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Numero - 02.01 - € 1,00 [?]

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Numero - 02.01 - € 1,00 [?] PAGINA 01 Manifestarsi pag. 03 ZeroTreZeroSette pag. 04 Visuale n# 1 pag. 05 Dialogo tra un bambino e un corvo pag. 06 Tassellatum opus [… est] pag. 10 Coffee Overdose pag. 16 De-liri©o pag. 22 …E infine addiO pag. 27 10-Due-1-Zero pag. 28 ?Suicidio pag. 30 Crediti pag. 31 PAGINA 02

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Numero - 02.01 - € 1,00 [?]

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Indice

Manifestarsi pag. 03 ZeroTreZeroSette pag. 04 Visuale n# 1 pag. 05 Dialogo tra un bambino e un corvo pag. 06 Tassellatum opus [… est] pag. 10 Coffee Overdose pag. 16 De-liri©o pag. 22 …E infine addiO pag. 27 10-Due-1-Zero pag. 28 ?Suicidio pag. 30 Crediti pag. 31

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Numero - 02.01 - € 1,00 [?]

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Indice

Manifestarsi pag. 03 ZeroTreZeroSette pag. 04 Visuale n# 1 pag. 05 Dialogo tra un bambino e un corvo pag. 06 Tassellatum opus [… est] pag. 10 Coffee Overdose pag. 16 De-liri©o pag. 22 …E infine addiO pag. 27 10-Due-1-Zero pag. 28 ?Suicidio pag. 30 Crediti pag. 31

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Manifestarsi

Uovo Macchiato d’ombra

Uovo La nascita e le sue macerie

Offerenti ovuli da leccare dall’interno Crol[l(atto)]

Uovo Antisismico

Epicentro di magnitudo assorbita

Sezione piana disgiuntiva A contemplare direzioni infinite Eppur statico anticipa la scelta

Correlato differenziatore dell’identico -PUNTO MATERIALE-

<<mi attribuirei la forma, se non la consistenza d’un uovo,

con due fori non importa dove, per impedire lo scoppio>>

(Beckett_ “L’Innominabile”)

PAGINA 04

Zero tre zero sette

Cede la pelle stanca spazio ad invisibili cicatrici

solchi profondi scavati da occhi che vomitano

s’insinua

la mano del tempo improvviso

d i l a t a r s i poi

comprimersi sino

alla stasi assoluta.

Egeo_il Metafisico

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Manifestarsi

Uovo Macchiato d’ombra

Uovo La nascita e le sue macerie

Offerenti ovuli da leccare dall’interno Crol[l(atto)]

Uovo Antisismico

Epicentro di magnitudo assorbita

Sezione piana disgiuntiva A contemplare direzioni infinite Eppur statico anticipa la scelta

Correlato differenziatore dell’identico -PUNTO MATERIALE-

<<mi attribuirei la forma, se non la consistenza d’un uovo,

con due fori non importa dove, per impedire lo scoppio>>

(Beckett_ “L’Innominabile”)

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Zero tre zero sette

Cede la pelle stanca spazio ad invisibili cicatrici

solchi profondi scavati da occhi che vomitano

s’insinua

la mano del tempo improvviso

d i l a t a r s i poi

comprimersi sino

alla stasi assoluta.

Egeo_il Metafisico

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Visuale n #1

Ti ho vista fumare una sigaretta sulla punta delle dita. Guardarti intorno come se avessi gli occhi puntati sui tuoi gesti. Fuori di te. Da vetrina. Il vento ti entrava nei capelli e gli scioglieva. Un ombra perforata da foglie di sole ti stava sopra. L’ albero di mandorle respirava il tuo profumo.

Ti ho vista in atteggiamenti da Diva. Celebrità nell’ombra. Una ciliegia da mangiare per ultima, la decorazione di un attimo. Un fiore giallo ti cresceva tra le scarpe. Il mattino era radioso con te al centro.

Avvicinarmi e stabilire un contatto? Aspettare che tradisca, un momento, un gesto che mi sveli: sei come le altre.

Sei sola abbracciata ai tuoi pensieri più veloci dei tuoi occhi. Fingi continuamente che esista una lacrima che possa bagnarti il viso, rendendoti crudele e triste.

La bellezza fatta persona.

Al tuo posto è rimasta la seggiola di carbone nella quale desideravi sederti per sentirti soffiare il vento sotto la gonna. Da sempre strani brividi sentirsi toccata.

Ma appena l’ho fatto io sei sparita. E il vento nelle dita era freddo. Non respiravi più. E il mentre nell’anima ha ricostituito il presente.

L’alito d’inchiostro segna nero la sua linea obliqua.

-----------AYL

PAGINA 06

<< Dialogo tra un bambino ed un corvo >> Luca, sei anni, guarda i cartoni animati in cucina, mentre fa merenda. E’ un bel pomeriggio primaverile, e dalla finestra aperta s’intravede uno scorcio di un bel cielo azzurro, macchiato di tanto in tanto da qualche candida nuvoletta ovattata. L’albero del giardino fa da casa a tanti simpatici augelli festanti e canterini. Un nuovo arrivato ha però catturato l’attenzione di Luca. Il suo piumaggio è differente da quello degli altri, è nero ; e la sua voce è decisamente meno melodica Ciao… Sai parlare?? Certo! Noi corvi sappiamo parlare, solo che lo facciamo quando e con chi vogliamo… Io mi chiamo Luca Lo so.. E come fai tu a saperlo? Perché mi poso spesso sui rami del vostro albero, anche se solitamente non mi faccio vedere. Fai merenda sempre alla stessa ora, mangi il pane con la cioccolata e ti piace guardare il cartone animato dello scoiattolo! Ma allora è vero. Sai un sacco di cose su di me! Già… e so anche che a volte sei un po’ triste, perché non vuoi crescere e vorresti restare sempre bambino… Si, è così!!! E perché? Non hai fretta di diventare grande, come tutti gli altri bambini? No, perché dovrei? Perché i grandi possono fare un sacco di cose che voi bambini non avete il permesso di fare… Non mi piacciono le cose che fanno i grandi! Perché? I grandi possono fare tutto quello che vogliono. Possono uscire e andare da tutte le parti e rientrare quando vogliono. Ma a me non piacciono i posti dove vanno! E poi perché dovrei tornare all’ora che voglio se non voglio nemmeno uscire? Se esci ti diverti… Come? Puoi andare a ballare, in quel posto che chiamate…disco…discoteca! Ah si, sento sempre mio fratello Paolo che dice a mamma e papà che

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Visuale n #1

Ti ho vista fumare una sigaretta sulla punta delle dita. Guardarti intorno come se avessi gli occhi puntati sui tuoi gesti. Fuori di te. Da vetrina. Il vento ti entrava nei capelli e gli scioglieva. Un ombra perforata da foglie di sole ti stava sopra. L’ albero di mandorle respirava il tuo profumo.

Ti ho vista in atteggiamenti da Diva. Celebrità nell’ombra. Una ciliegia da mangiare per ultima, la decorazione di un attimo. Un fiore giallo ti cresceva tra le scarpe. Il mattino era radioso con te al centro.

Avvicinarmi e stabilire un contatto? Aspettare che tradisca, un momento, un gesto che mi sveli: sei come le altre.

Sei sola abbracciata ai tuoi pensieri più veloci dei tuoi occhi. Fingi continuamente che esista una lacrima che possa bagnarti il viso, rendendoti crudele e triste.

La bellezza fatta persona.

Al tuo posto è rimasta la seggiola di carbone nella quale desideravi sederti per sentirti soffiare il vento sotto la gonna. Da sempre strani brividi sentirsi toccata.

Ma appena l’ho fatto io sei sparita. E il vento nelle dita era freddo. Non respiravi più. E il mentre nell’anima ha ricostituito il presente.

L’alito d’inchiostro segna nero la sua linea obliqua.

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<< Dialogo tra un bambino ed un corvo >> Luca, sei anni, guarda i cartoni animati in cucina, mentre fa merenda. E’ un bel pomeriggio primaverile, e dalla finestra aperta s’intravede uno scorcio di un bel cielo azzurro, macchiato di tanto in tanto da qualche candida nuvoletta ovattata. L’albero del giardino fa da casa a tanti simpatici augelli festanti e canterini. Un nuovo arrivato ha però catturato l’attenzione di Luca. Il suo piumaggio è differente da quello degli altri, è nero ; e la sua voce è decisamente meno melodica Ciao… Sai parlare?? Certo! Noi corvi sappiamo parlare, solo che lo facciamo quando e con chi vogliamo… Io mi chiamo Luca Lo so.. E come fai tu a saperlo? Perché mi poso spesso sui rami del vostro albero, anche se solitamente non mi faccio vedere. Fai merenda sempre alla stessa ora, mangi il pane con la cioccolata e ti piace guardare il cartone animato dello scoiattolo! Ma allora è vero. Sai un sacco di cose su di me! Già… e so anche che a volte sei un po’ triste, perché non vuoi crescere e vorresti restare sempre bambino… Si, è così!!! E perché? Non hai fretta di diventare grande, come tutti gli altri bambini? No, perché dovrei? Perché i grandi possono fare un sacco di cose che voi bambini non avete il permesso di fare… Non mi piacciono le cose che fanno i grandi! Perché? I grandi possono fare tutto quello che vogliono. Possono uscire e andare da tutte le parti e rientrare quando vogliono. Ma a me non piacciono i posti dove vanno! E poi perché dovrei tornare all’ora che voglio se non voglio nemmeno uscire? Se esci ti diverti… Come? Puoi andare a ballare, in quel posto che chiamate…disco…discoteca! Ah si, sento sempre mio fratello Paolo che dice a mamma e papà che

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va lì. Lui ha diciotto anni! Ecco, e lui non si diverte? Io non lo so se lui si diverte, torna sempre tardi. Qualche volta faccio finta di dormire però apro poco poco gli occhi e lo spio mentre entra in camera. Cammina tutto storto Beh, forse è stanco perché ha ballato tanto è si è divertito molto… E poi litiga con mia mamma e con mio papà. Una volta ho sentito la mamma che gli faceva una scenata per certe caramelle che c’erano nei suoi pantaloni che voleva lavargli. C’era anche un po’ di farina e lei si è arrabbiata. Si è arrabbiata più di quella volta che io ho rotto uno dei suoi vasi giù in cortile con il mio pallone! Ma poi avranno fatto la pace… Si, però dopo hanno litigato di nuovo perché lui una volta è tornato a casa con una sua amica e si sono messi a fare la lotta nel letto. Poi la mattina mamma e papà si sono messi ad urlare perché dicevano che non si fa la lotta con le amiche di quattordici anni! Ma tuo fratello Paolo fa un sacco di altre cose, non vuoi essere come lui? No, perché lui non gioca con me a pallone nel cortile. Va in giro con i suoi amici che passano a prenderlo a casa in macchina. Quando arrivano io li sento da lontano. Dai finestrini esce quella musica che si sente alla tivvù a tutto volume. E poi iniziano a suonare il clacson e lui esce di casa correndo sulle scale e lascia una puzza di dopobarba che la mamma gli dice PAOLO MA CHE TI FAI IL BAGNO COL DOPOBARBA ? E tu non vorresti andare in giro in macchina come loro? No perché al telegiornale a pranzo sento sempre di ragazzi come Paolo che escono in macchina e fanno le gare e vanno veloci e non tornano più! E una volta ho sentito mamma e papà che litigavano per questo e papà diceva MA SONO GIOVANI LASCIALI DIVERTIRE e mamma SI, MA VA A FINIRE CHE QUALCHE GIORNO SI DIVERTONO TROPPO E CI CHIAMANO A CASA DALL’OSPEDALE! E non vuoi essere come loro, come i tuoi genitori? No… Perché no? Perché urlano sempre, soprattutto papà quando guarda il telegiornale e le partite di calcio. E poi vanno sempre di fretta e a volte litigano e poi dicono che i soldi non bastano mai. Ma tuo papà lavora per guadagnare i soldi così poi potete andare in vacanza d’estate…

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Papà lavora molto e poi torna a casa che è nervoso e si fuma un pacchetto di sigarette. Dice che il suo direttore è un deficiente che pensa di essere chissà chi solo perché cha una bella macchina. Poi si arrabbia con la mamma perché la pasta non è pronta e le camicie non sono stirate bene. Però dopo sento che fanno la pace e si danno i baci sulla bocca e la mamma dice NON ADESSO CHE IL BAMBINO CI PUO’ SENTIRE e papà scocciato da un calcio alla poltrona e va via sbuffando e dice SEMPRE LA STESSA STORIA e la mamma risponde PEGGIO PER TE CHE VAI AL BAR CON I TUOI AMICI A VEDERE LE PARTITE DI SCEMPION LIG E POI TORNI CHE E’ TROPPO TARDI! Poi però d’estate andate tutti in vacanza! Si ma ogni volta andiamo nello stesso posto. Prendiamo una casa con un amico di papà vicino all’acqua di un lago che c’è sotto un ponte. Il lago è verde e c’è il fango e c’è un odore strano che la mamma per togliermelo mi strofina forte e mi fa sempre due passate col bagnoschiuma. Non vedi che i tuoi sono felici quando andate al lago? No, litigano anche quando siamo lì perché la mamma si deve portare appresso la nonna e papà si scoccia e dice che per i nonni ci sono gli ospizi! Meglio cambiare argomento… ah ecco, tu che giochi a pallone nel cortile non vorresti diventare un calciatore famoso? Naah, non è divertente giocare per forza. Poi bisogna cambiare squadra andare in altre città. Non puoi più giocare con i tuoi amici e devi andare in televisione! A te non piace la televisione ? Guardo solo i cartoni animati, è l’unica cosa di divertente che c’è ! Ma se ci sono un sacco di canali! Si, ma si vede dappertutto la stessa roba. Ci sono le signorine senza vestiti. I telegiornali, i signori che litigano, e mio papà urla anche se loro non possono sentirlo, i ragazzi che ballano, sai che tristezza! E poi c’è la guerra, c’è il sangue ci sono i morti… Ma ci sono i buoni e ci sono i cattivi… Ma io non riesco a distinguerli, dicono tutti le stesse cose solo che hanno vestiti diversi! Io non voglio diventare come loro, non voglio giocare alla guerra, non voglio urlare per farmi sentire. Voglio continuare a guardare il cartone dello scoiattolo e mangiare pane e cioccolata… … Beh, forse hai ragione tu.. E tu quando eri piccolo avevi fretta di diventare grande? No, ma per me era diverso.

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va lì. Lui ha diciotto anni! Ecco, e lui non si diverte? Io non lo so se lui si diverte, torna sempre tardi. Qualche volta faccio finta di dormire però apro poco poco gli occhi e lo spio mentre entra in camera. Cammina tutto storto Beh, forse è stanco perché ha ballato tanto è si è divertito molto… E poi litiga con mia mamma e con mio papà. Una volta ho sentito la mamma che gli faceva una scenata per certe caramelle che c’erano nei suoi pantaloni che voleva lavargli. C’era anche un po’ di farina e lei si è arrabbiata. Si è arrabbiata più di quella volta che io ho rotto uno dei suoi vasi giù in cortile con il mio pallone! Ma poi avranno fatto la pace… Si, però dopo hanno litigato di nuovo perché lui una volta è tornato a casa con una sua amica e si sono messi a fare la lotta nel letto. Poi la mattina mamma e papà si sono messi ad urlare perché dicevano che non si fa la lotta con le amiche di quattordici anni! Ma tuo fratello Paolo fa un sacco di altre cose, non vuoi essere come lui? No, perché lui non gioca con me a pallone nel cortile. Va in giro con i suoi amici che passano a prenderlo a casa in macchina. Quando arrivano io li sento da lontano. Dai finestrini esce quella musica che si sente alla tivvù a tutto volume. E poi iniziano a suonare il clacson e lui esce di casa correndo sulle scale e lascia una puzza di dopobarba che la mamma gli dice PAOLO MA CHE TI FAI IL BAGNO COL DOPOBARBA ? E tu non vorresti andare in giro in macchina come loro? No perché al telegiornale a pranzo sento sempre di ragazzi come Paolo che escono in macchina e fanno le gare e vanno veloci e non tornano più! E una volta ho sentito mamma e papà che litigavano per questo e papà diceva MA SONO GIOVANI LASCIALI DIVERTIRE e mamma SI, MA VA A FINIRE CHE QUALCHE GIORNO SI DIVERTONO TROPPO E CI CHIAMANO A CASA DALL’OSPEDALE! E non vuoi essere come loro, come i tuoi genitori? No… Perché no? Perché urlano sempre, soprattutto papà quando guarda il telegiornale e le partite di calcio. E poi vanno sempre di fretta e a volte litigano e poi dicono che i soldi non bastano mai. Ma tuo papà lavora per guadagnare i soldi così poi potete andare in vacanza d’estate…

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Papà lavora molto e poi torna a casa che è nervoso e si fuma un pacchetto di sigarette. Dice che il suo direttore è un deficiente che pensa di essere chissà chi solo perché cha una bella macchina. Poi si arrabbia con la mamma perché la pasta non è pronta e le camicie non sono stirate bene. Però dopo sento che fanno la pace e si danno i baci sulla bocca e la mamma dice NON ADESSO CHE IL BAMBINO CI PUO’ SENTIRE e papà scocciato da un calcio alla poltrona e va via sbuffando e dice SEMPRE LA STESSA STORIA e la mamma risponde PEGGIO PER TE CHE VAI AL BAR CON I TUOI AMICI A VEDERE LE PARTITE DI SCEMPION LIG E POI TORNI CHE E’ TROPPO TARDI! Poi però d’estate andate tutti in vacanza! Si ma ogni volta andiamo nello stesso posto. Prendiamo una casa con un amico di papà vicino all’acqua di un lago che c’è sotto un ponte. Il lago è verde e c’è il fango e c’è un odore strano che la mamma per togliermelo mi strofina forte e mi fa sempre due passate col bagnoschiuma. Non vedi che i tuoi sono felici quando andate al lago? No, litigano anche quando siamo lì perché la mamma si deve portare appresso la nonna e papà si scoccia e dice che per i nonni ci sono gli ospizi! Meglio cambiare argomento… ah ecco, tu che giochi a pallone nel cortile non vorresti diventare un calciatore famoso? Naah, non è divertente giocare per forza. Poi bisogna cambiare squadra andare in altre città. Non puoi più giocare con i tuoi amici e devi andare in televisione! A te non piace la televisione ? Guardo solo i cartoni animati, è l’unica cosa di divertente che c’è ! Ma se ci sono un sacco di canali! Si, ma si vede dappertutto la stessa roba. Ci sono le signorine senza vestiti. I telegiornali, i signori che litigano, e mio papà urla anche se loro non possono sentirlo, i ragazzi che ballano, sai che tristezza! E poi c’è la guerra, c’è il sangue ci sono i morti… Ma ci sono i buoni e ci sono i cattivi… Ma io non riesco a distinguerli, dicono tutti le stesse cose solo che hanno vestiti diversi! Io non voglio diventare come loro, non voglio giocare alla guerra, non voglio urlare per farmi sentire. Voglio continuare a guardare il cartone dello scoiattolo e mangiare pane e cioccolata… … Beh, forse hai ragione tu.. E tu quando eri piccolo avevi fretta di diventare grande? No, ma per me era diverso.

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E perché? Perché noi uccelli possiamo fare quello che vogliamo anche da piccoli. Nasciamo liberi… E cosa potete fare da piccoli ? Possiamo volare via… Ma allora forse anche noi bambini possiamo volare! Certo che no! Sii, anche noi possiamo!!! Non dire sciocchezze gli uomini non possono volare! I grandi no, ma noi bambini si! … voi non potete… si invece!!! … Aspettami che volo via con te… E i tuoi genitori, non pensi a loro? Ma tanto faccio solo un giretto sopra il cortile e poi torno subito a casa… … Allora corvo, andiamo?? Va bene, sali sul davanzale… Ok… Sei pronto Luca ? Si! Andiamo allora! Che beeelloo sto volandoooo E’ un bel pomeriggio primaverile, e dalla finestra aperta s’intravede uno scorcio di un bel cielo azzurro, macchiato di tanto in tanto da qualche candida nuvoletta ovattata. L’albero del giardino fa da case a tanti simpatici augelli festanti e canterini. Nella cucina il televisore acceso sul canale dei bambini con il cartone dello scoiattolo, e sul tavolo un pezzo di pane con la cioccolata. Luca, sei anni, giace riverso nel cortile col cranio spaccato.

FINE

Egeo_il Metafisico

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Tassellatum opus […est]. “Pindarum quisquis studet aemulari.”

PROSILIT Una cicca strappata volata dal fianco destro del buio è rotolata. Respira rossa nel nero consumando l’ultimo tabacco. Prima che si spenga. Si è spenta. Ho fatto un brutto sogno. La tua testa ingigantita attaccata alle tue braccia. Senza collo. Senza corpo. Le tue gambe stecche bruciate. Calva nei capelli gialli, lisci, disegnati. Era notte. C’erano teste profumate in una brezza musicale, timide nel muoversi minimo dentro buste azzurre finemente avvolte intorno a una luce bianca, ogni tanto soffiava nei visi lontana e tonda. Facendo spazio tra i corpi. Respiravano i loro stessi polmoni come palloncini succhiati. Era una foto di quelle tridimensionali a sfondo fisso e tu che ti muovevi. Se io ti muovevo. Un mosaico di plastica. Con in mezzo niente. Ho fatto un brutto sogno perché quella notte non c’eri e di te, per ora, ho solo una fotografia. Tu di me non hai ancora nulla. Come hai fatto a fidarti? PRIMO TASSELLO Lo sportello. Aperto. La gente ricomincia a parlare, a mormorare i suoi dialetti maneggiando i manici di plastica mobili delle loro valigie quadrate, precise e rigide. I colori sciupati soffusi all’angolo del mio occhio. Ho il posto che dà sul corridoio. Di sicuro mi sarei salvato. Non è tempo per me di cadere.

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E perché? Perché noi uccelli possiamo fare quello che vogliamo anche da piccoli. Nasciamo liberi… E cosa potete fare da piccoli ? Possiamo volare via… Ma allora forse anche noi bambini possiamo volare! Certo che no! Sii, anche noi possiamo!!! Non dire sciocchezze gli uomini non possono volare! I grandi no, ma noi bambini si! … voi non potete… si invece!!! … Aspettami che volo via con te… E i tuoi genitori, non pensi a loro? Ma tanto faccio solo un giretto sopra il cortile e poi torno subito a casa… … Allora corvo, andiamo?? Va bene, sali sul davanzale… Ok… Sei pronto Luca ? Si! Andiamo allora! Che beeelloo sto volandoooo E’ un bel pomeriggio primaverile, e dalla finestra aperta s’intravede uno scorcio di un bel cielo azzurro, macchiato di tanto in tanto da qualche candida nuvoletta ovattata. L’albero del giardino fa da case a tanti simpatici augelli festanti e canterini. Nella cucina il televisore acceso sul canale dei bambini con il cartone dello scoiattolo, e sul tavolo un pezzo di pane con la cioccolata. Luca, sei anni, giace riverso nel cortile col cranio spaccato.

FINE

Egeo_il Metafisico

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Tassellatum opus […est]. “Pindarum quisquis studet aemulari.”

PROSILIT Una cicca strappata volata dal fianco destro del buio è rotolata. Respira rossa nel nero consumando l’ultimo tabacco. Prima che si spenga. Si è spenta. Ho fatto un brutto sogno. La tua testa ingigantita attaccata alle tue braccia. Senza collo. Senza corpo. Le tue gambe stecche bruciate. Calva nei capelli gialli, lisci, disegnati. Era notte. C’erano teste profumate in una brezza musicale, timide nel muoversi minimo dentro buste azzurre finemente avvolte intorno a una luce bianca, ogni tanto soffiava nei visi lontana e tonda. Facendo spazio tra i corpi. Respiravano i loro stessi polmoni come palloncini succhiati. Era una foto di quelle tridimensionali a sfondo fisso e tu che ti muovevi. Se io ti muovevo. Un mosaico di plastica. Con in mezzo niente. Ho fatto un brutto sogno perché quella notte non c’eri e di te, per ora, ho solo una fotografia. Tu di me non hai ancora nulla. Come hai fatto a fidarti? PRIMO TASSELLO Lo sportello. Aperto. La gente ricomincia a parlare, a mormorare i suoi dialetti maneggiando i manici di plastica mobili delle loro valigie quadrate, precise e rigide. I colori sciupati soffusi all’angolo del mio occhio. Ho il posto che dà sul corridoio. Di sicuro mi sarei salvato. Non è tempo per me di cadere.

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SECONDO TASSELLO Il mio occhio è rigido, preciso, quadrato come le valigie che scarteggiavetrano con l’asfalto dietro l’oblò ermetico. TERZO TASSELLO Una signorina, spero, Adele, mi sorride. Non so. Ha occhi perplessi. L’ho centrata troppo vicino al seno, dove lei, imprecisa ha avuto modo di attaccare il cartellino con scritto Adele, con sotto Alitalia, poi bianco bianco, con sotto il capezzolo. Nuovo. E quel ricciolo chiaro ma schiarito ti sta luccicando sulla spalla volato via da dietro l’orecchia. Cosa vuoi che faccia? - Buongiorno signore, e arrivederci - covava con gli occhi riflessi metallici. Tappo quel buco di luce che sale dalle scalette, sono l’ospite d’onore, devo scendere misurato e salutare la folla che mi saluta. Sono una chiave passpartout infilata nella serratura di porte interne. Divido stanze della stessa casa. Mi hanno sfilato da sotto un centrino ricamato. Uno qualunque. Dietro di me le mani appese ai fianchi fanno bollicine mute, in attesa e ovali. Schizzerei fuori come champagne a capodanno per la spinta di un dito. Icarico oltre il lampadario posticcio del cielo. QUARTO TASSELLO Fa un caldo fresco, che brucia. Non è il mio caldo. Scendo le scalette misurando il terremoto intorno ai miei piedi mentre aspetto che quelli davanti a me colino in basso. Ho con me solo un marsupio alla spalla. Mi sento diverso. Vuoto. Senza bagagli. Senza valigia. Il mio viaggio racchiuso in marsupio. Mischino... QUINTO SCALINO Hai mai visto “il pianista sull’oceano”? Immaginami. PRIMO RICORDO C’erano tappi nelle orecchie gialli e walkman sotto i vestiti accesi, un uomo chiudeva il suo portatile verde scuro. E io mi arrampicavo. Lei era grande paura zero e siamo scesi come da un altissimo grattacielo barcollante mezz’ora due passi per ogni scalino e mi sono messo a parlare con una signora più alta di me che stavo sopra e ho cercato di salire più su se mia nonna non mi stritolava con il braccio ero sicuro avevo respirato Le ho detto Ciao come stai? con un filo di voce piccolo piccolo e lei mi ha sorriso molto ha preso un fazzolettino dalla borsetta alla menta e mi ha asciugato

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un po’ la fronte perché ero sudato per un attimo ci siamo fermati ma non so perchè QUINTO TASSELLO Mi arrotolai nella canottiera veloce e l’ho vista persi una ciabattina in braccio talmente piccola e rossa Non si era accorto nessuno tanti piedi tutti i piedi e le scarpe e le calze del mondo la coprivano per non dare fastidio la mia ciabattina andò a lato di quel andito di persone che era terrorizzata di non trovare posto in pullman e non gliene fregava niente mezza rovesciata su un fianco dormiva pestata forse era stanca del mio piede che non sudava mai Si vergognava di me con un calcio le restituì anche sua sorellina leggeri godevo godevo a muovere le dita e non sentire nulla sotto solo aria calda nonna mi guardava come a dire e adesso? SESTO TASSELLO Un suono di bicicletta rovesciata per poi riprendere il loro verso giusto appena atterrate. Prendo in mano il marsupio estraendo il cellulare tra le sgomitate delle valigie. Rovesciavo la mia BMX e catturavo la ruota anteriore, navigando, chissà dove, nel muro di casa. Che era giallino, e mica cambiava per me. Mio padre l’aveva imbiancato non sarebbe cambiato mai. Due essemeessse: sei arrivato? Sei arrivato? Si sono arrivato. Entro in navetta. SECONDO RICORDO L’aeroporto Le porte automatiche Scorrevoli Pressurizzate L’aria condizionata le teste tirate in su e le teste curve in giù teste a destra teste a sinistra ma mai centrali. Le facce dei piccoli appese alle mani dei grandi nascoste le facce dalle voci nei microfoni intrappolate in casse acustiche invisibili sembrano quando metto la testa sotto un cuscino da questa parte del vetro la prima boccata di freddo la sento nei piedi stringo a mia nonna forte e cerco un po’ di caldo sotto il suo vestito largo arancione nuraghe e quando mai? coi fiori viola livido come tutte le nonne sarde grasse e potenti amiche sue SETTIMO TASSELLO Ora davanti a questa porta automatica scorrevole e pres- surizzata si schiacciano le ombre colorate della gente: fantasmi nel sole che non fa ombra nei corpi. Mi volto per cercare una

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SECONDO TASSELLO Il mio occhio è rigido, preciso, quadrato come le valigie che scarteggiavetrano con l’asfalto dietro l’oblò ermetico. TERZO TASSELLO Una signorina, spero, Adele, mi sorride. Non so. Ha occhi perplessi. L’ho centrata troppo vicino al seno, dove lei, imprecisa ha avuto modo di attaccare il cartellino con scritto Adele, con sotto Alitalia, poi bianco bianco, con sotto il capezzolo. Nuovo. E quel ricciolo chiaro ma schiarito ti sta luccicando sulla spalla volato via da dietro l’orecchia. Cosa vuoi che faccia? - Buongiorno signore, e arrivederci - covava con gli occhi riflessi metallici. Tappo quel buco di luce che sale dalle scalette, sono l’ospite d’onore, devo scendere misurato e salutare la folla che mi saluta. Sono una chiave passpartout infilata nella serratura di porte interne. Divido stanze della stessa casa. Mi hanno sfilato da sotto un centrino ricamato. Uno qualunque. Dietro di me le mani appese ai fianchi fanno bollicine mute, in attesa e ovali. Schizzerei fuori come champagne a capodanno per la spinta di un dito. Icarico oltre il lampadario posticcio del cielo. QUARTO TASSELLO Fa un caldo fresco, che brucia. Non è il mio caldo. Scendo le scalette misurando il terremoto intorno ai miei piedi mentre aspetto che quelli davanti a me colino in basso. Ho con me solo un marsupio alla spalla. Mi sento diverso. Vuoto. Senza bagagli. Senza valigia. Il mio viaggio racchiuso in marsupio. Mischino... QUINTO SCALINO Hai mai visto “il pianista sull’oceano”? Immaginami. PRIMO RICORDO C’erano tappi nelle orecchie gialli e walkman sotto i vestiti accesi, un uomo chiudeva il suo portatile verde scuro. E io mi arrampicavo. Lei era grande paura zero e siamo scesi come da un altissimo grattacielo barcollante mezz’ora due passi per ogni scalino e mi sono messo a parlare con una signora più alta di me che stavo sopra e ho cercato di salire più su se mia nonna non mi stritolava con il braccio ero sicuro avevo respirato Le ho detto Ciao come stai? con un filo di voce piccolo piccolo e lei mi ha sorriso molto ha preso un fazzolettino dalla borsetta alla menta e mi ha asciugato

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un po’ la fronte perché ero sudato per un attimo ci siamo fermati ma non so perchè QUINTO TASSELLO Mi arrotolai nella canottiera veloce e l’ho vista persi una ciabattina in braccio talmente piccola e rossa Non si era accorto nessuno tanti piedi tutti i piedi e le scarpe e le calze del mondo la coprivano per non dare fastidio la mia ciabattina andò a lato di quel andito di persone che era terrorizzata di non trovare posto in pullman e non gliene fregava niente mezza rovesciata su un fianco dormiva pestata forse era stanca del mio piede che non sudava mai Si vergognava di me con un calcio le restituì anche sua sorellina leggeri godevo godevo a muovere le dita e non sentire nulla sotto solo aria calda nonna mi guardava come a dire e adesso? SESTO TASSELLO Un suono di bicicletta rovesciata per poi riprendere il loro verso giusto appena atterrate. Prendo in mano il marsupio estraendo il cellulare tra le sgomitate delle valigie. Rovesciavo la mia BMX e catturavo la ruota anteriore, navigando, chissà dove, nel muro di casa. Che era giallino, e mica cambiava per me. Mio padre l’aveva imbiancato non sarebbe cambiato mai. Due essemeessse: sei arrivato? Sei arrivato? Si sono arrivato. Entro in navetta. SECONDO RICORDO L’aeroporto Le porte automatiche Scorrevoli Pressurizzate L’aria condizionata le teste tirate in su e le teste curve in giù teste a destra teste a sinistra ma mai centrali. Le facce dei piccoli appese alle mani dei grandi nascoste le facce dalle voci nei microfoni intrappolate in casse acustiche invisibili sembrano quando metto la testa sotto un cuscino da questa parte del vetro la prima boccata di freddo la sento nei piedi stringo a mia nonna forte e cerco un po’ di caldo sotto il suo vestito largo arancione nuraghe e quando mai? coi fiori viola livido come tutte le nonne sarde grasse e potenti amiche sue SETTIMO TASSELLO Ora davanti a questa porta automatica scorrevole e pres- surizzata si schiacciano le ombre colorate della gente: fantasmi nel sole che non fa ombra nei corpi. Mi volto per cercare una

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corrispondenza reale tra tutto questo camminare. Il corpo di mia nonna largo più di un tramonto. Non corrispondeniente. OTTAVO TASSELLO Il pavimento è identico a 15 anni fa, piastrelle bianche, di ospedale ma senza disinfettante. Tutte le mie parti bagnate asciugano gonfie d’aria. I capelli si staccano dalla fronte. Devo starnutire. NONO TASSELLO Muovo lo sguardo in punta di piedi. Essemeesse :Io sono al bar. Appena entrato cerco di evitare qualunque cosa sia bar. Una china su un caffè, un bambino, un tramezzino in mano, un ragazzo, fruga nel portafoglio, un ragazzo, passa senza fare niente, un uomo, calvo, a modo, si stringe la cravatta e guarda l’orologio, una madre, col biberon in mano, uno, dice torno subito e poi non torna, una ragazza, ha fretta e mangia una brioche , una bambina, si sventola le ginocchia, una donna, una bottiglietta in mano è rotolata ai piedi di un uomo seduto da solo e le sorride porgendole la plastica con dentro l’acqua. Uno stewart di terra, non ci passa tra un passeggino e un uomo in piedi. Un’altra donna, beve il caffè, è poggiata coi gomiti nel legno di un chiosco algida, ma non è algida, uomini e donne di spalle, bambini sotto le gambe e dentro le gonne si salutano e scappano. Dietro la testa di cinque ragazzi che si rincorrono c’è la scritta bar. L’ho vista appena sono caduti imprigionando una spada magica che suona e si illumina schiacciando un bottone. Il suono di un temporale rosso o di un rutto radiofonico. Dove sei? TERZO RICORDO Mi prese la mano ed era come una scossa scalzo mano nella mano gli occhi sbarrati e molla ho tolto la mano a forza un nuovo gioco le impronte sulle mattonelle facevo aderire il pollicino staccavo e si sentiva un rumore tipo nastro mi innervosivo in inverno nel giardino di casa era più bello dopo la pioggia perché se ci andavo prima mia mamma mi prendeva in corsa a scollettadura e cadevo a culo in terra Una volta sono volato ho sentito un brivido e ci sono caduto di faccia ho perso un dente e morsicato la lingua ma mica ho pianto mia mamma ha raccolto il dente e ha pulito con un straccio il sangue e mi ha sculacciato forte tipo altalena. Dallo spavento

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Per fare le orme nel fango mi bilanciavo bene su una gamba e saltellavo senza saltare toglievo il piede il fosso si riempiva subito d’acqua e mi piaceva il momento dove la bocca di fango respirava quando cedeva quando succhiava quante cose ci siamo detti Nelle mattonelle non faceva Mi mancava sempre un pezzo mi rimaneva un buchino sotto pieno d’aria fredda staccavo ed eccola là quella mezza luna asciutta che diventava subito piena. Inesistente. Non ero mai passato di lì. Mi ero stancato di fare questo gioco lo sguardo in spalla le mani poggiate davanti a me in posizione! Via! In corsa DECIMO TASSELLO In un momento. Quarantacinque minuti prima della partenza. Cosa prendi? - Un caffè. - Io un tramezzino – mia madre dalla folla era una voce che solo noi potevamo sentire. - Un bicchiere d’acqua. Mia madre buttò il tramezzino e cellophane nel cestino. - E’ troppo sciutto. Tolse dalla tasca qualcosa ma non mi faceva vedere. Verso l’imbarco, l’uscita otto mi aspettava. Gate eight, in un ultima ruggente distorsione amplificata. I saluti. Rigidi. - Tieni. Sta partendo. QUARTO RICORDO Ho sentito un onda calda e appiccicosa. Il primo assag- gio di caffè è una goccia che cade dai capelli a caschetto che mi sporca le labbra. UNDICESIMO TASSELLO Guardo il carabiniere. Passo sotto i raggi. Quello che stringo in mano non è ferro. No dopo. No adesso. Adesso. Si. E’ un dente. Aspetto di vedere il marsupio sputato fuo- ri. Devo avere una faccia tonta perché il carabiniere mi segue stando immobile fino a che un pilastro di moquette blu mi cancella. Gate eight. Il mio dentino. Avevo sei anni. Sono arrivato.

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corrispondenza reale tra tutto questo camminare. Il corpo di mia nonna largo più di un tramonto. Non corrispondeniente. OTTAVO TASSELLO Il pavimento è identico a 15 anni fa, piastrelle bianche, di ospedale ma senza disinfettante. Tutte le mie parti bagnate asciugano gonfie d’aria. I capelli si staccano dalla fronte. Devo starnutire. NONO TASSELLO Muovo lo sguardo in punta di piedi. Essemeesse :Io sono al bar. Appena entrato cerco di evitare qualunque cosa sia bar. Una china su un caffè, un bambino, un tramezzino in mano, un ragazzo, fruga nel portafoglio, un ragazzo, passa senza fare niente, un uomo, calvo, a modo, si stringe la cravatta e guarda l’orologio, una madre, col biberon in mano, uno, dice torno subito e poi non torna, una ragazza, ha fretta e mangia una brioche , una bambina, si sventola le ginocchia, una donna, una bottiglietta in mano è rotolata ai piedi di un uomo seduto da solo e le sorride porgendole la plastica con dentro l’acqua. Uno stewart di terra, non ci passa tra un passeggino e un uomo in piedi. Un’altra donna, beve il caffè, è poggiata coi gomiti nel legno di un chiosco algida, ma non è algida, uomini e donne di spalle, bambini sotto le gambe e dentro le gonne si salutano e scappano. Dietro la testa di cinque ragazzi che si rincorrono c’è la scritta bar. L’ho vista appena sono caduti imprigionando una spada magica che suona e si illumina schiacciando un bottone. Il suono di un temporale rosso o di un rutto radiofonico. Dove sei? TERZO RICORDO Mi prese la mano ed era come una scossa scalzo mano nella mano gli occhi sbarrati e molla ho tolto la mano a forza un nuovo gioco le impronte sulle mattonelle facevo aderire il pollicino staccavo e si sentiva un rumore tipo nastro mi innervosivo in inverno nel giardino di casa era più bello dopo la pioggia perché se ci andavo prima mia mamma mi prendeva in corsa a scollettadura e cadevo a culo in terra Una volta sono volato ho sentito un brivido e ci sono caduto di faccia ho perso un dente e morsicato la lingua ma mica ho pianto mia mamma ha raccolto il dente e ha pulito con un straccio il sangue e mi ha sculacciato forte tipo altalena. Dallo spavento

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Per fare le orme nel fango mi bilanciavo bene su una gamba e saltellavo senza saltare toglievo il piede il fosso si riempiva subito d’acqua e mi piaceva il momento dove la bocca di fango respirava quando cedeva quando succhiava quante cose ci siamo detti Nelle mattonelle non faceva Mi mancava sempre un pezzo mi rimaneva un buchino sotto pieno d’aria fredda staccavo ed eccola là quella mezza luna asciutta che diventava subito piena. Inesistente. Non ero mai passato di lì. Mi ero stancato di fare questo gioco lo sguardo in spalla le mani poggiate davanti a me in posizione! Via! In corsa DECIMO TASSELLO In un momento. Quarantacinque minuti prima della partenza. Cosa prendi? - Un caffè. - Io un tramezzino – mia madre dalla folla era una voce che solo noi potevamo sentire. - Un bicchiere d’acqua. Mia madre buttò il tramezzino e cellophane nel cestino. - E’ troppo sciutto. Tolse dalla tasca qualcosa ma non mi faceva vedere. Verso l’imbarco, l’uscita otto mi aspettava. Gate eight, in un ultima ruggente distorsione amplificata. I saluti. Rigidi. - Tieni. Sta partendo. QUARTO RICORDO Ho sentito un onda calda e appiccicosa. Il primo assag- gio di caffè è una goccia che cade dai capelli a caschetto che mi sporca le labbra. UNDICESIMO TASSELLO Guardo il carabiniere. Passo sotto i raggi. Quello che stringo in mano non è ferro. No dopo. No adesso. Adesso. Si. E’ un dente. Aspetto di vedere il marsupio sputato fuo- ri. Devo avere una faccia tonta perché il carabiniere mi segue stando immobile fino a che un pilastro di moquette blu mi cancella. Gate eight. Il mio dentino. Avevo sei anni. Sono arrivato.

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EXTREMA Ti vedo. Sei sola che aspetti, che ti guardi intorno pronta a catturare qualunque cosa ti sia rivolta navigando amniotica nel feto di questo brusio invisibile emesso dal continuo camminare delle teste che non conosci. Che non ti fanno guardare oltre. Come hai fatto a fidarti? Vorrei essere sul suolo lunare per avvicinarmi anti-pindarico anch’io invisibile. Sono un fantasma senz’ombra compresso dentro un vetro e tu stai guardando oltre, nel vuoto sperando che si riempia della tua fantasia confusa eppure così reale. Tu di me non hai niente. Non ti importa nulla della fisicità. Me lo hai scritto in una e-mail ma so che mentivi. Sei bellissima, assolata, un po’ triste perché sei impaziente pronta a schizzare come champagne a capodanno per la spinta di un dito. Aspetta. Guardami, sono un brusio che diventa voce. Visibile. Ho fatto un brutto sogno ma che importa. Alita rossa nel nero. E’ rotolata ,volata dal fianco sinistro del buio. Strappata. Una cicca finisce nel gorgo di un tramonto largo ma plastico ai bordi del mosaico in equilibrio. Non è tempo di cadere. Non è tempo di denti da latte. Mi abbracci e sorridi su un piede senza saltare. Non mi chiedo se sei passata di lì, ho ancora le mani sporche di BMX, ho solo voglia di baciarti rovesciandoti e navigando dentro ai tuoi capelli giallini. In fotografia sono più scuri. Un difetto di luce.

-----------AYL

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COFFEE OVERDOSE

Un taglio all’altezza della tempia. Parallela, un’ipotetica precedente sprangata. All’altezza della tempia. Ha una noce di cocco spaccata

posata sul collo. Clara. L’esanime su tappeti d’oriente non sorride più. Non mi rivolge più la parola. A consolarmi, un caffé.

3 ore dopo l’alba

M’accoglie uno sfavillio d’avorio tra labbra di porpora, Clara. Di poco vestita. Un poco gonfio d’aria in flussi. Di vento torrenti, correnti dal suo aprirmi ad una qualche finestra, la fanno ingiustamente grassa.

Sorride, Clara, d’amicizia, d’amore fraterno, sulle pupille non v’è traccia d’orgasmi comuni, né d’ansimanti sedute motorie. No. Clara

non mi ama più. Clara non sta più con me. Clara. Non più. Con calma m’introduco..

L’alba

Sveglio non ancora rischio ustioni di massimo grado sfidando manici logori. La caffettiera gorgoglia, esige la massima attenzione, l’antica

mistura alchemica vede la luce. Strong, la dose, la voglio strong. Una tazza da the colma sino quasi a

traboccare, andrà benissimo. Una tazza da the colma sino quasi a traboccare, d’orzobimbo per

adulti, d’anfetamina socialmente accettata e abusata. Mmmmh!! Ultra strong, direi. Cola su screpole pareti d’esofago tabagico, umidifica

d’aroma, crepe da finest tobacco from virginia, e mi spunta un fiore in bocca e nella testa.

Ora, sveglio, pronto ad uscire, blasfemo, contravvengo ad una delle fondamentali leggi della convivenza. Non lavo i denti. Mi rifiuto. Ho fiori d’aroma in bocca, pronti a sposare fumo da tasca. Durbans o Colgate che sia, rovinerebbe, i lucidi internirovere nella mia bocca.

E per la sociomondanità messa a repentaglio dalla mia scarsa igiene intima orale: ……,ah ah

ah. Ah!

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EXTREMA Ti vedo. Sei sola che aspetti, che ti guardi intorno pronta a catturare qualunque cosa ti sia rivolta navigando amniotica nel feto di questo brusio invisibile emesso dal continuo camminare delle teste che non conosci. Che non ti fanno guardare oltre. Come hai fatto a fidarti? Vorrei essere sul suolo lunare per avvicinarmi anti-pindarico anch’io invisibile. Sono un fantasma senz’ombra compresso dentro un vetro e tu stai guardando oltre, nel vuoto sperando che si riempia della tua fantasia confusa eppure così reale. Tu di me non hai niente. Non ti importa nulla della fisicità. Me lo hai scritto in una e-mail ma so che mentivi. Sei bellissima, assolata, un po’ triste perché sei impaziente pronta a schizzare come champagne a capodanno per la spinta di un dito. Aspetta. Guardami, sono un brusio che diventa voce. Visibile. Ho fatto un brutto sogno ma che importa. Alita rossa nel nero. E’ rotolata ,volata dal fianco sinistro del buio. Strappata. Una cicca finisce nel gorgo di un tramonto largo ma plastico ai bordi del mosaico in equilibrio. Non è tempo di cadere. Non è tempo di denti da latte. Mi abbracci e sorridi su un piede senza saltare. Non mi chiedo se sei passata di lì, ho ancora le mani sporche di BMX, ho solo voglia di baciarti rovesciandoti e navigando dentro ai tuoi capelli giallini. In fotografia sono più scuri. Un difetto di luce.

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COFFEE OVERDOSE

Un taglio all’altezza della tempia. Parallela, un’ipotetica precedente sprangata. All’altezza della tempia. Ha una noce di cocco spaccata

posata sul collo. Clara. L’esanime su tappeti d’oriente non sorride più. Non mi rivolge più la parola. A consolarmi, un caffé.

3 ore dopo l’alba

M’accoglie uno sfavillio d’avorio tra labbra di porpora, Clara. Di poco vestita. Un poco gonfio d’aria in flussi. Di vento torrenti, correnti dal suo aprirmi ad una qualche finestra, la fanno ingiustamente grassa.

Sorride, Clara, d’amicizia, d’amore fraterno, sulle pupille non v’è traccia d’orgasmi comuni, né d’ansimanti sedute motorie. No. Clara

non mi ama più. Clara non sta più con me. Clara. Non più. Con calma m’introduco..

L’alba

Sveglio non ancora rischio ustioni di massimo grado sfidando manici logori. La caffettiera gorgoglia, esige la massima attenzione, l’antica

mistura alchemica vede la luce. Strong, la dose, la voglio strong. Una tazza da the colma sino quasi a

traboccare, andrà benissimo. Una tazza da the colma sino quasi a traboccare, d’orzobimbo per

adulti, d’anfetamina socialmente accettata e abusata. Mmmmh!! Ultra strong, direi. Cola su screpole pareti d’esofago tabagico, umidifica

d’aroma, crepe da finest tobacco from virginia, e mi spunta un fiore in bocca e nella testa.

Ora, sveglio, pronto ad uscire, blasfemo, contravvengo ad una delle fondamentali leggi della convivenza. Non lavo i denti. Mi rifiuto. Ho fiori d’aroma in bocca, pronti a sposare fumo da tasca. Durbans o Colgate che sia, rovinerebbe, i lucidi internirovere nella mia bocca.

E per la sociomondanità messa a repentaglio dalla mia scarsa igiene intima orale: ……,ah ah

ah. Ah!

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Clara

“Sono felice che tu sia qui”, ancora sfavilla, quasi m’abbaglia, non solo coi denti, brilla tutta, irradia patinate glamourradiazioni mai viste

prima, in leggere sottovesti d’un viola mai sfumato prima, in tutta la storia delle sfumature del viola. Vaporizza soluzioni non inquinanti deodoranti l’ambiente. E’ tutta un turbine di vedo e non vedo sotto

celophan fresco gelsomino. ”Sono felice che tu sia qui” ripete, con voce impostata da starletta anni ottanta, quasi Lory del Santo davanti a me, quasi Gloria Guida materializzata davanti a me proprio ora che gli anni delle onanomaratone sono finiti. ”Come stai ? bene…mi pare

di capire .Ti vedo bene, in forma, rasato, sbarbato, profumato, mi sembri anche un po’ ingrassato, stai meglio lo sai? Te l’ho sempre

detto che eri troppo magro, ti si vedevano le costole, ricordi? te l’ ho sempre detto che eri troppo magro, e poi bello questo maglione, cos’è? armanimissonid&g? O forse pradacavalliversace? O forse blablablabla?

Mah! Comunque bello, ti vedo proprio in forma sai? Ti andrebbe un caffè ?” Faccio un cenno con la testa. Non ho fiato per parlare, il mio

l’ha preso Clara. L’ ha rubato. Per tante cazzate di fila, una dopo l’altra e a quel ritmo poi, un fiato medio fornito da polmoni omologati

umanoidi, non basta. La stanza è sottovuoto. Ora, sospetto, anche il cervello di Clara.

Lo sfiatare d’ una caffettiera schizza ossigeno dentro il vuoto.

12 minuti dopo l’alba

In strada poca gente gode d’aria gassosa. Ne assapora il frizzare gelido su pelli ancora calde di coltri. Il marrone marcio che ho in bocca mi scalda ancora un po’, ci butto fumo sopra, lo alimento d’aridumido fumo, gravido d’oltre novecento sostanze estremamente tossiche.

Alimento lo splendido schifo orale molto poco socio mondano, tirando di prepotenza, soffiando al contrario. Alimento banchi mattutini di nebbia con fumo oramai passivo, privato di tutto ciò che mortale,

uccide. Perso in riflessioni ancora troppo poco consce, entro, automa, nel bar

tabacchino ferroviario. Un caffè. Sono ancora troppo poco reattivo. Grazie. Fuma, anche il caffè. D’un fiato. La tazzina è vuota. Accanto a

me due tedeschi, sembrano, farfugliano italiano sgangherato, rattoppato da mmmmh… e qualche ahhh….Ordinano, ricevono ma,

insoddisfatti, rifiutano. Uno dei due caffè appena nato non riceve l’amore sperato. ”No”, dicono “no, uno coffee! Just one!” Ignoro il magnifico pasticcio linguistico e rapido mi sbarazzo del feto nero

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fumante. Lo butto dentro tutto d’un fiato, bollente di fiele senza zucchero.

Proprio come non piace a me… Poco male. Troppo male. Troppo caffè non ha mai ammazzato nessuno. O forse si. Mah….

Esco. Ho un impercettibile prurito alla base del collo. Non ho le unghie.

Clara (reprise)

Il barometro si rilassa. Anche io riprendo a respirare. Il fischio della

caffettiera come il suono della campana, qualche anno fa, a decapitare sesti canti paradisiaci eminentemente politici o derivate prime seconde

terze quarte in vortici. Cicloni. Con la mia sedia sulla pupilla. Caffé? Si, grazie. Ne ho proprio bisogno.

Di nuovo d’un fiato. “Ma quindi…” dio no! “ mi dicevi…” non ho ancora aperto bocca, “del

tuo maglione. Bello! Cos’è? Armanigucciprada? No, aspetta, ho capito! E’ della guymattiolosummerspringcollectionovantasettenovantotto,

vero? C’ ho preso, vero? Eh…. Io me ne intendo. Frequento un corso d’alta moda, il lunedì e il venerdì, dalle sei alle otto della sera. Vedessi,

è interessantissimo, davvero. Magari possiamo andarci insieme qualche volta, se ti va? Eh? Magari si va. Eh? Che mi dici? Eh? Veramente, a me piace, poi, inoltre seguo un corso di medicina

alternativa” Di nuovo, Clara, produce vuoto, consuma l’aria, non ne lascia neanche un po’, non ne lascia. Per me. E questo non mi piace.

Vorrei. Nicotina. In vena. Chiedo. Posso fare dell’altro caffé. Neppure risponde la nuova diva

cittadina. Troppo presa dai suoi stimolantissimi impegni postufficio, sciorina palinsesti settimanali con soddisfatta arroganza di donna in

carriera poco vestita di viola. Tre gocce di chanel n°5 prima d’andare a dormire. Probabilmente.

La lascio li. A gambe incrociate in pose orientali meditative su soffici manufatti delle pose concittadine. Vicino al lavello di calcare, decapito

il mokavulcano, ne lavo, automa, valvole, guarnizione in gomma semifusa, filtri antigrumo. Ho la cura e l’attenzione, nel farlo. Le stesse

del mio don, la domenica, in chiesa, prima dell’attesa passerella eucaristica. Poi carico, sigillo e do fuoco a invisibili micce di gas.

Tra le labbra una bic. Blu cianotica, comincia a cedere. Io. Non sono da meno.

Clara ancora blatera. Da sola, forse. Parlasse con me, si curerebbe d’avere la mia attenzione. E invece no. Ancora blatera, e ancora e

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Clara

“Sono felice che tu sia qui”, ancora sfavilla, quasi m’abbaglia, non solo coi denti, brilla tutta, irradia patinate glamourradiazioni mai viste

prima, in leggere sottovesti d’un viola mai sfumato prima, in tutta la storia delle sfumature del viola. Vaporizza soluzioni non inquinanti deodoranti l’ambiente. E’ tutta un turbine di vedo e non vedo sotto

celophan fresco gelsomino. ”Sono felice che tu sia qui” ripete, con voce impostata da starletta anni ottanta, quasi Lory del Santo davanti a me, quasi Gloria Guida materializzata davanti a me proprio ora che gli anni delle onanomaratone sono finiti. ”Come stai ? bene…mi pare

di capire .Ti vedo bene, in forma, rasato, sbarbato, profumato, mi sembri anche un po’ ingrassato, stai meglio lo sai? Te l’ho sempre

detto che eri troppo magro, ti si vedevano le costole, ricordi? te l’ ho sempre detto che eri troppo magro, e poi bello questo maglione, cos’è? armanimissonid&g? O forse pradacavalliversace? O forse blablablabla?

Mah! Comunque bello, ti vedo proprio in forma sai? Ti andrebbe un caffè ?” Faccio un cenno con la testa. Non ho fiato per parlare, il mio

l’ha preso Clara. L’ ha rubato. Per tante cazzate di fila, una dopo l’altra e a quel ritmo poi, un fiato medio fornito da polmoni omologati

umanoidi, non basta. La stanza è sottovuoto. Ora, sospetto, anche il cervello di Clara.

Lo sfiatare d’ una caffettiera schizza ossigeno dentro il vuoto.

12 minuti dopo l’alba

In strada poca gente gode d’aria gassosa. Ne assapora il frizzare gelido su pelli ancora calde di coltri. Il marrone marcio che ho in bocca mi scalda ancora un po’, ci butto fumo sopra, lo alimento d’aridumido fumo, gravido d’oltre novecento sostanze estremamente tossiche.

Alimento lo splendido schifo orale molto poco socio mondano, tirando di prepotenza, soffiando al contrario. Alimento banchi mattutini di nebbia con fumo oramai passivo, privato di tutto ciò che mortale,

uccide. Perso in riflessioni ancora troppo poco consce, entro, automa, nel bar

tabacchino ferroviario. Un caffè. Sono ancora troppo poco reattivo. Grazie. Fuma, anche il caffè. D’un fiato. La tazzina è vuota. Accanto a

me due tedeschi, sembrano, farfugliano italiano sgangherato, rattoppato da mmmmh… e qualche ahhh….Ordinano, ricevono ma,

insoddisfatti, rifiutano. Uno dei due caffè appena nato non riceve l’amore sperato. ”No”, dicono “no, uno coffee! Just one!” Ignoro il magnifico pasticcio linguistico e rapido mi sbarazzo del feto nero

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fumante. Lo butto dentro tutto d’un fiato, bollente di fiele senza zucchero.

Proprio come non piace a me… Poco male. Troppo male. Troppo caffè non ha mai ammazzato nessuno. O forse si. Mah….

Esco. Ho un impercettibile prurito alla base del collo. Non ho le unghie.

Clara (reprise)

Il barometro si rilassa. Anche io riprendo a respirare. Il fischio della

caffettiera come il suono della campana, qualche anno fa, a decapitare sesti canti paradisiaci eminentemente politici o derivate prime seconde

terze quarte in vortici. Cicloni. Con la mia sedia sulla pupilla. Caffé? Si, grazie. Ne ho proprio bisogno.

Di nuovo d’un fiato. “Ma quindi…” dio no! “ mi dicevi…” non ho ancora aperto bocca, “del

tuo maglione. Bello! Cos’è? Armanigucciprada? No, aspetta, ho capito! E’ della guymattiolosummerspringcollectionovantasettenovantotto,

vero? C’ ho preso, vero? Eh…. Io me ne intendo. Frequento un corso d’alta moda, il lunedì e il venerdì, dalle sei alle otto della sera. Vedessi,

è interessantissimo, davvero. Magari possiamo andarci insieme qualche volta, se ti va? Eh? Magari si va. Eh? Che mi dici? Eh? Veramente, a me piace, poi, inoltre seguo un corso di medicina

alternativa” Di nuovo, Clara, produce vuoto, consuma l’aria, non ne lascia neanche un po’, non ne lascia. Per me. E questo non mi piace.

Vorrei. Nicotina. In vena. Chiedo. Posso fare dell’altro caffé. Neppure risponde la nuova diva

cittadina. Troppo presa dai suoi stimolantissimi impegni postufficio, sciorina palinsesti settimanali con soddisfatta arroganza di donna in

carriera poco vestita di viola. Tre gocce di chanel n°5 prima d’andare a dormire. Probabilmente.

La lascio li. A gambe incrociate in pose orientali meditative su soffici manufatti delle pose concittadine. Vicino al lavello di calcare, decapito

il mokavulcano, ne lavo, automa, valvole, guarnizione in gomma semifusa, filtri antigrumo. Ho la cura e l’attenzione, nel farlo. Le stesse

del mio don, la domenica, in chiesa, prima dell’attesa passerella eucaristica. Poi carico, sigillo e do fuoco a invisibili micce di gas.

Tra le labbra una bic. Blu cianotica, comincia a cedere. Io. Non sono da meno.

Clara ancora blatera. Da sola, forse. Parlasse con me, si curerebbe d’avere la mia attenzione. E invece no. Ancora blatera, e ancora e

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ancora e ancora…. La lascio. A ritroso, sulla mia personalissima delorian, volo, mi calo in pozzi di memoria alla ricerca di Clara, quella d’un tempo. La Clara del tempo in cui era mia. La Clara, del tempo in cui non mi dava il vomito.

Non cerco lei. In effetti. Ma solo un perché.

Un’ora e quaranta dopo l’alba

Sul treno, ho palpebre bloccate da spillicaffeina. Ho gli occhi che bruciano. Sento polvere su lacrime assenti, asciugate da un sole

mimetico tra nuvole d’un grigio chiaro. Accanto, un’immenso uomo manifesta, senza parlare, svariate disfunzioni, gastrointestinali

involontarie, sudore acido (solforico) ed eccessivo. Manifesta eccome. Soffro di tutti i tanfi del suo

umano produrre e il bruciare degli occhi non da tregua. Il carrellino spinto dall’ hostess biondogrinzita, suggerisce un diversivo allo zyklon b da interregionale delle 8:00 in partenza da A diretto verso

B. Caffé? Sì grazie. Ne ho proprio bisogno. Ristagna ancora, il marcio marrone tra le fauci. L’ennesimo caffé.

Quindi l’ennesima sigaretta. In bagno arde tabacco essiccato e potenziato d’aromi sintetici. Arde sulle labbra d‘un innamorato

cronico. Senza di te sto male. Senza di te divento furioso. Mai voglio stare senza di te!

My finest tabacco from virginia!

2 ore 59 minuti dopo l’alba

Finito. Non può essere. Ho comprato due pacchi giusto ieri. Drum bianco e cartine per cortesia. Grazie! Non può essere già finito. Ora

solo cartine. Cristo! Non può essere. Non ora! Nooooo! S’apre la porta.

Clara, davanti a me.

Clara. Un anno prima dell’alba

---------------un aperitivo--------------che bello----------sei magnifico----------ma certo che ti amo, che domande che mi fai-------------sbrigati o faremo tardi all’inaugurazione del -----------è solo un amico ------te lo assicuro--------mi sono trattenuta-------te lo assicuro--------cerca di essere un po’ più sicuro di te -----te lo assicuro-----piantala stiamo facendo una pessima figura-----------davanti a loro-------amici che

PAGINA 020

contano--------te lo assicuro-----te lo assicuro--------non ti amo più----te lo assicuro.

Le pareti del memopozzo. Collages da non incorniciare. Collages da

umiliare di trielina, tanto è lo schifo che sono. Non ho gioie andate da abbinarle. Se mai sono state, ora non più. Ho pellicole male

impressionate, mal riuscite. Reperti d’un presente scaduto, perché passato. Tristi i ricordi che come oggetti, rimpiccioliscono

allontanandosi. Clara. Non sembra riguardarle tutto ciò. Sembra nulla riguardarle. Quasi non avesse dato abbastanza per perdere troppo. Come non si

fosse esposta, non avesse scoperto la guardia d’un cuore che ora sembra non pulsare.

Clara. Non mi ama più Clara, ora comprendo, non m’ ha mai amato.

Solo un passatempo. Solo un riempitempo.

Solo tutto ciò che non era per me. Ora è semplice per lei guardarmi attraverso. Parlarmi senza sentirmi.

O pensarmi. Vomitare treni vuoti di parole per colmare silenzi paonazzi d’imbarazzo.

Solo passatempi. Solo riempitempo.

Diversivi per parole da non dire o peggio, spontanea assenza di un da dire. Ad un presunto, un tempo, amato.

Clara. Non mi ama più. Clara, ora so, non mi ha mai amato.

Clara. Mi deve un inganno.

Quattro ore dopo l’alba

Torno qui. A casa sua. Il bla bla bla non s’è ancora interrotto. E io.

Comincio a stancarmi. “Ma sai che stai proprio bene”… di nuovo… “sei proprio bello cosi”… basta… “un po’ più in carne”… ti prego basta

così… “rasato”… ancora maschera silenzi… “profumato”… Clara…“si, si, sei proprio in forma”…paonazza d’imbarazzo…“in forma smagliante

direi”… io non penso di poter sopportare… “e quel maglione, poi, veramente bello. Cos’è???”…ancora a lungo…. “Armani? Prada? No

aspetta ……”

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ancora e ancora…. La lascio. A ritroso, sulla mia personalissima delorian, volo, mi calo in pozzi di memoria alla ricerca di Clara, quella d’un tempo. La Clara del tempo in cui era mia. La Clara, del tempo in cui non mi dava il vomito.

Non cerco lei. In effetti. Ma solo un perché.

Un’ora e quaranta dopo l’alba

Sul treno, ho palpebre bloccate da spillicaffeina. Ho gli occhi che bruciano. Sento polvere su lacrime assenti, asciugate da un sole

mimetico tra nuvole d’un grigio chiaro. Accanto, un’immenso uomo manifesta, senza parlare, svariate disfunzioni, gastrointestinali

involontarie, sudore acido (solforico) ed eccessivo. Manifesta eccome. Soffro di tutti i tanfi del suo

umano produrre e il bruciare degli occhi non da tregua. Il carrellino spinto dall’ hostess biondogrinzita, suggerisce un diversivo allo zyklon b da interregionale delle 8:00 in partenza da A diretto verso

B. Caffé? Sì grazie. Ne ho proprio bisogno. Ristagna ancora, il marcio marrone tra le fauci. L’ennesimo caffé.

Quindi l’ennesima sigaretta. In bagno arde tabacco essiccato e potenziato d’aromi sintetici. Arde sulle labbra d‘un innamorato

cronico. Senza di te sto male. Senza di te divento furioso. Mai voglio stare senza di te!

My finest tabacco from virginia!

2 ore 59 minuti dopo l’alba

Finito. Non può essere. Ho comprato due pacchi giusto ieri. Drum bianco e cartine per cortesia. Grazie! Non può essere già finito. Ora

solo cartine. Cristo! Non può essere. Non ora! Nooooo! S’apre la porta.

Clara, davanti a me.

Clara. Un anno prima dell’alba

---------------un aperitivo--------------che bello----------sei magnifico----------ma certo che ti amo, che domande che mi fai-------------sbrigati o faremo tardi all’inaugurazione del -----------è solo un amico ------te lo assicuro--------mi sono trattenuta-------te lo assicuro--------cerca di essere un po’ più sicuro di te -----te lo assicuro-----piantala stiamo facendo una pessima figura-----------davanti a loro-------amici che

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contano--------te lo assicuro-----te lo assicuro--------non ti amo più----te lo assicuro.

Le pareti del memopozzo. Collages da non incorniciare. Collages da

umiliare di trielina, tanto è lo schifo che sono. Non ho gioie andate da abbinarle. Se mai sono state, ora non più. Ho pellicole male

impressionate, mal riuscite. Reperti d’un presente scaduto, perché passato. Tristi i ricordi che come oggetti, rimpiccioliscono

allontanandosi. Clara. Non sembra riguardarle tutto ciò. Sembra nulla riguardarle. Quasi non avesse dato abbastanza per perdere troppo. Come non si

fosse esposta, non avesse scoperto la guardia d’un cuore che ora sembra non pulsare.

Clara. Non mi ama più Clara, ora comprendo, non m’ ha mai amato.

Solo un passatempo. Solo un riempitempo.

Solo tutto ciò che non era per me. Ora è semplice per lei guardarmi attraverso. Parlarmi senza sentirmi.

O pensarmi. Vomitare treni vuoti di parole per colmare silenzi paonazzi d’imbarazzo.

Solo passatempi. Solo riempitempo.

Diversivi per parole da non dire o peggio, spontanea assenza di un da dire. Ad un presunto, un tempo, amato.

Clara. Non mi ama più. Clara, ora so, non mi ha mai amato.

Clara. Mi deve un inganno.

Quattro ore dopo l’alba

Torno qui. A casa sua. Il bla bla bla non s’è ancora interrotto. E io.

Comincio a stancarmi. “Ma sai che stai proprio bene”… di nuovo… “sei proprio bello cosi”… basta… “un po’ più in carne”… ti prego basta

così… “rasato”… ancora maschera silenzi… “profumato”… Clara…“si, si, sei proprio in forma”…paonazza d’imbarazzo…“in forma smagliante

direi”… io non penso di poter sopportare… “e quel maglione, poi, veramente bello. Cos’è???”…ancora a lungo…. “Armani? Prada? No

aspetta ……”

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PAGINA 021

Squarepusher alla consolle cardiovascolare, ho sistodiastole da centottanta bps, ho caffeina in robuste dosi a picchiare sulle tempie.

Ho self control all’ angolo d’un ring fatto di corde da viola in lucidorovere. Sono di nervi e pensieri mal digeriti, colpe non mie mai perdonate, il suo insulso blaterio di niente m’ha rovinato il marcio

orale mattutino. E non ho sigare a stemperarmi.

Basta così. “Ho capito. E’ di guymattiolo. Vero? C’ho preso vero?” C’ hai preso.

L’attizzatoio schianta sulla tempia perfettamente idratata di donna in

carriera. Ho quasi schifo per tanta banalità. Quasi fossimo ne “La signora in giallo” , quasi recitassi un copione.

Ora Un taglio all’altezza della tempia. Parallela, una sicura precedente sprangata. All’altezza della tempia. Ha una noce di cocco spaccata

posata sul collo. Clara. L’esanime su tappeti d’oriente non sorride più. Non mi rivolge più la parola. Ho il cuore spezzato, rattoppato e

vendicato, ho del caffè qui accanto a me e dalla tasca di lei, sporge un twenty pack di marlboro light appena inziato. La giro un po’ e lo libero

dal peso della stronza. MMMHHH!!! Sorseggio piano, arabica ultra robusta, m’imita la mia

coscienza. Accendo una personale dose del mio preferito finest tabacco from

virginia. E sto così, a gustarmi il fondersi d’aromi, lo sbocciare d’un fiore in

bocca e nella testa, e tanto per cambiare, nessun Durbans o Colgate rovinerà i miei nuovi internirovere.

Cyanide

PAGINA 022

De-liri©o Dai dai dai pazza folla attorno s’attorciglia in spire di squame di melassa putrescente e sembra oro agli occhi della disperazione. Punto. S’abbeverano del loro muoversi articolazioni senza sfarsi rompersi uno due tre quattro come passi sconnessi di danze senza gambe uno due tre quattro piroette a fette e strette pressano le loro tette di latta e sgorga la sborra che hanno ingoiato in notti evento in cui tutto è concesso. Sconnesso. Sto decisamente meglio ora; quando vedo che il corpo m’appartiene un po’ meno, sto meglio, il sangue che sgorga in gocce oceaniche da trasversali dai polsi, due gocce dal sinistro, tre dal destro, il corpo s’appartiene meno, come se si sgonfiasse, verdi lacrime, in contemporanea, dal culo accompagnano questo calvario d’atrio e poi emoglobina e chissà cos’altro pensano a pararsi il culo e si premurano d’occludere il flusso, nulla può fuoriuscire in eccesso, il corpo non può straripare attraverso il travaso capillare. Il cranio, spinge la pelle stirata in ipertensione, si straccia lenta lembo a lembo, cromosomi a festa inneggiano al rinsavimento della carne pronti ad iniettare l’eredità idiota d’un’altra vita in un neonatoaborto con gli occhi pieni di lacrime, cenere in bocca, sangue dal culo e subito a succhiare virulenze lattee da seni di matrone nuovamente gravide, pronte ancora a sfornare tempo da corrodere dai loro sfinteri allargati da verghe d’assuefazione al coito. Sborra da sempre. Flussi liquidi a perdersi, da sempre, per sempre, in secula seculorum, amen. È l’effetto prenatale quello che si ricerca, cacca nelle mutande vomitarsi addosso succhiare avidamente due grosse tette, di questo momento, si va costantemente in cerca, il momento in cui il risultato rancido della sborra si mantiene ancora ad un livello d’assoluta incoscienza, d’assoluta noncuranza. Pestilenze polmonari s’accartocciano in fondo ai bronchi, consunte spugnose membrane, glutine dalle mani, sudore dalla pelle e sottocutanee radici d’amianto a scalfire. Non c’è gran che d’altro o almeno a questo punto mi sembra sufficiente. Addio. Per ora.

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Squarepusher alla consolle cardiovascolare, ho sistodiastole da centottanta bps, ho caffeina in robuste dosi a picchiare sulle tempie.

Ho self control all’ angolo d’un ring fatto di corde da viola in lucidorovere. Sono di nervi e pensieri mal digeriti, colpe non mie mai perdonate, il suo insulso blaterio di niente m’ha rovinato il marcio

orale mattutino. E non ho sigare a stemperarmi.

Basta così. “Ho capito. E’ di guymattiolo. Vero? C’ho preso vero?” C’ hai preso.

L’attizzatoio schianta sulla tempia perfettamente idratata di donna in

carriera. Ho quasi schifo per tanta banalità. Quasi fossimo ne “La signora in giallo” , quasi recitassi un copione.

Ora Un taglio all’altezza della tempia. Parallela, una sicura precedente sprangata. All’altezza della tempia. Ha una noce di cocco spaccata

posata sul collo. Clara. L’esanime su tappeti d’oriente non sorride più. Non mi rivolge più la parola. Ho il cuore spezzato, rattoppato e

vendicato, ho del caffè qui accanto a me e dalla tasca di lei, sporge un twenty pack di marlboro light appena inziato. La giro un po’ e lo libero

dal peso della stronza. MMMHHH!!! Sorseggio piano, arabica ultra robusta, m’imita la mia

coscienza. Accendo una personale dose del mio preferito finest tabacco from

virginia. E sto così, a gustarmi il fondersi d’aromi, lo sbocciare d’un fiore in

bocca e nella testa, e tanto per cambiare, nessun Durbans o Colgate rovinerà i miei nuovi internirovere.

Cyanide

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De-liri©o Dai dai dai pazza folla attorno s’attorciglia in spire di squame di melassa putrescente e sembra oro agli occhi della disperazione. Punto. S’abbeverano del loro muoversi articolazioni senza sfarsi rompersi uno due tre quattro come passi sconnessi di danze senza gambe uno due tre quattro piroette a fette e strette pressano le loro tette di latta e sgorga la sborra che hanno ingoiato in notti evento in cui tutto è concesso. Sconnesso. Sto decisamente meglio ora; quando vedo che il corpo m’appartiene un po’ meno, sto meglio, il sangue che sgorga in gocce oceaniche da trasversali dai polsi, due gocce dal sinistro, tre dal destro, il corpo s’appartiene meno, come se si sgonfiasse, verdi lacrime, in contemporanea, dal culo accompagnano questo calvario d’atrio e poi emoglobina e chissà cos’altro pensano a pararsi il culo e si premurano d’occludere il flusso, nulla può fuoriuscire in eccesso, il corpo non può straripare attraverso il travaso capillare. Il cranio, spinge la pelle stirata in ipertensione, si straccia lenta lembo a lembo, cromosomi a festa inneggiano al rinsavimento della carne pronti ad iniettare l’eredità idiota d’un’altra vita in un neonatoaborto con gli occhi pieni di lacrime, cenere in bocca, sangue dal culo e subito a succhiare virulenze lattee da seni di matrone nuovamente gravide, pronte ancora a sfornare tempo da corrodere dai loro sfinteri allargati da verghe d’assuefazione al coito. Sborra da sempre. Flussi liquidi a perdersi, da sempre, per sempre, in secula seculorum, amen. È l’effetto prenatale quello che si ricerca, cacca nelle mutande vomitarsi addosso succhiare avidamente due grosse tette, di questo momento, si va costantemente in cerca, il momento in cui il risultato rancido della sborra si mantiene ancora ad un livello d’assoluta incoscienza, d’assoluta noncuranza. Pestilenze polmonari s’accartocciano in fondo ai bronchi, consunte spugnose membrane, glutine dalle mani, sudore dalla pelle e sottocutanee radici d’amianto a scalfire. Non c’è gran che d’altro o almeno a questo punto mi sembra sufficiente. Addio. Per ora.

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Et voilà. Elettrolisi di carne, nervi, atrio destro sinistro, valvole di sfogo dalle reni, e l’urina ricopre il mondo… h 08:00 del mattino, good morning, un altro passo ancora, vola, giù, dal burrone, non s’attenda oltre, essere sconfitti dalla corrosione del tempo è solo una sconfitta del debole, tra poco anch’io inizierò a tagliarmi le vene dai polsi, via via dai polsi, a recidere le vene, basta, se solo, una pistola, un colpo, bum, al cuore, a spappolare le cervella, frammenti di gelatinosa grigio-sostanza da un foro posteriore, e addio vene. Purtroppo convivo con me, condannato da un chissà che alla convivenza forzata, palla al piede di me stesso, conto i passi della mia ombra, questo basta, e mi stupro di fronte allo specchio; c’è altro? No. Per ora. È sempre un rimandare, sintomo idiota d’un eunuco attaccato al pene fradicio della speranza che sempre, da sempre, ce la mette in culo, con tanti saluti al paradiso del nulla. Due volt, stop. Merda. Rewind. Scisso, biforcazioni contrarie opposte sovrapposte di me o di quell’esacerbato sputo che rassodato dal sole sembra rassomigliare alla mia somiglianza presunta. Spaccio granuli di gesticolazioni infrante di madreperla difettosa in frantumi tutto _______ e ritiro, nel contrarsi di se stesso dolo apparentemente, apparentato a me e al mio opposto e tutto ciò che deflagra è rimasto al centro. Lo riunisco. Riordino in verticali di possibilità mancate e sniffo come profumi d’orchidee in primavere ferme alle prime piogge. Non ne sono assolutamente convinto! Ploft ploft pioggia sui vetri ploft ploft prendi l’ombrello apri l’ombrello vai sotto l’ombrello addio, restaci sotto l’ombrello, sulla testa chiodato a nascondere, ombrello, magari si potesse uscire dall’altra parte del manico, uscire, uscire, questo ci manca, uscire, basta, via, stop; e poi si ricomincia. Cazzo. Schiamazzi di tempesta e temperino nel costato imperlano grondanti occhi d’acqua vitrea, paranoiche istituzioni scalfiscono lentamente e sfondare sempre più in profondità. Che cosa ci faceva Giobbe con le sue incertezze? Parodiava il dubbio, troppo furbo. Ecpirosi dermiche; a parte tutte le cure mediche, si muore. Prenda questo, dormirà meglio, mangi solo acqua sputi veleno non lo tenga dentro, prenda questo lassativo; del cianuro? Non è possibile, con i morti non posso lavorare! Devo difendere la categoria. L’onestà del becchino, scava anche per sé la sua buca. Addio. Coma delirio, stupor cronico dal primo gorgogliare bava mista ad un retrogusto di filosofia socratica; che vale Socrate rispetto al nulla,

PAGINA 024

rispetto all’oblio? Quanto una scorreggia rispetto al corpus operistico di Rossini. Quanto basta a smettere di voler capire, di voler, solo ascoltare. Addio a tutti gli altari eretti per il solito gusto all’inculata che contraddistingue il pervertimento umano del suo gusto d’essere; buona scopata e sogni d’oro. Ecpirosi dermiche, ancora, cristo era solo uno scolaro troppo diligente, ha avuto la pretesa di non pretendere il potere, questa era poco umano, non si poteva lasciare in circolazione un derelitto di quella stoffa. Crocifissione! Iconoclastia dell’ovvio rasenta la follia della comprensione! Nazareni di tutto il mondo unitevi! Resurrezione nella ripetizione dell’identico, essere Cristo, l’evento. Imitare è parodiare; essere è la croce

Saluti e baci dalla destra del Padre Gesù Cristo

Tutto ciò che credo di sapere l’ho imparato da me. Amate il prossimo come se fosse la puttana più prelibata del creato, mi sembra il minimo. I dieci comandamenti è un film troppo lungo, il solito polpettone americano, mi sembra sufficiente a scoraggiare qualsiasi pretesa di verità. Ecpirosi dermica, ancora, tra un po’ non ne resterà nulla, finalmente, a partire dall’epitelio, tutto parte e ha inizio da lì, substrato di sporcizia che s’oppone alla fuoriuscita in pozza asmatica di noi sul selciato; prendo appunti sulla carne, reagisco appena, sottoscrivo pulsante all’indebolimento interno, tutto si fa giocoforza, pressione di carne in carne, me in me, arco chiuso a bersaglio al centro il petto, cuore noi sangue, restiamo solamente come succedanei di un possibile perdersi. Raccatto attrito al suolo, ogni grumo di calcolo renale che vomito nel cuore della notte e nell’assenza della stasi visiva nell’inaspettato mattino, lassativi di sabbia da scaraventare al cesso. Moderno stile di un androgino senza riconoscimenti, questo è quanto, almeno così sembra, adesso, sempre che l’adesso, l’istante, abbia un senso, un tempo, un percepirsi. Arso. Continuo ad incularmi di fronte ad uno specchio che non si riconosce. Sillogizzare spastico di grugniti esangui di segni parole che si

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Et voilà. Elettrolisi di carne, nervi, atrio destro sinistro, valvole di sfogo dalle reni, e l’urina ricopre il mondo… h 08:00 del mattino, good morning, un altro passo ancora, vola, giù, dal burrone, non s’attenda oltre, essere sconfitti dalla corrosione del tempo è solo una sconfitta del debole, tra poco anch’io inizierò a tagliarmi le vene dai polsi, via via dai polsi, a recidere le vene, basta, se solo, una pistola, un colpo, bum, al cuore, a spappolare le cervella, frammenti di gelatinosa grigio-sostanza da un foro posteriore, e addio vene. Purtroppo convivo con me, condannato da un chissà che alla convivenza forzata, palla al piede di me stesso, conto i passi della mia ombra, questo basta, e mi stupro di fronte allo specchio; c’è altro? No. Per ora. È sempre un rimandare, sintomo idiota d’un eunuco attaccato al pene fradicio della speranza che sempre, da sempre, ce la mette in culo, con tanti saluti al paradiso del nulla. Due volt, stop. Merda. Rewind. Scisso, biforcazioni contrarie opposte sovrapposte di me o di quell’esacerbato sputo che rassodato dal sole sembra rassomigliare alla mia somiglianza presunta. Spaccio granuli di gesticolazioni infrante di madreperla difettosa in frantumi tutto _______ e ritiro, nel contrarsi di se stesso dolo apparentemente, apparentato a me e al mio opposto e tutto ciò che deflagra è rimasto al centro. Lo riunisco. Riordino in verticali di possibilità mancate e sniffo come profumi d’orchidee in primavere ferme alle prime piogge. Non ne sono assolutamente convinto! Ploft ploft pioggia sui vetri ploft ploft prendi l’ombrello apri l’ombrello vai sotto l’ombrello addio, restaci sotto l’ombrello, sulla testa chiodato a nascondere, ombrello, magari si potesse uscire dall’altra parte del manico, uscire, uscire, questo ci manca, uscire, basta, via, stop; e poi si ricomincia. Cazzo. Schiamazzi di tempesta e temperino nel costato imperlano grondanti occhi d’acqua vitrea, paranoiche istituzioni scalfiscono lentamente e sfondare sempre più in profondità. Che cosa ci faceva Giobbe con le sue incertezze? Parodiava il dubbio, troppo furbo. Ecpirosi dermiche; a parte tutte le cure mediche, si muore. Prenda questo, dormirà meglio, mangi solo acqua sputi veleno non lo tenga dentro, prenda questo lassativo; del cianuro? Non è possibile, con i morti non posso lavorare! Devo difendere la categoria. L’onestà del becchino, scava anche per sé la sua buca. Addio. Coma delirio, stupor cronico dal primo gorgogliare bava mista ad un retrogusto di filosofia socratica; che vale Socrate rispetto al nulla,

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rispetto all’oblio? Quanto una scorreggia rispetto al corpus operistico di Rossini. Quanto basta a smettere di voler capire, di voler, solo ascoltare. Addio a tutti gli altari eretti per il solito gusto all’inculata che contraddistingue il pervertimento umano del suo gusto d’essere; buona scopata e sogni d’oro. Ecpirosi dermiche, ancora, cristo era solo uno scolaro troppo diligente, ha avuto la pretesa di non pretendere il potere, questa era poco umano, non si poteva lasciare in circolazione un derelitto di quella stoffa. Crocifissione! Iconoclastia dell’ovvio rasenta la follia della comprensione! Nazareni di tutto il mondo unitevi! Resurrezione nella ripetizione dell’identico, essere Cristo, l’evento. Imitare è parodiare; essere è la croce

Saluti e baci dalla destra del Padre Gesù Cristo

Tutto ciò che credo di sapere l’ho imparato da me. Amate il prossimo come se fosse la puttana più prelibata del creato, mi sembra il minimo. I dieci comandamenti è un film troppo lungo, il solito polpettone americano, mi sembra sufficiente a scoraggiare qualsiasi pretesa di verità. Ecpirosi dermica, ancora, tra un po’ non ne resterà nulla, finalmente, a partire dall’epitelio, tutto parte e ha inizio da lì, substrato di sporcizia che s’oppone alla fuoriuscita in pozza asmatica di noi sul selciato; prendo appunti sulla carne, reagisco appena, sottoscrivo pulsante all’indebolimento interno, tutto si fa giocoforza, pressione di carne in carne, me in me, arco chiuso a bersaglio al centro il petto, cuore noi sangue, restiamo solamente come succedanei di un possibile perdersi. Raccatto attrito al suolo, ogni grumo di calcolo renale che vomito nel cuore della notte e nell’assenza della stasi visiva nell’inaspettato mattino, lassativi di sabbia da scaraventare al cesso. Moderno stile di un androgino senza riconoscimenti, questo è quanto, almeno così sembra, adesso, sempre che l’adesso, l’istante, abbia un senso, un tempo, un percepirsi. Arso. Continuo ad incularmi di fronte ad uno specchio che non si riconosce. Sillogizzare spastico di grugniti esangui di segni parole che si

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moltiplicano e si segnano del solo tracciarsi, un rogo in tra le fiamme, Artaud docet! <<Niente problemi di senso, ma solo d’uso>> Carta igiene per detergere bocche sudice di sangue e pasta, rimasugli di scaramanzie per pregare. San Paolo folgorato da un’eiaculazione imprevista, questo è quanto. Algebrica sottomissione al piacere. Calcolato differenziarsi dell’impossibile, dove si trova la risultante tra infiniti intervalli non interrotti. E ora, come sempre, soccombe la piazza nell’altoforno delle sue stesse grida isteriche, addio campanili che battono la mezzanotte! addio cucù cronometrici dal buco del culo; sentenze che sanno di cristologia e argilla, essicazione di fornaci dal calore umano, apocalissi di genetliaci da festeggiare, il compleanno di lutti, il completamento, la fine. E Cristo, sempre lui, dall’alto della croce si rompe i coglioni e maledice la loro ignoranza, che ne sanno di santità i porci! Raccattano nel fango la loro stessa merda, e basta, le croci si devono incidere non parodiare (vedi anche poco sopra) con gesti ridicolizzanti, mi sembra il minimo. Inviate le vostre considerazioni a: Gesù Cristo Via Crucis, 33, 00000, Nazaret (distretto Pilato) <<Miracolo è la trasparenza>>, bulbi vitrei, che altro resiste oltre al rumore del frantumarsi, ultrasuoni d’organi allo sfascio, è la fine! sempre, l’inizio non è che un’anticamera. <<Sono la lettera e la penna e la carta>>, che importanza ha Dio in tutto ciò? Nulla. <<notte nera dell’indifferenziato>>. All’entrata d’una chiesa ti chiedono il patentino: ti piaciono le riviste di meccanica? Hai la fronte umida d’acqua? Credi in Dio? Rispondere sinceramente solo all’ultima domanda: <<certo, ma solo come nel padrone del sillogismo disgiuntivo>>; anche a dio è giusto porre un limite altrimenti non resterebbe che protestare contro se stessi; lo si sfrutti a prorpio piacimento, i pompini sono gratuiti, è obbligato a prestarsi al nostro gioco, è obbligato ad amarci; a questo proposito si legga Meister Eckhart. Il Nulla divino, pubblicato in diverse edizioni, senza la concessione di Torquemada (un attento lettore).

PAGINA 026

Punto. Si riparte. D’altrove, il luogo in cui mi sia data la remissione dei peccati, me. Fate questo in memoria vostra; io ho smesso. Basta con lo scorreggiare rotatorio delle generazioni, una contro l’altra, una dopo l’altra. Gradisce dello champagne? Si due otri; un buon bevitore si pone un solo freno, finita la botte. Infine; smetta la volontà generazionale generativa generalizzata e la disperazione obbligatoria conseguente; s’inizi dalla fine, per una volta (altre tanto non ve ne saranno di certo, nel caso), senza contraccolpi, senza. Ormai riesco a sostare dietro i tacchi delle mie scarpe per dei millenni, a rigirarmi tra le mani il fallo in perentoria erezione senza mai riuscire a farsi passare attraverso quello spillo da cui emettiamo il cancerogeno subprodotto, rimasuglio testicolare in bianca schiuma in movimento. Non si può apparire che come musica, si scompare; come musica, concatenazioni sillogistiche dell’ovvio, ripetersi nel medesimo atono ricongiungersi della cacofonia al suono, nella cacofonia e nel suono. Il ritardo nel fra-tempo s’attende e poi. Chiodi le dita, stringono a pugno e incidono palme, stigmate lacrime, inondare viola, schiantarsi a terra di pioggia d’ultrasuono. Traslucida carne in verticali piedistalli instabili e il neon spezza l’occhio e le palpebre si nascondono. Citronella mescolata zolfo fiamma scalda cenere, iniezioni endovenose a deperire ammasso sacco sanguigno, armadilli dalle narici sbattono code a liberarsi, dimenano la testa incastrata in ceppi d’avorio d’oltremare, lo stesso collutorio blu a sommergere. C’è qualcosa tra i denti; è il sapore della mia bocca, sputarla via, con tutte le sue papille disgustose dal sapore cancerogeno di tempo. C’è qualcosa oltre un orizzonte? Un altro orizzonte, sicuramente. Nulla. Un rincorrere asinino. To be continued...

Talia

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moltiplicano e si segnano del solo tracciarsi, un rogo in tra le fiamme, Artaud docet! <<Niente problemi di senso, ma solo d’uso>> Carta igiene per detergere bocche sudice di sangue e pasta, rimasugli di scaramanzie per pregare. San Paolo folgorato da un’eiaculazione imprevista, questo è quanto. Algebrica sottomissione al piacere. Calcolato differenziarsi dell’impossibile, dove si trova la risultante tra infiniti intervalli non interrotti. E ora, come sempre, soccombe la piazza nell’altoforno delle sue stesse grida isteriche, addio campanili che battono la mezzanotte! addio cucù cronometrici dal buco del culo; sentenze che sanno di cristologia e argilla, essicazione di fornaci dal calore umano, apocalissi di genetliaci da festeggiare, il compleanno di lutti, il completamento, la fine. E Cristo, sempre lui, dall’alto della croce si rompe i coglioni e maledice la loro ignoranza, che ne sanno di santità i porci! Raccattano nel fango la loro stessa merda, e basta, le croci si devono incidere non parodiare (vedi anche poco sopra) con gesti ridicolizzanti, mi sembra il minimo. Inviate le vostre considerazioni a: Gesù Cristo Via Crucis, 33, 00000, Nazaret (distretto Pilato) <<Miracolo è la trasparenza>>, bulbi vitrei, che altro resiste oltre al rumore del frantumarsi, ultrasuoni d’organi allo sfascio, è la fine! sempre, l’inizio non è che un’anticamera. <<Sono la lettera e la penna e la carta>>, che importanza ha Dio in tutto ciò? Nulla. <<notte nera dell’indifferenziato>>. All’entrata d’una chiesa ti chiedono il patentino: ti piaciono le riviste di meccanica? Hai la fronte umida d’acqua? Credi in Dio? Rispondere sinceramente solo all’ultima domanda: <<certo, ma solo come nel padrone del sillogismo disgiuntivo>>; anche a dio è giusto porre un limite altrimenti non resterebbe che protestare contro se stessi; lo si sfrutti a prorpio piacimento, i pompini sono gratuiti, è obbligato a prestarsi al nostro gioco, è obbligato ad amarci; a questo proposito si legga Meister Eckhart. Il Nulla divino, pubblicato in diverse edizioni, senza la concessione di Torquemada (un attento lettore).

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Punto. Si riparte. D’altrove, il luogo in cui mi sia data la remissione dei peccati, me. Fate questo in memoria vostra; io ho smesso. Basta con lo scorreggiare rotatorio delle generazioni, una contro l’altra, una dopo l’altra. Gradisce dello champagne? Si due otri; un buon bevitore si pone un solo freno, finita la botte. Infine; smetta la volontà generazionale generativa generalizzata e la disperazione obbligatoria conseguente; s’inizi dalla fine, per una volta (altre tanto non ve ne saranno di certo, nel caso), senza contraccolpi, senza. Ormai riesco a sostare dietro i tacchi delle mie scarpe per dei millenni, a rigirarmi tra le mani il fallo in perentoria erezione senza mai riuscire a farsi passare attraverso quello spillo da cui emettiamo il cancerogeno subprodotto, rimasuglio testicolare in bianca schiuma in movimento. Non si può apparire che come musica, si scompare; come musica, concatenazioni sillogistiche dell’ovvio, ripetersi nel medesimo atono ricongiungersi della cacofonia al suono, nella cacofonia e nel suono. Il ritardo nel fra-tempo s’attende e poi. Chiodi le dita, stringono a pugno e incidono palme, stigmate lacrime, inondare viola, schiantarsi a terra di pioggia d’ultrasuono. Traslucida carne in verticali piedistalli instabili e il neon spezza l’occhio e le palpebre si nascondono. Citronella mescolata zolfo fiamma scalda cenere, iniezioni endovenose a deperire ammasso sacco sanguigno, armadilli dalle narici sbattono code a liberarsi, dimenano la testa incastrata in ceppi d’avorio d’oltremare, lo stesso collutorio blu a sommergere. C’è qualcosa tra i denti; è il sapore della mia bocca, sputarla via, con tutte le sue papille disgustose dal sapore cancerogeno di tempo. C’è qualcosa oltre un orizzonte? Un altro orizzonte, sicuramente. Nulla. Un rincorrere asinino. To be continued...

Talia

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……E infine addiO. Cuore Scalcia e piange Lancinante la cognizione D’un mancare D’un inutile pulsare Cuore piagnucola Dispera Sbraita accelera Taci! Ti voglio secco! Morto immobile Ti voglio a pompar Polvere Su crostee pareti Di vena Ti voglio immobile Tutto grinze e crepe Ti voglio morto! Rimuoverti E darti in pasto Ai demoni Del vizio.

Cyanide

A te

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10-Due-1-Zero Circolare. Concentrica. La reazione provocata dall'intrusione del sasso in quella lurida pozza di vita stagnante. Uno, due, tre, quattro, poi l'effetto va via via sfumando. Scagliarsi nel mondo come pietra da sisma invisibile. Cerchio. Cerco. Girotondo di parola. Impercettibile variazione vivere. Fissare centro. Punto d'inizio di statico giungere. Giunge la stasi, la pietrificazione della pietra stessa, sasso negli occhi, limpidi, privi delle increspature, delle rughe del pensare, del domandare; limpidi come la superficie di un lago ghiacciato, di un volto di risposte, di sapienza d'assoluto, occhi diorama cristallo, frattali di profonda superficialità, occhi di sabbia, sfinge priva di enigmi, dolcezza d'estasi, e non resta che adorare, sentirsi, finalmente, privi di sé, sassi che fissano sassi, a perdersi. Pietra su pietra. Levigarsi. Lasciarsi erodere dal tempo, dal vento che ti soffiano addosso, dalle parole che come pioggia ti bagnano. Goccia dopo goccia. Cercare altro sul letto fiume. Parti uguali. Lati a combaciare pezzi ad incastrare. Combinazioni forzate. Pietra che si domanda del suo essere pietra. Che non trova risposta. Da mano scagliata con gesto meccanico sull'acqua superficie. Rimbalza. Prima di affondare. Prima di posarsi sul fondo. Non ci si cura più dell'acqua, galleggia della sua leggerezza, del suo non sapersi, il sasso; va a fondo chi si sa, il non sapersi il volo. Pietra volante. Sassi trasparenti; si vede al di là dell'illusione, si ignora, tutto, oltre la coscienza, un salto extracosciente, un’ebbrezza divina, l'assaporare con labbra gli occhi della perfezione. Il mondo, il fondo, si trasforma, s'annienta, nessuna teodicea da proporre, ma, occhi che fissano occhi, sassi in sassi, vedersi vedersi, nel peggiore dei mondi possibili tutto va per il meglio, così, solo per due perle d'occhi, solo per due chiodi di cristallo a redimere vita. Roccia vestita di farfalla mantello. Incosciente corazza a supporto. Schizza. Scheggia. Graffia il piano. Poi di nuovo quegli occhi. Quel sapersi di fronte. Cavità piene di gelatinoso vedere. Carnosa mistificazione. Dolce impatto lo schianto in loro. Trafitto. Come ago di fine orafo incide retine dorate. Bassorilievo finemente scolpito su pregiato cranio. Sussurro. Soffio via. Punto di massima vicinanza. Punto di non ritorno. Lama che taglia di netto. Al minimo lo spazio compresso. Rapsodico dispiegarsi di logica banale, ovvietà, verità, unica risposta alla domanda che pone l'uomo, metafisica risolta, è la risposta; la verità non può che essere ovvia, è nella sua stessa natura.

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……E infine addiO. Cuore Scalcia e piange Lancinante la cognizione D’un mancare D’un inutile pulsare Cuore piagnucola Dispera Sbraita accelera Taci! Ti voglio secco! Morto immobile Ti voglio a pompar Polvere Su crostee pareti Di vena Ti voglio immobile Tutto grinze e crepe Ti voglio morto! Rimuoverti E darti in pasto Ai demoni Del vizio.

Cyanide

A te

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10-Due-1-Zero Circolare. Concentrica. La reazione provocata dall'intrusione del sasso in quella lurida pozza di vita stagnante. Uno, due, tre, quattro, poi l'effetto va via via sfumando. Scagliarsi nel mondo come pietra da sisma invisibile. Cerchio. Cerco. Girotondo di parola. Impercettibile variazione vivere. Fissare centro. Punto d'inizio di statico giungere. Giunge la stasi, la pietrificazione della pietra stessa, sasso negli occhi, limpidi, privi delle increspature, delle rughe del pensare, del domandare; limpidi come la superficie di un lago ghiacciato, di un volto di risposte, di sapienza d'assoluto, occhi diorama cristallo, frattali di profonda superficialità, occhi di sabbia, sfinge priva di enigmi, dolcezza d'estasi, e non resta che adorare, sentirsi, finalmente, privi di sé, sassi che fissano sassi, a perdersi. Pietra su pietra. Levigarsi. Lasciarsi erodere dal tempo, dal vento che ti soffiano addosso, dalle parole che come pioggia ti bagnano. Goccia dopo goccia. Cercare altro sul letto fiume. Parti uguali. Lati a combaciare pezzi ad incastrare. Combinazioni forzate. Pietra che si domanda del suo essere pietra. Che non trova risposta. Da mano scagliata con gesto meccanico sull'acqua superficie. Rimbalza. Prima di affondare. Prima di posarsi sul fondo. Non ci si cura più dell'acqua, galleggia della sua leggerezza, del suo non sapersi, il sasso; va a fondo chi si sa, il non sapersi il volo. Pietra volante. Sassi trasparenti; si vede al di là dell'illusione, si ignora, tutto, oltre la coscienza, un salto extracosciente, un’ebbrezza divina, l'assaporare con labbra gli occhi della perfezione. Il mondo, il fondo, si trasforma, s'annienta, nessuna teodicea da proporre, ma, occhi che fissano occhi, sassi in sassi, vedersi vedersi, nel peggiore dei mondi possibili tutto va per il meglio, così, solo per due perle d'occhi, solo per due chiodi di cristallo a redimere vita. Roccia vestita di farfalla mantello. Incosciente corazza a supporto. Schizza. Scheggia. Graffia il piano. Poi di nuovo quegli occhi. Quel sapersi di fronte. Cavità piene di gelatinoso vedere. Carnosa mistificazione. Dolce impatto lo schianto in loro. Trafitto. Come ago di fine orafo incide retine dorate. Bassorilievo finemente scolpito su pregiato cranio. Sussurro. Soffio via. Punto di massima vicinanza. Punto di non ritorno. Lama che taglia di netto. Al minimo lo spazio compresso. Rapsodico dispiegarsi di logica banale, ovvietà, verità, unica risposta alla domanda che pone l'uomo, metafisica risolta, è la risposta; la verità non può che essere ovvia, è nella sua stessa natura.

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Non resta che contemplare, statici, sospesi su un sofà d'insonnia del creato, e balbettare una parola, ripeterne infinitamente, sospirandola, il suo suono, la sua ritmica, fino a perderne il significato, un roteare che fa perdere il senso, oltre la monolitica monodia del sé, dervishi della parola; parola banale come una preghiera, il monologo dell'assoluto. Ripetere: amoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamore Combinazione perfetta. Di speranzosa cabala. Di Torah presa in prestito. Cinque lettere. Cinque segni. Cinque dita. Amoreamore. Dieci lettere. Dieci dita. Due mani che si stringono. Una sola. Sul morbido corpi distesi. Corpi in pausa, dopo l'essersi sporcati. Il ritmo del respiro regolare. Sincrono. Perfettamente a tempo. Ancora dieci dita intrecciate a formare trama. Ancora una mano. A togliere spazio al buio. A sfidare il silenzio blocco di marmo scolpito in asporto. Dinamica staticità. Ossimoro di un momento da celebrare in cerebrale tessuto. Impressionista surrealtà da declamare, inni e lodi, sistemica unione d'uno, regge aria, sospende nell'ebetudine santa, devozionale crogiolarsi nel perfetto, si plasma marmoreo l'assoluto femminile, primo androgino, l'unione del celestiale, immobilità, sospensione d'occhi, trasparenza, miracolo, il vuoto della perfezione, manca il gesto, si priva mondo, si posticipa il passato e s'obnubila il futuro nell'impossibilita del compierlo, stasi, amoreamore, dieci, due, uno. Il niente non più spaventa. Diventa amico. Non più giogo sotto il quale soccombere offre spazio in cui muoversi liberamente. Placenta di calda sicurezza. Gravidanza in amniotico assieme stare. Amoreamore. Due lati della stessa superficie. Specchio di infrangibile proprietà. Due volti in unico riflesso. A sorridere. A cercarsi nella luce che verrà. A tempo fermare. Modellando l'eterno, la sua musica, la sua voce, a perdersi, oltre, a perdere, tutto, infine, infinito, la sua voce amoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamore

Kuba Gervaso + _(Alter3g0)_

PAGINA 030

a Breton e il Surrealismo

<<Si vive, si muore. Quale ruolo ha la

volontà in tutto ciò? Pare che ci si uccida nello stesso modo in cui si sogna.

Non è una questione morale quella che poniamo:

IL SUICIDIO E’ UNA SOLUZIONE?>> Questa domanda è stata posta ne “La Révolution Surréaliste”. Eg( )gs ripropone il quesito dopo “l’amara vittoria” surrealista. Sconfitto il “sogno” il problema resta insoluto: IL SUICIDIO E’ UNA SOLUZIONE?

Il materiale pervenuto, in qualsiasi forma, costituirà il numero Eg( )gS SPECIALE 02.00

INVIARE A: [email protected]

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Non resta che contemplare, statici, sospesi su un sofà d'insonnia del creato, e balbettare una parola, ripeterne infinitamente, sospirandola, il suo suono, la sua ritmica, fino a perderne il significato, un roteare che fa perdere il senso, oltre la monolitica monodia del sé, dervishi della parola; parola banale come una preghiera, il monologo dell'assoluto. Ripetere: amoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamore Combinazione perfetta. Di speranzosa cabala. Di Torah presa in prestito. Cinque lettere. Cinque segni. Cinque dita. Amoreamore. Dieci lettere. Dieci dita. Due mani che si stringono. Una sola. Sul morbido corpi distesi. Corpi in pausa, dopo l'essersi sporcati. Il ritmo del respiro regolare. Sincrono. Perfettamente a tempo. Ancora dieci dita intrecciate a formare trama. Ancora una mano. A togliere spazio al buio. A sfidare il silenzio blocco di marmo scolpito in asporto. Dinamica staticità. Ossimoro di un momento da celebrare in cerebrale tessuto. Impressionista surrealtà da declamare, inni e lodi, sistemica unione d'uno, regge aria, sospende nell'ebetudine santa, devozionale crogiolarsi nel perfetto, si plasma marmoreo l'assoluto femminile, primo androgino, l'unione del celestiale, immobilità, sospensione d'occhi, trasparenza, miracolo, il vuoto della perfezione, manca il gesto, si priva mondo, si posticipa il passato e s'obnubila il futuro nell'impossibilita del compierlo, stasi, amoreamore, dieci, due, uno. Il niente non più spaventa. Diventa amico. Non più giogo sotto il quale soccombere offre spazio in cui muoversi liberamente. Placenta di calda sicurezza. Gravidanza in amniotico assieme stare. Amoreamore. Due lati della stessa superficie. Specchio di infrangibile proprietà. Due volti in unico riflesso. A sorridere. A cercarsi nella luce che verrà. A tempo fermare. Modellando l'eterno, la sua musica, la sua voce, a perdersi, oltre, a perdere, tutto, infine, infinito, la sua voce amoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamoreamore

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Libreria “Il Bastione” Piazza Costituzione, 4, Cagliari Libreria “Ex libris punto Einaudi” Via Garibaldi, 5, Cagliari Libreria “Mardi Gras” Via Hoffer, 4, Bolzano Zimbra Records Via Eleonora d’Arborea, 3, Cagliari

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