga di ritenere che, in mancanza di trat-tati bilaterali, il riconoscimento di un provvedimento straniero di divorzio di cit-tadini italiani sia escluso laddove ricorra la triplice condizione che le parti aves-sero al tempo del divorzio esclusivamente la cittadinanza italiana, che il giudicea quo abbia applicato il diritto straniero e che, se avesse applicato il diritto ita-liano, avrebbe dovuto negare la pronuncia di divorzio”.

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34 BARATTI, Sentenza straniera, in Digesto discipline privatistiche, Sez. civ. XVIII, Torino 1998; SINAGRA,Riconoscimento ecclesiastico in Italia degli atti giurisdizionali stranieri in materia di diritto di fami-glia, in Dir. Fam. Pers., 1997, 659.

35 BALLARINO, Diritto int. op. cit., Padova 1999, 169; PICONE, Sentenza straniere e norme italiane diconflitto, in La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova 1998, 477ss.; DI STEFANO,Il matrimonio nel nuovo diritto internazionale privato, Riv. dir. int. priv. proc., 1998, 369-370;PICONE, L’art. 65 della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato ed il riconoscimen-to delle sentenze straniere di divorzio, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 385 s.s.

36 MOSCONI con collaborazione CAMPIGLIO, Diritto Internaz. Priv. proc., 2001, 222.37 App. Milano, 27 marzo 1998, n. 884, in Fam. dir. 1999, 151 con nota critica di Frigessi di Rottala M.

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Nella maggior parte dei casi la giurisprudenza38 non pone esplicitamente la que-stione, aderendo così, implicitamente, all’indirizzo che evidenzia un rapporto dicomplementarietà tra le due norme, in chiara valorizzazione del principio del-l’automatico riconoscimento, limitandosi a verificare la sussistenza dei presup-posti richiesti dalla legge.Un cenno va dato alla opponibilità dell’ordine pubblico, in particolare quandoriguardi i provvedimenti di scioglimento del vincolo matrimoniale resi dall’au-torità straniera.Per dar conto del rapido evolversi della giurisprudenza anche di merito basti segna-lare due provvedimenti di segno opposto ed intervenuti a distanza di dieci anni.Per contrasto con l’ordine pubblico non veniva delibato un accordo di divorziostipulato tre le parti ed omologato dal Tribunale Rabbinico nel rispetto del dirit-to israeliano, in quanto fondato su una mera scelta dei coniugi espressa in formadi contratto e con dichiarazioni di consenso poste in essere davanti al giudice39.Al contrario, in una vicenda matrimoniale riguardante due cittadini italiani cheavevano divorziato in Sud-Africa, il Giudice non ravvisava la contrarietà delprovvedimento straniero all’ordine pubblico, in quanto la pronuncia di divorzioper incompatibilità di carattere era basata su dichiarazione di intenti resa avantiil Giudice sudafricano40.Allo stato attuale è consolidato l’indirizzo che ritiene che l’unico principio fon-damentale ed irrinunciabile stabilito nel nostro ordinamento per lo scioglimentomatrimoniale sia costituito dall’irreversibile dissoluzione del vincolo coniugale41.Per quanto attiene l’efficacia nel nostro ordinamento del ripudio di diritto isla-mico, istituto atto a sciogliere il matrimonio, la giurisprudenza, sia di merito eche di legittimità, è concorde nell’opporre il limite dell’ordine pubblico in quan-to atto unilaterale affidato alla mera discrezionalità del marito, non assoggettatoad alcun controllo od omologa da parte degli organi giudiziari, bastando la meracertificazione della volontà del marito da parte dell’autorità religiosa.42

Alle mogli italiane ripudiate è offerto lo strumento divorzile che consente (art. 3 n.2 lettera e) la proposizione della domanda di divorzio in Italia quando l’altro coniu-ge abbia ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio.Considerazioni diverse devono, invece, svolgersi sul ripudio ebraico (Ghet):l’indirizzo giurisprudenziale è più articolato. Accanto al provvedimento sopraricordato, numerose sono le pronunce favorevoli al riconoscimento nel nostroordinamento.Infatti “il vaglio, attraverso il quale necessariamente passa l’iniziativa del ripu-diante, garantisce che allo scioglimento del vincolo si addivenga non già per l’i-niziativa unilaterale ed incontrollata43 ma a seguito dell’accertamento, da parte di

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

38 App. Milano 13 marzo 1998, Riv. dir. int. priv. proc., 1999, 570.39 App. Milano 26 maggio 1989, in Riv. dir. int. priv. proc., 1990, 669.40 App. Bologna n. 584, 7 giugno 1999.41 Cass. 17 marzo 1993, n. 3190. La giurisprudenza della Suprema Corte ha progressivamente ristret-

to il concetto di ordine pubblico ridefinendone il nucleo nel “complesso dei principi fondamentaliche caratterizzano la struttura etico sociale della comunità nazionale in un determinato momentostorico e delle regole inderogabili poste dalla costituzione e dalle leggi immanenti ai più importantiistituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo” Cass. 28 maggio 1993 n. 5954, in Giur. it.,1994, I, 1, 1216.

42 Trib. Roma 2 gennaio 2003, cit.43 App. Firenze 20 luglio 1976, in Riv. dir. int. priv. proc., 1977, 5.

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un organo ufficiale di giustizia, dell’esistenza di motivi che rendono non piùcomponibile il dissidio tra i coniugi”.Così, sommariamente, il quadro normativo delineato dagli artt. 64 e seguenti peril riconoscimento del provvedimento straniero, la cui formulazione ha resonecessaria l’emanazione di una Circolare del Ministero di Grazia e di Giustizia44

che ha provveduto ad emanare le istruzioni relative alla trascrizione, iscrizioneod annotazione del provvedimento straniero.Anche relativamente al riconoscimento delle pronunce straniere, la norma didiritto comune arretra di fronte ai Regolamenti comunitari -per quanto da questispecificatamente disciplinato- che a loro volta prevalgono sulla Convenzionedell’Aja del 1 giugno 1970 sul riconoscimento dei divorzi e delle separazionipersonali45 la quale, rationae materiae, limita l’ambito applicativo alla mera pro-nuncia sul vincolo coniugale, restando esplicitamente escluse le disposizionirelative alle colpe, misure o condanne accessorie e le decisioni concernenti ifigli46.

LA LEGGE APPLICABILE AI RAPPORTI DI DIRITTO DI FAMIGLIA

Adifferenza della disciplina previgente contenuta nelle disposizioni sulla leggein generale, le questioni relative ai conflitti di legge trovano nella legge

218/95 una previsione più analitica e specifica.Occorre ricordare come la disciplina regolamentare comunitaria non investa lequestioni relative alla legge applicabile ai rapporti di famiglia che continuano adessere disciplinate dai diritti nazionali, dunque dalle relative norme di dirittointernazionale privato (per quanto riguarda l’Italia dalla legge n. 218/95) e dalleConvenzioni internazionalmente in vigore per i singoli Stati.Nella disciplina dei rapporti di diritto familiare la cittadinanza assume un rilie-vo notevole, tanto da costituire il criterio principale di individuazione della leggeapplicabile per risolvere, tra l’altro, le questioni relative ai rapporti tra coniugi.Pur distinguendo i rapporti personali (art. 29)47 da quelli patrimoniali (art. 30)48,i criteri di collegamento sono non solo comuni ad entrambe le categorie -riser-vando ai soli rapporti patrimoniali un terzo criterio pattizio- ma quello della cit-tadinanza comune prevale su quello sussidiario della prevalente localizzazione

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44 Circolare Ministero Grazia e Giustizia del 7 gennaio 1997 n 1/50/Fg/29, in Guida al diritto, 1997.45 Convenzione dell’Aia, 1 giugno 1970 sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni coniugali,

entrata in vigore internazionalmente per l’Italia il 20 aprile 1986: aderiscono Australia, Cina (esclu-sivamente per la regione amministrativa speciale di Hongkong), Cipro, Danimarca, Egitto, Estonia,Finlandia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi-Bassi, Polonia, Portogallo, Regno-Unito, Repubblica Ceca,Slovacchia, Svezia, Svizzera.

46 Art. 1 Convenzione del 1 giugno 1970.47 Art. 29: Rapporti personali tra coniugi. I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge

nazionale comune. I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanzecomuni sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente loca-lizzata.

48 Art. 30, rapporti patrimoniali tra coniugi. I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla leggeapplicabile ai loro rapporti personali. I coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rap-porti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nelquale almeno uno di essi risiede. L’accordo dei coniugi sul diritto applicabile è valido se è conside-rato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l’accordo è stato stipulato. Il regime dei rap-porti patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera è opponibile ai terzi solo se questi neabbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa. Relativamente ai diritti reali su beniimmobili, l’opponibilità è limitata ai casi in cui siano state rispettate le forme di pubblicità prescrit-te dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano.

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della vita matrimoniale.Occorre fare cenno al meccanismo del rinvio, previsto per la prima volta con ilimiti di cui all’art. 1349, che consente di riferirsi non solo alle norme materiali,ma anche alle norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento stranierodi volta in volta richiamato, anche se queste ultime possano produrre un rinviodall’ordinamento straniero a quello di un altro Stato, assumendo la forma del“rinvio altrove” ad un ulteriore ordinamento, ovvero del “rinvio all’indietro”,nuovamente verso il diritto italiano.Si può, dunque, affermare che, nell’ipotesi in cui due coniugi svizzeri domicilia-ti in Italia, la legge applicabile sia quella italiana in quanto l’art. 29 rimanda aldiritto svizzero, ma l’art. 48 della legge svizzera di d.i.p. rinvia al diritto italia-no, quale Stato del domicilio comune.50

In materia familiare il rinvio opera in relazione ai rapporti personali tra i coniu-gi (art. 29), alla legge applicabile alla separazione e al divorzio (art.31), all’ado-zione e rapporti tra adottato e famiglia adottiva (art.39).Per quanto l’art. 29 non preveda alcun riferimento temporale, non dovrebbeesserci dubbio che debba farsi riferimento all’attualità, cioè a quella cittadinan-za comune nel momento in cui la questione si pone avanti al Giudice, al PubblicoUfficiale e così via.51,Quando invece il criterio della cittadinanza non possa applicarsi perché i coniu-gi non abbiano più una cittadinanza comune, ovvero in quanto abbiano più citta-dinanze comuni52, il legislatore è ricorso all’inedito criterio della “prevalentelocalizzazione della vita matrimoniale”, che si applica in via sussidiaria per indi-viduare la legge applicabile ai rapporti personali (art. 29) e a quelli patrimonialidei coniugi (art. 30), nonché alla legge applicabile ai procedimenti di separazio-ne personale e di scioglimento del matrimonio (art.31).Il riferimento ad un criterio dinamico53 “introduce un elemento di flessibilità chepermette al giudice di determinare la legge applicabile attraverso una valutazio-ne delle circostanze di ciascuna fattispecie”.Il legislatore non fornisce alcuna presunzione e nemmeno individua degli indicisintomatici e rivelatori della localizzazione della vita matrimoniale, tanto è veroche la relazione ministeriale54 suggerisce di prendere in considerazione e di tene-re “conto, comparativamente, sia della natura che della durata delle connessioniatte a determinare tale localizzazione”. Si dovranno esaminare tutte le circostan-

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

49 L’art. 13 dispone che si tenga conto del rinvio operato dal d.i.p. straniero (vale a dire quel dirittoappartenente all’ordinamento al quale il giudice italiano è indirizzato da una nostra norma di con-flitto al diritto di un altro Stato):a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio (c.d. rinvio altrove accettato) ovverob) se si tratta di rinvio alla legge italiana. In tema di filiazione il rinvio si applica solo in favorem inquanto conduca alla costituzione del rapporto di filiazione.Non si tiene invece conto del rinvio:1) nei casi in cui le disposizioni della presente legge rendono applicabile la legge straniera sulla basedella scelta effettuata in tal senso dalle parti interessate (art. 30);2) in relazione alla forma degli atti;3) nelle obbligazioni non contrattuali.

50 Per riprendere un’esemplificazione di BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova 1999, 422 e seg.51 BALLARINO, op. cit., 416 ss.52 CONTRA G. CONETTI, Riforma del sistema di diritto internazionale privato, in Le nuove leggi civ.

comun., 1996, 1173, quando i coniugi abbiano una doppia cittadinanza.53 POCAR F, op. cit., 52.54 Relazione al disegno di legge, 1617, in Riv. dir. int. priv. proc.

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ze quantitative e qualitative (quali il luogo ove si trovano abitualmente i coniu-gi ed i figli, la localizzazione dei beni di proprietà della famiglia e così via) inmodo da considerare come prevalente la localizzazione in quello Stato ove si rin-vengono le circostanze più numerose o più significative in relazione alla vitafamiliare.Rimane il fatto che, in concreto, il criterio si presta ad una discrezionalità cosìampia da far nascere difficoltà interpretative soprattutto in quelle ipotesi in cuinon vi sia una vita matrimoniale impostata secondo criteri tradizionali, destina-ta a complicarsi ulteriormente allorquando i coniugi vivano separati di fatto. Talidifficoltà sono destinate ad accrescersi nelle separazioni e nei divorzi, conside-rato che il criterio della prevalente localizzazione della vita matrimoniale èespressamente richiamato per disciplinare tali istituti.Poiché sussistono legislazioni ove la disciplina dei rapporti tra i coniugi èimprontata ad una disparità a favore del marito -quando non ad vera e propriaincapacità di agire della donna coniugata- (quali ad esempio la necessità dell’au-torizzazione maritale ad acquistare determinati beni, il divieto di svolgere attivi-tà lavorativa per la donna, il potere del marito di controllare la corrispondenza),tali disposizioni non possono trovare ingresso in Italia, stante il contrasto conl’ordine pubblico per violazione delle norme costituzionali (artt. 3, 29).Nell’ipotesi che la contrarietà all’ordine pubblico riguardi la legge applicabile inforza del criterio della cittadinanza comune dovrà farsi riferimento al criteriosussidiario della prevalente localizzazione matrimoniale e solo in via residuale,secondo quanto previsto dall’ art. 16 della legge 218.95, soccorre la lex fori.I criteri comuni agli artt. 29 e 30 sono stati riproposti all’art. 31 riguardante la“legge applicabile per il divorzio e per la separazione”.Va rilevato come la norma nulla preveda circa la legge applicabile per l’annulla-mento e la nullità del matrimonio, per quanto l’articolo immediatamente succes-sivo regolamenti l’invalidità matrimoniale quando si tratti di stabilire i titoli spe-ciali aggiuntivi della giurisdizione. In mancanza di una specifica previsione, ladisciplina va desunta tramite interpretazione sistematica.Per quanto attiene i vizi inerenti la forma del matrimonio, il riferimento norma-tivo viene individuato nell’art. 28 improntato al favor matrimoni con le indica-zioni di ben tre criteri concorrenti, in via alternativa, al favor matrimoni: il luogodi celebrazione matrimonio, la legge nazionale di almeno uno dei coniugi almomento della celebrazione ovvero la legge dello Stato di comune residenza intale momento.Per i vizi riconducibili alla sostanza del matrimonio il riferimento è invece rappre-sentato dall’art. 27: fatta salva l’eventualità che lo stato libero derivi da un giudi-cato italiano o riconosciuto in Italia, l’esistenza di eventuali impedimenti e le loroconseguenze sono da valutare in base alle leggi degli Stati di cui i coniugi eranocittadini al momento della domanda ovvero alle leggi cui queste rinviano.La giurisprudenza ritiene, comunque, che il matrimonio celebrato all’estero daun cittadino italiano sia da considerarsi valido sino a quando non intervenga unapronuncia: salva l’eccezione dell’ordine pubblico non se ne possono disconosce-re gli effetti nel nostro ordinamento55.Un diverso profilo interpretativo, relativo alla portata dell’articolo 31, attienealla legge applicabile alle domande avanzate in giudizio, oltre alla domanda

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55 Cass. 2 marzo 1999, n. 1739, con nota Zambrano, in Fam. Dir. 1999, 329.

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principale sulla sorte del vincolo coniugale, potendosi delineare due contrappo-ste interpretazioni.Un orientamento delimita la portata dell’art. 31 alle sole domande riguardanti lasorte del vincolo, con esclusione di ogni domanda accessoria e conseguente: lalegge applicabile secondo i dettami dell’art. 31 va a disciplinare solamente imotivi della separazione e del divorzio, i soggetti legittimati, i presupposti del-l’addebito, il cognome della donna maritata.Per le altre questioni dovrà farsi riferimento alla specifica norma prevista per ilrapporto giuridico dedotto con la singola ulteriore domanda.Quindi, le questioni relative al mantenimento sono attratte dalla disciplina pre-vista dalla Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile alle obbligazioni ali-mentari56, peraltro richiamata dall’art. 45; per quelle relative all’affidamento deifigli ed alle modalità di visita del genitore non affidatario vale come criterio dicollegamento la nazionalità del figlio delineato dall’ art. 36 ovvero, secondoaltri, vale l’art. 42, che ha recepito la Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961relativa alla protezione del minore.Al contrario ragioni di sistematicità e di coerenza nella valutazione di una mede-sima vicenda fattuale vengono invocate nell’estendere la portata normativa del-l’art. 31 a tutte le domande accessorie usualmente proposte in occasione delladomanda principale relativa alla sorte del vincolo coniugale, ciò oltretutto inmancanza di una norma che disponga in senso contrario. In questo modo l’art. 31va a individuare la legge applicabile all’intera vicenda coniugale sotto tutte ledomande e gli aspetti giuridici prospettati al giudice.Si potrebbe intravedere nell’articolo in commento una norma comprensiva delladisciplina di tutte le questioni portate innanzi al giudice, tendendo a creare unasorta di statuto della separazione e del divorzio, andandovi pertanto a ricompren-dere anche tutte le questioni accessorie, tanto più che i criteri delineati dall’art.31 sono gli stessi previsti in materia di rapporti personali e patrimoniali tra iconiugi.L’argomento testuale viene colto nella Convenzione dell’Aja 1973 ove all’art. 8si prevede, per quanto attiene l’individuazione della legge applicabile, che leobbligazioni alimentari tra coniugi debbano essere regolate dalla legge applica-bile alla separazione ed al divorzio quando siano proposte in occasione di questigiudizi.A quest’ultimo filone interpretativo aderisce una recente pronuncia di meritosecondo la quale “se così non fosse, la disposizione dell’art. 31 avrebbe un rilie-vo marginale, dovendosi limitare alla mera pronunzia di separazione e di adde-bito. Si potrebbe così verificare l’incongruenza di dover applicare alla medesimavicenda fattuale da un lato la legge nazionale dei coniugi o la legge dell’ordina-mento di rinvio per regolare la pronunzia di separazione, dall’altro la leggenazionale del minore, eventualmente diversa, a regolare l’affidamento e l’obbli-go al mantenimento dei minori”57.Merita, infine, segnalare una pronuncia di merito che ha esplicitamente affronta-to una ulteriore questione attinente all’art. 31: se sia da applicarsi, quanto ai pre-

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

56 Convenzione dell’Aja sulle obbligazioni alimentari del 2 ottobre 1973 ratificata con legge 24 otto-bre 1980 n.745: è in vigore oltre che per l’Italia,per Estonia, Francia, Germania, Grecia, Giappone,Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Turchia.

57 Trib. Reggio Emilia, 4 aprile 2001, n. 444

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supposti del divorzio, la legge italiana, la quale prevede, in genere, il giudicatosulla separazione. Dopo aver ritenuto la sussistenza della giurisdizione italianaex artt. 3 e 32 in un procedimento di divorzio promosso da una cittadina albane-se contro il coniuge anch’esso albanese ma residente in Italia, il giudice ritene-va -stante la comune cittadinanza- di applicare il codice di famiglia albanese, cheprevede il divorzio per maltrattamenti senza che sia necessario richiedere pre-ventivamente la separazione.58

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58 Trib. Tivoli, 14 novembre 2002 in Riv. dir. int. priv. proc., 2003, 534; Trib. Napoli 26 aprile 2000,in Giur. napoletana 2000, 466.

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I l quadro della normativa internazionale nel diritto di famiglia è sempre piùcomplesso.

La Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione dei minori dell’Aja25/10/1980, ratificata in Italia unitamente alla convenzione Lussemburgo20/5/1980 con la Legge 64/94, contiene, come è noto, la normativa finalizzata aporre rimedio al fenomeno degli illeciti trasferimenti all’estero dei minori o delloro illecito mancato rientro nella residenza abituale.Essa è dunque uno strumento di attuazione e di rispetto dei provvedimenti diaffidamento e di visita emessi nei singoli stati.Il punto problematico di tale normativa è che la Convenzione detta al suo inter-no proprie definizioni dei diritti tutelati, con riferimento esclusivamente allasituazione di fatto relativa al momento dell’illecito.L’art.3 della Convenzione definisce l’illiceità del trasferimento o del mancatorientro di un minore con riferimen-to alla violazione del diritto di“custodia”, identificato secondo lalegislazione dello stato di residenzaabituale del minore, e a condizioneche questo fosse “effettivamente”esercitato dal titolare, individual-mente o congiuntamente.Al successivo art.5 la Convenzionedefinisce “il diritto di affidamento”come il diritto di prendersi “cura”del minore e in particolare di deci-dere il suo luogo di residenza, e il“diritto di visita” come quello dicondurre il minore altrove dalluogo di residenza “abituale” per unperiodo limitato di tempo.La configurazione del diritto pro-tetto è dunque autonoma rispettoalle normative interne, tanto che lagiurisprudenza ha più volte affer-mato che il concetto di trasferimento illecito ai sensi della convenzione dell’Ajaprescinde totalmente dal titolo formale di affidamento.Anche di recente il principio è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione con lesentenze 14/2/04 n. 2894 e 10/2/04 n. 2474.Da ciò evidentemente consegue che per effetto dell’applicazione dellaConvenzione i poteri connessi ai diritti di affidamento e di visita subiscono opossono subire un mutamento interpretativo e/o attuativo rispetto alle normativeed ai provvedimenti interni.In un caso di recente deciso, in prima e seconda istanza, dall’AutoritàGiudiziaria tedesca (Amstergericht Munchen 16/12/03 - OberlandesgerichtMunchen 19/1/04) ad esempio, in regime di affidamento esclusivo dei minorialla madre, essendosi questa trasferita con gli stessi dall’Italia in Germania, èstata dichiarata la legittimità dell’opposizione del padre, riconoscendo allo stes-so il diritto di partecipare alla decisione di un eventuale spostamento della resi-

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

NICOLETTAMORANDIAVVOCATO DEL FORO DI

ROMA

DIRETTIVO NAZIONALE

AIAF

L’AFFIDAMENTO DELFIGLIO MINORE

E IL DIRITTO DI VISITATRA DIRITTO

INTERNAZIONALE EDIRITTO INTERNO

ARTICOLO PUBBLICATO SU LA RIVISTA DELL’AIAF, N. 2/2004, P. 24

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denza dei minori, in virtù di una clausola dell’accordo di separazione intercorsotra i coniugi la quale prevedeva espressamente in capo al padre il diritto di esse-re consultato su eventuali trasferimenti dei figli.L’Autorità giudicante afferma con riferimento a tale diritto di consultazione cheesso “ genera una titolarità congiunta del diritto di affidamento ai sensi dell’art.3della Convenzione”.In un altro caso la Corte di Cassazione con la pronuncia 2 marzo 2000 n.2309,ha negato l’applicazione della Convenzione dell’Aja con riferimento ad unamadre residente in Svezia e affidataria del minore, che aveva denunciato il man-cato rientro del figlio dopo il periodo concordato di vacanze in Italia con ilpadre. La Corte ha affermato che la madre nel momento della richiesta tutela nonesercitava il diritto di affidamento perché a causa di momentanee difficoltà per-sonali aveva affidato il figlio ad una famiglia di appoggio. La normativa svede-se, nel prevedere taÿle possibilità, non riconnette ad essa, d’altra parte, effettilimitativi della potestà genitoriale.Ma per la Convenzione, appunto, ciò che rileva non è la titolarità del diritto,bensì il suo effettivo esercizio, con l’evidente effetto, come in questo caso, direndere indifferente il diritto di affidamento riconosciuto dalla norma interna.La Convenzione dell’Aja è, d’altra parte, coerente alla sua premessa, rappresen-tata da “lo scopo esclusivo di tutelare l’affidamento quale situazione di merofatto da reintegrare con l’immediato rientro del minore nel proprio Stato di resi-denza abituale” (Cass. n. 2474/04).Ciò nondimeno, come si è visto, non può negarsi che esista una necessità di coor-dinamento e di comparazione con il diritto interno.Questo numero della rivista è interamente dedicato al recente convegno tenutosia Roma il 20/21 maggio 2004 su “Il diritto internazionale privato di famiglia”.Il Convegno ha riservato ai Regolamenti Bruxelles II e II bis un’ampia trattazione.Essi come è noto disciplinano la competenza, il riconoscimento e l’esecuzionedelle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitorialeall’interno della Comunità europea.È interessante constatare come nella Convenzione dell’Aja e nei Regolamenti laconfigurazione dei diritti qui trattati sia assai simile.E così il regolamento Bruxelles II bis, all’art. 2 individua il diritto di affidamen-to né “i diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore”, in parti-colare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza(n. 9); il diritto di visita nel “in particolare il diritto di condurre il minore in unluogo diverso dalla residenza abituale per un periodo limitato di tempo” (n. 10).Si può dunque constatare che anche nel disciplinare finalità diverse da quellerelative alla Convenzione dell’Aja e di cui sopra (il ristabilimento immediato diuna situazione di fatto), le norme internazionali tendono a conferire ai diritti diaffidamento e di visita contenuti, e dunque poteri, che non solo prescindono daicontenuti delle normative interne, ma spesso si pongono, come per il diritto ita-liano, con esse in forte dissonanza.I contenuti di cui sopra infatti non hanno nessuna rispondenza negli istituti deldiritto di affidamento e di visita disciplinati dal nostro articolo 155 c.c.. I conte-nuti, alcuni contenuti, si identificano con il diritto.C’è qui, ci sembra, una forte asimmetria di cultura giuridica.Come è stato autorevolmente osservato nel corso del nostro Convegno (relazio-ne dott. Alfio Finocchiaro) il preminente carattere di unione economica che

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l’Unione Europea ha avuto fin dal suo sorgere, ha prodotto una legislazione tesaessenzialmente a realizzare l’integrazione economica.Solo in seguito si è ravvisata la necessità che anche al fine di realizzare unaeffettiva integrazione economica era necessario avviare una cooperazione tra iPaesi in tutti i campi, ivi compreso il diritto di famiglia.Precisa acutamente il dott. Finocchiaro nella sua relazione che tale necessità sca-turisce dalla evidente interdipendenza tra l’aspetto economico dell’Unione e ildiritto di famiglia: “è evidente, egli scrive, che un soggetto può essere fortemen-te condizionato nella decisione di spostarsi da uno stato all’altro dell’Unione se,a seguito di detto spostamento, non gli venissero garantiti i diritti e gli status dicui risulta titolare nel paese di provenienza”.Ma allora ci viene da osservare, per tutte le considerazioni sopra fatte, che iprovvedimenti esaminati garantiscono in modo imperfetto la tutela enunciata,posto che il diritto riconosciuto nel proprio Stato rischia, in sede di attuazioneinternazionale, di subire un mutamento.Occorrerà, quindi, ancora riflettere su questo tema affinché le giuste esigenze delmondo della libera circolazione delle persone non si risolvano, anziché in unampliamento delle tutele, in un loro ridimensionamento e/o snaturamento, ulte-riormente complicando, invece di favorire, l’esercizio dei diritti dei cittadini.

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5. DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E RELAZIONI FAMILIARI

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

6. FORMAZIONEPROFESSIONALE

E DEONTOLOGIADELL’ AVVOCATO

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La figura dell’avvocato quale mero difensore apud iudicem dei diritti delproprio assistito è sempre meno credibile nell’odierno contesto dellagiurisdizione, che richiede in maniera peculiare e rinnovata (alla ricerca

di deflazionare il contenzioso e della connessa esigenza di sottrarsi ai bibli-ci tempi del processo, da un lato; del diverso e più favorevole approccio cul-turale alla definizione della lite attraverso forme di componimento bonarioper il mezzo della mediazione professionale, dall’altro) l’esercizio del tradi-zionale sforzo -advocatus primus praetor- di comporre il conflitto prima esenza l’intervento giudiziale.Particolare enfasi, in tale ottica, assume l’attività di assistenza e consulenzadell’avvocato negli affari relativi ai diritti inferiti dal rapporto matrimonialein crisi e più in generale della famiglia, con riferimento, inispecie, ai dirittiprevalenti dei figli minori.Si tratta, qui, di svolgere il proprio munus difensivo in una materia di estre-ma delicatezza, sia per relazionealla personalità dei diritti che alcoinvolgimento del bene comunedella società riguardato sub spe-cie della integrità della famiglia ocomunque del benessere materia-le e spirituale dei suoi componen-ti che sono, attraverso di essa, iprimi attori sociali.Si evidenzia per tale profilo l’ele-vata responsabilità dell’avvocatochiamato a dare il proprio apportodi specifica professionalità, nonsolo giuridica ma anche psicolo-gica e più generalmente di sensi-bilità umana, da declinare nonsecondo schemi prefissati e ste-reotipati -con funzione quasi notarile di semplice recepimento delle istanzedel cliente cui dover dare solo appropriata veste giuridica-, ma con elastici-tà flessibilità e capacità, prima di tutto, di ascolto, allo scopo di rendere unservizio quanto più vicino alle reali aspettative di chi chiede l’assistenza, ilconsiglio.Occorrerà, allora, sia preparazione remota che costante coltivazione dellapropria capacità di rendere il servizio professionale anche e soprattutto nellafase stragiudiziale, nella prospettiva di potere preventivamente definire lalite ovvero di potervi arrivare avendo già limitato il thema decidendum soloa quanto effettivamente meritevole della valutazione processuale.È il ricorrente tema della formazione che, in questo ambito, dice ancor piùdirettamente relazione alla “specializzazione”, nella accezione di rapportofra professionista, da un lato, e colui che attende il servizio di giustizia, intermini di assistenza e consulenza legale ovvero di affermazione giudizialedei diritti, dall’altro, nella chiave di una sempre maggiore adeguatezza dellarisposta, in termini appunto di servizio, alla relativa domanda di giustizia.Secondo tale prospettazione, è la stessa etimologia latina del servire che ciaiuta a cogliere lo spirito di obbedienza che chi è chiamato a dare quella

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

RENATOVENERUSOAVVOCATO DEL FORO DI

NAPOLI

VICE PRESIDENTE

ORGANISMO UNITARIO

AVVOCATURA

LA FORMAZIONEPROFESSIONALE

DELL’AVVOCATODI FAMIGLIA

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA DELL’AIAF, N. 1/2004, P. 31

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risposta deve avere ai termini della domanda, in capacità di ascolto, di com-prensione, di elaborazione del quesito, di espressione e significanza dellasoluzione a prospettarsi.La necessità ed il senso della specializzazione risiedono appunto nello sfor-zo di obbedienza alla domanda, cioè nella consapevolezza che solo l’adesio-ne quanto più precisa alla richiesta di giustizia è corretto pegno di una -alme-no in tesi- adeguata risposta.Specializzazione vuole conseguentemente dire formazione: formazione diaccesso, formazione permanente, correttezza comportamentale intesa comerispetto deontologico, cioè svolgimento della consecuzione essere - doveressere; in una parola, controllo di qualità del servizio nel senso di accerta-mento periodico del mantenimento ovvero del necessario accrescimentodelle conoscenze e delle abilità (appunto non solo tecniche ma anche com-portamentali e, finalmente, morali) dei soggetti della giurisdizione in vista digarantire una sempre maggiore qualità finale del prodotto giustizia.In questa prospettiva può avere un senso parlare di formazione comune amagistrati ed avvocati, non cioè per cassare le rispettive peculiarità distinti-ve che vanno anzi enfatizzate proprio perché specializzanti, ma per signifi-care il richiamo per entrambe le categorie ai medesimi principi di servizio edobbedienza alle istanze di giustizia su cui sono, nei rispettivi ruoli, chiama-ti a chinarsi con atteggiamento di umile ascolto e caritatevole risposta alreale storico e sociale.Specializzazione vuole pure, quindi, dire organizzazione ordinamentale elogistica, anzi nel nostro caso ri-organizzazione degli ordinamenti e degliuffici, cioè riforma dell’esistente, perché non più adeguato -o forse giammaitale-, senza tema di perdere rendite di posizione, senza atteggiamenti di con-servazione finalizzati alla migliore cura del proprio orticello, senza timore diprendere il largo e navigare nei mari procellosi dell’ignoto: agli inizi delterzo millennio, l’uomo pone a Dike domande sempre antiche nel loro aneli-to di giustizia, certamente nuove nella loro formulazione e diversità, cui nonpossiamo -come interpreti della dea interrogata- rimanere silenti.Si potrà e si deve discutere dei termini della riforma, si potrà o meno con-cordare con i progetti aperti al dibattito politico ed alla attività legislativa delParlamento, ma, certo, non è lecito adottare atteggiamenti meramente ostru-zionistici tesi unicamente a rinviare la trattazione del problema, che giàsarebbe in sé un modo per dargli una soluzione sì, ma negativa!Né si può continuare ad impostare qualsivoglia progetto di riforma con lariserva mentale del ‘costo zero’, con il bugiardo alibi della limitatezza dellerisorse che, proprio in quanto tali, devono invece essere spese al meglio,secondo criteri, appunto, di specializzazione che sappiano compiutamentesfruttare le risorse -prima di tutto umane- a disposizione.Emblematico, in tal senso, è stato il caso delle sezioni specializzate per lafamiglia: nella ipotesi di riforma pregiudicata di incostituzionalità dallaCamera dei Deputati, l’avvocatura, nella sua rappresentanza politica (OUA),ha inteso sottolineare l’apprezzamento per una formulazione ordinamentaleche, in tesi, è ispirata a corretti principi di specializzazione, che non sonoaffatto negati dalla abolizione di un Tribunale, quale quello dei Minori, spe-ciale solo sulla carta, ma in realtà, almeno nella prassi, ispirato ad un’attitu-dine assistenzialistica e paternalistica invero opposta a quel criterio di obbe-

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dienza della risposta alla domanda di giustizia (frutto di una impostazioneideologica di monopolio pedagogico statale invasivo della primazia dellafamiglia, ritenuta ordinariamente -e non solo in presenza di conclamata pato-logia- incapace di gestire i propri conflitti evolutivi), pur segnalando, nelcontempo, il limite della pratica impossibilità di conseguire la effettiva spe-cializzazione degli operatori di tali costituende sezioni specializzate nonessendosi affatto posto il problema della loro formazione, della organizza-zione degli uffici, del rito che deve in esse essere officiato.Specializzazione dice, infine, considerazione della rilevanza del rito rispettoalla specialità della materia da trattare, sempre nel rispetto di quella obbe-dienza che deve essere tale anche nelle modalità di perseguimento della ade-sione della risposta alla domanda di giustizia.Anche sul punto è significativa la inadeguatezza strutturale dei progetti diriforma in materia di diritto di famiglia che, quando non improntati a fumi-sterie ideologiche -come francamente appaiono, ad esempio, quelli sull’affi-damento condiviso o più propriamente congiunto (ispirati a modelli di bi-genitorialità piuttosto che di co-genitorialità, che sembrano adombrare strut-ture familiari a tipologia...tribale invero ancora molto distanti dalla nostraCarta costituzionale!!), sono distanti anni luce dalla aspettativa di dare unarisposta concreta e realistica alle esigenze degli operatori del settore.Specializzazione dei riti significa pure porsi il problema dei sistemi alterna-tivi delle controversie, di come, cioè, gli ADR si pongono in relazione allaspecializzazione, se sia possibile e corretto ipotizzare il ricorso a forme addi-tive di definizione amichevole della lite anche per materie bisognose di trat-tazione specializzata o se, addirittura, siano per esse preferenziali, comealcuni hanno adombrato proprio per la mediazione familiare.Se ciò volesse significare la mera esternalizzazione del processo a vantaggio dipresunti specialisti, incapaci però strutturalmente di assicurare le garanzie pro-cedimentali minime (terzietà ed apparenza di terzietà, rispetto del contradditto-rio ancorché non in conferenza personale, difesa tecnica obbligatoria), è eviden-te che ricadremmo in quel malinteso concetto di falsa specializzazione inveroinabile a dare adeguata risposta alla domanda di giustizia; se, invece, si vuoleriscoprire una opportunità di policentrismo dei soggetti di giustizia, parallela adun recupero di soggettività politica della società, allora il discorso va spostatoappunto sul sistema delle tutele e sulla necessità di recuperare la unità della giu-risdizione non più nella unicità del monopolio statale del soggetto giudicante maappunto nella salvaguardia degli standard procedimentali a difesa della egua-glianza sostanziale di chi invoca giustizia anche da una posizione debole.Decisivo sarà al riguardo l’apporto dell’avvocatura, se questa sarà veramentecapace di dare assistenza e consulenza già nella fase che preceda, ed eventual-mente superi, il giudizio, nell’aspirazione di saper replicare alle sfide del nuovomillennio.Sia concesso sperare e vivere la convinzione che l’Avvocatura saprà raccoglieree vincere queste sfide, guardando al futuro con capacità di innovazione ma con ipiedi ben saldi nel terreno della sua gloriosa tradizione di servizio alla personaumana.

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

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Queste poche parole di saluto le dedico alla complessità e alla difficoltà(non sono la stessa cosa, come chiarirò subito) della funzione dell’av-vocato nei processi in materia di famiglia. Funzione difficile, proprio

perché le previsioni normative sono, nella nostra materia, a maglie larghe;paradossalmente, per questo alcuni considerano il diritto di famiglia unamateria “facile”, mentre (al contrario) un tecnicismo normativo di livellomodesto priva gli avvocati di una griglia solida, di uno schermo consistenteche possano essere opposti alle richieste e alle pulsioni (anche emotive) deiclienti.Ma la funzione dell’avvocato “di famiglia” è non solo “difficile” (nel sensoprima indicato), ma anche “complessa”, come questo vostro incontro dimo-stra: per ricostruire fedelmente il contesto della vostra attività, avete dovutoinfatti riunire qui non solo giuristi ma anche psicologi e assistenti sociali.Solo l’intreccio di più discipline consente infatti di transitare, nel processo

che davanti al giudice si svolge,tutti gli aspetti dei conflitti fami-liari. Credo infatti che formazioneprofessionale voglia dire anzitut-to confrontarsi su temi che è diffi-cile trovare sui libri. Formazioneprofessionale è, piuttosto, cercaredi capire cosa stiamo facendo,quali siano gli aspetti della nostraattività rispetto ai quali ci sentia-mo abbastanza all’altezza e qualiinvece le richieste di cui siamodestinatari e alle quali nonriusciamo a dare risposte soddi-sfacenti. Da questo punto di vistaa noi è sembrato importante apri-re questo pomeriggio con unaimpostazione estremamente pro-blematica, dinamica, come èquella che è venuta dalla introdu-zione della dott. Paoli, che ringra-zio molto anche per l’attenzionecon cui ha cercato di introdurreun gran numero di argomenti che

sta a noi riprendere ora nei nostri lavori.Anzitutto, la dott. Paoli ci ha ricordato come la ricomposizione del nucleofamiliare dipenda dalla elaborazione della perdita. Ma noi vediamo che per iragazzi che attraversano la separazione dei genitori si apre spesso una crisi,anche più complessa, del loro rapporto con il mondo adulto. Ebbene, in que-sta loro crisi di rapporto con il mondo adulto, la necessaria “elaborazionedella perdita” riguarda anche il nostro procedimento di separazione, comeluogo deputato alla supplenza delle istituzioni alla temporanea incapacità dirisposta che lo scontro della separazione provoca nei genitori. Anche la qua-lità del procedimento di separazione, in sé, diventa quindi elemento di aggra-vamento (se viene gestito in modo malaccorto) o di risanamento della crisi

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PAOLOMARTINELLI

MAGISTRATOTRIBUNALE DI GENOVA

LA FORMAZIONEPROFESSIONALE: UN APPROCCIOINTERDISCIPLINARENEL RISPETTO DELLE DIVERSE NORMEDEONTOLOGICHE

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO DEL MINORE E

DELLA FAMIGLIA, ORGANIZZATO DALL’AIAF LIGURIA, GENOVA, MARZO - GIUGNO 2003

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familiare.Qui inserirei il secondo punto che mi ha colpito nell’introduzione della dott.Paoli: le riflessioni (separate) dedicate alle crisi della coppia e quelle dedi-cate alla famiglia. Mi pare una distinzione importante, perché troppo spessonoi siamo affascinati dalla prepotenza degli adulti e siamo abbagliati dallacrisi della coppia.La nostra complessiva difficoltà è spesso quella di far emergere, dalleasprezze della crisi della coppia, i profili profondi che mettono in crisi anchela famiglia intesa come luogo delle funzioni genitoriali, cioè come strumen-to di riproduzione del rapporto col mondo adulto. Attraverso la famiglia,infatti, passa l’intera riproduzione del patrimonio di esperienze, di atteggia-menti, di cultura che ciascun bambino, crescendo, riceve dal mondo adulto;certo, non è esclusivamente alla famiglia che questo meccanismo di riprodu-zione culturale è affidato, ma la scuola è sempre più in crisi proprio perchégli insegnanti non riescono ad affrontare efficacemente le lacune di educa-zione familiare di cui i bambini sono portatori. Quello che mi sembra impor-tante qui è osservare che non vi è una necessaria coincidenza tra crisi dellacoppia e crisi della capacità educativa dei genitori. La verità è che la separa-zione dei genitori non lascia affatto immutate, come troppo spesso si legge,le funzioni educative dei genitori, in primo luogo perché viene meno l’abi-tuale delega (di solito tacitamente riconosciuta dai padri alle madri) per l’e-sercizio quotidiano della potestà, ed in secondo luogo perché le differenze diimpostazioni educative si polarizzano, senza più trovare una mediazioneinterna alla coppia.Naturalmente il tutto passa attraverso una serie di meccanismi, tra i qualianche l’atteggiamento di avvocati e magistrati può decidere il tipo di curva-tura che la crisi di quella separazione assumerà; e qui torniamo all’utilità diun’introduzione pensata da una psicologa, che ci ha restituito in pieno la pro-blematicità dei nostri problemi di ruolo, che diventano modalità di conduzio-ne del procedimento. Proprio in questa sede di formazione professionale,dobbiamo avere la lealtà di dichiarare che il procedimento può essere diver-sissimo, sia nelle sue forme (e mi riferisco proprio a questioni di applicazio-ne delle norme) sia per il ruolo che esso viene a rivestire nella “elaborazio-ne della perdita”.Parliamo più da vicino del procedimento, riscoprendo le ragioni della sua“specialità”. Qui la “specialità” del procedimento corrisponde ad una pro-fonda diversità degli oggetti, che non attengono alla attuazione delle obbli-gazioni matrimoniali, ma semmai alle modalità di “sospensioni” e “modifi-cazioni” che in esse intervengono. Infatti convivenza e fedeltà sono obblighiinerenti al matrimonio, che però vanno incontro, proprio attraverso il proce-dimento di separazione, ad una sospensione legale.Ma ci sono anche aspetti modificativi degli obblighi reciproci, perché la col-laborazione che i coniugi si devono per l’educazione dei figli, (ex art. 147c.c.) non si sospende, ma non può essere più la stessa. Infatti proprio il pro-cedimento di separazione determina il passaggio da una collaborazione geni-toriale necessariamente condivisa ad un esercizio separato, disgiunto, dellafunzione educativa. Tutte le discussioni sulle formule di affidamento (esclu-sivo, congiunto, condiviso) ruotano attorno a questa trasformazione dellapotestà (che in Europa chiamano più felicemente “responsabilità”) dei geni-

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tori. Questo tema è sicuramente crescente, mentre direi che il tema dell’ad-debito vada riducendosi d’importanza, rimanendo circoscritto ad alcunesituazioni in cui la sussistenza dell’addebito è in qualche modo indiscutibi-le. Ma in molti procedimenti avviene, invece, che siano gli stessi difensori,le stesse parti che, più o meno tacitamente, ribaltano in corso di causa lepriorità lasciando senza seguito le iniziative processuali relative all’addebi-to, e concentrando fortemente l’attenzione proprio sui mutamenti della fun-zione genitoriale. Dalla crisi della coppia, insomma, alla crisi della famiglia.Un secondo tema sul quale questo spostamento di accenti ha prodotto impor-tanti scelte giurisprudenziali è quello dell’assegnazione della casa coniuga-le. Tutti sappiamo che la possibilità di assegnare ad uno dei coniugi l’utiliz-zo esclusivo della casa coniugale è stata vincolata alla permanenza di unafunzione familiare educativa, non limitata all’esistenza di figli minorenni maestesa a tutte le situazioni di figli non autosufficienti; è venuta meno, dun-que, una protezione del “coniuge debole” non qualificato dall’attualità diuna funzione genitoriale: anche questo tema accompagna il percorso dellaseparazione dal conflitto di coppia verso l’approdo di una progettualità dellefunzioni educative.Questo, dunque, è il terreno oggettivo sul quale cresce una necessità di pre-senza dello psicologo, in varie forme ma sino dall’udienza presidenziale.Non si tratta di modificazioni che nascono nel processo, ma, al contrario, diuna necessità di adeguamento delle forme processuali ai mutamenti cheavvengono nella realtà sociale. Quando nelle scuole la percentuale deglialunni figli di genitori separati arriva al 40% (così ho letto) è inevitabile chesi cerchino in tutti i campi risposte adeguate. Certo, sarebbe meglio che ciòavvenisse con offerte di nuove risorse istituzionali, per esempio con nuoviinvestimenti su consultori e funzioni di sostegno, ma è anche inevitabile,sino a quando ciò non avviene, che si producano adattamenti delle concreteesperienze delle figure professionali che hanno a che fare con i problemidella separazione. Rispetto a queste tematiche, a me paiono secondari ancheinterrogativi che, dal punto di vista strettamente giuridico, dovrebbero esse-re centrali. Faccio un esempio: voi tutti sapete che, nel vuoto legislativocirca i modi in cui in cui il procedimento di separazione transita dalla fasepresidenziale alla fase istruttoria, la prassi genovese e la prassi milanese (pernon citarne che due) si collocano agli antipodi: Milano ritiene che il ricorsosia atto introduttivo, e che debba così contenere tutti gli elementi necessarial contraddittorio anche nella fase contenziosa, a Genova riteniamo, al con-trario, che il ricorso introduca non la fase contenziosa ma semplicemente lafase camerale dell’udienza presidenziale. Ma se spostiamo l’attenzione dallastruttura del processo alla sua funzione, e prendiamo in esame la percentua-le di separazioni che, nella fase presidenziale, vengono trasformate in con-sensuali, constatiamo che questa è molto elevata sia a Genova che a Milano.Non pesa, dunque, il diverso modo di redigere il ricorso introduttivo ma -come è emerso nel confronto diretto con colleghi milanesi - l’attenzione e iltempo che (a Genova come a Milano) vengono dedicati all’udienza presiden-ziale di separazione. Simmetricamente ho invece capito che, in altri tribuna-li che utilizzano da un punto di vista interpretativo la nostra stessa ricostru-zione, hanno delle percentuali molto basse di trasformazione della separazio-ne giudiziale e consensuale nella fase presidenziale, alla quale però viene

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dedicato meno tempo. Il tempo e l’attenzione che si dedicano esprimonodunque la qualità dell’intervento istituzionale assai di più che le varie inter-pretazioni normative.Vediamo dunque, più in particolare, i modi concreti in cui si svolge a Genoval’udienza presidenziale. Si tratta di una fase retta dalle regole del procedi-mento camerale, nel quale la presenza della difesa tecnica, alla quale la parteha diritto in vista dei provvedimenti provvisori, può assumere o la formaorale dell’assistenza all’udienza, o anche (a scelta del difensore della parteconvenuta) la forma di un atto scritto. In questo caso si è di fronte non a unacomparsa di risposta (come invece qualche volte si legge nell’intestazionedell’atto) bensì ad una nota difensiva, funzionale alla difesa della parte desti-nataria dei provvedimenti provvisori.Al di là della forma, deve essere sottolineata l’importanza del ruolo degliavvocati in questa fase presidenziale; si tratta di un ruolo veramente diffici-le, come è difficile del resto la intera funzione del difensore nei procedimen-ti di separazione.Infatti “rappresentare” un cliente implica l’impegno di portare nel procedi-mento tutto il proprio cliente, con la sua intera personalità, con le sue “partibuone” ma anche con le sue rigidità e con le sue irrazionalità, perché non sipuò lasciare priva di assistenza tecnica una parte importante dei desideridella parte. Semmai, il problema vero è come riuscire a portare nel processoanche le componenti irrazionali, facendo però in modo che sia proprio il pro-cesso a trasformare e ridurre quelle irrazionalità. Tutto questo, dunque, devetrovare ospitalità tecnica, attraverso il magistrato e i difensori; nell’udienzapresidenziale, con l’audizione dei coniugi, perché ciò avvenga davvero, sononecessari tempo e attenzione. Per calibrare l’uno e l’altra, io trovo preziosele aperture di udienza fatte con una conversazione riservata con i difensori incontraddittorio, senza la presenza dei coniugi. Più ancora che la parte, èinfatti il difensore che segna il limite sino al quale può spingersi il presiden-te nel tentare una proposta conciliativa: l’avvocato conosce infatti situazionee retroscena che il presidente ignora; ed io devo pensare che la sua capacitàprofessionale gli permetta di individuare i limiti di convenienza, al di là deiquali sarebbe suo obbligo sconsigliare al cliente un’ipotesi di accordo. È daldifensore, dunque, che il presidente deve riuscire a far segnare i confini dellatrattazione conciliativa. Se non vi sono spazi reali per una separazione con-sensuale, anche lo svolgimento dell’udienza presidenziale è necessariamentediverso, e funzionale alla delibazione sommaria degli elementi che devonopoi determinare il contenuto dei provvedimenti presidenziali provvisori.In questi anni, accanto agli avvocati si è fatta però spazio un’altra categoriaprofessionale, che diventa talvolta protagonista della fase presidenziale dellaseparazione: mi riferisco agli psicologi. Già prima accennavo alla comples-sità delle spinte psicologiche che muovono le persone in un procedimento diseparazione personale; proverò ora a riassumere, in modo molto semplicisti-co, una dinamica sulla quale cerco di influire. Credo che si possa dire, inmodo schematico, che i coniugi arrivano alla separazione avendo dentro unaparte infantile ferita, che rifiuta le responsabilità. Forse le separazioni giudi-ziali nascono proprio quando questa parte prevale, altrimenti lo strumentoprescelto dai coniugi più consapevoli è in prevalenza quello della separazio-ne consensuale. Come si può ottenere che, su questa parte infantile dei

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coniugi, prevalga invece la parte adulta, che conserva ai genitori la respon-sabilità della crescita dei figli?Per questo compito si pensa, di solito, alla mediazione familiare: ebbene, ame pare che una combinazione attenta tra un momento autoritativo (rappre-sentato dal magistrato) un momento razionale (rappresentato dall’avvocato)ed un momento diciamo “psicodinamico” (affidato in forme varie ad unacomponente professionale di tipo psicologico) possa affrontare la crisi fami-liare in modo anche più adeguato del semplice invito alla mediazione.Spesso la difficoltà che si percepisce riguarda non tanto l’assenza di unaspinta emotiva a dismettere l’ostilità per recuperare un ruolo di genitore col-laborante, quanto la difficoltà nell’essere quello che fa il primo passo. Se,infatti, una persona si sente vittima di ingiustizia e nutre un desiderio di rein-tegrazione, può essere necessario che sia in qualche modo costretta a smor-zare questa parte più aggressiva, dalla sensazione che il giudice non è dispo-nibile a seguirla nel suo desiderio di rivalsa; solo così la persona si trovacostretta a ripiegare su una parte psicologicamente più responsabile, sino poia vivere, in questa costrizione, una specie di liberazione. È evidente, infatti,che nelle udienze presidenziali il presidente non è in grado di imporre nes-suna emozione che le parti non abbiano già dentro; mentre può fungere dacatalizzatore per l’incontro di spinte emotive che erano già presenti neiconiugi, anche se sepolte dai rancori.Forse sono queste le esitazioni, e le contraddizioni, che rendono così margi-nale il modello della mediazione, se la intendiamo come restituzione alleparti di un genuino protagonismo nel ravvicinamento delle posizioni. Eccoperché mi sembrano interessanti i percorsi nei quali si combinano il recupe-ro della responsabilità dei coniugi con una regia autorevole che svolga unafunzione di tipo “paterno”: e non parlo necessariamente del magistrato, inqualche caso questo ruolo può essere svolto anche da uno psicologo che ilpresidente faccia intervenire come ausiliario per l’ascolto del minore.Il momento dell’ascolto del minore, inteso come specifico atto processuale,è rilevante anzitutto perché sottrae il processo al dominio (contrapposto) deiconiugi che litigano; se, dunque, si riesce a restituire al minore il diritto adun autonomo spazio di attenzione, quasi mai i coniugi hanno poi il coraggiodi invadere questo spazio.Oltre all’ascolto del minore, però, sono possibili forme diverse di intervento(nel corso del procedimento, se non nel procedimento) che possono anch’es-se restituire ai coniugi il senso della separazione come progetto intelligenteper i figli. In questi anni, il Servizio sperimentale organizzato dall’Ordinedegli Psicologi sui temi della genitorialità (non “presso la quarta sezione delTribunale”, come troppo generosamente la dott.ssa Paoli ha detto nella suaintroduzione) è stata una preziosa forma di collaborazione con i compiti delTribunale, tutta posta all’esterno del processo. Vediamo qui nei particolarientrambi questi nuovi strumenti che i coniugi hanno oggi a disposizione perpotersi separare in modi migliori.Da un punto di vista procedurale, l’ascolto del minore è un atto del presiden-te o del giudice istruttore. Il fondamento normativo è la legge 27 maggio ’91n. 176, che ha dato attuazione nel nostro Paese alla convenzione di New Yorksui diritti del fanciullo. Com’è noto, questa convenzione contiene, a propo-sito dell’ascolto del minore, una indicazione diversa da quelle che troviamo

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nella nostra legge sul divorzio: infatti secondo la Convenzione deve esseredata al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudizia-ria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappre-sentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole diprocedura della legislazione nazionale.Riflettiamo su queste indicazioni. Anzitutto va sottolineato che “ascoltare”non è “interrogare”, e richiede una capacità del giudice di creare un contestocorretto, e di saper recepire comunicazioni che non sempre sono affidate allinguaggio adulto; è certamente per questa difficoltà che la Convenzione ipo-tizza l’intervento di un “organo appropriato”, che può essere agevolmenteindividuato nella figura dell’ausiliario del giudice previsto dall’art. 68 delnostro codice di procedura civile. Uno psicologo esperto nella fascia dell’e-tà evolutiva può dunque giovarsi di tecniche diverse (es. il disegno per ibambini più piccoli) e adeguate al mezzo di espressione che il minore adot-ta più agevolmente. A Genova questa esperienza di ascolto tramite psicologiha dato risultati di grande interesse; emerge anzitutto che anche i bambinipiù piccoli hanno un grande bisogno di esprimere un loro messaggio, informe talvolta imprevedibili (come nel caso del bambino di cinque anni chedisegna, richiesto di disegnare “la sua famiglia”, un bambino solo) ma sem-pre di grande evidenza. Una seconda notazione che mi sento di convalidareè che, pur nella approssimazione che lo strumento comporta, la differenza trasituazioni di disagio e situazioni di benessere risalta spesso con impressio-nante nettezza.Certo, l’ascolto del minore richiede allo psicologo, proprio perché assistitoda una minore strumentazione professionale, particolare capacità e lasciaforse margini di indeterminatezza non fissati in un preciso protocollo; però inmolti casi proprio l’ascolto ha fornito un apporto determinante perché sigiungesse alla trasformazione della separazione giudiziale in consensuale, ilche nella maggior parte dei casi rappresenta un risultato positivo. Certo, puòben avvenire che dopo una trasformazione consensuale, che può intervenireanche sulla sponda di un’emozione, i problemi possano poi riemergano sottoforma di istanze al giudice tutelare, o di procedimenti ex art. 710 c.p.c.; main ogni caso il procedimento di separazione sarà stato sottratto alla logicadelle ripicche reciproche e irresponsabili, il giudice evita di trasformarsi inuno strumento di moltiplicazione dell’aggressività dei coniugi e di de-responsabilizzazione rispetto ai figli, e viene (infine) evitata un’attivitàmolto spesso inutile quale è l’istruttoria sull’addebito. Infatti voi sapete che,statisticamente, vi è un gran numero di istruttorie su ipotesi di addebito, einvece un numero piuttosto basso di sentenze che l’addebito lo attribuisconodavvero. Se si riesce a definire il procedimento in modo consensuale in unapercentuale di casi superiore, si riduce anche il numero di istruttorie che sfo-cia poi in sentenza; mentre eventuali assestamenti nel rapporto genitori-figlipuò sempre trovare la strada del successivo procedimento di modifica ex 710.Tornando dunque al nostro discorso sull’ascolto del minore, in forma direttada parte del giudice per ragazzi almeno pre-adolescenti, in forma delegata aduno psicologo per quelli più piccoli, mi sento di ricostruire un beneficioanche statistico di questo strumento sulle percentuali di separazioni trasfor-mate in consensuali; non mi sentirei di affermare la stessa correlazione peruno strumento molto diverso, che in questi anni abbiamo utilizzato con una

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qualche frequenza, cioè l’appoggio di una separazione su un momento disostegno psicologico che abbia corso al di fuori del processo.Questo tipo di collaborazione interprofessionale nasce nell’udienza, quandol’atteggiamento dei coniugi risulta concentrato esclusivamente sul loropunto di vista di adulti in conflitto, che non riescono a dare attenzione al pro-blema della separazione, visto invece con l’ottica dei figli. In questo caso èdovere del magistrato far riflettere i coniugi sul punto, chiarendo che dueconiugi che siano anche due genitori hanno diritto alla separazione ma sol-tanto se riescono ad evitare che essa avvenga in modo da provocare pregiu-dizi (non inevitabili) ai propri figli. Sino a quando, dunque, l’atteggiamentodei coniugi non si apre ad un’attenzione di livello sufficiente per le proble-matiche dei minori, è necessario che, nel giro diciamo di due mesi o pocopiù, i coniugi possano usufruire di un sufficiente numero di incontri con unopsicologo che offra loro un sostegno sul piano dei sentimenti di genitoriali-tà, in modo da poter poi riprendere le udienze con un atteggiamento menosquilibrato. Naturalmente questo non richiede che si arrivi ad un accordoconsensuale, è sufficiente invece che le questioni dibattute riducano la loroincidenza sulla situazione dei minori (attenuando l’asprezza del conflittoattorno al tema dell’affidamento).Questo supporto ci è stato offerto essenzialmente dall’Ordine degli psicolo-gi, che ha varato (ormai da alcuni anni) un servizio sperimentale di sostegnoalla genitorialità nelle coppie in crisi, e che mette a disposizione dei coniu-gi, a costi contenuti, una serie di una decina di incontri con un professioni-sta che ha avuto una specifica formazione. Gli incontri sono suddivisi tra idue genitori, di solito gli ultimi coinvolgono entrambi i genitori assieme; diquanto avviene in questi incontri il giudice nulla deve e può sapere, perché idestinatari di questo tipo di interventi sono non il giudice ma i coniugi stes-si, che però alla ripresa del procedimento possono (o no, se non lo vogliono)avvalersi del contributo ricevuto in quegli incontri dallo psicologo. Ancheper gli avvocati, dunque, l’ascolto del minore da parte del giudice, o invecela pausa del procedimento dedicata ad un sostegno psicologico sul frontedella genitorialità possono contenere anche indicazioni difensive, da rivolge-re al magistrato nell’esercizio dell’attività defensionale.Sto per concludere, con alcune riflessioni di chiusura sul senso, sul contenu-to vero dei procedimenti di separazione dei coniugi. Possiamo iniziare coldire cosa il procedimento di separazione non deve essere: nella crisi dellacoppia, ed in presenza di figli, non deve diventare autonomo elemento diaggravamento della crisi e dello scontro, non deve essere il luogo in cui iconiugi cercano di scaricare uno sull’altro la responsabilità della crisi, rinun-ciando a qualsiasi progetto per i figli. Ma non può neppure essere il luogonel quale la crisi si risolve, ed il progetto di crescita dei figli minori trova ilsuo completo svolgimento.Il procedimento di separazione di due coniugi che siano anche genitori devepiuttosto essere il luogo nel quale vengono individuati i percorsi corretti che,negli anni a venire, dovranno trasformare una coppia genitoriale conviventein due poli separati, ma coesistenti, di esercizio della genitorialità.Questo può trasformare la cultura del diritto della separazione da cultura difallimenti a cultura di programmi. In Italia abbiamo, credo, un grave proble-ma culturale. Perché la cultura cattolica, che è la cultura che, per eccellenza,

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ha sempre dato grande attenzione alla famiglia, ha difficoltà a varare ancheuna cultura positiva e progettuale delle crisi, e preferisce fare riferimento aduna coppia perfetta, formata da genitori coniugati e innamorati, dediti allafedeltà ed ai figli. Questo indebolisce la presa della cultura della famigliasulla crisi, mentre sul versante laico troviamo spesso una miope esaltazionedell’individuo e del principio del piacere, in una prospettiva spesso egoisti-ca. Il problema fondamentale per la specie umana, cioè i meccanismi e i luo-ghi di trasmissione della cultura, delle conoscenze e dei valori, da una gene-razione all’altra, rischia dunque di essere sovrastato da una cultura della crisidella famiglia segnata da connotazioni negative.Ebbene, il procedimento di separazione dei coniugi si trova al centro di que-sto fenomeno; compete dunque anche ai giudici trasformare questa crisi inun inizio di nuova progettualità, e la separazione in una forma nuova, soste-nuta e responsabile, di essere genitore.

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

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La tutela della famiglia in ogni suo aspetto etico e giuridico deve costitui-re obiettivo primario delle società civili. Essa coinvolge un ambito nelquale la posizione psicologica dei soggetti coinvolti e i loro interessi

personali assumono estrema rilevanza. Da qui la necessità di individuare glistrumenti giuridici a disposizione degli operatori di giustizia per raggiunge-re questo obiettivo.

LE NORME DEONTOLOGICHE

Ènecessario, in primo luogo, individuare quali siano le norme deontologi-che fondamentali alle quali il legale che opera nel diritto di famiglia deve

fare riferimento sia in ambito giudiziale che stragiudiziale.Va premesso che il codice deontologico forense riguarda ogni avvocato conciò prescindendo dalle competenze e specializzazioni dello stesso.Attualmente quindi anche l’avvocato che si occupa di diritto di famiglia è

sottoposto alla normativa senzaalcun distinguo particolare per lasua competenza specifica. Egliquindi dovrà esercitare la propriaattività in piena libertà, autono-mia ed indipendenza al fine digarantire i diritti e gli interessidella persona. Il fondamento dellasua deontologia professionalerisiede sia nell’art. 12 della leggeprofessionale, che fa riferimentoal dovere di dignità e decoro, chenell’art. 38 della stessa legge, chestabilisce il ricorso al procedi-mento disciplinare come strumen-to per sanzionare coloro che abu-sino o manchino nell’eserciziodella professione.Inoltre l’art. 37 del codice deon-tologico forense disciplinaespressamente il conflitto d’inte-ressi con riferimento alla materia

familiare stabilendo che “l’avvocato che abbia assistito congiuntamente iconiugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare la propria assi-stenza in controversie successive tra i medesimi in favore di uno di essi”.Detta norma è stata meglio ridefinita dalla giurisprudenza del CNF che haaffermato che pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante eviola il dovere di fedeltà sia l’avvocato che, dopo aver ricevuto mandato dauna coppia di coniugi ed aver instaurato con essi il rapporto professionale,segua la separazione giudiziale di uno di essi nei confronti dell’altro1, sia ilprofessionista che, dopo aver assistito entrambi i coniugi in una procedura diseparazione, assuma la difesa di un coniuge contro l’altro nella fase deldivorzio, salvo che l’attività precedente sia stata di mera assistenza e non vi

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

ANNA GALIZIADANOVI

AVVOCATO DEL FORODI MILANO

PRESIDENTE DELCENTRO PER LA

RIFORMA DEL DIRITTODI FAMIGLIA

L’ASSISTENZA E LACONSULENZADELL’AVVOCATO NELLAFASE STRAGIUDIZIALE.QUESTIONI DIDEONTOLOGIA

ARTICOLO PUBBLICATO SU LA RIVISTA DELL’AIAF, N.1/2004, P. 33

1 Consiglio naz. forense, 30 dicembre 1997, n. 163 in Rass. forense, 1998, 373.

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sia stato un concreto utilizzo di circostanze conosciute nella fase preceden-te2. Peraltro anche la Cassazione ha preso posizione sul tema, affermandoche nel caso in cui la difesa di due parti in conflitto anche solo potenziale diinteressi, come ad esempio relativamente a madre e figlio in un procedimen-to di disconoscimento della paternità, sia stata affidata allo stesso avvocato,la parte che ha conferito per ultima la procura si deve ritenere non costituitain quanto il difensore non può assumere il patrocinio di due parti che si tro-vino o possano trovarsi in contrasto tra loro3.Si deve inoltre considerare che i procedimenti di separazione e divorzio tra iconiugi spesso coinvolgono anche minori con il rischio che il giudizio possaesasperare il conflitto e compromettere ancor più la situazione dei minoristessi.Al riguardo si richiama la normativa che impone all’avvocato di osservare ildovere di probità, dignità e decoro, di lealtà e correttezza nonché di fedeltàe diligenza4. Il rispetto di queste qualità, peraltro è supportato dalla normacodicistica (art. 88 c.p.c.) che prevede che “In caso di mancanza dei difen-sori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle Autorità che esercitano ilpotere disciplinare su di essi”.Non vi è dubbio che i doveri dell’avvocato e l’obbligo del giudice di riferir-ne, in caso di mancanza, al loro Ordine, appaiono ancor più pregnanti nel casoin cui l’impegno dell’avvocato sia svolto nell’ambito familiare e anche se nonspecificatamente espressi debbano essere correlati al raggiungimento di unequilibrio familiare adeguato alle esigenze di vita del minore coinvolto.Il compito del difensore che opera nell’ambito familiare in generale e delfanciullo nello specifico, è ancor più fortemente delineata dalla prescrizioneche impedisce all’avvocato di accettare incarichi che sappia di non potersvolgere con adeguata competenza5, nonché dal dovere di aggiornamentoprofessionale6.Infatti e a maggior ragione quando viene coinvolto un minore, è fondamen-tale che l’avvocato sia il corretto interprete della volontà del rappresentato,e si sottragga alle possibili strumentalizzazioni in danno del minore che pos-sono essere compiute anche dallo stesso suo assistito, compito quest’ultimoche, anche non scevro da difficoltà deve essere svolto con trasparenza edobiettività.L’avvocato infatti come ogni operatore coinvolto nel giudizio familiare rela-tivo ai minori non può sottrarsi all’obbligo di tutela dell’interesse del mino-re che è e rimane il principio cardine del nostro ordinamento.

IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA

Va innanzitutto richiamato il dovere di segretezza e riservatezza, nel caso dispecie ancor più pregnante, imposto dal codice deontologico7.

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

2 Consiglio naz. forense, 23 dicembre 1996, n. 187, in Rass. forense, 1997, 559 e 4 luglio 2002, n.97 in Rass. forense, 2002, 895.

3 Cass. 19 marzo 1984, n. 1860.4 Artt. 88 c.p.c. ss.; 5, 6, 7, codice deontologico.5 Art. 12 codice deontologico.6 Art. 13 codice deontologico.7 Art. 9 codice deontologico.

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A seguito della legge 675/1996 sulla privacy, inoltre, l’aspetto deontologicodella professione legale relativo alla riservatezza ha assunto ulteriori sfuma-ture. In particolare, è opportuno ricordare che il diritto alla privacy si mani-festa nel rapporto tra l’individuo e la società. Nel sistema anglosassone vienedefinito genericamente come “the right to be alone”, il diritto di esserelasciato solo, di non subire ingerenze nella propria vita privata.La legge 675/1996 ha comportato un’evoluzione tale da rendere meno sfu-mata la nozione di riservatezza in quanto radicata ad una visione dinamica,mirata a garantire il controllo e la gestione dei dati personali. In via genera-le, la tutela del segreto è garantita dalla sanzione penale della violazione delsegreto professionale ex art. 622 c. p., così come in base ai principi generalidallo stesso art. 2043 c.c.Il codice deontologico, all’art. 9 recita inoltre che è dovere e diritto prima-rio e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto sull’attività prestata esu tutte le informazioni che siano a lui fornite dal cliente o di cui sia venutoa conoscenza in dipendenza del mandato. Anche il codice deontologico euro-peo valuta il segreto professionale come dovere fondamentale e primordialein quanto posto a fondamento del rapporto di fiducia tra il legale ed il suocliente.È evidente che tali disposizioni assumono particolare rilievo con riferimen-to all’ambito del diritto di famiglia, ove le situazioni e gli interessi coinvol-ti sono particolarmente delicati nonché strettamente personali e richiedonoche l’avvocato si investa completamente del suo ruolo di garanzia e corret-tezza anche e soprattutto nel rapporto dialettico tra le parti. Gli interessi deimembri della famiglia, anche ed a maggior ragione se in crisi, devono infat-ti essere individuati e protetti nel loro contenuto concreto e questo si rendepossibile solo per mezzo del rispetto non solo del diritto ma in particolaredell’individuo e della sua sfera personale.La legge 675/1996 stabilisce che la raccolta ed il trattamento dei dati perso-nali devono avere il consenso informato dell’interessato, ovvero, in caso diminori, di chi abbia la sua tutela e rappresentanza. La conservazione deifascicoli contenenti i dati richiede quindi la tutela delle informazioni in essicontenuti, escludendone la diffusione al pubblico. Tale impegno è finalizza-to all’assistenza ed alla protezione dei soggetti coinvolti anche da parte del-l’avvocato che è obbligato al segreto professionale ed a quello d’ufficio.L’avvocato che si occupa di diritto di famiglia, a nostro parere, dovrebbesvolgere il ruolo non soltanto di consulente legale del suo cliente ma al con-tempo di garante delle delicate posizioni soggettive coinvolte. Pensiamo alcaso, purtroppo non isolato, della produzione in giudizio di documenti atti-nenti alla sfera privata dell’altro genitore o addirittura del minore.Ed il caso non è di poco conto se si considerano da un lato i danni immedia-ti che queste produzioni possono comportare e dall’altro le difficoltà di unaadeguata risposta dell’Istituzione. Parrebbe giusto quindi che anche questi comportamenti processuali potesse-ro essere meglio valutati sotto il profilo deontologico per elevare la nostraprofessionalità.

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

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LA FASE STRAGIUDIZIALE

La fase prodromica al giudizio è forse quella più delicata in quanto il lega-le viene investito nell’immediatezza dall’intero carico delle problematiche

per lo più irrisolte dell’assistito. A nostro parere il compito dell’avvocato inquesta fase è quello di filtrare le richieste della parte traducendole in termi-ni di diritto. E allo scopo a noi pare doveroso che il legale debba rappresen-tare al proprio assistito la situazione reale senza ingenerare false speranze oipotizzare facili vittorie. In altre parole è indispensabile che con coerenza,equilibrio e professionalità vengano annotati i percorsi possibili ed i rischiconnessi.Queste indicazioni paiono indispensabili nell’ambito familiare, ove i sogget-ti coinvolti mirano al raggiungimento di obiettivi che in realtà, a volte, nonpossono essere conseguiti nell’ambito legale e che richiedono comunque unimpegno personale sia a livello psicologico che affettivo. L’avvocato inoltrepuò cercare anche di mediare e mantenere in equilibrio le istanze emotivemanifestate dalle parti per mezzo dell’applicazione concreta delle normedeontologiche che disciplinano la sua professione e facendo riferimento allasua esperienza ed alla sua sensibilità. L’eventuale funzione mediatoria chel’avvocato può essere chiamato a svolgere non si pone in contrasto con l’at-tività puramente tecnica in quanto nella fase giudiziale e ancor più facilmen-te in quella stragiudiziale, il risultato auspicabile è rappresentato dalla rior-ganizzazione degli assetti familiari, dalla determinazione di nuovi equilibritali da portare certezza e garanzia con riferimento ai soggetti coinvolti edalle relazioni tra di loro intercorrenti.Il ruolo dell’avvocato e quello del mediatore in senso stretto attengono cer-tamente a due ambiti diversi, afferendo l’uno ad un complesso di norme fina-lizzate alla disciplina della vita sociale, l’altro ad una gestione del conflittoal di fuori del processo e relativo a un particolare sistema di relazioni umane.Tuttavia le due figure che non devono a nostro parere sovrapporsi, possonoavvicinarsi e l’avvocato della famiglia può ben arricchire il suo bagaglioattingendo alla cultura della mediazione come a quella di altre scienze, pensoalla psicologia e alla sociologia. Così operando l’avvocato rafforzerà le suecompetenze ed essere a pieno titolo l’Avvocato di famiglia.

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

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Dopo anni di contrasti e dispute in dottrina e giurisprudenza, sulla posi-zione del minore quale titolare di diritti soggettivi o di un “interessesuperiore”, o di entrambi contemporaneamente1, e sulla sua capacità di

stare in giudizio (capacità processuale) e di esercitare liberamente i dirittiche vi si fanno valere (capacità di agire)2, la legge 149/2001 - recependo iprincipi del giusto processo ai sensi dell’articolo 111 Cost., come novellatodall’articolo 1 L. Cost. 23 novembre 1999 n. 23 - nel riconoscere all’articolo8, quarto comma, il diritto del minore all’assistenza legale sin dall’inizio delprocedimento di adottabilità, e nel procedimento ex articolo 336 c.c., aventead oggetto provvedimenti ablativi o limitativi della potestà, ha reso tali que-stioni concrete e di urgente soluzione.La scelta operata dal legislatore si é però subito scontrata con la difficoltà didare attuazione alle nuove norme procedurali, non avendo la stessa legge149/2001 previsto le modalità per la nomina del difensore d’ufficio in favo-

re dei genitori e del minore neiconfronti del quale sia stato aper-to un procedimento per la dichia-razione dello stato di adottabilità,né provveduto alla revisione dellenorme procedurali che regolanol’attuale procedimento cameraleex art.336 c.c., adeguandolo aiprincipi contenuti nel novellatoarticolo 111 Cost..

Con il decreto legge 24 aprile2001 n. 150, convertito in legge23 giugno 2001 n.240, e i succes-sivi decreti legge intervenuti acadenza annuale, si é pertantosinora rinviata l’attuazione diqueste norme, e l’ultimo rinvio

effettuato scade il 30 giugno 2005.

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

MILENA PINIAVVOCATO DEL FORO

DI MILANOPRESIDENTE AIAF

LOMBARDIA

LA RELAZIONE TRAAVVOCATO E CLIENTE MINORE DI ETÀ

RELAZIONE TENUTA AL CORSO DI FORMAZIONE PER DIFENSORI AVANTI IL TRIBUNALE PER I

MINORENNI, ORGANIZZATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VENEZIA, INCOLLABORAZIONE CON LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI,VENEZIA, 4 MARZO 2005

1 F. TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, in Famiglia e dir., n. 6/1999, 583 ss.;secondo Tommaseo, la tutela giurisdizionale del minore non è soltanto tutela dei diritti soggettivi dicui egli è titolare alla stessa stregua di ogni persona fisica, ma è anche tutela del suo interesse esi-stenziale alla formazione della personalità, un interesse che il legislatore italiano e le convenzioniinternazionali qualificano come “interesse superiore”; si configura così una tutela globale del mino-re, che comprende sia la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi di cui è titolare, sia l’attuazionedell’interesse del minore allo sviluppo della propria personalità.

2 Per le posizioni della dottrina sulla capacità processuale e la capacità di agire del minore cfr. M.DOGLIOTTI, Codice della famiglia, 1999, vol. II, 803-808

3 Art. 111 Cost.: “1. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. 2. Ogniprocesso si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo eimparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.”

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IL DIRITTO DEL MINORE ALL’ASSISTENZA LEGALE

La questione del diritto di difesa del minore prima che giuridica è culturale.Non si può che condividere l’opinione di chi sostiene che nonostante ilnumero sempre crescente delle disposizioni che riconoscono i diritti deiminori, la tutela del diritto del minore allo sviluppo della propria personali-tà è sinora rimasta una proclamazione solenne ma virtuale, senza praticheconseguenze, per la difficoltà culturale di concepire una vera e propria tute-la giurisdizionale di diritti di natura non patrimoniale del minore4.Sinora, come rileva quella parte della dottrina che riconosce al minore la tito-larità di diritti soggettivi e mette in guardia dalla pericolosità di ricondurlialla categoria dell’”interesse superiore”, la tutela dei diritti della personalità,inviolabili ma degradati a meri interessi, è stata affidata alla discrezione delgiudice, che sceglie la soluzione migliore nell’esclusivo interesse del minore,soggetto ritenuto incapace di agire che necessita di quelle forme di protezio-ne e di tutela giuridica - potestà genitoriale, tutela, provvedimenti giudiziarinell’esclusivo interesse del minore - contemplate dal diritto minorile5.Di fronte a posizioni così distanti, tra chi sostiene la tutela giudiziaria deidiritti della personalità del minore, che è parte in un giudizio che deve fon-darsi sui principi del giusto processo ex art. 111 Cost., e chi invece ritieneche deve essere tutelato dal giudice l’interesse superiore del minore, si rendenecessario un intervento legislativo chiaro e preciso, che consenta una cor-retta applicazione della legge 149/2001.Il nodo da dipanare non riguarda solo la nomina, di fiducia o d’ufficio, deldifensore del minore, la sua preparazione qualificata e l’auspicabile istitu-zione di un elenco, come già previsto per il difensore d’ufficio nei procedi-menti penali a carico di minori (ex art. 11 Dpr 22 settembre 1988 n. 448, art.

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

Legge 184/1983 modif. dalla legge 149/2001Articolo 8, 4° comma Il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’ini-zio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o deglialtri parenti, di cui al comma 2 dell’articolo 10

Articolo 336 c.c., ultimo comma, aggiunto dalla legge149/2001Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitorie il minore sono assistiti da un difensore, anche a spesedello Stato nei casi previsti dalla legge.

Convenzione sui diritti del minore (New York, 1989),ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176Articolo 12Gli stati parti garantiscono al fanciullo capace di discerni-mento il diritto di esprimere liberamente la sua opinionesu ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciul-lo essendo debitamente prese in considerazione tenendoconto della sua età e del suo grado di maturità.A tal fine si darà in particolare al fanciullo la possibilità diessere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o ammini-strativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite unrappresentante o un organo appropriato, in maniera com-patibile con le regole di procedura della legislazionenazionale

Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambi-ni (Strasburgo, 25 gennaio 1996) Cap. IArt. 1, comma 2Oggetto della presente Convenzione è promuovere nel-l’interesse superiore dei bambini, i loro diritti, garantireloro i diritti processuali ed agevolarne l’esercizio, assicu-rando che i bambini siano, direttamente o tramite altrepersone od organismi, informati ed autorizzati a parteci-pare ai procedimenti giudiziari che li riguardano.Art. 2, lettera c)Ai fini della presente Convenzione, si intende per “rappre-sentanti” le persone, quali gli avvocati, e gli organismiincaricati di agire davanti ad un’autorità giudiziaria innome dei bambini.

4 G. SERGIO, L’ascolto del minore e la giustizia, in Famiglia e diritto, 1999, 6, p. 5935 G. SERGIO, La verifica del giusto processo - I provvedimenti urgenti a tutela dei bambini, in

Minorigiustizia, n.1/2001

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15 Dlg. 28 luglio 1989 n. 272, e modifiche applicabili a seguito della leggedi riforma 6 marzo 2001 n. 60), ma anche altre questioni, la cui chiarezza ènecessaria per consentire al difensore del minore di svolgere il suo mandato.Innanzitutto va ribadito che il minore è titolare di diritti soggettivi, è partenel procedimento che lo riguarda ed ha capacità di agire.

A) IL MINORE È TITOLARE DI DIRITTI SOGGETTIVI E COME TALEASSUME LA QUALITÀ DI PARTE NELLE CONTROVERSIE AVENTI AD OGGETTO LE SITUAZIONI SOGGETTIVE DI CUI È TITOLARE ATTIVO O PASSIVO6.

La legge 149/2001 già consente di affermare che il contesto in cui si svol-ge il novellato procedimento di adottabilità è quello giurisdizionale fon-

dato sui principi del giusto processo ex art. 111 Cost., in cui il giudice ha unaposizione di terzietà, e il minore e i genitori sono parti processuali e titolaridi autonomi diritti soggettivi.Al diritto del minore allo sviluppo della propria personalità, che si realizzanell’ambito delle relazioni familiari e interpersonali, corrisponde il dovere -diritto dei genitori di educare, istruire e mantenere il figlio, tenendo contodelle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, cioè del suo diritto allosviluppo della personalità, secondo un modello di relazioni tra adulti e mino-ri fondato sulla responsabilità e sul confronto, e non più sulla soggezionealla potestà intesa come esercizio di un potere7.Il diritto del minore all’assistenza legale comporta il riconoscimento di unaposizione di autonomia del minore stesso, sia rispetto ai genitori, nei con-fronti dei quali è ipotizzabile una situazione di conflitto di interessi o unintervento di adesione, che al giudice.In questo contesto, l’assistenza legale del minore assume come contenutola difesa dei suoi diritti soggettivi, a crescere e ad essere educato nella pro-pria famiglia, a essere istruito, educato e mantenuto dai propri genitori, asviluppare la sua personalità in un ambito di relazioni affettive familiari, equalora ciò non sia possibile, e al fine di far cessare uno stato di abbandono,ad avere comunque una famiglia, idonea, soprattutto affettivamente, a farfronte ai suoi bisogni.A sostegno di questa tesi, soccorre la Convenzione europea sull’esercizio deidiritti dei bambini adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, laddove al secon-do comma dell’articolo 1, si precisa che l’oggetto della Convenzione è quel-lo di promuovere i diritti dei bambini, garantire loro i diritti processuali edagevolarne l’esercizio, assicurando che siano, direttamente o tramite altrepersone od organismi, informati ed autorizzati a partecipare ai procedimentigiudiziari che li riguardano. Al successivo articolo 2, lettera c) si precisa chei “rappresentanti” dei bambini, nel giudizio, sono gli avvocati e gli organismiincaricati di agire davanti ad un’autorità giudiziaria in nome dei bambini.Richiamandosi alle Convenzioni di New York del 1989 e di Strasburgo del1996, e alla giurisprudenza formatasi a Strasburgo presso la Commissione ela Corte europea dei diritti dell’uomo, anche la dottrina più restia a ricono-scere la titolarità di diritti soggettivi in capo al minore inizia ad ammettere

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AIAF QUADERNO NUMERO 2005/1

6 F. TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, op. cit.7 G. SERGIO, La verifica del giusto processo - I provvedimenti urgenti a tutela dei bambini, op. cit.

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che questi ben può assumere la qualità di parte nelle controversie aventi adoggetto le situazioni soggettive di cui è titolare attivo o passivo8.

B) IL MINORE HA CAPACITÀ DI AGIRE NEL PROCESSO

Il successivo passaggio da definire riguarda la capacità del minore di agirenel processo, e cioè di non essere solo titolare di diritti, bensì di essere

soggetto legittimato all’esercizio di tali diritti, ed in particolare dei dirittifondamentali della personalità, considerato che, secondo i principi generali,il minore di anni diciotto non ha ancora acquisito la capacità di esercitare isuoi diritti, e ai sensi dell’articolo 75, secondo comma, c.p.c. non può starein giudizio se non rappresentato dai suoi genitori, dal tutore o da un curato-re speciale, nominatogli dal giudice ai sensi dell’articolo 78 c.p.c.9.La distinzione tra titolarità dei diritti ed esercizio, tra capacità giuridica ecapacità di agire è stata però da tempo messa in discussione da una partedella dottrina, che l’ha ritenuta incompatibile con i diritti fondamentali dellapersona, che costituiscono il nucleo dello status personale di ogni uomo e simanifestano soprattutto nelle sue scelte esistenziali, si riferiscono al suofarsi, allo svolgersi della personalità (art. 2 Cost.), allo sviluppo della perso-na umana (art. 3 Cost.)10.Altra parte della dottrina, pur da posizioni diverse, giunge ad analoghe con-clusioni, sostenendo che l’articolo 75, primo comma, c.p.c., laddove attribui-sce la capacità di stare in giudizio alle persone che hanno il “libero eserciziodei diritti che vi si fanno valere”, fa dipendere la capacità processuale nongià dall’astratta acquisizione della capacità legale ad agire, bensì dalla liber-tà di esercitare lo specifico diritto di cui è stata chiesta la tutela giurisdizio-nale11.Questo collegamento fra capacità di agire nel processo e libertà di eserciziodel diritto azionato, consentirebbe di attribuire al minore, capace didiscernimento, spazi di autonomia di scelta per quanto attiene i rappor-ti e i diritti di natura personale, nel cui ambito il minore può operareanche senza il filtro del potere rappresentativo dei genitori o di altri12.Il riconoscimento di un’autonomia di scelta in capo al minore sussiste con-seguentemente anche nel rapporto con il difensore, se non nelle modalitàdi conferimento del mandato, quanto meno nella determinazione del conte-nuto del mandato difensivo.Quanto alle modalità del conferimento del mandato al difensore del minore,nell’ambito del giudizio di adottabilità o del giudizio ex art. 336 c.c., la solu-zione più corretta pare quella della nomina d’ufficio, con decreto delPresidente del Tribunale per i minorenni, tra gli avvocati che abbiano unaspecifica preparazione nel diritto minorile, iscritti in un elenco predisposto

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

8 F. TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, op. cit.9 F. TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, op. cit.; secondo l’Autore, l’attuazione

della tutela globale del minore deve avvenire - almeno nei processi in materia familiare - attribuen-do al minore la titolarità di convenienti poteri processuali che avrà la possibilità di esercitare anchepersonalmente e direttamente.

10 P. STANZIONE, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino, 1975, 300ss.; G.SERGIO, L’ascolto del minore e la giustizia, op. cit

11 F. TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, op. cit.,583 ss.12 F. TOMMASEO, Processo civile e tutela globale del minore, op. cit., 583 ss.;

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dal Consiglio dell’ordine forense, che si auspica venga istituito dall’attesadisciplina sulla difesa d’ufficio nei giudizi civili minorili.

C) LA RAPPRESENTANZA DEL MINORE IN GIUDIZIO DEVE ESSEREINTESA COME DIFESA TECNICA, E DEMANDATA ALL’AVVOCATO E NON AL CURATORE

Nonostante le chiare, inequivocabili e corrette parole contenute nella legge149/01 (“assistenza legale”, “difensore”) si continua a discutere in sede

legislativa in merito alla figura cui spetta la rappresentanza del minore ingiudizio: avvocato o curatore?Il riconoscimento del diritto del minore all’assistenza legale, e quindi all’assi-stenza tecnica di un avvocato, che potrà essere nominato secondo le modalitàsopra ipotizzate, rende a mio parere superflua la nomina di un curatore specia-le, che è il soggetto cui è demandata la rappresentanza in sede processuale.La figura del curatore speciale, come delineata dall’articolo 78 c.p.c., risul-ta peraltro non corrispondere alle nuove esigenze che emergono dalla rifor-ma del giudizio di adottabilità e dalla considerazione del minore quale tito-lare di diritti soggettivi e capace di agire nel processo, in quanto capace didiscernimento e titolare di spazi di autonomia di scelta per quanto attiene irapporti e i diritti di natura personale.Il primo comma dell’articolo 78 c.p.c. prevede infatti la nomina del curato-re speciale come rappresentante dell’incapace, qualora manchi la persona acui spetta la rappresentanza, ma si è detto che il minore, quanto meno quel-lo capace di discernimento, ha la capacità di agire nel processo, in quanto gliè riconosciuto il libero esercizio dei diritti alla personalità, che vi si fannovalere.Quanto alla nomina del curatore speciale ai sensi del secondo comma del-l’articolo 78 c.p.c., quando vi è un conflitto di interessi con i genitori, chesecondo la giurisprudenza deve essere attuale e non ipotetico13, non si puònegare a priori la possibilità di una coincidenza tra l’interesse del minore equello del genitore, che esclude il conflitto14.La figura del curatore speciale, quale rappresentante processuale delminore, la cui nomina si fonda sul presupposto della sua incapacità o delconflitto di interessi tra il minore e i suoi genitori, risulta conseguente-mente in contrasto con il riconoscimento di spazi di autonomia di sceltadel minore rispetto ai suoi diritti di personalità.Più idonea a rappresentare in giudizio i diritti del minore e la sua nuovaposizione processuale, autonoma rispetto ai genitori e al giudice, risultaessere la figura dell’avvocato, difensore del minore15.

LA RELAZIONE TRA L’AVVOCATO E IL CLIENTE MINORE, NEIPROCEDIMENTI CIVILI MINORILI

L’AIAF Lombardia da due anni promuove corsi di formazione e aggiorna-mento per avvocati, sulla difesa del minore nei giudizi civili, e grazie ad

un lavoro di comune riflessione e di confronto con psicologi e neuropsichia-

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13 Cass. 28 ottobre 1982 n. 5631, in Foro it., 1983, I, 220314 Cass. 30 gennaio 1982 n. 589, in Giust. Civ. 1982, I, 214715 M. PINI, L’adozione nazionale e internazionale, Il Sole 24Ore, 2002

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tri infantili16, sono stati esaminati i problemi principali che possono in prati-ca connotare la relazione tra l’avvocato e il cliente minore d’età.In primo luogo si è rilevato che l’assistenza legale di un minore in un giudi-zio civile presenta aspetti e problematiche molto diverse da quelle della dife-sa in ambito penale, dove il minore è autore del reato (e si trova in una situa-zione che ha lui stesso attivato, consapevolmente o meno).Nei procedimenti civili minorili aventi ad oggetto la sospensione o la deca-denza della potestà, o la dichiarazione di adottabilità, il minore vi si trovacoinvolto come parte, ma subisce una situazione che non ha certo attivato, dicui è stato ed è testimone e vittima, e i cui sviluppi giudiziari - ad esempiol’allontanamento da casa o dai genitori - che possono comportare anche l’in-terruzione della convivenza e della relazione con il genitore spesso non com-prende, o non condivide.Dall’esperienza degli avvocati che trattano procedimenti civili avanti ilT.M., e che sono spesso nominati curatori speciali di minori, emerge il datoche i minori, capaci di discernimento, hanno spesso una grande esigenza diesprimere la propria opinione, e manifestano il desiderio di essere ascoltatidal giudice. Vero è che oggi raramente il curatore ha un rapporto diretto conil minore, soprattutto se ricoverato in comunità, e tale rapporto è anzi spes-so ostacolato, in quanto non compreso e persino temuto, vuoi dal T.M., comedalla comunità, dai servizi sociali, dal Comune nominato tutore, etc.Dobbiamo pertanto ipotizzare un percorso di consulenza legale stragiudizia-le e di assistenza giudiziale, che allo stato non è ancora possibile porre inpratica.

PREPARARSI ALL’ASCOLTO DEL MINORE

Ascoltare il minore presuppone che si “sia pronti” ad ascoltarlo: per daresignificato e valore all’incontro e non rimandare al minore l’impressione

di una gran confusione.Occorre, prima dell’incontro, esaminando i dati della sua situazione e dellasituazione familiare, che probabilmente già conosciamo, porsi delle domande:- Chi è questo minore?- Che età ha?- In quale situazione oggettiva si trova?- Quanto è in grado di avere un quadro coerente e reale di sé stesso e

della propria situazione familiare?Se del caso con l’aiuto di uno psicologo, è necessario comprendere il gradodella cd capacità di discernimento, che non sempre dipende dall’età, masemmai dalla personalità del bambino e dal suo vissuto.Dobbiamo tener presente che il minore viene quasi sempre ascoltato in unafase in cui sta elaborando la propria storia, spesso in concomitanza con avve-nimenti per lui traumatici, e questo significa che la sua storia potrà essereespressa come una storia confusa, perché questo è tipico delle situazionitraumatiche. Alcuni CTU riferiscono, tenendo presente la loro esperienzaprofessionale, che quando incontrano un minore che ha avuto situazioni trau-matiche, ad esempio nei casi di adozione ed in tutte le circostanze in cui c’è

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

16 Un particolare ringraziamento alla Dott.ssa Cecilia Ragaini, neuropsichiatria infantile, CTU presso ilTribubale e la Corte d’Appello di Milano, che ha collaborato con l’AIAF Lombardia ad enucleare leproblematiche e ad individuare le soluzioni riportate in questo capitolo.

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una difficoltà nel rapporto con i genitori, si chiedono quanto quel minore hacominciato a comprendere, a capire della sua storia personale: spessopochissimo. Il bambino ha impresse delle immagini, l’immagine traumaticaha un valore più rilevante in quel momento, ma non collegata ad altre imma-gini, per cui viene fuori un’immagine traumatica legata ad immagini positi-ve, e rispetto alla stessa figura di riferimento si hanno spesso immagini con-trastanti.

IL CONTESTO DELL’INCONTRO

DOVE SI TROVA IL BAMBINO CHE DOBBIAMO INCONTRARE?Si trova presso i suoi genitori e quindi presso quella realtà che noi conside-riamo problematica, ma nel complesso conosciuta, o è stato collocato altro-ve? È stato collocato in una comunità che ha tenuto uno spazio neutro, doveha avuto la possibilità di elaborare la sua situazione, ma dove è anche moltosolo, e quindi vivrà una grande angoscia abbandonica e tutto quello che neconsegue. È stato collocato presso una famiglia affidataria?L’allontanamento da casa comporta una interruzione del rapporto con l’am-biente domestico oltre che con i genitori, che spesso comporta una lacerazio-ne interna nel minore, una mancanza di stabili riferimenti, che aumenta lasua angoscia e insicurezza, e rende difficile il loro ascolto.QUALE DEVE ESSERE IL CONTESTO OTTIMALE IN CUI DEVE ESSERE SENTI-TO IL MINORE?È importante instaurare un rapporto genuino, vero, reale con il minore. Nonmentire, non creare artificiose situazioni ambientali o di comunicazione. Ilminore deve avere da subito una immagine chiara del contesto: lo si rassicu-ra dandogli la possibilità di comprendere subito il significato e l’obbiettivodell’incontro con un avvocato.Secondo l’esperienza di alcuni CTU è da evitare l’incontro del minore nellasua casa, perché lì dentro il bambino ha una sua storia, un suo contesto, nelmomento in cui comunica determinate cose può, per il solo fatto di essere lì,tradire il contesto che lo ha accolto, può anche avere delle immagini affetti-vamente importanti che gli impediscono di parlare. Anche l’incontro incomunità è da evitare, soprattutto se il minore vi è inserito da tempo.È preferibile incontrarlo in uno spazio neutro, e possibilmente presso il pro-prio studio legale, dove potremo dire: “io sono il tuo avvocato e questo è ilmio studio”. È importante dare un giusto valore all’incontro, perché il mino-re lo dà.Il contesto influenza indubbiamente la comunicazione del minore, non tantoper quello che dice, quanto per quello che il bambino non dice. Dobbiamoinvece sollecitare una comunicazione spontanea e sincera.

COSTRUIRE UNA RELAZIONE CON IL MINORE

Il minore ha bisogno di sapere se ha davanti una figura che lo “accoglierà”,che lo capirà e lo aiuterà, una figura a cui far riferimento.

Non è detto che il minore si sieda davanti all’avvocato e gli racconti subitospontaneamente la sua storia, o gli chieda in modo chiaro le informazioni suun procedimento: dipende dalla sua età e dalla sua capacità di comprenderela situazione, ma anche dal suo stato emozionale e psichico, e dalla sua

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voglia e volontà di parlare e di mettersi in relazione con l’avvocato.È quindi necessario instaurare con lui una relazione, una comunicazione,spiegandogli per prima cosa in modo chiaro e semplice, chi siamo, perché luisi trova lì, cosa possiamo fare per lui, che è suo diritto potere dire quello chepensa, in modo tale che noi possiamo capire e farlo presente al giudice.Secondo alcuni CTU si deve tenere presente che il minore si trova in unasituazione di immaturità affettiva, che comporta una normale suggestionabi-lità; si ritiene quindi che il bambino è sempre suggestionabile, l’importanteè metterlo nella condizione di non essere suggestionato.Dopo che lo abbiamo accolto in uno spazio che possiamo chiamare neutro ein modo da non suggestionarlo, bisogna prevedere una scansione dei tempi:a seconda dell’età potrà esservi una preliminare conversazione amichevolesu un suo interesse o un gioco, per evitare al minore l’idea di essere sottoesame, e per dargli tempo per distaccarsi dalla figura di riferimento che lo haaccompagnato da noi.Dopo avergli dato il tempo necessario per ambientarsi e tranquillizzarsi, sipotrà iniziare a parlare della sua situazione, partendo da fatti precisi, solle-citando il suo parere, facendogli capire quanto sia importante sapere cosapensa e cosa vuole: solo costruendo una relazione, quasi un’alleanza, si potràriuscire a svolgere bene il ruolo di suo “difensore”.L’importante è non mentire e non tradire la sua fiducia, non perdere la neu-tralità rispetto ad altre figure, la madre, il padre, i parenti, il giudice.

RAPPRESENTARE IL MINORE IN GIUDIZIO

Noi dobbiamo capire come sta il minore, cosa ha compreso della sua situa-zione, cosa desidera, e sarà nostro compito esporre al giudice quello che

abbiamo sentito e compreso, quello che il minore, se capace di discernimen-to, ci ha espresso e chiesto di riferire.Naturalmente l’età del minore, bambino, adolescente o quasi maggiorenne, ela sua correlata capacità di discernimento, influisce sulla rilevanza dellavolontà espressa all’avvocato e conseguentemente sul “contenuto del man-dato difensivo”.Ma come comprendere se la sua volontà non è viziata o suggestionata dasituazioni per lui negative? Quale rilevanza dare ai desideri del minore?L’avvocato deve sempre e comunque rappresentare quello che il minore gliesprime, anche nel caso in cui sia manifestamente contrario ai suoi interessi?Questi interrogativi sono molto seri, ma l’avvocato, pur esperto in dirittominorile e attento alle esigenze di un minore, non è uno psicologo o un neu-ropsichiatra infantile, e non ha comunque il compito di esaminare clinica-mente il minore, o di fare una diagnosi.L’avvocato del minore ha invece il compito di:- comprendere quale sia la situazione del minore; chiarirla con lo stesso nel

migliore dei modi e per quanto possibile;- dare al minore, tenendo conto della sua età e capacità di discernimento,

tutte le informazioni pertinenti il procedimento che lo riguarda;- individuare con il minore, laddove possibile, degli obbiettivi, sia rispetto

al giudizio che al suo percorso personale, ponendosi in relazione con glieventuali servizi o esperti che già lo stanno seguendo;

- aiutare il minore, laddove i suoi desideri sono in chiaro conflitto con i suoi

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

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interessi, a comprendere la realtà, diversa da quella che lui si rappresenta;- informare il minore sulle possibili conseguenze delle aspirazioni da lui

manifestate e delle possibili conseguenze di ogni sua decisione;- recepire in ogni caso la volontà e i desideri del minore;- rispettare il minore e rappresentare comunque al giudice la sua volontà e

i suoi desideri, perché questa e non altra è la verità che ci viene comuni-cata dal minore: spetterà poi al giudice assumere la decisione nell’interes-se del minore;

- porsi in relazione con il giudice e i servizi sociali, o la comunità, o lafamiglia affidataria, affinché si possa, laddove possibile, costruire un pro-getto unitario per il minore, condiviso dallo stesso

RESPONSABILITÀ E DEONTOLOGIA PROFESSIONALEDELL’AVVOCATO DEL MINORE

La rappresentanza in giudizio di un minore accentua i profili di responsabi-lità dell’avvocato, che secondo il Preambolo del c.d.f. “esercita la propria

attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti egli interessi della persona”; l’avvocato del minore non deve essere soltantopreparato sul terreno tecnico-giuridico, ma avere soprattutto acquisito unapreparazione specifica e pluridisciplinare, che comprenda competenze dipsicologia e sociologia per la comprensione della personalità del minorenelle varie fasi dello sviluppo evolutivo e per comprendere le dinamichefamiliari.La responsabilità dell’avvocato del minore assume quindi un rilievo che tra-scende la nozione di normale responsabilità professionale e le comuni rego-le deontologiche, e considerata la rilevanza del rischio delle conseguenzedelle scelte difensive, i doveri di diligenza, competenza e di aggiornamentoprofessionale condizionano ogni altra regola.La difesa dovrà essere orientata tenendo conto della volontà del minore, secapace di discernimento, e nel contempo di una corretta valutazione dei suoiinteressi, cercando di conciliare i doveri di fedeltà al mandato e di verità nelprocesso; si dovrà laddove possibile e non in netto contrasto con la volontàdel minore, capace di discernimento, porsi in relazione con i soggetti che giàsostengono e seguono lo stesso, nell’ottica di perseguire un progetto com-plessivo e condiviso dallo stesso minore.Altrettanto dovranno essere in particolare salvaguardati il dovere di segre-tezza e riservatezza di cui all’art. 9 c.d.f.17, fondamentali per instaurare unarelazione forte, fondata sulla fiducia, da parte del minore.

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17 Codice deontologico - ART. 9 - Dovere di segretezza e riservatezza.È dovere, oltreché diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto sull’attivitàprestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto aconoscenza in dipendenza del mandato.I - L’avvocato è tenuto al dovere di segretezza e riservatezza anche nei confronti degli ex clienti, sia

per l’attività giudiziale che per l’attività stragiudizialeII - La segretezza deve essere rispettata anche nei confronti di colui che si rivolga all’avvocato per

chiedere assistenza senza che il mandato sia accettato.III -L’avvocato è tenuto a richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri collaborato-

ri e dipendenti e a tutte le persone che cooperano nello svolgimento dell’attività professionale.IV - Costituiscono eccezione alla regola generale i casi in cui la divulgazione di alcune informazio-

ni relative alla parte assistita sia necessaria:

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6. FORMAZIONE PROFESSIONALE E DEONTOLOGIA DELL' AVVOCATO

a) per lo svolgimento delle attività di difesa;b) al fine di impedire la commissione da parte dello stesso assistito di un reato di particolare gravità;c) al fine di allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e assistito;d) in un pro-cedimento concernente le modalità della difesa degli interessi dell’assistito.In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il finetutelato.

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Finito di stampare nel mese di luglio 2005presso la Tipolitografia Quatrini Archimede e figli snc - Viterbo

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