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DIRITTO PROCESSUALE CAUTELARE

segnaliamo

STEFANO RECCHIONI

DIRITTO PROCESSUALE CAUTELARE

II volume propone l’analisi, rinnovata ed ampliata, del rito cautelare uniforme, ossia del bacino di norme dedicate dal codice di procedura civile al regime processuale delle domande cautelari civili. L’opera costitui-sce la più analitica e diffusa trattazione del rito cautelare civile, di cui ogni singolo snodo – dalla proposizione della domanda sino all’attuazione del provvedimento cautelare – è trattato dall’autore sistematicamente con l’analisi critica di tutta la dottrina e la giurisprudenza edita sul tema. In particolare, quanto alla giuri-sprudenza, l’opera tiene in debito conto ogni pronuncia di merito e di legittimità edita nelle principali riviste giuridiche italiane. Ovviamente, il lavoro è aggiornato a tutte le riforme processuali che, dopo l’entrata in vigore il rito cautelare uniforme nel 1994, si sono succedute dal 2005 sino alle ultime sul processo civile telematico e sulla c.d. degiurisdizionalizzazione, incidendo direttamente o indirettamente sul tema del pro-cesso cautelare. Questa edizione, quindi, si candida a essere, di nuovo, la più completa sintesi scientifica e applicativa sul tema del processo cautelare uniforme civile.

Prefazione. – I. Sistema della tutela cautelare civile. – II. La domanda cautelare, la giurisdizione e la competenza. – Sez. I: La domanda cautelare. – Sez. II: La giurisdizione cautelare. – Sez. III: La disciplina della competenza delle domande cautelari. – III. Il procedimento cautelare ed i suoi esiti. – Sez. I: La trattazione della domanda cautelare. – Sez. II: La cognizione e l’istruzione della domanda cautelare. – Sez. III: I provvedimenti di accoglimento e di rigetto, la cauzione e le spese. – Sez. IV: L’assetto del giudizio di merito promosso dopo o congiuntamente al procedimento cautelare. – IV. La perdita di efficacia del provvedimento cautelare. – V. I rimedi contro gli esiti del processo cautelare. – Sez. I: La revoca e la modifica del provvedimento cautelare positivo. – Sez. II: Il reclamo cautelare. – VI. L’attuazione delle misure cautelari.

Accesso gratuito alla versione digitale

del volume

pp. XXII-1018 | € 92,00

ISBN 978-88-7524-293-0

ABSTRACT

INDICE

SSOOMMMMAARRIIOO  

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Editoriale 2 Giulia Sarnari

Focus   L’infertilità e le problematiche della PMA

5 Massimo Moscarini I “correttivi” alla l. n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita ad opera

della giurisprudenza costituzionale 10 Luca Varrone

Nuovi modelli familiari: vuoto normativo e norme inefficaci24 Lorenzo D’Avack

Tecniche di riproduzione assistita e revoca del consenso: una questione ancora insoluta31 Maria Acierno

La maternità surrogata 41 Marta Rovacchi

Profili di responsabilità penale nella l. n. 40/2004 all’indomani della sentenza della Cortecost. n. 162/2014

49 Gianluca Luongo Fecondazione eterologa per errore: ancora sullo scambio degli embrioni – Nota all’ord. 8

agosto 2014 Tribunale di Roma – Dott. S. Albano 57 Alberto Figone

Diritto alle origini: prospettive di riforma dopo la sentenza della Corte cost. 22 novembre2013, n. 278

60 Monica Velletti La PMA. Scenari psicologici, clinici e dati di ricerca

73 Paola Re Dove ci porta il piano inclinato delle procreazioni

82 Paolo Morozzo Della Rocca

© Copyright 1995 – AIAF RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI Quadrimestrale – reg. Trib. Milano 24 settembre 2013, n. 288 Anno XIX, n. 2 Direttore Responsabile Alessandro Sartori Comitato di redazione Manuela Cecchi, Gabriella de Strobel, Alberto Figone, Ca-terina Mirto, Giulia Sarnari, Antonina Scolaro Redazione Galleria Buenos Aires n. 1, 20124 Milano – tel. e fax 02 29535945 [email protected] www.aiaf-avvocati.it

G. Giappichelli Editore – 10124 Torino via Po, 21 – Tel. 011-81.53.111 – Fax 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it ISBN/EAN 978-88-348-5796-0 ISSN 2240-7243 Stampa Stampatre s.r.l., via Bologna 220, 10123 Torino Finito di stampare nel mese di giugno 2015 Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere ef-fettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di pe-riodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professiona-le, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

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EDITORIALE 

Giulia Sarnari Avvocato in Roma

All’indomani della sentenza della Corte cost. n. 162/2014 pubblicata il 18 giugno 2014, che ha abolito il divieto della fecondazione assistita eterologa contenuto nella l. n. 40/2004, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 10 luglio 2014 nel ricevere al Quirinale una delegazione del Comitato Nazionale per la Bioetica, affermò che «il silenzio osservato negli ultimi tempi dal parlamento sui temi della bioetica non può costituire un atteggiamento soddisfacente rispetto ai problemi la cui complessità e acutezza continua ad essere largamente avvertita»; successivamen-te anche il Prof. Lorenzo D’Avack, vice presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, in oc-casione del XX Meeting del Forum dei Comitati Etici dei paesi della UE che si è svolto a Roma a novembre 2014, nell’ambito del semestre italiano, coerentemente a quanto espresso nei suoi noti scritti ha con forza richiamato l’attenzione del legislatore italiano a occuparsi e a regolamentare i problemi emergenti dal progresso scientifico in ambito procreativo, giacché è di palmare eviden-za che si stanno delineando «modelli familiari diversi, privi di regole efficaci». Ad un anno da tale pronuncia della Consulta si è ancora in attesa di un intervento normativo, ma il dibattito sui tanti temi della procreazione medicalmente assistita – PMA, sia nell’ambito delle scienze mediche e psicologiche, che nel mondo della bioetica e del diritto è stato molto vivace, con una densa e necessaria interazione tra le diverse discipline; tanti gli studi, i pareri e le riflessioni, suscitati spesso da pronunce giurisprudenziali nazionali ed europee e con questo secondo numero della Rivista del 2015 si vuole offrire un inquadramento della “questione PMA”, da cui discendono molteplici spunti di riflessione. Introduce il tema il Prof. Massimo Moscarini per un primo orientamento rivolto a chi è estra-neo al mondo delle scienze mediche sui diversi tipi di trattamento sanitario in campo ripro-creativo e per richiamare l’attenzione sulla tutela della salute delle persone coinvolte nelle tec-niche di PMA, specie della salute della donna che la banalizzazione del dibattito mediatico fa spesso dimenticare, ma anche sulla tutela della fertilità. Non si può non considerare, infatti, che se il ricorso alla PMA è sempre più spesso frutto di una scelta verso un rapporto genitoriale “sociale” verso “nuovi modelli familiari”, nella maggioranza dei casi è dovuto a motivi di inferti-lità/sterilità. Il Prof. Moscarini ricorda anche che la Conferenza delle Regioni a settembre 2014 ha approvato all’unanimità delle Linee guida inter-regionali che dovrebbero assicurare il libero accesso alla PMA eterologa presso centri specializzati pubblici che si attengano a regole comu-ni (predefinite) valide su tutto il territorio nazionale, evidenziando, tuttavia, come il problema più grande che tutti i Centri si trovano ad affrontare oggi è il reperimento dei gameti, sia ma-schili che femminili. Il Dott. Luca Varrone esamina la sent. n. 162/2014 della Corte costituzionale, ma preliminar-mente pone in risalto la natura costituzionalmente necessaria della l. n. 40/2004 e analizza an-

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che tutti gli interventi precedenti a tale nota sentenza che si sono succeduti ad operare il bilan-ciamento della tutela dell’embrione con altri beni e valori costituzionali, in particolare con quello della tutela del diritto alla salute della donna e a superare i problemi legati ai limiti sog-gettivi di accesso alle tecniche di PMA e alla diagnosi preimpianto. E mentre questo numero della rivista va in stampa si è in attesa delle motivazioni della Consulta, che in data 14 maggio 2015 ha dichiarato esplicitamente incostituzionale l’art. 1, 1° comma e 2° comma, nonché l’art. 4, 1° comma della l. n. 40 sul divieto delle indagini sull’embrione preim-pianto. Il Prof. Lorenzo D’Avack afferma che se da un latto il compito supplente della giurisprudenza è stato pregevole, «dall’altro il vuoto normativo rende la procreazione sotto l’aspetto giuridico sempre più incerta. Non sono affrontate dalla Corte problematiche quali il “consenso informato” della coppia che accede all’eterologa e del donatore/donatrice di gameti; l’anonimato o meno dei donatori/donatrici, con la conseguente possibilità o meno del nato di conoscere le proprie origini biologiche; il numero delle donazioni e di come contarle (...); la commerciabilità o me-no dei gameti (...); i criteri di compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del dona-tore con quelle della coppia ricevente (...); il contenuto dei registri dei donatori/donatrici e dei nati (...); l’inserimento dell’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza (Lea)». La Dott. Maria Acierno tratta i profili problematici relativi alla revoca del consenso al progetto procreativo che si realizza mediante le tecniche di riproduzione assistita e alle manifestazioni di volontà successive alla positiva realizzazione del progetto procreativo, distinguendo tra PMA omologhe ed eterologhe e tra queste ultime, tra eterologhe, con utilizzazione del corredo gene-tico di uno dei soggetti che vogliono realizzare il progetto di filiazione ed eterologhe che non presentano tale peculiarità, non dimenticando come il profilo relativo all’accesso alle PMA invol-ga anche le coppie omoaffettive, «rispetto alle quali le questioni connesse al consenso, nel pa-norama normativo italiano attuale, privo di una regolamentazione giuridica di tale tipologia di relazioni, risultano caratterizzate anche da profili problematici autonomi». L’Avv. Marta Rovacchi affronta il tema della maternità surrogata, con una dettagliata disamina della disciplina degli Stati Uniti, del Canada, della Russia, dell’Ucraina, dell’India, della Grecia, dell’Inghilterra e della Spagna, mentre l’Avv. Gianluca Luongo completa la trattazione sulla maternità surrogata esaminando le conseguenze di natura penale nel nostro ordinamento, at-traverso la disamina delle diverse pronunce giurisprudenziali. L’Avv. Alberto Figone torna a commentare l’ordinanza della Dott. Silvia Albano della I sezione del Tribunale di Roma pronunciata l’8 agosto 2014 sul noto e sconcertante “caso Pertini”, of-frendo nuovi spunti interpretativi delle norme richiamate ed evidenziando anche come la que-stione in esame sia «densa di problematiche, solo in parte di natura strettamente giuridica, tan-to è vero che sulla dolorosa vicenda si era già pronunciato, prima dell’intervento del Giudice, il Comitato Nazionale per la Bioetica (n.d.r., parere dell’11 luglio 2014, reso dal CNB sull’inter-pello della Regione Lazio del 6 maggio 2014). Vengono, infatti in considerazione i principi che regolano l’attribuzione dello status filiationis, ma anche la tutela delle relazioni che si instaurano tra il minore e le figure parentali che a lui fanno riferimento, a prescindere dall’esistenza di un vincolo genetico», in conclusione introducendo il tema del diritto di ogni persona a conoscere le proprie origini, quale elemento del più ampio diritto all’identità personale. Del diritto alle origini che consegue alla procreazione mediante PMA (distinto tra due diversi profili, il diritto del figlio a conoscere la “verità” sulla propria nascita e il diritto del figlio a co-noscere “l’anagrafica” della propria nascita) tratta nel suo articolo la Dott. Monica Velletti, la quale inquadra la tematica nella già nota questione del diritto alle origini sviluppatasi in tema di adozione per evidenziarne i tratti differenti e per concludere che anche in questo ambito «la soluzione può essere demandata solo a scelte legislative che data la loro delicatezza richiede-

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ranno un’attenta ponderazione e un’ampia condivisione, considerando che in temi tanto sensi-bili l’assenza di disciplina può generare incertezze e conflitti anche più di una normativa non totalmente condivisa». Si discosta dalle questioni giuridiche l’articolo della Dott. Paola Re, la quale pone in evidenza alcune criticità in campo psicologico conseguenti all’accesso alla PMA, ed è interessante che in conclusione anche la Dott. Re, auspichi l’intervento del legislatore in quanto lo Stato deve as-sumere in questo ambito, a livello sociale, la funzione di “metagarante psichico”. La Dott. Re aggiunge che il legislatore dovrebbe anche preoccuparsi di inserire nella normativa il sostegno psicologico del o dei genitori durante tutte le fasi della PMA, sin dal suo inizio, così come – già presente in alcune Linee guida – l’inserimento dello psicologo, con esperienza sul campo, nell’équipe dei diversi Centri riconosciuti idonei alla PMA, al fine di promuovere l’integrazione mente/corpo a favore del nascituro e che vi sia anche una politica di sensibilizzazione rivolta a ostetrici e pediatri, affinché possano porre particolare attenzione alle prime fasi post-natali al fine di sostenere eventuali impasse dei neo-genitori nella relazione con il figlio, con attenzione all’importanza del disvelamento delle origini biologiche al figlio. Il Prof. Paolo Morozzo della Rocca nell’auspicare anch’egli un intervento legislativo chiude la trattazione della presente Rivista chiedendo a gran voce “Dove ci porta il piano inclinato delle procreazioni”, una domanda a cui l’autore dà delle risposte che ci si augura possano costituire il giusto viatico per la riflessione che il legislatore non si può più esimere dal fare: «È la paura del "piano inclinato", sul quale ogni movimento, anche cauto, non potrà che portare, passo dopo passo, alla caduta nel vuoto di valori e di regole. L’osservazione di quanto già accaduto altrove, (riguardo, ad esempio, alle cosiddette maternità surrogate) può forse avvalorare tali timori, i quali però rischiano di produrre reazioni viziate dalla mancanza di proporzionalità rispetto alle reali esigenze di prevenzione che si vorrebbero realizzare. Un eccessivo difensivismo può così nuocere alla costruzione di più ampi ma anche più ragionevoli confini, imprigionando dentro l’angusta fortezza una minoranza privata di orizzonte e dunque della possibilità di incidere sulla realtà. Un vero peccato, perché l’osservazione riguardo ai pericoli di un’ipertrofia del divieto di discriminazione attraverso operazioni di nascondimento delle differenze è più che pertinente; corretto è anche l’invito a meglio ragionare sulla individuazione delle identità di situazione che giustificano l’operatività del principio di eguaglianza; e corretto è altresì il richiamo alla necessi-tà di connettere più rigorosamente il principio di non discriminazione al discorso sui valori. La difficoltà al riguardo consiste però nel riuscire a farlo su un piano di laicità riflessiva e cauta».

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L’INFERTILITÀ E LE PROBLEMATICHE DELLA PMA

Massimo Moscarini Professore Ordinario di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura dell’Università “La Sa-pienza” di Roma Sommario: 1. L’infertilità: definizione e cause. – 2. Tecniche di PMA. – 3. Fecondazione eterologa. – 4. PMA: con-seguenze negative. – 5. Indicatori demografici. – 6. Conclusioni. 1. L’infertilità: definizione e cause In generale l’infertilità (o coppia poco fertile) si riferisce alla incapacità della coppia di conce-pire una gravidanza dopo un anno di tentativi non protetti. Questo limite si abbassa a 6 mesi per le donne di età oltre i 35 anni ed in presenza di fattori di rischio (endometriosi, pregresse infezioni utero-ovariche, ecc.). Mentre per sterilità s’intende la situazione di una coppia in cui uno o entrambi i partner sono affetti da una condizione fisica permanente che non rende possibile il concepimento. Abbiamo diverse forme di infertilità: infertilità primaria (mai in stato di gravidanza); infertilità secondaria (fallimento di concepire, avendo in precedenza avuto una gravidanza spontanea); infertilità temporanea (gravidanze che si verificano dopo un anno di tentativi senza intervento medico). Per comprendere il concetto di fertilità/infertilità occorre avere ben chiaro il ruolo cruciale che il trascorrere del tempo impone alla questione. Da una parte serve tempo per accertare l’infertilità, dall’altra è proprio il trascorrere del tempo la causa principale di una scarsa fertilità. Infatti, la capacità riproduttiva in particolare, nella donna è strettamente correlata all’età: il pe-riodo di massima fertilità è compreso fra i 20 e i 25 anni. La fecondità subisce un primo calo dopo i 32 anni e un rapido declino dopo i 37 anni. Questa diminuzione della fertilità è dovuta alla costante e progressiva perdita del patrimonio follicolare e della capacità biologica degli ovociti. Anche nell’uomo l’età ha un ruolo nella fertilità: la spermatogenesi si svolge ininterrottamente all’interno dei testicoli durante l’intera vita dell’individuo. Il “ciclo di produzione” infatti, dura circa 72 giorni, dunque ogni 3 mesi un uomo rinnova completamente il suo patrimonio di sper-matozoi. Questo non significa che l’età biologica non influenzi la fertilità maschile. Infatti, an-che nell’uomo a partire dai 55-65 anni di età, si osserva un graduale declino della capacità fe-condante dello sperma.

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Oltre alla fisiologica riduzione della fertilità dovuta all’età anche la maggiore esposizione ad agenti patogeni e il maggior rischio di anomalie cromosomiche che si hanno con il passare de-gli anni, diminuiscono la possibilità di concepire. Alla luce degli studi più recenti, l’influenza dell’ambiente sembra assumere un ruolo sempre più importante nel condizionare in maniera negativa la capacità riproduttiva degli organismi viven-ti. La specie umana sembra non fare eccezione e lo stile di vita e in particolare le abitudini vo-luttuarie quali il fumo, l’alcool, la dieta, la vita sedentaria e l’esposizione ad agenti tossici in ge-nerale, costituiscono importanti fattori che minacciano la fertilità. Fumo

Il fumo di sigaretta, con le sostanze tossiche che rilascia nell’organismo, favorisce l’invecchia-mento cellulare e incide negativamente sulla maturazione del follicolo e sulla qualità della cel-lula uovo, aumentando inoltre, il rischio di: gravidanza extrauterina e aborto spontaneo. È ben nota inoltre, la correlazione tra fumo, sia attivo che passivo, e basso peso alla nascita. Nell’uomo, il tabagismo si associa molto spesso ad una alterazione dei parametri normali dello spermiogramma. Disturbi dell’alimentazione

Il peso corporeo non sembra influenzare direttamente la fertilità maschile. Diverso e di mag-gior rilievo è invece l’impatto del BMI (indice di massa corporea) sulla funzione riproduttiva femminile. Soggetti sottopeso riferiscono spesso cicli irregolari fino ad arrivare ad una vera e propria amenorrea nelle donne anoressiche. Negli ultimi 40 anni l’incidenza dell’anoressia è raddoppiata. I mezzi di comunicazione sempre più veloci e diretti hanno aggravato tale dina-mica, contribuendo alla diffusione dei modelli incentrati sulla magrezza. Questo si traduce nel fallimento del reclutamento follicolare e con l’istaurarsi di un quadro di amenorrea secondaria. D’altro canto, il sovrappeso può determinare una riduzione dei cicli ovulatori ed un aumento dell’incidenza di abortività ricorrente. Un dato epidemiologico di importante rilievo sembra essere rappresentato dalla frequente associazione della condizione di sovrappeso/obesità con la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), alla cui genesi, accanto a fattori genetici, sembrano contribuire fattori ambientali ed in particolare la dieta. Stress

Possono determinare lo stress le innovazioni lavorative, la precarietà del lavoro, l’aumento del ritmo lavorativo, le pressioni emotive, lo scarso equilibrio lavoro/vita privata. Lo stress può di-minuire la recettività uterina tramite un pathway indipendente dall’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio. Patologie concomitanti

Il procrastinare la gravidanza determina anche una maggior esposizione a patologie concomi-tanti: comportamenti sessuali a rischio: questo è determinato da una maggiore promiscuità, da un maggiore permissivismo sessuale, dall’età del primo rapporto più bassa che aumentano il rischio delle malattie sessualmente trasmesse. Con gli anni aumentano anche la possibilità delle infezioni. La risalita di agenti patogeni dalla vagina verso l’utero possono determinare salpingiti con danno all’epitelio tubarico che possono esitare in occlusione tubarica. Patologie come l’endometriosi e l’ovaio micropolicistico sono di per se stesse causa di sterilità.

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2. Tecniche di PMA Qualora non sia stato possibile ripristinare la capacità riproduttiva della coppia il percorso te-rapeutico prevede il ricorso alle tecniche di PMA. L’età media delle coppie che fanno ricorso alla medicina della riproduzione è in continuo au-mento e rappresenta senza dubbio un fattore determinante che incide pesantemente sulla pro-gnosi riproduttiva della coppia. La maggior parte delle coppie si vede costretta a programmare una gravidanza solo dopo aver raggiunto le condizioni di stabilità e tranquillità economica. Modelli culturali che non hanno in considerazione la fisiologia, determinando un divario fra età sociale vs età biologica, la necessità di procrastinare il momento del concepimento, genera una sorta di presunzione di poter avere figli quando e come si vuole, dimenticando così i limiti bio-logici prefissati dalla natura. Si confida allora nel progresso tecnico-scientifico, che però ha i suoi limiti nell’esaurimento della riserva ovocitaria. Infatti l’età e la qualità degli ovociti condi-ziona molto il risultato che tuttavia quando ci troviamo in situazioni di infertilità inspiegabile o dovuta a cause organiche irreversibili rimane l’unica soluzione. Certamente il dover ricorrere alla fecondazione assistita spesso testimonia il fallimento di una pre-venzione e la mancata tutela della fertilità nei casi in cui era doveroso intervenire precocemente. Le tecniche di Riproduzione Assistita sono presidi medico-chirurgici atti a favorire la messa a disposizione dei due gameti (cellula uovo e spermatozoo), la loro fusione e la formazione di un embrione e si dividono in: Trattamenti PMA di primo livello:

1. induzione dell’ovulazione multipla con Clomifene Citrato o con Gonadotropine dal 2°-3° giorno del ciclo mestruale associata a rapporti spontanei o mirati;

2. inseminazione intrauterina con seme “preparato” dopo circa 24 ore da una ovulazione spon-tanea (IUI su ciclo naturale);

3. IUI o IPI (inseminazione intraperitoneale) dopo induzione dell’ovulazione. Trattamenti di PMA di secondo livello:

1. la fecondazione in vitro (IVF); 2. trasferimento di gameti nelle tube di Falloppio (GIFT); 3. zigote trasferimento intrafallopian ZIFT); 4. iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI); 5. inseminazione intrauterina (IUI); 6. sperma, degli ovociti o embrioni crioconservazione. 3. Fecondazione eterologa Quando sussistono o nella donna l’esaurimento dei follicoli o nell’uomo l’assenza di spermato-zoi normali allora non rimane che la fecondazione con ovociti o spermatozoi di donatori. La Corte costituzionale ad aprile 2014 ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione etero-loga imposto dalla l. n. 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita. Pertanto una coppia con problemi di sterilità, potrà ricorrere alla donazione di gameti (ovociti e/o spermatozoi) esterni alla coppia stessa. Tale procedura resta lecita, nel nostro Paese, solo per le coppie di sesso diverso, sposate o conviventi con diagnosi di infertilità. Non potranno quindi ricorrere alla donazione né donne single, né coppie dello stesso sesso.

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I governatori delle Regioni a settembre 2014 hanno approvato all’unanimità delle Linee guida inter-regionali che permetterebbero alle coppie di poter accedere alla fecondazione eterologa da subito. Ogni singola Regione ha recepito tali linee guida approvate dalla conferenza delle Regioni, specificando sia il limite di età della donna ricevente, 43 anni (già annullato dal TAR Veneto) per poter accedere ai cicli di eterologa e omologa a carico del servizio sanitario regionale e sia il numero massimo di cicli (tre) che possono essere effettuati nelle strutture pubbliche. Le regole alle quali dovranno attenersi i Centri di PMA italiani sono:

• età dei donatori: per gli uomini un’età compresa tra i 18 e i 40, per le donne 20-35 anni; • esami di screening dei donatori completi a massima tutela dei riceventi (che comprendono

un anamnesi clinica, psicologica e genetica, esami infettivologici e genetici); • la donazione deve essere gratuita e volontaria.

Inoltre, il Centro di PMA dovrà garantire nei limiti del possibile la compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con quelle della coppia ricevente (colore della pelle, occhi e capelli, gruppo sanguigno), che dieci sia il numero massimo di figli da ciascun donatore. Dovranno anche essere disposti registri regionali dei donatori in attesa di quello centrale, ma deve essere assicurato l’anonimato del donatore. Solo in casi straordinari i suoi dati potranno essere conosciuti dal personale sanitario, ma anche il diritto del bambino a poter risalire alle sue origini, usando come modello la legge sulle adozioni. Se, quindi, i donatori accettano di ri-velare la loro identità, i nati con eterologa, compiuti i 25 anni, potranno conoscerla. Tuttavia, il problema più grande che tutti i Centri si trovano ad affrontare oggi è il repe-rimento dei gameti sia maschili (spermatozoi), sia femminili (ovociti). Diverse sono le strade che si possono intraprendere: oltre all’utilizzo di donatori volontari che si sottopongono ad esami e cure mediche al solo fine di donare le proprie cellule, si potranno anche utilizzare ovociti e spermatozoi donati da pazienti che si sottopongono a tecniche di pro-creazione medicalmente assistita, e che rinunciano ad una parte dei loro gameti a favore di un’al-tra coppia. Attualmente non esistono banche e l’unica possibilità per cominciare subito sarebbe l’utilizzo di gameti congelati presso le banche di altri paesi europei, ma è necessario escludere la possibilità che si crei una commercializzazione delle cellule (vietata in tutti i paesi europei), ma soprattutto garantire che tutti i gameti che verranno utilizzati siano adeguatamente screenati e che quindi le nostre coppie siano trattate nel modo più adeguato e sicuro. 4. PMA: conseguenze negative I trattamenti per la fertilità possono rappresentare rischi per la salute delle donne degli uomini e dei loro figli. Infatti, possiamo avere:

• alta percentuale di fallimenti; • danni psicologici nella donna e nella relazione di coppia; • sindrome da iperstimolazione ovarica; • gravidanze tubariche e multiple; • numerosi aborti spontanei; • frequenti parti prematuri; • costi elevati.

La sindrome da iperstimolazione ovarica che nei casi più gravi può causare morbilità ed essere pericolosa per la vita è dovuta all’uso dei farmaci necessari per indurre l’ovulazione.

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L’utilizzo degli stessi farmaci determina un aumentato rischio di gravidanze multiple che pon-gono rischi sia per la donna che per il bambino. 5. Indicatori demografici Il procrastinare la gravidanza determina un rischio sempre maggiore di trovarsi di fronte a pro-blemi di fertilità e sempre più spesso le coppie si rivolgono ai centri per la fecondazione assisti-ta, con i bimbi nati in provetta quasi triplicati in pochi anni. Le coppie trattate sono state nel 2012, oltre 54mila, in aumento del 77% rispetto al 2005. Il tas-so di successo dei trattamenti, è passato dal 21 al 24%. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 10-15% delle coppie presentano problemi di infertilità (20.000-25.000 nuove coppie l’anno). Si calcola che nel mondo ci siano almeno 50-80 milioni di coppie infertili e purtroppo il nume-ro è in continuo aumento. In Italia nel 2012, sono nati con la fecondazione assistita quasi diecimila bimbi, con una cresci-ta del 170% nei sette anni precedenti, quasi triplicate. Sono in totale 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello mi-nimo dall’Unità d’Italia. L’età media al parto sale a 31,5 anni. Calano le nascite da madri sia italiane sia straniere, con le prime che nel 2014 procreano 1,31 figli contro 1,97 delle seconde. Stimare la percentuale di coppie infertili, nel mondo e in Italia, risulta particolarmente proble-matico, anche alla luce delle inevitabili difficoltà che comporta quantificare le nuove coppie che si formano ogni anno al di fuori del matrimonio. 6. Conclusioni In considerazione delle problematiche esposte è necessario migliorare la gestione della fertilità nella coppia, aumentando la consapevolezza nella coppia dei fattori di rischio della fertilità (età, ambiente, stile di vita, infezioni) e rendere consapevoli i giovani circa la prevalenza delle cause note di infertilità. Per tutelare la fertilità è necessario:

• rispettare il più possibile la fisiologia dell’organismo femminile; • liminare il contatto con materie nocive quali interferenti endocrini e fumo di sigaretta; • diminuire quanto più possibile fenomeni di stress; • evitare l’abuso di farmaci e comportamenti sessuali a rischio; • seguire una alimentazione equilibrata; • diagnosticare e trattare precocemente patologie che possono alterare la fertilità; • fin da subito cercare di ripristinare la capacità riproduttiva della donna.

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I “CORRETTIVI” ALLA L. N. 40/2004 IN MATERIA DI PROCREAZIONE  MEDICALMENTE ASSISTITA AD OPERA DELLA GIURISPRUDENZA  COSTITUZIONALE 

Luca Varrone Magistrato addetto all’ufficio del Ruolo e del Massimario della Corte di Cassazione e assistente di studio della Corte costituzionale Sommario: 1. La natura necessaria dal punto di vista costituzionale della l. n. 40/2004. – 2. Il bilanciamento ad opera della Corte costituzionale della tutela dell’embrione con altri beni e valori costituzionali e in particolare con la tutela della salute “fisica” della donna. – 3. Il progressivo superamento dei problemi legati ai limiti soggettivi di accesso alle tecniche di PMA e alla diagnosi preimpianto. – 4. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione etero-loga. – 5. (Segue). La sua irragionevolezza intrinseca. – 6. Conclusioni. 1. La natura necessaria dal punto di vista costituzionale della l. n. 40/2004  La l. 19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” è una delle più controverse leggi approvate dal Parlamento negli ultimi 20 anni. Nel corso dell’iter della sua approvazione sono state innumerevoli le polemiche, i dubbi e le cri-tiche che hanno caratterizzato il dibattito dal punto di vista politico-sociale. Polemiche e criti-che che, anche dopo la definitiva approvazione, sono continuate in modo particolarmente ac-ceso, convertendosi in interpretazioni volte all’utilizzo di tutti gli strumenti giuridici che l’ordi-namento offre per opporsi ad una legge ritenuta errata o incostituzionale. Dapprima sono stati proposti cinque quesiti referendari 1, di cui quattro per l’abrogazione di alcuni degli articoli che disciplinavano i punti più controversi della riforma e uno per l’abroga-zione dell’intera legge. A seguito del fallimento dei referendum, l’interpretazione delle questioni controverse si è tra-sferita nelle aule di giustizia e, segnatamente, in quelle della Corte costituzionale e della Corte dei Diritti dell’Uomo, oltre che nelle aule dei Tribunali mediante lo strumento, sempre più in espansione, dell’interpretazione adeguatrice. Oggi, dopo poco più di un decennio, è possibile trarre un primo bilancio complessivo della l. n. 40/2004. In primo luogo deve evidenziarsi che si tratta della prima disciplina organica che nel nostro paese regola la complessa materia della procreazione medicalmente assistita; mate-

1 M. D’AMICO, I diritti contesi, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 50 ss.

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ria che, indubbiamente, coinvolge una pluralità di interessi costituzionali particolarmente rile-vanti, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento in grado di assicu-rare un livello minimo di tutela legislativa, tanto più che la materia è soggetta a una continua evoluzione correlata allo sviluppo della ricerca e delle tecniche mediche 2. Oggi certamente si può affermare che è stato in parte superato l’impianto originario caratteriz-zante la legge che si fondava sulla equiparazione dell’embrione alla “persona già nata” e sulla conseguente predisposizione di una tutela tale da sacrificare ogni altro bene o valore coinvolto, anche se di rilievo costituzionale. L’“eccesso di tutela” rigida e non “bilanciabile” dell’embrione aveva oggettivamente determina-to, alla prova dei fatti, risultati negativi e irragionevoli. I punti più controversi della legge erano stati quasi tutti individuati già al momento della for-mulazione dei requisiti referendari e riguardavano: 1) i limiti di accesso alle tecniche e in parti-colare l’esigenza di garantire la fecondazione assistita non solo alle coppie sterili, ma anche a quelle affette da patologie geneticamente trasmissibili (la questione attualmente pende dinanzi alla Corte costituzionale anche se sembra scontata una pronuncia di fondatezza) e l’eliminazio-ne del limite di accesso alle tecniche costituito dall’impossibilità di ricorrere ad altri metodi te-rapeutici sostitutivi; 2) la possibilità di garantire la scelta delle opzioni terapeutiche più idonee ad ogni individuo e la conseguente possibilità per il medico di stabilire il numero di embrioni da impiantare; 3) la possibilità di rivedere il proprio consenso all’atto medico in ogni momen-to; 4) il divieto di fecondazione eterologa. Come si è detto, quasi tutti i sopracitati aspetti sono stati superati o sono in procinto di esserlo mediante la meritevole ed insostituibile opera della nostra Corte costituzionale e la spinta pro-pulsiva che sempre più frequentemente proviene dalla Corte dei Diritti dell’Uomo. Una legge di così rilevante portata richiede necessariamente un periodo di tempo per assestarsi nell’ordinamento, anche mediante lo sviluppo di prassi applicative, di interpretazioni adegua-trici e di rilievi di costituzionalità che ne rendano possibile l’armonizzazione con le restanti di-sposizioni che con tale disciplina necessariamente interferiscono. Tuttavia, tenuto conto del continuo evolversi della ricerca scientifica e delle soluzioni che es-sa offre per il superamento delle patologie legate alla sterilità, l’assetto di tale disciplina non potrà mai dirsi definitivamente concluso, anche per l’infinita varietà di casi che possono veri-ficarsi. L’eliminazione delle forzature e degli eccessi di “tutela” rende oggi possibile riconoscere l’op-portunità, anzi, la necessità dell’intervento legislativo in una materia così complessa, in grado di incidere su molteplici diritti fondamentali della persona e inscindibilmente connessa a scelte etiche individuali. Tale opinione trova il conforto della sentenza della Corte cost. n. 45/2005 con la quale, nel di-

2 Come sottolinea la stessa Corte costituzionale analoghe finalità di bilanciamento e di tutela sono affermate a livello inter-nazionale, in particolare con alcune disposizioni della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 (Convenzione per la pro-tezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medici-na. Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina) e del relativo Protocollo addizionale stipulato a Parigi il 12 gen-naio 1998 (Sul divieto di clonazione di esseri umani), testi sottoscritti anche dalla Comunità europea e di cui il legislatore nazionale ha autorizzato la ratifica e determinato l’esecuzione tramite la l. 28 marzo 2001, n. 145 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani), nonché con alcuni contenuti dell’art. 3 (Diritto all’integrità della persona) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione euro-pea, proclamata nel 2000, in tema di consenso libero e informato della persona interessata, di divieto di pratiche eugeneti-che, di divieto di clonazione riproduttiva degli esseri umani.

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chiarare inammissibile il quesito referendario volto all’abrogazione dell’intera l. n. 40, si è attri-buita alla stessa la natura di legge c.d. “costituzionalmente necessaria” 3. La Corte, in tale occasione, ha avuto modo di ricordare che esistono due distinte categorie di leggi costituzionalmente necessarie che non possono essere oggetto di richieste di abrogazione referendaria. Una prima categoria è quella delle «leggi ordinarie che contengono l’unica neces-saria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest’ultima» (sent. n. 45/2005, sent. n. 26/1981 e sent. n. 16/1978). La seconda comprende «le leggi ordinarie la cui eliminazione ad opera del referendum prive-rebbe di una tutela minima situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione». Secondo la Corte, inoltre, il referendum è inammissibile anche quando la legislazione oggetto della richiesta referendaria garantisce il «nucleo costituzionale irrinunciabile» di tutela di un principio costituzionale. In tali casi le leggi, in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fon-damentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento 4. Ne consegue che, per quanto singoli aspetti della legge possano essere abrogati per via referen-daria, modificati per via parlamentare o dichiarati contrari a costituzione o a norme sovrana-zionali, resta comunque necessaria una legge che regolamenti la materia non essendo possibile un vuoto di tutela o una totale libertà nelle scelte individuali, soprattutto rispetto alla coscienza etica che deve accompagnare la scienza medica. In altri termini si può discutere, e lo si è fatto, se sia giusto o meno vietare la fecondazione eterologa, ma non si può prescindere da una disci-plina dello stato giuridico del nato dalle tecniche di PMA, così come, si può discutere se sia possibile una diagnosi preimpianto o se questa debba essere riservata solo alle coppie sterili, ma nessuno può mettere in discussione il divieto di clonazione di esseri umani o il divieto di com-piere la selezione eugenetica degli embrioni. 2.  Il bilanciamento ad opera della Corte costituzionale della  tutela dell’embrione con altri beni e valori costituzionali e in particolare con la tutela della salute “fisica” della donna  Come si è detto la l. n. 40/2004 ha comunque subito una trasformazione ad opera della giuri-sprudenza costituzionale europea e di merito. Una graduale e continua metamorfosi della di-sciplina quale risultato di plurimi tentativi di bilanciamento tra opposte esigenze di rilievo co-stituzionale.

3 P. CAVANA, Appunti sulla l. 40/2004 e sui quesiti referendari, in Dir. famiglia, 2005, 2, p. 418; F. DRAGO, Le implicazioni connes-se alla prassi del “plurireferendum”, in www.federalismi.it; S. DURANTI, Vecchie incertezze e nuovi timori in tema di ammissibilità re-ferendaria: spunti dalle ultime sentenze della Corte costituzionale, in www.federalismi.it; M. FUSCO, I quesiti e la consultazione popo-lare: quanti strappi alla sentenza Paladin, in Dir. giust., 2005, 0, p. 74; E. LAMARQUE, Ammissibilità dei ‘referendum’: un’altra occa-sione mancata, in www.forumcostituzionale.it; ID., ‘Referendum’ sulla procreazione assistita: l’inammissibilità del quesito totale, in Quaderni cost., 2005, p. 994; G. MONACO, Il referendum per l’abrogazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita di fronte al limite delle “leggi costituzionalmente necessarie”, in Giur. cost., 2005, 1, p. 351; S. PENASA, L’ondivaga categoria delle leggi “a contenuto costituzionalmente vincolato”, in www.forumcostituzionale.it; A PUGIOTTO, È ancora ammissibile un referendum abro-gativo totale?, in Quaderni cost., 2005, 3, p. 545; A. RUGGERI, Tutela minima di beni costituzionalmente protetti e ‘referendum’ ammissibili (e ... sananti) in tema di procreazione medicalmente assistita, in www.forumcostituzionale.it; V. SATTA, Scompare defini-tivamente la distinzione tra leggi costituzionalmente necessarie e leggi a contenuto costituzionalmente vincolato? Uno sguardo d’insieme alle sentenze sui referendum del 2005, in www.amministrazioneincammino.luiss.it. 4 Corte cost. n. 45/2005.

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Si è anche detto che alcune prescrizioni erano apparse subito poco ragionevoli 5, come l’obbligo di impiantare in un’unica operazione un numero massimo di tre embrioni. L’art. 14 della l. n. 40/2004, infatti, testualmente prevedeva «Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, non de-vono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre. Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appe-na possibile». Al divieto di soppressione e di crioconservazione degli embrioni si affiancava il divieto di crea-zione di embrioni c.d. soprannumerari al fine di scongiurare un loro eventuale sacrificio, a que-st’ultimo divieto si associava poi l’obbligo di un unico e contemporaneo impianto. L’autoriz-zazione alla crioconservazione rappresentava un’ipotesi eccezionale, configurabile esclusiva-mente nel caso di impossibilità di trasferimento degli embrioni a causa di gravi motivi di forza maggiore relativa alla stato di salute della donna, comunque imprevedibile al momento della fecondazione 6. In effetti il divieto assoluto di creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, e comunque superiore a tre determinava in alcuni casi la necessità della moltiplicazione dei cicli di fecondazione, poiché non sempre i tre embrioni eventualmente prodotti risultavano in grado di dare luogo ad una gravidanza. Paradossalmente erano i casi più gravi di sterilità che la legge si prefiggeva di “curare” ad essere particolarmente compromessi dipendendo le possibilità di successo dell’intervento oltre che dalle caratteristiche degli embrioni, dalle condizioni soggettive delle donne che si sottopone-vano alla procedura di procreazione medicalmente assistita, e, ovviamente dalla loro età. In tali casi si rendeva necessario, a causa del divieto legislativo, di ripetere numerose volte l’in-tero procedimento con il ricorso reiterato a cicli di stimolazione ovarica con il conseguente au-mento dei rischi di insorgenza di patologie che a tale iperstimolazione sono collegate. Gli effetti irragionevoli del divieto riguardavano anche i casi meno gravi di infertilità perché laddove erano maggiori le possibilità di attecchimento, l’obbligo di impiantare contemporanea-mente tutti gli embrioni prodotti (nel numero massimo di tre) dava luogo a gravidanze plurime e a parti plurigemellari con seri rischi per le gestanti oltre che per i nascituri. Risultava evidente, dunque, l’irragionevole bilanciamento operato dal legislatore della tutela dell’embrione rispetto alle esigenze di tutela della salute della donna oltre all’intrinseca irragio-nevolezza della norma rispetto al principio della gradualità e della minore invasività della tecni-ca di procreazione assistita affermato dall’art. 4, 2° comma, della stessa legge 7. La Corte costituzionale, investita di tali problematiche, dopo alcuni iniziali tentennamenti, con la sent. n. 151/2009 ha inciso profondamente sull’impianto dell’intera legge 8, affermando,

5 C. TRIPODINA, Studio sui possibili profili di incostituzionalità della legge n. 40 del 2004 recante «Norme in materia di procrea-zione medicalmente assistita», in Dir. pubbl., 2004, p. 539. 6 P. SANFILIPPO, Dal 2004 al 2014: lo sgretolamento necessario della legge sulla procreazione medicalmente assistita in diritto penale contemporaneo, in www.dirittopenalecontemporaneo.it. 7 Sulla necessità del bilanciamento dei valori M. D’AMICO, La fecondazione “eterologa” ritorna davanti alla Corte Costituzio-nale, in Corr. giur., 2013, 6, p. 745. 8 S. AGOSTA, Dalla Consulta finalmente una prima risposta alle più vistose contraddizioni della disciplina sulla fecondazione ar-tificiale, in www.forumcostituzionale.it; F.D. BUSNELLI, Cosa resta della legge 40? Il paradosso della soggettività del concepito, in Riv. dir. civ., 2011, 4, parte I, p. 459; M. CARTABIA, La giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 32, secondo comma, della

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prima di tutto, che da essa stessa deve desumersi che la tutela dell’embrione non si configura come assoluta ma che può essere limitata in relazione alla necessità di bilanciarla con le esigen-ze della procreazione. Partendo da questa premessa, con la citata sentenza, vengono evidenziati gli effetti negativi che l’art. 14 produce rispetto al bene costituzionalmente tutelato della salute della donna giungen-do alla conclusione che sia del tutto irragionevole non riconoscere «al medico la possibilità di una valutazione, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, del singolo caso sottoposto al trattamento, con conseguente individuazione, di volta in volta, del limite numerico di embrioni da impiantare, ritenuto idoneo ad assicurare un serio tentativo di procreazione assistita, riducendo al minimo ipotizzabile il rischio per la salute della donna e del feto». Si ribadisce dunque che un risultato positivo della procreazione medicalmente assistita dipen-de sia dalle caratteristiche degli embrioni, sia dalle condizioni delle donne che si sottopongono alle procedure e che l’individuazione di un limite legislativo alla creazione e all’impianto di em-brioni finisce per aggravare, e non agevolare, le procedure di fecondazione assistita. Quanto minori saranno le probabilità di attecchimento embrionale, tanto maggiore sarà il rischio di dover esporre la donna a ulteriori e reiterati cicli di fecondazione e all’insorgenza conseguente di sindromi da iperstimolazione ovarica così come, nell’ipotesi inversa l’esito totalmente posi-tivo dell’impianto condurrà a gravidanze plurime, considerate alla luce dei dati di esperienza e dalla letteratura scientifica come gravidanze a rischio per potenziali complicazioni e pregiudizi sia per la salute della donna che dei nascituri. La predisposizione di un limite fisso e massimo di tre embrioni impiantabili, dunque, oltre a violare il principio della gradualità e della minore invasività della tecnica di procreazione assisti-ta il cui rispetto è richiesto dall’art. 4, 2° comma, ha risvolti negativi nella prassi, determinando un’inaccettabile sperequazione dei diritti della donna rispetto a quelli dell’embrione. In conclusione, secondo la Corte la norma, in assenza di ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medi-calmente assistita, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesi-mo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna – ed eventualmente, come si è visto, del feto – ad esso connesso. Deve sottolinearsi che, nel caso di specie, il pregiudizio alla salute della donna non è inteso co-me salute psichica secondo quella nozione di salute corrispondente a quella sancita dall’Orga-

Costituzione italiana, in Quaderni cost., 2012, 2, p. 455; G. CASABURI, nota a Corte costituzionale; sent. n. 151 del 2009, in Foro it., 2009, parte I, c. 2302; M. CASINI, La sentenza costituzionale 151/2009: un ingiusto intervento demolitorio della legge 40/2004, in Dir. famiglia, 2009, 3, p. 1033; M.P. COSTANTINI, Prime osservazioni al dispositivo della sentenza della Corte co-stituzionale che dichiara l’illegittimità costituzionale parziale della legge n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente as-sistita, in www.federalismi.it; L. D’AVACK, La Consulta orienta la legge sulla P.M.A. verso la tutela dei diritti della madre, in Dir. famiglia, 2009, 3, p. 1021; G. DI GENIO, Il primato della scienza sul diritto (ma non su i diritti) nella fecondazione assistita, in www.forumcostituzionale.it; M. DOGLIOTTI, La Corte costituzionale interviene con autorevolezza sul trasferimento di embrioni e tutela della salute della donna, in Dir. famiglia, 2009, 8-9, p. 764; A. GAMBINO-A. NICOLUSSI, Alcuni rilievi sulle interpretazio-ni della sentenza della Corte costituzionale sulla legge 40/2004, in www.forumcostituzionale.it; M. MANETTI, La sentenza sulla pma, o del legislatore che volle farsi medico, in www.costituzionalismo.it, 2009, 1; G. RAZZANO, L’essere umano allo stato em-brionale e i contrappesi alla sua tutela. In margine alla sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009 e all’ordinanza del Tri-bunale di Bologna del 29 giugno 2009, in Giur. it., 2010, 2, p. 295; U. SALANTRINO, Principi e regole, contrasti e silenzi: gli equi-libri legislativi e gli interventi giudiziari in tema di procreazione assistita, in Famiglia, Persone e Successioni, 2010, 2, p. 85; S. TONOLO, Il diritto alla genitorialità nella sentenza della Corte costituzionale che cancella il divieto di fecondazione eterologa: profili irrisolti e possibili soluzioni, in Riv. dir. int., 2014, 4, p. 1123; R. VILLANI, Procreazione assistita e Corte costituzionale: presupposti e conseguenze (dirette ed indirette) dal recente intervento della Consulta sulla disciplina della l. n. 40/04, in Nuova leg. civ., 2009, 3-4, p. 475.

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nizzazione Mondiale della Sanità e accolto dalla nostra giurisprudenza costituzionale (sent. n. 251/2008; analogamente, sent. n. 113/2004; n. 253/2003), ma è la salute fisica della donna ad essere gravemente compromessa dalla irragionevolezza della normativa. Questa considerazione dovrebbe servire a convincere anche i più strenui sostenitori dell’origi-nario impianto della l. n. 40/2004 della necessità dell’intervento della Corte costituzionale per ripristinare un corretto bilanciamento dei valori in gioco, non potendosi ammettere rischi così gravi per la salute della futura gestante. Va comunque detto che l’intervento demolitorio della Corte costituzionale mantiene salvo il principio secondo cui le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni su-periore a quello strettamente necessario, secondo accertamenti demandati, nella fattispecie concreta, al medico, ma esclude la previsione dell’obbligo di un unico e contemporaneo im-pianto e del numero massimo di embrioni da impiantare. Ulteriore effetto della sent. n. 151/2009 è quello di statuire implicitamente anche il riconosci-mento della piena liceità – e non più il divieto – della crioconservazione degli embrioni che so-no stati prodotti ma non impiantati tutti contemporaneamente, in virtù della scelta del medico orientata a garantire sia l’efficacia della terapia che la salvaguardia della salute della donna. 3. Il progressivo superamento dei problemi legati ai limiti soggettivi di accesso alle tecniche di PMA e alla diagnosi preimpianto  La possibilità per il medico di decidere il numero di embrioni da produrre per il buon fine della fecondazione e la possibilità di un impianto graduale degli stessi con conseguente possibilità di crioconservazione degli embrioni prodotti e non ancora impiantati ha implicitamente risolto anche un altro dei punti più controversi della l. n. 40 ovvero il divieto della c.d. diagnosi preim-pianto 9. Su tale problematica, infatti, si era aperta un’altra diatriba legale per gli effetti irragionevoli che la norma produceva. Il problema in estrema sintesi era il seguente: le coppie sterili e dunque con accesso alle tecniche di procreazione assistita, che fossero anche portatrici di malattie ge-neticamente trasmissibili, avrebbero voluto riconosciuta, in primo luogo, la possibilità di effet-tuare un esame degli embrioni prodotti per la fecondazione tramite il prelevamento di una o più cellule prima del loro impianto nell’utero in modo da accertare, mediante l’analisi genetica dei materiali del nucleo delle cellule prelevate, se uno di questi fosse portatore di (gravi) malat-tie genetiche, e, in secondo luogo, nel caso del verificarsi di tale sfortunata circostanza, si chie-deva di non impiantare l’embrione portatore della malattia a favore degli altri embrioni che fos-sero risultati sani. Naturalmente la possibilità di selezionare l’embrione malato non era possibile in presenza del più volte citato art. 14 che obbligava ad un unico e contestuale impianto di tutti gli embrioni prodotti nel numero massimo di tre e che prevedeva, quale unica ipotesi di mancato trasferi-mento nell’utero della donna dell’embrione prodotto, una sua grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute e non prevedibile al momento della fecondazione. In

9 E. FALETTI, La diagnosi genetica preimpianto: una ricostruzione di dottrina e di giurisprudenza nazionale ed europea, in Corr. giur., 2013, 2, p. 234; S. LA ROSA, La diagnosi genetica preimpianto: un problema aperto, in Famiglia e diritto, 2011, 8, p. 839; B. LIBERALI, La diagnosi genetica preimpianto fra interpretazioni costituzionalmente conformi, disapplicazione della legge n. 40 del 2004, diretta esecuzione delle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e questioni di legittimità costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.rivista.it, 2014, 2; A. SCALERA, Il problema della diagnosi pre-impianto, in Giur. merito, 2013, 5, p. 1029.

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tale caso la norma consentiva la crioconservazione dell’embrione ma solo fino alla data del tra-sferimento da realizzare non appena possibile. Ancora prima, tuttavia, si discuteva della possibilità stessa di una diagnosi sull’embrione perché le operazioni necessarie avrebbero potuto danneggiarlo irrimediabilmente. Sulla questione in-tervennero le «Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di pro-creazione medicalmente assistita», adottate dal Ministro della salute con decreto del 21 luglio 2004, ai sensi dell’art. 7, 1° comma, l. n. 40/2004, le quali, proibirono ogni diagnosi preimpianto per finalità eugenetiche e stabilirono che le indagini relative allo stato di salute degli embrioni creati in vitro potessero essere solo di tipo “osservazionale”. Sul punto si aprì un’aspra disputa per l’irragionevolezza di una norma che costringeva una donna ad impiantarsi un embrione potenzialmente “malato”, consentendole, tuttavia, nella fase della gravidanza un’interruzione della stessa. Infatti, era lampante la contraddizione tra la pro-tezione “assoluta” dell’embrione nella sua fase iniziale e la possibilità, successiva, per la donna di poter ricorrere alla scelta dell’aborto terapeutico, ammessa dalla l. n. 194/1978. Sulla base di tali considerazioni, i Tribunali ordinari, dopo un tentativo di sottoporre la que-stione alla Corte costituzionale non riuscito perché giudicato inammissibile, hanno ritenuto di poter disapplicare le suddette linee guida del 2004 nella parte in cui prescrivevano il limite “os-servazionale” dell’embrione, consentendo il prelievo di cellule per verificare la sussistenza o meno della malattia geneticamente trasmissibile, mediante un’interpretazione costituzional-mente orientata della legge 10. In particolare il Tribunale di Cagliari e quello di Firenze, per la prima volta affermano la legit-timità dell’indagine genetica preimpianto, evidenziando la necessità di assicurare adeguata tu-tela al diritto alla salute della donna e al diritto dei genitori ad essere informati sullo stato di sa-lute degli embrioni prodotti. I giudici ritengono dunque illegittime e, quindi, disapplicabili per eccesso di potere le Linee guida ministeriali del 22 luglio 2004. Il definitivo annullamento delle suddette Linee guida si deve al TAR Lazio che nel 2008 annulla, per eccesso di potere, il prov-vedimento ministeriale e rimette la l. n. 40 al giudizio della Consulta, invocandone la sospetta incostituzionalità 11. Ulteriore e connesso problema è quello dei limiti soggettivi all’accesso alle tecniche di procrea-zione assistita, in quanto anche le coppie non affette da patologie legate alla sterilità e quindi fertili, possono essere, invece, portatrici di malattie geneticamente trasmissibili. In relazione a tali situazioni si pone il problema dell’illegittimità del divieto di accesso alle tec-niche di procreazione medicalmente assistita, e quindi alla connessa possibilità di una diagnosi

10 Naturalmente la disapplicazione è stata possibile trattandosi di un decreto ministeriale. A questo proposito, infatti, è uti-le ribadire che qualora si fosse trattato di una fonte normativa primaria non sarebbe stata possibile alcuna disapplicazione anche in presenza di un contrasto con la CEDU. Infatti in conformità alla giurisprudenza ormai pacifica della Corte costi-tuzionale la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non può essere assimilata al diritto comunitario perché non crea un ordinamento giuridico sopranazionale ma costituisce un modello di diritto internazionale pattizio, idoneo a vincolare lo Stato ma improduttivo di effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da legittimare i giudici nazionali a disapplicare le norme interne ritenute contrastanti con quelle della CEDU. Tale situazione, inoltre, non è mutata per effetto della ratifica del Trattato di Lisbona in quanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non ha modificato – in linea con quanto af-fermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 80/2011 – la propria posizione nel sistema delle fonti, ed il rinvio operato dall’art. 6, par. 3, del Trattato alla Convenzione non consente al giudice nazionale, nelle materie estranee al diritto dell’Unione europea ed in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta Convenzione, di applicare diretta-mente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa. 11 TAR Lazio, Sez. III quater, 21 gennaio 2008, n. 398, in Famiglia e diritto, 2008, p. 499, con nota di A. FIGONE, Illegittimo il divieto di indagini preimpianto sull’embrione?, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 495, con nota di S. PENASA, Tanto tuonò che piovve: l’illegittimità parziale delle Linee Guida e la questione di costituzionalità della l. n. 40/2004 in materia di procrea-zione medicalmente assistita.

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preimpianto dell’embrione prodotto al fine di una sua crioconservazione senza impianto nel-l’utero qualora risulti eventualmente portatore della malattia. Si è in attesa della sentenza della Corte costituzionale cui è stata rimessa la questione 12. Deve notarsi che la soluzione del problema nel caso di malattie sessualmente trasmissibili è meno complessa perché in tal caso è sufficiente superare i limiti soggettivi all’accesso alle tecni-che di PMA e non ci sono successive implicazioni circa la possibilità della finalizzazione della diagnosi alla crioconservazione dell’embrione malato senza che lo stesso venga impiantato nell’utero della donna, in quanto la malattia non si trasmette all’embrione. Per questo motivo è stato possibile trovare una soluzione per via amministrativa, e infatti, nel 2008 il Ministero della salute, nell’approvare le linee guida, ha previsto tale possibilità. 4. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa  Si ha fecondazione eterologa quando il seme maschile o l’ovulo femminile non appartengono ad uno dei componenti della coppia ma ad un donatore esterno alla stessa. In altri termini, si deve ricorrere alla fecondazione eterologa quando la patologia di infertilità che affligge uno dei componenti della coppia o entrambi, è tale da non poter essere risolta ri-correndo alle tecniche di procreazione medicalmente assistita con materiale genetico della coppia stessa ma è necessario l’apporto di un terzo soggetto per poter portare a compimento il processo riproduttivo. Prima del divieto introdotto dalla l. n. 40/2004 la fecondazione eterologa era ammessa nel no-stro ordinamento 13, e l’assenza di una disciplina aveva determinato alcune storiche pronunce.

12 La questione ha ad oggetto: a) la violazione dell’art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza (quale corollario del principio di uguaglianza), poiché l’esclusione dalla PMA comporterebbe la conseguenza irragionevole di costringere le medesime coppie, desiderose di avere un figlio non affetto da patologie genetiche, a dover affrontare l’esito incerto di una gravidanza naturale e dover, poi, ricorrere – ove rimanesse comprovata la trasmissione al feto di una tale malattia – alla, pur sempre dolorosa, scelta dell’aborto terapeutico, ammessa dalla l. n. 194/1978, invece evitabile ove fosse consentito legit-timamente procedere alla diagnosi genetica preimpianto degli embrioni (con la possibilità di dar luogo ad una gravidan-za); b) la violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione che il suddetto divieto determina tra la condizione delle coppie fertili, portatrici di malattie genetiche trasmissibili, e quella delle coppie sterili o infertili (o in cui l’uomo risultasse affetto da malattie virali contagio; c9 la violazione dell’art. 32 Cost. per la lesione del diritto alla salute della donna che per realiz-zare il desiderio di procreare un figlio non affetto da una patologia trasmissibile ereditariamente, sarebbe costretta a dover affrontare una gravidanza naturale per, poi, dover, eventualmente, ricorrere ad un aborto terapeutico (nel caso di accertata trasmissione della malattia genetica), con la configurazione di un concreto aumento dei rischi per la sua salute fisica e per la sua integrità psichica, in assenza di un adeguato bilanciamento tra la tutela; d) l’art. 117, 1° comma, Cost., in relazione al-la norma interposta di cui all’art. 8 della CEDU, poiché consentire l’aborto terapeutico nell’eventualità appena riferita – che avrebbe conseguenze ben più gravi nella sfera psico-fisica della donna (aspirante madre) rispetto alla diagnosi genetica preimpianto – escluderebbe la funzionalità del divieto imposto dall’art. 4, 1° comma, della l. n. 40/2004, che si risolverebbe nell’incoraggiamento del ricorso all’aborto del feto, rispetto allo scopo perseguito dalla citata legge, consistente nella tutela del nascituro, traducendosi, in particolare, in una indebita ingerenza nella vita privata e familiare delle anzidette coppie, che dovrebbe ritenersi non proporzionale. 13 Anteriormente, l’applicazione delle tecniche di fecondazione eterologa era lecita ed ammessa senza limiti né soggettivi né oggettivi. Nell’anno 1997 era praticata da 75 centri privati (Relazione della XII Commissione permanente della Camera dei deputati presentata il 14 luglio 1998 sulle proposte di legge n. 414, n. 616 e n. 816, presentate nel corso della XII legi-slatura). Tali centri operavano nel quadro delle circolari del Ministro della sanità del 1° marzo 1985 (Limiti e condizioni di legittimità dei servizi per l’inseminazione artificiale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale), del 27 aprile 1987 (Misu-re di prevenzione della trasmissione del virus HIV e di altri agenti patogeni attraverso il seme umano impiegato per fecon-dazione artificiale) e del 10 aprile 1992 (Misure di prevenzione della trasmissione dell’HIV e di altri agenti patogeni nella donazione di liquido seminale impiegato per fecondazione assistita umana e nella donazione d’organo, di tessuto e di mi-dollo osseo), nonché dell’ordinanza dello stesso Ministero del 5 marzo 1997, recante “Divieto di commercializzazione e di pubblicità di gameti ed embrioni umani” (avente efficacia temporalmente limitata, poi prorogata per ulteriori novanta giorni da una successiva ordinanza del 4 giugno 1997).

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Una prima della Corte costituzionale che con la sent. n. 347/1998 14, nel dichiarare inammissi-bile la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 235 c.c. che disciplina l’istituto del disconoscimento di paternità, affermò che tale norma «riguarda esclusivamente la genera-zione che segua ad un rapporto adulterino» e non disciplina quella sostanzialmente diversa del figlio nato da fecondazione assistita. Una seconda pronuncia della Cass. civ., Sez. I, 16 marzo 1999, n. 231 che, confermando l’in-terpretazione del giudice delle leggi, stabilì che «Il marito che abbia validamente concordato o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione eterologa non ha azio-ne per il disconoscimento della paternità del bambino nato in seguito a tale fecondazione» 15. La ratio del divieto introdotto dal legislatore nel 2004 sembra doversi individuare nel diritto del nascituro a una famiglia che abbia il suo patrimonio genetico o biologico. Il legislatore del 2004 ha valutato come un disvalore la nascita di un figlio biologicamente e ge-neticamente appartenente ad uno solo dei componenti della coppia. In tal caso, appunto, si è ritenuto esserci un interesse primario del figlio ad un’identità familiare e alla certezza biologica della genitorialità come «condizione prioritaria per la strutturazione della sua identità persona-le», perché altrimenti sarebbe destinato a vivere in contesti familiari deteriori rispetto a quelli nati attraverso processi riproduttivi tradizionali. Si è, dunque, in presenza di una problematica di tipo diverso rispetto a quella che caratterizza la disciplina della procreazione medicalmente assistita, in quanto non vi è alcuna necessità ulte-riore di tutela dell’embrione rispetto alla fecondazione omologa mentre quel che viene in rilie-vo è la tematica della famiglia e, in particolare, il diritto del nascituro ad avere due genitori bio-logici e a conoscere le proprie origini. Prima di commentare la sent. n. 162/2014 16 vale la pena di ripercorre le fasi che l’hanno prece-duta. Infatti, per gli studiosi di diritto costituzionale, è particolarmente interessante il percorso che ha portato alla citata sentenza, soprattutto in relazione al c.d. “dialogo tra le Corti” e al rap-porto tra le pronunce della Corte dei Diritti dell’Uomo e la Corte costituzionale 17.

14 Con nota di M. MORELLI, Ancora una nuova tipologia di decisione costituzionale: la «interpretativa di inammissibilità» (a proposito della sentenza n. 347 del 1998, sulla azione di disconoscimento di figlio nato mediante inseminazione eterologa), in Giust. civ., 1998, I, p. 2410. 15 Deve notarsi, a tal proposito, che negli anni ’90 la ricerca scientifica aveva ottenuto ottimi risultati nella conservazione del seme maschile mentre solo in un periodo più recente gli stessi risultati si sono ottenuti anche per l’ovulo femminile. In ogni caso deve ulteriormente evidenziarsi che la donazione dell’ovulo femminile è molto più difficile di quella del seme ma-schile e richiede una procedura complessa e dolorosa per la donatrice. 16 G. BERTI DE MARINIS, Il ruolo della giurisprudenza nell’evoluzione della disciplina in tema di procreazione medicalmente assistita, in Resp. civ. e prev., 2014, 5, p. 1716, collocazione A.50; V. CARBONE, Sterilità della coppia. Fecondazione eterologa anche in Italia, in Dir. famiglia, 2014, 8-9, p. 761; G. CASABURI, “Requiem” (gioiosa) per il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa: l’agonia della l. 40/04, in Foro it., 2014, parte I, p. 2343; C. CASONATO, La fecondazione eterologa e la ragionevolezza della Corte, in www.confronticostituzionali.eu, 2014; A. CIERVO, Una questione privata (e di diritto interno). La Consulta dichiara incostituzio-nale il divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, in www.diritti-cedu.unipg.it, 2014; G. D’AMICO, La sentenza sulla fecondazione “eterologa”: il peccato di Ulisse, in Quaderni cost., 2014, 3, p. 663; L. D’AVACK, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, in Dir. famiglia, 2014, 3, p. 1005; A. MOR-RONE, Ubi scientia ibi iura. A prima lettura sull’eterologa, in www.forumcostituzionale.it, 2014; A. PORRACCIOLO, Un divieto non giustificabile dall’ordinamento se ostacola la realizzazione della genitorialità, in Guida dir., 2014, 27, p. 27; R. ROMBOLI, Nota a Corte cost., sent. 162/2014, in Foro it., 2014, parte I, p. 2324; A. RUGGERI, La sentenza sulla fecondazione “eterologa”: la Con-sulta chiude al “dialogo” con la Corte EDU, in Quaderni cost., 2014, 3, p. 659; P. VERONESI, La legge sulla procreazione assistita perde un altro “pilastro”: illegittimo il divieto assoluto di fecondazione eterologa, in www.forumcostituzionale.it, 2015; L. VIOLI-NI, La Corte e l’eterologa: i diritti enunciati e gli argomenti addotti a sostegno della decisione, in www.associazionedeicostituzionalisti. osservatorio.it, 2014. 17 C. MURGO, Il giudizio di legittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa dopo la decisione della Grande Cham-bre della Corte di Strasburgo (Nota a Corte cost., ord. 7 giugno 2012, n. 150, S. B.), in Nuova giur. civ., 2012, I, p. 870.

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Il primo scossone al divieto di eterologa viene da Strasburgo allorché, nell’aprile del 2010, la Sezione I della Corte EDU ritiene il divieto di fecondazione eterologa contrastante con gli artt. 8 e 14 della Convenzione. Secondo il giudice europeo, nonostante l’ampio margine di discrezionalità degli Stati, qualora sia disciplinata la PMA, la relativa regolamentazione deve essere coerente e considerare ade-guatamente i differenti interessi coinvolti, in accordo con gli obblighi derivanti dalla Conven-zione, con conseguente irragionevolezza del divieto assoluto delle tecniche di procreazione me-dicalmente assistita di tipo eterologo e lesione delle citate disposizioni convenzionali, dal mo-mento che lo stesso non costituirebbe l’unico mezzo possibile per evitare il rischio di sfrutta-mento delle donne e di abuso di tali tecniche e per impedire parentele atipiche, non costituen-do il diritto del bambino a conoscere la sua discendenza effettiva un diritto assoluto. La sentenza della Corte di Strasburgo determinò il consequenziale effetto di trasferire la que-stione alla Corte costituzionale secondo il noto schema affermatosi a partire dalle c.d. “senten-ze gemelle” n. 348 e 349/2007. Furono ben tre Tribunali (Milano, Catania e Firenze) che sollevarono la questione di costitu-zionalità in relazione alla violazione dell’art. 117, 1° comma, Cost. in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU. Tuttavia, si verificò un imprevisto: successivamente alle ordinanze di rimessione e nel-le more del giudizio costituzionale, la Grande Camera della Corte di Strasburgo – alla quale, ai sensi dell’art. 43 della CEDU, era stato deferito il caso deciso dalla Prima Sezione – con la sen-tenza del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, si pronunciò nel senso opposto a quello che aveva indotto i Tribunali rimettenti a sollevare la questione di costituzionalità 18. La sentenza della Grande Camera, per la verità non è chiarissima e si presta a diverse interpre-tazioni. La Corte europea dopo avere osservato, tra l’altro, che ad essa non spetta «considerare se il divieto della donazione di sperma e ovuli in questione sarebbe o meno giustificato dalla Convenzione», ma spetta, invece, decidere «se tali divieti fossero giustificati», ha affermato che «il legislatore austriaco non ha all’epoca ecceduto il margine di discrezionalità concessogli né per quanto riguarda il divieto di donazione di ovuli ai fini della procreazione artificiale né per quanto riguarda il divieto di donazione di sperma per la fecondazione in vitro» ed ha esclu-so la denunciata violazione dell’art. 8 della Convenzione, reputando che non vi fosse «alcuna ragione di esaminare separatamente i medesimi fatti dal punto di vista dell’articolo 14 in com-binato disposto con l’articolo 8 della Convenzione». Di fronte a questa nuova pronuncia, la Corte costituzionale, con ord. n. 150/2012 19, decise di restituire gli atti ai rimettenti per una nuova valutazione in ordine al parametro evocato dell’art. 117, 1° comma, Cost. in relazione all’art. 8 CEDU che tenesse conto anche della motivazioni della sentenza della Grande Camera. Questa decisione è stata molto criticata dalla dottrina perché la Corte era investita della que-stione di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa anche in relazione ad altri para-metri costituzionali. In tal modo, si è vista, da parte di alcuni studiosi, un’implicita subalternità dei parametri interni rispetto a quelli della Convenzione dei diritti dell’uomo. Tuttavia deve osservarsi che la Corte costituzionale aveva spiegato le ragioni della restituzione degli atti affermando che anche in relazione agli altri parametri la sentenza della Corte EDU

18 C. MURGO, La grande chambre decide sulla fecondazione eterologa e la rimette all’apprezzamento degli stati contraenti (Nota a Corte europea diritti dell’uomo, 3 novembre 2011, S. H. c. Gov. Austria), in Nuova giur. civ., 2012, I, p. 233; E. NICOSÌA, Il di-vieto di fecondazione eterologa tra Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte costituzionale (Nota a Corte europea diritti dell’uomo, 3 novembre 2011, S. H. c. Gov. Austria), in Foro it., 2012, IV, c. 219. 19 A. NICOLUSSI-A. RENDA, Fecondazione eterologa: il pendolo fra corte costituzionale e corte Edu (Nota a Corte cost., ord. 7 giugno 2012, n. 150, S. B.), in Europa e dir. privato, 2013, p. 212.

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dovesse ritenersi rilevante perché era espressamente richiamata dai rimettenti a supporto della motivazione della non manifesta infondatezza anche sotto tale diverso profilo. I Tribunali rimettenti sollevarono nuovamente la questione di costituzionalità, questa volta pe-rò solo sulla base di parametri costituzionali interni e, tranne il Tribunale di Milano, senza in-vocare la violazione dell’art. 117, 1° comma, Cost. Secondo i rimettenti l’art. 4, 3° comma, nel vietare il ricorso alle tecniche di procreazione me-dicalmente assistita di tipo eterologo, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, avendo la l. n. 40/2004 lo scopo di «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana», il divieto dallo stesso stabilito realizzerebbe un diverso trattamento delle coppie affette da sterilità o da infertilità, nonostante esse versino in situazioni sostanzialmente omologhe e, quindi, meritevoli di avere l’eguale possibilità di ricorrere alla tecnica più utile di PMA, al fine di porre rimedio alla patologia dalla quale sono affette. La norma citata recherebbe un vulnus anche agli artt. 2, 29 e 31 Cost., in quanto – benché il primo di detti parametri riconosca e tuteli il diritto alla formazione della famiglia (oggetto an-che del secondo parametro) – non garantirebbe alle coppie colpite da sterilità o infertilità as-soluta ed irreversibile il diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familia-re e di autodeterminazione in ordine alla medesima, con pregiudizio per le coppie colpite dal-la patologia più grave, del diritto di formare una famiglia e costruire liberamente la propria esi-stenza. Il divieto di fecondazione eterologa violerebbe gli artt. 3 e 32 Cost. anche perché pone in peri-colo l’integrità fisica e psichica di dette coppie mentre in materia di pratica terapeutica la regola dovrebbe essere l’autonomia e la responsabilità del medico, il quale, con il consenso del pazien-te, deve effettuare le necessarie scelte professionali. Sotto un ulteriore profilo sarebbero lesi gli artt. 2 e 31 Cost. poiché la soluzione dei problemi riproduttivi della coppia sarebbe riconduci-bile al diritto fondamentale alla maternità/paternità e le norme censurate avrebbero realizzato un irragionevole bilanciamento del diritto alla salute della madre biologica e della madre gene-tica, del diritto costituzionalmente protetto alla formazione della famiglia e dei diritti del nasci-turo, anche in considerazione del carattere ipotetico dell’eventuale sofferenza psicologica pro-vocata dalla mancata conoscenza della propria origine genetica e dell’esistenza di un istituto quale l’adozione, che ammette le relazioni parentali atipiche. La Corte ha ritenuto che lo scrutinio delle censure dovesse essere effettuato, avendo riguardo congiuntamente a tutti questi parametri, poiché la procreazione medicalmente assistita coin-volge plurime esigenze costituzionali e, conseguentemente, la l. n. 40/2004 incide su una mol-teplicità di interessi di tale rango. Questi, nel loro complesso, richiedono un bilanciamento tra gli stessi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa. Il punto di partenza è lo stesso della sent. n. 151/2009 sopra citata ovvero che la tutela del-l’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilan-ciamento con la tutela delle esigenze di procreazione e con altri beni costituzionali. Ciò premesso, il ragionamento della Corte si sviluppa in più punti. La scelta della coppia di di-ventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevol-mente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari ran-go. La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che esse-re incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata

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mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera. La Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli (come è deducibile dalle sentt. n. 189/1991 e n. 123/1990). Tuttavia, il progetto di forma-zione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione. La considerazio-ne che tale istituto mira prevalentemente a garantire una famiglia ai minori rende evidente che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. Secondo la Corte, è certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misu-ra anche rilevante, sulla salute psichica della coppia. Diritto alla salute, che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, va inteso «nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensi-vo anche della salute psichica oltre che fisica» e «la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica». Si può eliminare in radice il pericolo che si ricorra a tali tecniche per fini eugenetici perché la possibilità di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo vale solo per le coppie in relazione alle quali sia stata accertata l’esistenza di una patologia irreversi-bile di sterilità o infertilità assolute. Premesso quali sono gli altri valori costituzionali coinvolti la Corte ribadisce che la PMA di ti-po eterologo mira a favorire la vita e pone problematiche riferibili eminentemente al tempo successivo alla nascita. L’unico interesse di rango costituzionale nel quale trova giustificazione il divieto di fecondazione eterologa è quello della lesione del diritto del nascituro ad una geni-torialità naturale, e alla possibilità di conoscere la propria identità genetica. Risulta palese, quindi, la sproporzione tra i valori in campo e l’irragionevole bilanciamento dei beni e interessi di rilevo costituzionale. Infatti, nella sentenza sono preliminarmente richiamati i principi da sempre utilizzati in materia di irragionevolezza e, in applicazione degli stessi, si af-ferma che proprio alla luce dello scopo della l. n. 40/2004 dichiarato all’art. 1, 1° comma, «di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana», la preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla forma-zione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, è stabilita in danno delle cop-pie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la stessa ratio legis e senza che la sua assolu-tezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato. La Corte individua un ulteriore profilo di incostituzionalità della l. n. 40 perché, nel regolamen-tare gli effetti della PMA di tipo eterologo praticata al di fuori del nostro Paese, realizza un in-giustificato diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capa-cità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ri-corso a tale tecnica recandosi in altri Paesi. 5. (Segue). La sua irragionevolezza intrinseca  Sul tema della regolamentazione della pratica di aggiramento del divieto di fecondazione etero-loga mediante il c.d. turismo procreativo si impone un’ulteriore riflessione. La Corte, in questo caso, parla di un ingiustificato diverso trattamento delle coppie afflitte da

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una patologia di sterilità tale da dover ricorrere alla fecondazione eterologa sulla base della loro capacità economica. In altri termini si dice che è inammissibile l’idea che il divieto di fecondazione eterologa possa essere facilmente eluso da parte di coloro che dispongono dei mezzi necessari per sottoporsi al trattamento in Stati ove lo stesso sia consentito, senza alcuna conseguenza, mentre le coppie senza mezzi economici adeguati devono subire interamente le conseguenze della legislazione italiana. Secondo la Corte in tal modo la disponibilità economica assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale e non come inconveniente di fatto, bensì come diretto effetto delle disposizioni in esame, conseguente ad un bilanciamento degli interessi manifesta-mente irragionevole. A nostro avviso la Corte non sviluppa fino in fondo il suo ragionamento assolutamente corret-to nelle premesse. Naturalmente si tratta solo di un ulteriore motivo di irragionevolezza che si aggiunge a quelli sopra riportati. Se, infatti, il divieto introdotto dal legislatore con l’art. 4, 3° comma, l. n. 40/2009 si fonda sull’esigenza di tutela del nascituro che vedrebbe leso il suo dirit-to alla genitorialità naturale e alla conoscenza del suo patrimonio biologico, ciò si pone in evi-dente e insanabile contraddizione con quanto previsto dall’art. 9 della medesima legge che in-troduce il divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre. L’ultima norma citata prevede che qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, 3° comma, il coniuge o il con-vivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di discono-scimento della paternità nei casi previsti dall’art. 235, 1° comma, nn. 1) e 2), c.c., né l’impugna-zione di cui all’art. 263 dello stesso codice. Così come la madre del nato a seguito dell’applica-zione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell’art. 30, 1° comma, del regolamento di cui al d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396. Infine, sempre in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi. Si tratta indubbiamente di una disciplina dettata allo scopo di offrire la miglior tutela possibile al nato. Ma è proprio su questo punto che diventa evidente la contraddizione in cui cade il legi-slatore e l’intrinseca irragionevolezza del divieto. Se, infatti, l’esigenza del divieto era mossa dal bisogno di genitorialità naturale del nascituro e dal diritto di conoscere le proprie origini, risulta allora palesemente irragionevole che il legisla-tore, sempre a tutela del nato, introduca delle norme di segno completamente opposto nei casi in cui il divieto sia stato violato. Se il nascituro ha bisogno dei suoi veri genitori, non si comprende la ragione per la quale gli si nega questa possibilità affermando che il donatore (ovvero il suo genitore biologico) non as-sume alcuna relazione parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto ma soprattutto non può essere titolare di alcun obbligo. Sembra evidente che il legislatore, da un lato introduce il divieto a tutela del nascituro, e dal-l’altro adotta una disciplina (in linea con gli Stati dove la fecondazione eterologa è ammessa) dalla quale emerge che nel caso di violazione del divieto la miglior tutela possibile per il nato è proprio quella che si determina dalla fecondazione eterologa vietata. Non si può non vedere, l’irragionevolezza di una siffatta regolamentazione che, da un lato proi-bisce la fecondazione eterologa e dall’altro “premia” chi aggira il divieto, assicurandogli esatta-mente quella tutela che ci si aspetterebbe da una legislazione permissiva.

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6. Conclusioni  Come si è detto in premessa, la disciplina dei fenomeni legati alla procreazione medicalmente assistita è assolutamente necessaria per scongiurare i rischi di uso a fini eugenetici delle conqui-ste della scienza medica, e anche, ad avviso di chi scrive, per evitare il fiorire di un mercato estre-mamente redditizio di materiale genetico. Nel dichiarare incostituzionale il divieto di eterologa, infatti, la Corte costituzionale ha chiarito che le disposizioni in materia di requisiti soggettivi, modalità di espressione del consenso e do-cumentazione medica necessaria ai fini della diagnosi della patologia e della praticabilità della tecnica, nonché a garantire il rispetto delle prescrizioni concernenti le modalità di svolgimento della PMA ed a vietare la commercializzazione di gameti ed embrioni e la surrogazione di ma-ternità (art. 12, dal 2° al 10° comma, della l. n. 40/2004) sono applicabili direttamente (e non in via d’interpretazione estensiva) a quella di tipo eterologo. Tuttavia è evidente che la varietà dei casi e delle situazioni che possono verificarsi unitamente ai progressi della ricerca scientifica richiedono un continuo adattamento della disciplina. Volendo gettare lo sguardo verso il futuro è già possibile prevedere che ulteriori questioni si por-ranno all’attenzione del giudice delle leggi o della Corte dei Diritti dell’Uomo. È prevedibile che nuove questioni saranno sollevate con riferimento ai limiti soggettivi all’ac-cesso alle tecniche. La sent. n. 162/2014, infatti, prudentemente, ha parlato solo di famiglia e di coppia e ha affermato che «l’illegittimità del divieto non incide sulla previsione recata dall’art. 5, 1° comma, di detta legge, che risulta ovviamente applicabile alla PMA di tipo eterologo (come già a quella di tipo omologo); quindi, alla stessa possono fare ricorso esclusivamente le «cop-pie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entram-bi viventi». Probabilmente, sulla base delle stesse motivazioni della sent. n. 162/2014, presto la Corte sarà chiamata a valutare la ragionevolezza o meno del divieto di accesso alle tecniche anche per la donna single.

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NUOVI MODELLI FAMILIARI: VUOTO NORMATIVO E NORME INEFFICACI 

Lorenzo D’Avack Professore ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università “Roma Tre” Vice Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica Sommario: 1. Premessa. – 2. Famiglie non tradizionali. – 3. Vuoto normativo e divieti senza sanzioni. – 4. Con-clusione. 1. Premessa  Nel 1890 lo psicologo statunitense, William James, ebbe a scrivere: «L’istituto naturale della maternità e della paternità non esiste e rappresenta solo un mito molto enfatizzato in Occiden-te. Si tratta di un’affermazione che s’incentra su una certa visione dell’uomo, tipica della nostra società, in cui la scienza, e in particolare la medicina, pretendono di avere la chiave della nostra identità. Bisogna invece riflettere sul fatto che questa pretesa è soltanto un’illusione o, più esat-tamente il mito su cui si è fondata, in Occidente, l’immagine della maternità e della paternità. In effetti, in altre parti del mondo, altre culture hanno creato, sulla genitorialità, miti molto di-versi. Dunque, così com’è biologicamente vero che una gravidanza è il prodotto della feconda-zione di un ovulo per opera di uno spermatozoo, allo stesso modo è sbagliato trarne una qual-siasi definizione di paternità, definizione che è di ordine simbolico e non di ordine biologico. Il semplice buon senso mostra, d’altra parte, che quando un uomo e una donna aspettano un bam-bino e dicono di averlo concepito insieme, la prova biologica di ciò è difficile da ottenere ed è in genere solo la loro parola ad affermare che è così e che lo spermatozoo fecondante non è di pro-venienza diversa». James continuava citando un gran numero di differenti modelli di famiglia e concludeva che i genitori di un bambino sono quelli che gli vengono indicati dalla società 1. Riflessioni forse insolite per quell’epoca, ma oggi usuali nel momento in cui pensiamo a un progetto familiare, in specie poi quando realizzato all’interno della PMA. Di fatto sia l’etica che il diritto si pongono il problema di quale struttura attribuire alla famiglia “artificiale”: se preve-dere il modello tradizionale naturale, biparentale ed eterosessuale, o se inserire nuovi modelli, come quello monoparentale o omoparentale o pluriparentale. I nati de terzo millennio sembrano poter con sempre maggiore frequenza essere destinati ad avere ogni genere di famiglia. La storia dell’inseminazione artificiale e quanto giornalmente av-

1 W. JAMES, Principles of Psychology, 2 voll., 1890.

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viene sotto i nostri occhi mostrano che questa tecnica, originariamente intesa come terapia al-l’infertilità della coppia eterosessuale, sta divenendo un metodo di fecondazione utilizzato da chiunque avanzi l’interesse individuale ad un figlio e ad una discendenza 2. Difatti, l’accesso alla provetta è ora reclamato da coppie omosessuali o da persone singole di entrambi i sessi e attra-verso tecniche sempre più sofisticate che allontanano la procreazione dalla sessualità e trasfor-mano radicalmente la nostra concezione multisecolare della filiazione. Il bambino non è più obbligatoriamente concepito nel ventre della madre e i genitori possono essere meno di due o più di due (biologici e/o sociali), non necessariamente un padre e una madre secondo ruoli consueti. Con ciò il modello della famiglia tradizionale tende a scompari-re e la discendenza biologica cessa di essere il criterio dominante per fondare la filiazione. 2. Famiglie non tradizionali  Le pretese verso procreazioni solitarie o verso procreazioni che escludono le tradizionali figure genitoriali (padre/madre) si giustificano primariamente attraverso quelle teorie filosofiche e so-ciologiche che evidenziano l’autonomia individuale, come ragione di libertà verso il proprio cor-po di cui si è pieni proprietari e di cui si ha piena disponibilità. Un’autodeterminazione ripro-duttiva che lo Stato deve rispettare. E verso l’idea che lo Stato non debba ostacolare, anzi favo-rire queste nuove aggregazioni familiari, si muovono normative e indirizzi giurisprudenziali sia in Italia che sul Continente 3. Nell’ambito dei rapporti genitori/figli si ritiene, dunque, che la riduzione delle figure genitoriali (con la maternità singola) o la loro moltiplicazione (con la fecondazione eterologa di coppie di sesso diverso o dello stesso sesso) non costituisca un elemento eticamente problematico: l’al-largamento dei modelli familiari è considerato conseguenza di un mutamento storico-sociale da accettare ed accogliere positivamente, ritenendo il riferimento alla famiglia naturale irrile-vante.

2 L. D’AVACK, Il progetto filiazione nell’era tecnologica. Percorsi etici e giuridici, II ed., Giappichelli, Torino, 2014. 3 La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) con sentenza 24 giugno 2010 ha statuito che la coppia formata da per-sone dello stesso sesso, convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare (art. 8 della Convenzione), proprio come vi rientra la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione. Ne consegue il co-rollario che il diritto al matrimonio di cui all’art. 12 della CEDU riguarda anche le coppie omosessuali e che il diniego di af-fidamento del figlio al padre, perché omosessuale, costituisce una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, vie-tata dall’art. 14 della Convenzione (CEDU, sentenze 19 febbraio 2013 e 7 novembre 2013). La legittimazione all’accesso alla PMA per composizioni familiari non tradizionali e questa tendenza è presente in diverse legislazioni europee e fuori del Continente: fra le altre: Olanda (2001), Germania (2001), Regno Unito (2005), Spagna (2005), Belgio (2003), Portogallo (2010), Francia (2013). In alcune di queste normative resta vietata l’adozione per le coppie omosessuali o per il single. Negli Stati Uniti la Suprema Corte ha dichiarato illegittimo il Defence of Marriage Act (DOMA), la legge federale in base alla quale il matrimonio è solo tra uomo e donna, in quanto compressione della libertà garantita dal principio di eguaglianza. Nel nostro Paese nel 2012 con sent. n. 4184 la Cassazione ha ritenuto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso, contratto all’estero, non possa più ritenersi inesistente o invalido ma solo improduttivo di effetti nell’ordinamento giuridi-co italiano. La Corte d’Appello dei minori di Roma (sent. 30 giugno 2014) ha ritenuto che l’art. 44 della legge sull’adozio-ne possa essere applicato anche alla famiglia omosessuale, purché stabile e tenuto conto dell’interesse del minore. La Corte d’Appello di Torino con decreto 29 ottobre 2014 ordina la trascrizione dell’atto di nascita in Italia di una bambina ricono-sciuta in Spagna come figlia di due donne sposate. Per la Corte è preminente l’interesse della bambina a vedersi riconosciuto il rapporto di genitorialità con le due madri. Infine il Tribunale per i minorenni di Bologna con ord. 6-10 novembre 2014, n. 4701 ha sollevato questione d’illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della l. n. 184/1983 nella parte in cui non consen-tono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponde all’interesse del minore adottato all’estero il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il ma-trimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso).

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Canoni consolidati del diritto di famiglia (mater semper certa est, pater numquam; pater id est quem iustae nuptiae demonstant; consensus non facit filios; l’indisponibilità degli status; il favor legittimatis ed il favor veritatis) tornano in discussione. Affiora una casistica variegata: un figlio e due padri (uno genetico l’altro sociale), un figlio con diverse madri (quella gestante, quella com-mittente, quella che ha donato l’ovulo o una parte di questo). Per non parlare, poi, di clonazio-ne con gemelli verticali. Nel complesso l’elemento biologico si confonde in una promiscuità di apporti e l’accertamento della filiazione e i legami genitore-figlio si basano su di una volontà re-sponsabile, talché si dicono “sociali”. Si sostiene, inoltre, che la regola che vada tutelato nell’ambito della famiglia il “migliore inte-resse del nato” non è compromessa in queste situazioni, perché non si ravvisa alcun danno e ciò per più di una ragione. Primariamente, si evidenzia come il diritto di esercitare la propria liber-tà sessuale sia anche la condizione per la trasmissione della vita, riconosciuta come bene su-premo: sarebbe ben strana argomentazione quella che in nome dell’interesse di qualcuno se ne impedisca l’esistenza. Si aggiunge che gli stessi bambini sono i primi beneficiari delle nuove tecniche procreative. Se i genitori, con l’aiuto di terzi, si sono così impegnati per avere figli, questi ultimi, in quanto fortemente voluti, sono certamente amati e resi felici. E questo deside-rio realizzato è un’ulteriore garanzia per un integrale adempimento dei doveri parentali di edu-cazione, cura e istruzione. Il rischio, poi, di possibili “gravi disturbi” della personalità del bambino a seguito di una procrea-zione solitaria o di una crescita all’interno di un nucleo familiare omosessuale, sono ritenuti in-consistenti. Questo, si argomenta, è il frutto di costruzioni teoriche elaborate soprattutto nell’am-bito della psicoanalisi al fine di spiegare la genesi di patologie psichiche, senza adeguati riscontri empirici. E a tali letture si contrappongono quelle che sostengono che non è la diversità di sesso che assicura il benessere del nato, ma la capacità di cura e di affetto dei genitori o del genitore 4. Non mancano antropologi e sociologi che affermano, in sostanza, che l’istituto naturale della maternità e della paternità è discutibile, e che il nostro modello tradizionale di genitorialità (da tempo in crisi per ragioni culturali) non è certo l’unico possibile, come numerose ricerche em-piriche hanno da tempo confermato. Messa in dubbio è anche l’esistenza di un vero istinto ge-nitoriale, espresso in termini puramente biologici e si ritiene che esso rappresenti semmai un mito, incentrato su una determinata visione dell’uomo, che l’Occidente ha enfatizzato. Anche una parte del pensiero femminista liberale insiste sulla natura prettamente individuale della scelta riproduttiva radicata in una visione proprietaria del corpo e nella esigenza di supe-rare la concezione patriarcale delle relazioni familiari. Alla donna è riconosciuto un controllo esclusivo sulla scelta di avere o meno un figlio e come averlo. Ogni donna può chiedersi: Per-ché devo avere un bambino? Quando voglio avere un bambino? Come voglio avere un bambi-no? Si tratta di scelte giustificate – secondo questa cultura femminista – anche a prescindere da condizioni di sterilità/infertilità o dal rischio di malformazioni genetiche del nascituro. Va detto che le ragioni a difesa della “maternità singola” non sempre sono sostenute con analo-go entusiasmo per la “paternità singola” 5. È possibile che la minore rivendicazione sia data dal

4 Scrive lo psicologo V. Lingiardi: «La famiglia del nostro immaginario, la famiglia edipica descritta da Freud all’inizio del Novecento, è determinata storicamente ... Oggi si parla sempre più di funzione materna e di funzione paterna e la psicolo-gia, proprio in riferimento alle variazioni famigliari, ha iniziato ad usare il termine di caregiver per definire la figura che for-nisce le cure e provvede all’accudimento del bambino e della bambina». Pertanto, «almeno fin quando non conosceremo con precisione l’incidenza statistica dei pazienti malati tra coloro che sono nati artificialmente e la confronteremo con quella propria dei pazienti malati tra nati naturalmente non sembra che questi dati possano essere considerati scientifica-mente rilevanti». 5 Legislativamente in Europa il paese che non la proibisce è la Gran Bretagna che consente l’ingresso alla surroga materna al single o alla coppia omosessuale.

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fatto che in questi casi per l’uomo il ricorso al contratto di maternità è d’obbligo, purché non si voglia fin d’ora pensare all’ipotesi – ancora fanta-scientifica e fanta-tecnologica – dell’utero arti-ficiale (c.d. ectogenesi). Tuttavia, anche tali istanze a favore di genitorialità solo maschili ven-gono ora sostenute nell’ambito dei “masculinity studies” che si stanno contrapponendo ai “wo-men’s studies”, rivendicando le ragioni degli uomini contro l’ormai crescente, almeno nelle so-cietà occidentali, potere delle donne. Tali pretese sono ulteriormente rafforzate ed estremizzate dalla crescente diffusione delle gen-der theories che annullano “di principio” la rilevanza della differenza sessuale e muovono da una separazione tra sex (inteso come condizione biologica) e gender (inteso come costruzione so-ciale/culturale e scelta individuale). La differenza sessuale – secondo tali teorie – è irrilevante per la procreazione, non solo sul piano fattuale (le tecnologie consentono di procreare a pre-scindere dalla naturale esistenza di due individui di sesso diverso), ma anche sul piano teorico, essendo l’individuo colui che sceglie o può scegliere, sulla base della sua volontà e senza alcun ri-ferimento alla natura, alla sua identità sessuale e al ruolo che intende svolgere all’interno della co-stituenda famiglia 6. In questo senso la “famiglia” si trasforma in mero “legame parentale” 7, ove ogni modalità è equivalente a qualsiasi altra a prescindere dal sesso (legami omo-etero-bi/ses-suali), ma anche dal numero (monogamia, poligamia, poliandria). Gender (ma anche queer) di-viene la categoria della in-differenza sessuale, che esalta la “neutralità”, la mescolanza e la con-fusione, superando le rigide classificazioni binarie (maschile/femminile; eterosessuale/omo-sessuale) 8. Un complesso di teorie, dunque, che rafforzano la giustificazione dell’accesso alla PMA dei single (maschio o femmina), delle coppie omosessuali, indifferentemente composte da uomini o da donne, ma anche dei transgender, arrivando ad ipotizzare legami pluri-sessuali e multi-parentali. 3. Vuoto normativo e divieti senza sanzioni  A seguito dell’espandersi di queste tendenze c’è da chiedersi cosa avvenga nel nostro Paese sot-to il profilo normativo e giurisprudenziale. Un Paese che fino ad ora, anche in considerazione dell’origine atavica delle sue regole giuridiche, non si distacca dalle tradizionali concezioni della diversità dei sessi in materia di matrimonio e della procreazione naturale all’interno di una struttura etero-familiare. A fronte di questa staticità riscontriamo un continuo intervento giurisprudenziale che tiene conto della sempre più consistente circolazione di unioni tra persone dello stesso sesso, in ciò sospinto, come già ricordato, dalle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ne con-segue un continuo distacco dal diritto vigente, spesso in nome di clausole e principi che nulla sono che delle “scatole vuote”, riempite via via di contenuto dall’ideologia del giudice.

6 In una prospettiva radicalmente individualistica e relativistica postmoderna, tali teorie sostengono il “polimorfismo ses-suale” in contrapposizione al “dimorfismo/binarismo sessuale” (l’individuo può scegliere di essere maschio o femmina, ma anche maschio e femmina o né maschio né femmina, il transgender) e il “pansessualismo” contro l’“etero-sessismo” (ogni individuo può orientare la sua scelta sessuale a chiunque, a prescindere dalla sua appartenenza sessuale: il privilegio della eterosessualità è ritenuto discriminante). 7 Si preferisce il termine “parentalità” rispetto a “famiglia” che suona troppo legato alla tradizione. Parentalità è neutro e consente di identificare i genitori a prescindere dall’appartenenza sessuale. Non si usano altresì i termini “padre” e “ma-dre”, in quanto espressioni incarnate sessualmente e si preferisce quello di “genitori”. 8 L. PALAZZANI, Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza, Giappichelli, Torino, 2011.

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In questa sede ci limitiamo ad alcune vicende che coinvolgono il momento della procreazione medicalmente assistita e di una legge che dovrebbe regolarla, con tutti i correttivi apportati dal-la Corte costituzionale 9. La grande riforma del ’70 in materia di diritto di famiglia neanche affrontava il problema della PMA e questa verrà normata con la l. n. 40/2004 dopo una inerzia grave e colpevole del legisla-tore, sebbene il ricorso alla tecnica fin dagli anni ’70 era già divenuto frequente. Una normativa tendenzialmente portata a mimare nella PMA la realtà naturalistica e a conside-rare la tecnica principalmente come rimedio alla infertilità della coppia eterosessuale e a privi-legiare da un lato l’embrione (a cui viene riconosciuta una tutela forte verso la vita) e dall’altra il nato (soprattutto attraverso il divieto dell’eterologa). Una normativa che da subito fu critica-ta per non avere bilanciato in uno Stato laico valori e diritti contrapposti e soprattutto per aver formato un complesso di regole giuridiche non sempre compatibili con il diritto comune esi-stente e con principi e diritti di rango costituzionale. Sta di fatto che, a fronte di un messaggio legislativo carente, le interpretazioni della giurispru-denza e gli interventi costituzionali che si sono susseguiti hanno contribuito per diversi aspetti ad una riscrittura della legge stessa. In specie la Corte costituzionale (n. 162/2014) ha fatto venir meno il divieto all’eterologa, rite-nendo, in modo discutibile, che l’eterologa sia una species del genus PMA, che non vi sia un “vuoto normativo” e che «molti motivi pregnanti delle nuove tecniche possono essere regola-mentati attraverso la stessa legge 40». Molti motivi pregnanti, dunque, ma non tutti. Se siamo stati l’ultimo paese in Europa a ritenere legittima la PMA eterologa, siamo anche l’unico paese in Europa che abbia ritenuto sufficiente regolamentarla attraverso una normativa per l’omologa che vieta la stessa eterologa. Così attualmente se da un lato i modelli familiari c.d. non tradizionali crescono di numero e ri-cevono attenzione da parte della giurisprudenza, dall’altro il vuoto normativo rende la procrea-zione sotto l’aspetto giuridico sempre più incerta. Non sono affrontate dalla Corte problemati-che quali il “consenso informato” della coppia che accede all’eterologa e del donatore/donatri-ce di gameti; l’anonimato o meno dei donatori/donatrici, con la conseguente possibilità o me-no del nato di conoscere le proprie origini biologiche; il numero delle donazioni e di come con-tarle (le raccolte dei gameti, le gravidanze accertate, i bambini nati); la commerciabilità o meno dei gameti (rimborso o vera e propria remunerazione); i criteri di compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con quelle della coppia ricevente (corrispondenza del co-lore della pelle, degli occhi, dei capelli e del gruppo sanguineo); il contenuto dei registri dei dona-tori/donatrici e dei nati necessari a conservare una tracciabilità piena dai donatori/donatrici ai nati e alla rete parentale; l’inserimento dell’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Sembra allora evidente che molte delle problematiche sopra esposte richiedano comunque l’intervento del legislatore e ciò non solo nel rispetto e nella comprensione dovuti a chi deside-ra avere un figlio, ma anche per garantire i Centri sotto il profilo giuridico. Ma al di là di questo vuoto normativo, si può osservare come le norme vigenti in materia di PMA non contengano sanzioni tali da poter dissuadere i cittadini a violare i divieti e i limiti di-sposti dalle nostre leggi e non stabiliti in altri Paesi. Di fatti, a fronte di possibili situazioni con-tra legem, la l. n. 40 ha previsto contenute sanzioni amministrative nell’art. 12 (Divieti generali e sanzioni) come a tollerare l’azione di per sé vietata. Per l’eterologa, poi, effettuata all’estero si è limitata nei confronti del coniuge o del convivente, il cui consenso è ricavabile da atti conclu-

9 Corte cost., ord. 9 novembre 2006, n. 369; sent. 8 maggio 2009, n. 151; ord. 23 maggio 2012, n. 150 e sent. 9 aprile 2014, n. 162.

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denti, a porre il divieto del disconoscimento della paternità (art. 9, 1° comma) e a stabilire che il donatore di gameti non acquisisca alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non pos-sa far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi (art. 9, 3° comma). Nessun’altra sanzione è attualmente prevista, oltre quelle riconducibili al codice civile e al co-dice penale, qualora il giudice ne ravvisi la fattispecie (decadenza della responsabilità genitoria-le; alterazione di stato; falsa dichiarazione innanzi al Pubblico Ufficiale; violazione dell’ordine pubblico) e che potrebbero portare a non consentire il riconoscimento dello status di figlio del nato attraverso il ricorso di tali tecniche illecite. Ma da subito fu osservato che sanzioni di tal genere sarebbero entrate in conflitto con il princi-pio del favor minoris e non si sarebbero tenute nel debito conto le preminenti ragioni d’interes-se di quest’ultimo. Così le recenti decisioni dei Tribunali che hanno dovuto affrontare il pro-blema se sia legittimo da parte dell’Ufficiale di Stato civile rifiutarsi di trascrivere nei nostri re-gistri un provvedimento straniero che attribuisca al nato uno status determinato a seguito di surroga materna, attuata legittimamente all’estero 10. Sentenze che nelle loro motivazioni riba-discono la necessità che il minore non perda la certezza formale del suo status, che deve essere unico in tutta Europa, secondo le normative comunitarie e le carte internazionali 11. Per altro, nelle vicende familiari non è rilevante l’ordine pubblico nazionale, bensì quello inter-nazionale, che non ritiene le diverse tecniche di fecondazione eterologa, che non rispettano il principio della prevalenza del “biologico” sul “sociale”, contrarie all’ordine stesso. La CEDU con la sentenza 26 giugno 2014 in due casi francesi 12 ha ritenuto violato l’art. 8 della Conven-zione da parte dello Stato che non riconosce il rapporto di filiazione costituito all’estero ricor-rendo alla surroga materna. Recentemente (2015) poi l’Italia è stata condannata per aver viola-to l’interesse del minore nel non riconoscere il diritto di due coniugi a riconoscere come figlio un bimbo nato in Russia con gameti altrui e attraverso surroga. Le scelte normative e giurisprudenziali effettuate in Italia ed imposte dalla CEDU non condu-cono dunque di per sé all’inapplicabilità di un provvedimento straniero che riconosca una pras-si contraria alla nostra normativa. Non si vede di conseguenza come lo Stato possa prevedere ad esempio il divieto della surroga, senza incorrere nel motivo d’incostituzionalità già fatto va-lere per l’omologa e dato dal c.d. turismo procreativo. 4. Conclusione  Nel concludere, una breve osservazione in merito al c.d. “interesse del minore” così spesso in-vocato dalle più recenti decisioni in materia di PMA e di adozione per le famiglie omoaffettive. Come ricordato, spinte verso la regolamentazione giuridica dei nuovi nuclei familiari vengono dalla Corte cost. (n. 138/2010), dalla Cassazione (nn. 4184/2012 e 2400/2015) e dalle Corti minori. Tuttavia, il problema della procreazione nell’ambito di questi nuclei familiari è diverso e non mi pare sostenibile che l’ostacolo per gay e lesbiche all’accesso alla PMA sia da ricollega-re allo sbarramento all’istituto matrimoniale che questi subiscono in quei Paesi che, come il nostro, ancora lo prevedono. La richiesta di accedere all’istituto del matrimonio e quello di ac-

10 Corte App. Bari, sent. 13 febbraio 2009; Trib. Trieste, sent. 6 giugno 2013; Trib. Milano, sent. 15 ottobre 2013; Trib. Brescia, sent. 26 novembre 2013; Corte App. Torino, decreto 29 ottobre 2014. 11 Così raccomandato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (1989), ratificata e resa esecutiva in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176, e dal Reg. n. 2201/2003 che all’art. 23 precisa che il non riconoscimento di una decisione contraria all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto è comunque subordinato “all’interesse personale del minore”. 12 Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia, 2014.

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cedere alla PMA per realizzare una filiazione contengono aspirazioni non sovrapponibili. E le ragioni per rimuovere i limiti posti alla prima non possono essere analoghe per la seconda, do-ve è coinvolta la presenza di un terzo: il nato. In alcune normative europee che legittimano il matrimonio omosessuale resta vietata l’adozione e la surroga materna. Riscontro allora con qualche perplessità che nessuna di queste decisioni, compresa la nostra Corte costituzionale, ha provato a chiedersi con attenzione quanto questi modelli familiari, al di là di una singola casistica, possano rispondere all’interesse dei nati in un determinato conte-sto sociale. La risposta può anche essere positiva, come sopra ricordato. Ma potrebbe anche su-scitare più di un dubbio in specie quello che queste diversità procreative possano rappresentare una potenziale minaccia per il nato, obbligato a crescere in un contesto familiare prevalente-mente anomalo rispetto a quello dei propri coetanei e a misurarsi in una società che potrebbe non essere ancora emotivamente e ideologicamente pronta per approvare le conquiste delle loro madri e dei loro padri. Spinte ideologiche e smanie ugualitarie fanno troppo spesso dimen-ticare che tutte le società si fondano su quei grandi numeri dati dai parametri della normalità. Sarebbe allora auspicabile che coloro che ricorrono a queste tecniche procreative siano almeno correttamente informati dai centri medici attraverso una consulenza multi-disciplinare sul per-corso che intendono affrontare e che intendono fare affrontare ai propri figli. Infine, è difficile non auspicare nell’agenda delle riforme un intervento del legislatore per tute-lare il diritto delle coppie e dei loro figli nel riconoscimento della loro vita privata, sociale e af-fettiva, per dare loro certezza ed evitare le originarie e diverse soluzioni di sindaci, Tribunali e Corti in assenza di una ragionata e chiara scelta normativa.

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TECNICHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA E REVOCA DEL CONSENSO:  UNA QUESTIONE ANCORA INSOLUTA 

Maria Acierno Consigliere presso la Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione Sommario: 1. Premessa metodologica. Le forme di PMA: un catalogo aperto. – 2. Le PMA omologhe. – 2.1. La morte del partner prima dell’impianto: descrizione di alcuni casi. – 2.2. Considerazioni critiche: cenni sulla sorte degli embrioni soprannumerari. – 3. L’embrione “conteso”. – 4. La revoca del consenso nella fecondazione etero-loga e l’errore d’impianto. 1. Premessa metodologica. Le forme di PMA: un catalogo aperto  I profili problematici relativi alla revoca del consenso al progetto procreativo, da realizzarsi, in vario modo, mediante le tecniche di riproduzione assistita, sono di estrema complessità. Ad es-si devono aggiungersi quelli, ancor più eticamente sensibili, relativi alle manifestazioni di vo-lontà successive alla positiva realizzazione del progetto procreativo nelle varie ipotesi di fecon-dazione eterologa. È, pertanto, quanto mai opportuno procedere con ordine. In primo luogo mediante la distinzione delle PMA 1 tra omologhe ed eterologhe. In ordine a queste ultime, mediante la distinzione tra eterologhe con utilizzazione del corredo genetico di uno dei soggetti che vogliono realizzare il progetto di filiazione ed eterologhe che non presen-tano tale peculiarità. Con riferimento alle eterologhe caratterizzate dal diretto legame genetico con uno dei soggetti del progetto procreativo, è necessario infine distinguere tra le ipotesi in cui è possibile l’impianto dell’embrione nella donna al fine della gestazione, da quelle in cui la realizzazione del progetto richiede anche la surrogazione della gestazione. Le distinzioni sopra illustrate sono sommarie e presumibilmente non esaustive. Non può eluder-si, tuttavia, il profilo relativo all’accesso alle PMA delle coppie omoaffettive, rispetto alle quali le questioni connesse al consenso, nel panorama normativo italiano attuale, privo di una rego-lamentazione giuridica di tale tipologia di relazioni, risultano caratterizzate anche da profili pro-blematici autonomi. Deve, infine, sottolinearsi la natura del tutto approssimativa ed informativa della presente in-dagine, non potendo la necessaria esigenza di brevità e sintesi che le è propria consentire l’ap-

1 Da questo momento si utilizzerà a fini semplificativi l’acronimo PMA (procreazione medicalmente assistita).

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profondimento indispensabile ad offrire risposte soddisfacenti, ma soltanto a porre questioni e ad illustrare le risposte già fornite dalle Corti, ben più significative di quelle poco razionali rav-visabili in sede legislativa. In particolare, non possono essere toccate le questioni di carattere generale relative alla natura delle PMA, alla loro catalogazione come trattamenti sanitari, come scelte legate all’autodeter-minazione e all’autoresponsabilità (artt. 2 e 32 Cost., art. 8 CEDU), come decisioni complesse e condivise in costante bilanciamento con i diritti dei nascituri, come decisioni attinenti al “di-ritto alla vita”. Si ritiene preferibile non assumere un’opzione definita tra quelle solo approssi-mativamente illustrate e tra le molte altre che potrebbero costituire il punto di partenza cultu-ralmente orientato dell’indagine per tentare di rilevare in concreto i problemi che si sono posti, così come sono stati affrontati dalle Corti o dal legislatore. 2. Le PMA omologhe  Per quanto riguarda le tecniche di riproduzione assistita omologhe, deve preliminarmente por-si in luce che anche prima dell’introduzione della l. n. 40/2004 le Corti europee ed extraeuro-pee ed i giudici di merito italiani si sono trovati ad affrontare casi caratterizzati da un conflitto sul potere di disposizione degli embrioni prima dell’impianto. Con la l. n. 40/2004 (art. 6, 3° comma) ciascuno dei soggetti della coppia che intende accedere alle PMA omologhe (le uni-che consentite) può revocare il proprio consenso “fino al momento della fecondazione dell’o-vulo”. Una volta formatosi l’embrione la manifestazione della volontà diventa irrevocabile. È interessante rilevare che i primi casi internazionali conosciuti hanno riguardato conflitti sorti successivamente alla formazione dell’embrione, ma anteriore all’impianto. La l. n. 40/2004 sem-bra ignorare i molteplici aspetti problematici che possono sorgere in quest’ultima fase, antici-pando l’irrevocabilità del consenso ad un momento anteriore con le conseguenze che si illu-streranno. In ordine alla fase ante l. n. 40/2004 devono registrarsi in particolare due tipologie di conflitti relativi al potere di disposizione sull’embrione: quello relativo al diritto all’impianto dopo la morte di uno dei soggetti del progetto procreativo (generalmente il partner maschile) e quello, invece, riguardante la revoca del consenso all’impianto in conseguenza della cessazione della re-lazione dalla quale era sorto il progetto comune.

2.1. La morte del partner prima dell’impianto: descrizione di alcuni casi  Uno dei primi casi italiani, relativo alle PMA omologhe è stato affrontato dal Tribunale di Pa-lermo 2. Il caso è semplice. Una coppia si rivolge ad un centro privato di medicina della ripro-duzione e, dopo essersi sottoposta alle terapie necessarie, ottiene la formazione di tre embrioni che vengono crioconservati. Il primo tentativo d’impianto non dà il risultato sperato. Prima del secondo il marito muore. Il codice deontologico medico vieta l’impianto in tale ipotesi, nono-stante la volontà della moglie superstite di procedere. Quest’ultima si rivolge al Tribunale ed ot-tiene anche in via d’urgenza un ordine rivolto al centro medico di procedere al trasferimento in utero degli embrioni crioconservati, uno alla volta fino al successo della gravidanza. In Inghil-terra nel 1997 è stato sottoposto all’esame della High Court un caso analogo. Il marito della si-

2 Trib. Palermo, 8 gennaio 1999, in Foro it., 1999, I, c. 1653; in Famiglia e diritto, 1999, pp. 52 e 384; in Dir. famiglia, 1999, I, pp. 226 e 1175, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 221.

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gnora Blood viene colpito da una malattia cerebrale fulminante nella fase iniziale del processo procreativo, prima ancora di procedere alla raccolta dei gameti maschili mediante la raccolta del liquido seminale. La signora ne richiede (ed ottiene) al centro medico l’asportazione prima della morte del marito nonostante il contrario avviso dell’Authority e la necessità per la legge inglese del consenso di entrambi i coniugi. La Corte d’Appello non censura l’operato dei medi-ci, ritenendo che una soluzione di segno opposto avrebbe impedito la domanda giudiziale e ac-coglie la domanda d’inseminazione con i gameti del marito morto, evidenziando che in altri paesi della Comunità Europea esiste tale possibilità, rivolgendosi ai centri sanitari competenti. Di recente, dopo l’entrata in vigore della l. n. 40/2004, il Tribunale di Bologna ha affrontato un caso del tutto simile a quelli illustrati, ma con la peculiarità di porsi diacronicamente tra la fase ante l. n. 40/2004 e quella successiva. Le soluzioni adottate dai giudici di merito in sede di provvedimento (negativo) ex art. 700 c.p.c. e di reclamo (positivo) sono opposte. È necessario illustrare sinteticamente il caso. La ricorrente e il proprio coniuge decidono di far ricorso alla fecondazione assistita omologa e nel 1996 vengono impiantati tre degli undici embrioni realiz-zati, ma senza successo. La coppia non richiede di procedere ad impianti successivi. Gli otto embrioni prodotti in soprannumero, rimangono crioconservati. Nel 2010 viene sottoscritta dalla coppia una dichiarazione di non abbandono degli embrioni. Il marito della ricorrente muore nel 2011. Il 27 marzo 2012 la ricorrente chiede al centro medico lo scongelamento degli em-brioni crioconservati nel 1996 ed il loro trasferimento. Nonostante il parere favorevole del Comitato di Bioetica dell’Università, la direzione sanitaria del Policlinico nega l’autorizzazione ad effettuare la prestazione richiesta. Da tale rifiuto consegue il ricorso ex art. 700 c.p.c. Di par-ticolare interesse è il confronto tra le argomentazioni del giudice di primo grado e quelle del giudice del reclamo perché entrambe pongono in evidenza le gravi ambiguità interpretative de-rivanti dal regime giuridico della revoca del consenso alle PMA contenuto nella l. n. 40/2004, nonostante l’apparente linearità ed univocità della formulazione della norma relativa a tale im-portante profilo. L’art. 6, 3° comma stabiliva e stabilisce tuttora, non essendo stato ancora soggetto a manipola-zioni dovute ad interventi della Corte costituzionale o della CEDU 3:

«La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assi-stita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della Giustizia e della Salute, adottato ai sensi del-l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo».

Il primo provvedimento emesso dal giudice monocratico di Bologna rigetta la domanda propo-sta perché ritiene che dal momento dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004 non è stato mai espresso da entrambi i coniugi un valido consenso così come richiesto dall’art. 6 4, con le carat-

3 Il Tribunale di Firenze ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’impossibilità di utilizzare gli embrioni soprannumerari a fini di ricerca con ord. n. 166/2013; con ordinanza del dicembre 2012 era stata posta la questione della legittimità costituzionale del divieto assoluto di revoca ancor prima dell’impianto posto dal citato 3° comma dell’art. 6, davanti alla CEDU pende il caso Parrillo c. Italia relativo alla richiesta della giornalista Adele Parrillo di destinare alla ricerca gli embrioni crioconservati formati con i gameti femminili e maschili suoi e di suo marito morto in un attentato in Iraq. 4 Art. 6: «1. Per le finalità indicate dal comma 3, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procrea-zione medicalmente assistita il medico informa in maniera dettagliata i soggetti di cui all’articolo 5 sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle proba-

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teristiche di completezza delle informazioni sanitarie, giuridiche nonché dei risvolti psicologici richieste dalla norma, né esso è rinvenibile all’attualità, tanto meno nel breve termine entro il quale l’art. 6 richiede che venga espresso. In mancanza di tali elementi sostanziali e formali del consenso di entrambi i coniugi, poiché la legge esclude l’accesso alle PMA alle persone singole ed, al contrario, ritiene necessaria la rac-colta del consenso in ogni fase di applicazione delle tecniche per entrambi i componenti della coppia, non può trovare applicazione soltanto il principio dell’irrevocabilità del consenso dal momento della fecondazione dell’ovulo fissato nell’ultimo alinea del 3° comma dell’art. 6, in quanto applicabile soltanto alle ipotesi in cui tutto il complesso procedimento a formazione progressiva di costruzione del consenso della coppia, secondo i rigidi parametri normativi so-pra delineati, si sia formato 5.

In conclusione, la condizione della ricorrente al momento della richiesta era assimilabile a quella della persona singola, non ammessa ex lege alla PMA. Il Tribunale in sede di reclamo ha invece fondato la propria decisione sull’applicabilità alla fat-tispecie delle linee guida del 2004 e del 2008 richiamate dall’art. 7 della l. n. 40/2004 anche al fine di dettare una disciplina transitoria applicabile alle procedure di fecondazione assistita in-traprese prima dell’entrata in vigore della nuova legge, ma non concluse. Tale normazione in-tegrativa non contiene alcun divieto all’impianto di embrioni quando vi sia stata, come nella specie, una dichiarazione di non abbandono. Da tali premesse è conseguito l’accoglimento del reclamo 6. Non è agevole comprendere esattamente dal provvedimento emesso dal giudice del reclamo quale sia il sostegno sistematico e normativo alla soluzione prescelta, ma è rilevante evidenziare come dallo stesso corpus legislativo siano scaturite soluzioni opposte e come sia stata diversa-mente considerata la peculiarità della fattispecie consistente nell’essere iniziata anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 40/2004, in assenza di un quadro normativo di diritto positivo interno, ma in presenza di un chiaro panorama di riferimenti costituzionali, convenzionali ed europei in tema di diritti, autodeterminazione, responsabilità delle persone. Com’è noto, prima della l. n. 40/2004, l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita era so-stanzialmente governato dal codice deontologico medico e dai decreti del ministero della sanità 7.

bilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro. Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assi-stita. Le informazioni di cui al presente comma e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell’uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa. 2. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell’intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate. 3. La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della Giustizia e della Salute, adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termi-ne non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo». 5 La rigidità si desume dall’art. 12, 4° comma che qualifica illecito amministrativo l’applicazione di tecniche di fecondazio-ne assistita senza aver raccolto il consenso della coppia. 6 Trib. Bologna, ord. 16 gennaio 2015, in www.ilquotidianogiuridico.it con nota di A. SCALERA.; il provvedimento ex art. 700 c.p.c., del 21 maggio 2014 è reperibile in www.biodiritto.org. 7 Le norme che in Italia, regolavano l’applicazione delle tecniche di fecondazione assistita prima del 10 marzo 2004 erano le seguenti: – Circolare ministeriale adottata dal Ministro della sanità Degan nel 1985. Vieta la fecondazione eterologa nei centri pub-

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Non vigeva alcun limite legislativo all’accesso ed alcuna regola relativa alla sopravvenuta revoca del consenso da parte di uno dei due partners. Il codice deontologico medico, allora vigente, vietava ogni forma di fecondazione assistita do-po la morte del partner. Con la l. n. 40/2004 l’accesso è stato limitato alle coppie conviventi eterosessuali e si è stabilito un limite temporale alla revocabilità del consenso fissandolo al momento della fecondazione dell’ovulo ed alla conseguente formazione dell’embrione umano.

2.2. Considerazioni critiche: cenni sulla sorte degli embrioni soprannumerari  Tale rigida indicazione è coerente con la filosofia complessiva della legge diretta a dare premi-nente tutela al diritto alla vita contenuto in ogni fase del progetto procreativo, mediante PMA. La ratio sottesa all’intero tessuto normativo della l. n. 40/2004 può cogliersi nell’esigenza di portare a termine il progetto procreativo, in presenza delle condizioni previste dalla legge e, ov-viamente, degli standards di salute fisiopsichica necessari, una volta formato l’embrione umano. Ne consegue, o ne dovrebbe conseguire, il pieno diritto del partner superstite di procedere all’impianto, non potendo la sua condizione essere in alcun modo parificata a quella della per-sona singola che richiede di sottoporsi a PMA. Non appare corretto al riguardo ritenere applicabile la nuova legge per ciò che concerne i limiti soggettivi all’accesso solo perché la richiedente, in possesso delle condizioni legali per ricorrere alle tecniche al momento della fecondazione (e nella specie anche dell’unico impianto) perda tale condizione per causa indipendente dalla sua volontà (e di quella dell’altro partner), senza tuttavia ritenerla applicabile nella parte, peraltro criticabile, ma ancora vigente, che stabilisce il limite temporale per l’esercizio della revoca del consenso. Al riguardo, la permanenza del con-senso può presumersi sia sulla base dell’assenza di una revoca espressa sia in virtù, come sotto-lineato dal giudice del reclamo, della volontà espressa di non rinunciare a un futuro impianto.

blici, dove quindi è autorizzata solo la fecondazione omologa che può essere richiesta soltanto da coppie sposate. Di conseguenza, la fecondazione eterologa viene praticata solo nei centri privati, e solo a questi possono rivolgersi anche coppie non sposate.

– Circolare n. 19 del 27 aprile 1987 adottata dal Ministro Donat Cattin, sulle «misure di prevenzione della trasmissione di HIV e altri agenti patogeni attraverso seme umano impiegato per la Fecondazione artificiale». Circolare sostituita dalla Circolare n. 17 del 10 aprile 1992 del Ministro De Lorenzo sulle «misure di prevenzione della trasmissione di Hiv e di altri agenti patogeni nella donazione di liquido seminale impiegato per la fecondazione assistita umana e nella donazione d’organo, di tessuti e di midollo osseo. Garantiscono l’anonimato del donatore».

– Due ordinanze del Ministro della Sanità del 5 marzo 1997, la cui efficacia viene prorogata più volte con successive ordi-nanze. La prima vieta ogni forma di remunerazione nella cessione di gameti, embrioni. La seconda vieta tutti gli esperi-menti finalizzati alla clonazione umana o animale e fa obbligo ai centri pubblici e privati, che praticano procreazione as-sistita, di comunicare al Ministero una serie di notizie (responsabile del centro, tipi di attività espletati, ecc.). l’inosser-vanza di questi obblighi è sanzionata con il divieto di praticare ogni tecnica di procreazione assistita.

– Prima dell’attuale legge furono introdotte le due ordinanze del 18 dicembre 2002 e del 21 dicembre 2002 emesse dal Ministro della salute Sirchia, che vietavano l’esportazione di embrioni e gameti all’estero.

Il Codice Deontologico emesso dall’Ordine professionale dei Medici vincolava gli appartenenti a tale ordine professionale all’osservanza di alcune norme, in particolare vietava al medico “nell’interesse del bene del nascituro” di attuare: – forme di maternità surrogata; – forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili; – forme di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce; – forme di fecondazione assistita dopo la morte del padre. Sempre per il codice, era vietata ogni pratica di fecondazione assistita ispirata a pregiudizi razziali, non era consentita alcu-na selezione di gameti ed era bandito ogni sfruttamento commerciale, pubblicitario, industriale di gameti, embrioni o feti, nonché la produzioni di embrioni ai soli fini di ricerca. Erano, inoltre, vietate pratiche di fecondazione assistita in studi, ambulatori e strutture sanitarie prive di idonei requisiti. Il medico che violava le summenzionate regole veniva sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell’Ordine.

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In conclusione, per quanto riguarda l’impianto di embrione formato dai gameti di una coppia pienamente consenziente in ordine al progetto procreativo si può sostenere in linea di prima approssimazione:

– la l. n. 40/2004 ha consolidato l’ammissibilità dell’impianto nella donna partner superstite, anticipando temporalmente in funzione della preminenza del diritto alla vita dell’embrione (realizzabile soltanto mediante l’impianto) il momento finale della revocabilità del consenso;

– l’ultimo codice deontologico medico (2014) ha eliminato il divieto espresso contenuto nel-le versioni precedenti;

– la richiedente non può ritenersi persona singola in questa ipotesi; – rimangono ferme le altre limitazioni all’accesso di natura diversa ove prospettabili (quali

l’età fertile della richiedente).

La soluzione prospettata non risolve tutti i problemi connessi al tema del consenso all’accesso alla PMA, alla natura e legittimità della revoca ed alle conseguenze della revoca sulla sorte degli embrioni ed, eventualmente, dei gameti femminili e maschili conservati. A tale ultimo riguardo deve essere evidenziato che secondo la l. n. 40/2004 gli embrioni soprannumerari in condizio-ne di abbandono vengono conservati in un’unica biobanca, non potendo essere destinati alla ri-cerca scientifica. La Corte EDU, nel caso Parrillo c. Italia, attualmente in discussione, dovrà deci-dere del diritto della partner superstite di destinare gli embrioni crioconservati alla ricerca scienti-fica 8, e della compatibilità convenzionale del divieto stabilito dall’art. 13 della l. n. 40/2004. Co-me può rilevarsi, allo stato, la revoca del consenso alla prosecuzione del progetto procreativo non consente anche ove condivisa, alla coppia o al partners superstite di decidere della sorte dell’embrione. L’alternativa è secca e drammatica in mancanza della volontà di procedere all’impianto l’embrione è posto in condizione di “abbandono” ovvero è conservato, ma non se ne può conoscere la sorte. Il potere decisionale della coppia o di uno dei partners è limitato alla scelta relativa all’impianto. La revoca del consenso da parte di entrambi i partners o del super-stite determina la definitiva non appartenenza dell’embrione ai soggetti che hanno fornito i ga-meti ed il suo sostanziale affidamento alle istituzioni statali (la biobanca nazionale) senza poterne conoscerne allo stato attuale il destino, presumibilmente da individuare nell’attesa dell’autoestin-zione. È uno scenario drammatico e fortemente perturbante che presumibilmente impone una

8 Art. 13, l. n. 40/2004 (Sperimentazione sugli embrioni umani). «1. È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano. 2. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclu-sivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative. 3. Sono, comunque, vietati: a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla

presente legge; b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di se-

lezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi fi-nalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;

c) interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;

d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere. 4. La violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro. In caso di violazione di uno dei divieti di cui al comma 3 la pena è aumentata. Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste dal comma 3 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste. 5. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale nei confronti dell’esercente una professione sani-taria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo».

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correzione normativa o giurisprudenziale che tenga conto, ancorché non in senso egoistico e proprietario, della riconducibilità dell’embrione ai soggetti del processo procreativo interrotto quanto meno nel processo decisionale volto a stabilire 9 la destinazione degli embrioni mede-simi. Non sembra adeguata l’alternativa derivante dalle linee guida cristallizzata nel binomio dichiarazione di non rinuncia al futuro impianto o abbandono. In particolare vi possono essere casi anche frequenti d’impossibilità sopravvenuta dell’impianto che escludono definitivamente i soggetti del processo procreativo da ogni facoltà di scelta. Al riguardo deve essere segnalata la recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Eu-ropea che, in sede d’interpretazione dell’art. 6 della Direttiva CE 98/44 attuata con d.l. n. 3/2006 convertito nella l. n. 78/2006, ha affermato che un ovulo umano non fecondato il quale sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi non costituisce embrione umano almeno finché alla luce dei traguardi della ricerca scientifica sia privo della capacità intrinseca di svilupparsi in embrione umano. La Direttiva ha ad oggetto la brevettabilità delle biotecnologie, ma impone anche dei limiti alla sperimentazione, nella specie escludendo l’assimilabilità dell’ovulo e (si può presumere ragionevolmente) del gamete maschile all’embrione umano sotto il profilo del divieto di sperimentazione. La distinzione e la conseguente utilizzazione a fini di ricerca scien-tifica dei gameti sembra confermato, anche dalla legge attuativa del 2006, mentre rimane fermo il divieto per l’embrione. Occorrerà, pertanto, tenere nella debita considerazione, questa di-stinzione anche in ordine al materiale biologico destinato alla PMA e non più utilizzabile a tal fine, dal momento che la brevettabilità e la conseguente possibilità di sfruttamento economico degli esiti della ricerca costituisce un’attività che, proprio perché lucrativa, deve subire più in-tense e dettagliate regole e restrizioni rispetto alla ricerca scientifica non caratterizzata da tale peculiare destinazione. 3. L’embrione “conteso”  Il profilo della destinazione alla ricerca scientifica è estremamente complesso e non può essere ulteriormente sviluppato in questa sede, dovendosi esaminare un altro rilevante versante pro-blematico. Quando i partners sono entrambi in vita, ma la relazione dalla quale era sorto ed era stato intrapreso il progetto procreativo viene meno, a chi spetta il potere di decidere se conti-nuare da persona singola o interrompere il percorso ed, in particolare, è sufficiente la volontà contraria di uno dei due partners per poter impedire la realizzazione del progetto in questione? Le questioni anche in questo ambito sono complesse e attraversano sia la fecondazione omolo-ga che quella eterologa. In primo luogo, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche sembrano strutturalmente di-verse la posizione femminile e quella maschile, quando la partner donna può sostenere un im-pianto ed una gravidanza. In secondo luogo, occorre distinguere l’ambito giuridico preesistente la l. n. 40/2004 da quello successivo. Prima del 2004 in Italia il Tribunale di Bologna 10 ha affrontato un caso relativo al conflitto tra coniugi separati relativo alla sorte degli embrioni congelati formati dai loro gameti. La moglie aveva richiesto di poter procedere all’impianto. Il marito aveva rifiutato il consenso. Il Tribuna-le ha ritenuto di dover dare prevalenza alle ragioni del marito perché non si può imporre coat-tivamente la paternità e perché alla luce del quadro costituzionale e convenzionale si afferma

9 Corte Giust. UE 18 dicembre 14 (C-364/13). 10 Ord. 9 maggio 2000, in www.diritto.it materiali/famiglia con nota di G. CASSANO.

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che il nascituro ha diritto ad avere entrambi i genitori. Viene affermato il diritto a non prosegui-re nel progetto procreativo mediante manifestazione di volontà, purché espressa prima dell’im-pianto. Ad uguale conclusione nel caso Evans 11 perviene la CEDU, nonostante si trattasse per Natallie Evans dell’unica ed ultima possibilità di diventare madre. Afferma la CEDU, non è in discussione il generico diritto alla genitorialità ma la prosecuzione di quello specifico progetto procreativo sorto come condiviso e soltanto in tale condizione da portare a termine. Presumibilmente opposta sarebbe stata la soluzione nel caso fossero stati congelati soltanto gli ovociti della Evans, trattandosi di materiale biologico di sua esclusiva ap-partenenza, salvi i vincoli ed i divieti delle legislazioni nazionali. Nelle due pronunce esaminate rimane di centrale rilievo la natura condivisa del progetto di fi-liazione e la predeterminazione di un limite temporale alla ammissibilità della revoca del con-senso. Il dibattito, anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 40/2004 si concentrava sulla le-gittimità della revoca fino al momento dell’impianto, ritenendosi che l’annidamento dell’em-brione e l’inizio della gestione radicassero in via definitiva le genitorialità. La l. n. 40/2004 ha radicalmente mutato il quadro con l’anticipazione dell’irrevocabilità al momento della fecon-dazione dell’ovulo in vitro. Rimane tuttavia da stabilire se la revoca del consenso, ove la si ri-tenga validamente manifestabile prima dell’impianto o soltanto prima della fecondazione del-l’ovulo, imponga necessariamente l’impossibilità dell’impianto, o se si possa individuare una soluzione che, pur consentendo l’impianto, non ne faccia conseguire l’attribuzione di una pa-ternità coercitiva e non più desiderata. La natura personalissima del diritto a essere genitore e la sua riconducibilità esclusiva nella sfe-ra dell’autodeterminazione personale (prima dell’inizio della gestazione) mal si adatta con una definizione temporale della volontà di revoca, nelle PMA proprio perché caratterizzate, contra-riamente alla filiazione per via naturale, da un percorso non predeterminabile né nell’an, né nel quando, potendo protrarsi per oltre un impianto, potendo essere differito per complicazioni sanitarie o comunque reso più articolato dalla partecipazione necessaria di un terzo “manipola-tore” unico in grado di realizzare il condiviso intento iniziale. La natura di extrema ratio delle PMA, quanto meno nelle ipotesi più frequenti, ha costituito il fondamento di una celebre pronuncia della Suprema Corte dello Stato d’Israele. I coniugi Ruth e Daniel decidono di avere un figlio utilizzando la fecondazione in vitro dei rispettivi gameti, ma servendosi di una madre surrogata perché a Ruth è stato asportato l’utero. La relazione ces-sa. Daniel chiede il divorzio e si oppone alla prosecuzione del progetto procreativo che invece Ruth è intenzionata a portare a termine. Una prima volta la Corte Suprema dà ragione a Daniel ritenendo necessario il consenso di entrambe le parti e attribuendo prevalenza al diritto a non diventare genitori piuttosto che al suo contrario. Nella seconda decisione, invece, viene accolta la domanda di Ruth con motivazioni differenziate dei sette giudici di maggioranza. Cinque giudici hanno posto l’accento sul fatto che per Ruth era l’unica ed ultima chance di diventare madre. Un giudice ha dato prevalenza al diritto alla genitorialità piuttosto che al suo contrario. Soltanto uno dei giudici ha sottolineato il valore sociale della volontà procreativa. Colpisce nel-la motivazione la concretezza delle valutazioni dei giudici e l’assunzione come parametro pres-soché esclusivo l’incidenza della scelta sul destino individuale.

11 Nell’ottobre 2001, Natallie Evans apprende di dover subire l’asportazione della ovaie, a causa di una grave forma di tu-more. Per non perdere la possibilità di avere dei figli, con il consenso del proprio partner, Howard Johnston, feconda e congela alcuni embrioni. Appena un anno dopo, a causa della rottura della loro relazione, Johnston chiede che gli embrioni siano distrutti, malgrado l’opposizione di Ms. Evans che vedrebbe così definitivamente vanificata ogni possibilità di diven-tare madre. Il Tribunale gli dà ragione perché sarebbe venuta meno l’effettività del consenso, che va inteso come consenso a un atto specifico e determinato (mettere al mondo un figlio in questo momento tra queste due persone) e non a un gene-rico progetto di vita: generare dei figli. La Corte EDU conferma la decisione dei giudici inglesi.

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4. La revoca del consenso nella fecondazione eterologa e l’errore d’impianto Le questioni sono numerose e complesse. Alcune sono sovrapponibili, potendosi porre il pro-blema dell’interruzione del processo procreativo prima dell’impianto anche nella fecondazione eterologa e nella maternità surrogata. Si ritiene, tuttavia, di concentrare l’indagine alla manifestazione di dissenso che si consumi suc-cessivamente alla nascita, salvo descrivere una situazione di conflitto tra genitori genetici e ge-nitori “sociali” che ha avuto di recente ampio clamore mediatico 12. La l. n. 40/2004 contiene un divieto assoluto in ordine alla fecondazione eterologa, attualmente temperato da una recente pronuncia della Corte costituzionale 13, ma con una rilevante deroga in ordine agli effetti sul rapporto di filiazione così realizzato (art. 9, 1° comma, l. n. 40/2004). Il co-niuge o il convivente il cui consenso è ricavabile per atti concludenti non può richiedere il di-sconoscimento di paternità nelle ipotesi, attualmente regolate dall’art. 244, 2° comma, c.c., ma menzionate nella norma come n. 1 e 2 del 1° comma dell’art. 235 attualmente abrogato, relati-ve all’impotenza generativa ed all’adulterio, così come non può procedere ex art. 263 c.c. ad impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità. La generica formulazione della norma (tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo) dovrebbe comprendere anche le forme di maternità surrogata, in particolare quelle realizzate mediante i gameti della coppia o di uno di essi qualora colui che nasce sia stato riconosciuto validamente nel nostro stato come figlio della coppia “committente”. Tale estensione non è unanimemente condivisa ma appare coerente con la ratio della norma, volta a non far ricadere sul figlio e sul suo sviluppo psico-fisico gli effetti della violazione di un divieto che è a carico soltanto dei soggetti adulti del nucleo familiare che si determina mediante l’accesso a tali tecniche. Peraltro tale interpretazio-ne sembra coerente con la recente pronuncia della CEDU (caso Paradiso e Campanelli c. Italia, sent. 27 gennaio 2015) secondo la quale anche in assenza di qualsiasi legame biologico tra ge-nitori “committenti” e minore nato da madre surrogata, doveva salvaguardarsi il rapporto che si era creato tra di essi e il nuovo nato (anche se per soli sei mesi) in quanto rientrante nella no-zione di famiglia di fatto protetta ex art. 8 CEDU, nella quale il diritto del minore a vivere in un contesto familiare era preminente. La pronuncia della CEDU segue di qualche mese una sen-tenza di segno nettamente contrario della Corte di Cassazione italiana che, in ipotesi analoga, aveva confermato la pronuncia di merito con la quale era stato dichiarato lo stato di adottabilità del minore 14. In ambito CEDU c’è una netta tendenza a valorizzare l’elemento volontaristico ed elettivo nelle scelte genitoriali ancorché mediante lo strumento, non privo di ambiguità, del best interest del minore. Le perplessità sorgono perché il criterio adottato, astrattamente condi-visibile viene utilizzato, anche nell’ambito delle controversie relative alla sottrazione interna-zionale del minore, per rimuovere ex post gravi situazioni d’illegalità 15.

12 Trib. Roma, est. Albano, ord. 16 agosto 2014, in www.diritto24.ilsole24ore.com; Trib. Roma, est. Pratesi, 22 aprile 2015 id. 13 Sent. n. 162/2014 nella quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost., dell’art. 4, 3° comma, l. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui stabilisce per la coppia destinataria delle norme in materia di procreazione medicalmente assistita il divieto di fecondazione di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. La scelta della coppia, assolutamente sterile o in-fertile, di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminazione, la quale, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere alla tecnica di PMA di tipo eterologo, in Foro it., 2014, I, c. 2343. 14 Può leggersi la sentenza ed il commento di G. CASABURI con ampi richiami in Foro it., 2015, parte V, c. 118; la pronuncia della Cass. n. 14001/2014 si può leggere in Foro it., 2014, I, c. 3414. 15 In entrambe le ipotesi sembra palese la falsificazione dei certificati di nascita e la scelta di ricorrere a forme di maternità

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Gli orientamenti CEDU 16 sono, tuttavia, indicativi della volontà di non modificare gli status realizzati sulla base di scelte consapevoli e volontarie della coppia committente, e, nel caso si verifichino, tendenzialmente di non ritenere significativi unilaterali ripensamenti successivi. Nel caso italiano relativo all’impianto di embrioni non appartenenti alla coppia che era ricorsa alla fecondazione omologa non si pone un problema riconducibile alla natura ed alla revoca del consenso, ma il conflitto, determinato esclusivamente da mal practice sanitaria, evidenzia con drammatica chiarezza la moltiplicazione di figure astrattamente definibili come genitoriali che il ricorso alle tecniche di procreazione assistita può determinare. Nella specie i genitori “geneti-ci” (ovvero coloro che, con i loro gameti maschili e femminili, hanno determinato la creazione in vitro degli embrioni impiantati) sono in conflitto con la madre “portante” (ovvero colei che ha partorito) e il padre “sociale” (del tutto estraneo geneticamente e biologicamente alla vi-cenda procreativa) da ritenersi, tuttavia, genitore ex art. 231 c.c. anche nella versione novellata ex d.lgs. n. 154/2013, in quanto coniuge della donna che ha portato a termine la gestazione. Nella difficile situazione creata dall’errore sanitario i c.d. genitori genetici non hanno potuto ma-nifestare e far valere il radicale dissenso all’impianto del “proprio” embrione all’altra coppia, e tan-to meno ad impedire la gestazione, rimessa esclusivamente alla scelta individuale della donna. Il profilo interessante consiste proprio nell’eliminazione di ogni margine di apprezzamento del-la volontà dei genitori “genetici” nella complessa vicenda, nonostante l’accesso alle tecniche di procreazione assistita costituisca una delle più incisive espressione dell’autodeterminazione in-dividuale o di coppia, in quanto diretta ad oltrepassare limiti naturalistici od impedimenti bio-logici. I giudici romani hanno ritenuto prevalente la situazione determinatasi all’esito dell’impianto e del parto, riconoscendo a quel nucleo familiare, il diritto ad essere genitori ed escludendo la le-gittimazione dell’altra coppia ad inficiare lo status filiale così accidentalmente determinatosi. Il bilanciamento d’interessi è quanto mai arduo nella specie e intrinsecamente insoddisfacente ma, verosimilmente, si tratterà di un caso irripetibile dal quale, tuttavia, trarre elementi di rifles-sione in ordine all’intera ed ancora non definita galassia delle PMA.

surrogata retribuite quali quelle consentite in Ucraina ed in Russia, davvero contrastanti con i nostri valori costituzionali. Infine, dall’esame delle fattispecie, il contratto di maternità surrogata non sembra legale neanche alla luce degli ordinamen-ti degli stati esteri mancando ogni legame biologico con almeno uno dei genitori committenti. 16 CEDU, sent. 26 giugno 2014, M. e C. c. Francia, in Foro it., 2015, V, c. 562. La sentenza è in abstract. Dello stesso giorno la sentenza F.L. e M.L. c. Francia relativo ad un caso analogo id., p. 568.

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LA MATERNITÀ SURROGATA

Marta Rovacchi Avvocato in Reggio Emilia Sommario: 1. Premessa. – 2. La normativa vigente in Italia. – 3. La maternità surrogata all’estero: panoramica sulla legislazione degli stati europei ed extraeuroepei. – 4. La giurisprudenza italiana. – 5. La giurisprudenza euro-pea. – 6. La recente sentenza CEDU del 27 gennaio 2015. – 7. Conclusioni. 1. Premessa La surroga di maternità è un accordo ai termini del quale una donna (madre surrogata) porta in gestazione un bambino per conto di un’altra donna (madre committente) alla quale si impe-gna di consegnarlo appena nato. È opportuno precisare che l’embrione impiantato nella madre surrogata deriva di solito da fe-condazione, omologa o eterologa, dell’ovocita della committente, ma non è escluso che l’ovoci-ta fecondato appartenga alla surrogata o addirittura ad una terza donna, donatrice. In altre parole, si tratta di accordo fra soggetti privati in forza del quale una donna (la gestante sostitutiva o madre surrogata) si impegna nei confronti di un altro soggetto o di altri soggetti (un uomo, una donna, una coppia, sia questa legalmente riconosciuta o meno) a sottoporsi a fecondazione artificiale, a condurre la gravidanza e a partorire un bambino che sarà “consegna-to” al committente ovvero ai committenti e rispetto al quale essa si impegna a non vantare né esercitare alcun ruolo genitoriale. I profili giuridici ed etici che conseguono a tale metodologia, saranno analiticamente esaminati alla luce della legislazione internazionale e nazionale attraverso l’esame delle pronunce, di legit-timità e di merito che, nel tempo, si sono trovate a dovere affrontare l’inquadramento dello sta-tus filiationis discendente dal ricorso alla tecnica della maternità surrogata da parte di sempre più numerose coppie. 2. La normativa vigente in Italia Le numerose modifiche ed evoluzioni che nel corso degli anni ha subito, dal 2004 ad oggi, la l. 19 febbraio 2004, n. 40, non hanno riguardato il divieto in Italia del ricorso alla maternità sur-rogata, quale tecnica procreativa, che è ad oggi ancora in vigore.

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In particolare, si legge all’art. 12, 6° comma che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organiz-za o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». 3. La maternità surrogata all’estero: panoramica sulla legislazione degli stati europei ed ex-traeuroepei Una sintetica panoramica sui Paesi esteri, induce a segnalare che gli Stati Uniti sono stati i primi al mondo ad aver consentito la pratica della gestazione per altri. In particolare, sono otto gli stati americani in cui è legale ricorrere alla surrogazione di maternità. Lo stato americano che ha regolamentato per primo questo processo è quello della California dove è applicato già dalla metà degli anni ’70. All’uopo, negli Stati Uniti sono state istituite agenzie specializzate in grado di seguire tutto il percorso di chi si determina a ricorrere alla maternità surrogata, attraverso la programmazione ed il monitoraggio clinico di una donna disponibile a realizzare il desiderio degli aspiranti geni-tori che accetta di farsi impiantare uno o più ovuli fecondati e portare avanti la gravidanza die-tro rimborso spese. Tali agenzie si occupano della stesura di contratti estremamente dettagliati tra gli aspiranti ge-nitori e la gestante; quest’ultima può anche rinunciare prima del parto ai propri diritti a favore degli aspiranti genitori. Sulla base di tale rinuncia viene rilasciato il certificato di nascita su cui i coniugi o i conviventi “committenti” risultano come genitori. Parimenti, anche in Canada la maternità surrogata è legale ed è praticata da molto tempo. In Russia e in Ucraina la pratica della maternità surrogata è pienamente legale. Il nuovo Codi-ce della famiglia ucraino (art. 123, punto 2) dispone, ad esempio, che nei casi in cui l’embrione generato da due coniugi viene trasferito ad un’altra donna, sono comunque i due coniugi i ge-nitori riconosciuti del bambino. In questi due Paesi la rinuncia ai diritti di madre da parte della portatrice può avvenire solo dopo il parto, ma è possibile stabilirlo con un contratto da sotto-scrivere prima della gravidanza. In seguito alla nascita del bambino, la coppia ottiene il certificato (ucraino) di nascita, nel quale i due risultano il padre e la madre. Nei casi in cui si è fatto ricorso ad una donazione, non assu-me alcuna importanza la relazione genetica “incompleta” con il nascituro. In India la pratica della maternità surrogata è stata legalizzata di recente: dopo alcune oscilla-zioni, è diventata legale nel 2008. La procedura rispecchia più o meno quella degli altri paesi, ma mancano ancora un buon numero di esperienze e testimonianze che consentano un’adeguata valutazione. Nel 2002 è stata introdotta in Grecia la l. n. 3089/2002 riguardante la riproduzione assistita, che incorpora regole specifiche per permettere la maternità surrogata, dando a questa pratica una legittimazione legale. Più precisamente, le leggi greche permettono questa tecnica sola-mente nel caso in cui non ci sia alcun tipo di vincolo genetico tra la gestante e gli embrioni, e ne garantiscono l’accesso solo a donne impossibilitate ad una gestazione autonoma, con prove me-diche che lo confermino. È condizione necessaria che l’accordo non preveda alcun compenso. È infine richiesto che entrambe le donne implicate nel processo siano residenti in Grecia. L’a-spetto più singolare della normativa greca è la presunzione di maternità in capo alla donna committente. Viene cioè disattesa la regola per cui madre è colei che partorisce, ma viene am-messo il superamento della presunzione e, dunque, la prevalenza del dato biologico su quello sociale a seguito di contestazione di maternità, da proporsi entro sei mesi dalla nascita del

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bambino. Tale azione può essere avanzata sia dalla committente che, ipotesi ovviamente più frequente, dalla surrogata. Se viene provato che quest’ultima è la madre biologica, la surrogata sarà considerata madre del bambino con effetto retroattivo. In Inghilterra, a seguito della emanazione del Human Fertilisation and Embryology act del 1990, la maternità surrogata è ammessa: la pratica dell’utero in affitto è, infatti, assolutamente legale a condizione che il contratto escluda qualsiasi scambio di denaro e con la assoluta cer-tezza della incoercibilità della donna estranea alla coppia. La Croydon Family Proceeding Court emette il provvedimento cosiddetto “parental order” in forza del quali la maternità legale, e la conseguente responsabilità genitoriale sul bambino concepito e partorito dalla «madre sostitu-ta», viene assegnata alla donna committente. In Spagna i contratti prenatali sulla gestazione e la prole sono considerati nulli. Tuttavia, è pos-sibile l’affidamento di un bambino nato mediante surrogazione di maternità a favore dei geni-tori che ne hanno fatto richiesta solo in presenza di una serie di requisiti stabiliti dai provvedi-menti della Direzione Generale dei Registri e del Notariato del 5 ottobre 2010 sul regime di re-gistrazione della filiazione dei nascituri tramite sostituzione gestazionale. Fra gli ordinamenti che ritengono del tutto illegittimi gli accordi di maternità surrogata sulla base di esplicite disposizioni legislative rientrano la Francia, la Spagna, nei limiti sopra indicati, gli stati australiani di Victoria Queensland, Tasmania, Southern Australia e Australian Capital Territory e alcuni degli Stati Uniti d’America. 4. La giurisprudenza italiana Ritenendo utile un esame dello stato dell’arte, è fondamentale segnalare il recente intervento della Corte di Cassazione che, con la sent. 11 novembre 2014, n. 24001 ha assunto un atteg-giamento chiaro e tranciante in ordine al divieto nel nostro ordinamento delle pratiche della maternità surrogata. Per meglio chiarire, la vicenda vede coinvolta una coppia di italiani che concludono un contrat-to di maternità surrogata in Ucraina, dove tale pratica è lecita e consentita. Condannati per il delitto di alterazione di stato, essendo emerso a seguito di accertamenti peri-tali, che nessuno dei due coniugi era genitore biologico del minore, il Tribunale per i Minoren-ni di Brescia dichiarava lo stato di adottabilità del piccolo disponendo che fosse collocato pres-so una famiglia. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, aditi dalla coppia, osservato che nessuno dei due geni-tori risultava genitore biologico del minore, sottolineavano che in Italia la pratica della materni-tà surrogata è vietata dall’art. 14 della l. n. 40/2004 e che, poiché la legge ucraina consente la maternità surrogata a condizione che almeno il 50% del patrimonio genetico del nato provenga dalla coppia committente, ne conseguiva che il contratto concluso dai ricorrenti con la gestante era nullo anche per la stessa legge ucraina. Quanto al certificato di nascita, il Tribunale sanciva che, benché debitamente apostillato, lo stes-so non poteva essere riconosciuto in Italia ai sensi e per gli effetti dell’art. 65 della l. n. 218/1995, poiché contrario all’ordine pubblico, stante il divieto in Italia della maternità surrogata. I coniugi proponevano dunque ricorso in Cassazione la quale, richiamando il proprio consoli-dato orientamento (Cass. n. 14545/2003; Cass. n. 15234/2013), ribadisce la vigenza del limite dell’ordine pubblico italiano con il quale la disciplina straniera della filiazione e del suo accer-tamento si trovi ad essere in contrasto e ciò proprio in applicazione delle regole di diritto inter-nazionale privato. Ciò che viene in rilievo è il fondamento giuridico sotteso al ragionamento degli ermellini i qua-

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li, nel respingere il ricorso della coppia, affermano che «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico» e che l’interesse superiore del minore è perseguito dal legislatore nell’ordinamento italiano attraverso la attribuzione di maternità a colei che par-torisce, affidando all’istituto dell’adozione la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal le-game biologico. Quanto al motivo del ricorso basato sulla asserita violazione da parte del Tribunale e della Corte d’Appello delle Convenzioni Internazionali ispirate alla protezione del minore ed al suo supremo interesse, la Cassazione, con la sentenza quivi in esame, rileva che l’ordine pubblico internaziona-le è il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri a protezione della sua coerenza interna; perciò, non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comu-nità internazionale, ma comprende anche i principi propri fondamentali ed irrinunciabili. Ne consegue che l’espresso divieto, rafforzato anche da sanzione penale, della surrogazione di maternità posto dal nostro ordinamento, (divieto, tra l’altro, non travolto dalla parziale il-legittimità costituzionale dell’analogo divieto della fecondazione eterologa di cui alla sent. n. 162/2014), è principio di ordine pubblico governato da regole a tutela degli interessati, in particolare dei minori. Non si può, afferma la Corte, sostenere che tale divieto si pone in contrasto con la tutela del supremo interesse dei minori, in quanto il legislatore italiano ha considerato che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando all’istituto dell’a-dozione, realizzata con le garanzie di un procedimento giurisdizionale, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico. E si tratta, per la Cassazione, di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale non attri-buisce al giudice su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto. Poiché il caso concreto riguardava, appunto, due persone nei confronti delle quali si è accertato il totale difetto di legame biologico con il minore, nonché la assenza di altri parenti, ai sensi dell’art. 8 della l. n. 184/1983 al Tribunale per i Minorenni si imponeva l’accertamento dello stato di abbandono e la relativa declaratoria dello stato di adottabilità del bambino. La nozione di ordine pubblico, dunque, è di fondamentale rilevanza ai fini delle analisi e delle conseguenti decisioni da parte dei Giudici Italiani. Viene a questo proposito in considerazione la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 13 febbraio 2009: il caso riguarda una coppia che, avuti due figli mediante maternità surrogata nel Regno Unito, chiedeva il riconoscimento nello Stato Italiano dei cosiddetti “Parental Order”, resi in Inghilterra dalla Croydon Family Proceeding, e di provvedere alle conseguenti annotazio-ni e/o iscrizioni e/o rettifiche nei pubblici registri dell’anagrafe in ordine alla indicazione di maternità dei due minori. Osserva la Corte che, prima della l. n. 218/1995, la giurisprudenza, al fine della delibazione di una sentenza resa dal giudice straniero, è sempre stata orientata a sostenere che l’indagine sulla contrarietà o meno all’ordine pubblico italiano implicasse una valutazione delle ragioni della decisione con criteri diversi a seconda che essa riguardi cittadini italiani ovvero sia stata emessa soltanto tra stranieri: nel primo caso, l’ordine pubblico da considerare è quello interno, emer-gente dai principi essenziali dell’ordinamento nazionale, mentre nel secondo caso, l’ordine pub-blico da considerare è quello internazionale, risultante dai principi comuni alle nazioni di civiltà affine ed intesi alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Dopo l’entrata in vigore della l. n. 218/1995 la Suprema Corte è intervenuta più volte affer-mando che «l’ordine pubblico che, ai sensi dell’art. 16, 1° comma, l. n. 218/1995, costituisce il limite di applicabilità della legge straniera in Italia e che si identifica in norme di tutela dei dirit-ti fondamentali, deve essere garantito con riguardo non già alla astratta formulazione della di-sposizione straniera, bensì ai suoi effetti, cioè alla concreta applicazione che ne abbia fatto il

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giudice di merito ed all’effettivo esercizio della sua discrezionalità, vale a dire all’eventuale ade-guamento di essa all’ordine pubblico». Detto ordine pubblico non si identifica con quello interno, dovendosi nelle fattispecie inerenti all’argomento che ci occupa, fare riferimento alla nozione di ordine pubblico internazionale. Ne consegue che il solo fatto che la legislazione italiana oggi vieta la tecnica della maternità sur-rogata e che tendenzialmente faccia prevalere la maternità biologica a quella sociale, non sono di per sé indici di contrarietà all’ordine pubblico internazionale, anche a fronte di legislazioni che prevedono deroghe a tale principio. Nella valutazione del profilo riguardante la nozione di ordine pubblico internazionale, poi, ri-entra senza dubbio l’interesse di minori ad avere il riconoscimento giuridico di filiazione nel luogo in cui la loro vita si è radicata. Ciò in base ad un principio più generale secondo il quale in tutte le decisioni riguardo i fanciul-li, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei Tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del minore deve avere una preminente considerazione e deve costituire un parametro di valutazione della con-trarietà o meno all’ordine pubblico internazionale. Così, una volta che il contratto di maternità surrogata ha avuto esecuzione e il bambino è nato e, come nel caso di specie, è vissuto per diversi anni nel nucleo familiare che si chiede di man-tenere, è assolutamente indispensabile continuare ad assicurargli i genitori che ha avuto sin dal-la sua nascita. Sulla base di quanto esposto, la Corte d’Appello ha valutato che i provvedimenti di cui veniva richiesto il riconoscimento non fossero contrari all’ordine pubblico, ritenendo sussistente il requisito della riconoscibilità nel nostro ordinamento, ai sensi degli artt. 64, 65 e 67 della l. n. 218/1995, dei cosiddetti “parental order” resi dalla Croydon Family Proceedings Court. Con-seguentemente, è stato ordinato all’Ufficiale di Stato Civile di provvedere a tutte le prescritte annotazioni nei registri dalle quali i ricorrenti risulteranno genitori dei due minori. 5. La giurisprudenza europea Hanno fatto scalpore le sentenze gemelle della CEDU del 26 giugno 2014 (casi n. 65941 e n. 65192/2011) per avere “aperto” al riconoscimento dello status legittimo di figlio ad un mi-nore nato da maternità surrogata. È pertanto necessario chiarire i punti salienti e le motivazioni delle due sentenze della CEDU in questione per capire l’ambito di applicazione dei principi in esse enunciati. Il caso trae origine dai ricorsi avanzati da due coppie di coniugi francesi, entrambe recatesi ne-gli Stati Uniti ove, a causa della sterilità delle due mogli, si sottoponevano alla pratica della ma-ternità surrogata, a seguito della quale nascevano, quanto alla prima coppia, due gemelli nel 2000 e, quanto alla seconda coppia, una bambina nel 2001 (si precisa che in Francia la maternità sur-rogata è vietata e punita con la pena di un reclusione e di una multa di 15.000 euro). Le sentenze emesse negli Stati Uniti stabilivano che le coppie erano i genitori dei nati. Il riconoscimento del rapporto legale di filiazione veniva rifiutato dalle autorità francesi che af-fermavano che la registrazione di tali rapporti di filiazione nei registri dell’ufficio di stato civile francese avrebbe dato esecuzione ad un vero e proprio contratto di maternità surrogata, che è nullo per l’ordinamento francese in quanto contrario all’ordine pubblico. Nel rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le due coppie invocavano l’art. 8 della Convenzione, lamentando il fatto che, a scapito degli interessi dei bambini, gli stessi non ave-

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vano avuto la possibilità di ottenere il riconoscimento in Francia del rapporto di filiazione che invece era stato legalmente riconosciuto all’estero. La pronuncia della Corte europea parte, dunque, dal presupposto della applicabilità ai casi di specie dell’art. 8 sia sotto l’aspetto della “vita familiare” che sotto quello della “vita privata”. Dato certo, infatti, era che la prima coppia avesse accudito i gemelli come veri e propri genitori sin dalla loro nascita, creando una tipica vita di famiglia. E poiché il diritto all’identità è una parte integrale del concetto di vita privata, sussiste un nesso diretto tra la vita dei bambini nati dopo il trattamento di maternità surrogata ed il riconoscimento legale del loro rapporto di filiazione. Si trattava, dunque, di valutare se l’ingerenza delle autorità francesi nella vita privata e familiare delle coppie, perpetrata attraverso il rifiuto del riconoscimento giuridico dello status di figli le-gittimi, per quanto conforme alla legge ed all’ordine pubblico, fosse “necessaria in una società democratica”. Nonostante, infatti, sia lasciato ampio margine agli Stati nelle decisioni relative alla maternità surrogata in considerazione alle complesse questioni etiche che la stessa implica, tenuto anche della mancanza di una omogenea legislazione europea in materia, tale margine di discrezionali-tà deve comunque essere ridimensionato quando si tratti di rapporti che coinvolgono l’identità degli stessi degli individui, con la conseguenza che, secondo la CEDU, si sarebbe dovuto pro-cedere alla valutazione del rispetto o meno del giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quello degli individui interessati, con particolare riferimento al prevalente interesse dei minori coinvolti. Ed è proprio il profilo dell’identità su cui insiste il ragionamento della Corte europea nel con-dannare la Francia. Le autorità francesi, nel negare il riconoscimento secondo il diritto francese, pur nella consape-volezza che i gemelli erano stati riconosciuti in un altro paese come figli dei coniugi, avevano infatti creato uno stato di incertezza giuridica che si ripercuoteva nella stessa identità degli inte-ressati all’interno della stesso ordinamento francese anche sotto i seguenti aspetti: a) nonostan-te il padre biologico dei minori fosse francese, vi era incertezza circa la possibilità per loro di ot-tenere la cittadinanza francese con le conseguenti preoccupanti ripercussioni in ordine alla loro identità; b) i minori avrebbero potuto ereditare solo come legatari con la conseguenza che i lo-ro diritti di successione sarebbero stati pregiudicati ciò comportando una lesione della identità in relazione alla discendenza. Per la CEDU, dunque, il diritto al rispetto della vita privata, che implica che tutti possano esse-re in grado di stabilire l’essenza della propria identità, ivi compreso il rapporto di parentela, era stato notevolmente compromesso. A maggior ragione, l’interesse dei minori non era stato posto in un rapporto di giusto equilibrio con quello dello Stato se si considera che nel caso di specie il genitore era padre biologico dei minori i quali si vedevano privati di un legame giuridico di tale natura, con conseguente pre-giudizio dell’interesse alla identità legata alla parentela biologica. In buona sostanza, la Corte afferma che «impedendo il riconoscimento e l’instaurazione di rap-porti giuridici dei bimbi con il loro padre biologico, lo Stato Francese ha oltrepassato il consen-tito margine di apprezzamento». Ritenuto violato, dunque, l’art. 8 della Convenzione, la Francia veniva condannata al pagamen-to dei danni non patrimoniali ed alle spese legali.

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6. La recente sentenza CEDU del 27 gennaio 2015 Ai fini dell’analisi della pronuncia del 27 gennaio 2015 (ricorso n. 25358) della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, è necessario inquadrare il caso: esso prende le mosse da una coppia ita-liana che ha fatto ricorso ad un contratto di maternità surrogata in Russia presso una agenzia che consente di concludere un accordo con una donna disponibile a portare avanti una gravi-danza per conto di altri. Nato il minore il 27 febbraio 2011, le autorità russe, sulla base della normativa del paese, rila-sciavano il relativo certificato di nascita dal quale i due italiani risultavano i genitori del bimbo. Tale certificato di nascita veniva regolarmente dotato di apostille, ovvero della certificazione che convalida sul piano internazionale, con pieno valore giuridico, l’autenticità di un atto pubblico o notarile, ai sensi della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961. Dopo pochi giorni dall’ottenimento del permesso dei due coniugi di rientrare i Italia con il mi-nore, il consolato italiano di Mosca comunicava alle autorità competenti italiane che l’atto di nascita conteneva informazioni false. Ne conseguiva il rifiuto della trascrizione dell’atto di nascita e nei confronti dei coniugi veniva instaurato un procedimento penale per il delitto di alterazione di stato di cui all’art. 567 c.p. e per violazione dell’art. 72 della l. n. 184/1983 in materia di adozione e affidamento minori. Poiché il minore veniva considerato in stato di abbandono, il Tribunale per i Minorenni conte-stualmente avviava il procedimento di adottabilità. Poiché, tra l’altro, il test del DNA certificava che non vi era alcun legame biologico tra il padre e il minore, contrariamente a quanto affermato dalla coppia, nell’ottobre 2011 il minore veniva allontanato dalla coppia e affidato ai Servizi Sociali. Con il loro ricorso alla Corte europea i coniugi lamentavano la violazione dell’art. 8 della Con-venzione e sostenevano la legittimità della loro condotta ai sensi della legge russa e la relativa illegittimità del rifiuto della trascrizione dell’atto di nascita da parte delle autorità italiane, col-pevoli, per i ricorrenti, di avere violato il supremo interesse del minore ad avere una famiglia. Dal punto di vista procedurale, il ricorso, relativamente al rifiuto della trascrizione dell’atto di nascita, veniva dichiarato irricevibile perché i coniugi non avevano preventivamente esperito i mezzi di impugnazione interni (non avevano infatti avanzato presso la Corte di Cassazione il ricorso avverso il rifiuto della Corte d’Appello). Quanto, invece, all’esame del ricorso riguardante l’allontanamento del minore, ritenuto ricevi-bile, la Corte partiva dal richiamo all’art. 8 della Convenzione, che protegge i legami familiari de facto. Nel caso di specie, la coppia aveva trascorso con il minore nove mesi, di cui sei in Italia, periodo ritenuto importante e fondamentale per la vita del bambino: durante questo tempo, di fatto, i coniugi si erano comportati verso il piccolo come genitori, creando un vero e proprio legame familiare. Orbene: a parere della Corte, il rifiuto di riconoscere i legame di filiazione stabilito all’estero e la decisione di allontanamento del minore, costituiscono ingerenza nei diritti garantiti dall’art. 8 della Convenzione. Tale ingerenza, è infatti da considerarsi legittima solo se, 1) è prevista dalla legge; 2) se perse-gue un fine legittimo; 3) se risulta necessaria in una società democratica. Nel caso di specie, la Corte, pur riscontrando che l’ingerenza compiuta dalle autorità italiane, basandosi sulla applicazione delle norme di conflitto in materia di filiazione e di adozione in-ternazionale era da ritenersi legittima perché prevista dalla legge, tuttavia ciò non è sufficiente: per stabilire se tali misure sono necessarie in una società democratica, infatti, bisogna verificare

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se l’applicazione delle disposizioni legislative abbiano garantito il giusto equilibrio tra interesse pubblico e interesse privato, fondato sul rispetto della vita familiare. Principio fondante di tale valutazione deve sempre essere l’interesse superiore del minore, che ha valenza prioritaria. In buona sostanza, la Corte non ritiene che la decisione delle autorità italiane sia stata irragio-nevole, in quanto palesemente assunta allo scopo di mettere fine ad una situazione di illegalità, ma occorre valutare se l’interesse del minore è stato posto al centro e considerato in modo ade-guato e tutelante. A questo proposito, non vi è dubbio che l’allontanamento del minore dal suo contesto familia-re costituisce una misura estrema da adottarsi solo in caso di pericolo immediato del minore che, pertanto, va protetto con urgenza. Le autorità italiane, dunque, disponendo tale allontanamento e l’affidamento ai servizi sociali del bambino, hanno violato l’art. 8 della Convenzione, non avendo preservato il giusto equili-brio tra gli interessi in gioco. È, tuttavia, altrettanto vero, per la Corte, che si deve tenere conto del nuovo legame che il bim-bo ha nel frattempo instaurato con la famiglia di accoglienza tanto da non conseguire, alla ac-certata violazione dell’art. 8, l’obbligo per lo Stato italiano di reinserimento del minore presso i ricorrenti. L’Italia è stata dunque solo condannata al versamento della somma di 20.000 euro a titolo di equa soddisfazione ai sensi dell’art. 41 della Convenzione. Il ricorso alla tecnica della maternità surrogata comporta che la trascrizione del relativo atto di nascita del minore nel nostro paese investa profili penali rilevanti e che ha visto una evoluzione giurisprudenziale sia internazionale che interna alquanto interessante in ordine alla qualifica-zione dei reati coinvolti ed alla stessa imputabilità dei soggetti coinvolti. 7. Conclusioni Dall’analisi fino ad ora condotta, si evince che la disomogeneità delle soluzioni fornite dai di-versi ordinamenti, se da una parte sollecita l’espansione del cosiddetto “turismo riproduttivo”, dall’altra rende il divieto ancora più debole, in quanto i cittadini, sulla base del rinvio mobile al-la lex loci disposto dall’art. 15 del d.p.r. n. 396/2000, sono di fatto legittimati ad andare al-l’estero a generare figli eterologhi, purché nel rispetto delle leggi del luogo. Se, quindi da una parte non si può più ignorare l’esigenza dell’intervento del legislatore in ma-teria, dall’altra, tale intervento non può inevitabilmente prescindere dal dibattito dottrinale che, a monte, vede una parte di dottrina, ancorché risalente, che ritiene che il rapporto di parentela si instauri con colei che abbia partorito il figlio a prescindere da chi abbia fornito il materiale ge-netico, sulla base del profilo giuridico che, secondo l’art. 269 c.c., qualifica il parto come prova della maternità; con la conseguenza che o tale tesi vuole che il rapporto parentale si instauri con la madre uterina (al marito, padre biologico, sarebbe quindi concessa come unica alterna-tiva quella di riconoscere il figlio della madre surrogata ex art. 250 c.c. e, alla madre sociale, quella di chiedere l’adozione del minore ex art. 44, lett. b), l. n. 184/1983). Altra parte, più recente, della dottrina fonda invece le sue tesi sul rinnovato e rafforzato ricono-scimento della preminente tutela del minore, risolvendo il problema della individuazione della donna a cui deve essere attribuita la maternità partendo dalla massima soddisfazione dell’inte-resse del minore e dalla stessa volontà di rivestire il ruolo di genitori per concretizzare il corret-to sviluppo della personalità del minore. Con la conseguenza che, secondo questa tesi, la madre dovrebbe essere considerata quella genetica e non quella uterina.

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PROFILI DI RESPONSABILITÀ PENALE NELLA L. N. 40/2004 ALL’INDOMANI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COST. N. 162/2014

Gianluca Luongo Avvocato in Roma Membro del Nucleo interistituzionale per la verifica della PMA-Regione Lazio Sommario: 1. Ciò che resta dei profili sanzionatori della l. n. 40/2004 all’indomani della sentenza della Consulta. – 2. I risvolti penali del cosiddetto turismo procreativo. I reati previsti dal codice penale. – 3. La giurisprudenza penale. 1. Ciò che resta dei profili sanzionatori della l. n. 40/2004 all’indomani della sentenza della Consulta È delle scorse settimane la notizia che la Corte costituzionale ha sancito la (ennesima) illegit-timità costituzionale di un’altra significativa parte della ormai celeberrima l. n. 40 (o meglio, di ciò che ne rimane, vista la serie infinita di interventi demolitori del giudice delle leggi). Si tratta del divieto – come detto ormai non più vigente anche se si è in attesa di conoscere le motivazioni della Consulta – per quelle coppie fertili, ma portatrici di patologie genetiche, di poter operare la diagnosi pre-impianto al fine di escluderne la trasmissione al feto. È l’ennesima dimostrazione di quanto fossero profondamente errati i presupposti e i principi dai quali il legi-slatore del 2004 prese le mosse per approvare la legge sulla procreazione medicalmente assisti-ta, attesa da moltissimi anni e che tuttavia ha completamente fallito i propri obiettivi, tanto da divenire ormai quasi solo terreno di scontro giudiziario e prima ancora politico. Di ciò che rimane della l. n. 40 esamineremo, con questo contributo, le conseguenze di natura penale collegate alla violazione di alcuni divieti contenuti nella legge stessa, con particolare ri-ferimento alla esclusione della “maternità surrogata”, ovvero quella pratica mediante la quale la donna che non possa condurre positivamente a termine una gravidanza ricorre ad una “dona-trice di utero” che al suo posto genera il neonato per poi consegnarlo a quella che viene definita “madre sociale” per distinguerla da quella biologica e da quella naturale. Si tratta dunque di una particolarissima modalità di fecondazione eterologa, nella quale posso-no essere utilizzati gameti della coppia, ovvero provenienti da uno solo dei due genitori o com-pletamente estranei ad entrambi, perché prelevati da donatori. Come noto la l. n. 40, anche prima della pronuncia della Consulta che ha caducato il divieto di fecondazione eterologa, non prevedeva sanzioni di natura penale per le coppie che avessero fat-to ricorso a quella tecnica procreativa.

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Le uniche sanzioni previste erano di natura amministrativa e pecuniaria ed erano applicabili, ai sensi dell’art. 12, solamente a coloro che avessero consentito e praticato quel tipo di feconda-zione (personale medico e struttura sanitaria). Anche quelle sanzioni sono, come detto, venute meno all’indomani della pronuncia della sent. n. 162/2014 della Corte costituzionale. Le uniche sanzioni penali residuali (di natura detentiva) previste dalla l. n. 40 e ancora oggi vi-genti attengono al divieto di sperimentazioni sugli embrioni in sovrannumero, qualora non fi-nalizzate al successivo impianto dell’embrione nell’utero materno. Anche su tale punto tuttavia pende un ricorso di costituzionalità sollevato (ancora una volta) dal giudice del Tribunale di Firenze, che ha rimesso gli atti alla Consulta per valutare se quel divieto, che ai sensi della l. n. 40 ha natura assoluta (ovvero è valido a prescindere dal fatto che gli embrioni sovrannumerari siano non più utilizzabili e nonostante il consenso prestato dagli aventi diritto), sia compatibile con il diritto alla ricerca scientifica finalizzata alla tutela e al mi-glioramento della salute umana e al diritto ad una procreazione sana. 2. I risvolti penali del cosiddetto turismo procreativo. I reati previsti dal codice penale Diverso è il discorso relativo ai profili penali di quelle condotte che vengono definite come “tu-rismo procreativo”, odiosa espressione con la quale vengono descritti quei viaggi di coppie ver-so paesi esteri nei quali è viceversa ammesso il ricorso alla surrogazione dell’utero materno. Come noto in Italia vige il principio di diritto in base al quale, secondo l’art. 269 c.c., la madre non può essere considerata altra donna all’infuori della partoriente. Tale affermazione, che alla luce dei ritrovati della medicina non può che essere considerata og-gigiorno una presunzione (anche se di carattere assoluto) determina molto spesso pronunce da parte dei Tribunali italiani le cui conseguenze sono (nel caso in cui i gameti utilizzati siano di un donatore) l’allontanamento dai “genitori sociali” dei neonati generati all’estero. Quel divieto di surroga dell’utero materno viene, infatti, costantemente aggirato dalle coppie italiane attraverso il ricorso a viaggi presso paesi – gli Stati Uniti, l’Inghilterra, l’Ucraina, la Rus-sia e l’India solo per citare le direttrici più utilizzate – le cui legislazioni ammettono tale pratica, sebbene con rilevanti diversità da stato a stato. La conseguenza è che il giudice penale italiano si trova, sempre più frequentemente, a dover valutare non solo la ricorrenza di condotte che violano la legislazione penale italiana, ma in via preliminare se, e in quale misura, quelle condotte abbiano rispettato la legislazione della nazio-ne nella quale è stata realizzata la surroga della maternità; compito non sempre facile allor-quando le legislazioni estere – è il caso ad esempio dello Stato indiano – non siano sempre di semplice e immediata comprensione. Quello – ovvero il rispetto della lex loci – va infatti sempre più affermandosi nella giurispruden-za di merito come la cartina di tornasole della rilevanza penale o meno della condotta della coppia che è ricorsa a quella particolare tecnica di procreazione medicalmente assistita. Condotta che, come già chiarito, non ha rilevanza penale in sé, stante l’assenza di un divieto ad hoc sia nel codice penale che nella l. n. 40, ma da cui consegue tuttavia, al momento del rientro del neonato in Italia e della conseguente richiesta di iscrizione presso il registro dello stato civi-le, la violazione dell’art. 567, 2° comma, c.p., che punisce con pene molto gravi la condotta del soggetto che altera lo status filiationis (ovvero la corretta discendenza) attraverso un atto di na-scita falsamente formato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità. Con il presente contributo passeremo in rassegna alcune sentenze pronunciate da giudici di merito che hanno dovuto valutare, proprio ai sensi dell’art. 567, 2° comma, c.p., la liceità o me-

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no delle condotte di quei cittadini italiani recatisi presso paesi esteri per realizzare una fecon-dazione eterologa con surrogazione dell’utero materno. Pur nella comprensibile difficoltà di cogliere principi giuridici di portata generale da sentenze pronunciate da giudici del merito, le uniche allo stato in Italia su pratiche di maternità surroga-ta all’estero, da esse si può riuscire a cogliere alcuni indirizzi generali seguiti dai diversi Tribu-nali chiamati ad esprimersi. Non mancano purtroppo anche pronunce dalle quali emerge la difficoltà di dare unitarietà ed uniformità di giudizio a vicende assimilabili, con la conseguenza di ingenerare grave incertezza nei destinatari delle norme e negli operatori del diritto che quelle norme sono chiamati ad appli-care. L’auspicio è che un intervento della Suprema Corte di Cassazione possa quanto prima ricon-durre ad unità i diversi orientamenti espressi dai Tribunali della Repubblica, a garanzia del fon-damentale principio di certezza del diritto. Dato comune alle pronunce esaminate è la genesi dei diversi procedimenti penali: immanca-bilmente tutti hanno preso avvio in seguito alla presentazione di una denuncia da parte dell’au-torità consolare italiana all’estero presso la quale le coppie italiane si erano di volta in volta re-cate per chiedere la registrazione dell’atto di nascita formato nel paese straniero, per poi fare ri-entro in Italia con il neonato e dare seguito alla sua registrazione presso l’Ufficiale dello Stato civile del luogo di residenza dei genitori. Tutte le Procure della Repubblica interessate dalle denunce hanno contestato il reato di cui al 2° comma dell’art. 567 c.p., che come detto punisce con pene molto alte (la reclusione da un minimo di cinque ad un massimo di quindici anni) le condotte di coloro che alterino lo status filiationis del neonato. Tanto per dare una misura di quanto il legislatore codicistico abbia ritenuto grave tale reato, la rapina è punita con una pena alla reclusione da tre a dieci anni; il furto in abitazione con una pena alla reclusione da uno a sei anni; la violenza sessuale di gruppo con una pena alla reclusio-ne da sei a dodici anni. 3. La giurisprudenza penale Il reato di alterazione di stato è un reato comune, procedibile d’ufficio. Prevedendo una pena detentiva superiore nel minimo a tre anni di reclusione, il reato di altera-zione di stato è perseguibile d’ufficio anche se commesso dal cittadino italiano all’estero, senza necessità della preventiva richiesta di punizione da parte del Ministro della Giustizia, condizio-ne di procedibilità ex art. 9 c.p. per quei reati comuni commessi dal cittadino italiano all’estero puniti con pena detentiva inferiore, nel minimo, alla suddetta soglia. Le sentenze ritenute di interesse ai fini del presente contributo sono state pronunciate, in ordi-ne cronologico:

• dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Trieste, a seguito di rito abbreviato, il giorno 6 giugno 2013;

• dalla V Sezione penale del Tribunale di Milano il giorno 15 ottobre 2013; • dalla II Sezione penale del Tribunale di Brescia il giorno 26 novembre 2013; • dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano, a seguito di rito abbreviato, il

giorno 8 aprile 2014; • dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Varese, a seguito di rito abbreviato, il

giorno 8 ottobre 2014;

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• dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bologna, a seguito di rito abbreviato, il giorno 9 febbraio 2015.

Gup Trieste

Con la sent. 6 giugno 2013, n. 349 1 il Gup di Trieste ha assolto una coppia di cittadini italiani imputati di aver realizzato l’alterazione dello stato del neonato generato in Ucraina con una fe-condazione assistita mediante il ricorso a surrogazione dell’utero materno. In quanto pratica medica ammessa in quello Stato il giudice ha riconosciuto validità e corret-tezza all’atto di nascita del neonato, in quanto formato in conformità all’ordinamento ucraino 2. Secondo lo stesso giudice, infatti, la successiva trasmissione dell’atto – previa traduzione e apo-stille – all’Ufficiale di stato civile italiano deve ritenersi del tutto irrilevante ai fini del reato di cui all’art. 567, 2° comma, c.p., che prevede esclusivamente la punizione della condotta di colui che alteri lo stato del neonato al momento della formazione dell’atto di nascita, essendo la succes-siva trasmissione in Italia non solo obbligatoria ai sensi dell’art. 16 della l. n. 218/1995 sul dirit-to internazionale privato, ma del tutto irrilevante secondo la lettera dell’art. 567, 2° comma. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione il giudice per l’udienza preliminare del Tribu-nale di Trieste, facendo leva sul principio di diritto internazionale privato poc’anzi richiamato 3, ha altresì escluso che la successiva trascrizione in Italia sia contraria alle norme di ordine pub-blico interno, escludendo anche, sebbene indirettamente e nell’interesse superiore del neona-to, che egli possa essere dichiarato adottabile. Non tutte le pronunce tuttavia hanno sposato tale indirizzo dogmatico interpretativo, tanto che in alcuni casi i giudici hanno disposto l’allontanamento del neonato dalla coppia di genitori non naturali, dichiarandone lo status di bambini adottabili.

1 Redazione Giuffrè, 2013. 2 Scrive il giudice nelle motivazioni della sentenza: «La cd. surrogazione di maternità anche eterologa, ossia l’esperibilità per una coppia sterile da parte della donna, come nella fattispecie in esame, della filiazione a mezzo di altra donna che, ri-cevendo il seme dal marito donatore, viene a partorire al posto della moglie il figlio che la coppia non potrebbe altrimenti avere è invero previsto dalla legislazione ucraina. Vero è che l’articolo 23 co. 2 del Codice della famiglia ucraino (f. 81) sta-bilisce che i coniugi sono riconosciuti quali genitori del bambino quando nell’utero di una donna venga trasferito un em-brione trasferito da coniugi (marito e moglie) con l’applicazione di tecniche di procreazione assistita (e quindi nel caso di cosiddetta fecondazione omologa diverso da quello in esame); in tale ipotesi l’atto di nascita negli uffici competenti avvie-ne su richiesta dei coniugi che avevano dato il loro consenso al trasferimento dell’embrione (parte terza punto 11 delle Re-gole di legislazione statale degli atti di Stato civile dell’Ucraina approvato dal Ministero della Giustizia ucraino f. 82). Il de-creto del Ministero della Salute dell’Ucraina in data 23.12.2008 n. 771 (f. 123 ss., f. 127 ss. del procedimento n. 2612/12 rgnr; esso è richiamato anche nel messaggio inviato al PM dal dott. M.C. a f. 73), emesso “allo scopo di migliorare l’assistenza sanitaria della popolazione nel trattamento di sterilità assistita utilizzando tecniche di riproduzione”, prevede peraltro la praticabilità della cosiddetta maternità surrogata sia omologa che eterologa, mediante donazione di gameti (nella missiva dell’Ambasciata d’Italia a Kiev si fa del resto cenno alla “surrogazione di maternità, qui legalmente praticata”, f. 7), disciplinando espressamente le caratteristiche della coppia, la documentazione medica che essa deve presentare, le caratteristiche della madre surrogata, il negozio che così viene posto in essere, ivi compresa la rinuncia della partoriente ad alcuna pretesa sul bambino nato da questo tipo di concepimento. Al termine della procedura, il nato viene considerato fi-glio della coppia contraente, anche se nel caso di specie solo l’uomo ne è padre naturale, ed in conformità a ciò viene rila-sciato dalle autorità ucraine il relativo certificato di nascita». 3 L’art. 16 della l. n. 218/1995 è alla base di due pronunce molto interessanti rese sulla medesima materia nel 2011, la pri-ma dalla Corte d’Appello di Bari e la seconda dal Tribunale di Napoli, che in maniera univoca hanno affermato che il prin-cipio guida della “responsabilità procreativa” finalizzata a proteggere il valore della tutela della prole è sovraordinato ad ogni altro e consente l’applicazione in Italia della legge straniera qualora, ex art. 23, Reg. CE n. 2201/2003, sia esso di inte-resse precipuo del neonato. Di fronte ad esso le norme di ordine pubblico interno, qualora confliggenti, devono ritenersi recessive.

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Tribunale di Milano

La pronuncia resa dalla V Sezione penale del Tribunale di Milano il 15 ottobre 2013 4 riguarda una vicenda che presentava talune diversità rispetto al caso passato in rassegna poc’anzi. Pur trattandosi di una coppia di genitori italiani recatasi in Ucraina per realizzare una feconda-zione eterologa mediante ricorso all’utero di una madre surrogata e pur escludendo il giudice, come nel caso precedente, la rilevanza penale ai fini del reato di alterazione di stato della con-dotta di quei genitori, tuttavia riteneva che nel caso di specie ricorressero gli estremi del reato di cui all’art. 495 c.p., che punisce – sebbene con pena minima inferiore a tre anni – la condotta di colui che attesti falsamente identità o qualità personali all’Ufficiale di stato civile. La pronuncia alla quale addiveniva il Tribunale di Milano si basava sulla circostanza che al momento della richiesta al consolato italiano a Kiev della trasmissione dell’atto di nascita ivi formato, la coppia aveva (falsamente) dichiarato di aver effettuato un parto naturale, senza ri-corso alla surroga di maternità. Il giudizio tuttavia si concludeva con una sentenza che attestava l’improcedibilità per assenza della richiesta di punizione da parte del Ministro della Giustizia (ex art. 9 c.p.). Anche il Tribunale di Milano, come quello di Trieste, afferma il principio che la coppia di geni-tori “sociali” non abbia contravvenuto la lex loci ucraina, che consente tale pratica, e dunque che l’atto di nascita sia stato correttamente formato nel rispetto di quell’ordinamento, essendo la successiva trascrizione in Italia prevista dall’art. 15 del d.p.r. n. 396/2000 che impone la tra-scrizione negli atti dello stato civile italiano dei cittadini italiani nati all’estero in conformità alla legge del luogo nel quale il parto è avvenuto. Al contempo la sentenza dichiara non applicabile il limite del rispetto dell’ordine pubblico in-terno di cui all’art. 18 del medesimo d.p.r. n. 396/2000, che non attiene al momento della for-mazione dell’atto di nascita quanto piuttosto a quello successivo della sua trascrizione in Italia. Le motivazioni con le quali il giudice Collegiale di Milano rigetta l’ipotesi che la trascrizione dell’atto di nascita formato in Ucraina abbia violato l’ordine pubblico interno devono essere richiamate, poiché fanno espresso riferimento alla conformità di quell’atto all’ordine pubblico internazionale in quanto la surroga della maternità è pratica procreativa ammessa nella maggior parte dei paesi europei, quale facoltà propria di ciascun cittadino, non coercibile ai sensi del-l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo 5.

4 In Foro it., 2014, 6, II, c. 371. 5 Scrive il Tribunale nelle motivazioni della sentenza: «Ha così assunto efficacia, anche in Italia, l’atto di nascita dell’auto-rità ucraina che riferisce al bambino la famiglia formata dagli imputati, comprensivo dell’attribuzione a S.B. della qualità di madre. La valutazione di non contrarietà all’ordine pubblico degli effetti della trascrizione, implicita in questa determina-zione, è conforme alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. Sez. III sent. 22.8.2013 n. 19405, rv n. 628070) secondo cui ai fini del diritto internazionale privato l’ordine pubblico che impedisce l’ingresso nell’ordinamento interno degli effetti di una norma straniera che vi contrasti si identifica con l’ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti nazionali. In tale accezione, è escluso che il divieto di di-ventare madre ricorrendo alla fecondazione eterologa possa rientrare tra i principi fondanti dell’ordine pubblico interna-zionale: a tacer d’altro, per la circostanza che questa forma di procreazione assistita è pratica consentita dalla maggior parte dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea (criterio adottato, tra l’altro, da Cass. Civ., SS.UU. 5.7.2011 n. 14650, rv n. 618434 per stabilire la compatibilità con l’ordine pubblico della norma inglese che ammette l’acquisto di un bene in con-seguenza di un patto commissorio, in violazione del divieto contemplato dall’articolo 2744 c.c.) e di quelli che hanno sot-toscritto la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950, di cui l’Italia è uno dei promotori».

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Tribunale di Brescia

Diversamente dai due casi precedenti il giudice penale di Brescia, con la pronuncia del 26 no-vembre 2013, ha condannato i coniugi ad oltre cinque anni di reclusione, sul presupposto che la metodologia seguita in Ucraina dalla coppia non avesse rispettato la lex loci. All’esito dell’istruttoria dibattimentale era risultato infatti che i due genitori erano ricorsi ad una fecondazione eterologa per parte materna mediante surroga dell’utero, pratica esclusa an-che dalla legislazione locale che, secondo il giudice italiano, avrebbe richiesto la provenienza dell’ovulo dalla “madre sociale”. Dunque, l’atto di nascita formato in Ucraina avrebbe violato la legge locale, con la conseguenza di integrare gli estremi del 2° comma dell’art. 567 c.p. La sentenza si segnala per una ricostruzione della legge Ucraina in materia di fecondazione ete-rologa parzialmente difforme da quella proposta da altri giudici italiani 6, da cui sono derivate conseguenze molto gravi per gli imputati tratti a giudizio, condannati come detto a cinque anni di reclusione. La stessa sentenza si segnala invece per la corretta applicazione di un principio interpretativo stabilito dalla Corte costituzionale con la sent. n. 31/2012, che aveva dichiarato incostituziona-le l’art. 569 c.p. nella parte in cui faceva seguire, in maniera automatica ed acritica, alla condan-na per il reato di cui all’art. 567 la decadenza dalla potestà genitoriale. In applicazione di tale pronunzia il Tribunale di Brescia non ha infatti dichiarato decaduto dal-la potestà genitoriale il genitore naturale del neonato (che in tal caso era il solo padre), osser-vando altresì che non poteva pronunciarsi sulla potestà genitoriale della donna in quanto non madre del neonato. Con la ulteriore conseguenza (rectius: facoltà) per la donna di poter ricorrere in tal caso all’ado-zione speciale nei confronti del neonato, figlio naturale del solo marito. Gup di Milano

Con questa sentenza, pronunciata il giorno 8 aprile 2014 7, il giudice per l’udienza preliminare di Milano ha assolto una coppia italiana che si era recata in India per ricorrere ad una feconda-zione eterologa con donazione dell’utero materno. La pronuncia assolutoria si fonda, in definitiva, sulla incertezza (attestata dal locale consolato italiano) che sussisterebbe in merito alla conformità al diritto indiano di tale metodo procreativo. Correttamente il giudice, in mancanza di prova certa in ordine alla violazione della lex loci, ha pronunciato sentenza assolutoria per il reato di cui all’art. 567, 2° comma, c.p., condannando

6 Scrive il giudice nelle motivazioni della sentenza: «È certo, allora, il ricorso alla fecondazione eterologa (in Italia vietata come da legge 40/2004) mediante donazione sia di ovocita che di utero, ciò che – con riguardo al reato contestato – atte-sta la falsità ideologica delle certificazioni di nascita ottenute a Kiev, presentate all’Ambasciata Italiana della stessa città e poi trasmesse al comune di (omissis). E nemmeno in Ucraina, stando all’articolo 123 del Codice della famiglia, è ricono-sciuta la filiazione legittima in capo a coniugi laddove si tratti di impianto nell’utero di una donatrice di un embrione con-cepito mediante fecondazione di un ovulo di donatrice con il seme di un uomo coniugato con altra donna. Ciò che è avve-nuto in specie da parte di T. e V. Mentre per l’Ordinamento ucraino rimangono possibili, a mezzo della stipula di un con-tratto tra aspiranti genitori e donatrice, a) l’ovodonazione, e cioè il prelievo da una donatrice di alcune cellule-uovo che verranno fecondate in vitro con il seme dell’aspirante padre e impiantate nell’utero della madre portatrice (cfr. co. 3 art. 123 cit.); b) l’impianto nell’utero di una donatrice dell’embrione concepito dai coniugi legittimi (cfr. co. 2 art. 123 cit.). Nella stessa linea il decreto numero 771 del 23.12.2008 del Ministero della Salute dell’Ucraina che disciplina accuratamen-te all’articolo 5 la donazione di gameti ed embrioni, mentre l’art. 7 la maternità surrogata, per entrambi i casi imponendo stringenti requisiti, esami medici e l’obbligo della stipula di un contratto tra donatore e coppia recipiente. Il successivo ar-ticolo 7, co. 11, precisa che la registrazione del bambino nato tramite maternità surrogata quale figlio legittimo della cop-pia, viene eseguita soltanto in presenza del certificato di parentela genetica». 7 In Dir. famiglia, 2014, 4, I, p. 1474.

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tuttavia al contempo il marito ai sensi dell’art. 495 poiché al momento della trascrizione in Ita-lia dell’atto di nascita formato in India egli aveva dichiarato che il neonato era figlio anche della moglie (circostanza invero consapevolmente falsa ai sensi dell’art. 269 c.c., che come detto in-dividua nella sola donna gestante la madre legale). Questa pronuncia desta – a ben vedere – più di qualche dubbio. Infatti l’uomo si sarebbe limitato a rendere una dichiarazione conforme all’atto di nascita for-mato in India, nel quale la moglie era indicata come madre del neonato, nel rispetto peraltro dell’obbligo di non contravvenire a quanto attestato con il medesimo atto di nascita, pena il ri-schio di integrare gli estremi del più grave reato di cui all’art. 567 c.p. Con la conseguenza, aberrante sotto un profilo di diritto, che se anche avesse dichiarato che la donna non era madre del neonato avrebbe comunque commesso un reato. Con la sentenza di condanna il giudice ha altresì escluso l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. (motivi di particolare valore sociale) in quanto i genitori (di età piuttosto avanzata) avevano inteso «ad ogni costo» soddisfare il loro desiderio di genitorialità, «anche a probabile discapito degli interessi del nascituro». Gup di Varese

Anche in tal caso ad essere tratta a giudizio è stata una coppia italiana recatasi in Ucraina per ricorrere alla pratica della maternità surrogata. Dagli accertamenti esperiti sul materiale biologico dei genitori “sociali” e dei due gemelli nati dalla fecondazione eterologa si apprendeva che almeno uno dei due imputati (esattamente il padre) era anche genitore biologico dei due bambini, mentre la madre era biologicamente estra-nea ad essi. In tal caso il giudice (diversamente da quanto affermato dalla II Sezione penale del Tribunale di Brescia, sent. 26 novembre 2013), con la pronuncia dell’8 ottobre 2014 ha dichiarato con-forme alla lex loci il certificato di nascita, ritenendo al più i coniugi responsabili del reato di cui all’art. 495 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri), che sarebbe stato commesso al momento della richiesta di registra-zione dei certificati di nascita nel Registro dello Stato civile italiano in quanto contenente la di-chiarazione di maternità da parte della donna, risultata invece biologicamente estranea ai bam-bini, ma mandandoli tuttavia assolti anche da tale imputazione in virtù di considerazioni di na-tura più sociologica che di puro diritto. Affermava, infatti, il giudice per l’Udienza Preliminare di Varese che la coppia di genitori dove-va essere assolta anche dal reato di cui all’art. 495 c.p. al fine di rispettare il superiore interesse alla salvaguardia del minore ed evidenziando altresì che la dichiarazione all’Ufficiale di Stato civile italiano non poteva che essere conforme ai certificati di nascita formati regolarmente in Ucraina, di modo che la filiazione biologica, in assenza di una normativa interna che la discipli-ni, è destinata a divenire irrilevante per la legge e a perdere di significato. Le ragioni dell’assoluzione, più attinenti all’evoluzione della politica criminale che alla stretta osservanza del diritto interno, contrastano in verità con un consolidato orientamento giuri-sprudenziale della Corte di Cassazione, che anche di recente ha avuto modo di riaffermare con la sent. n. 24001/2014 la vigenza del limite dell’ordine pubblico italiano, con il quale la disci-plina straniera della filiazione si trovi ad essere in contrasto 8.

8 Cass. civ., Sez. I, 26 settembre-11 novembre 2014, n. 24001, afferma: «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico».

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Gup di Bologna

Infine, anche il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bologna ha assolto in data 9 febbraio 2015 dal reato di alterazione di stato la coppia italiana che era ricorsa alla surrogazione di maternità. L’atto di nascita infatti risultava formato in conformità alla lex loci, mentre la successiva trascri-zione presso l’Ufficiale dello Stato civile italiano doveva ritenersi sostanzialmente imposta dal fatto che esso rispettava l’ordine pubblico internazionale in quanto fattispecie tutelata dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

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FECONDAZIONE ETEROLOGA PER ERRORE: ANCORA SULLO SCAMBIO DEGLI EMBRIONI – NOTA ALL’ORD. 8 AGOSTO 2014 TRIBUNALE DI ROMA – DOTT. S. ALBANO

Alberto Figone Avvocato in Genova Direttore scientifico Scuola di alta Formazione AIAF “Milena Pini” La pronuncia in commento è intervenuta, in via d’urgenza, in una vicenda che tanto ha fatto di-scutere l’opinione pubblica1. Due coppie coniugate si erano rivolte all’ospedale Pertini di Roma, per procedere a una fecondazione assistita di tipo omologo; erano stati così creati in vitro em-brioni con i gameti dei componenti delle rispettive coppie. Per un tragico errore, gli embrioni erano stati scambiati al momento dell’inserimento nell’utero, con conseguenti due gravidanze (una delle quali conclusasi prematuramente per aborto spontaneo), nelle quali gli embrioni non avevano alcun legame genetico con colei che li portava in grembo (e con il marito di lei). La coppia, che aveva visto interrotta la gravidanza, ricorre ex art. 700 c.p.c. al Tribunale di Roma chiedendo, in prima battuta, ordinarsi all’ufficiale di stato civile di non formare un atto di nasci-ta dei futuri nati quali figli (trattavasi di gravidanza gemellare) della donna che li avrebbe parto-riti e del di lei coniuge, di consegnare i nati ai richiedenti, ovvero di collocarli in idonea struttu-ra, o in subordine di consentire ai genitori genetici la costruzione di un rapporto, in attesa della futura decisione di merito sull’attribuzione dello status filiationis. Il Giudice respinge il ricorso, dando doverosamente atto della parziale cessazione della materia del contendere, a fronte della sopravvenuta venuta al mondo dei bambini e dell’intervenuta formazione, nelle more, dell’atto di nascita come figli nati all’interno del matrimonio di colei che li aveva partoriti. La motivazione del provvedimento è ampia ed articolata e consente di svolge-re alcune considerazioni sui criteri attributivi dello status e sulle relative azioni. Preme, peraltro, premettere come il Tribunale, in modo molto efficace, riconduca la complessa fattispecie ad una fecondazione eterologa “da errore”, piuttosto che ad una surrogazione di maternità, sempre “da errore”. Nell’ipotesi di fecondazione eterologa, il concepito è infatti legato geneticamente ad uno dei due componenti la futura coppia genitoriale (per lo più la madre, per la difficoltà tecni-ca di creare “banche degli ovociti”, al fine di superare problemi di sterilità legati alla componen-te femminile della coppia, mentre più agevole è la costituzione e la gestione delle c.d. “banche del seme”). Il contratto di maternità surrogata presuppone invece un accordo in base al quale, di regola, una donna si impegna ad un’inseminazione artificiale con liquido seminale del com-ponente maschile della coppia committente e a portare avanti la gravidanza, con impegno a consegnare il nato alla coppia medesima; talvolta, la donatrice dell’ovocita è donna diversa dal-

1 Il testo del provvedimento è stato pubblicato su varie Riviste: per tutte Foro it., 2014, I, c. 2934; Famiglia e diritto, 2014, p. 919.

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la futura gestante (con la concorrente configurabilità di tre madri: quella committente, quella genetica e quella portante). Come è noto, solo con la sent. n. 162/2014 della Corte costituzio-nale è stato rimosso l’originario divieto di fecondazione eterologa, che costituiva uno dei fon-damenti della l. n. 40/2004 (e che aveva dato luogo al fenomeno del “turismo procreativo”). La medesima l. n. 40/2004 sancisce invece, all’art. 12, la nullità dei contratti di maternità surroga-ta, tramite l’irrogazione di sanzioni amministrative; sta di fatto che diversi Paesi (ad es. Ucrai-na, India, alcuni Stati nord-americani, ma pure, con cautele, la Gran Bretagna) ammettono espressamente e disciplinano i contratti di maternità surrogata, individuando talvolta normati-vamente contenuto e limiti di detti accordi. Quando la nascita avviene a seguito di fecondazio-ne assistita di tipo eterologo, il nato assume lo status di figlio nato all’interno, ovvero al di fuori del matrimonio, della coppia che ha fatto ricorso a questa tecnica (a seconda che sussista o meno matrimonio); ben più complessa è la questione che si presenta in caso di nascita da ma-ternità surrogata nei Paesi che non l’ammettono: il nato sarà figlio della coppia committente, per l’ordinamento locale, mentre possibili problemi si porranno nel momento in cui sarà chie-sta la trascrizione nei registri dello stato civile italiano degli atti di nascita formati all’estero. L’elemento che lega la fattispecie, oggetto dell’ordinanza annotata, alle tecniche riproduttive sopra menzionate, è la mancanza di legame genetico tra la gestante (e futura partoriente) ed il feto che porta in grembo. Un ulteriore vibrante attacco al principio romanistico, per cui mater semper certa est (pater numquam). Il dilemma su cui verte l’argomentazione del Tribunale può essere così sintetizzato: madre è colei che porta avanti la gravidanza, ovvero chi è legata da un vincolo genetico con l’embrione? E conseguentemente, in caso di matrimonio della donna in stato di gravidanza, padre del figlio sarà il marito della stessa, oppure il genitore biologico. Il Tribunale opta per la prima soluzione, sulla scorta del disposto di cui all’art. 269, 3° comma, c.c., che, se pur inserito nella disciplina della dichiarazione giudiziale della maternità, prevede che la prova della maternità medesima si realizzi, dimostrando l’identità di colui che pretende di essere figlio e di chi fu partorito dalla donna. Osserva il giudice che la norma in questione esprime un principio di carattere generale, tanto da non essere modificata dalla riforma del 1975, né dalla recentissima riforma della filia-zione del 2012-2013 (quando le tecniche di fecondazione in vitro erano già molto perfezionate e non poteva sembrare peregrino ipotizzare fattispecie come quella, oggetto del procedimen-to). Il Tribunale induce così una presunta volontà del legislatore di mantenere ferma la regola, ancorché pare lecito avanzare qualche perplessità sul fatto che, a fronte del mantenimento in-tegrale dell’art. 269 c.c., vi fosse stata proprio quell’intenzione che il Giudice ritiene di indivi-duare. Nello stesso tempo, il Tribunale giustifica la ratio di quella previsione, evidenziando che la letteratura scientifica è unanime nel rilevare «come sia proprio nell’utero che si crea il lega-me simbiotico tra il nascituro e la madre. D’altro canto è solo la madre uterina che può provve-dere all’allattamento al seno del bambino». Si giustifica così l’interesse dei due neonati a man-tenere il rapporto simbiotico instauratosi con la loro madre, già nei primi loro giorni di vita; sotto il profilo più strettamente giuridico, viene disattesa la questione di legittimità costituzio-nale dell’art. 269 c.c., sollevata dai ricorrenti (salva la questione della compatibilità di tale ecce-zione con la natura cautelare del procedimento). Identificando la madre in colei che ebbe a partorire, ed essendo la stessa coniugata, opera la presunzione di paternità in capo al marito di lei, ex art. 231 c.c., una volta formato l’atto di na-scita dei bambini come nati all’interno del matrimonio. Come è noto, lo stato di figlio “matri-moniale” (già figlio legittimo) può essere contestato tramite l’azione di disconoscimento della paternità, ove si assuma che il figlio non sia stato generato dal marito di colei che risulta madre. L’azione, pur modificata con la recente riforma della filiazione, relativamente ai termini di pro-

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posizione, può essere esercitata solo dai componenti di quella che inizialmente veniva qualifi-cata come famiglia “legittima” (madre, padre e figlio). Dunque, solo colei che ebbe a partorire e il marito di lei potrebbero agire per il disconoscimento di paternità, piuttosto che i figli stessi, con un’azione per questi ultimi divenuta imprescrittibile. Nessuna legittimazione può compe-tere al padre biologico (come la giurisprudenza più volte ha avuto ad affermare in relazione al caso più comune di adulterio della donna). A diverse considerazioni si sarebbe potuti perveni-re, ove la partoriente non fosse stata coniugata e il rapporto di filiazione con il padre fosse stato instaurato a seguito di riconoscimento (certamente non veritiero) da parte del compagno di lei. Come è noto, l’art. 263 c.c., pur dopo la riforma della filiazione, continua ad attribuire la le-gittimazione all’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità anche a chiunque vi abbia interesse (e, in primis, al padre biologico, a fronte di un riconoscimento po-sto in essere da altro uomo) 2. Certo che in questo caso le conseguenze potrebbero anche esse-re paradossali: i bambini risulterebbero figli di genitori appartenenti a due gruppi familiari di-versi, una volta che, all’accoglimento della domanda ex art. 263 c.c., facesse seguito il ricono-scimento del genitore biologico, diverso dal marito che risulta madre. Potrebbe discutersi se, nella fattispecie in esame, possano ricorrere o meno gli estremi per l’esercizio di altra azione di stato, ossia quella di reclamo dello stato di figlio (prima della rifor-ma del 2012-2013, della legittimità). L’art. 238 c.c. esclude, di regola, che sia possibile reclama-re uno stato differente da quello attribuito dall’atto di nascita al figlio, salvo quanto previsto in norme di rinvio, tra le quali l’art. 239 c.c. relativo alla sostituzione di neonato. È legittimo do-mandarsi se la sostituzione degli embrioni possa equipararsi alla sostituzione di neonato; dal punto di vista dei principi, nulla pare ostare ad una risposta affermativa. Si tratta pur sempre di una sostituzione di figlio, attuata prima della nascita, piuttosto che in un momento successivo (se pur con tutte le implicazioni connesse all’instaurazione di un legame simbiotico tra il feto e la gestante, di cui si è detto). Sta di fatto che la legittimazione attiva all’azione di reclamo com-pete pur sempre al solo figlio, come dispone l’art. 249 c.c.; il legislatore, sia prima, che dopo la riforma, non ha previsto legittimazione concorrente di altri soggetti. Molto peraltro si era di-scusso in dottrina se, nel silenzio della norma, i genitori potessero ritenersi legittimati attivi, ove avessero inteso reclamare la legittimità di un proprio figlio; ove lo si ammettesse, i genitori biologici potrebbero allora agire nei confronti di quelli risultanti tali nell’atto di nascita, e dei figli medesimi (rappresentati da un curatore speciale) 3. In ogni caso, la questione in esame è densa di problematiche, solo in parte di natura stretta-mente giuridica, tanto è vero che sulla dolorosa vicenda si era già pronunciato, prima dell’inter-vento del Giudice, il Comitato Nazionale per la Bioetica. Vengono, infatti in considerazione i principi che regolano l’attribuzione dello status filitionis, ma anche la tutela delle relazioni che si instaurano tra il minore e le figure parentali che a lui fanno riferimento, a prescindere dall’esi-stenza di un vincolo genetico. Nel contempo, assume autonoma rilevanza il diritto di ogni per-sona a conoscere le proprie origini, quale elemento del più ampio diritto all’identità personale.

2 Cfr. al riguardo A. FIGONE, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Giappichelli, Torino, 2014. 3 Cfr. M. DOGLIOTTI-A. FIGONE, Le azioni di stato, Giuffrè, Milano, 2014.

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DIRITTO ALLE ORIGINI: PROSPETTIVE DI RIFORMA DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COST. 22 NOVEMBRE 2013, N. 278 

Monica Velletti Giudice della Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma Sommario: 1. Diritto alla conoscenza delle origini: ratio ed evoluzione. – 2. Decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: il caso Godelli c. Italia. – 3. Sentenza della Corte cost. 22 novembre 2013, n. 278. – 4. Decisioni delle Corti di merito successive alla pronuncia di incostituzionalità, tra attesa di un intervento legislativo ed effica-cia diretta. – 5. Quali i possibili contenuti della nuova norma? – 6. Diritto alla conoscenza delle origini e feconda-zione eterologa. 1. Diritto alla conoscenza delle origini: ratio ed evoluzione  Il tema del diritto alle origini è divenuto di attualità all’indomani dell’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che con la sentenza Godelli c. Italia ha condannato l’Italia per non aver garantito un idoneo bilanciamento tra il diritto della madre, che alla nascita del figlio si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata, e il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. L’ordinamento italiano, al contrario di quanto previsto in altri ordinamenti che hanno adottato la regola del riconoscimento automatico considerando per legge come madre la donna che ha partorito il figlio, riconosce il diritto della madre a non essere nominata al momento della na-scita. Questa facoltà venne introdotta, nel nostro ordinamento, con il r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, convertito nella l. 6 dicembre 1928, n. 2838, recante non a caso “Norme sull’assistenza degli ille-gittimi, abbandonati o esposti all’abbandono”. Nella legislazione vigente, l’art. 30, 1° comma del d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, stabilisce che il medico o l’ostetrica o la persona che assiste al parto al momento della nascita deve rispettare «l’eventuale volontà della madre di non essere nominata». La scelta normativa affonda le sue radici in una valutazione politica secondo la quale la possibilità di vedere garantito l’anonimato dissuaderebbe la madre da scelte estreme, evitando il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza ovvero, all’abbondono del neo-nato alla nascita. Questa opzione normativa sarebbe, inoltre, sostenuta dalla possibilità di ga-rantire alla madre e al nascituro il parto in sicurezza, scongiurando il rischio che per tenere cela-ta una nascita indesiderata la partoriente si sottragga dal circuito legale della nascita, mettendo a rischio la propria salute e quella del nascituro. Il tema del diritto alle origini si sovrappone inevitabilmente con quello dell’adozione che, al-meno nel caso dell’adozione piena, si fonda sull’irrevocabilità della stessa e sulla conseguente

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cessazione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine (art. 27, 3° comma, l. n. 184/1983), e sui conseguenti limiti posti dal legislatore al diritto del figlio di conoscere le proprie origini, limiti ritenuti conformi all’interesse del minore che verrebbe salvaguardato da un accesso indi-scriminato a tali informazioni. Il diritto alle origini è divenuto oggetto di disciplina anche a livello di fonti sovranazionali. La Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York nel 1989, all’art. 7 riconosce quale diritto del figlio quello di conoscere i propri genitori naturali (seppur nella misura del possibile). La Convenzione dell’Aja del 1993, che ha definito un perimetro condiviso di regole all’interno delle quali disciplinare l’adozione internazionale di minori, ha statuito all’art. 30 che le compe-tenti autorità degli Stati contraenti assicurano l’accesso del minore alle informazioni sulle sue origini, relative in particolare all’identità della madre e del padre, nonché alle informazioni sani-tarie dello stesso minore e della sua famiglia, prevedendo che le autorità siano tenute a conser-vare queste informazioni con la massima cura. Ma, soprattutto, l’ampia interpretazione data dai giudici di Strasburgo all’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, che tutela il rispetto della vita privata e familiare contro gli arbitri, ma anche contro le eccessive ingerenze delle autorità pubbliche, ha ricompreso il diritto alla conoscenza delle proprie origini nell’alveo applicativo di tale norma. Consapevole delle spinte provenienti dalla legislazione sovranazionale, la l. n. 149/2001 è in-tervenuta a riformulare le norme che disciplinavano la materia nell’ambito dell’adozione di mi-nori. Il principio generale è quello del divieto di informazioni in merito all’esistenza del rappor-to di adozione, informazioni cui i terzi non possono accedere. L’art. 28, l. n. 184/1983 pur di-sponendo che i genitori adottivi abbiano l’obbligo di comunicare al figlio la sua condizione di adottato, impone alle autorità pubbliche di non fornire informazioni o certificazioni dalla quali possa emergere il rapporto adottivo (con l’unico limite delle informazioni richieste dall’uffi-ciale dello stato civile per verificare la sussistenza di impedimenti matrimoniali). A fronte di ta-le generale divieto la norma prevede delle ipotesi, ricorrendo le quali, lo stesso adottato o i ge-nitori adottivi possano acquisire informazioni sui genitori biologici, ma operando una netta dif-ferenziazione tra i soggetti adottati, per i quali la madre non abbia esercitato il diritto a non es-sere nominata e coloro la cui madre abbia esercitato tale diritto. La legislazione vigente, infatti, nell’art. 28, l. n. 184/1983, mentre prevede, al 5° comma, che previa autorizzazione del Tribu-nale per i minorenni, l’adottato, raggiunta l’età di 25 anni, possa accedere alle informazioni ri-guardo alla sua origine e all’identità dei genitori biologici, e nel caso sia maggiorenne ma non abbia ancora raggiunto i 25 anni, possa ottenere tali informazioni, ma solo per «gravi e com-provati motivi attinenti la sua salute psico-fisica», dispone al 7° comma che, nel caso in cui la madre abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, l’accesso a tali informazioni non è consentito. Inoltre, l’art. 93 del codice della privacy, stabilisce che il certificato di assi-stenza al parto o la cartella clinica, se comprensivi dei dati identificativi della madre che abbia esercitato il diritto di non essere nominata alla nascita, possono essere rilasciati in copia inte-grale a chi ne abbia interesse, solo decorsi 100 anni dalla formazione del documento. Pertanto, mentre il figlio la cui madre non abbia esercitato il diritto all’anonimato può avere ac-cesso, seppure a determinate condizioni, alle proprie origini, ciò non accade nel caso di figlio la cui madre abbia voluto rimanere anonima alla nascita, con evidente disparità di trattamento. Le ragioni di tale differenza sono state giustificate anche dalla Corte costituzionale intervenuta più volte in materia (cfr. sent. n. 425/2005 1, con la necessità di preservare la stessa nascita del figlio

1 In Nuova giur. civ. comm., 2006, p. 545, con nota di J. LONG, Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: costituzio-nalmente legittimi i limiti nel caso di parto anonimo; in Familia, 2006, p. 161, con nota di L. BALESTRA, Il diritto alla conoscen-

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e di garantire alla madre e al nascituro piena assistenza durante la gestazione ed il parto, scon-giurando, come detto, scelte abortive ovvero di abbandono del bambino con gravi rischi per la salute della madre e per la stessa sopravvivenza del figlio. Il tema dell’accesso alle origini ha una forte connotazione politica, poiché si tratta di scegliere tra due opzioni tradizionalmente presenti negli ordinamenti occidentali: quella basata sul prin-cipio volontaristico del riconoscimento che garantisce alla madre la scelta di preservare l’anoni-mato e quella basata sul favor veritatis che afferma come prevalente il diritto del figlio di cono-scere le proprie origini. Opzioni che risentono di un dato naturalistico per il quale mater semper certa est, pater numquam, che quantomeno prima dell’introduzione delle tecniche di procrea-zione medicalmente assistita evidenziava la differenza biologica, oltre che giuridica, della posi-zione della madre rispetto a quella del padre. Nel recente passato, infatti, qualunque fosse l’ori-gine della filiazione, all’interno del matrimonio o al di fuori di esso, la posizione della madre era fisiologicamente diversa da quella del padre, collegata quest’ultima o all’operare della presun-zione di paternità nel caso di nascita nel matrimonio, ovvero ad una atto volontaristico, il rico-noscimento, nel caso di filiazione avvenuta al di fuori del vincolo coniugale, ovvero ad una pro-nuncia giudiziale nel caso di dichiarazione giudiziale di paternità. Le due opzioni legislativa-mente possibili con riferimento alla posizione della madre, hanno generato una divaricazione tra gli ordinamenti europei, divisi tra Stati che hanno enfatizzato la volontà della madre, rico-noscendole il diritto all’anonimato e Stati che, privilegiando il favor veritatis, hanno negato tale possibilità ispirando le loro legislazioni al brocardo mater semper certa est. L’assoluta prevalenza è per questa seconda opzione presente negli ordinamenti della maggioranza degli Stati occi-dentali, mentre hanno riconosciuto il diritto all’anonimato della madre un minor numero di Paesi (Francia, Italia e Lussemburgo). Questi schemi tradizionali sono stati messi alla prova dalle scoperte scientifiche, quali l’esame del DNA e la fecondazione artificiale, nelle diverse forme possibili, che hanno reso ancor più difficile la valutazione e ponderazione degli interessi in gioco. Nel quadro così delineatosi, seppure in continua evoluzione, dove il diritto fatica ad adeguarsi all’espansione della ricerca scientifica e del sentire sociale, sono intervenute decisioni giuri-sprudenziali che impongono l’urgente approvazione di modifiche normative. 2. Decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: il caso Godelli c. Italia 

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la richiamata decisione 25 settembre 2012, Godelli c. Italia 2, ha ritenuto che la legislazione italiana violasse i principi contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo per aver assicurato una tutela dell’anonimato della madre giudi-cata non equa, in quanto non adeguatamente bilanciata rispetto al diritto del figlio adulto, pur

za delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori biologici; in Giur. cost., 2005, p. 4602, con nota di A.O. COZZI, La Corte costituzionale e il diritto di conoscere le proprie origini in caso di parto anonimo: un bi-lanciamento diverso da quello della CEDU?, in Giur. it., 2006, p. 1801, con nota di S. MARZUCCHII, Dei rapporti tra l’identità dell’adottato e la riservatezza del genitore naturale; in Dir. famiglia, 2006, p. 884, con nota di L. CARLETTI, Accesso dell’adot-tato alle informazioni sulle proprie origini: legittimo il divieto ove la madre abbia dichiarato di non voler essere nominata. 2 Sulla sentenza Godelli, cfr. J. LONG, La Corte europea dei diritti dell’uomo censura l’Italia per la difesa a oltranza dell’anoni-mato del parto: una condanna annunciata, in Nuova. giur. civ., 2013, I, p. 110; A. MARGARIA, Parto anonimo e accesso alle ori-gini: la Corte europea dei diritti dell’umo condanna la legge italiana, in Minorigiustizia, 2013, 2, p. 340; G. CURRÒ, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento, in Famiglia e diritto, 2013, p. 537; C. INGENITO, Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritto dell’uomo, in Giust. civ., 2013, p. 1608.

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se adottato da terzi, di avere informazioni sulle sue origini familiari. La decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha preso le mosse da un ricorso presentato dalla Sig.ra Godelli, nata nel 1943 e non riconosciuta alla nascita dalla madre biologica che aveva esercitato il diritto di “non essere nominata”, dato desumibile dall’atto di nascita. La bambina abbandonata in un orfanatrofio venne poi affidata alla famiglia Godelli e all’età di sei anni “affiliata” (istituto al-l’epoca destinato all’inserimento di un minore in famiglia diversa da quella di origine, e con ef-fetti analoghi, ma molto meno tutelanti per il minore rispetto all’adozione piena) dai coniugi Godelli. A dieci anni la bambina scoprì di non essere figlia dei genitori “affilianti”, ma non ebbe informazioni sulla sua origine, neppure quando scoprì che nel suo stesso giorno di nascita era nata ed era stata abbandonata un’altra bambina, presumibilmente sua sorella gemella, che i ge-nitori le impedirono di frequentare. Nel 2006, ormai adulta la Sig.ra Godelli chiese ufficialmen-te informazioni sulla sua origine all’ufficiale dello Stato civile del Comune di Trieste, ricevendo l’atto di nascita privo di informazioni relative alla madre che aveva esercitato il diritto a non es-sere nominata. Per avere tali informazioni, si rivolse prima al Tribunale di Trieste, e a seguito della dichiarazione di incompetenza del Tribunale adito, al Tribunale per i minorenni della stessa città, che applicando l’art. 28, l. n. 184/1983 respinse la richiesta di accesso alle informazioni sulle sue origini. Proposto appello avverso tale decisioni, anche questo venne respinto. La Cor-te di Strasburgo evidenziando come il diritto di conoscere le proprie origini rientri nel capo di applicazione dell’art. 8 CEDU, e in particolare nella nozione di vita privata «che comprende aspetti importanti dell’identità personale di cui fa parte l’identità dei genitori», e ricordando che «l’articolo 8 tutela un diritto all’identità e allo sviluppo personale ... cui contribuiscono la scoperta dei dettagli relativi alla propria identità di essere umano e l’interesse vitale, tutelato dalla Convenzione, ad ottenere informazioni necessarie alla scoperta della verità riguardante un aspetto importante dell’identità personale, ad esempio l’identità dei propri genitori», ha di-chiarato ricevibile il ricorso. Nel merito il ricorso è stato accolto in quanto l’art. 8 CEDU oltre a proteggere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, imporrebbe agli stati con-traenti “obblighi positivi” inerenti l’effettivo rispetto della vita privata, dovendo garantire un “giusto equilibrio” tra gli interessi concorrenti. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo già prima del caso Godelli, era stata chiamata a valutare, nella causa Odièvre c. Francia (ricorso n. 42326/1998) la compatibilità con i principi della Convenzione della normativa francese che, riconoscendo come quella italiana il diritto della madre a mantenere l’anonimato, aveva tutta-via operato un valido contemperamento di interessi tra il diritto della madre e quello del figlio. La disciplina francese garantendo la possibilità di interpellare la madre circa la volontà di con-fermare o meno la scelta operata al momento della nascita del figlio, operava un legittimo bi-lanciamento tra i due interessi coinvolti, quello della madre a conservare l’anonimato e quello del figlio ad interpellare una volta divenuto adulto la madre, per il tramite delle autorità compe-tenti al fine di valutare al permanenza di questa volontà ovvero l’emergere della volontà contra-ria a che le informazioni sulla propria identità fossero messe a disposizione del figlio. La Corte EDU già in altre occasioni si era pronunciata in materia di diritto alle origini: nel 1989 con la sentenza Gaskin c. Regno Unito, ricorso n. 10454/1983, stabilendo l’importanza delle informa-zioni acquisite al momento della nascita soprattutto qualora costituiscano l’unico mezzo per conoscere aspetti della infanzia, affermando l’esistenza di un interesse, protetto dall’art. 8 CE-DU, a ricevere informazioni sulla infanzia; nel 2002, con la sentenza Mikuli c. Croazia, ricorso n. 53176/1999, nella quale è stato evidenziato come le notizie sulla nascita siano necessarie per la formazione della personalità. Analizzando la disciplina nazionale, dopo aver rilevato che la Sig.ra Godelli non aveva avuto nessuna informazione sulla nascita che le permettesse di «stabi-lire alcune radici della sua storia nel rispetto della tutela degli interessi dei terzi», e senza che

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venisse operato alcun bilanciamento, la Corte ha osservato «che a differenza del sistema fran-cese esaminato nella sentenza Odièvre la normativa italiana non tenta di mantenere alcun equi-librio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa. In assenza di meccanismi destinati a bilan-ciare il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini con i diritti e gli interessi della ma-dre a mantenere l’anonimato, viene data inevitabilmente una preferenza incondizionata a que-sti ultimi», con conseguente condanna dello Stato italiano a risarcire il danno morale subito dalla ricorrente. 3. Sentenza della Corte cost. 22 novembre 2013, n. 278  Sulla scia di questa decisione la Corte costituzionale, con la sent. 22 novembre 2013, n. 278 3, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 28, 7° comma, l. n. 184/1983 nella parte in cui non prevede la possibilità che il figlio, possa «attraverso un procedimento stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza», chiedere al giudice di interpellare la madre, che abbia dichia-rato di non voler essere nominata (ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. n. 396/2000) ai fini di un’even-tuale revoca della dichiarazione. Il caso sottoposto all’attenzione della Consulta originava dalla domanda di una donna, nata nel 1963 e adottata nel 1969, che esponeva di essere venuta a co-noscenza della sua adozione soltanto in occasione della procedura di divorzio dal marito, e che l’ignoranza sulle sue origini le aveva impedito, finanche, di accedere ad informazioni per la cura di patologie che l’avevano colpita. Investito il Tribunale per i minorenni di Catanzaro della ri-chiesta di avere informazioni sull’identità della madre che aveva esercitato il diritto a non essere nominata, il Collegio ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma. La Con-sulta pur riconoscendo piena validità alla ratio giustificatrice della disposizione che garantisce la scelta della madre di non essere nominata, osservando che tale diritto si fonda sull’esigenza di salvaguardia della vita e della salute, tuttavia, richiamando la sentenza Godelli della Corte EDU, ha censurato la disciplina nazionale per la “sua eccessiva rigidità” nella parte in cui non dando alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto dalla madre alla nascita di avere informazioni sulle proprie origini violerebbe il diritto del figlio all’accesso alle origini. Nella pronuncia di incostituzionalità il giudice delle leggi assegna un preciso compito al legislatore, quello di «introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attua-lità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a caute-lare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circo-scrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto».

3 In Corr. giur., 2014, 4, p. 471, con nota di T. AULETTA, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia; in Nuova giur. civ., 2014, 4; J. LONG, Adozione e segreti: costituzionalmente illegitti-ma l’irreversibilità dell’anonimato del parto; in Famiglia e diritto, 2014, 1, p. 11 ss., con nota di V. CARBONE, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno; in Guida dir., 2013, 49, p. 14, con nota di A. FINOCCHIARO, Il segreto sulle origini perde il carattere irreversibile ma la donna può decidere di restare nell’anonimato; in Riv. dir. civ., 2014, 3, B. CHECCHINI, Anonimato Materno e diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini. Sulla questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, con P.G. GOSSO, Davvero incostituzionali le norme che tutelano il segreto del parto in anonimato, in Famiglia e diritto, 2013, p. 817.

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4. Decisioni delle Corti di merito successive alla pronuncia di incostituzionalità, tra attesa di un intervento legislativo ed efficacia diretta  All’indomani della sentenza della Corte costituzionale e in mancanza dell’auspicato intervento legislativo la situazione è quanto mai complessa e variegata. Alcuni Tribunali per i minorenni hanno ritenuto che nonostante la decisione della Consulta di incostituzionalità della norma, fosse necessario attendere un intervento legislativo per procede-re all’accoglimento della domanda formulata dal figlio di madre “anonima” a che venisse inter-pellata la genitrice per manifestare l’attualità della scelta dell’anonimato. Il Tribunale per i mi-norenni di Catania con decreto del 18 luglio 2014, ha dichiarato «di non poter eseguire la ri-chiesta dell’istante di conoscere l’identità materna mancando una disciplina legislativa volta al-la ricerca della donna e alla indicazione delle modalità di interpello», ordinando l’archiviazione del procedimento. Alla stessa conclusione, seppure con il diverso esito del rigetto della do-manda, è pervenuto il Tribunale per i minorenni di Bologna, che nel decreto del 4 dicembre 2014, pur evidenziando «la necessità di un equo contemperamento di interessi tra il diritto, da un lato, di chi è interessato a conoscere le proprie origini e chi, dall’altro, intende mantenere la segretezza della propria identità» ha comunque rigettato l’istanza di accesso alle origini rite-nendo «necessario e indispensabile un previo intervento normativo grazie al quale il legislatore possa disciplinare, nell’ambito della sua discrezionalità, termini e condizioni grazie ai quali il giudice possa interpellare la madre che, al momento del parto, non aveva acconsentito di essere nominata, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione». Altri Tribunali per i minorenni hanno, invece, ritenuto di accogliere le richieste presentate da figli di madri “anonime”. Il Tribunale di Firenze, con decreto del 6-7 maggio 2014 4, investito di un ricorso con il quale veniva richiesto di interpellare la madre biologica dell’istante al fine di raccogliere l’eventuale revoca dell’anonimato a suo tempo imposto, ed in caso di revoca che ve-nisse concessa l’autorizzazione ad accedere alle informazioni sulla identità della madre biologi-ca, ha conferito delega al giudice relatore «a disporre con le dovute cautele le necessarie ricer-che atte a verificare l’attuale volontà della madre biologica della ricorrente». Più di recente il Tribunale di Trieste, con decreto del 5 marzo 2015, dopo aver dato atto che a seguito delle ri-cerche della madre biologica del richiedente, la donna era stata identificata, e dopo aver rimar-cato l’orientamento del Tribunale, «secondo il quale, nelle more di un intervento legislativo che dettagli, come indicato dalla sentenza della Corte cost. n. 278/2013, le modalità di identifi-cazione della madre biologica e di raccolta del suo eventuale consenso, sussista per il Tribunale stesso l’obbligo, in forza della menzionata pronuncia della Consulta, la quale ha recepito l’o-rientamento già espresso in materia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo anche nei con-fronti dello Stato Italiano con propria sentenza del 25 settembre 2012, di provvedere a tale identificazione, al fine di consentire alla madre biologica di essere messa al corrente del ricorso e di eventualmente esercitare la sua facoltà di rimuovere il segreto sulla propria identità che aveva inteso apporre successivamente al parto», ha dettato un vero e proprio “decalogo” per inter-pellare la madre biologica al fine di conoscere la sua volontà a permanere nell’anonimato ovve-ro a permettere la rivelazione al figlio della propria identità. Il Tribunale per i minorenni di Trie-ste ha incaricato i Servizi sociali del Comune di residenza della madre biologica di recapitare, esclusivamente a mani proprie dell’interessata, la lettera del Tribunale di convocazione per co-municazioni orali, presso la sede del Servizio sociale o a domicilio (se preferito dall’interessata),

4 Sull’attuazione diretta della decisione della Corte costituzionale da parte del Tribunale per i Minorenni di Firenze, si veda la nota a sentenza di V. CARBONE, L’adottato alla ricerca della madre biologica, in Famiglia e diritto, 2014, 11, p. 1003.

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indicando nel decreto tre date possibili, prevedendo che qualora l’interessata avesse chiesto il motivo della convocazione, l’operatore del servizio sociale avrebbe dovuto rispondere: «non ne sono a conoscenza» e ricordando per l’operatore la necessità di rispettare il più stretto se-greto d’ufficio; il Servizio sociale è stato onerato di informare il Tribunale delle condizioni di salute psicofisica della persona, in modo da consentire ogni cautela. L’onere di informare la donna è stato posto a carico del giudice onorario all’uopo delegato dal Collegio, precisando che eventuali accompagnatori della donna se presenti nella data indicata sarebbero dovuti ri-manere fuori. Il decreto fornisce i dettagli del colloquio tra la donna e il giudice onorario («du-rante il colloquio la persona viene informata che il figlio/a che mise alla luce nel ..., il Giudice onorario indicherà fin qui solo la data di nascita e il luogo di nascita, senza ancora indicare al-cun altro dato del figlio/a, e informerà la persona della sua facoltà a disvelare la sua propria identità»), prevedendo che nel caso di diniego del consenso, il Giudice onorario si dovrà limi-tare a riferirlo per iscritto al Tribunale, senza redigere alcun verbale e senza informare la persona dell’identità del/della figlio/a ricorrente, nel caso di prestazione del consenso, il giudice onora-rio dovrà redigere un verbale di quanto effettuato informando poi il figlio richiedente dell’iden-tità della madre. Anche il Tribunale per i minorenni di Roma ha accolto le richieste dei figli nati da madre “ano-nima” a conoscere l’identità della genitrice, delegando al personale appartenente alle forze del-l’ordine le ricerche della documentazione necessaria a risalire all’identità della madre, al servi-zio sociale il compito di contattare la donna e rimettendo al giudice la fase più delicata del pro-cedimento, quella della richiesta alla madre di esprimersi sulla rimozione dell’anonimato. La Corte d’Appello di Catania, esprimendo un orientamento difforme rispetto al locale Tribu-nale per i minorenni, ha ritenuto che il figlio abbia diritto a conoscere le proprie origini anche nelle more dell’intervento legislativo. La Corte d’Appello di Torino, con decreto del 5 novembre 2014, n. 598, ha affrontato il caso dell’istanza del figlio di accesso alle origini in caso di decesso della madre biologica. A seguito del-le indagini svolte per provvedere sulla domanda di una donna, nata nel 1974 da madre che non aveva consentito di essere nominata, di accesso alle origini era emerso il decesso della madre. Il Tribunale per i minorenni di Torino prendendo atto del decesso aveva respinto la richiesta rile-vando come la morte precludesse la possibilità di interpello della madre in ordine alla volontà o meno di mantenere l’anonimato. La Corte d’Appello torinese ha confermato la decisione, riget-tando il reclamo proposto dalla donna, rilevando come nel caso di specie non potesse applicarsi la normativa sulla privacy, di cui al d.lgs. n. 196/2003 richiamata dalla reclamante, e affermando che la Corte costituzionale con la sent. n. 278/2013 avrebbe individuato quale elemento «inde-fettibile del bilanciamento fra il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini e quello della madre a rimanere ignota, la revocabilità del diniego espresso al momento del parto», ed esclu-dendo che con il decesso «possa desumersi una sorta di revoca implicita del diritto all’anonimato e che quest’ultimo, si estingua con il decesso della madre biologica atteso che, nella specie, non possa realizzarsi la conditio sine qua non, per il venir meno dell’anonimato e cioè la manifestazione del consenso dell’interessata». Secondo il Collegio torinese tale conclusione sarebbe suffragata dalla presenza nell’ordinamento dell’art. 93, 2° comma, d.lgs. n. 196/2003, che permette il rila-scio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, con i dati identificativi della madre, decorsi 100 anni dalla formazione dell’atto, disciplinando espressamen-te il caso di mancanza di consenso o di impossibilità di renderlo da parte dell’interessata. L’inter-pretazione della norma, forse eccessivamente formale, considerando che con il decesso della ma-dre gli interessi che l’anonimato intende tutelare potrebbero ritenersi non più sussistenti, è la na-turale conseguenza del vuoto legislativo venutosi a creare all’indomani della sentenza della Con-sulta.

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Da ciò emerge un quadro disordinato con applicazione della stessa pronuncia della Corte co-stituzionale a “geometria variabile”, e seria compromissione del principio della certezza del di-ritto. A seguito della dichiarazione di incostituzionalità è dunque necessario un intervento normativo che oltre a seguire la precisa linea delineata prima dalla Corte EDU e poi dalla Con-sulta, disciplinando un procedimento giurisdizionale con il quale il figlio possa chiedere che venga interpellata la madre al fine dell’eventuale revoca della scelta “dell’anonimato”, risolva i numerosi problemi connessi (individuazione dell’autorità competente, soggetti legittimati alla richiesta, disciplina nei casi di irreperibilità della madre o di suo decesso nelle more, possibilità per la madre di revocare l’anonimato anche prima della richiesta del figlio, ecc.). La futura norma, inoltre, dovrebbe dettare una disciplina che renda omogenea sul territorio na-zionale l’acquisizione di dati non identificativi della madre nel caso di parto anonimo, in modo da consentire al figlio, qualora la madre non voglia revocare la dichiarazione di anonimato, di ottenere informazioni il più possibile dettagliate sulle proprie origini, con particolare riferimen-to alla situazione sanitaria e a possibili malattie genetiche. 5. Quali i possibili contenuti della nuova norma?  La linea lungo la quale intervenire appare nella sostanza tracciata, laddove si consideri che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella richiamata sent. 13 febbraio 2003, caso Odièvre c. France, ha ritenuto conforme ai diritti sanciti dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, la legi-slazione francese che pur prevedendo il diritto della madre di non essere nominata alla nascita, permette al figlio di chiedere alle autorità di interpellare la madre per la revoca dell’anonimato, ed ha creato un sistema per il quale il figlio ha comunque diritto a conoscere una serie di in-formazioni relative alla sua nascita che pur se non identificative della madre, gli consentano di esercitare il diritto a conoscere le sue origini. In parlamento sono all’esame una serie di progetti di legge 5, tutti di iniziativa parlamentare, che presentano alcuni punti comuni sui quali vi è convergenza, quali ad esempio l’autorità giurisdi-zionale competente indicata nel Tribunale per i minorenni del luogo di residenza del soggetto che formula la domanda di accesso alle origini, in conformità con quanto previsto dal citato art. 28, l. n. 184/1983 che già regola la materia. Residuano alcuni aspetti problematici quanto a diversi ambiti di applicazione della disciplina in esame. Un primo dubbio da sciogliere potrebbe riguardare la possibilità che ad accedere alle informa-zioni relative all’identità della madre che abbia esercitato il diritto all’anonimato sia il figlio mi-norenne. La legislazione francese prevede (147-2 del code de l’action sociale et des famille, come modificato dalla loi n. 2002-93) che a formulare domanda di accesso alle origini possa essere anche il minore attraverso i suoi o il suo rappresentante legale o lui stesso con l’accordo del rappresentante legale. Il problema dovrebbe porsi anche nella nostra legislazione se si conside-ra che il 4° comma, del vigente art. 28, l. n. 184/1983, prevede che le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici, possono essere fornite ai genitori adottivi del figlio minore, che esercitino la responsabilità genitoriale sui figli, su autorizzazione del Tribunale per i minorenni «solo se sussistono gravi e comprovati motivi»; non permettere per gli stessi motivi l’accesso alle informazioni ai genitori adottivi di minore, nel caso di madre che abbia esercitato il diritto

5 A.C. 784; A.C. 1343; A.C. 1874; A.C. 1901; A.C. 1983; A.C. 1989; A.C. 2321; A.C. 2351 confluiti in un testo unificato attualmente all’esame della Commissione Giustizia della Camera.

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a non essere nominata, potrebbe far permanere una odiosa discriminazione. Al fine di evitare che si realizzi una disparità di trattamento, ammessa la possibilità di accesso alle origini previa espressa volontà della madre di rinuncia all’anonimato, dovrebbe essere estesa l’applicabilità dell’attuale 4° comma dell’art. 28, anche ai genitori adottivi (o ai tutori) di figlio nato da madre che abbia esercitato il diritto all’anonimato. Un’altra riflessione dovrebbe riguardare l’età, raggiunta la quale, il figlio può avere accesso alle informazioni: la normativa vigente (art. 28, l. n. 184/1983) differenzia tra il figlio che abbia rag-giunto i 18 o i 25 anni. In proposito potrebbe essere opportuno valutare di uniformare l’intera disciplina (e dunque modificare in tal senso il vigente art. 28) fissando la sola maggiore età co-me limite minimo per avere accesso alle informazioni, in quanto negli ordinamenti analoghi (come quello francese) vi è distinzione solo tra minorenni e maggiorenni e non tra diverse ca-tegorie di maggiorenni. Altro punto critico sul quale il legislatore dovrebbe interrogarsi riguarda la possibilità che pos-sano avere accesso alle informazioni anche i discendenti in linea retta, in caso di decesso dell’a-dottato, su tale aspetto occorre riflettere per valutare se il diritto alle origini, considerato com-ponente del diritto alla vita privata tutelato dall’art. 8 CEDU, debba essere riconosciuto anche per i discendenti in linea retta alle stesse condizioni a cui è riconosciuto all’adottato. Occorrerebbe poi valutare la possibilità che a presentare la domanda sia in caso di maggioren-ne sottoposto a tutela ovvero assistito da un amministratore di sostegno, il tutore o l’ammini-stratore di sostegno. Trattandosi di atto personalissimo la precisazione potrebbe essere oppor-tuna per non creare difficoltà applicative; in merito si segnala che la legislazione francese pre-vede espressamente che qualora il figlio maggiorenne sia sotto tutela sia il tutore a poter pro-porre domanda per conoscere le origini. Altro punto di criticità che sembra emergere dall’esame di alcuni dei progetti di legge presenta-ti in Parlamento per disciplinare la materia riguarda le informazioni relative al padre biologico. Alcuni dei progetti di legge in esame nel disciplinare le modalità con le quali l’adottato può ave-re accesso alle informazioni in caso di parto anonimo, prevedono espressamente la possibilità che il figlio abbia informazioni anche sul padre (si pensi a dati indirettamente desumibili dai certificati di assistenza al parto). Ma mentre la madre che abbia esercitato il diritto a non essere nominata ha una sorta di “protezione giuridica” a che a seguito della sua identificazione il figlio non possa proporre azione di accertamento giudiziale di maternità, lo stesso non può dirsi per il padre, nei confronti del quale sussistendone i presupposti (in mancanza ed esempio di uno sta-tus incompatibile) il figlio, una volta identificato il padre, potrebbe procedere con un’azione giudiziale di accertamento di paternità. In questo modo si potrebbe creare una disparità di trat-tamento tra la madre che ha diritto all’anonimato e il padre che non avendo questo diritto po-trebbe vedersi chiamato in giudizio, a seguito delle informazioni fornite dall’autorità giurisdi-zionale, per l’accertamento giudiziale di paternità. La questione si presenta delicata e suscettibi-le di necessaria riflessione. Uno dei problemi che probabilmente si presenterà con maggiore frequenza statistica sarà quel-lo della irreperibilità della madre, se si considera che, allo stato, la maggior parte delle donne che esercitato il diritto a non essere nominate è straniera e quindi è presumibile che dopo un minimo di 18 o 25 anni dall’evento della nascita non sia più presente sul territorio nazionale e non possa essere quindi interpellata per esprimersi sull’eventuale revoca dell’anonimato. Per evitare future difformi interpretazioni in caso di vuoto normativo, sarebbe opportuno discipli-nare espressamente tale ipotesi scegliendo tra le due opzioni possibili: ritenendo che in questo caso si presuma sussistere il dissenso alla revoca, con divieto assoluto di rilasciare informazioni, ovvero prevedendo che a determinate condizioni (per esempio interpellando eventuali discen-

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denti in linea retta che siano stati reperiti, ovvero in caso in cui sussistano «gravi e comprovati motivi attinenti la salute psico-fisica del figlio») il Tribunale possa autorizzare l’accesso alle o-rigini. Si tratta di una valutazione squisitamente politica, è comunque necessaria una chiara ri-sposta. Andrebbe, inoltre, disciplinata l’ipotesi in cui al momento della presentazione della domanda di accesso alle origini da parte del figlio la madre sia deceduta, interdetta ovvero sia assistita da amministratore di sostegno, per attribuire o meno il potere di superare l’anonimato ai discen-denti in linea retta al rappresentante legale, ovvero in caso di decesso ritenere l’informazione sulla identità della madre, liberamente acquisibile dal figlio. Ma l’aspetto che presenta indubbiamente maggiori criticità è quello relativo alla disciplina del procedimento da delineare per garantire che “l’interpello” della madre anonima per esprimersi sulla eventuale revoca della scelta di non essere nominata non produca fughe di notizie riservate. La disciplina normativa di altri paesi prevede la possibilità per la madre di rinunziare in ogni tempo all’anonimato, anche prescindendo dalla richiesta del figlio. Si potrebbe immaginare che l’eventuale revoca sia depositata presso il TM del luogo di residenza della madre, ovvero po-trebbe essere individuata un’autorità amministrativa che a livello centralizzato, raccolga e ar-chivi tutte le informazioni in merito ai parti c.d. “anonimi” e alle eventuali revoche espresse dal-la madri. Dovrebbe essere previsto che la revoca abbia forma scritta e che sia a sua volta revo-cabile in ogni tempo fino alla eventuale comunicazione al figlio. In Francia è stato creato un apposito Comitato che ha il compito di conservare tutte le informazioni e di ricevere le doman-de e fornire le risposte ai figli e agli altri legittimati attivi 6. Potrebbe essere compiuta una rifles-sione in tal senso al fine di accentrare le informazioni, che altrimenti potrebbero disperdersi, per esempio costituendo un archivio centralizzato delle informazioni nell’ambito di strutture già esistenti quali l’Autorità Garante per la Privacy (allo stato prevista come autorità a tal fine competente nel testo unificato dei diversi progetti di legge all’esame della Camera dei Deputati). La legislazione francese preveda espressamente che l’accesso alle origini, nel caso di madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, non fa nascere diritti ed obbligazioni a vantaggio o a danno di alcuna parte. La specificazione potrebbe essere opportuna anche nella futura legi-slazione nazionale per arginare eventuali richieste risarcitorie per mancato riconoscimento del rapporto di filiazione che, soprattutto alla luce dell’evoluzione pretoria del diritto al risarcimen-to del danno endofamiliare, potrebbero essere formulate. Inoltre, non può non rilevarsi la posi-tiva funzione di un’espressa indicazione in tal senso che potrebbe rendere più agevole per le madri revocare la dichiarazione di anonimato, stante l’espressa previsione normativa che da ta-le revoca e comunque dalla diffusione delle informazioni sull’identità della madre non derive-rebbero conseguenze giuridiche. Un altro aspetto che andrebbe meglio dettagliato è quello relativo alle informazioni da acquisi-re al momento della nascita qualora la madre dichiari di non voler essere nominata. La legisla-zione vigente permette, anche allo stato, di accedere alle informazioni non identificative riguar-danti l’anamnesi, la salute, il parto, ecc., ma l’assenza di una disciplina normativa nazionale che disciplini l’acquisizione di tali informazioni, fa sì che le stesse non siano acquisite in maniera u-niforme sul territorio nazionale. Si potrebbe prendere spunto da prassi virtuose come, per esempio dal Protocollo di intesa stipulato il 29 ottobre 2007 tra Comune di Roma e Tribunale per i Minorenni di Roma, e il Protocollo d’intesa stipulato il 27 novembre 2012 tra Provincia di Roma e Tribunale per i Minorenni di Roma, Procura della Repubblica presso il Tribunale per i

6 Sulla legislazione francese, M.G. STANZIONE, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, in Famiglia e diritto, 2015, 2, p. 190.

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Minorenni di Roma e i Distretti socio sanitari delle Aziende sanitarie. In questi Protocolli è sta-to previsto che nel rispetto dell’anonimato a garanzia della salute del bambino sia necessario registrare tutti i dati anamnestici materni (eventuali infezioni, decorso della gravidanza, malat-tie ereditarie, ecc.), «nonché effettuare sulla partoriente tutti gli esami diagnostici necessari per la trasmissione di patologie a trasmissione genetica», prevedendo che qualora la donna non ac-consentisse a rilasciare queste informazioni, dovranno comunque essere effettuate sul bambino una serie di analisi precisamente indicate nel Protocollo, «senza ulteriori autorizzazioni o ri-chieste», e con la specificazione che nella cartella clinica del neonato debbano essere raccolte quante più informazioni utili all’anamnesi clinica materna. Nel futuro testo di legge potrebbe essere inserita una disposizione che, rinviando per la disciplina di dettaglio ad un successivo de-creto interministeriale da adottare d’intesa tra i Ministeri della Giustizia e della Salute e di con-certo con il Ministero dell’Interno, stabilisca da una parte che le madri che esprimono la volon-tà di non essere dichiarate alla nascita siano informate delle conseguenze giuridiche di questa scelta e dell’importanza di ogni persona di conoscere le proprie origini, e dall’altra preveda che le madri potrebbero essere invitate a lasciare con il loro consenso, informazioni non identifica-tive sulla propria salute, sulla salute del padre, sulle origini del bambino, sulle circostanze della nascita e sui motivi della scelta dell’anonimato, tali da costituire un dossier al quale il figlio po-trà nel futuro accedere avendo conoscenza delle sue origini, anche qualora la madre non riten-ga di revocare la scelta dell’anonimato. Inoltre, le madri potrebbero essere informate della pos-sibilità di revocare in ogni tempo l’anonimato ma, in tal caso, la loro identità verrebbe comuni-cata al figlio solo in caso di domanda presentata da quest’ultimo, e per ovviare all’ipotesi di loro successiva irreperibilità al momento della richiesta del figlio, potrebbero essere interpellate sul-la eventuale volontà che in tale ipotesi la loro identità sia svelata. Qualora la madre non volesse lasciare alcuna informazione di quelle descritte, dovranno essere i responsabili delle strutture in cui avviene la nascita a raccogliere informazioni in merito alla salute della madre (ovviamente quelle desumibili dagli esami alla quale la stessa presti il proprio consenso) e a compiere una serie di esami sul bambino (da individuare nell’indicato decreto), come previsto nei richiamati Protocolli. Dal punto di vista della collocazione sistematica queste disposizioni potrebbero es-sere introdotte in un autonomo articolo dedicato al parto in anonimato da introdurre dopo l’art. 30 del d.p.r. n. 396/2000. Si segnala la necessità di modificare, con il futuro intervento normativo, l’art. 93 del d.lgs. n. 196/2003, che come sopra detto prevede che il certificato di assistenza al parto o la cartella cli-nica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che si sia avvalsa della facoltà di non essere dichiarata alla nascita, possano essere rilasciati trascorsi 100 anni dal-la formazione del documento, valutando di abbreviare il termine per esempio riducendolo a 60 anni. Tuttavia anche a prescindere da questo intervento è necessario coordinare la disciplina contenuta nella norma con le modifiche che verranno introdotte. 6. Diritto alla conoscenza delle origini e fecondazione eterologa  Il tema del diritto alla conoscenza delle origini è destinato ad avere più ampi orizzonti, rispetto a quelli connessi alle istanze dei nati da madre che abbia esercitato il diritto a non essere nomi-nata dopo il superamento del divieto di fecondazione eterologa 7. I Giudici costituzionali, nella sent. n. 162/2014, chiamati a valutare la possibilità di superare il divieto di fecondazione etero-

7 Sul punto, P. MOROZZO DELLA ROCCA, Dove finirà l’embrione se il piano si inclina ancora?, in Nuova giur. civ., 2015, 3.

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loga stante la mancanza di una regolamentazione che avrebbe potuto creare un vuoto legislati-vo incompatibile con la pronuncia di incostituzionalità, hanno ritenuto che la disciplina nor-mativa fosse ricavabile «mediante gli ordinari strumenti interpretativi, dalla disciplina concer-nente, in linea generale, la donazione di tessuti e cellule umani, in quanto espressiva di principi generali pur nelle diversità delle fattispecie (in ordine, esemplificativamente, alla gratuità e vo-lontarietà della donazione, alle modalità del consenso, all’anonimato del donatore, alle esigen-ze di tutela sotto il profilo sanitario, oggetto degli artt. 12, 13, comma 1, 14 e 15 del decreto le-gislativo 6 novembre 2007, n. 191, recante “Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla defini-zione delle norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umane”)». Le nor-me richiamate allo stato prevedono l’anonimato del donatore. Affrontando il delicato tema del diritto all’identità genetica, la Consulta pure evidenziando «le peculiarità che la connotano in relazione alla fattispecie in esame», ha richiamato proprio le norme che disciplinano il diritto all’accesso alle origini nell’adozione, rilevando come «in tale ambito era stato già infranto il dogma della segretezza dell’identità dei genitori biologici quale garanzia insuperabile della coesione della famiglia adottiva, nella consapevolezza dell’esigenza di una valutazione dialettica dei relativi rapporti (art. 28, 5° comma, della l. n. 184/1983). Sif-fatta esigenza è stata confermata da questa Corte la quale, nello scrutinare la norma che vietava l’accesso alle informazioni nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non vo-lere essere nominata, ha affermato che l’irreversibilità del segreto arrecava un insanabile vulnus agli artt. 2 e 3 Cost. e l’ha, quindi, rimossa, giudicando inammissibile il suo mantenimento ed invitando il legislatore ad introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta compiuta dalla madre naturale e, nello stesso tempo, a cautela-re in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato (sentenza n. 278 del 2013)». Non appare chiaro quindi se, con questa precisazione, la Consulta abbia voluto sollecitare il legislatore per un fu-turo intervento legislativo che disciplinando la fecondazione eterologa consenta, seppure a de-terminate condizioni, la possibilità per il figlio nato da tecniche di procreazione medicalmente assistita di avere accesso ad informazioni relative al donatore. Già nel 2011 il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel parere approvato il 25 dicembre del 2011, dal titolo “Conoscere le proprie origini nelle procreazione medicalmente assistita eterologa” aveva distinto due diversi profili relativi al diritto alle origini: tra il diritto del figlio a conoscere la “verità” sulla propria nascita, concludendo con un solo voto contrario, sulla necessità che i genitori comunichino ai figli nati da eterologa le reali modalità del loro concepimento; e il dirit-to di conoscere “l’anagrafica” del donatore. In questa seconda ipotesi le posizioni espresse in seno al Comitato Nazionale per la Bioetica furono differenziate, con dodici membri a favore della conoscenza dei dati anagrafici del donatore e 11 contrari. In numerosi Paesi, anche a se-guito di decisioni giudiziarie, l’anonimato del donatore è stato superato. Numerosi sono gli Stati che, per considerare la sola Europa, non riconoscono al donatore diritto all’anonimato (Austria dal 1992, Germania dal 1998, Svizzera dal 2001; Olanda dal 2001, Gran Bretagna dal 2004, Svezia del 2006, Finlandia dal 2006, Nuovo Galles del Sud dal 2007). Particolare il caso della Gran Bretagna che è passata da un sistema legislativo in cui era garantito l’anonimato, al mancato riconoscimento di tale principio con una sofferta norma approvata nel 2004. In altri Paesi europei, si pensi alla Francia o alla Spagna è invece garantito il diritto all’anonimato del donatore. Ciò a dimostrare come in materia si sia ben lungi dal poter trovare principi comuni a livello internazionale. Il tema è “caldo” e involve in valutazioni di carattere etico, morale, sociale, legislativo con solu-zioni diverse a seconda che voglia privilegiarsi il favor veritatis permettendo al figlio la cono-

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scenza delle proprie origini, ovvero il diritto all’anonimato di chi effettuò la donazione di game-ti o il parto con diritto a non essere nominata, a mantenere celata la propria identità. La soluzione può essere demandata solo a scelte legislative che data la loro delicatezza richiederanno un’at-tenta ponderazione e un’ampia condivisione, considerando che in temi tanto sensibili l’assenza di disciplina può generare incertezze e conflitti anche più di una normativa non totalmente con-divisa.

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LA PMA. SCENARI PSICOLOGICI, CLINICI E DATI DI RICERCA

Paola Re * Psicologa, Psicoterapeuta psicoanalitica del Bambino, dell’Adolescente e della Coppia (Socio Asso-ciato SIPsIA) Membro dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi della Coppia e della Famiglia AIPCF/ IACFP/AIPPF Presidente Nazionale della Società Italiana di Mediatori Familiari (SIMeF) Sommario: 1. Premessa: i diversi vertici implicati nella PMA. – 2. Genitorialità e filiazione: desiderio, fantasie, attesa e rappresentazioni. – 3. La coppia eterosessuale infertile: elaborazione del lutto, ricorso a tecniche di PMA, vicissitudini del legame corpo/mente e della fantasmatica individuale e di coppia.– 4. Quando si ricorre all’etero-loga: alcune dinamiche, possibili ricadute sul figlio, “segreto” o “rivelazione” delle sue origini biologiche”? – 5. Al-tre questioni da approfondire attraverso osservazioni e ricerche longitudinali sui bambini nati da PMA. – 6. Alcu-ne proposte conclusive.

* Questa la letteratura scientifica di riferimento dell’autrice: AA.VV., Aspetti psicologici della coppia e del bambino nella PMA, Centro per la Diagnosi e la Terapia della Sterilità di Coppia “Patrizia Bertocchi” S.C. di Ostetricia e Ginecologia Arcipedale S. Maria Nuova Reggio Emilia, in Atti del Convegno “Gravidanza e bambini dopo procreazione medicalmente assistita”, Editeam, Milano, marzo 2011; S. ANDREOTTI-A.R. BUCCI-M.I. MAROZZA, Gravidanza Fivet: rappresentazioni materne ed aspetti psi-cologici, in Psichiatria e Psicoterapia Analitica, 2000; V. BONAMINIO-M. DI RENZO-A. GIANNOTTI, Le fantasie inconsce dei geni-tori come fattori ego-alieni nelle identificazioni del bambino. Qualche riflessione su identità e falso Sé attraverso il materiale clini-co dell’analisi infantile, in Riv. Psicoanalisi, 1993, XXXIX, 4; M. CECCOTTI, Procreazione medicalmente assistita, Armando, Roma, 2004; D. EHRENSAFT, Alternatives to the Stork Fatherhood Fantasies in Donor Insemination Families, in Studies in Gender and Sexuality, 2000, vol. 1, n. 4, pp. 371-397; A. EIGUER, Le funzioni genitoriali e il processo di identificazione secondo il vertice dell’intersoggettività, lavoro presentato a Roma, presso la SIPsIA il 25 settembre 2010; S. FRAIBERG, Il sostegno allo sviluppo, Raffaello Cortina, Milano, 1999; I. RAES-H. VAN PARYS-V. PROVOOST-A. BUYSSE-P. DE SUTTER-G. PENNNGS, Pa-rental (in)equality and the Genetic Link in Lesbian Families, in Journal of Reproductive and Infant Psychology, 2014, vol. 32, n. 5, pp. 457-468; V. LINGIARDI-N. NARDELLI, Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali, Documento approvato dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi del Lazio l’11 febbraio 2013, scaricabile online; E. PAROLARI, Debito buono e debito cattivo. La psicologia del dono, in Riv. Tridimensioni, 2006, 3; D. PETRELLI, Il trattamento psicoterapico di bambini e adolescenti adottati, in Riv. Richard e Piggle, 2002, 3; P. RICOUER, Il riconoscimento, il dono. Identità, relazione e agape nel percorso di Paul Ricoeur, in Riv. Regno. Attualità, 2004, 6, pp. 177-180; C. RUSSO, (voce) Filiazione nel Dizionario di psicoanalisi on line della S.P.I, in www.spiweb.it; J. SANDLER, L’inconscio e il mondo rappresentazionale, in M. AMMANNITI-D.N. STERN (a cura di), Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Roma, 1991; M.C. ZURLO, La filiazione pro-blematica. Saggi psicoanalitici, Liguori, Napoli, 2013; R. KAES, Le identificazioni e i garanti metapsichici del riconoscimento del soggetto, in Riv. Psicoanalisi, 2008, LIV, 4.

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1. Premessa: i diversi vertici implicati nella PMA L’utilizzo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) pongono notevoli que-stioni di ordine etico, giuridico, psicologico, sanitario, nonché sociale. È necessario un confron-to e un aperto dibattito da parte dei componenti delle diverse aree; un assetto mentale scevro da stereotipi, ideologie e pregiudizi. Nella nostra realtà sociale, la scelta di avere figli – per ragioni di realizzazione personale e lavo-rativa, o, ancora, economica – è sempre più procrastinata nel tempo, al contempo, l’infertilità o la sterilità è in aumento anche nei soggetti giovani di entrambi i sessi. In Italia, ci sono figli nati attraverso varie tecniche di PMA, anche attraverso il ricorso a Centri esteri al fine di superare alcuni vincoli posti dalla nostra legislazione. Non ci sono, quindi, solo figli nati dalla fecondazione omologa, secondo le varie tecniche, o, come recentemente autoriz-zato, figli nati da donazione dei gameti (ovociti o sperma), ma anche figli concepiti attraverso la donazione di embrioni, sia in coppie eterosessuali, sia omosessuali che single (anche etero-sessuali), nati dopo crioconservazione degli embrioni omologhi o eterologhi o, ancora, dopo aver trascorso il periodo gestazionale in una madre “surrogata”. Dal punto di vista psicologico è necessario far riferimento a modelli teorici differenti, è indi-spensabile il confronto tra clinici che, con diverse ottiche, lavorano nel campo; la rilevazione del dato clinico va unito a quanto emerge dalle ricerche longitudinali sulle coppie e sui single divenuti genitori (ricerche ancora poco numerose in Italia), all’osservazione e monitoraggio del-l’evoluzione psico-affettiva, cognitiva e sanitaria dei bambini nati da PMA. L’approccio multi-disciplinare è altresì fondamentale in tutti i casi in cui si realizzi un intervento di PMA: è indi-spensabile un’équipe che unisca tutte le figure mediche, paramediche, psico-sociali, l’assetto mente/corpo, il progetto genitoriale stesso. Alla luce di quanto appena detto, il presente scritto non può che essere alquanto parziale, presentando riflessioni e riferimenti clinici che utilizzano l’ottica psicoanalitica (uno dei tanti vertici di comprensione degli accadimenti umani e struttu-razione della psiche nella relazione con gli altri – ottica psicoanalitica intersoggetiva.) Presente-rò, al fine di non mono-orientare quanto seguirà, considerazioni scaturenti dalla ricerca psico-logica, anche di altri ambiti teorici. 2. Genitorialità e filiazione: desiderio, fantasie, attesa e rappresentazioni A livello individuale, il desiderio di un figlio è un desiderio complesso. Si manifesta precoce-mente e ha una lunga storia in ciascuno di noi correlata ai processi di identificazione con gli og-getti primari (madre e padre) ed, altresì, alle vicissitudini transgenerazionali. I primi abbozzi comportamentali della genitorialità sulla base delle identificazioni con l’oggetto primario che nutre, come ricordano Righetti e Sette, si osservano, ad esempio, «... nel momento stesso in cui il bambino piccolissimo, rendendosi conto delle necessità alimentari di chi lo nutre, cerca di fornirgli cibo con un cucchiaio o con altri oggetti a sua disposizione». Detto desiderio precoce (ovviamente è importante aver esperito un ambiente allevante e di cu-ra che sia stato in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino o della bambina) evolve in ragione di numerose vicissitudini tra le quali: quelle connesse alla triangolazione della relazione, all’introduzione della dimensione del terzo e dell’alterità, alla consapevolezza di una scena primaria intesa come luogo di non accesso al bambino e che pone le basi per la differen-ziazione tra le generazioni, alle identificazioni secondarie, ecc. Il desiderio di un figlio tende e supporta una rielaborazione identitaria del soggetto che riman-

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da ad un bisogno evolutivo personale, nonché narcisistico di continuità di Sé (insito nella pro-creazione sia biologica, sia con PMA). A livello della coppia, qui per ora non differenzio tra eterosessuale o omogenitoriale – cosa che farò dopo –, bensì mi riferisco ad una coppia con legami affettivi stabili tra i partner, il “deside-rio di un figlio” rimanda, sempre da un punto di vista psicoanalitico intersoggettivo, alla sogget-tività di ciascuno ed altresì ai campi intersoggettivi multipli e alla organizzazioni fantasmatiche. Può essere sorretto da molteplici aspetti: ad esempio quello di incarnare e manifestare la rela-zione soddisfacente con il proprio partner, prendersi cura e allevare un bambino e, così facen-do, prendersi cura delle proprie parti infantili, proiettare il Sé individuale e il Noi di coppia nel futuro, assumere nuove identificazioni parentali, ecc. Nella coppia eterosessuale, concretamente, vi è altresì il desiderio di trasmettere i propri geni, inscrivere il figlio, frutto dell’unione fisica tra i partner, nella catena generazionale. In questo senso è un processo evolutivo e di integrazione fisica/psichica e intersoggettiva. Il desiderio di un figlio non è da confondere ed è differente dal “bisogno” di un figlio. Infatti, il bisogno è un’istanza inderogabile rispetto alla realizzazione di Sé o della coppia. Si “desidera un figlio” e lo si “attende”. L’attesa dell’esaudimento del desiderio (e quindi l’as-senza del figlio reale) è essa stessa fondante il pensiero e il progetto figlio. L’attesa di un figlio propone, nella mente, la co-presenza della dimensione dell’assenza (morte) e della presenza (vi-ta); quella del piacere e appagamento del desiderio e della realtà. Richiede notevoli rimaneg-giamenti interni. Rimaneggiamenti che possono venire bloccati dall’esperienza di infertilità, di sterilità e di impossibilità ad accedere alla generatività biologica se non attraverso un terzo (donatore/donatrice/madre surrogata). Spesso, il “bisogno di un figlio” presente anche nelle coppie eterosessuali, quelle per intenderci in cui la procreazione è un processo biologico, può celare il tentativo di negare un’esperienza di perdita anche ideale, la difficoltà a sorreggere la dolorosa dimensione emotiva dell’assenza. Ad esempio, alcune coppie in crisi, e che stanno pensando di separarsi, concepiscono in detto fran-gente un figlio (con la funzione di circuitare la loro sofferenza), così come assistiamo, talvolta, a nascite avvenute a stretta vicinanza dalla perdita di uno dei genitori della coppia, o dopo la per-dita di un figlio: tutti eventi, questi, connessi alla separazione, alla morte e al lutto. Nella genitorialità e nella filiazione sono i processi identificatori reciproci ad essere predomi-nanti. Il bambino diviene figlio attraverso il riconoscimento incrociato di genitorialità e filiazio-ne (A. Eiguer). La genitorialità è una funzione complessa nella quale intervengono più fattori: alcuni connessi all’individuo e alla sua evoluzione, altri alla coppia, altri, al figlio stesso che è esso stesso struttu-rante la funzione genitoriale. E ancora, è connessa alla dimensione sociale e pubblica in una stretta interrelazione tra interno/esterno, tra privato/pubblico. Sempre di più vengono promosse nuove forme di genitorialialità nelle quali l’accento non è tanto sul generare in senso biologico e genetico, ma nell’offrire al figlio stesso un ambiente af-fettivo, relazionale e sociale di crescita il più corrispondente alle sue esigenze, alle sue tappe di sviluppo e che ne promuova la crescita psico-fisica. Nel 1980 lo psicoanalista francese Guytat, come evidenziato da Chiara Russo, anch’essa psi-coanalista, aveva identificato molteplici aspetti della filiazione:

– quella istituita o giuridica: culturalmente e socialmente costruita, rappresenta la catena sim-bolica in cui l’individuo si colloca nella catena generativa (ascendenti e discendenti);

– la filiazione immaginaria e narcisistica che ha a che vedere con una dimensione psichica e fantasmatica che coinvolge il figlio, il suo vissuto personale, e il suo inserimento nella rete di relazioni presente sin dalla nascita;

– la filiazione da corpo a corpo che indica il legame corporeo tra il genitore e il figlio.

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Attualmente, alcune nuove costellazioni di generatività e di filiazione, come ad esempio quella omogenitoriale (sia con riferimento agli omosessuali che alle lesbiche) non sono riconosciute a livello sociale e, quindi, dette famiglie non possono accedere alla filiazione istituita o giuridica. Quali possono essere le conseguenze? Zurlo, in un recente lavoro del 2013, evidenzia come l’assenza della filiazione istituita o giuridi-ca e, quindi, simbolica possa rappresentare un rischio psicopatologico per il figlio in quanto il sistema simbolico della filiazione rende pensabile e dicibile ciò che riguarda le origini e la morte, su questo si appoggia l’indicibile. Alle situazioni di anomalia della filiazione istituita, prosegue sempre l’Autore citato, corrisponde un vuoto di pensiero e di simbolizzazione che trova espres-sione sia a livello collettivo che individuale. Rimanendo sulla genitorialità e alla relazione con il figlio è importante tenere a mente il ruolo delle rappresentazioni del genitore e le fantasie, consce ed inconsce, che i genitori hanno del figlio, ancor prima della sua nascita. Le rappresentazioni sono il modo in cui il soggetto organizza e costruisce, con processi di in-troiezione e identificazione, immagini mentali di sé e dell’altro. Le rappresentazioni, oltre che essere consce e inconsce, sono dinamiche. Nel tempo avviene una co-costruzione del mondo rappresentazionale sia del genitore, sia della relazione genitori/figlio. L’attesa di un figlio genera nel o nei genitori una revisione delle rappresentazioni costruite an-tecedentemente: si hanno nuove rappresentazioni di sé come genitore (madre o padre) e del figlio che verrà: nuove costellazioni rappresentazionali che sono, nella donna, promosse dalla gravidanza, dal corpo che si modifica. Alcune depressioni post-partum sembrerebbero correlate all’esigenza della donna di recuperare quella continuità corporea che poi diventa psichica. Sempre a riguardo della gravidanza, la stessa si connota all’inizio per un vuoto rappresentativo essendo la donna, all’inizio, concentrata più sul proprio corpo e non percependo ancora i mo-vimenti fetali. Alcuni studi hanno evidenziano che, nelle prime settimane di gravidanza, il cor-po materno sviluppa una sorta di anestesia per evitare di rigettare l’embrione quale, inizialmen-te, corpo estraneo. Successivamente, i primi movimenti attivano fantasie e rappresentazioni di sé con il figlio che, all’ottavo mese, si trasformano dinamicamente in rappresentazioni del feto come altro da sé. Il mondo interno e rappresentazionale della madre si modifica ulteriormente nell’incontro con il nato. Le fantasie, così come le identificazioni possono essere strutturanti o alienanti. Selma Fraiberg, parla dei fantasmi nella stanza del bambino, anche intesi quali eredità transgenerazionale ed al-tri psicoanalisti (V. Bonaminio, M.A. Di Renzo, A. Giannotti) di fantasie inconsce dei genitori come fattori ego-alieni, cioè non metabolizzabili nella psiche del figlio, che ricadono sullo stesso. 3. La coppia eterosessuale infertile: elaborazione del lutto, ricorso a tecniche di PMA, vicissi-tudini del legame corpo/mente e della fantasmatica individuale e di coppia Ovviamente, data la vastità del tema, è possibile fare riferimento esclusivamente ad alcuni a-spetti generali. Ogni percorso di genitorialità e filiazione va visto nel suo specifico e nella pecu-liarità di ciascun componente la relazione. L’infertilità e/o la sterilità rappresentano per la coppia che desidera un figlio, quale aspetto comune, un’intensa frustrazione e ferita al proprio Sé. Si tratta di un lutto rispetto all’immagine del partner o di se stessi procreativi, generativi; equivale, psichicamente, come detto, ad un lutto. Questo, deve essere elaborato: nel senso che il dolore deve essere portato a livello di coscienza, non negato o circuitato con soluzioni alternative troppo tempestive. È necessario del tempo

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per giungere ad una riorganizzazione interna rispetto all’immagine di Sé o del partner non pro-creativo al fine che non ci sia una ricaduta di fantasie e/o aspettative che possono “imbrigliare” il figlio. Il desiderio di un figlio è, notoriamente, qualcosa di intimo all’interno della coppia, così come riservata è la sfera della sessualità, del coito il quale rappresenta l’unione non solo tra due corpi, ma – altresì – quella tra menti e corpi nell’appagamento del desiderio dell’altro/a. Quando è necessario ricorrere a tecniche, all’esterno (per la diagnosi dei motivi dell’infertilità o della ste-rilità, per l’eventuale cura o per la scelta della tecnica di PMA da utilizzare) tutto si concretizza, non è più il desiderio dell’altro/a e la fusione nel coito a essere in primo piano, i corpi vengono passivizzati con inevitabile sganciamento dallo psichico. Si può generare una cesura temporale sorretta dalla scissione tra mente e corpo. In detti genitori, come ci ricorda anche Manuela Ce-cotti, carente è il processo rappresentazionale, la parola e la dimensione del “futuro”, così come quella “passato”, essendo prevalentemente bloccati sull’oggi, sul tecnicismo della PMA. La dimensione del “concepimento” delegata ad altri, i quali inconsciamente possono assumere una funzione materna o paterna protettiva o persecutoria, sembra essere staccata dal “concepi-re nella mente”. Più Autori, ed altresì coloro che lavorano nei Centri che effettuano la PMA, evidenziano infatti, per il buon esito dell’impianto, la necessità del sostegno alla coppia ante-riormente alle tecniche di PMA e durante le stesse. Oltre a ciò, è indispensabile che trascorra un periodo di tempo adeguato tra un eventuale fallimento e il ripetersi di un ulteriore tentativo, sempre ai fini dell’elaborazione della perdita, opposta all’eventuale attivazione di difese rispetto alla sofferenza e all’utilizzo dell’onnipotenza, che porta a reiterare il ricorso alla PMA con uno spostamento dal “desiderio” di un figlio al “bisogno di un figlio”. Rispetto a ciò, i medici non dovrebbero colludere con dimensioni onnipotenti e falsamente “riparative”, ciò per il benesse-re della donna, della coppia e dell’eventuale nascituro. Le ricerche, su base testologica oltre che clinica, italiane e internazionali condotte su coppie eterosessuali che hanno fatto ricorso a fecondazione omologa, tramite fecondazione extra cor-porea, sono concordi nel descrivere un elevato livello di stress nelle coppie, un minore livello di autostima rispetto al gruppo di controllo, tratti di ansia e depressivi, soprattutto nelle donne, che aumentano con il crescere del numero dei cicli e fallimenti e, ancora, difficoltà ad elaborare il percorso che porta i partner ad essere genitori. Con riferimento alla vita fantasmatica, infatti, già alcuni studi degli anni ’90 avevano rilevato un vuoto rappresentativo rispetto al feto e a Sé quale genitore. Nella donna, secondo alcuni Autori (S. Andreotti, A.R. Bucci, M.I. Marozza), una sorta di “alexitimia gravidica” intesa quale ridu-zione del pensiero simbolico e della vita fantasmatica rispetto a sé e al figlio. Nella coppia, e in particolare nella donna, è stata rilevata una forte difesa emotiva dinanzi alla possibilità di non riuscita o della perdita del blastocista o dell’embrione che blocca il movimento rappresentazio-nale e l’investimento progressivo narcisistico sul feto il quale, invece, avviene solo dopo il parto. Una recente ricerca (sulla base di un apposito questionario e colloquio clinico) presentata al Convegno di Milano “Gravidanza e bambini dopo PMA” (2011), tesa ad individuare i vissuti materni e paterni in tutte le forme di PMA, (ad esclusione del congelamento embrionario e del-l’eterologa) ha evidenziato come la parola ‘concepimento’, per il genitore sia – anche a distanza di cinque anni dalla PMA – attivatrice di sofferenza e poco “dicibile”. A tal punto che il conce-pimento in quanto tale rappresentava anche un segreto per il figlio. Tema questo, della cono-scenza delle origini, fondamentale ai fini dello sviluppo identitario del figlio. La letteratura scientifica (che si è interessata a detto tema inizialmente rispetto alla adozioni, anche di neonati), è concorde rispetto a considerare il segreto sulle proprie origini quale dimensione patogena. Le origini sono uno stato mentale, per il quale un individuo si riconosce. «I fantasmi del bambino

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circa le proprie origini designano, in normali condizioni di sviluppo, il campo centrale dell’i-gnoto ed hanno un importante ruolo mobilizzatore dell’intelletto. Laddove non sussista l’inter-detto essi infatti innescano la ricerca psichica, che assume la forma di ‘teorie’, cioè elaborazioni fantasmatiche di eventi di importanza centrale per l’identità del bambino, elaborazioni in cui sempre verità storica e costruzioni immaginative si intrecciano in vario modo» (D. Petrelli). 4. Quando si ricorre all’eterologa: alcune dinamiche, possibili ricadute sul figlio, “segreto” o “rivelazione” delle sue origini biologiche? Introduco questo tema con una riflessione sul concetto di “dono” insito nell’utilizzo dei termi-ni “ovodonazione” o “spermodonazione”. Nell’atto del donare è insita la relazione con l’altro e, quindi, la relazionalità, lo scambio emotivo ed affettivo. L’atto del donare è gratuito e quindi riconosce il legame con l’altro, non il contraccambio. La possibilità del dono non può essere compresa se non nella relazione, nel riconoscimento, inteso sia in senso passivo (come essere riconosciuto) che in senso attivo (come riconoscenza). Solamente in un contesto di mutualità si può accogliere non solo il senso del dono, ma anche quello di un’eventuale risposta gratuita, cioè di un debito senza colpevolezza, come ci ricorda lo psicologo E. Parolari riferendosi al filo-sofo Paul Ricoeur. Rispetto al tema del dono, rimando agli apporti filosofici, antropologici, teo-logici e psicologici che negli ultimi anni hanno visto un ampio dibattito alla luce dei cambia-menti sociali ed individuali. Ovviamente, quando parlo della dinamica dell’“essere riconosciuto” e di “riconoscimento” mi riferisco ad una dinamica interna (non di riconoscimento concreto); intendo sottolineare l’importanza della fantasmatica circolante tra donatore/donatrice e ricevente per il legame ge-nitori/figlio e per il figlio stesso. Fantasmatica che, per un esito favorevole, nei termini di “salu-te” del figlio, dovrebbe poggiare su una “maturità psichica” dei futuri genitori. È evidente che laddove manchi la gratuità (che peraltro impedisce di avere gameti soprattutto femminili e sollecita un commercio degli stessi, anche tra Paesi) può inserirsi il senso di colpa e altre dinamiche da parte del ricevente. Più volte, attraverso il lavoro clinico con donne che sta-vano o avevano intrapreso un percorso di fecondazione eterologa mediante ovodonazione mi sono imbattuta, indipendentemente dal pagamento del gamete femminile, in fantasie di furto, sottrazione e svilimento, se non addirittura denigrazione, rispetto alla donatrice. Dette fantasie, attraverso il lavoro analitico, sono risultate sorrette da difficoltà con la propria madre interna, da sensi di invidia e di colpa. Così come, la donazione dello sperma, oltre a poter ulteriormente far sentire “poco maschile e potente” l’uomo può introdurre varie fantasmatiche nella coppia. Una fantasia ricorrente, rilevata nel lavoro clinico, sia nel caso di donazione di gameti maschili che femminili, è quello del “tradimento”: nella fantasia si tradisce il partner accogliendo lo sperma di un altro, così come si tradisce la partner con una donna “straniera” (come mi è accaduto in alcuni casi in cui l’eterologa avveniva all’estero). Ovviamente, non parlo di un tradimento agi-to, ma di fantasie le quali, se giungono a un livello cosciente, spaventano la coppia. Potremmo intendere dette fantasie come il tentativo di riagganciare il mentale al soma, riprodurre – alme-no in fantasia – ciò che è il dato biologico. Diane Ehrensaft, psicoanalista in California e professoressa all’Università di Berkley, in un arti-colo pubblicato nel 2005, affronta il tema delle fantasie, all’interno di coppie sia eterosessuali che omosessuali (lesbiche) o di single (lesbiche), in cui vi è stato il dono dello sperma attraver-so l’utilizzo di varie tecniche. L’Autrice, utilizza un vertice di lettura: quello del lavoro clinico nel campo con genitori e figli, essendo essa stessa Membro senior della Facoltà di Psicoterapia

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Infantile. Vengono indagati più aspetti, ma ne evidenzio solo due, tra loro correlati: 1) quello del rifiuto o accettazione del “dono” inteso come riconoscimento della relazionalità (anche fantasmatica) che avvia il concepimento non solo fisico, ma mentale del figlio e 2) quello del-l’inserimento del figlio nella catena generazionale. Esaminando le varie fattispecie di coppie o di madri single la conclusione è che, se pur con no-tevoli differenze, vi è più una negazione, se non addirittura diniego, del “dono”, correlato al tema biologico e genetico dell’origine del figlio, nelle coppie eterosessuali (che peraltro vivono in pri-ma persona l’impossibilità a procreare senza ricorrere ad un terzo) che non in quelle lesbiche. Le fantasie della donna all’interno di una coppia eterosessuale, che ha ricevuto il seme di un donatore, riportate da alcune interviste condotte in Italia (rassegna di M. Cecotti) sono quelle di un padre genetico potente e un padre affettivo, che alleva, un partner/padre sociale svilito rispetto alla propria virilità e potenza. Sempre alcune ricerche, attraverso la somministrazione di test, evidenziano come effettivamente l’infertilità maschile sia correlata ad una elevata percen-tuale di disistima di Sé accompagnata, anche a livello intrapsichico, da un vissuto ambivalente e conflittuale rispetto al donatore dello sperma. Vissuto che è presente anche nella donna quan-do vi è ovodonazione rispetto alla donatrice. Le accennate complesse fantasmatizzazioni interne, se non elaborate, si riverberano nella scelta di rivelare o meno, al figlio, la sua origine. Numerose ricerche, anche attraverso l’utilizzo di questionari oltre che di colloqui con i genitori, evidenziano la difficoltà o l’impossibilità interna a parlare del figlio circa le sue origini biologiche (“il segreto” rimane frequentemente circoscritto all’interno della coppia e/o di una ristretta rete familiare o amicale con attivazione di un senso di “tradimento” rispetto al figlio e di paura/angoscia qualora, per motivi sanitari, dovesse sco-prire ciò). In contrapposizione, sembrerebbe esserci una maggiore aderenza alla realtà, da parte delle coppie lesbiche e gay, che trova il suo riscontro nelle modalità di narrare l’origine al figlio. Narrazione che poi, alla luce di altre ricerche sui vissuti dei figli nati da coppie lesbiche sembra talvolta essere più una consegna del mero dato di realtà («essendo due lesbiche non potevamo concepire senza la donazione di gameti maschili»), che non qualcosa che viene metabolizzato a livello psichico e che struttura il Sé del figlio. Riferisco brevemente una ricerca longitudinale belga, non certamente esaustiva del tema, con-dotta su coppie lesbiche il cui donatore di sperma è anonimo e una ricerca qualitativa su 24 coppie lesbiche (gruppo di controllo 24 coppie etero) e sui 38 figli di età compresa tra i 4 ei 18 anni. Il tema del padre, per i figli nati da coppie lesbiche, sembra essere correlato al mero dato oggettivo della necessità biologica di un padre per la o le proprie madri, ma non pare inscriversi nella storia del figlio (si traduce nella frase “non ho un padre”). Detta modalità denota una scissione (e come riferito dalla già citata Ehrensaft) la presenza di una relazione interna con un oggetto parziale, aspetti che andrebbero approfonditi a livello del-la fantasmatica interna (non oggetto di detta ricerca belga). Il donatore (sia se conosciuto che non conosciuto, a seconda della legislazione o della scelta operata dalla ricevente) rimarrebbe, secondo la già citata Ehrensaft, sempre un oggetto parziale e le fantasie sullo stesso, nel caso di donatore sconosciuto, verrebbero spostate sul medico o sul biologo, ecc. Nel caso di coppie omogenitoriali, c’è da chiedersi se tali modalità di relazione con l’oggetto non siano amplificate, sul piano della realtà, ma altresì simbolico, dall’assenza del riconosci-mento giuridico: mi sto riferendo, in primis, al legame di coppia. Sappiamo quanto il mancato riconoscimento sia portatore di conseguenze intrapsichiche. Parafrasando un paragrafo delle Linee guida per la consulenza e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali a cura del Prof. Lingiardi e dal Dott. Nardarelli approvate dall’Ordine degli Psicologi della Regione Lazio,

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con riferimento all’omosessualità, gli stessi genitori dei bambini nati da coppie o da single le-sbiche o gay hanno dovuto affrontare, come bambini e adolescenti “non-eterosessuali” un com-pito evolutivo supplementare: quello di dover gestire un insieme di affetti e pensieri che non cor-rispondono alle aspettative sociali di cui sono investiti. Devono utilizzare, anche rispetto alle loro famiglie, strategie adattative che, probabilmente, gli stessi figli fanno proprie. È qui impossibile trattare l’ampio tema dell’omogenitorialità, ma esiste una vasta letteratura rispetto ad essa. 5. Altre questioni da approfondire attraverso osservazioni e ricerche longitudinali sui bam-bini nati da PMA Sono tanti gli ulteriori temi che la PMA pone, ne accenno alcuni. Il primo, è quello della ricaduta, in taluni casi, dello scarso investimento dell’ambiente di cura sul figlio durante la vita fetale. Le più recenti ricerche neurofisiologiche in campo pre-natale evidenziano l’importanza dell’investimento genitoriale e, soprattutto materno, sullo sviluppo cerebrale. Il tema della maternità surrogata, ad esempio, apre ulteriori questioni rispetto alla cesura, o meglio continuità, tra vita intrauterina e vita successiva. Anche in questo caso numerose ricer-che, unitamente alla letteratura psicoanalitica nel campo dell’età evolutiva, dimostrano l’impor-tanza della continuità dell’ambiente quale fattore favorente una sana evoluzione del bambino. Così come il tema dei rapporti reali (se ci sono) e delle fantasie tra “committente/i” la materni-tà e la donna hanno, anch’essi un valore di impingement sul figlio e, secondo la loro qualità, pos-sono risultare più o meno favorenti la “tessitura” della storia delle origini del figlio. Un ulteriore aspetto interessante è quello della crioconservazione dei blastocisti o degli em-brioni, sempre a livello di fantasie. Se per i genitori rappresentano, come mi è stato detto du-rante una seduta, “un paracadute” nel caso di fallimento o in caso di desiderio di altri figli, c’è da chiedersi il posto che un successivo figlio può avere nella catena generazionale e per quello che è stato il primogenito, in realtà, biologicamente “gemello”. La crioconservazione, sempre come rilevato, introduce il tema del freddo, della morte, fuso con quello della vita e, nuova-mente, la dimensione dell’onnipotenza degli adulti rispetto alla scelta da operare. Infine, ben sappiamo che attualmente la nostra normativa impone di impiantare due ovuli o blastocisti, ma all’estero, in alcuni Paesi, detto vincolo non esiste o il numero dell’impianto è superiore. Ciò eleva la possibilità di alcuni fallimenti post transfer o nei giorni successivi. Più ri-cerche evidenziano la cosiddetta “sindrome del gemello sopravvissuto” di cui si parla con rife-rimento ai vissuti materni e paterni quando uno degli embrioni impiantati non sopravvive. Po-tremmo dire che l’ombra dell’oggetto/figlio/fratello perso talvolta è un lutto non metabolizza-to il cui fantasma ricade sul fratello o sui fratelli sopravvissuti. Nella pratica clinica, con bambi-ni, questo è rilevabile attraverso il gioco spontaneo e sostiene alcuni quadri psicopatologici. Con riferimento alla salute fisica dei bambini nati da PMA rimando all’articolo contenuto nel presente numero del Professor Massimo Moscarini. Dal punto di vista psico-affettivo, molto dipende dal vertice di osservazione e di ricerca adottato. È per questo che è necessario, integra-re più ottiche, proseguire negli studi e nella ricerca accettando, a nostra volta, la sfida della complessità e dell’incontro con il non conosciuto o non concepibile che deve divenire conce-pibile proprio attraverso processi mentali articolati anche tra coloro che affrontano dette nuove filiazioni non personalmente, ma in quanto appartenenti al mondo psico-sociale, legale, giudi-ziario, ecc.

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6. Alcune proposte conclusive Per quanto sinora detto, nell’attesa di ulteriori approfondimenti, è chiaro che non è possibile nessuna conclusione, ma è auspicabile, alla luce di quanto già conosciuto, pensare di imple-mentare quelli che sono i fattori a protezione dello sviluppo psico-affettivo dei bambini nati e che nasceranno attraverso tecniche di PMA. Per brevità, li elenco con brevissimi commenti. In primis, è necessario ampliare la politica sociale a sostegno della genitorialità in tutte le sue forme, formare – sin dalla scuola materna – i bambini non tanto sulla base di “modelli di fami-glia”, ma rispetto all’importanza dei “legami affettivi”. Non secondo, ma altresì fondante, è il tema del riconoscimento sociale e del bisogno di chiare norme, di un intervento del legislatore rispetto alla PMA: cosa è permesso, cosa viene escluso. Detto tema, affrontato dal prof. Lorenzo D’Avack ha una rilevanza non solo sociale, ma interna al soggetto. Lo Stato, assume a livello sociale la funzione di metagarante psichico (R. Kaes); l’attuale situazione spesso contrastante tra normativa interna (anche tra i diversi livelli), euro-pea e straniera amplifica l’attuale frammentazione del Super-Io con aumento della persecuto-rietà e cattiva gestione dell’aggressività, aumento dell’onnipotenza negli adulti (tutto diviene possibile, non esistono limiti). Ad avviso di chi scrive, il legislatore dovrebbe inserire nella normativa il sostegno psicologico del o dei genitori durante tutte le fasi della PMA, sin dal suo inizio, così come – già presente in alcune Linee guida – l’inserimento dello psicologo, con esperienza sul campo, nell’équipe dei diversi Centri riconosciuti idonei alla PMA al fine di promuovere l’integrazione mente/corpo a favore del nascituro. Inoltre, parrebbe utile una sensibilizzazione rivolta a ostetrici e pediatri, affinché possano porre particolare attenzione alle prime fasi post-natali al fine di sostenere eventuali impasse dei neo-genitori nella relazione con il figlio. Infine, il legislatore dovrebbe interrogarsi rispetto all’importanza del disvelamento delle origini biologiche al figlio (indipendentemente dal fatto che il donatore/donatrice siano anonimi o no). È chiaro che il percorso è complesso, ma i progressi scientifici delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, devono trovare uguale preparazione e sollecite risposte da parte dello Stato che si deve assumere la responsabilità, anche di porre alcuni limiti per il benessere di tutti i cittadini presenti e futuri.

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DOVE CI PORTA IL PIANO INCLINATO DELLE PROCREAZIONI 

Paolo Morozzo Della Rocca Professore ordinario di Diritto privato presso l’Università di Urbino Sommario: 1. L’eterologa compromette l’identità personale del figlio? – 2. Su alcuni ulteriori e prevedibili svi-luppi. – 3. Coppie omosessuali e procreazione medicalmente assistita. – 4. Sulla maternità surrogata. 1. L’eterologa compromette l’identità personale del figlio? 

A seguito della sentenza della Corte cost. 10 giugno 2014, n. 162, oggi in Italia il ricorso a tec-niche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo è ammesso nei soli casi in cui sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Su questa importante decisione sono stati già scritti numerosi commenti 1, alcuni elogiativi altri criti-ci, nei quali è spesso sottolineata la necessità – che non sarebbe stata tenuta in conto dal giudi-ce delle leggi – di difendere l’identità personale del figlio e la certezza del rapporto di procrea-zione 2. Porre tale interesse affermandolo preminente rispetto alle pretese di genitorialità avanzate dalla coppia che si trovi impossibilitata alla procreazione “omologa” significa, ovviamente, scoraggiare la nascita dei soggetti per i quali si invoca il rispetto di tale interesse, il quale, dunque, non è a loro riconducibile ma attinge piuttosto ad un limite di ordine pubblico demografico di cui un as-sunto potrebbe essere, in effetti, che il desiderio di genitorialità debba essere esaudito, forse, me-diante l’istituto dell’adozione e non invece mediante quello della PMA. Ciò rende immediata una domanda: davvero il vulnus all’identità genetica ha effetti di tale infe-licitazione da rendere preferibile per il figlio di non venire affatto concepito oppure per impor-re, in una prospettiva di ordine pubblico, che non nasca?

1 Cfr., tra molti, G. FERRANDO, Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 393 ss.; G. BALDINI, Cade il divieto di pma eterologa: prime rifles-sioni sulle principali questioni, in Vita not., 2014, p. 675 ss.; S. TONOLO, Il diritto alla genitorialità nella sentenza della Corte costituzionale che cancella il divieto di fecondazione eterologa: profili irrisolti e possibili soluzioni, in Riv. dir. int., 2014, p. 1123 ss.; L. D’AVACK, Cade il divieto all’eterologa, ma la tecnica procreativa resta un percorso tutto da regolamentare, in Dir. famiglia, 2014, p. 1005 ss.; C. CICERO-E. PELUFFO, L’incredibile vita di Timothy Green e il giudice legislatore alla ricerca dei confini tra etica e diritto; ovverosia quando diventare genitori non sembra (apparire) più un dono divino, in Dir. famiglia, 2014, p. 1290 ss. 2 Così, tra molti, M. SESTA, Dalla libertà ai divieti: quale futuro per la legge sulla procreazione medicalmente assistita?, in Corr. giur., 2004, p. 1406.

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Francamente non mi pare che al tono drammatizzante di certi allarmi corrisponda la dimostra-zione di uno svantaggio esistenziale importante. È stato affermato, ad esempio, che il figlio con-cepito mediante PMA eterologa «diventerà soggetto a causa di una scelta che lo vedrà in pari tempo appartenere alla famiglia pur non potendosi dire (in senso biologico) della famiglia»; ed ancor più aspramente che «il figlio nascerà con una identità adulterata in radice a causa del-la eterodeterminazione di altri, uno soltanto o nessuno dei quali è suo genitore» 3. Ma l’enfatiz-zazione dell’identità genetica contenuta in queste affermazioni va contro la nozione giuridica della maternità, nel contempo sopravvalutando eventi che hanno una incidenza estremamente marginale sul futuro vissuto dei soggetti, sì da rendere inconsistente il preteso diritto del nasci-turo e poi del nato alla corrispondenza tra identità giuridica e identità genetica. Tale diritto sarebbe connaturato, secondo alcuni, ad una dimensione antropologica della fi-liazione da non violare. Poco importa che la corrispondenza dei geni sembri contraddetta pure dall’adozione, dato che quest’ultima costituisce solo un rimedio sussidiario per i casi in cui non si tratta di fare nascere una nuova vita ma di porre rimedio alla mancanza di una fa-miglia idonea per il già nato. Dunque, par di capire, meglio sarebbe per il nascituro non na-scere per via di concepimento eterologo (e dunque non nascere affatto) mentre al già nato non resterebbe, ormai, che adattarsi ad una famiglia di sostituzione, essendo stato il suo dirit-to di identità genetica ormai irreparabilmente pregiudicato dall’aver perso o dal non essere mai stato inserito nella sua famiglia biologica. Chi tra i due è, dunque, il meno sfortunato: il non concepito – che non nascendo vede in tal modo rispettato il suo diritto a non nascere “adulterato” 4 – o l’adottato, che ha trovato una famiglia putativa, magari di ottima qualità ma non in grado di assicuragli il bene giuridico della corrispondenza tra identità biologica e iden-tità giuridica? Contrariamente a tali drammatizzazioni ritengo che la questione dell’identità genetica non cor-rispondente a quella giuridica, se certamente costituisce una fragilità da accudire in ragazzi che si chiedono le ragioni dell’abbandono subito, risulti meno significativa nei figli dell’eterologa che non hanno subito alcun abbandono e che sono stati partoriti dalla stessa madre che ha poi con-tinuato a crescerli 5. L’anonimato anagrafico del donatore di gameti è dunque ampiamente giu-stificato dal fatto che con lui – definito dal Comitato Nazionale per la Bioetica come mero pro-creatore biologico – «il nato ha un legame genetico ma non relazionale» 6. L’anonimato del do-natore – che non dovrebbe però comportare la mancanza di quelle informazioni sulla sua salu-te che siano necessarie alla cura del procreato – sembra piuttosto necessario a garantire la sere-nità della vita familiare, evitando pretese ed intrusioni da chi, appunto, ha semplicemente do-nato il seme di quella nuova vita perché nascesse con altri genitori 7; ed è significativo, al ri-guardo, che nel noto caso dello scambio di embrioni nell’ospedale Pertini di Roma, alla madre

3 Così C. CASTRONOVO, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Europa e dir. privato, 2014, 3, p. 1122. 4 Sul punto, G. D’AMICO, La sentenza sulla fecondazione “eterologa”: il peccato di Ulisse, in Quaderni cost., 2014, 3, p. 665. 5 Difficoltà considerate serie ma non insormontabili da F.D. BUSNELLI, Cosa resta della legge 40? Il paradosso della soggettivi-tà del concepito, in Riv. dir. civ., 2011, p. 470 s. 6 Cfr. COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assisti-ta eterologa, Pareri 2011-2012, p. 85. 7 Una recente decisione del giudice inglese, nel febbraio 2013, ha riconosciuto il diritto del donatore a frequentare il figlio genetico nonostante l’opposizione delle due madri giuridiche. Ma la decisione è stata presa sulla base della pregressa e con-tinuativa frequentazione, per volontà delle madri medesime, tra il bambino ed il donatore-procreatore. Al riguardo cfr. F. D’ELIA, Il diritto del donatore di seme a conoscere e frequentare il figlio nato con inseminazione artificiale, in Minorigiustizia, 2014, 3, p. 37 ss.

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giuridica sia stato attribuito la qualifica di madre biologica, in opposizione alla figura dei cosid-detti procreatori genetici 8. Ancora, è stato ritenuto non esservi possibilità di copertura costituzionale riguardo alla pretesa di genitorialità per il tramite della procreazione cosiddetta eterologa in quanto non sarebbe «costituzionalmente possibile rendere tutte le differenze irrilevanti davanti alla legge». Non lo sarebbe, in particolare, il rendere indifferenziata la posizione della coppia che, se aiutata, può generare figli propri, e quella della coppia che pretende di realizzare il desiderio di procreazione pur essendo priva del sostrato materiale a ciò necessario. Il desiderio di genitorialità, reso im-possibile da una natura matrigna, non potrebbe dunque trovare risposta nella tecnologia attra-verso la PMA eterologa, perché lo spazio della filiazione non genetica sarebbe riservato, dal-l’art. 30 Cost., ai soli casi di incapacità dei genitori naturali 9. Temo tuttavia che la Costituzione non offra quegli argomenti testuali “forti” che tali autori – di-versamente dalla Consulta – vi hanno letto. Al più potrebbe dirsi che il Costituente, inconsa-pevole delle possibilità tecniche della procreazione assistita, non se ne sia preoccupato, il che mi pare corrispondente al vero benché, come notano i due autori da ultimo richiamati, già nel 1949 venisse pubblicata, tra le altre, un’opera del fondatore dell’Università Cattolica dedicata alla fecondazione artificiale. Spiace che della Costituzione, nostra bellissima ed anziana madre, si utilizzi a volte ciò che mag-giormente il tempo ha logorato: cioè gli artt. 29 e 30, congelandone la lettera e lo spirito. Mi chiedo, invece, se non sia giunto il tempo di lavorare ad una riscrittura delle norme costituzio-nali sulla famiglia e sulla filiazione in modo che possano davvero fungere da riferimento e da limite all’operato successivo del legislatore ordinario. Non sembra infatti opportuno lasciare che l’esito, sia pure il più eccelso, della cultura dei nostri bisnonni faccia da lume ai nostri figli su materie esposte a mutamenti così profondi. Ed in particolare non mi sembra che dalle parole del Costituente possano essere tratte quelle conclusioni sufficientemente circostanziate e chia-re di cui invece oggi avremmo necessità. Dunque, sino a quando non si provvederà ad una ri-scrittura condivisa di un nuovo profilo costituzionale della famiglia diverrà sempre più normale lo spettacolo di una Costituzione bisnonna tirata contemporaneamente per un verso e nel suo opposto secondo le preferenze dei suoi rissosi bisnipoti. 2. Su alcuni ulteriori e prevedibili sviluppi  A questo punto forse può già essere formulata una prima considerazione di sintesi. Quella se-condo cui, a fronte delle possibilità da tempo acquisite dalle tecniche riproduttive, il desiderio di genitorialità della coppia irrimediabilmente sterile non è meno meritevole di considerazione del medesimo desiderio nutrito dalla coppia rimediabilmente sterile, posto che un buon genitore non deve necessariamente essere capace di procreare. Ne consegue che la procreazione medi-calmente assistita cosiddetta eterologa pare un beneficio della tecnica da considerare in sé posi-tivamente, salvo verificare le conseguenze dirette ed indirette della sua più ampia “liberalizzazio-ne” di modo che essa non sia utilizzata per travalicare il confine di ordine pubblico del diritto della procreazione; confine il cui tracciato oggi non è però affatto chiaro. Pare senz’altro oppor-

8 Trib. Roma, 8 agosto 2014, in Famiglia e diritto, 2014, p. 929 ss., con nota di M.N. BUGETTI, Scambio di embrioni e attri-buzione della genitorialità. 9 Così A. NICOLUSSI-A. RENDA, Fecondazione eterologa: il pendolo fra Corte costituzionale e Corte Edu, in Europa e dir. privato, 2013, p. 219 ss.

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tuno, ad esempio, mantenere adeguati limiti di età, evitando maternità prive di futuro 10; con-sentire l’accesso alla PMA solo alle coppie; ed altro ancora. Vero è che la mancanza di un orizzonte costituzionale condiviso suscita, non infondatamente, il timore che ogni apertura del diritto positivo in materia di procreazione sia premessa suffi-ciente di altri inaccettabili sviluppi. È la paura del “piano inclinato”, sul quale ogni movimento, anche cauto, non potrà che portare, passo dopo passo, alla caduta nel vuoto di valori e di rego-le. L’osservazione di quanto già accaduto altrove, (riguardo, ad esempio, alle cosiddette mater-nità surrogate) può forse avvalorare tali timori, i quali però rischiano di produrre reazioni vizia-te dalla mancanza di proporzionalità rispetto alle reali esigenze di prevenzione che si vorrebbe-ro realizzare 11. Un eccessivo difensivismo può così nuocere alla costruzione di più ampi ma anche più ragione-voli confini, imprigionando dentro l’angusta fortezza una minoranza privata di orizzonte e dun-que della possibilità di incidere sulla realtà. Un vero peccato, perché l’osservazione riguardo ai pericoli di un’ipertrofia del divieto di discriminazione attraverso operazioni di nascondimento delle differenze è più che pertinente; corretto è anche l’invito a meglio ragionare sulla indivi-duazione delle identità di situazione che giustificano l’operatività del principio di eguaglianza; e corretto è altresì il richiamo alla necessità di connettere più rigorosamente il principio di non discriminazione al discorso sui valori 12. La difficoltà al riguardo consiste però nel riuscire a farlo su un piano di laicità riflessiva e cauta. Le previsioni sulle prossime inclinazioni del piano riguardano, per alcuni, l’ulteriore applica-zione del principio di non discriminazione a beneficio delle donne che non hanno la possibilità di condurre a termine la gravidanza rispetto alle donne prive di ovuli fecondabili, ormai ammesse alla capacità procreativa con la caduta del divieto di eterologa, aprendo così le porte alla mater-nità di sostituzione oppure surrogata 13. Altri ancora paventano che, una volta configurato il diritto di procreare come un diritto fon-damentale da riconoscere (consentendolo la tecnica) anche alle coppie irrimediabilmente ste-rili mediante l’utilizzo di gameti ad esse estranei, sarà inevitabile riconoscerlo anche alle coppie omosessuali ed ai singles 14. Un altro possibile sviluppo – non coerente però con quanto affermato nella sent. n. 162/2014 della Consulta, ed infatti aspramente avversato dal suo estensore – è la possibilità che una don-na porti in grembo un figlio e poi lo partorisca su incarico di altri, destinati a divenire i genitori del nato. Di questo si dovrebbe tenere adeguato conto negli improbabili ma auspicabili nuovi orizzonti del diritto costituzionale della famiglia dei figli, sancendo il divieto di scissione tra la gravidanza e la maternità; e con ciò ponendo una necessaria barriera alla disumanizzazione del-la relazione tra la donna ed il concepito.

10 Su tale questione cfr. R. LE COTTY, L’âge de procréer, in Gazette du Palais, 31 dicembre 2008-3 gennaio 2009, p. 14 ss. Pare utile segnalare che la Corte EDU, 18 aprile 2006, Dickson c. Regno Unito, n. 44262/04, ha ritenuto legittimo il diniego di accesso alla procreazione medicalmente assistita perché l’età dei richiedenti non avrebbe assicurato una vita familiare nor-male al figlio. 11 Al riguardo hanno fatto discutere due contrastanti decisioni riguardanti il divieto di fecondazione eterologa in vitro vi-gente in Austria. Cfr. Corte EDU, 1° aprile 2010, ric. 57813/00, in Famiglia e diritto, 2010, p. 977 ss., e Corte EDU, 3 no-vembre 2011, ric. n. 58713/00. Sulle due decisioni: U. SALANITRO, Il dialogo tra Corte di Strasburgo e Corte Costituzionale in materia di fecondazione eterologa, in Nuova giur. civ. comm., 2012, II, p. 636 ss. 12 A. NICOLUSSI-A. RENDA, op. cit., p. 219 ss. 13 Esito auspicato da una parte della dottrina. Per tutti: C. CAMPIGLIO, Procreazione assistita: regole italiane e internazionali a confronto, in Riv. dir. int. priv. proc., 2004, p. 531 ss. 14 Così A. MORRONE, Ubi scientia ibi iura. A prima lettura sull’eterologa, in www.forumcostituzionale.it, 11 giugno 2014, 6, parr. 8 e 9.

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3. Coppie omosessuali e procreazione medicalmente assistita Più complessa pare l’altra paventata conseguenza derivante dal “piano inclinato”, consistente nell’affermazione del diritto di procreare all’interno delle coppie omosessuali. Benché, sia a livello sovranazionale europeo che nei singoli Paesi, la pari dignità sociale, l’egua-glianza di fronte alla legge delle persone omosessuali ed il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale costituiscano ormai princìpi riconosciuti dal costituzionalismo e dalle sue Corti, tale assiologia fatica a trovare riconoscimento nell’ambito della filiazione 15. Vero è che nel diritto vivente da tempo va affermandosi, pur non senza contrasti, il principio secondo il quale l’omosessualità del genitore non lo rende inidoneo ad educare ed allevare la prole. Permane tuttavia diffusa una sostanziale differenza di atteggiamento nel considerare la posizione degli omosessuali già divenuti genitori – si veda al riguardo la giurisprudenza dome-stica in materia di affidamento al momento della separazione della coppia genitoriale 16 – rispet-to a quella di coloro che genitori non lo sono ancora ma vorrebbero diventarlo con l’adozione di un minore oppure mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita. Sono proprio queste riserve sulla idoneità genitoriale della persona omosessuale, del resto, che spiegano l’incapacità del legislatore italiano nell’approvare una legge sulle unioni non coniuga-li 17. Effetto sicuro del diritto europeo in materia di discriminazioni sarebbe infatti quello di di-chiarare illegittima una legge nazionale che desse rilievo giuridico alle unioni civili eterosessuali negandolo a quelle omosessuali, oppure differenziandone la disciplina. È questa, in effetti, l’at-tuale posizione del “piano inclinato” che impedisce (ma forse non ancora per molto) al debole riformismo italiano di compiere un passo da cui ne deriverebbe in via extraparlamentare un se-condo ancor più lungo del primo. Ed è anche probabile che, per le stesse ragioni, si resista an-cora nel mantenere come requisito legale il rapporto di coniugio tra gli adottanti, in modo forse da evitare che la futura disciplina delle unioni civili (necessariamente anche omosessuali) possa comportare effetti “extraparlamentari” non da tutti auspicati pure in tema di filiazione adottiva 18. Benché una cosa sia l’adozione, altra, invece, la procreazione medicalmente assistita, è però u-nico l’interrogativo cui rispondere per potere ragionare senza ambiguità su entrambe le questio-ni: l’omosessualità dei genitori costituisce per gli eventuali loro figli uno svantaggio o addirittu-ra un pregiudizio grave? Oppure, all’opposto, l’orientamento sessuale dei genitori può essere considerata come una variabile significativa ma di per sé non negativa nel modo di essere della futura famiglia dei figli? Ritengo che la seconda risposta sia quella giusta ed allo stesso modo sembra ormai pensarla un’ampia parte della società. Un fatto questo decisivo, perché il cadere od almeno l’attenuarsi di stigmatizzazioni sociali molto difficili da vivere sta conducendo altresì all’inclusione dell’o-mosessualità nell’orizzonte variegato delle normalità ed in definitiva ad un ridimensionamento delle sue conseguenze sull’identità complessiva della persona, la quale è certamente e soprat-tutto molto altro oltre e prima del suo orientamento sessuale, che peraltro – ma ciò vale anche

15 Significativa, a questo riguardo, Corte EDU, 19 febbraio 2013, n. 19010/07, X ed altri c. Austria, su cui vedi e il commen-to di L. CONTE, Il caso X e altri c. Austria: l’adozione del figlio del proprio partner omosessuale, in Quaderni cost., 2014, p. 119 s. 16 Cfr., Trib. Napoli, 28 giugno 2006, in Giur. merito, 2007, p. 1585 ss.; Trib. Bologna, 15 luglio 2008, in Dir. famiglia, 2009, p. 690 ss.; Cass., 11 gennaio 2013, n. 610, in Minorigiustizia, 2013, 3, p. 248 ss., ove i commenti di V. SISTO, Affidamento esclusivo del minorenne al genitore omosessuale: l’insufficienza del “mero pregiudizio”. 17 Una ricognizione ancora attuale in tema di affidamenti ed adozioni a persone omosessuali in F. BILOTTA, Omogenitoriali-tà, adozione e affidamento famigliare, in Dir. famiglia, 2011, p. 1375 ss. 18 Cfr. Corte EDU, 19 febbraio 2013, n. 19010/07, che ha condannato l’Austria per violazione degli artt. 8 e 14 della Con-venzione, perché ha ammesso all’adozione, oltre alle coppie sposate, le sole coppie non sposate eterosessuali.

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per altri aspetti della vita – può essere vissuto in modo tale da infragilire o pregiudicare l’ido-neità genitoriale della persona eterosessuale come di quella omosessuale. Non sono poche le coppie omosessuali che oggi si recano all’estero per sottoporsi a tecniche di procreazione assistita eterologa e poi tornano in Italia facendo valere lo stato di filiazione del nato o semplicemente del concepito. Successivamente chiederanno per il partner, già svolgente le funzioni di genitore di fatto, l’acquisizione della genitorialità giuridica mediante l’adozione. Volendo qui limitare l’analisi alle sole coppie di cittadinanza italiana non mi addentrerò in altre questioni di diritto internazionale privato, dando dunque per scontato che ad esse debba appli-carsi la legge italiana riguardo allo stato civile del nato, pur nella consapevolezza dell’impossibi-lità delle nostra legge di influire sulle procedure procreative nel Paese straniero di lungo o bre-ve soggiorno (del o) dei genitori. Non v’è dubbio – ai sensi dell’art. 269, 3° comma, c.c. e dell’art. 9, 2° comma, della l. n. 40/2004 – riguardo alla maternità giuridica della partoriente, che chiameremo madre biologica anche qua-lora non le appartenga l’ovulo impiantato 19, ma nemmeno vi sarà dubbio riguardo all’irrilevan-za di un eventuale titolo di genitorialità riconosciuto all’estero alla compagna della puerpera 20. In attesa di una legge che riconosca le unioni omosessuali anche in Italia, quest’ultima potrà svolgere solo in via di fatto le funzioni genitoriali 21, a meno di non interpretare fantasiosamente l’art. 44, lett. d), della l. n. 184/1983, come di recente accaduto a Roma, o non si faccia promo-trice, per il tramite di un giudice, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, lett. b) nella parte in cui non comprende, oltre al coniuge, il convivente del genitore. Diverso, a mio parere, potrebbe essere solo il caso della coppia italiana same-sex coniugatasi nel Paese di seconda cittadinanza di uno dei coniugi, il cui matrimonio potrebbe consentire, a mio parere, l’applicazione della disciplina della filiazione del Paese di seconda cittadinanza se facen-te parte dell’Unione europea, in quanto consequenziale al diritto di circolazione e di stabilimento del cittadino europeo e dei suoi familiari. Negli altri casi sembra invece davvero difficile poter superare il criterio di collegamento alla legge matrimoniale italiana stabilito dall’art. 27 della l. n. 218/1995. Quanto alla paternità omosessuale maschile ottenuta all’estero dal cittadino italiano – utilizzando una donna che al momento del parto decida di non riconoscere il figlio – vale l’avvertenza che per la legge italiana la madre giuridica sarà pur sempre la madre nascosta nel momento in cui decidesse di apparire e di rivendicare il proprio stato, posto che, anche qualora la legge del suo Paese le negasse tale capacità, tale diniego potrebbe risultare, una volta valutate una serie di cir-costanze, contrario all’ordine pubblico esterno italiano. Si tratta di scenari nei quali il formarsi di rapporti di filiazione claudicanti e contraddittori po-trebbe essere evitato solo attraverso l’intesa tra i diversi ordinamenti giuridici, facendo in modo che gli Stati subordino l’accesso alle procedure di procreazione alla condizione della loro am-missibilità nel Paese di cittadinanza dei richiedenti. E penso in particolare alle procedure di

19 Cfr., tuttavia, I. CORTI, La maternità per sostituzione, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà-P. Zatti, vol. II, Il gover-no del corpo, a cura di S. Canestrari-G. Ferrando-C.M. Mazzoni-S. Rodotà-P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2011, p. 1491, secondo la quale l’art. 269 c.c. avrebbe funzione meramente probatoria e sarebbe dunque divenuto obsoleto con il sopraggiungere delle nuove possibilità di accertamento offerte dalla genetica applicata, rendendo così ambigua la questione di diritto so-stanziale riguardante la nozione giuridica di maternità. 20 Sulla tutela delle relazioni genitoriali di fatto in caso di rottura della convivenza, vedi Trib. Min. Milano, 20 ottobre 2009, su cui il commento di G. PALMERI, La famiglia omosessuale. Linee di tendenza e prospettive; in F. ROMEO, Le relazioni affettive non matrimoniali, Utet, Torino, 2014, p. 92 s. 21 Con gravi limiti funzionali, come sottolineato da R. BOSISIO-P. RONFANI, Omogenitorialità. Relazioni familiari, pratiche della responsabilità genitoriale e aspettative di regolazione, in Minorigiustizia, 2014, 3, p. 26.

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procreazione mediante maternità surrogata ed ai casi di accesso alla PMA senza un ragionevole limite di età, dato che in entrambe queste situazioni paiono essere violati principi irrinunciabili dell’ordine pubblico italiano della procreazione. Tuttavia, per poter proporre agli Stati che il carattere di territorialità delle loro discipline in te-ma di procreazione sia limitato dal criterio di nazionalità, od almeno dal criterio di residenza, occorrerebbe inserire l’Italia nell’ampia cerchia delle nazioni che non impediscono alle coppie omosessuali la procreazione medicalmente assistita eterologa e l’adozione. Il che significa, necessariamente: a) introdurre nel nostro ordinamento una disciplina delle unio-ni civili; b) aprire il normotipo dell’adozione alle coppie non coniugate ma stabilmente convi-venti, siano esse etero od omosessuali; c) modificare l’art. 44, lett. b), della l. n. 184/1983, com-prendendovi oltre al coniuge del genitore anche il convivente; d) modificare gli artt. 5 e 12 del-la l. n. 40/2004 in modo da comprendere tra i soggetti legittimati anche le conviventi lesbiche, introducendo nel contempo un più affidabile requisito di stabilità della convivenza 22. 4. Sulla maternità surrogata Qualunque sia il tipo di limite posto da un ordinamento giuridico nazionale alle richieste di ge-nitorialità dei propri cittadini, la sua efficacia dipenderà in larghissima misura dalla possibilità o meno di vedere esaudite tali richieste al di fuori dei confini. E poiché non esiste ad oggi un limite di ordine pubblico della filiazione universalmente condiviso le possibilità del turismo procrea-tivo sono enormi. Dunque non è affatto strano che una donna impossibilitata a condurre a ter-mine la gravidanza, oppure un maschio omosessuale, decidano di recarsi in California, nel Re-gno Unito, in Tailandia od in Ucraina per commissionare a una donna del luogo la nascita di un bambino, ottenendo in quell’ordinamento l’enforcement di un patto che ai sensi della sua legge nazionale non sarebbe ammissibile. Al ritorno nel Paese di cittadinanza, poiché la maternità surrogata non è una tecnica di procrea-zione ma una prestazione di fonte negoziale 23, il neogenitore di sesso maschile potrebbe talvolta limitarsi a far valere l’atto di riconoscimento del figlio natogli fuori del matrimonio; in altri casi, invece, specie se l’atto di nascita del bambino reca menzione o traccia dell’accordo di maternità surrogata, tenterà di mettere il proprio ordinamento giuridico di fronte al fatto compiuto chie-dendogli di porre rimedio, nell’interesse in concreto del figlio-minore, al carattere claudicante della filiazione. Come reagiscono i giudici a queste sollecitazioni? Sino ad oggi è rimasto decisamente minorita-rio l’orientamento favorevole alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano degli atti stra-nieri da cui risulti la genitorialità dei cosiddetti genitori di intenzione di cittadinanza italiana. O-rientamento basato sulla convinzione che non possa ritenersi affermata la contrarietà all’ordine pubblico esterno di tali atti in ragione del crescente numero di ordinamenti a noi culturalmente vicini che ammettono la maternità surrogata a titolo gratuito; nonché sull’opportunità di evita-

22 L’art. 5 della l. n. 40/2004 non consente, nella sua formulazione attuale, di verificare l’effettività e la stabilità della convi-venza. Sul punto: P. STANZIONE-G. SCIANCALEPORE, Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Giuffrè, Milano, 2004, p. 32. 23 La natura negoziale o meno dell’accordo di maternità surrogata è stata a lungo oggetto di dibattito. Affermarne la nego-zialità ha senso solo predicando anche la vincolatività delle promesse che vi sono contemplate e dunque l’illiceità di un ri-pensamento o la sua impossibilità giuridica; di converso ove un ripensamento fosse ritenuto sempre possibile si avrebbe un accordo privo di effettività tra le parti e quindi sicuramente non negoziale. Sul punto, I. CORTI, op. cit., p. 1488 s.

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re il carattere claudicante della filiazione, a protezione dell’interesse in concreto del minore alla stabilità dello status familiae comunque acquisito 24. Proprio la tutela dell’interesse del nato da madre surrogata pare costituire la ratio decidendi che ha condotto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con due sentenze gemelle, a condannare la Francia per non avere riconosciuto il rapporto di filiazione legalmente instauratosi negli Stati Uniti tra due coppie (entrambe eterosessuali, francesi e residenti in Francia) e le rispettive figlie (le due gemelle Mennesson e la piccola Labassee) nate da due gravidanze per conto d’altri 25. La Corte europea, invero, ha escluso che tale rifiuto configurasse una violazione del diritto alla vita familiare delle due coppie; ha però ritenuto che fosse stato violato il diritto delle minori – le-galmente riconosciute negli Stati Uniti come figlie delle coppie francesi – al rispetto della loro vita privata. Va osservato come, prima di ricorrere alla Corte di Strasburgo, le tre bambine ab-biano vissuto in Francia con i loro genitori d’intenzione per molti anni senza godere dello stato civile di filiazione corrispondente alla loro vita familiare effettiva e senza che venisse ricono-sciuta loro la cittadinanza francese. Va inoltre considerato il rilievo argomentativo, sul quale a breve dovremo tornare, attribuito dalla Corte al fatto che i due mariti erano stati entrambi do-natori dei gameti maschili necessari per la procreazione delle rispettive figlie, integrandone così l’identità biologica. Di poco successiva alle richiamate decisioni della Corte europea, è la sentenza della Cassazione riguardo al rifiuto dell’ufficiale di stato civile di trascrivere l’atto di nascita di un bambino con-cepito in Ucraina mediante una maternità surrogata non rispettosa della normativa di quel Paese perché mancante dell’apporto genetico di almeno uno dei due genitori di intenzione 26. La Cassazione ha ritenuto l’atto di stato civile ucraino contrario all’ordine pubblico esterno ita-liano motivando tale affermazione principalmente sulla base di due rilievi: a) l’intollerabilità della violazione della dignità umana delle gestanti negli accordi di maternità surrogata; b) la necessi-tà che, in mancanza di un legame genetico con almeno uno di coloro che si pretendono genito-ri legali, il nato non sia sottratto alla gestante in base ad un accordo privato; e che, nel caso in cui quest’ultima al momento del parto non intenda assumersi la responsabilità genitoriale, sia individuata una famiglia idonea ad accogliere il nato secondo le procedure previste per l’ado-zione. Ritengo pienamente condivisibile il primo rilievo benché, come osserva la Corte, esistano obie-zioni secondo le quali non vi sarebbe alcuna lesione della dignità della donna ove questa si offra come madre meramente gestazionale per spirito di solidarietà ed a titolo gratuito. Due requisiti ben difficili però da mantenere al di fuori di pochi casi eccezionalmente motivati. Al netto forse di comportamenti eccezionalmente motivati da esigenze “ideologiche”, sul breve orizzonte di una battaglia per “i diritti civili” è infatti ben difficile che una donna presti il suo corpo per ospitarvi i futuri figli di altri senza esservi indotta da altro che non sia umana solidarietà. E forse è già questa la ragione per la quale alcuni Paesi (abbondanti in povertà) sono più visitati di altri per “turismo procreativo”. Vero è che procedure di procreazione con madri di sostituzione o surrogate sono già disciplina-te pure in Paesi europei e americani a noi culturalmente abbastanza vicini, ma il requisito della gratuità, generalmente previsto, resta un punto delicatissimo non tanto riguardo alla sua forma-

24 Così App. Bari, 13 febbraio 2009, in Famiglia e diritto, 2010, 3, p. 251 ss., con nota di M.C. DE TOMMASI, Riconoscibilità dei c.d. “parental order” relativi ad un contratto di maternità surrogata concluso all’estero prima dell’entrata in vigore della legge n. 40/2004; Trib. Napoli, 14 luglio 2011, in Foro it., 2012, I, c. 3349 (riguardante però il solo padre genetico). 25 Così Corte EDU, 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11 e ric. n. 65941/11. 26 Cass. 11 novembre 2014, n. 24001.

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le previsione quanto alla sua effettività (ove, cioè, non ci si accontenti di una clausola sotto-scritta dalle parti). Tanto i sociologi che i giuristi sanno bene, del resto, che le logiche retributive possono ben coesistere con un singolo negozio giuridico a titolo gratuito prima e dopo del quale rimane una relazione tra le parti altrimenti governata, mentre la stessa gratuità, accompagnata da indenniz-zi e rimborsi, può dare surrettiziamente luogo a prestazioni retribuite 27. Né rassicura il fatto che, nei Paesi dove la disciplina della gratuità dell’accordo di maternità surrogata è più stretta-mente controllata, la gestante per conto d’altri è quasi sempre una familiare della madre com-mittente (di solito la madre-nonna e la madre-zia del nato) 28. È evidente come il legame fami-liare tra gestante e madre possa incentivare decisioni oblative, ma soprattutto come possa in-durle o più esattamente forzarle, con conseguenze che andrebbero evitate. Quanto alle com-mittenze tra estranei, per avere un’effettiva garanzia di gratuità occorrerebbe almeno eliminare il momento degli accordi tra i privati (gestante, committenti, intermediari) e stabilire anche nei riguardi dei “committenti” l’anonimato, almeno sino al momento dell’esecuzione della presta-zione, delle gestanti per conto terzi, la cui disponibilità andrebbe preventivamente raccolta da un’autorità amministrativa-sanitaria responsabile del successivo abbinamento tra donne porta-trici di redditi o di rendite adeguati e dunque non condizionabili dall’obiettivo di una retribu-zione o di una indennità, ancorché dissimulate. È stato però osservato, con particolare riguardo al Regno Unito, come l’attuazione di un siste-ma efficiente di controllo della “eticità” delle gestazioni per conto d’altri si scontri con la man-canza di “gestanti di cortesia”, inducendo i cittadini a reperire ugualmente quel servizio in altri Paesi. Essi, tornando in patria con il figlio ormai ricevuto da una madre surrogata, vedranno ri-conosciuta la propria genitorialità anche quando sia evidente il mancato rispetto delle regole di eticità imposte dalla legge inglese, poiché il giudice riterrà prioritario proteggere il superiore interesse del minore ormai nato mediante tecniche che in se stesse l’ordinamento ricevente am-mette 29. Anche il secondo rilievo posto a fondamento della richiamata sentenza della Cassazione – ri-guardante la mancanza di un legame genetico del nato da maternità surrogata con almeno uno dei genitori d’intenzione – può essere condiviso. Esso pone però un limite di ordine pubblico alla riconoscibilità della filiazione mediante maternità surrogata decisamente più arretrato di quello che fa perno sull’indissolubilità della maternità dalla gestazione. Occorre quindi guardarsi dal rischio che, da argomento ad adiuvandum, il secondo rilievo svolto dalla Cassazione si tra-sformi in altre decisioni in un argomento alternativo e quindi contrario al primo. Con l’ulte-riore rischio, in prospettiva, di scoprire che questa seconda e più arretrata linea di invalicabilità si riveli ben più facile da oltrepassare, dato che già in altre fattispecie si riconosce che la genito-rialità non si fonda necessariamente nel suo antefatto genetico. Ma questo è vero solo in ragio-ne della obiettiva preponderanza del lungo, intimo ed intenso processo di vita che avviene du-rante la gravidanza. Un terzo rilievo dovrebbe forse assumere maggiore importanza nelle decisioni che riguardano la riconoscibilità o meno dello stato di filiazione conseguito all’estero mediante una gestazione per conto di altri: mi riferisco all’esistenza, oppure alla mancanza, di una vita familiare già con-

27 Tipica, per l’Italia, è la vicenda dell’ufficio (gratuito per legge) del tutore e dell’amministratore di sostegno. 28 È quanto emerge, ad esempio, dalla rassegna di giurisprudenza belga riportata nel documento “La maternité de substitu-tion et l’état civil de l’enfant dans des Ètats membres de la CIEC”, pubblicato sul sito di questa organizzazione interstatuale nel febbraio 2014. 29 Così M.A. FRISON ROCHE, L’impossibilité de réguler l’illicite: la convention de maternité de substitution, in Recueil Dalloz, 2014, p. 2186 s.

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solidatasi nel momento in cui viene richiesto il riconoscimento giuridico di un rapporto di filia-zione 30. In entrambi i casi che hanno dato luogo alle già richiamate sentenze gemelle della Corte euro-pea, i figli nati mediante maternità surrogata si trovavano a vivere da circa dieci anni nella fami-glia dei genitori-committenti. A fronte di una vita familiare ormai consolidatasi, il diniego dello stato di filiazione giuridicamente già costituitosi all’estero secondo la Corte non poteva comun-que risultare giustificato. Sotto forme nuove, o nuovissime, si ripropone qui un dilemma già ben conosciuto dai giudici: una cosa, ad esempio, è allontanare il bambino appena entrato in una famiglia che lo ha adotta-to senza rispettare le procedure, altra invece è intervenire per sradicare quello stesso bambino dai suoi affetti familiari alcuni anni dopo che sia stato illegittimamente adottato. Nel primo ca-so lo Stato tutela l’interesse generale dei minori ad essere adottati e non, ad esempio, comprati o illegittimamente sottratti alla loro madre. Nel secondo caso si potrebbe invece ritenere che l’intervento statuale, per la sua tardività, non persegua nessun obiettivo utile, né in termini pre-ventivi generali né in quella concreta situazione. La temporalità dovrebbe dunque costituire – fungendo spesso, anche se non necessariamente, da unità di misura dell’interesse in concreto del minore – uno degli elementi di valutazione nel decidere se il riconoscimento di rilevanza giuridica all’atto straniero si scontri oppure no con il limite dell’ordine pubblico esterno, il quale è sempre da valutare in concreto riguardo al singolo atto, o meglio agli effetti che esso produrrà nell’ordinamento interno 31. Questo potrebbe suscitare, criticamente, l’idea di una filiazione acquisita per usucapione, istitu-to ovviamente estraneo alle vicende di status. Pensarlo sarebbe tuttavia una evidente forzatura, dato che in questo caso si tratta più modestamente di fare emergere una ratio decidendi in gra-do, assieme ad altre, di orientare il giudice nel prendere decisioni che sappiano bilanciare il ri-spetto del superiore interesse dei minori valutato in astratto con la salvaguardia del superiore ma concreto interesse del minore coinvolto nella singola decisione 32. Un bilanciamento delicatissimo che la Corte di Strasburgo sembra avere mancato nella sua più recente decisione riguardante il caso di una procedura di adottabilità disposta dal giudice ita-liano nei riguardi di un bimbo di nove mesi giunto in Italia con la coppia che lo aveva ottenuto acquistando per 49.000 euro un servizio di maternità surrogata realizzata in Russia senza alcun apporto genetico da parte dei committenti 33. La Corte ha ritenuto che la violazione da parte dei coniugi del divieto di maternità surrogata e la violazione delle norme sull’adozione interna-zionale 34 non giustifichino una misura così drastica come l’allontanamento del bambino da co-loro che in fatto svolgono le funzioni genitoriali, poiché mancava nel caso di specie un pericolo immediato cui sottrarre il minore. Mi pare tuttavia che la sottrazione del bambino in tenerissi-ma età alla coppia che lo aveva commissionato avesse il duplice e condivisibile intento di non

30 Cfr. Corte EDU, 3 maggio 2011, n. 56759/08, ove il ricorrente, cittadino greco, adottato dallo zio vescovo negli Stati Uniti ma in violazione del diritto greco, si era visto negare lo status di figlio molti anni dopo, quando il genitore adottivo era morto. La Corte osserva, tra l’altro, che il rapporto di filiazione aveva ormai avuto una lunga ed effettiva durata prima della morte del genitore adottivo. 31 Il consolidarsi della vita familiare è parso un elemento di valutazione significativo anche per Corte EDU, 28 giugno 2007, n. 76240/01, riguardante il caso di una minore peruviana cui le autorità lussemburghesi si ostinavano a non riconoscere lo stato di figlia legittima della madre adottiva. 32 Interessanti alcuni passaggi della sentenza resa a stretta maggioranza dal Tribunal Supremo di Spagna, 6 febbraio 2014, n. 835/2013, secondo il quale «la invocaciòn indiscriminada del “intéres del menor” servirìa de este modo para hacer tabla rasa de cuaquier vulneraciòn de los demàs bienes jurìdicos tomados en consideraciòn por el ordinamiento». 33 Corte EDU, 27 gennaio 2015, n. 25358/12. 34 Per la quale essi avevano ricevuto il decreto di idoneità relativo ad un minore di età più grande.

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creare un maggior danno al bambino dilazionando un provvedimento che se adottato in segui-to avrebbe avuto effetti ben più traumatici e di prevenire una filiera di acquisto di bambini pro-dotti a pagamento su commissione che la legge russa in effetti rende possibili, con il conse-guente annichilimento del sistema di cooperazione interstatuale delle adozioni internazionali, reso inutile dalla possibilità di acquisire per contratto bambini che altri hanno partorito con il patrimonio genetico di sconosciuti; e con tempi decisamente più brevi di quelli che, almeno in Italia, caratterizzano le procedure di adozione internazionale 35. Alla fioca luce del diritto vivente, dentro e fuori i confini nazionali, risulta dunque ancor più opportuno giungere alla costruzione di un sistema convenzionale di cooperazione interstatuale che non obblighi le parti contraenti né ad introdurre né ad eliminare dal proprio ordinamento la maternità surrogata, ma che realizzi un sistema di tutela più efficace delle persone coinvolte ed in particolare delle donne gestanti. Con quali clausole? Se stabilisse le condizioni legali uniformi del successivo riconoscimento della filiazione mediante maternità surrogata nel Paese di cittadinanza dei genitori d’intenzione la Convenzione andrebbe troppo oltre i suoi ragionevoli obiettivi, realizzando in sostanza una legalizzazione indiretta ed ambigua della maternità surrogata anche nei Paesi dove essa è vieta-ta. Potrebbero però essere previste procedure di garanzia contro la commercializzazione della gestazione; procedure di accreditamento degli enti operanti nel settore in quei Paesi che am-mettano la maternità surrogata. Potrebbe infine essere previsto l’impegno dei Paesi che am-mettono la maternità surrogata a consentirne l’accesso a cittadini stranieri, od a cittadini stra-nieri non residenti, solo a fronte della garanzia della riconoscibilità della stessa nel Paese di cit-tadinanza 36.

35 Reagendo a questa prospettiva, il legislatore italiano potrebbe differenziare la sanzione penale per violazione del divieto di maternità surrogata, sanzionando più severamente (in modo da superare la soglia dell’impunità di cui all’art. 9, 2° com-ma, c.p.) i casi nei quali non vi sia apporto genetico da parte dei committenti, o non risulti provata la gratuità della presta-zione e la piena liberalità e consapevolezza della gestante. 36 In questa prospettiva, H. FULCHIRON-C.H. BIDAUD-GARON, L’enfant de la fraude, in Recueil Dalloz, 2014, p. 905 ss.

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AIAF - Organi statutari

Presidente: Alessandro Sartori

Vicepresidente: Franca Alessio

Giunta Esecutiva: Alessandro Sartori (Presidente), Franca Alessio (Vicepresidente), Daniela Abram (AIAF Emilia Romagna), Manuela Cecchi (AIAF Toscana), Remigia D’Agata (AIAF Sicilia), Gabriella de Strobel (AIAF Veneto), Francesco Pisano (AIAF Sardegna), Giulia Sarnari (AIAF Lazio), Antonina Scolaro (AIAF Piemonte)

Direttore Responsabile Scuola di Alta Formazione dell’AIAF: Maurizio Bandera Direttore Scientifico Scuola di Alta Formazione dell’AIAF: Alberto Figone

Comitato Direttivo Nazionale

Abruzzo Maria Carla Serafini (presidente) Federica Di Benedetto Calabria Stefania Mendicino (presidente) Campania Rosanna Dama (presidente) Erminia Del Cogliano Emilia Romagna Daniela Abram (presidente) Lorenza Bond, Marta Rovacchi Friuli Venezia Giulia Maria Antonia Pili (presidente) Graziella Cantiello, Paola Bardi Lazio Marina Blasi (presidente) Costanza Pomarici, Giulia Sarnari, Ginetta Bergodi Liguria Liana Maggiano (presidente) Massimo Benoit Torsegno, Alberto Figone Lombardia Cinzia Calabrese (presidente) Franca Alessio, Maurizio Bandera, Marisa Bedotti, Mari-na Bologni, Cinzia Colombo, Giuseppina De Biasi, Anto-nella De Peri, Cesare Fiore, Stefania Lingua, Carla Loda, Francesca Mazzoleni, Gerardo Milani, Laura Pietrasanta, Mirella Quattrone, Antonella Ratti, Giulia Sapi Marche Anna Pelamatti Cagnoni (presidente) Molise Romeo Trotta (presidente)

Piemonte Dionisio Giovanni (presidente) Maria Cristina Bruno Voena, Cristina Giovando, Maria Cristina Ottavis, Antonina Scolaro, Marina Torresini Puglia Ada Marseglia (presidente) Sardegna Luisella Fanni (presidente) Stefania Bandinelli, Francesco Pisano, Anna Marinucci Sicilia Remigia D’Agata (presidente) Cinzia Fresina, Antonio Leonardi, Caterina Mirto Toscana Manuela Cecchi (presidente) Sandra Albertini, Carla Marcucci, Gigliola Montano, Bruna Repetto, Sandra Tagliasacchi, Valeria Vezzosi Trentino Alto Adige Elisabetta Peterlongo (presidente) Federica Fuggetti Umbria Anna Maria Pacciarini (presidente) Anita Grossi, Maria Rita Tiburzi Veneto Alessandro Sartori (presidente) Roberta Bettiolo, Gaudenzia Brunello, Paola Cacco, Francesca Collet, Gabriella de Strobel, Sabrina De Santi, Caterina Evangelisti Franzaroli, Lucia Fazzina, Elisabetta Francescato, Rita Mondolo, Giulia Schiaffino, Damiana Stocco, Assunta Todini

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