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Allegato VII - Pagina 1 di 28 REGIONE LIGURIA PIANO DI TUTELA DELLE ACQUE Allegato VII Linee guida per la delimitazione delle Aree di Salvaguardia riporta i riferimenti normativi con le relative interpretazioni, i criteri e le priorità con cui delimitare le aree di salvaguardia attorno alle captazioni ad uso idropotabile Testo coordinato

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REGIONE LIGURIA

PIANO DI TUTELA DELLE ACQUE

Allegato VII

Linee guida per la delimitazione delle

Aree di Salvaguardia

riporta i riferimenti normativi con le relative interpretazioni, i criteri e le priorità con cui delimitare le aree di salvaguardia

attorno alle captazioni ad uso idropotabile

Testo coordinato

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SOMMARIO

1 IL TERRITORIO ...........................................................................................................3

1.1 Inquadramento litologico........................... .........................................................4 1.2 Le caratteristiche idrogeologiche della Regione Lig uria .................................5

1.2.1 Introduzione....................................... ...........................................................5 1.2.2 Inquadramento idrogeologico generale ............... ......................................6

2 NORMATIVA.......................................... ....................................................................11 3 LINEE GUIDA PER LA DELIMITAZIONE DELLE AREE DI SALV AGUARDIA........14

3.1 Sorgenti ........................................... ...................................................................14 3.2 Pozzi in sedimenti sciolti ......................... .........................................................17 3.3 Pozzi in un substrato roccioso..................... ....................................................19 3.4 Captazioni superficiali ............................ ..........................................................22

4 STRATEGIE DI INTERVENTO PER L’APPRONTAMENTO DELLE A REE DI SALVAGUARDIA....................................... .......................................................................25 5 DEFINIZIONI ..............................................................................................................26

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INTRODUZIONE La Liguria presenta caratteristiche peculiari che in qualche modo la contraddistinguono dal resto del panorama territoriale nazionale (fig. 1). Il territorio regionale, infatti, si sviluppa in una ristretta fascia compresa tra una costa dal profilo accidentato ed un arco di rilievi collinari e montuosi incombenti su tale costa. In questa sottile fascia in cui i rilievi montuosi si raccordano con il mare e che è rappresentata essenzialmente dalle zone pianeggianti costiere e dai fondovalle dei maggiori corpi idrici a vergenza tirrenica, risulta concentrata la quasi totalità delle infrastrutture insediative, produttive e di comunicazione regionali. Il restante territorio regionale (circa l’ 88% della superficie totale) è costituito da rilievi montuosi e collinari che rappresentano il principale polmone territoriale per la popolazione, in quanto costituito da paesaggi ad alto valore naturalistico e sede delle principali risorse e materie prime, spesso sfruttate in maniera incontrollata. Tale territorio si affaccia sul mare, sede di sviluppo di attività produttive, commerciali, di navigazione, di trasporto e turistiche, che rappresentano a loro volta un’importante fonte di sostentamento per le popolazioni liguri.

1 IL TERRITORIO La Liguria è compresa tra i 4° 58’ ed i 2° 22’ long itudine Ovest (dal meridiano di Monte Mario) ed i 43° 45’ ed i 44° 40’ latitudine Nord (I.G.M.); la s uperficie territoriale è di 5420,82 Kmq corrispondenti all’1,79% dell’intera superficie nazionale, per una composizione così distribuita: 3528,15 Kmq di montagna (65% del totale) e 1892,67 Kmq di collina (35% del totale). La regione amministrativa ha la forma di una sottile striscia di terra, larga dai 7 ai 35 km (rispettivamente in corrispondenza della località Voltri e dell’alta montagna dell’Imperiese) e lunga 240 Km circa, che si dispone a semicerchio attorno al Mar Ligure con la convessità rivolta verso Nord ed è compresa tra il mare e la linea dello spartiacque delle Alpi Marittime e dell’Appennino Settentrionale che in alcuni punti travalica (ad esempio in corrispondenza delle montagne savonesi e genovesi). Alcuni rilievi montani superano i 2000 m; la linea dello spartiacque si svolge ad una altitudine media di circa 1000 metri. I valichi principali sono il colle di Nava (800 m), il colle di Cadibona (450 m), il passo dei Giovi (472 m), il passo della Scoffera (678 m), il passo Cento Croci (1.033 m). Dalla linea dello spartiacque il terreno degrada verso il mare in maniera molto più ripida di quanto accade sul versante opposto. Nella zona a mare la piattaforma continentale, assai ristretta, scende quasi subito a notevoli profondità marine. La costa ha uno sviluppo di circa 350 Km, si presenta generalmente frastagliata, spesso alta e compatta. Alle foci dei maggiori corsi d’acqua esistono piccole spiagge, mancano però profonde insenature e porti naturali, se si eccettuano quelli di Genova e La Spezia, poi ampiamente modificati dall’intervento antropico. Il sistema idrografico è costituito prevalentemente da brevi corsi d’acqua a carattere torrentizio. Sul versante litoraneo (tirrenico) i più importanti sono: il Roja (nel suo corso inferiore), il Nervia ed il sistema Vara-Magra; sul versante interno (padano) troviamo alcuni affluenti del Po: i due rami del Bormida, lo Scrivia e il Trebbia; la portata dei suddetti corsi d’acqua è esigua, ma soggetta a notevoli aumenti durante il periodo delle piogge.

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1.1 Inquadramento litologico Da un punto di vista litologico in Liguria è presente una notevole varietà di rocce e sedimenti di generi ed età molto diverse. Tali materiali, sia di origine vulcanica, sia deposti in ambienti continentale, marino ed oceanico, sono stati sottoposti, nel corso delle ere geologiche, a processi che li hanno spesso trasformati da un punto di vista mineralogico (per le pressioni e le temperature cui sono stati soggetti) e dislocati rispetto alla loro giacitura originaria soprattutto nel corso dell’orogenesi Alpina ed Appenninica.

Figura 1. Liguria Fisica

Con riferimento alla carta schematica della distribuzione delle litologie (fig. 2) affioranti in Regione Liguria, osserviamo che: nel settore occidentale ligure compreso tra Voltri e Ventimiglia, di pertinenza geologico-strutturale del dominio alpino, sono ben rappresentati nella parte basale complessi di rocce di età molto antica (premesozoica, ossia risalenti, come formazione, a più di 250 milioni di anni fa) che costituiscono i cosiddetti massicci cristallini di cui il più importante come affioramento è rappresentato dal Massiccio Argentera-Mercantour presente nel settore più occidentale della Liguria al confine italo-francese. Le rocce più tipiche sono ortogneiss, paragneiss, micascisti e anfiboliti. Al di sopra di questo basamento si rinvengono dapprima conglomerati, arenarie ed argilliti che testimoniano i fenomeni erosivi connessi all’orogenesi ercinica, quindi rocce dolomitiche e calcaree delle piattaforme carbonatiche brianzonesi. Al di sopra si ritrovano successioni di argilliti-arenarie e argilliti-marne e calcari marnosi note con il termine geologico di “flysch”. - Nel settore centrale della Liguria, compreso tra Voltri e Varazze, è presente il cosiddetto gruppo di Voltri che rappresenta l’area di raccordo tra le due strutture alpina ed appenninica. Le rocce più rappresentate sono serpentiniti, metavulcaniti basiche, quarzoscisti, marmi a silicati, calcescisti s.s. e micascisti. - Il levante ligure, nella zona compresa tra Genova ed il confine con la Toscana, rappresenta l’inizio della catena appenninica; da un punto di vista stratigrafico, nel levante ligure, si riconosce una successione formata alla base da rocce prevalentemente metamorfiche che appartengono alla serie toscana (scisti policromi associati a basamento cristallino) e da ofioliti che derivano dalla stessa genesi di quelle del Gruppo di Voltri. Al di sopra si ritrovano sedimenti di copertura rappresentati da peliti, ardesie e flysch arenacei o calcareo-marnosi. Tutta la sequenza ha età, nel

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complesso, più recente della corrispondente serie del ponente ed ha subito deformazioni e processi di ricristallizzazione metamorfica più modesti.

Figura 2. Schema delle litologie (da “Alpi Liguri, Società ge ologica Italiana – BE-MA editrice, 1994)

1.2 Le caratteristiche idrogeologiche della Regione Liguria

1.2.1 Introduzione L’impatto generato dalle pressioni antropiche e dagli agenti atmosferici sul suolo determina spesso conseguenze negative anche sulle acque sotterranee che trovano sede nel sottosuolo e che rappresentano una risorsa di grande pregio per gli scopi idropotabili ed irrigui. In Liguria le reti di distribuzione delle principali reti acquedottistiche sono alimentate, oltre che dalle acque superficiali (torrenti e invasi artificiali), da emergenze naturali della circolazione idrica sotterranea (sorgenti) e da pozzi localizzati nelle falde di subalveo. Nell’entroterra, poi, moltissime sorgenti alimentano reti locali destinate al consumo umano di piccoli centri urbani. Si è ritenuto pertanto indispensabile descrivere le principali caratteristiche di questa matrice ambientale nell’ambito del territorio ligure, essendo in genere fortemente esposta agli agenti inquinanti veicolati dalle acque di infiltrazione nel suolo e nel sottosuolo. Il coinvolgimento della matrice ambientale “acque sotterranee” dipende da: • Caratteristiche geologiche, litologiche, strutturali e morfologiche del suolo e del sottosuolo. • Caratteristiche idrogeologiche dell’area considerata. • Pressioni esercitate sul territorio. • Caratteristiche chimico-fisiche dell’elemento/composto inquinante e specialmente la sua attitudine ad essere veicolato in soluzione o ad essere fissato sulla parte solida, in determinate condizioni termodinamiche del sistema solido-liquido. Nello studio delle acque sotterranee il primo approfondimento necessario è quello di valutare se le rocce o i sedimenti presenti nel territorio investigato possono essere degli acquiferi, ovvero sede di una falda o corpo acquifero.

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L’acquifero, infatti, è la formazione idrogeologica permeabile, detta anche “roccia serbatoio” in cui è contenuto un giacimento (“corpo acquifero” – “falda”) di acque sotterranee. È necessario pertanto studiare il tipo di roccia ed il contesto strutturale e morfologico in cui è collocata. In seconda battuta è necessario conoscere, anche mediante prove dirette in campo, le principali caratteristiche idrogeologiche di queste “rocce serbatoio” e delle acque in esse contenute, ossia i parametri: permeabilità intrinseca, conducibilità idraulica, trasmissività, gradiente idraulico, porosità e coefficiente di immagazzinamento. Va da sé che le attività antropiche influiscono negativamente sulla qualità delle acque sotterranee quando vengono svolte senza opportune precauzioni o senza l’impiego di impianti appositamente preposti al trattamento delle emissioni, siano esse liquide, solide o gassose. È pertanto necessario approfondire le conoscenze sulle pressioni esistenti per poter valutare il rischio di contaminazione prima del suolo e poi delle acque sotterranee e le modalità con cui tale contaminazione può avvenire; ciò anche al fine di costruire un’idonea rete di monitoraggio che consenta di verificare nel tempo l’evolversi della qualità delle matrici naturali e di intervenire tempestivamente in caso di inquinamento. Un fenomeno di inquinamento si manifesta con modalità differenti anche a causa delle particolari caratteristiche chimico-fisiche dell’elementocomposto inquinante. Ad esempio una contaminazione da metalli spesso rimane limitata agli strati superficiali del suolo, un solvente può raggiungere invece più facilmente le acque sotterranee e formare il cosiddetto “pennacchio” di inquinamento. Per un maggiore approfondimento sulle tematiche relative all’inquinamento delle acque sotterranee si rimanda alla letteratura specifica di cui, a fine capitolo, sono riportati alcuni testi significativi.

1.2.2 Inquadramento idrogeologico generale In questo paragrafo le caratteristiche idrogeologiche delle Regione Liguria saranno valutate relativamente alla sfruttabilità e alla qualità delle risorse idriche sotterranee disponibili. Prima di descrivere, in linea generale, tali caratteristiche, si riportano di seguito alcune informazioni relative ai diversi tipi di circolazione delle acque nel sottosuolo. La circolazione sotterranea può avvenire sia in roccia che in terreni “sciolti”. La prima può avere luogo attraverso sistemi di fratturazioni, scistosità secondarie e/o lineamenti tettonici, porosità singenetica e postgenetica e/o per micro/macro-carsismo; la seconda attraverso gli spazi intergranulari dei depositi incoerenti. In figura 3 è riportata a titolo d’esempio l’intero range dei valori di conducibilità idraulica per terreni sciolti. Tale parametro (denominato anche coefficiente di permeabilità) determina la velocità del flusso attraverso un mezzo poroso continuo sotto un determinato gradiente idraulico ed è definito dalla legge di Darcy, secondo la relazione:

Q = K* A* Dh/Dl dove: • Q è la portata per unità di tempo (m3/s); • A è la sezione perpendicolare al flusso (m2); • Dh/Dl = i è il gradiente idraulico, ossia la differenza di carico (Dh) tra due punti posti alla distanza Dl. • K è il coefficiente di permeabilità (m/s) Portando a sinistra il termine A e ponendo Q/A = v, la velocità del flusso attraverso la sezione A si può scrivere: v = K*i Dove K ha le dimensioni di una velocità e rappresenta una costante caratteristica del mezzo poroso che esprime la sua attitudine a farsi attraversare dall’acqua sotto l’effetto di un determinato gradiente idraulico.

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Figura 3. Valori orientativi della conducibilità id raulica dei terreni incoerenti in relazione a granulometrie e valori de lla conducibilità idraulica K (modificato da Casadio M. e Elmi C. “Il manuale del Geologo”, Pitagora Ed. Bologna)

Solitamente la circolazione idrica in roccia è caratterizzata da emergenze di tipo sorgentizio che possono essere determinate da contrasti di permeabilità fra due diverse litologie, da vie preferenziali che raggiungono la superficie topografica (fratture, apparati carsici ecc.) od a seguito della intercettazione della superficie topografica da parte della falda freatica (sorgenti stagionali in periodi di improvviso innalzamento della superficie freatica). I terreni sciolti (alluvioni recenti) possono essere invece sedi di vere e proprie falde idriche e le acque raggiungono la superficie quando il livello della superficie di falda supera il piano campagna o grazie ad opere di captazione artificiali quali pozzi e canalizzazioni. I due tipi di circolazione precedentemente descritti sono spesso strettamente interconnessi. Infatti le acque di falda, presenti nei depositi alluvionali, ricevono afflussi sia direttamente da acque piovane e superficiali di percolazione sia da acque di circolazione sotterranea, esistente negli ammassi rocciosi che fanno da contorno e substrato a tali corpi sedimentari sciolti. Una dettagliata descrizione dal punto di vista idrogeologico dei vari tipi di falda esistenti non rientra negli scopi di questo lavoro, si rimanda quindi alla consultazione di testi esistenti in letteratura per l’approfondimento di tali argomenti. La complessa storia geologica, controllata fortemente dalla orogenesi alpina ed appenninica, del territorio ligure ha determinato un alto grado di eterogeneità litologica e strutturale. Risulta pertanto impossibile prendere in considerazione in questo lavoro i parametri idrogeologici di ogni singola litologia per descrivere e classificare la circolazione idrica sotterranea esistente. In figura 4 viene pertanto riportata una tabella con i valori orientativi del grado di porosità e del grado e tipo di conducibilità idraulica di vari gruppi di rocce. Di seguito ci si limiterà a proporre alcuni approfondimenti di tipo generale.

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Figura 4: Valori orientativi del grado di porosità e del grado e tipo di conducibilità idraulica di vari gruppi di rocce (da M. Civita et al., “Geologia Tecnica” 1987)

La circolazione idrica sotterranea sviluppatasi in formazioni rocciose può essere suddivisa in due differenti e principali tipologie: 1) Circuiti prevalentemente superficiali (prevalentemente con un deflusso per “reticolo di fratturazioni”) che affiorano in ambiente subaereo attraverso manifestazioni sorgentizie di modesta portata (molto raramente superano la decina di litri al secondo). Queste sorgenti sono determinate da contrasti di permeabilità fra differenti litologie o da alternanze di livelli più o meno permeabili all’interno di una stessa formazione (ad esempio formazioni flysciodi della Liguria centro orientale). Da segnalare anche l’emergenza locale e sporadica di acque sulfuree, per esempio nella zona del Gruppo di Voltri (da Genova ad Arenzano), od a più alto grado di salinità, che possono essere ricondotte a circuiti indipendenti e profondi. Queste, seppur di secondaria importanza dal punto di vista della sfruttabilità, rivestono un particolare interesse naturalistico, geologico e scientifico. 2) Circolazione carsica, sviluppatasi nei corpi cartonatici estesi in gran parte delle Alpi Liguri, soprattutto nella porzione occidentale del territorio regionale in provincia di Imperia e Savona. In Liguria, facendo riferimento alla figura 5 (Alpi Liguri, Società geologica Italiana – BE-MA editrice, 1994), le formazioni più soggette alla carsificazione si trovano sporadicamente nel dominio ligure-piemontese e sono confinate alle intercalazioni calcaree più potenti dei Flysch ad Elmintoidi. Nel dominio piemontese gli apparati carsici sono ancora meno estesi e localizzati nelle successioni triassico-liassiche calcareo-dolomitiche e nelle brecce calcaree presenti nell’entroterra di Albenga. Appaiono invece di grande importanza le circolazioni impostatesi nelle zone carbonatiche del dominio delfinese, lungo il confine francese, nei bacini del Roja e dell’Argentina e del dominio brianzonese, formazioni calcaree del finalese ben enucleate in fig. 5.

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Figura 5: Suddivisione della parte occidentale dell a Liguria in dominii geologici e rappresentazione delle zone carsiche ev idenziate dalle principali cavità (pallini neri). Rigato orizzontal e fitto = dominio piemontese-ligure; puntinato = dominio piemontese; Rigato obliquo = dominio delfinese; rigato orizzontale = dominio bri anzonese. (da “Alpi Liguri, Società geologica Italiana – BE-MA editrice , 1994)

Pur non considerando di secondaria importanza la circolazione idrica nelle formazioni rocciose, appare prioritario in questa sede puntare l’attenzione a quelle parti del territorio regionale caratterizzate da corpi acquiferi di tipo sedimentario/alluvionale, sedi di vere e proprie falde idriche, spesso a tal punto intensamente sfruttate da mettere in pericolo la loro produttività e caratterizzate da un alto grado di vulnerabilità all’inquinamento. In tali aree maggiore è l’influsso negativo dovuto all’antropizzazione che si è sviluppata preferibilmente nelle zone di pianura rispetto a quelle montane e più elevato è il rischio di contaminazione veicolata attraverso il suolo/sottosuolo. Tali zone, vista la morfologia esistente, sono individuabili in: - Territorio lungo la fascia costiera, dove i principali torrenti di versante tirrenico hanno formato pianure alluvionali di depositi recenti. Il versante tirrenico, la cui pendenza è molto accentuata (anche superiore al 20%), presenta nel settore di Ponente corsi d’acqua brevi e con andamento all’incirca perpendicolare alla costa. Nel settore di Levante i corsi d’acqua appaiono più lunghi e spesso con andamento sub parallelo alla linea di costa (salvo generalmente il tratto finale, che per motivi di controllo tettonico si può presentare perpendicolare alla costa). Questa particolare situazione ha fatto sì che, nel primo caso, i torrenti siano marcatamente in fase erosiva lungo tutto il loro breve percorso e che solo nella parte terminale, in conseguenza alla neotettonica quaternaria ed alle variazioni del livello di base, si siano create le condizioni per la formazione di pianure alluvionali comunque di modeste dimensioni. I corsi d’acqua, che non presentano un andamento perpendicolare alla costa, si sono potuti sviluppare invece su distanze maggiori, presentano un profilo più regolare con un regime moderatamente erosivo ed hanno formato corpi sedimentari di estensione ragguardevole a scala regionale. Questo è il caso dei fiumi Magra, Centa e subordinatamente del torrente Entella. Vista l’alternanza di sedimenti marini, fluviali e talvolta continentali, nonché la sovraimposizione della neotettonica, il carattere torrentizio dei corsi d’acqua e le divagazioni (anche in tempi recentissimi) del letto dei torrenti stessi, le pianure alluvionali costiere liguri presentano, nella maggior parte dei casi, forti eterogeneità, dal punto di

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vista litostratigrafico e sedimentologico, sia in senso verticale che orizzontale. Questa spiccata anisotropia rende assai difficile una classificazione dei corpi sedimentari secondo parametri idraulici. Risulta spesso impossibile anche ricondurre la circolazione sotterranea a modelli semplificativi, esistenti in letteratura. Per queste ragioni è consigliabile fare riferimento a valori medi dei parametri idraulici e considerare, nella maggior parte dei casi, questi corpi sedimentari come un corpo acquifero in cui si sviluppa, dal punto di vista idrogeologico ed idrochimico, un’unica falda freatica. Queste affermazioni devono comunque essere supportate localmente da dati oggettivi, non potendo assolutamente escludere a priori l’esistenza di circolazioni indipendenti dal flusso generale di falda o l’esistenza di corpi acquiferi stratificati a più falde. Si ritiene pertanto opportuno, da parte dei soggetti preposti, un maggiore impegno nello studio del mezzo ospitante il flusso idrico e del flusso idrico stesso e nella caratterizzazione della qualità delle acque. Una errata e sommaria attribuzione dei valori medi dei parametri idraulici porterebbe infatti inevitabilmente a sottostimare, o sovrastimare, la potenzialità di una falda acquifera o ad interpretare erroneamente la dispersione di eventuali inquinanti. - Zone lungo le aste fluviali dei maggiori corpi idrici di versante padano. Nel territorio a nord dello spartiacque, nelle provincie di Savona e Genova, i versanti presentano pendenze medie modeste e i corsi d’acqua, spesso a carattere meandriforme, hanno orientamenti assai diversi. I corsi d’acqua padani, pur essendo di una certa importanza, percorrono in Liguria , a partire dalle zone sorgentizie, tratti relativamente brevi prima di arrivare in altre regioni ed affluire in corpi idrici di ordine superiore. Gli unici, che in territorio ligure formano depositi alluvionali, ospitanti circolazioni idriche sotterranee significative, sono le Bormide e lo Scrivia. Le zone, con depositi incoerenti recenti e relativi terrazzamenti, dovuti alle variazioni del livello di base, non sono tuttavia continui neppure lungo il percorso dei fiumi principali. Questi, come è stato detto, a tratti tornano ad essere a carattere meandriforme ed incassati nel substrato roccioso. Cosicché gli acquiferi alluvionali si trovano ad essere spesso separati e con caratteristiche disomogenee ed indipendenti. Alla luce di quanto sopra osservato, gli acquiferi su cui rivolgere l’attenzione per gli scopi del presente lavoro sono stati individuati sia in base alla loro estensione areale, sia per la presenza di importanti derivazioni destinate ad uso potabile sia infine attraverso la valutazione delle pressioni ambientali rilevate sul territorio regionale e descritte in altre sezioni della presente pubblicazione. L’insieme dei principali corpi acquiferi, di versante tirrenico o padano, individuati sul territorio regionale è riportato in figura 6.

Figura 6: Principali corpi acquiferi confinati in t erreni sciolti (in quadrettato i bacini di versante padano).

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2 NORMATIVA Le aree di salvaguardia, così come disciplinato prima dall’art. 21 del D.Lgs. 152/1999, dalle “Linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all’art. 21 D. Lgs. 152/99” dell’Accordo Stato-Regioni-Province autonome del 12/12/2002, e poi dall’art. 94 del D. Lgs. 152/2006, sono distinte in zone di tutela assoluta, zone di rispetto (ristrette e/o allargate) e zone di protezione. Nel presente paragrafo, verranno forniti sia i riferimenti legislativi con i relativi criteri sia le linee guida per l’individuazione e la delimitazione delle stesse nell’ambito del territorio ligure. La zona di tutela assoluta deve avere una estensione di almeno 10 m di raggio dal punto di captazione. Tale area, per quanto possibile, deve essere recintata, protetta da eventuali esondazioni di corpi idrici limitrofi e provvista di canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche. Inoltre deve essere adibita esclusivamente alle opere di captazione ed alle infrastrutture di servizio. La zona di rispetto è costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata e può essere suddivisa in zona di rispetto ristretta e zona di rispetto allargata in relazione alla tipologia dell’opera di presa o captazione e alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa. In particolare nella zona di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività:

a) Dispersioni di fanghi ed acque reflue, anche se depurati b) Accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi c) Spandimenti di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l’impiego di tali sostanze

sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche

d) Dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche provenienti da piazzali e strade e) Aree cimiteriali f) Aperture di cave che possono essere in connessione con la falda g) Apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo

umano e di quelli finalizzati alla variazione della estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-quantitative della risorsa idrica

h) Gestione di rifiuti i) Stoccaggio di prodotti ovvero sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive j) Centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli k) Pozzi perdenti l) Pascolo e stabulazione di bestiame che eccede i 170 Kg per ettaro di azoto presente negli

effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. È comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta. (comma 5, art. 21, D. Lgs. 152/99).

Per gli insediamenti o le attività di cui al comma 4 dell’art. 94 del d.lgs 152/2006, preesistenti, ove possibile e comunque ad eccezione delle aree cimiteriali, sono adottate le misure per il loro allontanamento: in ogni caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza. Le regioni e le province autonome disciplinano , all’interno delle zone di rispetto, le seguenti strutture od attività: Fognature Edilizia residenziale e relative opere di urbanizzazione Opere viarie, ferroviarie ed in genere infrastrutture di servizio

Su proposta delle autorità d’ambito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e

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zone di rispetto, nonché, all’interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione. (comma 1, art. 94, D. Lgs. 152/06) In assenza dell’individuazione da parte della regione della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione. (comma 6, art. 94, D. Lgs. 152/06) Naturalmente tale estensione geometrica per la definizione della zona di rispetto è da considerarsi in via puramente transitoria, da adottarsi solamente per il tempo necessario a compiere i necessari studi tecnico-scientifici per la perimetrazione definitiva ad opera degli enti preposti. Così come previsto dall’Accordo del 12 dicembre 2002, stipulato tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, le aree di salvaguardia sono individuate secondo i seguenti criteri generali:

1. Le aree di salvaguardia di sorgenti, pozzi e punti di presa delle acque superficiali sono suddivise, ai sensi dell'articolo 94, comma 1, del decreto legislativo n° 152/06, in zona di tutela assoluta, zona di rispetto (ristretta e allargata) e zona di protezione. 2. I criteri per la delimitazione delle aree di salvaguardia e l'estensione delle diverse zone sono stabiliti in funzione delle caratteristiche geologiche, idrogeologiche, idrologiche e idrochimiche delle sorgenti, dei pozzi e dei punti di presa da acque superficiali. 3. Le singole zone sono individuate secondo i seguenti criteri: a) criterio geometrico: di norma adottato per la delimitazione della zona di tutela assoluta e della zona di rispetto per le derivazioni da corpi idrici superficiali e, in via provvisoria, per la delimitazione delle zone di rispetto dei pozzi e delle sorgenti; b) criterio temporale: basato sul tempo di sicurezza, così come definito alla lettera t) dell'allegato 1. Si applica, in prevalenza, per la delimitazione definitiva della zona di rispetto di pozzi ed eventualmente di sorgenti, laddove applicabile. Tale criterio deve tenere conto degli elementi tecnici riportati nel Titolo II del presente allegato; c) criterio idrogeologico: basato sugli elementi idrogeologici specifici dell'acquifero e dei suoi limiti, viene usualmente applicato alle zone di protezione alle captazioni da sorgenti ed alle zone di rispetto dei pozzi in condizioni idrogeologiche di particolari complessità che impediscono l'utilizzo del criterio temporale; fa parte del presente criterio anche il metodo basato sul tempo di dimezzamento della portata massima annuale delle sorgenti. 4. Le delimitazioni effettuate utilizzando i criteri di cui alle lettere b) e c) devono basarsi su studi geologici, idrogeologici, idrologici, idrochimici e microbiologici, e sui dati storici delle caratteristiche quali-quantitative della risorsa interessata; detti studi sono finalizzati ad identificare e definire i limiti delle aree interessate dalla captazione e devono essere redatti sulla base dei contenuti degli allegati al presente regolamento. 5. La durata dell'applicazione del criterio di individuazione di cui alla lettera a) può essere prevista dalle Regioni per le sorgenti di limitata importanza sulla base di studi preliminari che individuino una scarsa urbanizzazione del bacino afferente alla captazione ed in attesa di ulteriori conoscenze sulla circolazione idrica sotterranea. 6. La gestione delle aree di salvaguardia, così come prevista anche dagli articoli 13 e 24 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, deve prevedere interventi di manutenzione e riassetto e tenere conto del monitoraggio effettuato in conformità alle disposizioni del decreto legislativo n° 152/99. 7. Tra i criteri da considerare per l'eventuale revisione delle aree di salvaguardia, previa verifica da effettuare ogni 10 anni o in tempo minore se le condizioni lo richiedono, si indicano: a) l'insorgere di fattori nuovi o cause che determinano variazioni rispetto alle condizioni che hanno consentito la delimitazione in atto, con particolare riferimento a variazioni quali-quantitative delle risorse idriche estratte, derivate, o a cambiamenti nell'assetto piezometrico determinati

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dall'insorgere di cause naturali o antropiche, o in presenza di più recenti acquisizioni tecniche e scientifiche; b) la destinazione assegnata dai Piani Regolatori Generali (P.R.G.) e dai Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.) ai territori interessati o interessabili dalle nuove aree di salvaguardia e l'eventuale presenza, su dette aree, di centri di pericolo. La delimitazione delle aree di salvaguardia resta in vigore anche nel caso in cui le captazioni siano temporaneamente disattivate. 8. Nel caso in cui le aree di salvaguardia delle captazioni esistenti comprendano potenziali centri di pericolo per la qualità delle acque, è opportuno valutare tutte le opportunità per la gestione delle captazioni, compreso l'abbandono delle medesime; qualora ciò non sia possibile si possono adottare oltre alle misure di cui al successivo Titolo II, punto 3, anche ulteriori misure complementari quali: a) l'intensificazione del monitoraggio quali-quantitativo; b) l'interconnessione, ove possibile, della rete di distribuzione con altre fonti o reti di approvvigionamento; c) il piano di intervento in caso di emergenza di cui al successivo Titolo II, punto 5; d) la ristrutturazione delle opere di captazione.

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3 LINEE GUIDA PER LA DELIMITAZIONE DELLE AREE DI SALVAGUARDIA

Di seguito verranno indicate linee guida tecnico-scientifiche da utilizzarsi per la delimitazione delle aree di salvaguardia, in base ai diversi criteri di studio proposti dall’Accordo tra Stato, Regioni e Province autonome del 12/12/2002. La particolare complessità della situazione idrogeologica ligure, porta ad assumere come fondamentale, per la delineazione delle aree di salvaguardia di pozzi e sorgenti, il criterio temporale ed il criterio idrogeologico, a seconda della situazione riscontrata sul territorio. Si sconsiglia l’uso del criterio geometrico, limitandolo a situazioni specifiche. In particolare per le derivazioni idriche già in essere, qualora mancassero le necessarie conoscenze idrogeologiche, si utilizzerà il criterio geometrico per una prima delimitazione temporanea delle aree di salvaguardia ai fini di garantire comunque un livello minimo di tutela della risorsa idrica e della salute umana. Questa operazione, compresa l’individuazione degli eventuali centri di pericolo ricadenti nelle aree di salvaguardia, dovrà essere portata a termine entro e non oltre il 2015. Entro 5 anni dalla prima delimitazione temporanea, attraverso i necessari studi tecnico-scientifici-economici, dovrà essere posta in essere una delimitazione definitiva, ad opera degli enti preposti, secondo il criterio temporale o idrogeologico. Per la delineazione delle aree di salvaguardia delle captazioni di acque superficiali, salvo casi particolari, il criterio adottabile risulta senz’altro essere quello geometrico. Per le nuove derivazioni ad uso idropotabile, si dovrà procedere alla individuazione delle Aree di Salvaguardia secondo il criterio temporale o idrogeologico adottando le linee guida di seguito riportate, che permetteranno di valutare l’adozione di un metodo piuttosto di un altro.

3.1 Sorgenti Per quanto riguarda le sorgenti, generalmente localizzate in aree montane al contatto litologico o tettonico fra due formazioni geologiche a diversa permeabilità o semplicemente localizzate in prossimità di una discontinuità stratigrafico-strutturale, nella delimitazione delle aree di salvaguardia, non si può che applicare il criterio idrogeologico. Per quanto l’Accordo tra Stato, Regioni e Province autonome del 12 dicembre 2002 preveda, in riferimento alle sorgenti, l’adozione del criterio idrogeologico prevalentemente per la definizione dell’area di protezione, nella realtà geografica-geologico-strutturale della nostra Regione, si reputa imprescindibile da tale criterio anche la definizione dell’area di tutela assoluta e di rispetto. Questa linea di condotta può essere tenuta solo ponendo particolare attenzione nel compiere studi “approfonditi” atti alla creazione di un modello concettuale che contenga le peculiarità locali del territorio. Tali studi saranno pertanto di carattere geologico-strutturale (giacitura degli strati e delle fratture, scistosità…, lineamenti tettonici a macroscala, grado, caratteristiche e densità di fratturazione della roccia,…), idrogeologico (principali parametri: trasmissività, coefficiente di permeabilità, coefficiente di immagazzinamento, gradiente idraulico…), idrologico (piovosità media, misura delle portate stagionali della sorgente, coefficiente di ruscellamento del bacino di appartenenza, coefficiente di infiltrazione efficace…), geomorfologico (acclività versanti, franosità versanti, utilizzo del suolo, terrazzamenti, depositi eluvio-colluviali, stato della coltre superficiale comprese potenza e caratteristiche della coltre stessa, grado di erosione, tipo di ruscellamento superficiale…), idrogeochimico (classificazione geochimica delle acque, geochimica isotopica per quote di infiltrazione acqua (correlazione δD vs δ18O)) e microbiologico. Bisognerà altresì porre attenzione alle strutture antropiche poste a monte dell’opera.

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I dati derivanti da questi studi approfonditi dovranno quindi convergere in un’unica soluzione che sia in grado di rispondere in maniera esauriente alla necessità di una delimitazione sensata ed efficace delle aree di salvaguardia per la tutela della risorsa idrica. Per quanto riguarda un aspetto puramente costruttivo, il bottino di presa dovrà essere messo in opera in modo da intercettare, per quanto possibile, le acque sgorganti dalla roccia non alterata, evitando così una possibile miscelazione con le acque circolanti nei depositi eluviali colluviali e/o nel cappellaccio di alterazione; tali depositi, presenti sui versanti e terrazzamenti, sono difatti soggetti ad una maggiore vulnerabilità da parte di agenti inquinanti naturali ed antropici.

La zona di tutela assoluta

� così come normato dal D. Lgs. 152/2006 e ribadito dall’Accordo del 12 dicembre 2002, deve avere una estensione di almeno 10 m di raggio dal punto di captazione;

� non necessariamente tale area deve essere di forma circolare ma al contrario è utile che abbia una forma irregolare e che occupi prevalentemente un’area a monte della sorgente stessa, per gli stessi motivi che verranno esposti di seguito in merito alla delimitazione dell’area di rispetto.

� Un metodo geometrico temporaneo ma comunque efficace può essere quello adottato dall’Ente parco di Portofino, approvato con D.C.R. 26/06/2003 n. 33, di seguito riportato: il raggio dell'area di tutela assoluta attorno all'opera di presa (A0) deve essere assunto come calcolato utilizzando la seguente formula: RA0 = RB / 20

dove RB rappresenta il semiasse maggiore dell’area di rispetto attorno all'opera di captazione. (Vedi fig 7)

� Tale area, per quanto possibile, deve essere recintata, protetta da eventuali esondazioni di corpi idrici limitrofi, provvista di canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche ed adibita esclusivamente alle opere di captazione ed alle infrastrutture di servizio.

� In particolare, data la modesta entità delle captazioni sorgive liguri, si reputa sufficiente, nella maggior parte dei casi, l’applicazione anche della sola protezione statica, costituita da divieti, vincoli e regolamenti, coadiuvata dalla normale routine analitica di controllo.

Opera di captazione

Area di tutela assoluta A0

Area di rispetto B

Raggio = RB / 20

RB

Figura 7: Metodo per la delimitazione dell'area A0

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Per quanto riguarda la zona di rispetto

� bisogna tener presente che la sorgente, essendo una scaturigine naturale di acque sotterranee (con un’area di alimentazione piuttosto estesa ed un flusso idrico con un percorso a volte anche particolarmente tortuoso, lungo e generalmente tendente verso valle) va tutelata, in ogni caso, soprattutto nella zona a monte nei confronti di eventuali strutture antropiche quali ad esempio fosse Imhoff, collettori fognari, depuratori, serbatoi interrati di idrocarburi, stoccaggio di sostanze pericolose, stoccaggio di fertilizzanti, attività a rischio di ogni genere, etc. Tali accorgimenti andranno quindi adottati estendendo la zona di rispetto a tutta l’area di alimentazione individuata a seguito degli studi specialistici sopra elencati.

� Come per la zona di tutela assoluta, si potrà adottare temporaneamente un semplice criterio geometrico adottato dall’Ente parco di Portofino, approvato con D.C.R. 26/06/2003 n. 33, di seguito riportato: o si individua l’asse del diametro maggiore o mediano, rappresentato dalla linea di

massima pendenza passante per il pozzo o per la sorgente o per il baricentro del triangolo che avvolge un’area di sorgenti diffuse o un’area umida;

o lungo questo diametro si individua a valle del pozzo della sorgente o del gruppo di sorgenti un punto distante m 50, mentre a monte se ne individua uno distante m 350 (punti 1° e 2°);

o si individua l’asse del diametro minore o trasversale, rappresentato dalla linea ortogonale alla linea di massima pendenza passante per il pozzo o per la sorgente o per il baricentro del triangolo che avvolge un’area di sorgenti diffuse o un’area umida;

o lungo questo diametro si determinano due punti, uno in sinistra e uno in destra, distanti m 200 dall’asse mediano, oppure si determina il punto di incontro con la linea che individua il crinale spartiacque superficiale, se questo dista meno di m 200 dall’asse mediano ma più di m 100 (punti 3° e 4°);

o si raccordano con archi di ellisse avente uno dei fuochi nel punto in cui esiste il pozzo o la sorgente o il baricentro dell’area sorgentizia;

o nel caso di area umida coincidente con un corrivo il limite è determinato o dal crinale spartiacque se questo è più vicino di m 100 dall’asse del corrivo o da una linea distante m 100 dal medesimo asse del corrivo.

� Particolare attenzione dovrà essere posta alle zone con litologia dominante carbonatica -

dolomitica, dove i fenomeni carsici (micro e macro carsismo) determinano percorsi sotterranei delle acque anche molto complessi con conseguente area di ricarica estesa a vaste porzioni di territorio. In questi casi, in via precauzionale, la zona di rispetto dovrà essere allargata, comprendendo tutta l’area di affioramento di tali litologie a monte della scaturigine naturale. In tali sistemi fessurati e carsificati, si potranno individuare anche più zone di rispetto non collegate direttamente all’opera di captazione ma comunque interconnesse tramite fenomeni di infiltrazione con collegamenti rapidi alle risorse idriche captate nel punto di emungimento.

� All’interno delle zone di rispetto, ai fini della disciplina delle strutture o delle attività di cui all’art. 21, commi 5 e 6, del D. Lgs. 152/99, per favorire la tutela della risorsa, dovranno essere considerate le prescrizioni di cui al medesimo articolo oltre che gli elementi elencati nell’Allegato 3 Titolo I al punto B, comma 7, dell’accordo del 12 dicembre 2002 stipulato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. Per quanto riguarda la delimitazione della zona di protezione:

� così come riportato nel sopramenzionato Accordo del 12 dicembre 2002, dovrà essere dimensionata in base a studi idrogeologici, idrochimici e idrologici della struttura acquifera alimentatrice, comprendendo l’intera area di alimentazione della sorgente ed eventuali acquiferi limitrofi dai quali potrebbe esserci un significativo travaso idrico sotterraneo.

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� L’estensione dell’area di ricarica della falda alimentatrice della scaturigine naturale, dovrà quindi tener conto: o dell’estensione e della localizzazione geografica o delle caratteristiche idrologiche, idrochimiche, microbiologiche e podologiche, o dell’importanza dell’acquifero alimentato e del suo grado di sfruttamento o dell’uso del suolo e delle destinazioni d’uso o del ciclo integrale delle acque Attraverso l’applicazione di tali punti, tenendo anche ben presente il grado di sfruttamento, attuale e/o previsto, della sorgente ed il grado di protezione e pericolo di inquinamento della zona di protezione designata, si apporterà un ulteriore fattore di sicurezza ai fini dello sfruttamento della risorsa idrica a scopo idropotabile. Difatti, con l’obiettivo di preservare nel tempo le caratteristiche quali-quantitative delle risorse idriche presenti nella zona di protezione, potranno essere adottate misure relative alla destinazione del territorio interessato e limitazioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici, prevedendo per tali limitazioni una durata minima di dieci anni.

• Nella zona di protezione dovranno ricadere inoltre le aree di riserva, caratterizzate da una risorsa idrica pregiata, eventualmente utilizzabili per futuri scopi idropotabili. Tali aree sono individuate sulla base delle indicazioni emergenti dagli strumenti di pianificazione di settore o territoriale, regionale o locale, ed anche alle disposizioni di cui al d.p.c.m. 4 marzo 1996, n. 47.

Infine, per quanto sconsigliate ai fini di una captazione ad uso idropotabile, meritano una attenzione particolare le manifestazioni sorgentizie conseguenti ad una circolazione idrogeologica in coltre superficiale eluviale colluviale e/o nel cappellaccio di alterazione presente sui versanti. In tali casi, data l’estrema vulnerabilità agli agenti inquinanti di origine naturale e/o antropica, oltre agli studi tecnico scientifici sopra esposti per la delimitazione delle aree di salvaguardia, andrà sicuramente adottata una protezione di tipo dinamica, che presuma sistemi di allarme in grado di segnalare in tempo reale eventuali cambiamenti repentini delle principali caratteristiche chimico fisiche delle acque emunte dall’opera di presa. Tale sistema di allarme dovrà consistere nella messa in opera di una piccola rete di monitoraggio comprendente delle risorgive all’interno dell’area di rispetto designata, ove individuate, possibilmente a monte della captazione stessa. Il risultato di tale monitoraggio, cadenzato in maniera opportuna, potrebbe rilevare qualsiasi cambiamento repentino delle principali caratteristiche chimico fisiche della risorsa idrica sotterranea in tempo utile per valutare la causa di tale cambiamento e l’eventuale contromisura da adottare per garantire l’idonea qualità dell’acqua derivata.

3.2 Pozzi in sedimenti sciolti Per quanto riguarda la delimitazione delle aree di salvaguardia dei pozzi adibiti all’emungimento di acqua a scopo idropotabile, bisogna precisare che, nella nostra Regione, questi ultimi sono per la maggior parte terebrati nelle numerose piane alluvionali formatesi allo sbocco delle valli presso il Mar Ligure o, nel versante padano, nelle zone più ampie e meandriformi dei torrenti dove sono presenti diversi ordini di terrazzi alluvionali. Questo aspetto, per alcuni versi, avvicina le nostre “microrealtà” alla “macrorealtà” riscontrata nella Pianura Padana, peraltro già studiata da vari autori in diversi lavori. La caratteristica di fondo condivisa dalle due situazioni è data dal fatto che in ambedue i casi, i pozzi sono terebrati in piane alluvionali; le similitudini però finiscono qui per diversi motivi. Innanzi tutto le dimensioni delle piane alluvionali: quella padana, se paragonata alle nostre “micro-piane”, è praticamente illimitata sia in senso orizzontale che in senso verticale, si parla di un area di circa 3000 Km2 e di una potenza complessiva di sedimenti di diverse centinaia di m a fronte di un’area di circa 65 Km2 e di una potenza di circa 70 m per la piana alluvionale ligure più estesa (Magra-Vara). Inoltre, dal punto di vista stratigrafico, le eteropie in senso orizzontale e verticale presenti nei i diversi strati sedimentari delle piane alluvionali liguri, sono molto più frequenti e complesse. Difatti gli eventi di piena alluvionale dei brevi e scoscesi corsi

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d’acqua liguri, nei millenni, hanno determinato un apporto discontinuo e litologicamente e granulometricamente estremamente vario di sedimenti, con la conseguenza di una circolazione idrica sotterranea particolarmente complessa. Frequenti sono i casi di acquiferi multifalda, circolanti in un materasso alluvionale complessivo di soli 40/50 m, in cui, alla luce dei dati attuali, difficilmente si riescono a conoscere con certezza le interazioni “verticali” fra le diverse falde sovrapposte e la circolazione idrica “orizzontale” all’interno di ogni singola falda. Tutto ciò viene complicato ulteriormente dal fatto che normalmente le piane costiere liguri sono fortemente antropizzate (interamente occupate dagli insediamenti urbani ed industriali) ed, in alcuni casi, compromesse dall’intrusione del cuneo salino in prossimità della fascia costiera. Ciò porta a considerare la maggior parte dei nostri acquiferi di tipo “urbano” e quindi particolarmente vulnerabili. Assodati tali presupposti, si possono suggerire delle linee guida per la delimitazione delle aree di salvaguardia dei pozzi terebrati in alluvioni sciolte.

La zona di tutela assoluta:

� Così come normato dal D. Lgs. 152/99 e ribadito dall’Accordo del 12 dicembre 2002, dovrà avere una estensione di almeno 10 m di raggio dal punto di captazione.

� Tale area, per quanto possibile, dovrà essere recintata, protetta da eventuali esondazioni di corpi idrici limitrofi e provvista di canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche.

� Deve essere adibita esclusivamente alle opere di captazione ed alle infrastrutture di servizio.

� Per una protezione più efficace di tale zona, nel caso in cui i pozzi siano terebrati in aree sottoposte a forti pressioni, sarà necessario prevedere associata alla protezione statica, costituita da divieti, vincoli e regolamenti, una protezione di tipo dinamica, che presuma sistemi di allarme in grado di segnalare in tempo reale eventuali cambiamenti repentini delle principali caratteristiche chimico fisiche delle acque emunte dall’opera di presa.

Per la perimetrazione della zona di rispetto, ristretta e/o allargata, la migliore modalità operativa da seguire, per i pozzi terebrati nei sedimenti sciolti delle piane alluvionali, appare senza dubbio quella del criterio temporale.

� Questo criterio basato sulla determinazione delle isocrone, linee che congiungono i punti d’uguale tempo d’arrivo delle particelle d’acqua ad un’opera di captazione con un percorso attraverso il mezzo saturo, non esclude ma anzi necessita di approfonditi studi sulla struttura idrogeologica del sottosuolo da cui si possano desumere le principali caratteristiche fisiche (trasmissività, coefficiente di permeabilità, coefficiente di immagazzinamento, gradiente idraulico, raggio di influenza del pompaggio,…).

� Il tempo di sicurezza di norma utilizzato è di 60 giorni per la zona di rispetto ristretta e 180 o 365 giorni per quella allargata, in funzione del grado di rischio di contaminazione della risorsa e del tipo di protezione applicato.

� L’intervallo di tempo è normalmente adottato sulla base della possibilità di eseguire controlli e in parte sulla base delle caratteristiche degli inquinanti. In ogni caso si consiglia di considerare un tempo di sicurezza non inferiore a 75/100 giorni, che corrisponde al tempo di sopravvivenza di buona parte dei virus più comuni trasportati in acqua.

� Affinché la zona di protezione individuata sia realmente affidabile, è comunque necessario: o costruire degli algoritmi semplici per la stima dei tempi d’arrivo, partendo dai valori

medi dei principali parametri idrogeologici o elaborare dei veri e propri modelli di flusso complessi, nel caso in cui, invece, si

abbia una conoscenza approfondita e puntuale di tutti i parametri chimico-fisici del mezzo insaturo attraversato dalle acque percolanti e del mezzo saturo ospitante l’acquifero vero e proprio.

o tener ben presente la capacità autodepurante del terreno sia del mezzo insaturo sia di. quello saturo, considerando le caratteristiche chimico-fisiche del tipo di inquinante che potrebbe attraversarlo (a scopo cautelativo ciascun inquinante viene

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comunque considerato conservativo e quindi non soggetto a degradazione, adsorbimento, decadimento, precipitazione di fasi solide…).

� Così come per l’area di tutela assoluta, per una protezione più efficace della zona di rispetto, nel caso in cui i pozzi siano terebrati in aree sottoposte a forti pressioni, sarà necessario prevedere associata alla protezione statica, costituita da divieti, vincoli e regolamenti, una protezione di tipo dinamica, che presuma sistemi di allarme in grado di segnalare in tempo reale eventuali cambiamenti repentini delle principali caratteristiche chimico fisiche delle acque emunte dall’opera di presa. Tali sistemi di allarme consisteranno, per esempio, in una serie di piezometri posti al perimetro dell’area di rispetto, opportunamente attrezzati ed in grado di rilevare qualsiasi cambiamento repentino del livello di falda e delle principali caratteristiche chimico fisiche della risorsa idrica sotterranea in tempo utile per valutare la causa di tali cambiamenti e l’eventuale contromisura da adottare per garantire l’idonea qualità dell’acqua derivata. Su questi piezometri dovranno inoltre essere compiute delle campagne di campionamento opportunamente cadenzate in relazione ai tempi di sicurezza scelti per la delimitazione dell’area stessa.

Infine per la delimitazione della zona di protezione: � Nelle piane alluvionali intensamente sfruttate a scopi idropotabili, data:

o l’esiguità delle estensioni medie degli acquiferi liguri o l’estrema eterogeneità dei sedimenti costituenti i medesimi con conseguente

interconnessione della circolazione idrica sotterranea o la terebrazione di pozzi per uso idropotabile a “macchia di leopardo”

non è pensabile di proteggere solo parte/i di essi. Appare senza dubbio più saggio, in questi casi, estendere l’area di protezione all’intera piana alluvionale ed ai versanti che si affacciano su di essa.

� Nelle piane alluvionali in cui la presenza di pozzi idropotabili è limitata, bisogna per ognuno di essi compiere approfonditi studi idrogeologici supportati dall’effettuazione di prove di tipo idrodinamico e idrochimico.

� Inoltre, il sistema di ricarica degli acquiferi significativi liguri è principalmente rappresentato o da ricarica superficiale o dagli apporti di sub-alveo provenienti dall’intero bacino idrografico. Per cui le acque di sub-alveo giungono agli acquiferi monitorati lungo “vie preferenziali” contraddistinte da depositi di alta energia presenti lungo le aste fluviali dell’intero bacino idrografico con conseguente alta permeabilità intrinseca. Risulta pertanto di primaria importanza, nell’ottica delle delimitazioni delle aree di protezione (zona di ricarica), individuare in prima battuta una fascia di confidenza lungo le sponde dei corsi d’acqua dove applicare:

o limitazioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici, prevedendo per tali restrizioni una durata minima di dieci anni.

o forme di incentivazione per gli eventuali adeguamenti impiantistico-strutturali imposti da tali limitazioni, soprattutto nei confronti degli insediamenti civili.

� Nella zona di protezione dovranno ricadere inoltre le aree di riserva, caratterizzate da una risorsa idrica pregiata, eventualmente utilizzabili per futuri scopi idropotabili.

� Tali aree sono individuate sulla base delle indicazioni emergenti dagli strumenti di pianificazione di settore o territoriale, regionale o locale, ed anche alle disposizioni di cui al d.p.c.m. 4 marzo 1996, n. 47.

3.3 Pozzi in un substrato roccioso

Di seguito verranno esposte le linee guida per la delimitazione delle aree di salvaguardia dei pozzi terebrati in un substrato roccioso o comunque attingenti da una falda caratterizzata da una circolazione in roccia. In tale situazione il flusso dell’acqua avviene essenzialmente attraverso fessure e/o fratture, che normalmente non sono distribuite uniformemente nella massa rocciosa, la quale ha quindi un

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comportamento simile ai terreni eterogenei ed anisotropi. Le formazioni che normalmente ospitano un acquifero produttivo sono quelle a prevalenza calcarea-dolomitica, quelle cristalline e vulcaniche fessurate e quelle conglomeratiche o arenacee a cemento non consolidato. Le rocce calcareo-dolomitiche presentano all’origine delle fessure che in seguito all’azione meccanica (corrosione) e all’azione chimica (dissoluzione dei carbonati) operate dalle acque sotterranee, tendono ad allargarsi fino a divenire dei veri e propri condotti e cavità. Tale fenomeno di carsificazione dà origine a delle reti di canali in grado di convogliare anche ingenti quantità di acque sotterranee. Le rocce cristalline e vulcaniche, normalmente sono sede di fessure, piani di scistosità e macro fratture in cui il flusso idrico sotterraneo avviene più facilmente; alcuni esempi di tali rocce sono gli gneiss, i graniti, le quarziti, i basalti,… Infine le formazioni conglomeratiche o arenacee a cemento non consolidato, per quanto compatte, oltre ad eventuali fessurazioni, possono avere una permeabilità primaria per porosità. La fessurazione e la porosità aumentano notevolmente le caratteristiche peculiari di produttività dell’acquifero. Trovandosi ad operare in acquiferi rocciosi appare senza dubbio fondamentale l’adozione del criterio idrogeologico per la definizione delle aree di salvaguardia. Questo criterio può essere applicato solo prestando particolare attenzione nel compiere studi “approfonditi” atti alla creazione di un modello concettuale che tenga presenti le peculiarità locali del territorio. Tali studi saranno pertanto di carattere geologico-strutturale (giacitura degli strati e delle fratture, caratteristiche e densità di fratturazione della roccia, grado di scistosità, lineamenti tettonici a micro e macroscala, etc.), idrogeologico (principali parametri: trasmissività, coefficiente di permeabilità, coefficiente di immagazzinamento, gradiente idraulico, raggio di influenza, etc.), idrologico (piovosità media, coefficiente di ruscellamento, coefficiente di infiltrazione efficace, etc.), geomorfologico (acclività versanti, franosità versanti, utilizzo del suolo, terrazzamenti, depositi eluvio-colluviali, stato della coltre superficiale comprese potenza e caratteristiche della coltre stessa, grado di erosione, tipo di ruscellamento superficiale, etc.), idrogeochimico (classificazione geochimica delle acque, geochimica isotopica per quote di infiltrazione acqua (deuterio 18O)) e microbiologico. Bisognerà altresì porre attenzione alle strutture antropiche poste a monte dell’opera, se ci si trova in versante.

La zona di tutela assoluta:

� Così come normato dal D. Lgs. 152/99 e ribadito dall’Accordo del 12 dicembre 2002, deve avere una estensione di almeno 10 m di raggio dal punto di captazione

� In realtà, la maggior parte di tali pozzi, nella nostra Regione, è generalmente terebrata nelle piane alluvionali fino a raggiungere e drenare il substrato roccioso, sede di un acquifero produttivo, a diverse decine di metri di profondità. In questo modo il materasso alluvionale attraversato ma non drenato, offre una protezione naturale che rende sufficiente una zona di tutela assoluta con una estensione anche inferiore ai 10 metri di raggio. La finalità principale di quest’area risulta quindi essere quella di proteggere il punto di captazione al fine di impedire miscelamenti diretti tra acque prelevate e acque meteoriche o di dilavamento ed al contempo di ostacolare l’accessibilità casuale o volontaria ad animali o persone al punto stesso

� Tale area, per quanto possibile, deve essere recintata e protetta da eventuali esondazioni di corpi idrici limitrofi e provvista di canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche

� Deve, inoltre, essere adibita esclusivamente alle opere di captazione ed alle infrastrutture di servizio.

La zona di rispetto deve essere delimitata utilizzando i risultati degli studi specialistici elencati nella parte introduttiva del paragrafo, al fine di individuare le aree di ricarica ed eventuali vie preferenziali di scorrimento delle acque sotterranee. Si possono distinguere comunque tre casi:

1. Se il pozzo è terebrato in versante, come per le sorgenti o andrà tutelata, in ogni caso, soprattutto la zona a monte nei confronti di eventuali

strutture antropiche quali ad esempio fosse Imhoff, collettori fognari, depuratori, serbatoi interrati di idrocarburi, stoccaggio di sostanze pericolose, stoccaggio di fertilizzanti, attività a rischio di ogni genere…

o tale tutela andrà quindi estesa a tutta l’area di alimentazione

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o particolare attenzione dovrà inoltre essere posta alle zone con litologia dominante carbonatica-dolomitica, dove i fenomeni carsici (micro e macro carsismo) determinano percorsi sotterranei delle acque anche molto complessi con conseguente area di ricarica estesa a vaste porzioni di territorio. In questi casi, in via precauzionale, la zona di rispetto dovrà essere allargata, comprendendo tutta l’area di affioramento di tali litologie a monte della scaturigine naturale. In tali sistemi fessurati e carsificati, si potranno individuare anche più zone di rispetto non collegate direttamente all’opera di captazione ma comunque interconnesse tramite fenomeni di infiltrazione con collegamenti rapidi alle risorse idriche captate nel punto di emungimento

o all’interno delle zone di rispetto, ai fini della disciplina delle strutture o delle attività di cui all’art. 21, commi 5 e 6, del D. Lgs. 152/99, per favorire la tutela della risorsa, dovranno essere considerate le prescrizioni di cui al medesimo articolo oltre che gli elementi elencati nell’Allegato 3 Titolo I al punto B, comma 7, dell’accordo del 12 dicembre 2002 stipulato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome

2. Se il pozzo è terebrato in una piana alluvionale ma è fenestrato solo nel substrato roccioso, sempre sulla base dei dati emersi dagli studi specialistici, bisognerà valutare: o il tipo di circolazione intraformazionale o gli eventuali scambi idrici fra il sedimento sciolto sovrastante ed il substrato roccioso o le eventuali venute d’acqua da formazioni litoidi sottostanti o laterali. Sulla base di queste valutazioni, si potrà decidere, nella migliore delle ipotesi ovvero nel caso si accerti un elevato grado di protezione, di far coincidere la zona di rispetto con quella di tutela assoluta.

Nel caso in cui, invece, si individui un certo grado di vulnerabilità dovuta principalmente alle interazioni con le acque circolanti nei sedimenti sciolti poggianti sulla massa litoide, si procederà alla delimitazione di un’area di rispetto secondo le modalità previste per i pozzi terebrati nelle alluvioni.

3. Se il pozzo è terebrato in una piana alluvionale ed è fenestrato sia nel substrato roccioso sia nelle alluvioni sovrastanti, sempre sulla base dei dati emersi dagli studi specialistici, bisognerà ricercare le interazioni riportate al precedente punto 2, ovvero: o il tipo di circolazione intraformazionale o gli eventuali scambi idrici fra il sedimento sciolto sovrastante ed il substrato roccioso o le eventuali venute d’acqua da formazioni litoidi sottostanti o laterali. In ogni caso per la delimitazione dell’area di rispetto ci si rifarà alle modalità previste per i pozzi terebrati nelle alluvioni.

La zona di protezione:

� È delimitata per tutelare il patrimonio idrico con riferimento particolare alle aree di ricarica della falda ed alle zone di riserva. In tal senso, l’area di ricarica di un acquifero in roccia, similmente a quanto descritto per le emergenze naturali, dovrà essere dimensionata in base a studi:

o idrogeologici o idrochimici o idrologici

della struttura acquifera alimentatrice, comprendendo l’intera area di alimentazione del pozzo o del campo pozzi ed eventuali acquiferi limitrofi dai quali potrebbe esserci un significativo travaso idrico sotterraneo.

� L’estensione dell’area di ricarica della falda alimentatrice dovrà quindi tener conto: o dell’estensione e della localizzazione geografica o delle caratteristiche idrologiche, idrochimiche, microbiologiche e pedologiche o dell’importanza dell’acquifero alimentato e del suo grado di sfruttamento o dell’uso del suolo e delle destinazioni d’uso

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o del ciclo integrale delle acque � Particolare attenzione dovrà inoltre essere posta alle zone con litologia dominante

carbonatica-dolomitica, dove i fenomeni carsici (micro e macro carsismo) determinano percorsi sotterranei delle acque anche molto complessi con conseguente area di ricarica estesa a vaste porzioni di territorio

� Nella zona di protezione dovranno ricadere inoltre le aree di riserva, caratterizzate da una risorsa idrica pregiata, eventualmente utilizzabili per futuri scopi idropotabili

� Tali aree sono individuate sulla base delle indicazioni emergenti dagli strumenti di pianificazione di settore o territoriale, regionale o locale, ed anche alle disposizioni di cui al d.p.c.m. 4 marzo 1996, n. 47

� Con l’obiettivo di preservare nel tempo le caratteristiche quali-quantitative delle risorse idriche presenti nella zona di protezione, potranno essere adottate misure relative alla destinazione del territorio interessato e limitazioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agroforestali e zootecnici, prevedendo per tali limitazioni una durata minima di dieci anni.

3.4 Captazioni superficiali La derivazione di acque superficiali può essere attuata con diversi tipi di captazioni in diversi ambienti naturali ed artificiali: si possono avere captazioni in corsi d’acqua e canali artificiali (a mezzo di opere di presa in sponda, per mezzo di briglie trasversali al corso d’acqua…) o captazioni d’acqua superficiale in laghi, bacini naturali ed artificiali (opere di presa localizzate in dighe o sbarramenti artificiali). Ad ogni modo appare fondamentale tutelare il corso d’acqua a monte dell’opera di presa e nel caso di laghi e bacini bisogna tutelare prioritariamente l’immissario dell’invaso, oltre che l’invaso stesso.

La zona di tutela assoluta:

Così come normato dal D. Lgs. 152/99 e ribadito dall’Accordo del 12 dicembre 2002, dovrà avere una estensione di almeno 10 m di raggio dal punto di captazione Tale area dovrà quindi essere recintata per impedire l’accesso volontario o casuale a persone non autorizzate ed agli animali e protetta da eventuali esondazioni di corpi idrici limitrofi; oltre a ciò dovrà essere provvista di canalizzazioni per il deflusso delle acque meteoriche; Dovrà, inoltre, essere adibita esclusivamente alle opere di captazione ed alle infrastrutture di servizio necessarie ad assicurare la derivazione di acque, il loro eventuale trattamento ed il trasferimento. Per una protezione più efficace di tale zona, nel caso in cui la captazione si trovi a valle di aree sottoposte a forti pressioni o comunque a valle di importanti centri urbani, sarà necessario prevedere associata alla protezione statica, costituita da divieti, vincoli e regolamenti, una protezione di tipo dinamica, che presuma sistemi di allarme in grado di segnalare in tempo reale eventuali cambiamenti repentini delle principali caratteristiche chimico fisiche delle acque derivate dall’opera di presa Nel caso di lago, bacino naturale e/o artificiale, tale area coinciderà con quella di rispetto (vedi paragrafo successivo).

La zona di rispetto:

• Essa sarà costituita da un’area circostante la zona di tutela assoluta e si svilupperà a monte dell’opera di presa, comprendendo sia il corso d’acqua che le sue sponde. Dovrà avere una estensione longitudinale non inferiore ai 200 m e dovrà essere correlata a diversi fattori quali:

o quantità d’acqua derivata

o portata media del corpo idrico

o stagionalità dei periodi di piena e di secca

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o proprietà intrinseche del chimismo delle acque del corpo idrico superficiale derivato

o eventuale presenza di centri di pericolo e di grosse arterie di comunicazione stradali e ferroviarie

o stima delle interazioni quali-quantitative tra le acque superficiali e le acque sotterranee

• Messa in sicurezza, ai sensi del D. Lgs. 152/99, degli eventuali centri di pericolo preesistenti in tale area (in particolare presso le sponde del corso d’acqua) e, nel caso, allontanamento degli stessi

• Nel caso di laghi, bacini naturali ed artificiali, la zona di rispetto, come precedentemente accennato, verrà a coincidere con l’area di protezione assoluta. Essa dovrà essere descritta da una circonferenza di raggio non inferiore ai 200 m, che comprenda il tratto di costa più vicino di lunghezza non inferiore a quello compreso tra gli estremi della proiezione del diametro sulla costa stessa.

• Appare comunque fondamentale, soprattutto nella nostra realtà regionale, estendere l’area di rispetto per un tratto non inferiore ai 200 m lungo entrambe le sponde dell’immissario dell’invaso.

La zona di protezione:

• Tale zona è finalizzata al mantenimento ed al miglioramento delle caratteristiche chimico-qualitative dei corpi idrici superficiali a monte delle opere di presa, prioritariamente per le captazioni ad uso potabile.

• Tale area dovrà estendersi lungo il corso d’acqua su ambedue le sponde a monte dell’opera di presa per non meno di 1 Km, e comunque dovrà tener conto:

o dell’estensione e della localizzazione geografica del corso d’acqua

o delle caratteristiche idrologiche, idrochimiche e microbiologiche dell’acqua derivata oltre che delle caratteristiche pedo-litologiche del letto, delle sponde e dei terrazzi fluviali.

o dell’uso del suolo e delle destinazioni d’uso

• Nella zona di protezione potranno essere posti vincoli su:

o Scarico di acque reflue

o Espansione centri urbani

o Produzione e stoccaggio di materie e sostanze pericolose

o Allevamento di bestiame

o Attività agricola intensiva

o Apertura di cave

o Gestione dell’instabilità dei versanti

o Ogni attività e destinazione d’uso del territorio che possa compromettere lo stato della risorsa utilizzata

• Così come per l’area di tutela assoluta, per una salvaguardia più efficace della zona di protezione, nel caso in cui la captazione si trovi a valle di un’area sottoposta a forti pressioni, sarà necessario prevedere associata alla protezione statica, costituita da divieti, vincoli e regolamenti, una protezione di tipo dinamica, che presuma sistemi di allarme, posti a monte a non meno di 1 Km dalla captazione stessa. Tale protezione dinamica dovrà essere strutturata in maniera tale da segnalare in tempo reale eventuali cambiamenti

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repentini delle principali caratteristiche chimico fisiche delle acque emunte dall’opera di presa.

• Nel caso di laghi, bacini naturali ed artificiali, la zona di protezione dovrà estendersi lungo le rive dell’invaso spingendosi fino ai versanti che si affacciano sullo specchio d’acqua stesso. Inoltre la zona di protezione dovrà estendersi lungo il corso d’acqua immissario per non meno di 1 Km, comprendendo una fascia di rispetto lungo ambedue le sponde.

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4 STRATEGIE DI INTERVENTO PER L’APPRONTAMENTO DELLE AREE DI SALVAGUARDIA

Dopo aver trattato gli aspetti normativi che disciplinano le aree di salvaguardia ed aver analizzato gli aspetti tecnici relativi alle situazioni tipo riscontrabili nella realtà regionale, si riporta di seguito una tabella di sintesi delle attività che sono state sviluppate, sono in corso di definizione o che dovranno svilupparsi, nell’ottica della salvaguardia della qualità della risorsa idrica e della salute umana:

� Censimento di tutti i punti di derivazione delle acque a scopo idropotabile (sotterranee e superficiali) e loro georeferenziazione su GIS. Tutte le informazioni di carattere geografico, tecnico-costruttivo, geologico e relative alle pratiche di concessione legate ad ogni singolo punto di captazione dovranno essere informatizzate in modo omogeneo ed univoco condiviso dagli Enti preposti alla gestione e al controllo delle derivazioni di acque destinate al consumo umano.

� Particolare attenzione dovrà essere dedicata alle derivazioni e/o alle emergenze naturali ricadenti nelle aree carsiche presenti sul territorio ligure (micro-macrocarsismo) o comunque contraddistinte da alta vulnerabilità. In primo luogo saranno cartografate a scala regionale (da Carta Geologica Regionale 1:250.000) le zone a litologia carbonatico-dominante da considerarsi interamente aree di ricarica, all’interno delle quali dovranno essere rispettate le linee di indirizzo riportate nell’Accordo tra Stato, Regioni e Province autonome del 12/12/2002. In fasi successive sarà aumentato il grado di dettaglio delle perimetrazione tenendo in considerazione la localizzazione delle singole captazioni ad uso idropotabili e l’esistenza di circuiti idrici sotterranei indipendenti.

� Delimitazione e mappatura temporanea delle aree di salvaguardia, là dove non fossero già individuate e qualora mancassero le necessarie conoscenze idrogeologiche, adottando il criterio geometrico (entro il 2015). Le aree di tutela assoluta e di rispetto saranno determinate nei termini previsti dalla normativa vigente (rispettivamente non meno di 10 e 200 metri di raggio dal punto di derivazione).

� Censimento dei centri di pericolo individuati all’interno delle aree di rispetto ed eventualmente di protezione (entro il 2015).

� A tali aree, in attesa di una delimitazione basata su studi approfonditi descritti nei paragrafi precedenti, verranno applicati cautelativamente divieti, vincoli e regolamenti quanto più severi e ristrettivi possibile al fine di tutelare la salute pubblica.

� Qualora i punti di captazione siano ubicati in centri cittadini o comunque in zone dove non sia possibile rispettare i 10 m di raggio previsti per l’area di tutela assoluta, dovrà essere comunque garantita la non accessibilità casuale o volontaria ad animali o persone ai punti stessi di captazione.

� I punti di captazione dovranno avere caratteristiche tecnico-costruttive tali da impedire miscelamenti diretti tra acque prelevate e acque meteoriche o di dilavamento.

� Nel caso di captazioni di acque sotterranee in un acquifero particolarmente vulnerabile, come lo sono la maggior parte di quelli compresi nelle piane alluvionali liguri, dovrà essere impermeabilizzata l’intera superficie della zona di tutela assoluta.

� Data la situazione di approvvigionamento idrico esistente in Liguria, essenzialmente basata su:

- sfruttamenti di acque di falda presenti nei depositi alluvionali quaternari altamente urbanizzati ed industrializzati (vulnerabili)

- sfruttamento di acque sorgive dei territori dell’entroterra ligure gestiti da piccoli acquedotti consortili

non è ipotizzabile cessare i prelievi da tali captazioni per le quali attualmente non siano state istituite le aree di salvaguardia. Tanto meno possono essere allontanati tutti i centri di pericolo preesistenti, ove tali aree siano già state istituite con il criterio geometrico. Pertanto si ritiene di importanza primaria, soprattutto per quanto attiene la sostenibilità economica legata a provvedimenti molto severi finalizzati alla tutela della salute pubblica, avviare

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quanto prima gli studi necessari per la determinazione del reale grado di vulnerabilità delle falde sfruttate per scopi idropotabili al fine di predisporre una protezione efficace, ma non necessariamente onerosa, legata ad un adeguato dimensionamento delle aree di salvaguardia.

� Individuazione delle singole problematiche legate ad ogni attività per valutare l’incidenza sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, per le quali sia possibile applicare misure di messa in sicurezza che permettano il prosieguo di dette attività. Per conseguire tali adeguamenti dovranno essere valutati i seguenti punti: caratteristiche intrinseche dell’acquifero, impermeabilizzazione dell’area e canalizzazione e raccolta delle acque di prima pioggia e di lavaggio, adeguamento degli scarichi alla normativa, funzionalità e sicurezza del ciclo produttivo, verifica dell’adempimento alle norme esistenti in materia di stoccaggio temporaneo di sostanze pericolose e di smaltimento rifiuti.

� Valutazione tecnico-economica per l’adeguamento delle aree di salvaguardia tramite il criterio temporale ed il criterio idrogeologico.

Una volta portati a compimento le attività riguardanti l’applicazione della protezione statica e qualora si renda necessario un maggior controllo della qualità nell’ottica della tutela della salute umana, dovrà essere applicata la protezione dinamica, consistente in:

� Terebrazione di piezometri attrezzati opportunamente, al limite dell’area di rispetto delle opere di captazione nei sedimenti sciolti e loro monitoraggio in continuo per rilevare qualsiasi cambiamento repentino delle principali caratteristiche chimico fisiche della risorsa idrica sotterranea in tempo utile per valutare la causa di tale cambiamento e l’eventuale contromisura da adottare per garantire l’idonea qualità dell’acqua derivata. Su questi piezometri dovranno inoltre essere compiute delle campagne di campionamento opportunamente cadenzate in relazione ai tempi di sicurezza scelti per la delimitazione dell’area stessa. Tale sorveglianza sarà predisposta ed effettuata da parte dell’Ente Concessionario della risorsa.

� Nel caso di captazione di acque sorgive, messa in opera di una piccola rete di monitoraggio comprendente delle risorgive all’interno dell’area di rispetto designata, possibilmente a monte della captazione stessa. Allo stesso modo del punto precedente, il risultato di tale monitoraggio, espletato con dei campionamenti d’acqua effettuati con cadenza periodica, potrebbe rilevare qualsiasi cambiamento repentino delle principali caratteristiche chimico fisiche della risorsa idrica sotterranea lasciando un margine di tempo, necessario per valutare la causa di tale cambiamento e l’eventuale contromisura da adottare per garantire l’idonea qualità dell’acqua derivata.

5 DEFINIZIONI Ai fini delle presenti linee guida si applicano le seguenti definizioni (tratte da Accordo Stato, Regioni e Province autonome del 12/12/2002):

a. Acquifero: corpo permeabile in grado di immagazzinare e trasmettere un quantitativo idrico tale da rappresentare una risorsa d'importanza socio-economica ed ambientale.

b. Acquifero non protetto: acquifero che non presenta le caratteristiche di protezione delle acque sotterranee descritte alla lettera c.

c. Acquifero protetto: è un acquifero separato dalla superficie del suolo o da una falda libera o da una falda sovrastante mediante un corpo geologico con caratteristiche di conducibilità idraulica, continuità laterale e spessore tali da impedire il passaggio dell'acqua per tempi dell'ordine dei 40 anni. La continuità areale del corpo geologico deve essere accertata per una congrua estensione, tenuto conto dell'assetto idrogeologico secondo gli elementi contenuti nell'allegato 2. Un acquifero s'intende protetto quando i risultati delle indagini nel sottosuolo e

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le prove idrogeologiche e idrochimiche eseguite verificano appieno almeno una delle condizioni di cui sopra. Un acquifero protetto può essere localizzato anche al di sotto di un acquifero vulnerabile ai nitrati di origine agricola e ai prodotti fitosanitari, ai sensi degli articoli 19 e 20 del D. Lgs. 152/99, qualora siano rispettate le condizioni precedentemente illustrate.

d. Area di ricarica: la superficie dalla quale proviene alimentazione al corpo idrico sotterraneo considerato; è costituita dall'area nella quale avviene l'infiltrazione diretta alle acque sotterranee delle acque meteoriche o dall'area di contatto con i corpi idrici superficiali (laghi, corsi d'acqua naturali o artificiali) dai quali le acque sotterranee traggono alimentazione.

e. Centri di pericolo: tutte le attività, insediamenti, manufatti in grado di costituire, direttamente o indirettamente, fattori certi o potenziali di degrado quali-quantitativo delle acque.

f. Emergenze naturali ed artificiali della falda: siti in cui la morfologia dell'area, anche se modificata da interventi antropici, determina l'affioramento in superficie delle acque sotterranee, dovuto alla loro naturale circolazione nel sottosuolo.

g. Falda: le acque che si trovano al di sotto della superficie del terreno, nella zone di saturazione e in diretto contatto con il suolo e sottosuolo, circolanti nell'acquifero e caratterizzate da movimento e presenza continua e permanente. Essa può essere distinta, secondo le condizioni idrauliche ed al contorno in libera, confinata, semiconfinata/semilibera:

- libera: falda limitata solo inferiormente da terreni impermeabili e che può ricevere apporti laterali e dalla superficie;

- confinata: falda limitata inferiormente e superiormente da livelli impermeabili (acquicludi), con acqua in pressione, che può ricevere alimentazione solo lateralmente e, nel caso si abbia una risalienza dei livelli al di sopra del piano campagna, si ha una falda artesiana;

- semiconfinata: falda limitata da livelli semipermeabili (acquitardi) che permettono un debole passaggio da una falda all'altra e, a seconda dell'oggetto dell'indagine, si distinguono una falda semiconfinata o semilibera;

Non costituiscono una falda i livelli discontinui e/o di modesta estensione presenti all'interno e al di sopra di una litozona a bassa conducibilità idraulica.

h. Isocrona: linea che congiunge i punti d'uguale tempo d'arrivo delle particelle d'acqua ad un'opera di captazione con un percorso attraverso il mezzo saturo.

i. Opera di captazione: opera o complesso d'opere, realizzate in corrispondenza della sorgente (captazione alla sorgente), o nel corpo dell'acquifero alimentatore (captazione in acquifero) o realizzate ai punti di presa d'acque superficiali (derivazione), atte a sfruttare la risorsa idrica. Tale opera deve essere progettata e realizzata in modo tale da non pregiudicare lo stato quali-quantitativo della risorsa e deve essere dotata d'idonee strutture e strumentazioni per la misura dei parametri quali-quantitativi.

l. Pozzo: struttura realizzata mediante una perforazione, generalmente completata con rivestimento, filtri, dreno e cementazione e sviluppata al fine di consentire l'estrazione d'acqua dal sottosuolo.

m. Piezometro: pozzo generalmente di diametro ridotto che filtra solo un tratto d'acquifero significativo ai fini della misura del livello piezometrico della falda in esame.

n. Pozzo di monitoraggio: pozzo che consente il prelievo di campioni d'acqua rappresentativi della falda interessata dai filtri. Per particolari configurazioni del flusso idrico sotterraneo, pozzo di monitoraggio e piezometro possono coincidere.

o. Protezione dinamica: è costituita dall'attivazione e gestione di un preordinato sistema di monitoraggio delle acque in afflusso alle captazioni in grado di verificarne periodicamente i

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fondamentali parametri quantitativi e qualitativi e di consentire con sufficiente tempo di sicurezza la segnalazione d'eventuali loro variazioni significative.

p. Protezione statica: è costituita dai divieti, vincoli e regolamentazioni che si applicano alle zone di tutela assoluta, di rispetto e di protezione finalizzati alla prevenzione del degrado quali-quantitativo delle acque in afflusso alle captazioni. A tal scopo possono essere eventualmente realizzate opportune opere, anche ad integrazione di quelle di captazione, in grado di minimizzare o eliminare i problemi di incompatibilità tra uso del territorio e qualità delle risorse idriche captate.

q. Serbatoio artificiale: è un accumulo d'acqua, realizzato artificialmente, costituito da un'opera di sbarramento, dal bacino di ritenuta comprensivo delle rive e dal volume idrico invasato.

r. Soggiacenza: in una falda libera è rappresentata dalla profondità del livello della falda misurata in un pozzo o piezometro rispetto alla superficie del suolo; nella falda confinata la soggiacenza s'intende la profondità del tetto dell'acquifero.

s. sorgente: punto o area più o meno ristretta, in corrispondenza della quale si determina la venuta a giorno d'acque sotterranee.

t. Tempo di sicurezza: intervallo temporale rappresentato dal periodo necessario perché una particella d'acqua durante il suo flusso idrico sotterraneo (naturale o indotto dal pompaggio) nel mezzo saturo, raggiunga il punto di captazione spostandosi lungo la superficie della falda. Il valore numerico da attribuire a tale intervallo temporale deve tenere conto anche del tempo necessario per implementare misure d'approvvigionamento idrico alternativo o sistemi di disinquinamento delle acque sotterranee. Il tempo di sicurezza è utilizzato per la delimitazione delle zone di rispetto mediante la cartografia d'isocrone.

u. Vulnerabilità dell'acquifero: suscettività di un acquifero ad ingerire e permettere la migrazione di una o più sostanze inquinanti che producono un impatto sulle caratteristiche qualitative delle acque sotterranee, limitandone in tal modo anche la disponibilità quantitativa. Tale vulnerabilità viene definita anche vulnerabilità intrinseca. La vulnerabilità specifica dell'acquifero è invece considerata verso determinati contaminanti, come ad esempio nel caso di nitrati di origine agricola e prodotti fitosanitari previsti dagli articoli 19 e 20 del D. Lgs. 152/99.

v. Zona di riserva: zona interessata da risorse idriche pregiate, che può essere delimitata e gestita per preservare nel tempo la quantità e qualità delle acque, anche ai fini della possibilità di un loro futuro utilizzo, con particolare riferimento a quelle dotate di caratteristiche di potabilità.