Versione provvisoria L’uso del potere di nomina politica ... · tracciati. Alla fine dello scorso...
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Versione provvisoria
L’uso del potere di nomina politica durante il governo Renzi: verso uncambiamento dell’amministrazione pubblica?
Ersilia CrobeUniversità degli Studi di PerugiaDipartimento di Scienze Politiche
Daniele DavidUniversità degli Studi di PerugiaDipartimento di Giurisprudenza
Abstract: La serie di nomine che Matteo Renzi ha effettuato nel corso della sua presidenza ha fattoparlare, nel gergo giornalistico, di “giglio magico”. Con tale espressione, da un lato, si enfatizza unapresunta attitudine a privilegiare, nella scelta dei soggetti, persone strettamente di fiducia e di comu-ne provenienza geografica del Presidente stesso; dall’altro si vuole richiamare uno stile decisionistae una tendenza ad accentrare il potere politico a Palazzo Chigi. Al di là della strumentalizzazionemediatica, è fuor di dubbio che lo stile del Presidente del Consiglio abbia messo in allerta funziona-ri e dirigenti della Presidenza, tanto che non è raro sentir parlare di “accerchiamento da parte deinuovi”. Nella letteratura politologica e giuridica la sensazione di “esclusione dalla stanza dei botto-ni” sopra richiamata è definita con termini quali “politicizzazione” o “controllo” delle burocrazie at-traverso l'utilizzo di nomine politiche. Negli ultimi anni, soprattutto dopo le riforme amministrativedegli anni novanta, molti studi si sono concentrati su questa dimensione dell’amministrazione cer-cando di comprendere in che modo e con quali effetti la politica riesca ad incidere direttamente oindirettamente sull’azione dell’amministrazione. Questo paper si inserisce nel medesimo filone distudi, concentrando l’attenzione sull’analisi dell’utilizzo del potere di nomina politica e sul ruolodegli uffici di diretta collaborazione come intermediari tra politica e amministrazione. Il focus distudio, utilizzando un approccio funzionale-istituzionale e un approccio giuridico, sarà sui governiBerlusconi III (2005-2006), Prodi II (2006-2008), Berlusconi IV (2008-2011), Monti (2011-2013),Letta (2013-2014) e Renzi (2014-), al fine di comprendere come il potere di nomina sia stato utiliz-zato dall’attuale Governo e verificare se le azioni di controllo burocratico attuate si possano consi-derare in linea con le scelte delle precedenti esperienze di governo o se l’attuale compagine gover-nativa si caratterizzi per un proprio “stile” nell’esercizio del potere di nomina.
1. Introduzione
Una delle affermazioni più persistenti in riferimento alle riforme che hanno interessato i sistemi
amministrativi dei paesi a tradizione democratica negli ultimi decenni è che le amministrazioni
pubbliche sono maggiormente politicizzate (Peters e Pierre 2004; Pollitt e Bouckaert, 2011; Ongaro,
2009). Ciò è avvenuto, in origine, in conseguenza dell’ampliamento della sfera d’interesse e delle
attività statali e della necessità di ricondurre - attraverso previsioni normative puntuali di
centralizzazione - le burocrazie sotto la responsabilità dei governi e parlamenti1. La produzione
politologica comparata più recente ha dimostrato come la subordinazione delle burocrazie
pubbliche sia uno dei tratti caratterizzanti i percorsi di riforma dell’ultimo trentennio2. In
particolare, l’incremento del numero e dell’importanza degli staff politici ne rappresenterebbe –
concordano numerosi autori - la manifestazione strutturale più evidente3.
L'ampliamento del potere di nomina politica è da leggere anche come componente rilevante del
cd. percorso di “rafforzamento degli esecutivi”4: la tendenza a privilegiare il rapporto fiduciario è
sembrato, ai Governi riformatori, la possibilità di irrobustire le capacità decisionali e di
implementazione delle decisioni pubbliche: di vedere realizzata, in sintesi, quella che Putnam, nelle
sue ricerche di inizio anni settanta, definiva “ricettività” democratica, ovvero la ricerca di una
maggiore legittimazione dell’esercizio del potere pubblico.
L'esperienza politico-amministrativa degli ultimi decenni colloca il nostro Paese entro i percorsi
tracciati. Alla fine dello scorso secolo, in conseguenza della destrutturazione del sistema partitico
che aveva caratterizzato la Prima Repubblica, ha preso il via un – seppur difficile – processo di
rafforzamento dell'esecutivo (Cotta, Verzichelli 2016) che ha attribuito, entro un contesto politico
che rimaneva parlamentare, un sempre più centrale ruolo alla leadership di governo5. Numerose
1 Per una disamina approfondita in tema di controllo politico cfr. R. Mayntz, Sociologia dell’amministrazionepubblica, Il Mulino, Bologna 1982; o ancora G.B. Peters, La pubblica amministrazione, Il Mulino, Bologna, 1987. Ilprincipio della prevalenza della politica può essere letto – osserva a ragione Merloni – come retaggio del principio diseparazione dei poteri, che vuole il potere legislativo come potere di grande indirizzo e di controllo, mentre il potereesecutivo si avvale dell’apparato servente dell’amministrazione per l’attuazione dell’indirizzo generale contenuto nellalegge”. F. Merloni, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale. Il modello italiano in Europa, Il Mulino,Bologna 2006, pp. 17 e ss. Denso di spunti per il nostro tema G. D’auria, P. Bellucci (a cura di), Politici e burocrati algoverno dell’amministrazione, Il Mulino, 1995.
2 In particolare B. G. Peters, J. Pierre, The Politicization of the Civil Service in Comparative Perspective: A Questfor Control, 2004;C. Pollitt, G. Bouckaert, Public management reform. A comparative analysis, Oxford UniversityPress, 2000 (3a ed. aggiornata 2011). Tale tendenza ha riguardato la maggior parte dei paesi occidentali (sul temacfr. Political advisors and civil servants in European countries, SIGMA Paper NO. 38, OECD, 2007).3G. B. Peters, J. Pierre (2004) cit. in A. Natalini, F. Di Mascio, Analysing the role of ministerial cabinets in Italy.
Legacy and temporality in the study of administrative reforms, in International Review of Administrative Sciences79(2), 2013. pp. 328-346.
4Della trasformazione dei partiti politici in senso personalistico e del processo di accentramento del potere politicoF. Musella, Governi monocratici, Il Mulino, Bologna, 2006.
5Sulle ragioni, esogene ed endogene, che hanno spinto in tale direzione cfr. D. Hine (a cura di), Le strutture di staffe l'organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Progetto finalizzato sull'organizzazione e sul
riforme organizzative hanno certamente contribuito al progressivo rafforzamento dei vertici politici
alla guida dei Ministeri. A partire dalla fine degli anni '80, in tale direzione, alcune norme
tratteggiavano puntualmente l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rendendo le
strutture di supporto al premier più adeguate al mutato contesto istituzionale e simili ad altre
democrazie europee, con l'obiettivo di rafforzare la capacità decisionale dei presidenti del consiglio
della seconda repubblica6.
Negli stessi anni prendeva il via un percorso di generale riforma dell'amministrazione che molto
puntava sul rafforzamento del management, in linea con quanto stava accadendo in molti altri paesi
europei sulla base dei paradigmi teorici del New Public Management e della Public Governance
(Van Wart, Hondeghem, Swhella, 2015; Pollitt, Bouckaert, 2009): da un lato si stabiliva una sempre
più chiara separazione tra sfera politica e sfera della direzione amministrativa, al fine di garantire
alla dirigenza un’autonomia operativa, dall’altro si accrescevano i poteri di nomina governativa.
Per il tema che qui interessa, il percorso intrapreso è sembrato agli osservatori più acuti non
sempre coerente: in particolare l'affermazione di ampi spazi di fiduciarietà - in contrasto con la
tradizione istituzionale ed amministrativa del nostro Paese – ha richiamato il rischio di una
crescente politicizzazione delle burocrazie (Cassese, 2002) ed evocato il fenomeno partitocratico
della prima repubblica di “occupazione” dell’amministrazione (Melis, 2015).
Partendo da tali scenari, il nostro percorso di ricerca tenta una indagine del grado di
politicizzazione delle burocrazie pubbliche italiane come risultato dell’esercizio del potere di
nomina politica. Questo contributo si inserisce all’interno di quel filone di studi che a partire dal
1992-93 ha tentato di analizzare il rapporto tra politica e burocrazie alla luce delle riforme
normative introdotte negli ultimi decenni. In particolare, operando una scelta selettiva degli
indicatori, il presente lavoro limita l'analisi ad uno degli ambiti più problematici, ma allo stesso
tempo paradigmatici, della relazione tra organi politici di governo e dirigenti di vertice
dell’amministrazione: gli uffici di diretta collaborazione, espressione più evidente del potere di
nomina politica.
Le ragioni di questa scelta rinviano a due considerazioni: l'una riguarda la tensione, strutturale
nei sistemi democratici, tra i funzionari che agiscono su mandato fiduciario dei responsabili politici
e le burocrazie professionali, che dovrebbero caratterizzare la propria azione non solo per l’efficacia
e l’efficienza ma anche l’imparzialità. L'argomento, di lunga tradizione nel dibattito giuridico e
politologico italiano, sarà approfondito alla luce del rinnovato contesto istituzionale ed
amministrativo. Le riforme del management pubblico anziché limitare l'influenza degli staff politici
funzionamento della pubblica amminsitrazione, CNR, 1995 e M. Cotta, L. Verzichelli, Il sistema politico italiano, IlMulino, Bologna, 3° ed. 2016.
6Per una rassegna sull'evoluzione dell'organizzazione e delle funzioni della PCM si vedano M. Cotta, L. Verzichelli,cit., 2016 ed anche M. Cotta, F. Marangoni, Il Governo, Il Mulino, Bologna, 2015.
ne hanno rafforzato la politicizzazione. Ciò è accaduto sia in quei Paesi in cui è ancora prevalente la
preminenza di un civil service neutrale (modello Westminster), sia nei paesi a tradizione
napoleonica come è il caso dell’Italia (Di Mascio, Natalini, 2013). Rispetto a ciò gli uffici di diretta
collaborazione rappresentano ancor di più il crocevia dell’ambiguità dei rapporti tra politica e
amministrazione, nonché la chiave di volta per comprendere gli effetti della “politicizzazione”
dell’amministrazione.
La seconda considerazione assume rilevanza in riferimento allo stile politico dell'attuale premier,
oggetto specifico dell'indagine che qui si presenta: energico e in continua ricerca di visibilità, ha
fondato il suo messaggio politico intorno ai concetti di “rottamazione” e “lotta ai «burosauri»”7, con
un forte processo di personalizzazione e di accentramento della leadership, come chiave di volta per
interpretare tale passaggio storico.
Partendo da questi due punti di vista, è sembrato interessante indagare la condotta dell'attuale
Governo in tema di nomine, limitando l’analisi ai vertici degli uffici di diretta collaborazione più
rilevanti per tradizione istituzionale e peso politico (Ufficio di Gabinetto e Ufficio Legislativo).
Come è stato ampiamente dimostrato nel periodo repubblicano la politica ha attinto per i vertici di
tali uffici da bacini professionali ben individuabili (Ponti, 2001; Sepe, 1995). Mettere a verifica il
tasso di innovazione delle scelte recentemente operate permetterà di verificare se si è in presenza di
continuità con i tradizionali criteri di scelta o se si è in effetti in un momento di transizione e reale
rinnovamento. Valutando se il potere di nomina politica sia stato utilizzato dal Governo Renzi come
strumento di controllo dell'amministrazione pubblica oppure se le strutture che operano a diretto
supporto dei decisori politici (Presidente del Consiglio e ministri) continuino a costituire un
elemento di alterità sia rispetto ai vertici degli apparati burocratici (capi dipartimento, direttori
generali o altro) sia rispetto alla classe politica, che di loro non può fare a meno8.
2. Schema della ricerca
Il paper è organizzato secondo tre parti principali.
Una prima parte (par. 3) ripercorre selettivamente i mutamenti più recenti che hanno condotto
l'ordinamento amministrativo italiano a distaccarsi dal precedente modello organizzativo per
7“Mi permetterete di dire - e so che potrà sembrare persino provocatorio - che vi sono settori dello Stato chevivono le peripezie della politica con apparente rispetto, ma con un sostanziale retro-pensiero: i Governi passano, idirigenti restano. Talvolta mi e venuto in mente di pensare che sarebbe meglio il contrario, ma in realtà non e cosi,sarebbe una forma eccessiva. Credo pero che sia civile un Paese che afferma la contestualità tra l' espressionepopolare del Governo del Paese e la struttura dirigente della macchina pubblica", così Matteo Renzi nel discorso alSenato della Repubblica per richiedere la fiducia, 25 febbraio 2014.
8Sia la ricorrente polemica giornalistica sui “mandarini” che rigorose indagini empiriche hanno dimostratol'esistenza di un nutrito gruppo di "gabinettisti”. Una recente indagine mostra come, per il periodo Repubblicano, quasiil 60% dei soggetti nominati a capo di un ufficio di Gabinetto o Legislativo abbia visto assegnati almeno due incarichi(ben il 15% più di cinque incarichi). G. Melis, A. Natalini, Gli uffici di gabinetto: il "metronomo" dell'amministrazionedella riforma, materiale diffuso nel corso del convegno “Gli uffici di diretta collaborazione: una ricerca sull’altaamministrazione italiana" presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, 2016.
adottare il principio di distinzione delle competenze: come è noto, gli interventi normativi realizzati
a partire dal 1992 ne hanno profondamente modificato la morfologia, ma gli esiti di questo percorso
mostrano un contesto ancora oggi in movimento, nel quale tratti fortemente innovativi si fondano
con retaggi istituzionali e culturali profondamente radicalizzati (Ongaro, 2009). È proprio in questo
contesto che emerge il problema della politicizzazione dell’amministrazione, con tratti del tutto
peculiari.
In forza di ciò, nella seconda parte (par. 4) è parso necessario ricostruire – seppur sinteticamente
- il complesso delle vicende normative che si sono susseguite per quanto attiene il peculiare
rapporto che intercorre, secondo una tradizione amministrativa ormai consolidata, tra il vertice
politico dell’apparato ministeriale e i vertici dell’amministrazione pubblica degli stessi dicasteri. In
questa parte, verrà ricostruito, il quadro regolatorio generale che caratterizza il potere di nomina e
gli uffici di diretta collaborazione che ne sono espressione, delineando lo spazio giuridico e i limiti
entro i quali la dimensione quantitativa del fenomeno viene a determinarsi anche in dipendenza da
fattori ulteriori. Proprio l’insieme di tali fattori all’interno di un quadro regolatorio piuttosto stabile,
dovrebbe premetterci di identificare gli elementi fondamentali che caratterizzano lo “stile” specifico
che dovrebbe caratterizzare il governo Renzi.
La terza parte (par. 5 e 6) costituirà la risposta al nostro interrogativo di ricerca: esiste uno stile
nell’esercizio del potere di nomina del Governo Renzi? In particolare, si procederà a una
ricognizione delle nomine politiche e delle scelte organizzative operate dal Presidente del
Consiglio, al fine di validare le ipotesi che vedono un rafforzamento del “centro del Governo” e che
sembrano supportate dal grado di flessibilità che la normativa riserva al capo del Governo
nell'organizzare l'apparato di supporto che gli è garantito attraverso la PCM. Come mostreremo nel
par. 3, la Presidenza del Consiglio presenta un ordinamento del tutto peculiare, proprio per sua
specifica posizione istituzionale e per i compiti di coordinamento politico che ad essa sono affidati.
Per tale motivo, verrà dedicata una riflessione specifica sulla differente dimensione del potere di
nomina tra Presidenza del consiglio e altri ministeri. Ciò permetterà di ricostruire come il Presidente
Renzi abbia esercitato i poteri di nomina che la legge attribuisce al capo del Governo e di
individuare le tendenze in atto.
A tale indagine si aggiunge lo studio sulla distribuzione degli incarichi di Capo ufficio di
Gabinetto e Capo ufficio Legislativo nei ministeri con portafoglio a partire dal Governo Berlusconi
III.
Infine, l’analisi che qui si propone combinerà il metodo di ricerca giuridico-istituzionale con una
ricerca di stampo più politologico. Attraverso la combinazione di questi due differenti approcci,
l’obiettivo è quello di far emergere un profilo qualitativo in riferimento ad alcune dinamiche che
sembrano caratterizzare l’utilizzo del potere di nomina e la tenuta del principio di distinzione delle
competenze amministrative. L’obiettivo di questo metodo di lavoro, che combina due criteri di
analisi differenti ma contigui - uno funzionale e l’altro giuridico - è quello di comprendere e
spiegare come l’interazione tra gli attori e il contesto regolativo e istituzionale riproduca gli stessi
elementi storico-culturali e condizioni i tentativi di riforma e di innovazione amministrativa9. Si
potrà, in tal modo, tener conto da un lato dei vincoli normativi e di contesto politico-istituzionale e
dall'altro dei tratti distintivi tipici dell'attuale contingenza.
3. La nomina come strumento di indirizzo politico
La riforma del management avviata negli anni '90, proponendo l'introduzione nel settore
pubblico di concetti, logiche, principi, meccanismi e strumenti che caratterizzano il management del
settore privato, richiamava la distinzione delle competenze tra la dimensione politica e la
dimensione dirigenziale (J.J. Glynn, M.P. Murphy, 1996) come elemento di fondamentale
importanza per l'affermazione del modello manageriale. Si tentava il superamento del modello
weberiano (Gualmini, 2003), con conseguente riformulazione dei concetti di separazione e
neutralità – fortemente e contraddittoriamente radicati nella cultura amministrativa italiana10 - letti
ora in chiave di responsabilità sulla base di un affidamento esclusivo di competenze. Sul piano
prescrittivo tali posizioni si trasformavano in una normativa tesa a rintracciare ambiti di
responsabilità distinti e propri (d.lgs 29/93 e s.m.).
Quasi a fare da contrappeso alla notevole espansione della autonomia operativa dei dirigenti si
attestavano un notevole ampliamento dell’area della dirigenza fiduciaria da collocare ai vertici degli
apparati amministrativi e un rafforzamento del ruolo, delle funzioni e dell’organizzazione dei
gabinetti ministeriali, non a caso ridefiniti perfino nella nomenclatura in quanto “Uffici di diretta
collaborazione” (Sepe, Vetritto, 2006): tali uffici assecondavano l’esigenza dell’organo politico di
un rafforzamento delle strutture a suo diretto supporto, con l'obiettivo di garantire loro un apparato
competente e sensibile alle sollecitazioni politiche (Sepe, Galvano, 2016). Ciò serviva a garantire
una maggiore coerenza al processo decisionale pubblico: nell’idea del legislatore riformista, il
potere di nomina politica diventava lo strumento di raccordo tra il potere di indirizzo, affidato
all’organo politico, e i poteri di gestione affidati alla dirigenza di ruolo. Allo stesso modo,
valorizzare il legame personale tra autorità di governo e livelli apicali dell'amministrazione
assecondava, la più generale tendenza ad un rafforzamento degli esecutivi e della responsabilità
politica. Inoltre, i tradizionali spazi di nomina si modificavano - adattandosi ai cambiamenti
legislativi e istituzionali - in conseguenza della modificazione della morfologia del sistema
9 Per un approccio istituzionalista alle problematiche della pubblica amministrazione, si vedano, Barzelay andGallego, 2006; Bezes and Lodge, 2007.
10 “L’ideale classico dell’apoliticità dei funzionari” è stato sempre “in certa misura un mito”, così R.D. Putnam,Atteggiamenti politici dell’alta burocrazia in Europa, in Rivista italiana di scienza politica, 1973, n. 1, p. 149.
amministrativo italiano ed anche del processo di trasformazione dei partiti politici11. Secondo tale
logica, gli uffici di diretta collaborazione sarebbero dovuti diventare uno strumento per realizzare, e
non per neutralizzare, il modello organizzativo della distinzione delle competenze (Merloni, 1999),
limitando le asimmetrie informative tra politica e amministrazione e rafforzando i profili
professionali e i sistemi di controllo e valutazione interni all’amministrazione (Battini, 2006).
Questo perché il potere di nomina politica rappresenta un nodo problematico poiché costituisce un
possibile canale di indebita ingerenza politica e di aggiramento della distinzione delle competenze
tra politica e amministrazione (Merloni, 2006).
In particolare è intorno al valore della neutralità e della imparzialità (che si è imposto negli Stati
di diritto sia dal punto di vista dottrinale che operativo) che si polemizzava con i percorsi intrapresi,
considerandoli possibilità di una precarizzazione, quindi una maggiore controllabilità e dipendenza,
della dirigenza pubblica12.
La prevalenza del rapporto fiduciario nella scelta dei membri degli uffici che operano a stretto
contatto con l'autorità politica è una caratteristica istituzionale dei paesi “napoleonici”
pacificamente accolta, ma è lo sconfinamenti di ruolo ad essere – da sempre - mal tollerato: essa
appare – in seguito alla “schizofrenia delle riforme” (Antonelli, La Spina, 2010) - del tutto
incompatibili con il principio della distinzione tra politica e amministrazione (Endrici, 2000).
Ma l’aspetto più importante ai fini della presente ricerca è che il ruolo concretamente svolto
dagli uffici di gabinetto ha rappresentato una cartina di tornasole per una lettura del rapporto
politica-amministrazione: la consuetudine dei politici ad affiancarsi ad uffici di diretta
collaborazione scelti con nomine politiche è una strategia spesso letta dagli osservatori e percepita
dagli impiegati pubblici come finalizzata a controllare o sostituirsi alle burocrazie. La loro
sovrapposizione sia in termini di “pre-posizione” nella scala della decisione in merito agli obiettivi
di azione, sia nel senso di sostituzione all'attività degli uffici o di duplicazione delle competenze13
rende ancor più complessa la relazione tra politica e amministrazione: da un lato una netta
distinzione delle competenze, dall'altro la possibilità di nomina fiduciaria delle figure apicali delle
11Sullo slittamento delle relazioni partito-società verso partito-stato cfr. Kopecky, 2007. In conseguenza di taleevoluzione, il potere di nomina politica realizza forme di controllo e sfruttamento istituzionale che possono considerarsirisorsa organizzativa primaria dei partiti stessi. La letteratura contemporanea in tema di political patronage halungamente descritto il passaggio da un patronage come risorsa elettorale a un patronage come risorsa organizzativaper i partiti politici, sempre più impegnati nella creazione di party-state linkages (passaggio dei partiti dalla società allostato). Per orientarsi entro l'attuale complessità del nostro sistema amministrativo e riuscire a definire i differenti spazidi nomina e rent-seeking dei partiti sull'apparato statale molto rappresentativa la mappatura operata da G. Endrici, Ilpotere di scelta. Le nomine tra politica e amministrazione, Il Mulino, Bologna, 2000, che distingue in amministrazionepolitica, amministrazione diretta, amministrazione indiretta, amministrazioni neutrali. Sulla molteplicità degli schemiformali che regolano il potere di nomina F. Di Mascio, Partiti e Stato in Italia. Le nomine pubbliche tra clientelismo espoils system, Il Mulino, Bologna, 2012.
12Cfr. ad es. S. Cassese, Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani: una modificazione costituzionale, inGiornale di Diritto amministrativo, n. 12, 2002, 1341 ss., lamentava il sopravvento preso dalla politica sulla dirigenza,destinata ad una condizione precaria e ad abdicare al suo tradizionale ruolo di neutralità.
13 Archivio Isap, cit., vol. I, pp. 73 e ss.
amministrazioni e, tertium, la possibilità per il vertice politico di assicurarsi uno staff di fiducia,
anche “estraneo” all'amministrazione.
La relazione politica amministrazione diviene un gioco a tre: politica - staff – amministrazione,
con gli uffici di staff che divengono filtro obbligato verso i vertici politici, con conseguente
debolezza della dirigenza organica. La linea di demarcazione tra le funzioni di governo e quelle
dell'amministrazione diviene sempre più mutevole e impossibile da delineare. Non a caso è recente
un rinnovato interesse per gli uffici politici di staff nella letteratura internazionale e comparata, con
particolare attenzione alle conseguenze che la forte discrezionalità politica nella scelta di
collaboratori ha sul fenomeno della politicizzazione delle burocrazie pubbliche (Natalini, Di
Mascio, 2013).
4. La regolazione del potere di nomina fiduciaria e gli uffici di diretta collaborazione
Come già spiegato, nella logica del legislatore, l’istituzione degli uffici di diretta collaborazione
avrebbe dovuto regolare specificatamente gli incarichi c.d. di entourage politico e avrebbero dovuto
rappresentare una importante scelta sistemica nella tenuta del rapporto tra politica e
amministrazione (Torchia, 2009). È evidente come, per la propria posizione istituzionale, essi
riescano ad incidere più o meno indirettamente sui meccanismi di gestione amministrativa,
inserendosi negli “interstizi” organizzativi attraverso l’attribuzione di risorse e competenze e
attraverso i meccanismi di controllo interno e decisionali, la cui natura piramidale permette
all’influenza della decisione politica di “propagarsi”, a cascata, su tutti i livelli decisionali della
dirigenza (Bellavista, 2010, p. 107). Si può sostenere, infatti, che tale elemento si atteggi come una
sorta di “coazione indiretta” sull’operato di ciascun dirigente, il quale, gioco-forza, orienterà la
propria attività in una direzione convergente verso quella del soggetto da cui dipende la conferma
nella posizione ricoperta nonché la distribuzione delle risorse (Valensise, 2002, p. 1193).
All’interno degli uffici di diretta collaborazione di ogni ministero troviamo ruoli e funzioni
differenti, che si sono stratificate nel tempo, ma tutti sono caratterizzati dall’essere attribuiti su base
fiduciaria: questi uffici corrispondono, all’Ufficio di Gabinetto (il cui vertice è il Capo di Gabinetto
o Segretario Generale), l’Ufficio legislativo, le varie segreterie dei ministri e dei vice ministri, le
segreterie dei sottosegretari di stato, l’Ufficio stampa, i servizi di controllo e vari uffici variamente
denominati con funzioni di supporto all’attività dei vertici politici. A livello strutturale, gli uffici di
diretta collaborazione si distinguono in strutture di collaborazione diretta con il vertice politico,
come le segreterie particolari di ministri, vice ministri e sottosegretari, e uffici con una natura
tecnica e specialistica molto simile a quella dell’amministrazione di line, come, ad esempio, gli
uffici legislativi, il cui personale, nella maggior parte dei casi, viene da altre amministrazioni e, in
misura minore, dall’esterno delle amministrazioni pubbliche (Sepe, Galvano, 2016).
La regolazione degli uffici di diretta collaborazione è avvenuta contestualmente alla riforma
della dirigenza pubblica, ad opera del d.lgs. 303/1999 e successivamente con il d.lgs. 165/200114.
Un primo punto da considerare è che, malgrado una regolazione di fonte primaria piuttosto
omogenea e generale, permangono delle differenze sostanziali tra gli uffici di diretta collaborazione
della Presidenza del Consiglio15 rispetto gli uffici di diretta collaborazione degli altri ministeri. Tale
distinzione è giustificata, per prima cosa, dal fatto che la Presidenza del Consiglio, a causa della
mutevolezza delle sue funzioni, si presenta come una vera e propria amministrazione di staff, con
poche competenze operative di gestione, quanto piuttosto, una serie di funzioni di indirizzo e di
controllo, producendo effetti diretti anche sulla stessa organizzazione e quindi sul potere di nomina.
Questo è dovuto al fatto che le funzioni di indirizzo e coordinamento affidate al Presidente del
Consiglio non sono strutturalmente equiparabili a quelle esercitate dai ministri nell’ambito dei
propri dicasteri16. Infatti, le indicazioni dei ministri hanno come destinatari diretti gli uffici delle
proprie amministrazioni. Al contrario, la funzione di indirizzo del Presidente del consiglio può
essere divisa in un due profili: il primo esterno, con riferimento a tutti gli atti di indirizzo che
rilevano verso gli altri ministeri o amministrazioni; il secondo, verso l’interno, ovvero tutte le
funzioni di indirizzo che si rivolgo prioritariamente verso il Segretario generale della presidenza del
consiglio (Battini, 2006), che ha comunque un ruolo amministrativo e poteri di gestione. Inoltre,
all’interno della presidenza del Consiglio sembra più evidente, rispetto agli altri ministeri, la
sovrapposizione o il parallelismo tra l’amministrazione di staff e quella di ruolo, che si ordinano, di
volta in volta, secondo relazioni di prevalenza e di ingerenza (Cimino, 2006). Al contrario, tutti gli
altri Ministeri, in modo più o meno specifico, svolgono funzioni amministrative all’interno di un
determinato spazio di politiche pubbliche, con compiti di gestione specifici.
Tale differenza di funzioni e ruoli produce effetti anche per quello che riguarda la regolazione
normativa del potere di nomina, che a sua volta incide anche sui profili personali. Per quanto
riguarda la Presidenza del consiglio dei ministri, la regolazione degli uffici di diretta collaborazione
è affidata al d.lgs. 303/1999. Da questo punto di vista, fondamentale è l’art. 7, d.lgs. 303/1999 il
quale assegna al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di definire lo spazio operativo per
gli uffici di staff della Presidenza, individuando la composizione e le competenze degli uffici alle
proprie dirette dipendenze. La succitata normativa non definisce criteri specifici, lasciando, anche
nel merito, una ampia libertà di scelta e di organizzazione proprio al Presidente del Consiglio che
14 Che raccoglie l’eredità del d.lgs. 300/1999.15 Non a caso, le figure previste per la Presidenza del consiglio sono del tutto peculiari rispetto agli altri ministeri e
sono quelli del presidente, del consigliere diplomatico, del consigliere militare, della stampa e del portavoce delpresidente, di segreteria del Consiglio dei ministri, di segreteria tecnica del sottosegretario di stato.
16 Questa differenza è riconosciuta anche dal d.lgs. 303/1999, in cui l’art. 7 comma 6, “Le disposizioni chedisciplinano i poteri e le responsabilità dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, […] si applicano alla Presidenzanei limiti e con le modalità da definirsi con decreto del Presidente, sentite le organizzazioni sindacali, tenuto conto dellapeculiarità dei compiti della Presidenza”.
nomina i membri dell’ufficio con un proprio decreto (art. 7, comma 7).
L’art. 9 del d.lgs. 303/1999 ci dice che la Presidenza può ricorrere, tra le altre figure, anche a
“personale proveniente dal settore privato, utilizzabile con contratti a tempo determinato per le
esigenze delle strutture e delle funzioni individuate come di diretta collaborazione”. Solo per gli
incarichi di portavoce e capo ufficio stampa esiste un vincolo normativo che impone l’assegnazione
ad un giornalista o ad un pubblicista iscritti all’albo. Aldilà di questo vincolo legislativo, non vi
sono particolari limiti nella nomina di personale all’interno dell’ufficio di diretta collaborazione né
vi sono controlli e valutazioni in merito al proprio operato: l’unico elemento che caratterizza tale
relazione è proprio la fiduciarietà del rapporto. All’interno di questi uffici troviamo personale in
mobilità da altre amministrazioni come magistrati - pensiamo al caso dei magistrati amministrativi e
contabili che per lungo tempo hanno avuto un ruolo centrale nell’assegnazione degli incarichi
amministrativi fiduciari (Ponti, 2001) -, avvocati dello stato, consiglieri parlamentari, ma anche
dirigenti di prima fascia, professori universitari e esperti dotati di particolari professionalità come
personale esterno alle pubbliche amministrazioni provenienti dal mondo economico e politico.
Al contrario, la disciplina degli uffici di diretta collaborazione dei ministeri è affidata in via
generale al d.lgs. 165/200117. L’art. 14 del d.lgs. 165/2001, sulla base delle indicazioni già espresse
nella formulazione dell’originale art. 14 del d.lgs. 29/1993 (Merloni, 1999, p. 1138), stabilisce che
per l’esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo “il Ministro si avvale di uffici di
diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con
l’amministrazione” e tal fine il potere di nomina ministeriale viene disciplinato con maggior
dettaglio, considerata la forte necessità di tutelare l’elemento dell’intuitu personae (Merloni, 2008):
tale disciplina appare ispirata principalmente ad una chiara distinzione tra gli uffici di staff e la
dirigenza di ruolo, molto più rispetto alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Per quanto attiene
ai poteri attribuiti agli uffici di staff dei ministeri questi hanno “esclusive competenze di supporto e
di raccordo con l’amministrazione”. Per “supporto” è da intendersi come l’attività di collaborazione
fornita agli organi di indirizzo politico, mentre il “raccordo” presuppone la distinzione delle
competenze e la non interferenza nelle attività di gestione amministrativa.
Come sottolineato (Cassese, Mattarella, 2007), il fallito tentativo di modernizzazione dei
gabinetti ministeriali è da ascriversi ad una crescita esponenziale del numero degli addetti agli uffici
di diretta amministrazione e ad una crescente confusione tra il loro ruolo e quello delle
amministrazioni di line. In questo contesto, tanto più ampie sono state le capacità dell’ufficio di
17 Alla regolazione generale di rango primario viene affiancata una regolazione di rango secondario per ogniministero. Ad esempio, il d.P.R 212/2008 per il Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici; d.P.R. 162/2006 per ilMinistero della Difesa; d.P.R. 142/2014 per il Ministero dell’Ambiente; d.P.R. 77/2015 per il Ministero del Lavoro; ild.P.R. 171/2014 per il Ministero dell’ambiente e dei beni culturali; d.P.R. 315/2001 per il Ministero della Giustizia; ild.P.R. 98/2002 per il Ministero degli Interni; il d.P.R. 138/2013 per il Ministero della Salute; il d.P.R. 227/2003 per ilMinistero dell’Economia e finanze.
diretta collaborazione (rectius, dei membri degli Uffici di diretta collaborazione) di attrarre
competenze, quanto importanti sono state le incertezze normative nella qualificazione delle funzioni
che di fatto avrebbero dovuto svolgere, tanto più l’organo politico di vertice ha potuto aggirare la
distinzione delle competenze proprio utilizzando il potere di nomina politica. La conseguenza di
tale meccanismo, che trasforma gli uffici di staff in una sorta di “cavallo di troia” per entrare nel
fortino dell’amministrazione, è quella di trasformare tali uffici in “amministrazioni parallele”
rispetto alla dirigenza di vertice di ruolo competente per la gestione amministrativa (Veronelli,
2007, p. 29). Chiaramente, tali meccanismi che si svolgono all’interno di un piano funzionale e
consuetudinario, piuttosto che sul piano puramente giuridico - malgrado, c’è da dire, che il sistema
giuridico potrebbe produrre maggiori garanzie, in termini soprattutto di indipendenza soggettiva e
di ostacolo all’aggiramento della distinzione delle competenze (Merloni, 2008, p. 122) – producono
diversi effetti sistemici.
Per prima cosa, la tendenza verso il rafforzamento del ruolo e delle competenze degli uffici di
staff crea la condizione per sviluppare una categoria di esperti che, a seconda dei rapporti politici e
di professionalità che di volta in volta essi riescono a creare, permangono anche per molto tempo
all’interno dei vertici dell’amministrazione (Pioggia, 2007, p. 138). In questo modo, si è venuto a
costituire un corpo intermedio di specialisti nella conduzione degli apparati ministeriali che, per
formazione, è estraneo o comunque non pienamente allineato alle aspirazioni dei burocrati e dei
dirigenti di ruolo, strettamente intesi e che per orientamento politico è capace di essere indifferente,
più che aderire, alla posizione del ministro del momento, e per cultura differente rischia di entrare in
conflitto con la stessa dirigenza di ruolo18.
Il secondo aspetto è legato alla flessibilità della nomina e alla mancanza di controllo sul loro
operato, le quali comportano una influenza più o meno diretta sulla discrezionalità gestionale e
decisionale della dirigenza amministrativa, producendo una indebita sovrapposizione di ruoli e
poteri tra la dirigenza di staff e la dirigenza di ruolo: questo produce una “naturale” proliferazione di
un numero sempre più grande di “canali decisionali informali” che tendono a sedimentare le
consuetudini di un apparato partigiano, servente e parallelo rispetto al livello decisionale più alto
dell’amministrazione e comunque funzionale ad un processo di riconquista e di accentramento del
potere.
Un terzo aspetto, più rilevante ai fini di questa ricerca, sono le differenze regolative che
caratterizzano la disciplina degli Uffici di diretta collaborazione tra la Presidenza del consiglio dei
ministri e gli altri ministeri. Come vedremo più avanti, sia la differenza istituzionale di ruolo sia la
18 Indubbiamente l’elemento della cultura amministrativa, quale elemento per giudicare i rapporti tra vertici politicie vertici amministrativi rimane centrale, come dimostrato in diverse ricerche da Sabino Cassese. Per questo uncambiamento nello stile di nomina, è per prima cosa un cambiamento nella cultura che si innerva nell’amministrazionee che può, anche nel breve periodo, porre le basi per una relazione conflittuale.
differenza di regolazione comportano un differente utilizzo del potere di nomina, sia dal punto di
vista funzionale che dal punto di vista dei profili professionali. Quello che sembra emergere,
tuttavia, sono anche una serie di problematiche comuni, derivanti da elementi strutturali, che si
legano con il particolare ruolo e collocazione degli uffici di staff, sia rispetto all’organo politico di
indirizzo che li ha nominati, sia rispetto all’altra parte della relazione ovvero la dirigenza di ruolo.
Essendo essi fondamentali luoghi di raccordo, diventano degli spazi di potere da conquistare e
mantenere, alla ricerca del controllo indiretto dell’amministrazione e di aggiramento dei limiti posti
dalla predeterminazione delle competenze e della legislazione specifica. In qualche modo, il rischio
principale, proprio perché costruiti sul mero rapporto fiduciario, è quello di diventare una “riserva
di caccia” (Torchia, 2008) della politica, in cui gli incaricati riescono ad incidere direttamente sul
funzionamento dell’amministrazione.
5. Lo staff del primo governo Renzi e l’attuale organizzazione della Presidenza del
Consiglio
La serie di nomine che Matteo Renzi ha effettuato a partire dall'inizio del suo mandato ha fatto
parlare, nel gergo giornalistico, di “giglio magico”. Con tale espressione, da un lato, si enfatizza una
presunta attitudine a privilegiare, nella scelta dei soggetti da incaricare persone strettamente di
fiducia e di comune provenienza geografica del Presidente stesso, dall'altro si vuole richiamare uno
stile decisionista e una tendenza ad accentrare potere politico a Palazzo Chigi.
Al di là della strumentalizzazione mediatica, è fuor di dubbio che lo stile del Presidente del
Consiglio abbia messo in allerta funzionari e dirigenti19 della Presidenza, tanto che non è raro sentir
parlare, nei corridoi dei palazzi dislocati tra Largo Chigi e via della Mercede, di “accerchiamento”.
Nella letteratura politologica e giuridica la sensazione di “esclusione dalla stanza dei bottoni”
sopra richiamata è definita con termini quali “politicizzazione” o “controllo” delle burocrazie
attraverso l'utilizzo di nomine politiche. E' sembrato interessante indagare la condotta dell'attuale
Governo in tema di nomine politiche entro l'organizzazione della Presidenza del Consiglio e
verificare il tasso di “innovazione” delle scelte recentemente operate.
Questo permetterà di attestare se si è in presenza di continuità con i tradizionali criteri di scelta o
se si è in effetti in un momento di transizione e reale rinnovamento. Ciò permetterà anche di
valutare se il potere di nomina politica sia stato utilizzato dal Governo Renzi come strumento di
controllo dell'amministrazione pubblica (in questo paragrafo) oppure se le strutture che operano a
diretto supporto dei decisori politici (Presidente del Consiglio e ministri) continuino a costituire un
elemento di alterità sia rispetto ai vertici degli apparati burocratici (capi dipartimento, direttori
19 Dai colloqui preliminari avuti con testimoni privilegiati (funzionari e dirigenti di I e II fascia PCM) preliminaria questa indagine emerge un alto grado di “insofferenza” allo stile decisionista del Presidente del Consiglio.
generali o altro) sia rispetto alla classe politica, che di loro non può fare a meno20 (paragrafo 6).
L’esperienza italiana più recente è caratterizzata da una forte centralità della figura del
Presidente del Consiglio: eletto segretario del Partito democratico nel dicembre 2013, in poche
settimane – confermando lo stile intraprendente che lo aveva contraddistinto fin dalla sfida alla
“rottamazione” - riceve dal Presidente della Repubblica incarico di formare il nuovo governo in
seguito alle dimissioni di Enrico Letta.
Si afferma, fin da subito, per uno stile fortemente personalistico. Il messaggio intorno al quale
costruisce la sua missione alla presidenza del consiglio è cambiamento21. Grande capacità
comunicative e massiccio utilizzo delle nuove tecnologie e dei social contribuiscono a
disintermediare il rapporto con i cittadini. Ne sono un esempio i tweet della mattina o gli
appuntamenti del “Matteo risponde”, che gli consentono una comunicazione immediata e diretta,
senza mediazione degli organi di stampa.
Alcuni elementi contribuiscono a rafforzare politicamente e mediaticamente la figura di Renzi: al
momento in cui scriviamo è uno dei governi più longevi della storia repubblicana (900 gg al 10
agosto 2016). È, inoltre, il Presidente del Consiglio più giovane dell’esperienza Repubblicana e si
caratterizza, ulteriormente, per essere un non parlamentare. È alla guida di un governo nato in
parlamento attraverso la ricerca di coalizioni diverse da quelle presentate alle elezioni e pertanto
senza quell’investitura elettorale diretta che si è affermata come tratto caratterizzante la seconda
repubblica. Tuttavia la scena politica è fortemente dominata dal Partito democratico22, che riesce,
attraverso maggioranze a “geometrie variabili” che non poche polemiche hanno suscitato tra i
commentatori, ad affermare la coesione della coalizione di Governo. Questo ha permesso al
Presidente del Consiglio di esercitare un forte controllo sulla scelta di una buona parte della squadra
di governo (sul tema lungamente Cotta, Verzichelli 2016).
Il Governo Renzi si compone di 13 ministeri con portafoglio, 3 ministeri senza portafoglio, 46
sottosegretari (di cui 6 viceministri). Il peso politico del PD entro la coalizione di Governo ha
garantito il controllo della maggior parte delle posizioni ministeriali (10 ministri23).
Il numero dei ministeri con portafoglio è in linea con l’esperienza dei precedenti governi Letta,
Monti, Berlusconi III e IV. Il numero dei ministri senza portafoglio è invece una eccezionalità
20 Studi accurati hanno dimostrato che esiste una classe di “gabinettisti”. Si vedano, sul tema, le approfonditeanalisi di A. Agosta, C. Piccardi, I gabinetti ministeriali, in Le relazioni fra amministrazioni e partiti, Archivio Isap,Giuffrè, 1988 e S. Sepe, G. Vetritto, Le stanze del potere. I gabinetti dei Ministeri nell'età di transizione (1979-2006),Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.
21 Un portale dedicato alle riforme intraprese lancia il Manifesto “Passo dopo passo, cambiamo l’Italia”22 Al momento dell'insediamento del Governo la composizione di Governo vedeva la partecipazione delle seguenti
forze: PD, NCD, SC, UdC, PpI, PSI, Indipendenti.23 Il numero indicato è risultato delle modificazioni intervenute nel corso dei due anni di governi. Inizialmente i
ministri in forza PD erano 9, nel corso del tempo il Ministero senza portafoglio per gli Affari regionali e le Autonomielocali è passato da Lanzetta (PD) a Enrico Costa (NdC), mentre i ministeri dello Sviluppo economico e quello delleInfrastrutture e dei Trasporti sono andati al PD in seguito alle dimissioni di un ministro indipendente (Guidi) e uno NdC(Lupi).
rispetto al passato. Dal 2005 ad oggi il numero dei Ministri “delegati” passa dai 10 del Governo
Governo Berlusconi III (dal 23 aprile 2005 al 17 maggio 2006) ai 3 del Governo Renzi (in carica
dal 22/02/2014). In media24, tra il 2005 e il 2016, si contano 7,5 Ministri senza portafoglio per
Governo (la media era pari a 8,4 nei cinque governi che hanno preceduto l'attuale). Le ragioni di
tale variabilità sono da ricondurre alla complessità della maggioranza che sostiene i differenti
governi ma anche alle scelte e alla forza politica del leader entro la compagine governativa.
Una analisi dei profili personali dei sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, scelti
direttamente dal Presidente, rivela una expertise preminentemente politico-partitica, con prevalenza
assoluta del Partito democratico:
S o t t o s e g r e t a r i o a l l aPresidenza del Consiglio deiMinistri
Nomina e deleghe Expertise
Graziano Delrio (fino al02/04/2015)
Funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri, condelega alle Politiche di Coesione Territoriale e allo Sport
Partitica (PD)
Claudio De Vincenti Funzioni di Segretario del Consiglio dei Ministri Partitica (PD)
Luca Lotti Delega all'Informazione e Comunicazione del Governo,all'Editoria, alla Pianificazione, preparazione eorganizzazione degli interventi connessi alleCommemorazioni del Centenario della Prima GuerraMondiale, a Promozione e svolgimento di iniziative perle Celebrazioni del 70° anniversario della Resistenza edella Guerra di Liberazione
Partitica (PD)
Sandro Gozi Delega alle Politiche Europee e al coordinamento, con ilMinistro degli Affari Esteri, delle attività inerenti ilSemestre di presidenza Italiana del Consigliodell’Unione Europea
Partitica (PD)
Domenico Minniti dettoMarco
Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica Partitica (PD)
Tommaso Nannicini Delega di indirizzo e coordinamento per le valutazionistrategiche nella elaborazione e nella realizzazione dellepolitiche pubbliche in materia economica e sociale
Partitica (PD)
Fig. 1 Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio - Governo Renzi.
Il ridotto numero dei ministri senza portafoglio, la loro stretta afferenza politica, e l'attribuzione
di importanti deleghe a sottosegretari indicano la volontà del Presidente del Consiglio di esercitare
un più diretto controllo su policies strategiche. In particolare, è stato notato25, la volontà di
esercitare un diretto controllo sulle politiche europee è dimostrato dal fatto che la delega non è
attribuita a un ministro senza portafoglio (secondo l'esperienza degli ultimi governi) bensì solo a un
sottosegretario26.
All’inizio del suo mandato Renzi aveva annunciato una drastica riduzione del numero delle
strutture della PCM, ipotizzando la riduzione a 3 dipartimenti, secondo l’attuale modello del MEF.
24 Gli avvicendamenti ai vertici dei ministeri vengono calcolati come doppi incarichi.25M. Cotta, F. Marangoni, cit. 2015, p. 181 e ss.26Ne è ulteriore conferma la contestata nomina, nel 2015, dell'ambasciatore italiano all’Unione europea: la scelta
ricadeva su un non-diplomatico, rompendo una prassi consolidata.
Ad oggi, non sono state fatte ristrutturazioni significative (tranne alcune modifiche al DPCM 1
ottobre 2012, che individua le strutture generali della Presidenza) e l'organizzazione della
Presidenza è al momento così strutturata: si è passati dai 20 dipartimenti del Governo Letta ai 15
attuali, ai quali si aggiungono 7 strutture di missione27. In particolare il Presidente del Consiglio per
l’esercizio delle funzioni di coordinamento e indirizzo è supportato da nove dipartimenti e uffici:
Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi
Dipartimento per il coordinamento amministrativo
Dipartimento per l'informazione e l’editoria
Ufficio del controllo interno, la trasparenza e l'integrità
Ufficio del Segretario generale
Ufficio di segreteria del Consiglio dei Ministri
Dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e
strumentali
Ufficio del bilancio e per il riscontro di regolarità amministrativo-contabile
Ufficio del cerimoniale di Stato e per le onorificenze
Ai sensi del d.lgs. 400/1988 e s.m. il Presidente del Consiglio ha potere di nomina dei vertici di
tutti gli apparati serventi della PCM, per i quali, come già visto nel precedente paragrafo, non vi
sono particolari vincoli di scelta se non la fiduciarietà. Tra i vari dipartimenti, notoriamente il
Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi e il Segretario Generale hanno una rilevante
importanza strategica per la direzione e il coordinamento della politica governativa e per il supporto
all'espletamento dei compiti del Presidente del Consiglio. Proprio per il loro ruolo istituzionale, il
Presidente Renzi ha deciso di compiere una scelta di forte rottura, sintomatica dell’intera linea
politica di esercizio del potere di nomina, scegliendo, per entrambe le posizioni, figure non
provenienti dall’amministrazione di Palazzo Chigi28. In particolare, la scelta operata da Renzi di
assegnare incarico di Segretario generale ad un esponente dell’amministrazione locale rompeva lo
schema di reclutamento che aveva fino ad allora visto esponenti dell’alta burocrazia centrale e della
magistratura amministrativa al vertice della Presidenza. A Bonaretti, nell'aprile 2016 succederà il
Consigliere parlamentare Paolo Aquilanti, supportato da tre vice segretari di diversa estrazione
professionale (un dirigente di prima fascia PCM, una figura proveniente da altra amministrazione
centrale ed una dal settore privato).
27 Le strutture di missione sono unità di durata temporanea (non superiore a quella del Governo che le ha istituite)dedicate allo svolgimento di particolari compiti per il raggiungimento di risultati determinati o per la realizzazione dispecifici programmi.
28 Al vertice del Dipartimento affari giuridici e legislativi è stata scelta l’avv. Antonella Manzione, con numeroseesperienze nel governo locale. Per quanto riguarda il Segretario Generale, la scelta è caduta, inizialmente, su MauroBonaretti, anch'egli con importanti esperienze pregresse nelle amministrazioni locali e regionali e successivamente sulCons. Paolo Aquilanti.
Anche la nomina al vertice del DAGL segna la volontà di accentrare a sé l'importante attività di
coordinamento delle attività legislative del governo. L'incarico ha visto anche il parere contrario
della Corte dei Conti ma il Presidente Renzi, nel pieno della discrezionalità che gli è riconosciuta,
non ha rivisto le sue scelte.
Le scelte operate rivelano come il controllo e il coordinamento - della PCM ed anche dell'intero
Governo - siano le prime preoccupazioni di Renzi.
LegislaturaXIV /2001-2006)
XV (2006-2008)
XVI (2008-2013) XVII (2013-)
Coalizioni Centrodestra Centrosinistra
Centrodestra Tecnico Centrosinistra (con settori di centro destro)
Centrosinistra (con settori di centro destra)
Presidentedel Consiglio
Berlusconi III
Prodi II Berlusconi IV Monti Letta Renzi
Periodo 23/04/2005 al 17/05/2006
17/05/2006 al 7/05/2008
8/05/2008 al 16/11/2011
16/11/2011al 28/04/2013
28/04/2013-22/02/2014
22/02/2014 – in carica
Durata deigoverni in
giorni
374 617 1 283 401 292 giorni 900 (al al 10 agosto 2016)
Ministeri conportafoglio
14 18 13 13 12 13
Ministri conportafoglio(incarichi)
1929 2030 1931 1332 1333 1534
Ministri senzaportafoglio
10 8 10 6 8 3
Ministerisenza
portafoglio(incarichi)
1135 8 1136 6 8 437
(segretarioconsiglio dei
ministri)
Gianni Letta Enrico Letta
Gianni Letta Antonio Catricalà
Flippo Patroni Griffi
Graziano Delrio (fino al 2 aprile 2015)Claudio De Vincenti (dal 10 aprile 2015)
29 Gli eventuali avvicendamenti ai vertici dei ministeri vengono calcolati come doppi incarichi. In Berlusconi IIIsi hanno i seguenti sostituzioni: alla Salute tra Francesco Storace (fino al 10/03/06) e Silvio Berlusconi (interim dall'11/03/06) e all'economia tra Domenico Siniscalco (fino al 22/09/05), Giulio Tremonti (dal 22/09/05 all' 08/05/06) eSilvio Berlusconi (interim dall' 08/05/06).
30Al Ministero della Giustizia si succedono Clemente Mastella (fino al 17/01/2008), Romano Prodi (ad interim dal17/01/2008 al 07/02/2008) e Luigi Scotti (dal 07/02/2008).
31Il risultato è dato da alcuni avvicendamenti ai Ministeri dello Sviluppo economico, alla Giustizia e alle Politicheagricole, alimentari e forestali, nonché dallo scorporo della Salute dal Ministero del lavoro, della salute e delle politichesociali.
32Nonostante alcuni avvicendamenti il numero degli incarichi assegnati corrisponde al numero dei dicasteri. Ciò èrisultato di alcune particolarità: il Ministro Passera è a capo di due Dicasteri e il Presidente del Consiglio Monti è ancheMinistro dell'economia e delle Finanze (fino all'11/07/2012). Da luglio 2012 gli succederà il Ministro Grilli.
33Enrico Letta mantiene l'interim (dal 27/01/2014) all' Agricoltura dopo le dimissioni di Nunzia Di Girolamo. 34Avvicendamenti al Ministero dei Lavori Pubblici (Guidi/Calenda) e alle Infrastrutture e Trasporti (Lupi/Delrio).35 Alla Funzione Pubblica Mario Baccini (fino all' 08/05/06) e Silvio Berlusconi (interim dall' 08/05/06).36Avvicendamento tra l'On. Ronchi e l'On. Bernini Bovicelli alla guida delle Politiche Europee. Non si è tenuto
conto della breve esperienza del Ministero della Sussidiarietà e Decentramento37 Enrico Costa succede a Maria Carmela Lanzetta al Dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie locali.
Segretariogenerale
dellaPresidenza
del Consigliodei Ministri
Mauro Masi Carlo Malinconico
Maggio 2008 Mauro MasiAprile 2009Cons. Manlio Strano
Cons. Manlio Stano
Roberto Garofoli
Cons. Paolo Aquilanti (sostituisce Mauro Bonaretti)
Fig. 2: Tabella riassuntiva degli ultimi governi nel periodo compreso tra il 2001 e il 2016.
Inoltre, al Presidente del Consiglio sono assegnati alcuni Uffici di diretta collaborazione, che gli
forniscono assistenza diretta nelle attività amministrative quotidiane (art. 7 d.lgs. 303/1999):
1. Ufficio del Presidente e Segreteria particolare;
2. Ufficio stampa e del Portavoce del Presidente;
3. Ufficio del Consigliere diplomatico;
4. Ufficio del Consigliere militare
I vertici degli uffici di diretta collaborazione sono fortemente caratterizzati da soggetti con una
pregressa collaborazione con il Presidente nelle passate esperienze di governo locale. Il Presidente
del Consiglio può contare su un numeroso gruppo di collaboratori:
Ufficio Addetti
Ufficio del Presidente (comprensivo della Segreteriaparticolare)
26 (di cui 1 estranea alla PA)
Consiglieri del Presidente (a titolo gratuito) 12 estranei alla PA
Ufficio stampa e portavoce 33 (di cui 15 estranei alla PA)
Ufficio consigliere diplomatico 20 (di cui 3 estranei alla PA)
Ufficio consigliere militare 12 (di cui 2 estranei alla PA)
Fig. 3: Uffici di diretta collaborazione, Governo Renzi.Il numero degli addetti e calcolato sul personale in forza allaPresidenza al 30 aprile 2016.
Entro l'apparato di diretta collaborazione operano anche – a titolo gratuito - 12 consiglieri
giuridico-economici. La caratteristica principale di tali collaboratori è una vocazione tecnico-
economica. In qualche modo il tentativo è quello di replicare la struttura dei consiglieri politici del
gabinetto inglese e statunitense, con un ulteriore processo di centralizzazione. Ciò segna anche la
volontà di non usufruire delle competenze e dell'expertise disponibili nell'apparato organizzativo del
quale è a capo, o comunque di fuoriuscita dai canali tradizionali dell’amministrazione.
La sintetica rassegna dell'organizzazione della Presidenza del consiglio mostra come, nella
discrezionalità garantita dalle norme, l'attuale Presidente del Consiglio abbia saputo imprimere uno
stile personale all'organizzazione della PCM. Il tipo di staff, le strutture di supporto e gli strumenti
di lavoro utilizzati garantiscono a Renzi un controllo minuzioso delle politiche pubbliche afferenti
la Presidenza (attraverso le poche deleghe ai suoi collaboratori più fedeli e rappresentativi) ed anche
un rigido coordinamento dell'attività della compagine governativa.
La capacità dell’attuale presidente del Consiglio di circondarsi di uno staff fedele e ricettivo alle
sue sollecitazioni politiche favorisce certamente un circuito positivo dei processi decisionali. Renzi
ha mirato fin da subito ad una riduzione delle strutture come precondizione per un accentramento
del potere, ed ha mantenuto il controllo di molte attività attraverso la riduzione dei ministeri senza
portafoglio e l'assegnazione di deleghe a sottosegretari di forte connotazione partitica. Inoltre,
l’essere anche il Segretario del partito di maggioranza ha impedito il “frazionamento” degli indirizzi
che aveva sempre caratterizzato l'attività della PCM.
Trascendendo dalla specifica contingenza è fuor di dubbio che la Presidenza del Consiglio è
connotata da una (ancora significativa) complessità organizzativa. Se la necessità di una riforma di
Palazzo Chigi è stata a lungo richiamata come condizione necessaria per un buon funzionamento
dell’esecutivo38, ad oggi, non si è riusciti a semplificare l'organizzazione del centro del potere
governativo. La Presidenza continua a soffrire del suo gigantismo e dell’essere una struttura che
esorbita largamente – nel numero dei dipendenti, ma soprattutto nell’organizzazione interna – dai
compiti di direzione e coordinamento generale delle politiche di governo, che dovrebbero esserle
propri. Questo può penalizzare anche il Presidente più decisionista.
6. Gli uffici di diretta collaborazione nell'esperienza italiana più recente
Tradizionalmente la missione degli uffici di gabinetto è quella di realizzare un ruolo di supporto
al vertice politico, nell'esercizio della duplice funzione di responsabile politico ed amministrativo
del ministero. I gabinetti nascono come uffici di segreteria del ministro – il Rd 1611 del 1853
consentiva che il ministro scegliesse alcuni collaboratori tra gli impiegati del ministero - e si
sviluppano al di fuori di una regolazione normativa puntuale lungo tutto l'arco di storia nazionale.
Fin dall'eliminazione (ad opera di Crispi, nel 1888) della figura del segretario generale del
ministero, la figura del segretario particolare del ministro è divenuta sempre più importante e si è
sempre più circondata di ulteriori strutture, dapprima ridotte poi via via più strutturate per esercitare
attraverso di esse la funzione di coordinamento generale dell'apparato39. Ad oggi, le strutture che
operano a diretto supporto dei decisori politici hanno un ruolo centrale nella definizione,
approvazione e attuazione delle scelte di governo.
Il tema ha sempre suscitato interesse e sollevato polemiche dentro l'amministrazione40: oggetto
delle critiche sono state, in special modo, la costante espansione quantitativa41 e la sovrapposizione
38 I. Diamanti, cit. in C. Barbieri, L. Verzichelli, Il Governo e i suoi apparati, Name, 2003, p. 177.39Per una ricostruzione dell'evoluzione storica degli uffici di diretta collaborazione L. Mazzone, I Gabinetti
ministeriali dall'Unità all'età repubblicana, in S. Sepe, G. Vetritto, Le stanze del potere, cit., 2006.40Nell'indagine di R. Putnam sugli atteggiamenti politici dell'alta burocrazia (cit, 1973) emergeva una forte ostilità
dei funzionari italiani verso la classe politica e soprattutto nei confronti dell'entourage di gabinetto.41 Una breve rassegna dei regolamenti di alcuni dicasteri è significativa delle (possibili) dimensioni degli uffici di
diretta collaborazione: il dpr 21 marzo 2002, n. 98 che regola l'organizzazione degli Uffici di diretta collaborazione delMinistero dell'Interno stabilisce i seguenti limiti per il personale assegnato: “All'Ufficio di Gabinetto sono assegnatefino al massimo di 150 unità, all'Ufficio Stampa e Comunicazione sono assegnate fino al massimo di 40 unità, allaSegreteria, alla Segreteria particolare e alla Segreteria tecnica del Ministro sono assegnate complessivamente fino al
funzionale rispetto alle direzioni generali/dipartimenti, nonché il sempre maggiore reclutamento
esterno ai ministeri. Gli uffici di gabinetto (diretta collaborazione poi) hanno sempre rappresentato
un valido strumento di controllo politico dell'apparato burocratico.
Una analisi di lungo periodo sul tema mostra alcune tendenze costanti nell'ordinamento
amministrativo italiano: la progressiva istituzionalizzazione degli uffici preposti alla collaborazione
del ministro (fig.4) – all'ufficio di gabinetto e legislativi si sono aggiunte, con progressivo “peso” le
segreterie tecniche e gli uffici che si occupano di comunicazione istituzionale e politica; la presenza
di esperti della “professione” gabinettistica, che ha comportato il presidio degli uffici da parte di
alcuni corpi professionali che sono divenuti, nel tempo, bacino preferenziale da cui trarre, nonché
un tasso di reincarico elevato (fig. 5); il numero sempre più elevato di “consiglieri”, che – a vario
titolo – presidiano settori chiave delle politiche settoriali.
Ministericon
portafoglio
Capi digabinetto
Segretariparticolari
Capisegreterietecniche
Capi ufficistampa
Capi ufficilegislativi
De Gasperi V 16 16 16 2 1 2
Craxi I 20 20 20 14 20 19
Renzi 13 13 13 10 13 13
Fig. 4: Ministeri con portafoglio, evoluzione nell'organizzazione ministeriale. Periodo repubblicano. Rielaborazionedati Isap, 1988.
Numero di persone (rilevate) che hanno ottenuto incarichi 795Numero di incarichi assegnati (rilevati) 2.475Rapporto tra numero di incarichi distribuiti e persone che hanno ottenuto incarichi 3,1Fig. 5: Periodo della Repubblica. Rapporto tra numero di incarichi distribuiti e persone che hanno ottenuto incarichi.Dati Melis, Natalini, 2016. L'analisi di Melis e Natalini copre un fronte temporale e numerico molto diverso dallapresente ricerca, questo puo provocare uno scostamento tra gli esiti. L'indice di reincarico che risulta da un rapportotra gli incarichi assegnati e il numero di persone che ha ottenuto l'incarico rimane comunque significativo.
Il peso crescente degli uffici di diretta collaborazione dei responsabili politici ha favorito il
progressivo spostamento dei luoghi di confezione delle politiche pubbliche, innescando ricorrenti
frizioni con gli apparati stabili delle amministrazioni. Quello tra ministro e dirigenza pubblica si è
caratterizzato come un rapporto mediato, per l’esistenza, attorno al ministro ed a servizio di questi,
di appositi uffici “politici” di vertice (i gabinetti ministeriali), la cui consistenza e il cui ruolo si
sono andati evolvendo, per accumulo, già durante l’età liberale e fascista, ed ancor più nell’età
repubblicana.
Nel periodo Repubblicano, in base a una normativa “remota e sommaria” (Melis, Natalini,
2016), tale fenomeno si è andato consolidando. Con la pervasiva riforma amministrativa che ha
fortemente modificato la morfologia dell’amministrazione italiana, ed in specie su quella centrale, il
massimo di 45 unità” (art. 11). L'art. 24 del DPCM 10 luglio 2014, n. 142, stabilisce in novanta unità le risorse massimeassegnate agli uffici di diretta collaborazione del Ministero dell'Ambiente. Ancora, è stabilito complessivamente in unmassimo di centoventi unità il contingente di diretta collaborazione assegnato al Ministro degli Esteri (dpr 4 dicembre2009 , n. 207).
problema si è riproposto in forme nuove; uno dei momenti più rilevanti della riforma (l’emanazione
del d. lgs. 80 del 1998) è stato anzi l’occasione per un intervento normativo senza precedenti per
portata storica sul ruolo, sulle funzioni, sull’organizzazione dei gabinetti ministeriali, non a caso
ridefiniti perfino nella nomenclatura in quanto “Uffici di diretta collaborazione” (Sepe, Vetritto,
2006).
Nelle intenzioni del legislatore tali uffici rappresentano strumenti per il superamento della
“asimmetria informativa” che colpisce la politica rispetto all’amministrazione. Rispetto a tale ruolo
di coordinamento, il reale dispiegamento di relazioni formali e informali mostra un quadro ancora
oggi problematico42.
Dai dati sui responsabili degli uffici di gabinetto in età repubblicana43 emerge con forza un
fenomeno incontrovertibile: i responsabili di tali uffici (analogamente avviene per i capi degli uffici
legislativi) costituiscono sempre più un elemento di completa alterità rispetto ai vertici degli
apparati burocratici (capi dipartimento, direttori generali o altro)44. Una sostanziale
sovraordinazione rispetto agli uffici di line che si è concretizzato in attività di coordinamento e di
controllo, mentre ai vertici delle strutture operative è rimasto quasi esclusivamente il presidio di
competenze tecnico/gestionali.
Ciò si rivela – ancor più oggi, entro un quadro normativo che definisce chiaramente ruoli e
rispettive responsabilità - denso di conseguenze e squilibri per il funzionamento degli apparati
amministrativi. Tale sovrapposizione veniva descritta lucidamente nel citato Rapporto Isap in tema
di relazioni tra partiti politici e amministrazioni “sia in termini di “pre-posizione” nella scala della
decisione in merito agli obiettivi di azione, sia nel senso di sostituzione all'attività degli uffici o di
duplicazione delle competenze”45. Una netta distinzione, dunque, tra funzionari di carriera e
responsabili degli uffici di diretta collaborazione. Le alte burocrazie interne ai ministeri sono state
progressivamente emarginate dalle posizioni di vertice dei gabinetti e degli uffici legislativi. Se fino
agli anni Sessanta erano titolari di circa metà di tali incarichi46 funzionari interni l'amministrazione
(corrispondevano al 59,2% nel corso della IV legislatura), nel corso dei decenni successivi si è
sempre più affermata la posizione predominate di alcuni bacini professionali da cui la politica ha
attinto i responsabili degli uffici di staff. Solo alcuni dicasteri (Interno, Esteri, Difesa) hanno
introdotto un obbligo regolamentare di reclutamento interno. Nell’insieme, se si eccettuano i
ministeri d'ordine, la funzione di elaborazione e gestione delle policies è conseguita con una
tendenziale emarginazione dell’alta burocrazia dalla partecipazione ai momenti cruciali del
42 G. Melis, A. Natalini, cit, 2016; F. Di Mascio, Natalini, cit., 2013.43 Sulla evoluzione storica L. Mazzone, I Gabinetti ministeriali, in S. Sepe, G. Vetritto, Le stanze del potere, cit.,
pp. 55-87; G. D’Auria, La politica alla (ri)conquista dell’amministrazione. In «Il lavoro nelle pubblicheamministrazioni», 2002, n. &, pp. 853 ss.
44 S. Sepe, P. Galvano, cit. 2016.45 Archivio Isap, cit., 1988, pp. 73 e ss.46 Isap, ibidem.
processo decisionale.
L'indagine che qui si propone, sulla scorta della tradizione di studio sul caso italiano, si propone
di indagare i profili professionali dei soggetti nominati ai vertici degli uffici di Gabinetto ed uffici
Legislativi nell'ultimo decennio, con l'obiettivo finale di individuare linee di continuità o di rottura
nelle nomine effettuate nell'esperienza governativa più recente.
Nell'arco temporale che va dal Governo Berlusconi III al Governo in carica il totale degli
incarichi assegnati (UG+UL) è stato pari a 163 unità, mentre il totale di soggetti incaricati sono stati
109, per un tasso di rinnovo pari a 2,9647 al quale corrisponde una probabilità di reincarico pari a
0,34 (un incarico su tre è un’assegnazione a persona già nominata).
Distinguendo per tipologia di incarico, abbiamo per le posizioni di Capo di Gabinetto 82
incarichi censiti; i soggetti incaricati sono 62 con un tasso di rinnovo pari a 3,90 e una probabilità di
reincarico pari a 0,26. Le posizioni di Capo Ufficio legislativo rilevate sono 81; i soggetti nominati
5348, con un tasso di rinnovo pari a 2,79 e una probabilità di reincarico più alta rispetto agli
incarichi di vertice dei Gabinetti e pari a 0,36.
Considerando l'insieme degli incarichi rilevati (UG ed UL), il peso delle diverse professionalità è
reso nella tabella che segue:
Frequenza Percentuale
Altro
Avvocato dello Stato
Diplomatico
Dirigente
Docente universitario
Consigliere parlamentare
Militare
Magistrato amministrativo
Magistrato contabile
Magistrato ordinario
Prefetto
Totale incarichi rilevati
9 5,5
18 11,0
7 4,3
14 8,6
3 1,8
4 2,5
12 7,4
49 30,1
13 8,0
19 11,7
15 9,2
163 100,0Fig. 6: Frequenza incarichi per profili di carriera (2005-oggi)
Lo spettro delle professionalità rappresentate è ben identificabile. Sommando le “professioni
forensi” (Avvocatura dello Stato, Magistratura contabile, amministrativa e ordinaria) appare
evidente come l'ambito di competenza prevalente per gli uffici di gabinetto e gli uffici legislativi sia
47 L'indice è ricavato rapportando il numero degli incarichi alla differenza tra gli stessi e il numero di soggetticensiti+1. La probabilità di reincarico è definita come l'inverso dell'indice di rinnovo.
48 Sommando i soggetti incaricati (53+62) si ha un totale di 115 persone, superiore ai 109 incaricatiprecedentemente dichiarati. Ciò dipende dal passaggio, avvenuto in 6 casi, dai vertici degli UG a quelli dell'UL oviceversa.
essenzialmente di tipo “giuridico”. E' confermata anche per il decennio 2005-oggi l'egemonia di
magistrati e avvocati dello Stato che la letteratura sul caso italiano aveva segnalato per il primo
periodo repubblicano (Agosta, Piccardi, 1988) e per il periodo di transizione successiva (Sepe,
Vetritto, 2006).
Una analisi delle frequenze di incarico per soggetti nominati rivela che 4 personalità detengono il
10% degli incarichi per il periodo rilevato. Sommando la frequenza dei soggetti con un numero di
incarichi >2 emerge come essi siano stati titolari di oltre il 26 per cento degli incarichi49 (fig. 7).
La frequenza massima di incarico per soggetto incaricato è pari a 5 esperienze. Il profilo delle
figure che ottengono il maggior numero di reincarichi è di due tipologie: figure trasversali a diversi
dicasteri che sono evidentemente apprezzati per competenze professionali generali (i casi
rintracciati ricadono nella macrocategoria “magistrature”) e soggetti che mantengono stabilmente
l'incarico presso lo stesso ministero, con expertise tecnica acquisita entro l'organizzazione (dirigenti,
militari).
Fig. 7: Frequenza incarichi per soggetti
Il dettaglio dei vertici degli uffici di Gabinetto per i sei governi presi ad esame, permette di definire tendenze
generali dell'ultimo decennio ed altresì di appurare la presenza di (eventuali) nuovi orientamenti:
Berlusconi III Prodi II Berlusconi IV Monti I Letta I Renzi I
Frequenza % Frequenza % Frequenza % Frequenza % Frequenza % Frequenza %
Altro 4 28,6 0 0 2 16,7 1 7,7 0 0 2 15,4Militari 1 7,1 1 5,6 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7
Diplomatico 1 7,1 1 5,6 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7Prefetto 4 28,6 1 5,6 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7
Dirigente 1 7,1 1 5,6 1 8,3 1 7,7 0 0 3 23,1Avvocato di Stato 1 7,1 3 16,7 1 8,3 0 0 1 8,3 0 0
Mag. amministrativo 1 7,1 4 22,2 3 25,0 5 38,5 3 25,0 2 15,4Magistrato contabile 0 0 3 16,7 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7
49 Si tratta, in totale, di 13 soggetti.
Berlusconi III Prodi II Berlusconi IV Monti I Letta I Renzi IMagistrato ordinario 1 7,1 4 22,2 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7
Funz. parlamentare 0 0 0 0 0 0 0 0 2 16,7 1 7,7Docente universitario 0 0 0 0 0 0 1 0 1 8,3 0 0
Totale incarichi rilevati 14 100,0 18 100,0 12 100,0 13 100,0 12 100,0 13 100,0Fig. 7: Capi di Gabinetto per profilo di carriera (2005 – oggi)
La figura 7 rivela – elemento centrale per la nostra indagine - come l'esperienza dell'attuale
governo mostra certamente alcuni tratti di novità rispetto al trend storico in tema di nomine ai
vertici degli uffici di Gabinetto. Cospicue le scelte singolari rispetto ai precedenti governi indagati.
Il dato recente di più rilevante è certamente il ricorso inferiore alle varie magistrature del Governo
Renzi: laddove il governo Prodi ne aveva fatto ricorso per il 55,6% (10/18), il governo Berlusconi
IV per il 41,6% (4/12), il Governo Monti per il 54,1 (7/13), il Governo Letta per il 41,6% (5/12),
l'attuale Governo si limita a ricorrere alle magistrature per circa il 30 per cento (4/13). soltanto in
occasione del terzo governo Berlusconi il ricorso alle “magistrature” era stato ancor inferiore (3
incarichi su 14, pari al 21%).
Si riscontra l'eliminazioni di rappresentanti dell'Avvocatura di Stato (ciò era avvenuto anche con il
Governo Monti I) dai vertici dei Gabinetti ministeriali.
Rispetto alle precedenti esperienze di governo, inoltre, il governo Renzi valorizza la categoria
“dirigenti dello Stato” (23,1%). I soggetti nominati sono due consiglieri PCM ed un dirigente delle
amministrazioni periferiche dello Stato. La dirigenza dello Stato (centrale e locale) non aveva mai
avuto – nel decennio preso ad esame così come nel periodo precedente – una rilevanza tale negli
incarichi di vertice dei Gabinetti.
Il label "Altro" permette di definire un ulteriore segnale di novità. In esso sono ricompresi dirigenti
d'impresa, dipendenti di partito ed altre tipologie di carriera non puntualmente classificabili ma
provenienti comunque dal mondo d'impresa. Una analisi dei profili personali dei soggetti incaricati
rivela, per il periodo indagato, personalità con numerose esperienze maturate nel settore pubblico
attraverso nomine politiche/partitiche. Si distacca da tale modello il capo di gabinetto dell'attuale
Ministro dell'Istruzione, Università e ricerca. Egli è classificabile come outsider del panorama
istituzionale italiano: anagraficamente lontano dal valore medio dei vertici degli altri ministeri di
questo Governo ma anche dalle figure che in passato hanno ricoperto questo stesso ruolo, con brevi
esperienze di collaborazione e consulenza nei gabinetti del Ministro degli Affari Esteri Emma
Bonino negli anni 2013/2014 e del Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e
Trasporti Passera tra il marzo 2012 e l'aprile 2013, è alla sua prima esperienza di vertice.
Non mancano tuttavia, alcune permanenze, così alcuni trend di lungo periodo (Agosta, Piccardi,
1988; Sepe, Vetritto, 2006) mantengono la loro validità. I dati mostrano, ad esempio, come alcune
categorie professionali mantengano (ancora ad oggi, secondo un andamento consolidato nella prima
Repubblica) un forte presidio sugli uffici di Gabinetto dei dicasteri d'ordine: sono i Diplomatici, i
Militari e i Prefetti che, in conseguenza di vincoli regolamentari, assicurano un reclutamento interno
alle loro categorie per i ministeri degli Esteri, della Difesa e dell'Interno. Sono in tutta evidenza
corpi professionali attrezzati a presidiare le funzioni “tradizionali” assegnate a tali ministeri50, ma
che faticano – ad eccezione dei prefetti - a vedere apprezzate le proprie competenze in ministeri
diversi dal proprio.
La rassegna dei dati sui vertici degli Uffici legislativi (figura 8) mostra un atteggiamento più
“tradizionalista” rispetto alle scelte operate per i vertici dei Gabinetti. Le “magistrature”
(amministrativa, contabile ed ordinaria) e l'Avvocatura di Stato mantengono una posizione
dominante. Ciò dipende dalla specifica attività di tali uffici, che richiedono competenze di carattere
giuridico che solo tali categorie sembrano garantire. Se nei precedenti governi presi ad esame la
percentuale degli incarichi superava la soglia del 70%, nei Legislativi dei ministeri con portafoglio
del governo Renzi non si va oltre il 53, 9%.
Berlusconi III Prodi II Berlusconi IV Monti I Letta I Renzi I
Frequenza % Frequenza % Frequenza % Frequenza % Frequenza % Frequenza %
Militari 1 7,7 1 5,6 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7Diplomatici 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 7,7
Prefetti 1 7,7 1 5,6 1 8,3 1 7,7 1 8,3 1 7,7Dirigenti 1 7,7 3 16,7 1 8,3 0 0 0 0 2 15,4
Avvocato di Stato 3 23,1 3 16,7 2 16,7 1 7,7 1 8,3 2 15,4Mag. amministrativo 4 30,8 6 33,3 5 41,7 8 61,5 6 50,0 2 15,4Magistrato contabile 2 15,4 1 5,6 1 8,3 1 7,7 1 8,3 0 0Magistrato ordinario 1 7,7 3 16,7 1 8,3 1 7,7 1 8,3 3 23,1
Funz. parlamentare 0 0 0 0 0 0 0 0 1 8,3 0 0Docente universitario 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 7,7
Totale incarichi rilevati 13 100,0 18 100,0 12 100,0 13 100,0 12 100,0 13 100,0Fig. 8: Capi Ufficio Legislativo per profilo di carriera (2005 – oggi)
Si segnala anche una interessante presenza (15,4) della categoria "dirigenti". Una situazione
assimilabile si era presentata nel governo Prodi II (con 3 nomine), ma l'attuale esperienza è degna di
nota poiché gli incarichi sono assegnati a due consiglieri della Presidenza del consiglio dei Ministri.
La rilevanza che tale specifica categoria acquisisce nelle scelte in tema di nomine (UG+UL)
dell'attuale Governo può essere letto come un segnale di "distensione" con l'apparato.
Conclusioni
In questo paper abbiamo analizzato le relazioni che vengono a (ri-)prodursi tra il potere di
nomina politica e il funzionamento della pubblica amministrazione, e come tali relazioni incidano
50 La frequenza pari a 1 per la totalità dei Governi presi ad analisi deriva da obblighi regolamentari interni.
sulla tenuta del principio di distinzione delle competenze. Per fare questo abbiamo analizzato gli
uffici di diretta collaborazione, come evidente espressione del potere di nomina politica degli ultimi
sei governi (Berlusconi III, Prodi II, Berlusconi IV, Monti, Letta e Renzi), in un periodo compreso
tra il 2005 e il 2016.
Utilizzando i dati raccolti in precedenti ricerche e dati elaborati direttamente da noi, abbiamo
cercato di verificare l’ipotesi iniziale, ovvero se fosse possibile evidenziare nell’esercizio del potere
di nomina politica da parte del governo Renzi un cambio di segno rispetto alla continuità che
effettivamente aveva caratterizzato le precedenti esperienze di governo. La ricerca condotta, proprio
per i diversi approcci di studio di entrambi gli autori, ha cercato di far convergere sulla medesima
problematica di studio due diversi metodologie di ricerca, l’una funzionale e l’altra giuridica, nel
tentativo di proporre una analisi che cercasse di non trascurare le implicazioni reciproche che
intercorrono tra la disciplina giuridica del potere di nomina politica e il modo di interpretare e
svolgere i compiti che sono affidati alle singole persone, nel crocevia delle relazioni tra politica e
amministrazione.
Come abbiamo cercato di dimostrare, l’esercizio del potere di nomina da parte dell’ultimo
governo segna un passaggio fondamentale verso un rafforzamento dell’esecutivo, con particolare
attenzione per la Presidenza del consiglio dei ministri, vero centro politico e di coordinamento
dell’attività politica del governo, rafforzando una tendenza che emergeva, ma non così nitidamente,
nelle precedenti esperienze di governo. I risultati finali mostrano come lo stile del governo Renzi
nell’utilizzo del potere di nomina politica sia caratterizzato da profili di rottura, con una maggiore
concentrazione di potere all’interno di alcuni ruoli chiave della Presidenza del consiglio e una
sostanziale diminuzione dei Ministeri senza portafoglio afferenti proprio alla Presidenza, con
diverse conseguenze. Per prima cosa, di fronte ad una stabilità per quanto riguarda i ministeri
d’ordine, è possibile registrare una diminuzione degli incarichi affidati a Magistrati Contabili e
Amministrativi, storicamente uno dei bacini più importanti per quanto riguarda il potere di nomina.
Secondariamente, è possibile registrare un consistente tasso di ricambio, pari a due persone ogni tre
incarichi affidati, con una netta preferenza per l’afferenza politica o la vicinanza fiduciaria derivante
dalle precedenti esperienze di governo locale. Da ultimo è necessario notare come, oltre ad un
relativamente elevato tasso di ricambio si registra anche un piuttosto elevato ricorso a figure che per
la prima volta svolgono incarichi di vertice (come Capo di Gabinetto), nonché al ricorso a
consulenti esterni (i c.d. advisors), non inquadrati all’interno dei ruoli dell’amministrazione, nel
tentativo di ricerca di expertise, soprattutto economiche, dall’esterno delle amministrazioni statali.
Queste tre condizioni sembrano confermare la tesi secondo la quale il Governo Renzi abbia
attuato, attraverso una importante azione di cambiamento, una sorta di accerchiamento
dell’amministrazione statale, innestando profili alieni ai tradizionali canali di reclutamento, quasi
una espressione diretta di mancanza di fiducia verso l’amministrazione e quindi una necessaria
controllabilità delle burocrazie ministeriali. Eppure le tendenze sono ambivalenti: il ricorso
pronunciato e specifico ai Consiglieri PCM potrebbe dar l'impressione di contraddire tale chiave di
lettura. Una possibile lettura di tale ambivalenza potrebbe far riferimento ad una vicinanza politica
quanto istituzionale che in qualche modo potrebbe giustificare degli elementi di continuità con
l’amministrazione. In ogni caso, entrambe queste tendenze segnano profondamente il rapporto tra la
dimensione politica di governo e la dimensione di vertice dell’amministrazione durante il presente
governo.
In questo modo, di fronte ad un quadro normativo che sostanzialmente è rimasto invariato
nell’arco di circa dieci anni, l’utilizzo del potere di nomina nel governo Renzi sembra prefigurare
un rafforzamento degli uffici di diretta collaborazione collegato al processo di centralizzazione che
già era stato identificato in precedenti studi. La conseguenza di ciò è un quella di prevedere un
rafforzamento sia della componente tecnica che politica di tali uffici, con l’ulteriore conseguenza di
un rafforzamento degli Uffici di diretta collaborazione come “amministrazione parallela” o
competitiva rispetto all’amministrazione di ruolo di vertice. Tale elemento, che era già riscontrabile
nei precedenti governi, sembra ulteriormente spostare l’equilibrio tra politica e amministrazione, in
favore della prima, come dimostrano l’accresciuta «precarizzazione» della dirigenza51 e la
pervasività del vincolo fiduciario come criterio di selezione degli alti funzionari, la crescita delle
dimensioni degli uffici di diretta collaborazione.
Questi risultati sono chiaramente un contributo che cerca di riallacciarsi a tutti i precedenti studi
sul potere di nomina e sul rischio di politicizzazione dell’amministrazione. Tuttavia, se da una parte
sembra evidente che vi sia un utilizzo peculiare e specifico del potere di nomina da parte del
governo Renzi, dall’altra tali risultati necessitano di ulteriori ricerche nel tentativo di renderli
maggiormente consistenti, specialmente lungo due direttive: una continua mappatura dei profili
professionali nominati attraverso l’esercizio del potere di nomina, e i rapporti e le relazioni che
vengono ad instaurarsi tra i vertici dell’amministrazione e gli uffici espressione del potere di
nomina politica.
Indubbiamente gli uffici di diretta collaborazione rimangono il crocevia dell’ambiguità dei
rapporti tra politica e amministrazione nonché chiave di volta per comprendere gli effetti della
“politicizzazione” dell’amministrazione. Pertanto, continuare uno studio di questo tipo, di fronte a
risultati che sono sicuramente parziali, permetterà di cogliere i numerosi rapporti che vengono a
costituirsi tra la dimensione politica e la dimensione amministrativa e come tali rapporti siano
fondamentali per comprendere quale sia il punto di equilibrio tra le due differenti dimensioni nel
51 Da questo punto di vista importanti sono le novità presenti nello Schema di decreto legislativo recante la disci-plina della dirigenza della Repubblica, presentato presso la Presidenza del consiglio dei Ministri in data 26 agosto 2016.
tentativo di mantenere fermo il principio di distinzione delle competenze come espressione dei
principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità.
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