Budrio nella Grande Guerra (1915-1918) Lorenza Servetti ... · Budrio nella Grande Guerra...

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Budrio nella Grande Guerra (1915-1918) lezione di Lorenza Servetti alle classi 3^A, C, D, F della scuola secondaria inferiore Istituto Comprensivo di Budrio 7 e 8 Marzo 2016 Voglio cominciare leggendovi alcune righe scritte ad un amico, pochi giorni prima di morire, da Trionfo Roversi, un ragazzo di 19 anni, partito volontario per il fronte nel maggio 1915 e morto alla fine di settembre: Caro Gaetano, penso alle scorse serate primaverili quando assieme ai miei cari amici vagavo per la campagna budriese a far serenate, ma poi tutto entro di me si tace all'improvviso brontolio del cannone, all'incessante crepitio della nostra fucileria e allora penso all'adorate mie: la Patria e la Baionetta, l'una amata madre, l'altra diletta moglie. Evviva Trento e Trieste! Qui la nostalgia del paese appena lasciato è sopraffatta dalla nuova realtà della guerra vissuta con l'esaltazione e l'ardore che ha determinato la sua scelta. Ma in molte delle lettere dal fronte che ho ritrovato nell'archivio comunale e presso privati [più di 200], la guerra non è descritta, appare solo il mondo che si è appena lasciato: Budrio e le sue occupazioni di pace, nelle campagne, nelle attività giornaliere, di cui si chiede insistentemente ai famigliari di mandare notizie, per “sopravvivere”, per essere per un momento “fuori dalla guerra”, nella normalità di una vita violentemente interrotta dalla guerra: Giuseppe Zucchini, ad es., non fa che preoccuparsi di conoscere di che qualità è la zudlina, che gli serve per il suo mestiere di seggiolaio, mentre Amedeo Garagnani, meccanico, non fa che parlare ai suoi della bicicletta nuova che deve essere consegnata e a spiegare come deve essere appesa, con le ruote unteperchè non si rovini. Questo è il paese che rivive nelle lettere dei soldati, Budrio visto dal fronte. Ma vediamo cosa succedeva nel paese reale, che pur essendo "lontano dal fronte" è però da subito "dentro la guerra", sia perchè dichiarata "zona di guerra", sia per le pesantissime ripercussioni del conflitto.Nel primo Novecento Budrio, coi suoi 17.400 abitanti, era uno dei più popolosi comuni della provincia. L'economia del paese si basava fondamentalmente sull'agricoltura, che impiegava i due terzi della popolazione, in maggioranza come braccianti. Molte anche le attività artigianali, rinomate per qualità: fabbri, falegnami, sarti, calzolai. La coltivazione della canapa, da secoli esportata sui mercati nazionali ed internazionali, continuava ad essere una delle principali risorse, mentre i lavori di bonifica e l'introduzione di innovazioni tecniche nella lavorazione dei prodotti avevano risollevato in parte le campagne dalla crisi agraria di fine Ottocento. La maggiore stabilità politica, poi, aveva permesso l'attuazione di importanti opere pubbliche, dal nuovo edificio delle Scuole elementari al "sanatorio popolare" per malati di petto; all'acquedotto, al nuovo sistema fognario, contro il diffondersi di malattie endemiche come il tifo; alla costruzione della centrale elettrica, in grado di fornire di illuminazione pubblica anche le frazioni. Dal 1886 funzionava anche la ferrovia che collegava il paese a Bologna e, con le sue due linee, a Molinella-Portomaggiore e a Medicina-Massalombarda. Tutto ciò aveva portato notevoli benefici. Ma l'entrata in guerra dell'Italia, e il protrarsi del conflitto ne stravolsero l'economia e la vita stessa del paese. La mobilitazione interessò tra i 3500 e i 4000 uomini, il 40% della popolazione maschile, in maggioranza lavoratori agricoli. Le ripercussioni furono devastanti: difficile provvedere alla manutenzione della campagna, famiglie contadine con due o tre figli si trovarono senza aiuto per lavorare i loro campi. E nel corso del conflitto, la situazione peggiorò: dalla scarsità della produzione agricola derivò un progressivo aumento dei prezzi dei beni di primo consumo. Anche sul versante della pubblica amministrazione vi furono effetti pesanti, con la chiamata alle armi di gran parte del personale comunale. Il Prefetto aveva già allertato i sindaci, fra cui quello di Budrio, sui loro nuovi compiti di fronte all'emergenza che si sarebbe verificata. Budrio, come dicevamo, fu dichiarata “zona di guerra” e il paese e le frazioni ospitarono reparti in attesa di raggiungere le zone di operazioni o di ritorno dal fronte. L'arrivo delle truppe costrinse l'amministrazione comunale a organizzare le requisizioni di edifici pubblici e privati richieste dal comando militare per alloggiare i soldati e a predisporre quant'altro era richiesto dalla loro

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Budrio nella Grande Guerra (1915-1918)

lezione di Lorenza Servetti

alle classi 3^A, C, D, F della scuola secondaria inferiore

Istituto Comprensivo di Budrio

7 e 8 Marzo 2016

Voglio cominciare leggendovi alcune righe scritte ad un amico, pochi giorni prima di morire, da

Trionfo Roversi, un ragazzo di 19 anni, partito volontario per il fronte nel maggio 1915 e morto alla

fine di settembre:

Caro Gaetano, penso alle scorse serate primaverili quando assieme ai miei cari amici vagavo per

la campagna budriese a far serenate, ma poi tutto entro di me si tace all'improvviso brontolio del

cannone, all'incessante crepitio della nostra fucileria e allora penso all'adorate mie: la Patria e la

Baionetta, l'una amata madre, l'altra diletta moglie. Evviva Trento e Trieste!

Qui la nostalgia del paese appena lasciato è sopraffatta dalla nuova realtà della guerra vissuta con

l'esaltazione e l'ardore che ha determinato la sua scelta. Ma in molte delle lettere dal fronte che ho

ritrovato nell'archivio comunale e presso privati [più di 200], la guerra non è descritta, appare solo il

mondo che si è appena lasciato: Budrio e le sue occupazioni di pace, nelle campagne, nelle attività

giornaliere, di cui si chiede insistentemente ai famigliari di mandare notizie, per “sopravvivere”, per

essere per un momento “fuori dalla guerra”, nella normalità di una vita violentemente interrotta

dalla guerra: Giuseppe Zucchini, ad es., non fa che preoccuparsi di conoscere di che qualità è la

zudlina, che gli serve per il suo mestiere di seggiolaio, mentre Amedeo Garagnani, meccanico, non

fa che parlare ai suoi della bicicletta nuova che deve essere consegnata e a spiegare come deve

essere appesa, con le ruote unteperchè non si rovini. Questo è il paese che rivive nelle lettere dei

soldati, Budrio visto dal fronte. Ma vediamo cosa succedeva nel paese reale, che pur essendo

"lontano dal fronte" è però da subito "dentro la guerra", sia perchè dichiarata "zona di guerra", sia

per le pesantissime ripercussioni del conflitto.Nel primo Novecento Budrio, coi suoi 17.400

abitanti, era uno dei più popolosi comuni della provincia. L'economia del paese si basava

fondamentalmente sull'agricoltura, che impiegava i due terzi della popolazione, in maggioranza

come braccianti. Molte anche le attività artigianali, rinomate per qualità: fabbri, falegnami, sarti,

calzolai. La coltivazione della canapa, da secoli esportata sui mercati nazionali ed internazionali,

continuava ad essere una delle principali risorse, mentre i lavori di bonifica e l'introduzione di

innovazioni tecniche nella lavorazione dei prodotti avevano risollevato in parte le campagne dalla

crisi agraria di fine Ottocento. La maggiore stabilità politica, poi, aveva permesso l'attuazione di

importanti opere pubbliche, dal nuovo edificio delle Scuole elementari al "sanatorio popolare" per

malati di petto; all'acquedotto, al nuovo sistema fognario, contro il diffondersi di malattie

endemiche come il tifo; alla costruzione della centrale elettrica, in grado di fornire di illuminazione

pubblica anche le frazioni. Dal 1886 funzionava anche la ferrovia che collegava il paese a Bologna

e, con le sue due linee, a Molinella-Portomaggiore e a Medicina-Massalombarda. Tutto ciò aveva

portato notevoli benefici. Ma l'entrata in guerra dell'Italia, e il protrarsi del conflitto ne stravolsero

l'economia e la vita stessa del paese. La mobilitazione interessò tra i 3500 e i 4000 uomini, il 40%

della popolazione maschile, in maggioranza lavoratori agricoli. Le ripercussioni furono devastanti:

difficile provvedere alla manutenzione della campagna, famiglie contadine con due o tre figli si

trovarono senza aiuto per lavorare i loro campi. E nel corso del conflitto, la situazione peggiorò:

dalla scarsità della produzione agricola derivò un progressivo aumento dei prezzi dei beni di primo

consumo. Anche sul versante della pubblica amministrazione vi furono effetti pesanti, con la

chiamata alle armi di gran parte del personale comunale. Il Prefetto aveva già allertato i sindaci, fra

cui quello di Budrio, sui loro nuovi compiti di fronte all'emergenza che si sarebbe verificata.

Budrio, come dicevamo, fu dichiarata “zona di guerra” e il paese e le frazioni ospitarono reparti in

attesa di raggiungere le zone di operazioni o di ritorno dal fronte. L'arrivo delle truppe costrinse

l'amministrazione comunale a organizzare le requisizioni di edifici pubblici e privati richieste dal

comando militare per alloggiare i soldati e a predisporre quant'altro era richiesto dalla loro

presenza: il forno, ad esempio, o la "Casa del soldato", con una "sala di lettura e scrittura", luogo di

accoglienza e di conforto. Numerosi documenti attestano i ringraziamenti dei capi militari per

l'accoglienza ricevuta, ma la situazione diventò sempre più difficile col prolungarsi della guerra e

gli oneri superarono i possibili guadagni . Ed era il sindaco che doveva gestire la situazione, così

come doveva fare da tramite tra il comando militare e le famiglie, comunicare a queste ultime

notizie dei loro cari al fronte,o anche la loro morte. L'impegno più gravoso per l'Amministrazione fu

proprio l'assistenza alle famiglie dei richiamati. A questo scopo si istituì una rete formata da enti

pubblici e privati cittadini, rete che funzionò con efficienza, con varie iniziative, lodate anche dalla

stampa locale. La Giunta comunale intervenne triplicando, dal 1915 al 1918, lo stanziamento per "la

beneficienza straordinaria per la guerra"; mentre ai primi di giugno del 1915 costituì un "Comitato

assistenza famiglie dei richiamati", che si incaricò di raccogliere offerte e di mettere in atto un

programma di aiuti alle famiglie dei soldati al fronte. Per tutti gli anni di guerra il Comitato, con

l'aiuto anche del Patronato scolastico, fece funzionare dal 1° luglio al 30 settembre, "ricreatori"

affidati a volontarie, in cui accogliere i figli dei richiamati, le cui mamme dovevano lavorare.

Un ruolo fondamentale nell'assistenza alle famiglie, in particolare ai bambini e agli orfani (alla fine

della guerra 252 documentati) ebbe anche la Congregazione di Carità-Opere Pie, antico ente di

beneficenza che gestiva due istituti per orfani dai 6 ai 19 anni e l'Asilo infantile Menarini. All'Asilo

veniva data a tutti i bimbi una tazza di latte al mattino, la minestra calda a mezzogiorno e un panino

a merenda. Congregazione e Comune agivano di concerto nella formulazione delle liste degli

assistiti, nella valutazione delle domande delle famiglie e nell'impegno assistenziale. Per gli orfani

di entrambi i genitori fu istituito nel 1918 un orfanatrofio,chiuso nel novembre 1922, poichè erano

rimasti solo 26 bambini, di cui 15 avevano ancora la mamma cui furono riconsegnati, e i rimanenti

furono collocati presso altri enti (Istituto salesiano di Lugo e Istituti San Pellegrino e Figli del

Popolo di Bologna), a spese del Comune e della Congregazione. Per sottolineare la vicinanza delle

istituzioni pubbliche alla cittadinanza voglio raccontarvi questo episodio che uno degli orfani di

entrambi i genitori, Luigi Broccoli, ha tramandato a sua figlia. Luigi ha sempre ricordato il giorno

in cui lo zio Filone lo accompagnò nell'ufficio del sindaco e indicandoglielo gli disse: "Guèrda mo'

in faza cl'oman lè: dôv al va lò stasira , t'i va anca tè" ("Guarda in faccia quell'uomo: dove va lui

stasera vai anche tu") e lo lasciò lì affidandolo con fiducia al sindaco, sapendo che gli avrebbe

trovato una sistemazione. Di questa efficiente rete di assistenza fece parte anche la Sezione budriese

della Croce Rossa, attiva fin dai primi mesi di guerra nell'opera di assistenza ai soldati al fronte, in

particolare a quelli fatti prigionieri. Fra i suoi dirigenti c'era Bianca Rossi, la mamma di Giorgio

Rossi, l'altro volontario, partito insieme a Trionfo nel maggio 1915 e anche lui morto in settembre.

La croce Rossa costituiva l'unico canale diretto con le famiglie: a lei si devono ricerche e notizie dai

campi di prigionia e l'aiuto alle famiglie per seguire correttamente le procedure di invio di cibo e

indumenti ai propri cari in prigionia. Nelle lettere i nostri fatti prigionieri chiedevano con insistenza

l'invio di pacchi di cibo, come Raffale Rambaldi, dal campo di progionia di Milovice. Nonostante i

pacchi inviati Raffaele morì di fame, insieme ad altri 8 budriesi (e ad altri 5670 italiani). Della sua

morte la famiglia potè avere notizia solo a distanza di quasi un anno, per le ricerche condotte

proprio dalla sezione locale della Croce Rossa.

Dei prigionieri dell'altro fronte che vennero smistati a Budrio si occupò invece la Congregazione di

Carità, che gestiva anche l'ospedale, dove furono ricoverati, oltre a molti nostri soldati, anche 287

prigionieri, di cui 32, morti nel 1918 di spagnola, furono sepolti nel cimitero di Budrio, dove una

lapide ne onora la memoria. Come ho detto, c'erano a Budrio alcuni prigionieri impiegati nel lavori

agricoli presso la Congregazione e uno di questi, un certo Franz, lavorava con mio nonno, che lo

chiamava anche in casa, a dividere quel po' che c'era da mangiare e a stare un po' in famiglia, a

giocare con mia madre che allora aveva 5 anni circa, la stessa età della figlia di Franz, di cui egli

mostrava orgoglioso la fotografia. Mio nonno parlava solo dialetto, ma si intendevano: avevano le

stesse mani da contadini, forse somiglianze anche nella casa e nella composizione della famiglia.

Quando finì la guerra e Franz se ne andò, volle lasciare al nonno il suo cappotto militare di lana

pesante, in segno di riconoscenza per il calore che aveva ricevuto. E quel cappotto, disfatto e tinto,

servì per un'ampia gonna della nonna e per un cappottino per mia madre, con molte balze per

poterlo ogni anno allungare, tanto che durò per tutta la sua infanzia: il cappotto di Franz. Questa

storia, più volte raccontata dal nonno a mia madre e da lei tramandatami, è stato il primo racconto

che ho avuto sulla guerra: una storia di solidarietà e di amicizia al di là della guerra.

I caduti budriesi (dalla ricerca di Carlo Dogheria, autore del Data base consultabile sul Sito del

Comune di Budrio e del Museo del Risorgimento di Bologna)

Alla fine del conflitto il bilancio dei caduti fu pesante: i residenti a Budrio morti nel corso della

guerra furono all'incirca 380. In una statistica approssimativa, il 53% di loro morì per ferite, gli altri

per malattia, anzitutto patologie polmonari. 44 soldati trovarono la morte nei campi di prigionia: in

Austria, Germania, Boemia, Slovacchia, Ungheria, Montenegro; di questi ultimi, almeno 8

morirono di fame. Alcuni infine caddero lontano dai fronti del Triveneto: 3 in Albania e 6 in Libia.

Per l'80% si trattava di contadini, braccianti e operai. Il caduto più giovane, Adriano Baldi, non

aveva ancora compiuto 18 anni; il più anziano, Gaetano Donati, ne aveva 42.Con le famiglie

numerose dell'epoca, non furono rari i casi di due o più fratelli morti in guerra: dai dati che abbiamo

risulterebbero ben 16 coppie e addirittura due gruppi di tre fratelli. 83 caduti budriesi furono

decorati con la croce di guerra al valor militare, 9 con la medaglia di bronzo, 5 con la medaglia

d'argento; la croce al merito di guerra, spettante a chi avesse operato per almeno un anno in zona di

operazioni o fosse stato ferito in combattimento, fu concessa, oltre che a tutti i decorati, ad altri 16

caduti.

A questi 380 vanno aggiunti 147 caduti nativi di Budrio ma residenti altrove. Molti anche i feriti,

che, pur non avendo dati certi, dovrebbero ammontare a più di 500.

Budrio1923-1925:la costruzione del monumento ai caduti budriesi e del Parco della

Rimembranza (dalla ricerca di Annalisa Sabattini, consultabile sul sito del Comune di Budrio e del

Museo del Risorgimento di Bologna)

Nel 1922 il Ministero della Pubblica Istruzione

emanò due circolari per promuovere in tutta

Italia la realizzazione dei “Parchi per le

Rimembranze” in cui piantare alberi in memoria

dei caduti della prima guerra mondiale.

L’iniziativa prevedeva quindi di piantare un

albero per ogni caduto e di affidarne la custodia

a una ‘guardia d’onore’ costituita dai più

meritevoli tra gli studenti. Il corpo insegnante

era tenuto a collaborare con i Comuni, tramite

Comitati esecutivi, per formare l’elenco dei

caduti.

Nel 1924 il Comitato per le Onoranze ai Caduti

di Budrio, presieduto dal Sindaco Federico

Pescatori, presentò quindi il progetto per un

monumento per i caduti nell’area “lungo il viale

che conduce alla stazione ferroviaria, a destra

della villa Menarini” (attuale Viale I Maggio).

Il terreno occorrente era stato offerto dai conti

Giuseppe e Anna Scarselli. Abbiamo la relazione

del progetto del geometra comunale Francesco

Fabbri.

Nel mese di giugno furono chiesti preventivi per le targhe e la costruzione dei treppiedi in legno "a

protezione degli alberelli".A gennaio 1925 furono piantati gli alberi: 115 piante di ligustro,

corrispondenti a quasi tutti i 120 caduti i cui nomi compaiono nelle lapidi frontali del monumento.

Nel mese di aprile la Cooperativa Metallurgici di Budrio realizzò la barriera in ferro battuto, e

furono ultimate le opere di recinzione.Il parco fu inaugurato il 13 giugno 1925 durante una visita

del Re Vittorio Emanuele III.Alle 7.30 Vittorio Emanuele III arrivò in paese: la vettura si fermò in

piazza davanti al Palazzo Comunale, dove il Re fu accolto dal Sindaco Pescatori e dalle autorità.

Affacciato al balcone pronunciò quindi un breve discorso e in seguito il corteo si diresse al Parco,

dove si tenne la cerimonia di inaugurazione alla presenza di una vasta folla.

Budrio, 13 giugno 1925, Inaugurazione del Parco della Rimembranza e del Monumento ai Caduti. (Foto Archivio Montanari-Pazzaglia)

Al termine il Sovrano lasciò Budrio per recarsi nei Comuni vicini. Al centro del Parco si trova un

monumento a gradoni di cemento, decorato da tre bassorilievi in bronzo dello scultore budriese

Arturo Orsoni (1867-1928, autore di opere sacre e di monumenti funerari in cui sono rappresentati

un uomo inginocchiato che prega ad occhi serrati e una madre dolente, col capo velato in segno di

lutto, che con un unico gesto sembra abbracciare il suo bambino e accompagnarlo alla preghiera. Il

bambino ha lo sguardo volto direttamente verso il monumento, quasi a rendere tangibile

visivamente il coinvolgimento diretto delle generazioni future nel culto della memoria dei caduti.

Sullo sfondo, alberi di alloro e di quercia - simboli di gloria ed eternità - intrecciano i loro rami. Le

lastre sul fronte e sul retro riportano i nomi di tutti i caduti budriesi. Sul fronte in alto c'è lo stemma

in bronzo del Comune di Budrio, circondato da due rami di palma, simbolo del martirio. Sul retro

sono incisi i nomi di altri 250 caduti, in lettere oggi abrase e poco leggibili. Di fronte al monumento

è presente anche un piccolo piedistallo che regge una lampada votiva. A coronamento della lapide

frontale c'è un'iscrizione:il parco è "consacrato alla perenne memoria dei suoi prodi gloriosamente

caduti per la Patria". Al termine della seconda guerra mondiale ai lati del giardino troviamo due

steli che ricordano i caduti della guerra in Abissinia (1935-36) e quelli del secondo conflitto

mondiale (1940-45). I nomi sono distinti secondo i luoghi della morte. Sono anche ricordati 17

budriesi morti prigionieri e 35 partigiani.

Nel febbraio del 1940 il Ministero degli Interni si rivolse a tutte le Prefetture chiedendo di fare

fondere i monumenti in bronzo per ragioni belliche. Nelle liste dei monumenti da rimuovere redatte

dalla Soprintendenze alle Belle Arti c'era anche il monumento ai caduti di Budrio, ma la sua

distruzione e fusione fu rinviata “al momento di eventuali maggiori esigenze” (cosa che

fortunatamente non si verificò).

Fonti e bibliografia

Archivio Storico del Comune di Budrio

Archivio Opere Pie-Congregazione di Carità, Budrio

Archivio di Stato, Gabinetto di Prefettura, Bologna

Archivio Museo del Risorgimento Bologna

Archivi famigliari privati

Carlo Dogheria, I caduti budriesi nella grande guerra, 1915-1918, PDF pubblicato sul Sito del

Comune di Budrio e sul sito del Museo del Risorgimento di Bologna

Annalisa Sabattini,1923-1925: la costruzione della memoria. Il monumento ai caduti budriesi e il

Parco della Rimembranza, PDF pubblicato sul Sito del Comune di Budrio e sul sito del Museo del

Risorgimento di Bologna

Fedora Servetti Donati, Budrio Casa nostra, Budrio, 1993