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  • Prima parteI figli dei boschi

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    Camminavamo veloci, gli scivolavo dietro comeuna slitta trainata dai cani, era così da ore.

    L’appuntamento era notturno, e notturna, ov-viamente, doveva essere la traversata. Di questo sitrattava, percorrere la regione lasciando la vista diun mare per vederne un altro.

    Piovigginava da giorni come spesso succedevain quel periodo dell’anno. L’acqua non riusciva apassare la giubba impermeabile della pesante mi-metica dell’ejército español e bagnare la camicia e ipantaloni.

    Folate di vapore prodotte dal calore del corpofuoriuscivano dal giaccone, e attraverso le tascheaperte dall’interno controllavo continuamente chel’AK 47 non si bagnasse. Il contatto col metallo fred-do dava una scossa all’adrenalina già abbondantenel sangue. Toccavo la sgraziata leva del seleziona-tore di fuoco per accertarmi che non fosse in R o Jma in U, sicura.

    Avevamo munto le bestie e dopo averle ricove-rate e riposto il latte alle prime ombre della sera era-vamo partiti. La consegna del porco doveva avve-nire a molti chilometri di distanza, lui agli appunta-menti arrivava sempre in abbondante anticipo.

    Attraversammo nell’ordine boschi di lecci, bas-si e fitti, pieni di cespugli spinosi che a volte vin-

  • cevano lo spessore degli abiti e segnavano le car-ni; strette file di pino comune, dove il pericolo erarappresentato dai rami bassi e secchi che cercava-no inesorabilmente gli occhi, bisognava inclinarela testa e lasciare che la visiera del berretto respin-gesse gli attacchi; boschi di altissimi e maestosi pi-ni loricati i cui aghi morbidi nascondevano profon-de buche scavate dai cinghiali, dentro le quali simisurava l’elasticità e la solidità delle caviglie(un’entrata baldanzosa e si finiva, se c’erano, sulleforti spalle di qualcuno che ti trasportasse in un ri-covero), per chi può vedere gli aghi di pino sonouna candida distesa di neve sulla quale le traccedurano giorni; immensi faggeti su estensioni pia-neggianti camminando sopra croccanti crakers, ta-le è il rumore delle foglie calpestate, assordante nelbosco silente.

    Raggiunta la vetta più alta, e iniziata la discesa,la vegetazione si ripeteva in ordine inverso.

    Una tale traversata, anche se fatta di giorno, sa-rebbe stata per occhi inesperti una pazzia, se nonun suicidio: boschi inestricabili, viscide rocce, tor-renti impetuosi, dirupi maligni, recinti di filo spi-nato.

    Lui entrava in simbiosi con quella natura chepoteva apparire ostile, vi s’immergeva completa-mente e ne faceva parte, ne era un elemento essen-ziale: la montagna, che respinge le ostilità, lo accet-tava, e lui l’amava più di ogni altra cosa al mondo.

    Lui e la montagna, ne era convinto, odiavano so-lo due cose, le querce e i porci, entrambe distrutti-ve per l’ambiente.

    La quercia rendeva il terreno sul quale crescevaarido e desertico, e il suo frutto ingrassava il porco,che distruggeva boschi, argini, fungaie, colture epascoli.

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  • Lui conosceva ogni passo, albero, ruscello, fale-sia, ricovero e trabocchetto come solo un nativo deiluoghi poteva. Lì era nato e cresciuto. Poi se ne eraallontanato ma, inesorabilmente, la montagna loaveva riattratto. Chi là nasceva là moriva. E soprat-tutto due erano le cause di morte, la fatica e il piom-bo, a esse era difficile sfuggire.

    Lui era mio padre.Rappresentava il prodotto tipico di quella terra,

    tarchiato, forte e resistente, indurito e fragile allostesso tempo. Soprattutto determinato a resistere, aqualsiasi costo e prezzo, regola legale o morale.

    Divoravamo la strada che portava al porco, nu-trimento avvelenato, forse, per la nostra terra.

    Arrivammo che era ancora notte fonda, perlu-strammo la zona descrivendo una serie di cerchiconcentrici, sempre più stretti. Solo gli animali not-turni ci facevano compagnia. Ci sedemmo sopradue grosse pietre a ridosso del guardrail che deli-mitava la piazzola di sosta dell’autostrada, e ini-ziammo l’attesa.

    Di tanto in tanto il rumore di qualche mezzoscuoteva la notte silenziosa, i fari rompevano ilbuio… e ricominciava l’attesa.

    Dopo un paio d’ore si udì un rombo diverso.Un camion rallentò, si fermò. Si aprì un portello-ne e ombre veloci scavalcarono la recinzione e siaccucciarono a terra. Il grande mezzo ripartì. Po-chi secondi e il silenzio e il buio furono di nuovopadroni.

    Sentivo i loro odori, i loro pensieri, non avevanopaura, erano certi di essere attesi. Il fischio breve esecco di mio padre dissolse l’ansia che li attanaglia-va; ce l’avevano fatta, erano al sicuro, il fardello diresponsabilità si trasferiva ora sulle forti spalle dimio padre.

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  • L’unico intimorito ero io, stavolta era diverso,il porco era sceso agile, tranquillo, diritto; avevosperato che arrivasse curvo e implorante, per nonaverne rispetto e pietà. Era arrivato invece a spal-le alte, sprezzante. Non ci temeva. La cosa più im-portante, la sua famiglia, adesso era lontana e alsicuro.

    I guai, purtroppo, erano assicurati.Ci avvicinammo senza parlare. Mio padre prese

    la mano di Luciano, se la appoggiò sulla spalla e locondusse a distanza di sicurezza dalla strada. Ri-peté l’operazione con Luigi. Poi prendemmo inmezzo il porco e lo portammo dove erano gli altridue; al primo chiarore saremmo ripartiti, loro nonerano in grado di camminare col buio.

    Mio padre parlò piano, con dolcezza, gli spiegòche la camminata era lunga, gli avrebbe tolto le ma-nette, si sarebbero fermati ogni volta si fosse senti-to stanco, gli avrebbe dato da mangiare e da beread ogni richiesta e lo avrebbe trasportato sulle spal-le nei punti più pericolosi. Se invece non collabora-va l’avrebbe trascinato a forza facendolo strisciareper terra. Il porco fece un cenno d’assenso, l’alba ri-schiarò il passo e partimmo, ad andatura ovvia-mente più lenta.

    Dopo un paio d’ore di marcia mio padre si sentìsufficientemente al sicuro per farli riposare. Poteifinalmente, senza parlare, abbracciare i miei amici.Tirai giù lo zaino delle meraviglie che portavo sem-pre con me, vi cavai fuori il fornellino da campo epreparai il caffè. Distribuii cioccolata e biscotti, e inun bosco di lecci bagnati dalla pioggia leggera diaprile, la strana compagnia si distese a sedere, nel-l’attesa che la moka compisse il solito miracolo e

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  • Indice

  • Prima parteI figli dei boschi 7

    Seconda parteOmbre in luce 95

    Terza parteAnime nere 167