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561 ARCHEOLOGIA SUBACQUEA E COMMERCI IN ETÀ TARDOANTICA 1. Per poter presentare sulla base della documentazione archeologica subac- quea un quadro dei commerci marittimi in età tardoantica, che non si limiti ad una mera rassegna di relitti, mi sembra necessario, sotto il profilo metodologi- co, fare in via preliminare alcune premesse e porre alcuni problemi (1). La prima premessa riguarda in generale il periodo del quale ci occupia- mo. Com’è noto il Tardoantico è negli ultimi tempi al centro di studi molto vivaci ed è oggetto di un dibattito storiografico molto intenso; direi anzi che in nessun altro settore dell’antichistica si possa registrare uno sviluppo delle ricerche e un progresso delle conoscenze paragonabili a quelli che hanno caratterizzato gli studi storici e archeologici sull’età tardoantica (2). Ma cosa intendiamo per Tarda Antichità? (3). Si tratta di un periodo storico molto complesso, di cui molti studiosi hanno sottolineato il carattere “rivoluziona- rio” (penso al significato dato al termine da storici come S. Mazzarino, P. Brown, L. Cracco Ruggini) (4); un periodo caratterizzato da radicali trasfor- mazioni e dalla creazione di nuovi modelli organizzativi, durante il quale si realizzò la dissoluzione dell’impero mondiale di Roma e la transizione al (1) Ho ritenuto opportuno lasciare sostanzialmente invariato il testo presentato in occasione della lezione, conservandone anche lo stile discorsivo, per rispettare lo spirito del corso senese. In questa versione per gli atti mi sono limitato pertanto solo all’aggiunta della bibliografia essenziale e all’inserimento di poche modifiche e aggiornamenti. Sono grato a Luc Long e Marinella Valente per aver agevolato la mia ricerca bibliografica presso la biblio- teca del DRASSM di Marsiglia. (2) Su questo tema la bibliografia conta ormai moltissimi titoli: si vedano in generale, con il rinvio ad altra letteratura e con l’approfondimento di vari temi e punti critici, VERA 1983 e, più recentemente, CRACCO RUGGINI 1993. Si vedano anche alcuni spunti nelle brevi sintesi di MARROU 1979 e CAMERON 1992 e più estesamente EAD. 1993a e 1993b. Alcune riflessioni in proposito sono anche in un mio recente lavoro sull’Apulia tardoantica (VOLPE 1996, in part. pp. 7-13). (3) È questa ormai la nuova definizione prevalente, che ha sostituito la vecchia deno- minazione di Basso Impero, desunta dal francese Bas Empire, ritenuta troppo carica di signi- ficati degenerativi: si veda il titolo non a caso dato alla rivista Antiquité Tardive (Antigüedad Tardía - Late Antiquity - Spätantike - Tarda Antichità). (4) MAZZARINO 1961; CRACCO RUGGINI 1993, p. XXXIII; BROWN 1974, p. 9. © 1998 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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ARCHEOLOGIA SUBACQUEA E COMMERCI IN ETÀ TARDOANTICA

1. Per poter presentare sulla base della documentazione archeologica subac-quea un quadro dei commerci marittimi in età tardoantica, che non si limiti aduna mera rassegna di relitti, mi sembra necessario, sotto il profilo metodologi-co, fare in via preliminare alcune premesse e porre alcuni problemi (1).

La prima premessa riguarda in generale il periodo del quale ci occupia-mo. Com’è noto il Tardoantico è negli ultimi tempi al centro di studi moltovivaci ed è oggetto di un dibattito storiografico molto intenso; direi anzi chein nessun altro settore dell’antichistica si possa registrare uno sviluppo dellericerche e un progresso delle conoscenze paragonabili a quelli che hannocaratterizzato gli studi storici e archeologici sull’età tardoantica (2). Ma cosaintendiamo per Tarda Antichità? (3). Si tratta di un periodo storico moltocomplesso, di cui molti studiosi hanno sottolineato il carattere “rivoluziona-rio” (penso al significato dato al termine da storici come S. Mazzarino, P.Brown, L. Cracco Ruggini) (4); un periodo caratterizzato da radicali trasfor-mazioni e dalla creazione di nuovi modelli organizzativi, durante il quale sirealizzò la dissoluzione dell’impero mondiale di Roma e la transizione al

(1) Ho ritenuto opportuno lasciare sostanzialmente invariato il testo presentato inoccasione della lezione, conservandone anche lo stile discorsivo, per rispettare lo spirito delcorso senese. In questa versione per gli atti mi sono limitato pertanto solo all’aggiunta dellabibliografia essenziale e all’inserimento di poche modifiche e aggiornamenti. Sono grato aLuc Long e Marinella Valente per aver agevolato la mia ricerca bibliografica presso la biblio-teca del DRASSM di Marsiglia.

(2) Su questo tema la bibliografia conta ormai moltissimi titoli: si vedano in generale,con il rinvio ad altra letteratura e con l’approfondimento di vari temi e punti critici, VERA1983 e, più recentemente, CRACCO RUGGINI 1993. Si vedano anche alcuni spunti nelle brevisintesi di MARROU 1979 e CAMERON 1992 e più estesamente EAD. 1993a e 1993b. Alcuneriflessioni in proposito sono anche in un mio recente lavoro sull’Apulia tardoantica (VOLPE1996, in part. pp. 7-13).

(3) È questa ormai la nuova definizione prevalente, che ha sostituito la vecchia deno-minazione di Basso Impero, desunta dal francese Bas Empire, ritenuta troppo carica di signi-ficati degenerativi: si veda il titolo non a caso dato alla rivista Antiquité Tardive (AntigüedadTardía - Late Antiquity - Spätantike - Tarda Antichità).

(4) MAZZARINO 1961; CRACCO RUGGINI 1993, p. XXXIII; BROWN 1974, p. 9.

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Medioevo; un periodo peraltro con confini cronologici alquanto fluidi (tra ilIV e il VII secolo), che si ha difficoltà a fissare in maniera rigida, con unatendenza ad una progressiva dilatazione. L’analisi di questa fase storica si èandata liberando del peso eccessivo di una tradizione tutta incentrata suldecline and fall di gibboniana memoria. Non c’è dubbio che, dopo le decisiveed innovative ricerche storiche ed archeologiche condotte nel corso degliultimi decenni sugli aspetti economici e sociali (ma non solo) della tardaAntichità, la situazione sia oggi molto diversa. Alla categoria “decadenza” siè ritenuto da più parti opportuno sostituire quella più complessa e flessibiledi “trasformazione” (e non si tratta di una mera disputa nominalistica). Lostudio della Tarda Antichità non coincide più con l’analisi di un’agonia, macon la comprensione di un periodo storico in sé, del suo funzionamento, deisuoi caratteri morfologici, con l’approfondimento di un processo di trasfor-mazione. Bisogna dirottare l’attenzione dall’analisi della “crisi” di un sistemaa quella della creazione di un nuovo modello organizzativo, analizzando ifenomeni in una prospettiva di lunga durata ma anche evitando di anticipareall’età tardoantica esiti che sono attribuibili al periodo altomedievale: peral-tro ogni crisi ha tempi ristretti e non è ammissibile, anche prescindendo dairisultati delle recenti ricerche storico-archeologiche, che essa possa averprolungato i suoi effetti nel corso di oltre quattro secoli. Il problema è resoancor più complesso se si tiene conto dei diversi significati assegnati allastessa definizione “Tarda Antichità”: determinazione cronologica o catego-ria di valutazione storica? Mi limito ad un solo esempio: recentemente C.Panella ha pubblicato un fondamentale saggio sui commerci e gli scambinel Mediterraneo tardoantico (5), nel quale (secondo una proposta di A.Carandini (6)) si adotta un uso della periodizzazione, o meglio della “cate-goria Tarda Antichità”, che personalmente non condivido. Il Tardoantico co-mincerebbe infatti in momenti diversi nelle varie parti del Mediterraneo: nelIII (forse già II) secolo in Italia, solo a partire dal tardo V-inizi VI secolo inAfrica, ancor più tardi in Oriente. Il Tardoantico viene cioè considerato sino-nimo di crisi e di decadenza e quindi se ne può usare la denominazione soloquando la crisi effettivamente si manifesta. Estremizzando questa posizionestoriografica, si dovrebbe poter parlare di età tardoantica solo in relazione amomenti diversi anche nelle singole province della diocesi italiciana: quandocomincia il Tardoantico, per esempio, in Sicilia, la cui economia agraria co-nobbe, usando le parole di R. Wilson, «una nuova fase di prosperità e ric-chezza nel corso del IV secolo?» (7). Insomma, dobbiamo intendere il Tardo-

(5) PANELLA 1993.(6) Cfr. in particolare CARANDINI 1986, pp. 3-19 e ID. 1993, pp. 17-21(7) WILSON 1993, p. 287.

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antico come una categoria cronologica o come una categoria di analisi stori-ca-sociale-culturale-economica-morale? (8). Forse si tratta solo di un proble-ma terminologico, che non toglie nulla alla validità del quadro storico pro-posto da Carandini e Panella (sulla cui interpretazione delle dinamiche difondo dell’organizzazione economica e commerciale, non posso che concor-dare), ma è un problema sul quale credo sia opportuno riflettere anche insedi come questa. È peraltro necessario sottolineare, per evitare fraintendi-menti, che se è un bene che «la storiografia più matura attuale sul Tardoanti-co non senta più il bisogno di assumere l’antico atteggiamento del medico alcapezzale di un malato terminale» (9) non per questo tale posizione storio-grafica è necessariamente da considerare influenzata da ideologie neutre etranquillizzanti che vogliono proporre interpretazioni ireniche, edulcorate econtinuistiche del Tardoantico, cancellando l’idea della crisi tout court (10).Per esempio, per quel che riguarda la produzione e i commerci, che pureconservarono livelli ragguardevoli almeno fino al IV-V secolo, e in parte an-che nel secolo successivo, complessivamente si andò registrando una flessio-ne rispetto ai periodi precedenti (e di questa andranno individuate di volta involta e nelle varie aree geografiche le cause), fino ad una netta e irreparabilerottura, esito della progressiva destrutturazione del sistema antico e tardoan-tico; momento decisivo, ma non improvviso (e questo perché non sembri chesi voglia riesumare la nota tesi di Pirenne), di tale rottura può essere indivi-duato nel VII secolo (11). Questa situazione è riscontrabile, come vedremo,nella circolazione marittima delle merci così come emerge anche dalla docu-mentazione fornita dai relitti.

È necessaria una seconda puntualizzazione metodologica, concernentela storia degli studi. Fino a tempi recenti l’archeologia dell’età tardoantica siè identificata con l’archeologia cristiana, ed ancora oggi resta parzialmenteirrisolto, soprattutto nel nostro paese, il rapporto tra cristianistica da unaparte e tardoantichistica e medievistica dall’altro. Pur nel rispetto e nellagiusta valutazione della specificità e peculiarità del fenomeno cristiano, nonc’è dubbio che la separazione (se non contrapposizione e a volte diffidenza),purtroppo ancora non del tutto superata, tra questi campi di ricerca nonabbia alcun fondamento storico ed epistemologico, ma sia il frutto di diversi-tà di tradizioni e di “scuole”, se non di veri e propri scontri accademici (12).

(8) Si vedano le osservazioni nella recensione di Storia di Roma, III da parte di VERA,MARKUS, VOLPE 1995, in part. pp. 255-259, 266-271.

(9) L’espressione è di D. Vera, in VERA, MARKUS, VOLPE 1995, p. 259.(10) Si vedano le utili riflessioni di CARANDINI 1993.(11) Cfr. quadro generale e dati in PANELLA 1993.(12) Per quel che riguarda il quadro degli attuali settori disciplinari universitari italia-

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È fin troppo ovvio che non può esserci piena comprensione della complessitàdel mondo tardoantico se si ignora o se solo si sottovaluta l’aspetto religiosoe più specificamente quello cristiano, ma allo stesso modo nessuno tra gliarcheologi cristianisti, se non gli ultimi strenui sostenitori di una presuntaautonomia della disciplina, potrà oggi sostenere che un’indagine sulle necro-poli, sugli edifici di culto o sulle epigrafi cristiane non vada inserita nell’ana-lisi del più ampio contesto storico-archeologico del periodo o che un manu-fatto con una decorazione ispirata a temi cristiani non sia da considerareinnanzitutto un documento della cultura materiale e artistica di un determi-nato periodo e di una determinata area geografica da inserire nella classegenerale di quel tipo di manufatti (13).

Ho voluto ricordare questa circostanza (prendendo forse troppo tem-po) sia per sottolineare un ritardo (non solo metodologico) negli studi, siaper individuare uno dei motivi per cui di tematiche relative agli scambi, aicommerci, all’organizzazione economica, ai relitti in età tardoantica si sonofinora occupati archeologi non specificamente tardoantichisti (e quasi maiquelli cristianisti). Tale situazione non è però generalizzabile, perché bisognatenere presenti anche le diverse tradizioni nazionali e di scuola in questosettore degli studi. Due esempi sono forse sufficienti per indicare approccidiversi.

In Francia, dove marcata è nel campo dell’archeologia cristiana e tardo-antica l’impronta data da studiosi come P.-A. Février, N. Duval o Ch. Pietri,un’analisi complessiva dei relitti tardoantichi (l’unica a me finora nota) èstata proposta nell’ambito di una mostra tenuta nel 1986 a Lyon (in occasio-ne dell’XI Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana) dal titoloPremier temps chrétiens en Gaule: in questo caso la diffusione del cristianesi-mo nelle regioni transalpine è stata inserita nel quadro generale della storiatardoantica e altomedievale e un’ampia sezione è stata dedicata ai commerci,alle anfore, ai relitti, con interventi molto qualificati di P.A. Février, F. Villedieu,P. Pomey (14).

ni, si spera che l’inserimento dell’Archeologia e storia dell’arte tardoantica nel raggruppa-mento dell’Archeologia cristiana favorisca lo sviluppo di un utile processo di apertura versonuovi campi e di integrazione tra specialismi diversi.

(13) Non mi sembra un caso che in un volume recentissimo curato da L. Cracco Rug-gini (1996) nel bel saggio sulle fonti archeologiche di M.J. Strazzula, in un paragrafo signifi-cativamente intitolato «Un caso particolare: dall’archeologia cristiana all’archeologia tardo-antica», proprio l’archeologia cristiana venga indicata come “esempio di “resistenza” all’inte-grazione in una prospettiva storica ad ampio spettro” (STRAZZULLA 1996, pp. 62-63), anche sel’accusa sembra potersi riferire più al passato che alla fase attuale. Sul tema del rapporto traarcheologia cristiana e archeologia tardoantica si vedano le utili considerazioni di PERGOLA1997.

(14) FÉVRIER 1986, pp. 165-195 e in part. l’elenco dei relitti tardoantichi di POMEY1986, pp. 186-197 e le schede a pp. 188-195.

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Un discorso in parte diverso va fatto invece in riferimento alla recentemostra di storia e archeologia cristiana organizzata in Italia, a Rimini, Dallaterra alle genti (15) in cui, nel quadro di un’impostazione più tradizionale,nonostante la presenza di alcuni importanti saggi di inquadramento storico,i documenti materiali, artistici e monumentali vengono presentati per la loroispirazione cristiana, con una particolare sottolineatura degli aspetti figurati-vi e simbolici, piuttosto che come fonti archeologiche di un determinato pe-riodo storico. Per ciò che riguarda merci e scambi, anzi, le poche anfore elucerne, i sarcofagi o gli altri materiali presenti nel catalogo (16) sono consi-derati quasi esclusivamente per la presenza di cristogrammi e di altri simbolio scene di soggetto “cristiano” e non per il loro valore di documenti di scam-bi commerciali nel Mediterraneo. L’archeologia cristiana e l’archeologia estoria tardoantica sembrano cioè qui meno integrate.

Nel campo delle merci ceramiche e dei commerci, per quel che riguar-da l’Italia, dopo l’attività di N. Lamboglia, è all’équipe che ha fatto capo adA. Carandini che bisogna riconoscere il merito di aver sviluppato notevol-mente le ricerche. Credo di non sbagliare indicando nel terzo volume di So-cietà romana e impero tardoantico dedicato a Le merci, gli insediamenti (17)un momento decisivo in questo processo di crescita dell’archeologia tardo-antica, italiana e non, su questi temi. Il punto di arrivo di questo filone diindagini, con particolare riferimento all’età tardoantica, è al momento rap-presentato in maniera esemplare dal già ricordato saggio di C. Panella nellaeinaudiana Storia di Roma (18).

Per quel che riguarda specificamente l’archeologia subacquea, c’è poida sottolineare un altro aspetto insito alla tradizione degli studi: stenta anco-ra ad affermarsi una specializzazione in problematiche relative a determinatiperiodi storici; prevale ancora la figura dell’archeologo subacqueo generali-sta, che si occupa indifferentemente di tutto ciò che si trova sott’acqua: con-siderata l’indubbia prevalenza nelle acque del Mediterraneo di relitti risalen-ti agli ultimi secoli della Repubblica e ai primi secoli dell’Impero, è su questoperiodo che possediamo un’ingente massa di dati, mentre solo raramente equasi sempre per caso, e non nell’ambito di precisi progetti di ricerca o per

(15) DONATI 1996.(16) Queste schede, in particolare quelle sulle anfore, di C. Ravara, sono redatte in

maniera approssimativa e non senza errori anche grossolani (cfr. le schede, che tra l’altrosono quasi sempre accompagnate dalla foto sbagliata, in DONATI 1996, pp. 177-179).

(17) SRIT III; fondamentali in questo filone di ricerca sono i due volumi Atlante I e II.(18) PANELLA 1993. Utile è il recente volume di sintesi sulle classi di materiali tardoan-

tichi e altomedievali presenti soprattutto in Italia centro-settentrionale Ad mensam (cfr.LUSUARDI SIENA 1994).

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rispondere a specifiche domande storiche, sono stati indagati relitti e sititardoantichi.

2. Entriamo ora nel vivo del tema. In questa occasione non è possibile pro-porre (né sarebbe questa la sede adatta) una presentazione analitica di tutti irelitti tardoantichi del Mediterraneo, ma ci limitiamo ad alcune considera-zioni generali e a richiamare alcuni casi esemplari, con particolare riferimen-to a scavi o a rinvenimenti recenti, relativi più specificamente al Mediterra-neo occidentale. In particolare si prendono in considerazione i relitti databilial periodo compreso tra il IV e il VI secolo, con qualche incursione in alto ein basso, nel III e nel VII.

Come è noto, uno strumento indispensabile di lavoro per i relitti è ilcatalogo di A.J. Parker, che però, nonostante la sua indubbia utilità, risultaanche molto problematico (19). Poiché il libro di Parker è divenuto una basedi analisi utilizzata da tutti ed è largamente impiegata nell’ambito di ricostru-zioni storico-economiche, è opportuno verificarne l’attendibilità, altrimentii rischi di deformazione potrebbero essere altissimi.

I relitti assegnabili, nel catalogo di Parker, ad età tardoantica, dal III alVII secolo, sono complessivamente 206 (Figg. 1-2). Per chiarezza si propon-gono dei diagrammi realizzati sulla base dei dati desumibili dal catalogo (Figg.3-5). In essi si nota una progressiva flessione delle presenze, con una leggerainversione di tendenza nel VI secolo, fino alla quasi totale sparizione di atte-stazioni nel VII secolo. Il quadro è ancor più eloquente se prendiamo inesame i relitti in un periodo più lungo, compreso tra il III a.C. e il X d.C.(Fig. 3). È evidentissimo l’incremento dei relitti a partire dal II secolo a.C.fino al II d.C. e la successiva progressiva flessione (Fig. 4).

Tali dati, riportati negli istogrammi, sono desunti dagli indici cronolo-gici di Parker, nei quali non mancano però alcuni errori e duplicazioni. Ilproblema principale nell’elaborazione di questi dati però non consiste tantoin questo limite quasi fisiologico (errori o sviste sono riscontrabili in tutti ilavori, anche i più accurati), e nemmeno nel fatto che molti relitti siano data-ti in maniera approssimativa o con scarti cronologici ampi (perché di questonon si può far colpa a Parker ma semmai a chi ha pubblicato il relitto); il veroproblema è rappresentato dalla scelta, non condivisibile, di stabilire la datadi ciascun relitto effettuando la media matematica tra le datazioni estremeproposte. Tale scelta, pur non determinando particolari problemi sui grandinumeri e su analisi di lungo periodo, risulta invece fuorviante per contesti

(19) PARKER 1992. Su questo tema ha svolto opportune considerazioni A. Tchernianella sua lezione.

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cronologici più ristretti e su campioni quantitativi limitati: in questi casi in-fatti si rivela particolarmente necessaria l’adozione del metodo della mediaponderata, come ha recentemente fatto E. Zanini proprio rielaborando i datidi Parker (20) (Figg. 4-5). Inoltre nel caso, assai raro, di oscillazioni cronolo-giche limitate, per esempio all’interno di un quarto o di mezzo secolo, ilcriterio adottato da Parker non provoca variazioni significative, ma in quel-lo, più frequente, di forchette cronologiche ampie, la scelta convenzionaledell’anno centrale dell’escursione cronologica provoca distorsioni pericolo-se, con una tendenza generale alla retrodatazione. Se in un relitto ben databi-le, analogamente a quanto si riscontra in un corredo funerario di una tombae in ogni tipo di contesto chiuso, ci sono elementi cronologici compresi nel-l’arco di un mezzo secolo, la datazione del naufragio è ovviamente quella piùbassa, e non corrisponde certo alla media matematica tra le date estreme. Unesempio tra tanti: il ben noto relitto Yassi Ada 2 (21), di cui pure nella schedasi fornisce correttamente una datazione tra la fine del IV e gli inizi del V

Fig. 1 – Diagramma con le attestazioni dei relitti del Mediterraneo distinti per secoli, tra il2500 a.C. e il 1500 d.C. (da PARKER 1992).Fig. 2 – Diagramma con le attestazioni dei relitti del Mediterraneo distinti per periodi (daPARKER 1992).

(20) ZANINI 1996, in part. p. 681; cfr. infra.(21) PARKER 1992, n. 1240, p. 455; cfr. BASS, VAN DOORNINCK 1971 e VAN DOORNINCK

1976.

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secolo, negli indici cronologici compare nella lista del IV secolo, con unadatazione secca al 400. Altri due esempi: per il relitto di Vendicari (22) inSicilia, con anfore Late Roman 2, uno spathion e una Keay 53, si proponenella scheda un’oscillazione cronologica tra il 375 e il 625, mentre nell’indi-

Relitti del Mediterraneo III a.C.-X d.C. (tot.: 957)(elab. da Parker 1992)

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III a.C. I a.C. II d.C. IV d.C. VI d.C. VIII d.C. X d.C.

Relitti del Mediterraneo III-VII d.C. (tot.: 206)

(da Parker 1992)

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III d.C. IV d.C. V d.C. VI d.C. VII d.C.

Fig. 3 – Diagrammi con le attestazioni dei relitti del Mediterraneo distinti per secoli, tra il IIIa.C. e il X d.C. e dettaglio tra il III e il VII d.C. (elaborazione da PARKER 1992).

(22) PARKER 1992, n. 1211, pp. 445-446.

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ce viene fissata una datazione al 500; ancora un caso meno noto tratto dalleacque della Puglia, il relitto di Acque Chiare a Brindisi (23) con anfore africa-ne Keay 25 datato genericamente tra il IV e la metà del V, riceve nell’indicecronologico una datazione puntuale al 375. Un esperimento effettuato suirelitti del V-VII secolo (ma l’esercizio dovrebbe essere esteso a tutti), metten-do a confronto i dati delle cronologie fissate sulle medie matematiche degliindici e quelli desumibili dalle stesse schede di Parker, consente di verificarerisultati opposti diversi, che in questo caso sono resi ancora più problematicidal numero ridotto dei relitti. In realtà entrambi i risultati contengono ele-menti di arbitrarietà, poiché sono numerosi tra l’altro i casi di cronologievaghe e accompagnate da punti interrogativi (pari alla metà dell’ottantina direlitti databili tra IV e VII secolo): come si è detto, questo limite non dipendeda Parker (cui va l’enorme merito di aver catalogato oltre 1.200 relitti, con larelativa bibliografia, a volte difficilmente rintracciabile), ma registra piutto-sto una situazione degli studi (24).

L’attuale stato delle ricerche presenta non pochi problemi poiché tra irelitti assegnabili all’età tardoantica pochissimi sono i casi di quelli che sianostati oggetto di scavo sistematico e che siano stati pubblicati in maniera più o

Fig. 4 – Diagramma con le attestazioni dei relitti nel Mediterraneo tra il I e il X secolo d.C.(base: PARKER 1993; rielaborazione da PANELLA 1993 di ZANINI 1996)Fig. 5 – Diagramma con le attestazioni dei relitti tardoantichi del Mediterraneo tra il IV e ilVII secolo (rielaborazione da PARKER 1992 di ZANINI 1996).

(23) PARKER 1992, n. 6, p. 41; cfr. FRESCHI 1980, p. 455.(24) Non credo che sia giusto unirsi al coro di critiche rivolto a Parker. Individuare

limiti e problemi non significa disconoscere la straordinaria utilità del suo paziente lavoro, dicui fortunatamente oggi disponiamo. Semmai sarebbero opportuni una revisione e un aggior-namento del catalogo di Parker, magari da parte di un’équipe internazionale. A dimostrazio-ne dell’utilità di questo libro, anche in questo mio contributo si farà molto spesso riferimentoalle schede di Parker, dalle quali è possibile risalire alla bibliografia specifica di ciascun relitto.

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meno completa. Tra questi non posso non ricordare il già citato relitto YassiAda 2, che insieme a quello bizantino del VII secolo Yassi Ada 1 (25), costitu-isce un modello. Come è noto il relitto tardoantico Yassi Ada 2 fu scavatodall’équipe di George Bass dell’University of Pennsylvania alla fine degli anniSessanta, facendo ricorso a metodologie e tecniche all’avanguardia, assoluta-mente pionieristiche per quei tempi, soprattutto nel caso di un relitto relati-vamente profondo (Figg. 6-8). La nave, di m 18,60 x 6,60, trasportava circa1.000 anfore di tre tipi differenti (Fig. 9); la notorietà del relitto rende peròqui superflua ogni ulteriore trattazione.

Tra gli scavi più recenti bisogna ricordare invece il relitto del V secoloDramont E, di cui da poco è uscita l’edizione completa nella bella serie fran-cese Archaeonautica, a cura di Claude Santamaria (26) e il relitto profondo,denominato Isis, individuato nello Stretto di Sicilia, edito da Anna MargueriteMcCann e Joann Freed nella serie dei supplementi del «Journal of RomanArchaeology» (27), e il relitto della Palud (28), sui quali si tornerà più ampia-mente in seguito.

Di gran lunga prevalenti sono i relitti frutto solo di segnalazioni, dibrevi interventi di scavo, di recuperi più o meno scientifici, senza considerareconto di quei contesti depredati dai clandestini.

Né mancano le occasioni perdute, campo nel quale l’Italia ha un indi-scusso primato. A quattro anni dalla clamorosa scoperta dei “Bronzi di Brin-disi” (29), cui fece seguito una breve campagna di recupero più che un vero eproprio intervento sistematico di scavo su ampia scala (che il sito avrebbemeritato), non disponiamo ancora di una pubblicazione scientifica che chia-risca la natura e la cronologia del sito, al di là della presentazione delle note-voli sculture bronzee recuperate (30). Non è da escludere la possibilità che sitratti del carico di un relitto tardoantico (di cui però non sono state finoraindividuate le tracce), come sembra possano far ritenere i numerosissimi fram-menti di ceramiche e anfore tardoantiche presenti nel sito: ma, in assenza dialtre più puntuali indagini e di uno studio sistematico dei materiali già recu-perati, si è condannati a restare nel campo delle impressioni delle ipotesi edel “mistero”.

(25) PARKER 1992, n. 1239, pp. 454-455. Cfr. in generale BASS, VAN DOORNINCK 1982.(26) SANTAMARIA 1995.(27) MCCANN, FREED 1994.(28) LONG, VOLPE 1994, 1996, 1997, c.s.(29) Com’è noto la scoperta, presentata come la grande occasione della moderna ar-

cheologia subacquea italiana, suscitò grande scalpore e di essa si occuparono i principalimezzi di comunicazione di massa.

(30) L’unica pubblicazione più ampia disponibile è la relazione preliminare in ANDREASSI1992.

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Fig. 7 – Relitto Yassi Ada 2. Una delle anfore del carico al momento del recupero (daGIANFROTTA, POMEY 1981).Fig. 8 – Relitto Yassi Ada 2. Veduta del carico delle anfore al momento dello scavo (daGIANFROTTA, POMEY 1981).

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Fig. 9 – Relitto Yassi Ada 2. Anfore del carico (da BASS, VAN DOORNINCK 1971).

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A proposito di scavi recenti e di problemi metodologici, un caso parti-colare, cui abbiamo fatto cenno, è quello del relitto, denominato di Isis, po-sto a grande profondità (-750 m) nello Stretto di Sicilia in prossimità dellasecca Skerki Bank (31) (Figg. 10-12).

Gli scavatori ipotizzano un’imbarcazione di non grandi dimensioni (lunga

Fig. 10 – Stretto di Sicilia, relitto “Isis”: ricostruzione dei fondali (750-800 metri di profondità),localizzazione del relitto e organizzazione delle ricerche (da MCCANN, FREED 1994).

(31) MCCANN, FREED 1994. Sui problemi connessi con l’archeologia delle grandi pro-fondità si veda il contributo di L. Long in questo stesso volume. Nell’estate del 1997 ha fattomolto scalpore la nuova impresa di R. Ballard con l’impiego del sommergibile nucleare NR-1 e ha riproposto il problema legislativo sulle ricerche nelle acque internazionali (si vedal’intervento di M.C. Ciciriello nella tavola rotonda conclusiva del corso). L’assenza infatti diuna legislazione severa, che preveda norme certe per la protezione del patrimonio archeolo-gico posto nelle acque internazionali, che spesso ospitano questi relitti, pone non pochi inter-rogativi (a chi spetta la tutela, a chi il diritto di intervenire, di chi è la proprietà dei benirecuperati?) e lascia spazio a forme di “neocolonialismo” archeologico. Il problema principa-le riguarda però le difese contro la prevedibile azione degli scavatori clandestini, non appenascopriranno questa nuova possibilità. Ci si augura pertanto che nuove norme internazionalisiano adottate e che si possano prevedere forme di cooperazione internazionale nella tutela,nella conservazione e nella ricerca, con il coinvolgimento diretto nelle operazioni scientificheanche di archeologi del o dei paesi costieri nei cui pressi si effettuano le ricerche. Per quel cheriguarda invece il problema del recupero dei materiali dai relitti profondi, bisognerà affinarevere e proprie tecniche di scavo utilizzando i precisissimi bracci meccanici dei sommergibilidotati di telecamere e comandati da archeologi specializzati, per evitare il rischio di facilierrori sulla base della scarsa rappresentatività dei materiali prelevati presumibilmente dallaparte superiore del carico. Non si tratta infatti di condannare a priori la pratica del recuperoe dell’analisi di un campione (la campionatura è un aspetto peculiare del lavoro archeologi-co), poiché alcuni reperti prelevati possono essere necessari per effettuare analisi archeome-triche o, per esempio, per verificare la presenza di bolli sulle anfore. È però opportuno met-tere in guardia sia da conclusioni affrettate tratte da dati troppo ridotti e poco rappresentati-vi, sia da quella che potremmo chiamare la “sindrome della benna”.

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circa m 12-15), impegnata nel trasporto di merci alimentari, soprattutto olioe salse di pesce, prodotte in Africa settentrionale. Almeno nel suo ultimoviaggio la nave era partita da Cartagine ed era diretta verosimilmente a Roma,e non è escluso che questa fosse la sua rotta abituale. Decisiva per più versi èstata la scoperta in un vaso per la cucina di una moneta dell’imperatoreCostanzo II (335-361), che offre un elemento cronologico post quem moltopreciso per datare il naufragio. Sulla base di vari elementi, in particolare deimateriali recuperati nel corso delle operazioni (tra cui anfore cilindriche afri-cane Keay 3-5, 25, 31, 35, 42, due anfore morfologicamente simili alle Keay25 ma probabilmente di origine non africana, denominate tipo Isis 1, conargilla micacea attribuita ipoteticamente all’Asia Minore, due Keay 52 = tipoIsis 2, oltre a ceramica comune e una lucerna africana Atlante forma VIIIb)(Fig. 13), il naufragio è stato datato alla fine del terzo o nell’ultimo quartodel IV secolo. Anche se non manca qualche perplessità di carattere metodo-

Fig. 11 – Stretto di Sicilia, Skerki-Bank, relitto “Isis”: pianta dei materiali superficiali delrelitto (da MCCANN, FREED 1994).

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Fig. 12 – Relitto “Isis”: il minisommergibile Jason mentre recupera alcune anfore del carico(da MCCANN, FREED 1994).

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Fig. 13a – Relitto “Isis”: campionatura delle anfore del carico (scala 1:10) (da MCCANN,FREED 1994).

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Fig. 13b – Relitto “Isis”: campionatura delle anfore del carico (scala 1:10) (da MCCANN,FREED 1994).

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logico e gravano non pochi dubbi a proposito delle conclusioni tratte sulledimensioni e sul tipo dell’imbarcazione, oltre che sulle essenze impiegate(non può essere escluso l’uso di altri tipi di legno oltre la quercia e il cedrodocumentati dai due campioni prelevati), sulle ancore e su altri aspetti perti-nenti all’architettura e archeologia navale, perché esse sono fondate su datitroppo ridotti, bisogna sottolineare che questa ricerca apporta dati nuovi einediti sui commerci tardoantichi tra l’Africa e Roma. Altre anfore tardoanti-che di vario tipo, insieme ad altri materiali di diversa cronologia, sono stateinoltre recuperate a nord della secca di Skerki-Bank.

Proseguendo in questo sguardo d’insieme, ma volgendo ora l’attenzio-ne alla distribuzione geografica (Fig. 14), i dati di Parker relativi ai relittidatabili tra IV e VII secolo consentono di riconoscere un’inversione di ten-denza: si passa infatti da una netta prevalenza di navi affondate nel Mediter-raneo occidentale nel IV secolo, ad una situazione di parità nel V secolo, e aduna prevalenza, sia pur leggera, del Mediterraneo orientale e, più in genera-le, delle aree sottoposte al controllo bizantino tra VI e VII secolo (Fig. 15);tenendo conto di tutte le precauzioni di cui si è detto e del diverso stato dellericerche nelle due parti del Mediterraneo, mi sembra che questo diagrammarispecchi in qualche modo il progressivo spostamento dell’asse economico edella circolazione delle merci da Ovest verso Est. A proposito del diversolivello delle ricerche archeologiche, da cui dipende non poco la disomoge-neità della distribuzione dei relitti, non sembra un caso che lungo le costemeridionali della Francia (Fig. 16), dove le ricerche sono state più intense,siano noti circa trenta relitti databili tra IV e VII secolo, pari a circa il 23%del totale dell’intero Mediterraneo (la percentuale sale addirittura a 42,5%se ci limitiamo ai soli relitti del IV secolo).

3. Dagli istogrammi generali emerge, nel complesso, un dato, pur con tutte lecorrezioni e gli aggiustamenti necessari, e pur effettuando le integrazioni aidati già presentati da Parker sulla base delle più recenti scoperte; si verificòuna progressiva riduzione del volume degli scambi; la riduzione dei naufraginon può infatti essere spiegabile con un miglioramento delle condizioni disicurezza della navigazione in età tardoantica. Nell’ambito di questa linea ditendenza, però, tra il III e tutto il IV secolo il commercio marittimo conservòsostanzialmente la sua vitalità, per cui possiamo sostenere che questi secolifecero parte integrante di quella “economia mercantile” o, sulle cui caratteri-stiche rinvio alle importanti pagine di Carandini (32) e alle illuminanti osser-vazioni di C. Whickam (33), oltre che alla recente messa a punto di E. Lo

(32) Cfr. in part. CARANDINI 1986.(33) WHICKAM 1988.

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Distribuzione geograficadei relitti tardoantichi(elab. da Parker 1992)

Med. occ.

Med.orien.

Altre aree

FIG. 14 – Diagramma con le attestazioni dei relitti nel Mediterraneo tra il IV e il VII secolod.C. nel Mediterraneo occidentale, in quello orientale e in altre aree (elaborazione da PARKER1993).

Fig. 15 – Diagramma con le attestazioni dei relitti nel Mediterraneo tra il IV e il VII secolod.C. suddivisi per grandi aree geografiche (base: PARKER 1993; rielaborazione di ZANINI 1996).

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Cascio (34), e infine al ricordato saggio di C. Panella (35). Nonostante la fortepresenza pubblica nell’economia, collegata alle esigenze annonarie, non vennemeno un ceto di mercanti indipendenti. Contrariamente a quanto ritengonogli storici primitivisti il mercato era una realtà forte ancora nel Tardoantico,come provano non solo i documenti archeologici ma anche le fonti letterarie,se ben indagate. Per esempio, l’Expositio totius mundi, operetta di geografiaeconomica della metà del IV secolo, sia pur animata da quello che è statogiustamente definito “ottimismo economico” (36), registra le specificità pro-duttive dei vari territori e il loro apporto al commercio non solo regionale maanche interregionale. Questa e le molte altre fonti letterarie, spogliate dellaloro carica retorica e dei riferimenti a situazioni passate, non possono nontrovare un riscontro con la realtà tardoantica (37). Quindi, anche per quel cheriguarda il commercio e la navigazione, le più recenti ricerche vanno disegnan-do un quadro diverso da quello tradizionale incentrato sull’idea di “decaden-za”, come, per esempio, viene ancora ribatito in un volumetto di caratteredivulgativo sulla navigazione di J. Rougé, di recente riproposto in Italia: secon-do lo studioso francese il Tardoantico «segnò anche per la navigazione com-merciale un’effettiva decadenza», per cui «il Mediterraneo fu abbandonato dallegrandi navi e solo qualche piccola imbarcazione assicurava un minimo di rap-porti economici» (38). In tal modo Rougé, secondo una consuetudine diffusa,sembra anticipare al Tardoantico fenomeni più tardi (39).

Tra V e VI secolo, pur potendo contare su un numero complessivamen-te basso di attestazioni (poco più di una cinquantina di relitti), si possonoindividuare alcune interessanti tendenze, soprattutto se messe a confrontocon quelle fornite dai materiali ceramici presenti in alcuni significativi conte-sti stratigrafici terrestri (40); infatti dopo una netta flessione dei naufragi nelV e nei primi decenni del VI secolo, nei due venticinquenni centrali del VI siregistra una relativa “controtendenza” nelle attestazioni di relitti (Fig. 17),che non può non essere messa in relazione con un parziale incremento degli

(34) LO CASCIO 1991.(35) PANELLA 1993.(36) SINKO 1904. Cfr. le riflessioni di MOLÈ 1985.(37) A tal proposito mi limito a citare un libro recente, quello di TANGHERONI 1996, in

part. pp. 3-39, il cui primo capitolo dedicato alla Tarda Antichità, sia pur privo del necessarioapprofondimento specie in relazione alla ricca documentazione archeologica disponibile, con-sente di avere un quadro generale degli scambi e del sistema portuale.

(38) ROUGÉ 1996, pp. 205-206.(39) Sulla rottura della navigazione nel VII secolo cfr. infra.(40) Cfr. FENTRESS, PERKINS 1988 e ZANINI 1996: l’analisi delle presenze quantitative di

ceramica sigillata africana in alcuni siti campione del Mediterraneo occidentale ha infattidimostrato che dopo un picco di presenze intorno al 400 d.C. si registra una flessione, primadecisa poi più graduale, nel corso del V e dei primi decenni del VI, cui fa seguito una leggerarisalita a partire dal secondo quarto e fino al terzo quarto del VI secolo.

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scambi su media-lunga distanza in questi decenni, soprattutto, come si vedrà,nelle zone poste sotto il controllo bizantino (Fig. 18).

Nei commerci marittimi tardoantichi, soprattutto nel Mediterraneooccidentale, una parte centrale fu svolta dalle merci africane, derrate alimen-tari e prodotti artigianali. A questo proposito bisogna richiamare un contri-buto di S. Tortorella (41), che nel 1981 ha pubblicato una preziosa e utilissi-ma analisi della presenza di ceramiche sigillate africane nei relitti della mediae tarda età imperiale, dalla seconda metà del II secolo fino alla metà del VIIsecolo (Figg. 19-20). Con le riserve derivanti dai limiti della documentazione

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Relitti del VI d.C (tot.: 29.)(riel. da Parker 1992)

Fig. 17 – Diagramma con le attestazioni dei relitti del VI secolo distinti nei quattroventicinquenni (rielaborazione da PARKER 1992).

Fig. 18 – Diagramma con le attestazioni dei relitti in tre aree del Mediterraneo bizantino trail IV e il VII secolo d.C. (base: PARKER 1993; rielaborazione di ZANINI 1996).

(41) TORTORELLA 1981; per un quadro d’insieme cfr. anche Atlante I e sulla distribuzio-

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disponibile (analogamente a quanto si è già più volte sottolineato), Tortorellaha corredato questa rassegna con due carte di distribuzione. Nella primasono indicati i relitti con merci ceramiche africane nella varie fasi cronologi-che, da cui emerge una concentrazione in Francia, in Sicilia, nel golfo diTaranto, in Sardegna, alle Baleari, e, dalla fine del IV, secolo anche in Oriente.Carichi di ceramica sigillata da mensa si hanno nei relitti dell’Anse GerbalPort-Vendres 1 (primi decenni del V) (42), Dramont E (primi decenni delV) (43), Femina morta (fine III-inizi IV) (44), Port-Miou (primo quarto delV) (45); in un caso almeno, il relitto di Camarina (fine del II) (46), si ha uncarico di ceramica da cucina a patina cenerognola-ad orlo annerito. Inoltrenel relitto di, Fontanamare (47) (poco dopo il 305) si ha un carico doppio,con vasi da mensa e da cucina. Numerosi sono invece i casi di ceramicheafricane utilizzate a bordo, che sarebbe lungo elencare. L’altra cartina visua-lizza i vari tipi di ceramica africana: la produzione A è documentata dallaseconda metà del II fino alla fine del III-inizi IV, spesso associata nei relitticon ceramica da cucina; nel relitto di Monaco (fine del III?) (48) è affiancataalla ceramica da cucina e alla produzione C, in quello di Femina morta allesigillate C e D. La sigillata C è presente dalla metà del II alla fine del IV-iniziV (per esempio a Yassi Ada 2, dove è associata alla ceramica africana D, oltreche alla sigillata cipriota). La ceramica di produzione A/D è documentatasolo nel relitto di Fontanamare. La sigillata africana in assoluto più docu-mentata in numerosi relitti datati tra il IV e il VI-inizi del VII secolo è la D.

Purtroppo non esiste uno studio analogo per le ceramiche sigillateorientali, in particolare per la Late Roman C ware, ceramica prodotta dallametà circa del IV, che, oltre a conquistare il settore orientale del Mediterra-neo (49), a partire dalla fine del IV-inizi V raggiunse ampiamente, anche se

ne TORTORELLA 1986; si veda anche la recente messa a punto bibliografica di TORTORELLA1995. Quadro aggiornato, anche in riferimento ai siti terrestri, in PANELLA 1993, pp. 639,643-644, 658-660; si veda anche la recente sintesi generale sulle merci ceramiche di REYNOLDS1995; utilissima l’analisi effettuata da FENTRESS, PERKINS 1988 e più recentemente, con nuovidati ed elementi di riflessione, da ZANINI 1996.

(42) PARKER 1992, n. 874, pp. 329-330.(43) PARKER 1992, n. 375, p. 168; cfr. bibliografia specifica infra.(44) PARKER 1992, n. 398, p. 177.(45) PARKER 1992, n. 873, p. 329.(46) PARKER 1992, n. 163, pp. 94-95.(47) Su questo relitto si veda ora la nota di FACCENNA 1993 relativa alle numerose

monete (sia singole che in gruppi concrezionati), che si distribuiscono cronologicamente tral’età di Gallieno e quella di Diocleziano, che confermano una datazione nel primo quarto delIV secolo. PARKER 1992, n. 415, p. 180.

(48) PARKER 1992, n. 708, pp. 279-280.(49) Sintesi in ABADIE, REYNAL 1989.

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non in maniera omogenea, anche la parte occidentale (50).Indicatori principali delle esportazioni sono le ceramiche, da mensa, da

cucina, da illuminazione, e in particolare le anfore (51), ma non dobbiamo maidimenticare tutte quelle merci deperibili che non hanno lasciato tracce. In pri-mo luogo il grano, trasportato in contenitori archeologicamente non docu-mentabili, in apposite navi frumentarie, di cui abbiamo numerosi riferimentinelle fonti letterarie tardoantiche (52). Pertanto quando si rinvengono relittiprivi di carico, o con pochi oggetti ceramici, non va esclusa la possibilità chequeste navi siano state adibite al trasporto di grano o di altre merci deperibili.

Un caso può essere richiamato a tale proposito, anche se esso non èprivo di dubbi: si tratta del relitto 2 dell’Anse di Laurons (Martigues, Bouchedu Rhône), posto a soli m 2,50 di profondità (Fig. 21). Il relitto è stato ogget-

Fig. 21 – Relitto Laurons 2. Particolare della struttura lignea del relitto (foto DRASSM).

(50) Quadro di insieme in PANELLA 1993, pp. 639, 645-646, 657-658, con l’indicazio-ne delle attestazioni principali in Italia e in Occidente; cfr. anche REYNOLDS 1995.

(51) Si veda il contributo di C. Panella in questi stessi Atti.(52) Numerosi dati sono raccolti ora nel volume Le ravitaillement en blé; cfr. in part.

ZEVI 1994. Mi limito solo a titolo di esempio ad alcune attestazioni letterarie da me studiatein relazione alla produzione cerealicola della Puglia tardoantica: SIDON. Ep. 1.10 che attestanel 468 l’arrivo di cinque navi cariche di grano e miele partite da Brindisi e giunte a Roma, in

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to soprattutto di studi di architettura navale da parte di J.M. Gassend (53)(Figg. 22-23), dato il buono stato di conservazione del legno tipico dei relittispiaggiati (54); il relitto, rinvenuto privo del carico, ha avuto inizialmenteuna collocazione cronologica nel II secolo sulla base di una moneta, ma piùrecentemente si è proposta una datazione più tarda tra III e IV secolo, grazieai pochi frammenti ceramici rinvenuti (tra cui un’anfora simile alla Keay 8b-9,una Keay 23, ceramiche comuni, ceramiche sigillate africane e monete) (55).Lasciando da parte il problema della datazione, che resta problematica a cau-sa della possibilità di intrusioni e contaminazioni, è interessante segnalare lascoperta di semi di grano nella pece fuoriuscita da un’anfora (Fig. 24). Ilgrano poteva essere trasportato in sacchi o in altri contenitori o alla rinfusanella stiva: un oggetto di legno è stato interpretato come pala per il grano(Fig. 25).

Non vanno trascurate anche altre merci, come i tessuti, i metalli, i vetri,gli oggetti di cuoio e legno, il papiro, i profumi, i colori, le spezie pregiate.Anche qui è sufficiente un solo esempio letterario: Gregorio di Tours docu-menta l’arrivo nel porto di Marsiglia di olio e salse di pesce (forse dall’Africa)di vino di Laodicea e di Gaza, di papiro e di reliquas species (56). Ma ildossier sarebbe ampio e non può essere qui affrontato analiticamente (57).

occasione di una crisi annonaria; ancora agli inizi del VI CASSIOD. Var. 2.26 e 2.38 attesta l’atti-vità di mercatores frumentari nel porto di Siponto (cfr. VOLPE 1996, pp. 263, 267, 399, 407).

(53) GASSEND, LIOU, XIMÉNÈS 1984; sulle recenti indagini dendrocronologiche si veda P.POMEY, in Bilan scientifique 1994, p. 35.

(54) Si vedano le considerazioni esposte da C. Beltrame in questo stesso volume.(55) XIMÉNÈS, MOERMAN 1991; sugli altri relitti di Laurons cfr. ID. 1987.(56) GREG. TUR. Hist. Franc. 5.5 a proposito dell’olio e di altre derrate: O si te habuisset

Massilia sacerdotem! Numquam naves oleum aut reliquas species detulissent, nisi cartamtantum (...). Lo stesso Gregorio indica altre merci sbarcate abitualmente nel porto marsiglie-se da naves transmarinae: per es. Hist. Franc. 4.43 a proposito di 70 contenitori carichi diolio e salse di pesce sbarcati nel porto e rubati: Igitur advenientibus ad cataplum Massiliensimnavibus transmarinis, Vigili archidiaconis homines septuaginta vasa quas vulgo orcas vocantolei liquaminisque furati sunt, nesciente domino; Hist. Franc. 7.29 a proposito dell’arrivo divini del Mediterraneo orientale, come quelli ben noti di Laodicea e di Gaza (Misitque puerosunum post alium ad requirenda potentiora vina, Laticina videlicet adque Gazitina) (ed. B.KEUSCH, W. LEVISON., MGH, Scriptores rerum Merovingiarum, I, 1 Gregorii Episcopi TuronensisLibri Historiarum X, Hannover 1951 (=1965), pp. 177, 200, 348. Su questi passi di Grego-rio di Tour (e in generale sui commerci tardoantiche in Gallia) si vedano le osservazioni diJONES 1981, pp. 1259, 1636, nota 1.; BONIFAY 1986, p. 301; LOSEBY 1992, p. 173; ROUCHE1993, p. 403; LONG, VOLPE 1996, 1275-1276.

(57) Alcuni cenni si trovano nel citato libro di TANGHERONI 1996 (che purtroppo peròha il limite di non citare le fonti e di essere privo di note bibliografiche); per l’età altomedie-vale è utile consultare gli atti delle XL Settimane del CISAM, Mercati e mercanti nell’altoMedioevo.

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Fig. 22 – Relitto Laurons 2. Sezione schematica dei resti dell’opera morta (da GASSEND, LIOU,XIMÉNÈS 1984).Fig. 23 – Relitto Laurons 2. Sezione ricostruttiva trasversale (da GASSEND, LIOU, XIMÉNÈS1984).

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Fig. 24 – Relitto Laurons 2: semi di grano conservati nella pece (da XIMÉNÈS, MOERMAN 1991).

Fig. 25 – Relitto Laurons 2: pala per il grano (?) (da XIMÉNÈS, MOERMAN 1991).

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4. Passiamo ora in rassegna alcuni casi per ciascun periodo, limitandoci aindicare in particolare alcune scoperte più recenti o più significative.

4.1 Per il III secolo, che ho preventivamente escluso da un’analisi diretta, milimito a segnalare pochi relitti recenti individuati in Italia: uno nei pressi diTarquinia alle Trincere (58), con anfore Africane II, Keay 1A, ceramica afri-cana da cucina e sigillata (Hayes 10A), datato tra la fine del II e la metà del IIIsecolo (Fig. 26). Il secondo caso è relativo ad un gruppo di 4 relitti individua-ti nei pressi di Olbia dalla Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro escavati da R. D’Oriano, ma ancora inediti (59). Il più antico di questi relitti èquello della Villa del Siciliano, di cui si conserva anche parte dello scafo,datato alla fine del III secolo, grazie alla ceramica sigillata africana A e C, allaceramica da cucina e alle anfore africane di medie dimensioni (Keay 3, 4, 6,7, 11). Nella stessa zona sono stati scoperti anche due relitti, uno cosiddettodei Catini e l’altro di Cala Pascale, datati alla seconda metà del IV secolo d.C.Nel Relitto dei Catini il carico era composto non soltanto da anfore africanedi medie e grandi dimensioni (Keay 3, 5, 32, 36), ma anche da un consistentenumero di vasi (catini o più verosimilmente pitali). Il materiale ceramico delrelitto di Cala Pascale è costituito da anfore africane di grandi dimensioni eda spathia. Sempre nella stessa zona è stato individuato un quarto relitto,quello degli Scogli del Fico, dal quale provengono ceramica africana da cuci-na, una lucerna di produzione tripolitana, anfore di grandi dimensioni (Keay42, 59, 61, 66) e un’anfora palestinese. È stata proposta una datazione allafine del V secolo, ma non escluderei una data più recente, se è vero che sonopresenti anfore Keay 61, difficilmente databili prima della seconda metà-finedel VI secolo. C’è da augurarsi che possano proseguire le ricerche nella zona,considerato l’interesse di queste scoperte, che confermano una certa vitalitàdel porto di Olbia e dell’attività commerciale della città, nonostante le diffi-coltà derivanti da un progressivo interramento delle strutture portuali, comedimostra anche la stessa localizzazione dei relitti immediatamente all’esternodel porto.

Arricchiamo questo quadro largamente incompleto con una novità resti-tuita dalle acque della Sicilia: nel 1996 è stato indagato un interessante relittoa Punta Mazza (Milazzo) (60), datato nella prima metà del III secolo, con uncarico molto composito, costituito da ben nove tipi anfore orientali (tra cuisono prevalenti le Knossos 18, oltre ad anfore di tipo Dressel 30 similis forse di

(58) PONTACOLONE, INCITTI 1991.(59) Lo studio dei materiali è stato condotto per la sua tesi di laurea (Università di Pisa

A.A. 1995-96) da Eleonora Noto, che ringrazio per le informazioni che mi ha amichevol-mente fornito.

(60) TIGANO 1997 e in particolare sul carico del relitto OLLÀ 1997.

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Fig. 26 – Tarquinia, relitto delle Trincere. Istogrammi con le attestazioni delle varie classi delcarico (da PONTACOLONE, INCITTI 1991).

produzione orientale – le argille sono attribuibili all’area cilicia – e contenitorimonoansati Agora di Atene F 65-66, e altri tipi ancora) (Fig. 27), da ceramichecorinzie a rilievo e da altri oggetti provenienti da varie località del Mediterra-neo orientale, probabilmente destinato al grande mercato romano.

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Fig. 27 – Milazzo, relitto di Torre Mazza: campionatura delle anfore del carico (Knossos 18,Dressel 30 similis, contenitori monoansati) (da OLLÀ 1997).

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(61) Sulle fornaci di Pellaro e di Lazzaro Vecchio, cfr. ANDRONICO 1991, pp. 731-736;GASPERETTI, DI GIOVANNI 1991, pp. 876-979; su quelle di Naxos, FALLICO 1978, pp. 632 -633e GASPERETTI, DI GIOVANNI 1991, p. 880

(62) Le anfore Keay 52, riconosciute solo di recente, sono state oggetto negli ultimianni di numerosi studi: cfr. KEAY 1984, pp. 267-268; ARTHUR 1989; da ultimi GASPERETTI, DIGIOVANNI 1991; SANGINETO 1991, pp. 753-754; PANELLA 1993, in part. 646-648; una sintesi èanche in VILLA 1994, in part. pp. 346-350, 361-366; per una recente messa a punto cfr.PACETTI c.s.; si veda anche DI GANGI, LEBOLE, SABBIONE c.s. In relazione all’economia dellaCalabria tardoantica cfr. GRELLE, VOLPE 1996, pp. 146-148.

(63) MARINO, CORRADO 1996.(64) AURIEMMA c.s.; EAD. 1997, pp. 233-234; VOLPE, AURIEMMA 1997.(65) Un’analisi della distribuzione, con carta di diffusione e bibliografia specifica in

ARTHUR 1889, pp. 137-141, e fig. 3.; GASPERETTI, DI GIOVANNI 1991, pp. 882-884 e ora PACETTIc.s. Un elenco completo delle attestazioni calabresi è in DI GANGI, LEBOLE, SABBIONE c.s.

(66) Si veda ora il quadro elaborato da PANELLA, TCHERNIA 1994, pp. 145-165, in part.i grafici 2-3 e la tab. 3; i dati sui contesti romani, con al bibliografia specifica sono indicati inGRELLE, VOLPE 1996, p. 148; cfr. le considerazioni di PANELLA 1993, pp. 647-648, nota 137.

4.2 Per il periodo compreso tra IV e VI secolo è interessante segnalare unaserie di relitti in cui compaiono le anfore Keay 52 (Fig. 28), contenitori vinariitalici di piccole dimensioni, prodotti nella zona dello stretto di Sicilia a Naxos(Fig. 29) e in Calabria (61), su cui si sono avute recentemente notevoli acqui-sizioni (62). Sono stati da poco segnalati due relitti il cui carico principaledoveva essere costituito da queste anforette, uno a Capo Alfieri nei pressi diCrotone (63) (Fig. 30), l’altro lungo la costa ionica salentina a Lido Marini(Salve, Lecce) nei pressi di Ugento (64) (Fig. 31). È importante sottolineareche questi due relitti (oltre a vari altri rinvenimenti decontestualizzati effet-tuati lungo la costa ionica salentina) sono posti lungo la stessa rotta di attra-versamento dello Ionio tra Crotone e Leuca, e testimoniano pertanto un assedi diffusione da Ovest verso Est. Finora queste anforette erano note, in nu-mero limitato, in altri relitti (tutti databili tra la fine del IV e la prima metàdel V secolo), come quelli di Yassi Ada 2 (Fig. 9.6), di Pian di Spille nei pressidi Tarquinia e di Dramont F (Fig. 33.5). Recentemente una nuova significati-va attestazione si è avuta anche nel già citato relitto profondo tardoanticoIsis (Figg. 13, 32). Queste attestazioni subacquee si affiancano a quelle, abba-stanza numerose, dei siti terrestri, testimoniando, nell’insieme, una significa-tiva diffusione di questi contenitori italici tardoantichi nel Mediterraneo, daMarsiglia a Luni, a Roma, a Napoli, a Capua, all’Adriatico, fino al Mediter-raneo orientale e all’Africa (65). Elementi particolarmente interessanti sonoforniti dalla città che costituiva una delle destinazioni privilegiate, Roma,con gli approdi di Ostia e di Portus, anche in relazione alle esigenze annona-rie: in vari contesti stratigrafici queste anforette raggiungono, nel V secolo,indici del 20% circa sul totale dei contenitori da trasporto (66). Una situazio-ne analoga si riscontra anche in un altro grande porto del Mediterraneo occi-

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dentale tardoantico, Marsiglia, dove le anfore Keay 52 sono particolarmenteabbondanti (24% circa) nel secondo quarto del V secolo (67).

4.3. Come è noto, a Cap Dramont sono stati rinvenuti due relitti tardoantichi,che presentano alcune analogie, uno Dramont F, a -58 metri, molto ben con-servato, l’altro, Dramont E, posto a 40-42 metri di profondità, scoperto nel1965, largamente depredato, indagato parzialmente prima negli anni 1966-68e poi sistematicamente scavato nel corso di più campagne, tra il 1981 e il 1991.

In particolare il relitto F (68) documenta un’imbarcazione di limitate di-mensioni (circa m 4x10 o 5x12) di 5-6 tonnellate, con un carico di oltre centoanfore (Fig. 33), appartenenti a vari tipi di produzione africana, cilindriche di

Fig. 28 – Carta dei rinvenimenti terrestri e subacquei di anfore Keay 52 (rielaborazione daARTHUR 1989).

(67) BONIFAY 1986; BONIFAY, CONGES, LEGUILLOUX 1986, pp. 660-663; cfr. ora BONIFAY,PIERI 1995, in part. pp. 114-116.

(68) JONCHERAY 1975a; PARKER 1992, n. 376, pp. 168-169.

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Fig. 29 – Anfora Keay 52 prodotta nelle fornaci di Naxos (foto F. Faccenna).Fig. 30 – Crotone, relitto di Capo Alfieri: anfore Keay 52 del carico (foto F. Faccenna).Fig. 31 – Salve, Lido marini: anfora Keay 52 del relitto (foto R. Auriemma)Fig. 32 – Stretto di Sicilia, relitto Isis: anfora Keay 52 (da MCCANN, FREED 1994).

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Fig. 33 – Relitto Dramont F. Anfore del carico. 1-3: Keay 25; 4: Almagro 51a; 5: Keay 52(scala 1:10)(da JONCHERAY 1975a).

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medie dimensioni (Keay 25), oltre ad una Almagro 51a e, come si è detto, aduna Keay 52. La datazione si pone tra la fine del IV e i primi anni del V secolo.

Il vicino relitto Dramont E (69), di dimensioni leggermente maggiori(m 5x15) (Fig. 34) aveva un carico di anfore africane cilindriche di dimensio-ni differenti e di spathia (Figg. 35-37): le anfore risparmiate dal depreda-mento (4 intere, 14 colli, 6 pance e 153 parti inferiori) sono state suddivisein vari tipi. Evitando di entrare nel dettaglio dell’analisi tipologica, è suffi-ciente ricordare che si tratta di anfore africane cilindriche alcune attribuibilialla forma Keay 35A e B e Keay 25, di spathia di piccole e grandi dimensioni,e di Almagro 51c (Fig. 37); le Keay 25 e gli spathia contenevano al momentodella scoperta noccioli di olive all’interno, mentre il rivestimento di pecepresente sulle pareti interne delle Keay 35B lascia ipotizzare un trasporto disalse di pesce; al contrario le Keay 35A, non impeciate, dovevano evidente-mente essere adibite al trasporto dell’olio; infine in alcune anfore di grandidimensioni sono stati ritrovati resti di ossa di maiale. La valutazione del cari-co ha portato l’editore a proporre un numero di 700-750 anfore. Interessan-te è anche il gruppo di ceramiche da mensa, prevalentemente sigillate africa-ne D (Hayes 50B, 61B, 64, 65) (Fig. 38), con numerosi motivi decorativi,oltre a ceramiche comuni e una lucerna africana. I vari elementi del carico,insieme ad un gruppo di 143 monete, datate tra IV e V secolo, hanno sugge-rito la data del naufragio nel secondo quarto del V secolo.

Anfore Keay 25 simili a quelle dei due relitti tardoantichi di Dramontsono state recuperate nel relitto delle Scole all’Isola del Giglio, noto già dal1961, posto a circa 50 metri di profondità e ampiamente depredato (70).

4.4 Ancora in ambito francese, un caso interessante è quello rappresentatodal relitto della Pointe de la Luque B (71) (databile alla fine del III-IV secolo),posto su un piano inclinato a 30-37 metri di profondità (Figg. 39-40). Que-sta imbarcazione di una ventina di metri e di circa 80 tonnellate, trasportavaanfore africane cilindriche (Fig. 41), di cui sono stati rinvenuti 75 esemplari,e una partita di 250 lucerne, di cui 114 intatte, di produzione africana, in

(69) JONCHERAY 1975b; POMEY et al. 1989, pp. 44-45; PARKER 1992, n. 375, p. 168 eora l’edizione completa SANTAMARIA 1995.

(70) RENDINI 1991, pp. 106-107; una breve scheda è stata fornita dalla stessa autriceanche in MARTELLI et al. 1982, pp. 50-51, fig. 25 ab; PARKER 1992, n. 1055, p. 391; grandeinteresse rivestono anche i numerosi materiali tardoantichi (in particolare anfore spagnoleAlmagro 51a-b, Alamagro 51c, contenitori cilindrici africani di grandi dimensioni, Keay 25,25, 62, spathia e anfore orientali, soprattutto di tipo LRA 1-Kellia 169) rinvenuti nella zonaportuale del Giglio, che dimostrano la vitalità dello scalo ancora tra V e VI secolo: cfr. REN-DINI 1991, pp. 109-116.

(71) LIOU 1973, pp. 579-584; ID. 1975, pp. 578-581; CLERC, NEGREL 1973; P. POMEY eM. LEGUILLOUX, in FÉVRIER 1986, pp. 188-190; PARKER 1992, n. 611, p. 247.

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Fig. 34 – Relitto Dramont E. Pianta del relitto (da SANTAMARIA 1995).

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Fig. 35 – Relitto Dramont E. Veduta di alcune anfore del carico (da SANTAMARIA 1995).Fig. 36 – Relitto Dramont E. Veduta di alcune anfore del carico (da SANTAMARIA 1995).

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ceramica comune, con vari bolli di fabbrica (VIC VICTOR, VICTORI/NVS,Q. VICTORI/NVS, VISIARI, DE OFICINA CECILI) (Fig. 42), oltre a sigil-lata lucente (Lamboglia 14/26) e sigillata africana C. Anfore simili a quelledi Pointe de la Luque B sono state rinvenute sul coevo relitto di HéliopolisA (72), che però presenta anche un’anfora LR3.

C’è poi da considerare un gruppo di relitti francesi, il cui carico è com-posto prevalentemente, se non esclusivamente, da anfore d’origine ispanica,che è da mettere in connessione con i relitti simili rinvenuti in Sardegna,Corsica e Spagna, che descrivono una ben precisa e molto importante rotta com-

Fig. 37a – Relitto Dramont E. Campionatura delle anfore del carico: 1-3: africane cilindrichedi grandi dimensioni (da SANTAMARIA 1995).

(72) LÉQUEMENT 1976, p. 188; PARKER 1992, n. 499, pp. 210-211; nel 1991 è statoavviato uno scavo del relitto, che ha portato al recupero di anfore africane Dressel 27, cera-mica comune oltre a resti della nave: cfr. J.-P. JONCHERAY, in Bilan scientifique 1992, p. 51.

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Fig. 37b – Relitto Dramont E. Campionatura delle anfore del carico: 4-5: Keay 25; 6-7:spatheia di piccole e grandi dimensioni; 8: Almagro 51c (scala 1:10) (da SANTAMARIA 1995).

merciale. Un modello in questo senso è costituito dal relitto dei Catalans (73),con anfore Almagro 51c, oltre a Beltrán 72 e ad anfore africane cilindriche(Fig. 43). Molto simile è il caso della Chretienne D, relitto noto da moltotempo e recentemente scavato da J.-P. Joncheray (74), che ipotizza una navecon un carico importante, di circa 500 anfore, che secondo i calcoli fatti suimateriali raccolti, sarebbe stato composto per il 58,6% da Almagro 51c, peril 17,8% da Dressel 23, per il 13,8% da anfore africane cilindriche, e infine

(73) LIOU 1973, pp. 585-586; LÉQUEMENT 1976, p. 183; PARKER 1992, n. 280, p. 132.(74) LÉQUEMENT 1976, pp. 183, figg. 6b, 9e; POMEY et al. 1989, pp. 42-43; PARKER

1992, n. 305, p. 142. Cfr. ora J.-P. JONCHERAY, in Bilan scientifique 1994, p. 54.

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nello 0,6% da Beltrán 72. A questi relitti può essere affiancato anche quellodi Pampelonne (studiato da R. Lequément) (75), posto alla profondità di 65

Fig. 38 – Relitto Dramont E. Campionatura delle ceramiche sigillate africane D del carico: 1:Hayes 50 B; 2: Hayes 61B; 3: Hayes 64; 4: Hayes 65 (scala 1:3) (da SANTAMARIA 1995).

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(75) LÉQUEMENT 1976.

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metri, anch’esso con anfore africane cilindriche e anfore lusitane di tipoAlmagro 51c, oltre ad un’anfora della Mauretania Caesarensis, databile nellaprima metà del IV secolo. Anche a grande profondità, a 65 metri, è il relittoPlanier 7 (76) (prima metà del IV) (Fig. 44), molto depredato, con un caricomisto di anfore africane II e anfore spagnole Almagro 50 contenenti salse di

Fig. 39 – Relitto della Pointe de la Luque B: veduta dei resti lignei del relitto (da GIANFROTTA,POMEY 1981).

(76) BENOIT 1962, pp. 157-159; LIOU 1975, pp. 582-583; PARKER 1992, n. 830, pp.317-318.

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973)

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Fig. 41 – Relitto della Pointe de la Luque B: anfore cilindriche africane del carico (scala1:10)(da LIOU 1973).

pesce, come nel caso del relitto 1 dell’Anse Gerbal a Port-Vendres (77) (unaAlmagro 51c è stata rinvenuta nei pressi del relitto di Planier 7).

(77) LIOU 1975, pp. 571-573; PARKER 1992, n. 874, pp. 329-330. Recentemente nel-l’area di Port-Vendres è stata individuata un’altra zona con una concentrazione di materialitardoantichi (un’anfora Almagro 51c, frammenti di LRA 3 e di ceramica sigillata africana DHayes 61B) datati alla prima metà del V secolo: pur con i dubbi relativi all’effettiva presenzadi un altro relitto tardoantico si è proposta la denominazione di Port-Vendres 7: cfr. N.GASSIOLLE, in Bilan scientifique 1995, p. 34.

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Una nuova traccia di questi contatti commerciali è stata recentementeindividuata nelle acque della Sardegna grazie al relitto Cala Reale A (L’Asinara1) (78), scavato da P.G. Spanu. La nave, per la quale è stata proposta unadatazione tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, trasportava salse di pesceconservate in anfore Almagro 51a-b, Beltrán 72 e Almagro 51c; sono stateinoltre recuperate alcune lucerne tripolitane e africane, di forma Atlante VIII,alcuni frammenti di ceramica africana da cucina, oltre a due monete e moltetessere musive in pasta vitrea. Si tratta di uno dei vari documenti della rottaesistente in questa fase tra l’area meridionale della penisola iberica, più spe-

Fig. 42 – Relitto della Pointe de la Luque B: alcune lucerne del carico (da FÉVRIER 1986).

(78) SPANU 1997.

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Fig. 43 – Anfore di tipo Almagro 51c rinvenute sui relitti di Pampelonne (a), Planier 7 (b),Chretienne D (c-e) (da LEQUÉMENT 1976).

(a)(b)

(c) (d)

(e)

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cificamente la Lusitania, e i mercati della Sardegna, della Gallia e, soprattut-to, di Roma e della penisola italiana, come confermano numerosi relitti indi-viduati alle Baleari, tra cui il Cabrera III (con anfore Africane II, Dressel 20 e23, Almagro 50, 51C e Beltrán 72) (79), quelli posti lungo la costa centrale enord-occidentale della Sardegna (Mal di Ventre 1, 2, 3, Mandriola 1, S.Archittu, Lazzaretto, Scoglio Businco, capo Falcone, Capo Testa, Cala Rea-le A) (80), e sulla costa meridionale della Corsica, nelle Bocche di Bonifa-cio (81), come il relitto Sud-Lavezzi 1 (82), molto simile a quello dell’Asinara,oltre che lungo la costa meridionale della Francia (per esempio i già citatirelitti dei Catalans, Chrétienne D di Saint Raphaël, della Baie de Pampelonne).

Fig. 44 – Relitto Planier 7: veduta delle anfore del carico (da BENOIT 1962).

(79) BOST et al. 1992.(80) Carta di distribuzione e bibliografia in SPANU 1997.(81) Cfr. in generale BEBKO 1971; elenco e bibliografia dei relitti corsi ora in ZUCCA

1996, pp. 163-168; un nuovo sito subacqueo, inizialmente interpretato come relativo a duerelitti tardoantichi (H. BERNARD, M.-P. JÉZÉGOU, in Bilan scientifique 1993), dopo un inter-vento di scavo, è stato riferito ai resti di un insediamento terrestre (H. BERNARD, in Bilanscientifique 1994, p. 59).

(82) LIOU 1982, pp. 437-444; PARKER 1992, n. 1117, p. 414.

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4.5 Spingiamoci ora nel VI secolo, i cui relitti offrono la possibilità di effet-tuare alcune considerazioni relative alla fase finale del periodo di cui ci occu-piamo. All’interno di questo secolo si nota infatti una relativa concentrazio-ne di relitti nel cinquantennio centrale. Si è già detto che questo periodosembra segnare anzi un’inversione di tendenza nel generale processo di dira-damento del naviglio in età tardoantica (Fig. 17). Come ha fatto notare E.Zanini, analizzando l’economia dell’Italia bizantina «i naufragi databili al VIsono comunque di più di quelli relativi al secolo precedente e circa la metà diquelli databili al IV secolo, vale a dire ancora in un momento di piena effi-cienza del sistema distributivo delle merci proprio del Mediterraneo tardo-antico» (83). È verosimile che si debba mettere in relazione questa relativaconcentrazione di relitti nel secondo e terzo quarto del secolo con la fase diespansione territoriale e riorganizzazione dell’impero bizantino che caratte-rizza l’epoca giustinianea. Seguendo l’analisi di Zanini risulta evidente chela circolazione navale sembri riguardare essenzialmente l’area bizantina,cioè le regioni del Mediterraneo centrale e orientale (dove le navi circolan-ti sembrano essere quantitativamente pari a quelle del IV secolo), mentre siaccentua la riduzione di presenze in Occidente. In particolare la “ripresa”bizantina del VI secolo appare interessare specificamente il bacino centro-meridionale del Mediterraneo con una concentrazione di attestazioni inarea siculo-maltese (84) (Fig. 18).

Per illustrare questa fase farò ricorso ad un relitto francese indagatopersonalmente, in collaborazione con L. Long, in località La Palud, nell’isoladi Port-Cros (Isole di Hyères) (85) (Fig. 45). Qui, nel corso di tre anni, un’équi-pe italo-francese ha indagato i resti di un relitto tardoantico, sovrapposto adun piccolo relitto massaliota, e da questo separato da uno strato sterile. Ilcarico del relitto tardoantico Palud 1 è composto prevalentemente da anforeafricane cilindriche di grandi dimensioni, appartenenti alle forme Keay 55,Keay 62A e Keay 62B,Q = Albenga, tipo C, n 11-12, oltre ad altri tipi menonoti. Su alcune anfore Keay 62A compare una serie di iscrizioni graffite primadella cottura, raffiguranti cristogrammi, una croce con apicature ai vertici e unarchetto semicircolare, un triangolo con il lato inferiore interrotto (o lambda),

(83) ZANINI 1994, pp. 73-76, fig. 22; ID. 1998, pp. 291-332, in part. pp. 293-297; cfr.anche ID. 1996, in part. pp. 681-688.

(84) ZANINI 1994, p. 72, fig. 19. Recentemente proprio a Malta è stato segnalato unnuovo sito subacqueo tardoantico nell’area del porto interno di Marsascala relativo ad unrelitto o forse ad una discarica portuale con materiali omogei di V-VI secolo, tra cui soprat-tutto anfore LR 1, Keay 55 e 62: cfr. L. LONG, in Bilan scientifique 1993, pp. 67-68; Bilanscientifique 1994, p. 69.

(85) LONG, VOLPE 1994, 1996, 1997 e c.s.; cfr. anche ID., in Bilan scientifique 1993,pp. 46-47; in Bilan scientifique 1994, pp. 48-49; in Bilan scientifique 1995, p. 53.

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e una A con tratti spezzati, una palmetta (Fig. 46). Resta problematica la defi-nizione del contenuto di queste anfore africane: da sempre si è pensato all’olio,ma recentemente M. Bonifay, sulla base di una serie di esemplari rivestiti dipece, ha insistito sulla possibilità che trasportassero salsamenta (86). Nel casodelle anfore della Palud non sembra che possano esserci dubbi, poiché sullemigliaia di frammenti recuperati non è mai stata rinvenuta traccia del rivesti-mento di pece, per cui si deve necessariamente pensare all’olio. Oltre alleanfore africane, sono attestati vari contenitori del Mediterraneo orientale,tra cui alcuni esemplari di LRA 1, assegnabili al tipo Kellia 164 tipico del VIsecolo, almeno sei anfore LR 2, alcune anfore di Gaza LR 4 e un paio di LRA5. Facevano parte del carico, infine, alcune anforette con orli a profilo trian-golare e un’anforetta con stretto orlo a nastro e pareti striate cui forse variferito un fondo umbonato. Tra la ceramica di bordo va segnalata la sigillataafricana D, documentata da piatti e scodelle di vario tipo (Hayes 88, 99,103B, 104A) e un’interessante coppa in Late Roman C ware di forma Hayes3C. Un reperto particolarmente interessante, anche per le implicazioni cro-nologiche, è un cofanetto di legno contenente una bilancia di precisione conalcuni pesi (Fig. 47), tra cui uno figurato con la rappresentazione molto roz-za di due personaggi accostati con un copricapo di forma semicircolare. Si

(86) BEN LAZREG et al. 1995.

Fig. 45 – Port-Cros, La Palud: sezione stratigrafica con la sovrapposizione dei due relittiPalud 1 (VI d.C.) e Palud 2 (VI a.C.) (dis. G. Volpe).

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Fig. 46a – Relitto Palud 1. Campionatura delle anfore africane e orientali del carico: 1: Keay55a; 2: Keay 62a con graffito paleocristiano; 3: Keay 62B,Q; 4: LRA1; 5: LRA 2; 6: LRA 4;7: LRA 5 (non in scala) (da LONG, VOLPE 1997).

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tratta certamente di una coppia imperiale, che è però molto difficile identifi-care con certezza riferendosi all’iconografia monetale: confronti possonocomunque essere stabiliti con le emissioni del 528 di Giustino I e Giustinianoe soprattutto con quelle di Giustino II e Sofia (565-578) e in particolare conquelle della zecca di Cartagine. La cronologia trova piena corrispondenzacon i dati offerti dalle ceramiche. Il carico della nave affondata alla Palud èvalutabile in 150-200 anfore: si trattava quindi di un piccolo battello, anchese, considerando che le anfore cilindriche africane hanno una capacità di 80-90 litri, l’entità complessiva risulta non indifferente (circa 120-180 ettolitridi olio africano oltre ad una più limitata quantità di vini orientali).

Il relitto della Palud costituisce al momento uno dei documenti più si-gnificativi di quella “ripresa” delle esportazioni di derrate alimentari dal-l’Africa bizantina dirette verso i mercati della Francia e della Catalogna, checostituivano alcune delle mete privilegiate di questi flussi commerciali. Èpossibile rintracciare altre tappe di questa rotta, soprattutto in Sicilia, che inquesto senso svolse una funzione centrale: oltre al relitto di Filicudi Porto Aindividuato dal Lamboglia (87), con un carico di Keay 62, mi riferisco inparticolare a due relitti, uno dei quali però è molto problematico, quelli diCefalù e di Ustica.

K. 62A K. 55 LRA 1 LRA 4 anforette0

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K. 62A K. 55 LRA 1 LRA 4 anforette

Relitto Palud 1anfore

orli

fondi

totale

Fig. 46b – Relitto Palud 1. Diagramma con le attestazioni dei vari tipi di anfore.

(87) ALBORE LIVADIE 1985, pp. 95-97; PARKER 1992, p. 178, n. 401.

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4.6 Il relitto di Cefalù (88), mai oggetto di un vero e proprio scavo, ha resti-tuito una notevole varietà di materiali, tra cui anche delle anfore Keay 55 e62, LRA 1 e 2 simili a quelle della Palud, oltre ad altri tipi africani e orientalie a ceramiche sigillate e comuni (Fig. 48). Questi materiali, datati da Purpuraal VI-VII secolo, e l’individuazione di elementi lignei hanno suggerito alloscopritore l’ipotesi che si sia in presenza di un tipo di nave da guerra bizanti-na, anche se restano aperti vari problemi che solo uno scavo sistematico po-trebbe forse risolvere (89).

Il relitto profondo di Ustica è stato individuato da un sommergibiledell’IFREMER a 3200 metri nel corso delle ricerche e del recupero dell’ae-reo qui affondato (Fig. 49). Dai pochi dati disponibili, sembra che questorelitto, ovviamente data la profondità conservato in maniera straordinaria,sia una specie di gemello di quello della Palud: nell’unica immagine finora

Fig. 47 – Relitto Palud 1. Cofanetto di legno con bilancia di precisione.

(88) PURPURA 1983; PARKER 1992, pp. 137-138, n. 292.(89) Sulla base di recenti prospezioni sono state fortemente messe in dubbio l’omoge-

neità del sito e l’attribuzione dei resti lignei al relitto bizantino, ed è stata ipotizzata la presen-za di un ancoraggio e di scarichi portuali: informazione di F. Faccenna e S. Tusa. Recente-mente G. Purpura mi ha invece ribadito la sua convinzione, adducendo nuove interessantiprove; mi sembra che l’unica soluzione consista nell’avviare uno scavo sistematico di questoimportante sito, più volte richiamato in trattazioni generali sui commerci tardoantichi (cfr.per es. PANELLA 1993, p. 676 e ZANINI 1994, p. 72).

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Fig. 48 – Cefalù. Anfore africane e orientali rinvenute nella zona del relitto tardoantico (nonin scala) (da PURPURA 1983).

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Fig. 49 – Ustica. Relitto del VI secolo individuato a 3200 metri di profondità (si notino leanfore africane Keay 55 e 62A e una probabile anfora orientale LRA 2).

(90) KAPITÄN 1971; KAPITÄN 1980; PARKER 1992, p. 267, n. 671.(91) PARKER 1992, pp. 107-198, n. 202.(92) PARKER 1992, p. 121, n. 245.(93) PARKER 1992, pp. 418-419, n. 1131.

pubblicata è possibile individuare infatti, ancora impilate, le anfore Keay 62,Keay 55 ed anche LR 2, esattamente come nel relitto francese.

Il commercio non riguardava solo derrate alimentari. Tra gli esempiche sarebbe possibile citare, mi limito a indicare solo alcuni di quelli forsepiù noti, e cioè il relitto Marzamemi B (90), della prima metà del VI secolo,con i resti di una “chiesa prefabbricata” (Figg. 50-52): la nave affondata nelleacque della Sicilia sud-orientale trasportava infatti una serie di elementi ar-chitettonici destinati alla decorazione dell’interno di una basilica (colonne,basi, capitelli, altare, ambone, ecc., già lavorati e pronti per la messa in ope-ra), o i relitti con carichi di tegole e coppi per la copertura di edifici, comequelli di Cape Andreas A a Cipro (con tegole, del V-metà del VI secolo) (91),di Capo Passero in Sicilia (con tegole, datato al V-VII secolo) (92), o concarichi di macine come il relitto Taranto A (V-VII secolo) (93), o di metalli,

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come il relitto di Favaritx in Spagna (V-VII secolo) (94), di Mateille A aGruissan in Francia (con lingotti di bronzo e altri materiali metallici, del 400-425) (95), o il ricordato relitto dei Bronzi di Brindisi.

4.7 Per il VII secolo, che segna il punto d’arrivo della mia analisi e al tempostesso il momento finale della grande circolazione mediterranea delle mer-ci (96), piuttosto che attardarmi sul noto e ben pubblicato relitto di Yassi Ada1 (Fig. 53), è più produttivo riservare un cenno almeno ad un altro relitto, almomento ancora di fatto inedito, che spesso viene citato e indicato nei lavoridi sintesi sull’economia tardoantica e altomedievale. Si tratta del relitto SaintGervais 2, a Fos-sur-Mer, scoperto nel 1978 e scavato da M.-P. Jézégou (97).

Fig. 50 – Relitto Marzamemi B: veduta di alcune colonne del carico (da KAPITÄN 1980).

(94) PARKER 1992, p. 176, n. 397.(95) SOLIER et al. 1981; PARKER 1992, pp. 270-271, n. 682.(96) Ciò non vuol dire che non ci fu più alcuna forma di commercio, anche su media-

lunga distanza, come sempre più vanno dimostrando le più recenti ricerche (tra cui gli scavidella Crypta Balbi a Roma, o di Saraçhane), dalle quali si desume, per esempio, che la produ-zione ed esportazione di sigillate africane, verosimilmente accompagnate da derrate alimen-tari, continuò ancora nel VII secolo: cfr. le considerazioni a tale proposito di ZANINI 1996

(97) JÉZÉGOU 1983; PARKER 1992, pp. 372-373, n. 1001; cfr. ora JÉZÉGOU c.s.

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Il sito era posto a soli 2,50 m di profondità, per cui il materiale raccolto,molto eterogeneo, con intrusioni di oggetti più antichi e più recenti, ha sem-pre posto grandi difficoltà di interpretazione. Il materiale attribuibile al relit-to tardoantico sembra essere stato sigillato dalla pece che le anfore rotte almomento del naufragio avrebbero fatto fuoriuscire, nella parte centrale dellanave, che si ipotizza di dimensioni ridotte (m 15 ca.). Questi oggetti sembra-no appartenere alla dotazione di bordo. Tra la ceramica si segnala la sigillataafricana D (Hayes 67, 99C, 104C, 108, 109), una lucerna Atlante X, la sigil-lata grigia Rigoir 1, la ceramica comune; tra le anfore sono attestate le Keay61, 62 e 8A. Sono infine presenti fibbie di cinture merovingie e una preziosamoneta di Eraclio. Sulla base di questi elementi una datazione nell’ambitodella prima metà del VII secolo sembra molto convincente.

5. Dal quadro, frammentario e spero non confuso, che ho tentato di traccia-re con una serie di esempi, mi auguro che emergano alcune linee che, messea confronto con i dati provenienti dalle stratigrafie dei siti terrestri oltre che

Fig. 51 – Relitto Marzamemi B: pianta del sito con localizzazione dei pezzi architettonici (daKAPITÄN 1980).

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con altri tipi di fonti, contribuiscono a chiarire le dinamiche di fondo degliscambi commerciali tardoantichi.

Per esempio, emerge con forza l’egemonia delle merci africane, derratealimentari come olio e salse di pesce, e prodotti artigianali, tra il III e gli inizidel V secolo. Si coglie una certa continuità nelle esportazioni a partire dal-l’età vandala (secondo-terzo quarto del V secolo), anche se nel quadro di unaprogressiva flessione, che si accentua tra la fine del V e gli inizi del VI secolo;si individua una fase di inversione di tendenza in coincidenza con la ricon-quista bizantina (secondo-terzo quarto del VI secolo). Si intuisce il ruolosvolto dalle regioni meridionali dell’Italia, che, soprattutto a partire dal mo-mento in cui, con la fondazione di Costantinopoli, il grano dell’Egitto co-

Fig. 52 – Relitto Marzamemi B: ricostruzione grafica dell’ambone (da KAPITÄN 1980).

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minciò ad essere indirizzato verso la nuova capitale orientale, conobbero unnotevole sviluppo dell’economia agraria. I relitti con anfore Keay 52 aiutanoa indicare questo ruolo, anche se il grande assente dell’archeologia subac-quea (direi dell’archeologia tout-court) è il grano, che in Sicilia, in Apulia ein altri territori suburbicari costituiva il fulcro della produzione agraria tar-doantica. Si desume, infine, anche dai relitti la cesura nei traffici mediterra-nei antichi che si andò progressivamente verificando e che si accennò inmaniera definitiva nel VII secolo. In generale mi auguro che sia emersol’importante e, per certi aspetti, insostituibile ruolo che la ricerca archeolo-gica subacquea può e deve svolgere per una migliore conoscenza storica diquesto periodo.

Riutilizzando e adattando una felice espressione recente di J.-P. Morel (98)a proposito dell’uso della ceramica per la ricostruzione storica, potremmodire che se è possibile scrivere la storia dei relitti, non è forse (ancora) possi-bile scrivere la storia per mezzo dei relitti; ma dobbiamo evitare estremizzazioniparalizzanti, per cui continuando a parafrasare Morel (e sostituendo la paro-la “relitti” a “ceramica”), possiamo anche dire «che questo giudizio è eccessi-vo, se gli indizi “forniti dai relitti” sono utilizzati in maniera prudente, am-pia, comparativa, soprattutto prestando attenzione alle differenze e alle va-riazioni di un sistema geografico e cronologico dato». Questa avvertenza,

Fig. 53 – Relitto Yassi Ada 1. Ricostruzione grafica della nave bizantina del VII secolo (daBASS, VAN DOORNINCK 1982).

(98) MOREL 1983, p. 76.

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valida in riferimento ad ogni periodo storico, mi pare quanto mai appropria-ta in relazione alla storia del Tardoantico.

Qui mi fermo, scusandomi per le molte omissioni e per aver dedicato inapertura molto tempo a questioni forse non strettamente attinenti all’archeo-logia subacquea. Ma ritengo che sia necessario integrare fortemente questadisciplina, così caratterizzata dal punto di vista tecnico e tecnologico, nel-l’ambito più generale delle scienze storiche e archeologiche. E per far questoè indispensabile l’approfondimento metodologico, il confronto serrato congli altri campi di ricerca, la partecipazione attiva al dibattito storiografico,per evitare specializzazioni fini a sé stesse ed isolamenti pericolosi.

Non mi illudo di essere riuscito a far questo nella mia lezione, ma miauguro che questo obiettivo possa essere un po’ più vicino grazie a questocorso senese.

GIULIANO VOLPE

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