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1. IL PERIODO PROTOSTORICO. L’ETÀ DEL BRONZO Il territorio di Radicofani ha restituito, fino a oggi, scarse testimo- nianze riferibili ai periodi preistorico e protostorico. Alcuni mate- riali, attualmente conservati presso il Museo Archeologico di Pe- rugia, documentano una frequentazione dell’area in età neolitica e durante l’età del Bronzo 1 . Purtroppo l’assenza di precise indica- zioni che consentano una puntuale localizzazione di questo mate- riale impedisce di formulare una qualsiasi ipotesi sulla natura del- l’insediamento nella zona fino alla media età del Bronzo. Gli scavi condotti all’interno della fortezza di Radicofani, infatti, hanno por- tato all’individuazione di un insediamento, forse stagionale, testi- moniato dalla presenza di alcuni frammenti di ceramica con deco- razione appenninica 2 . Il sito, per quanto in buona parte obliterato e asportato in seguito alle successive fasi di occupazione dell’area sommitale, sembra comunque dotato, in virtù della sua stessa po- sizione geografica, di un evidente carattere strategico. Il luogo, in- fatti, consentiva un notevole controllo del territorio circostante e delle principali valli fluviali, tramite le quali già in questo periodo dovevano situarsi alcuni importanti percorsi viari 3 . La ricognizione ha portato all’individuazione di alcuni frammenti di ceramica di impasto, probabilmente databili al Bronzo medio, al- l’interno di due Unità Topografiche 4 . La scarsità del materiale, uni- tamente all’elevato grado di usura superficiale 5 , impedisce di cogliere la reale natura di questi insediamenti, che potrebbero essere forse connessi alla pratica della transumanza. Entrambi, comunque, pre- sentano caratteri costanti, come la localizzazione su rilievi argillitici a quote non elevate e la vicinanza a corsi d’acqua di media e grande portata. Ulteriori indagini all’interno delle UT potrebbe portare al recupero di una maggiore quantità di materiale, contribuendo a me- glio definire i rapporti tra questi modesti insediamenti e i siti ubicati sulle pendici del Monte Cetona e del Monte Amiata 6 . Dall’area della rocca di Radicofani, inoltre, provengono altre tracce di occupazione databili all’età del Bronzo finale. In particolare, lo scavo ha consentito di individuare una struttura di tipo capannicolo, indiziata dalla presenza di buche di palo realizzate nella roccia vul- canica 7 . L’insediamento, anche in questo caso interpretabile forse come riparo stagionale, appare fortemente connesso con la viabilità del territorio circostante. In questo periodo, infatti, i centri abitativi localizzati sulle pendici (Casa Carletti) e sulla sommità del Monte Cetona conoscono un notevole incremento 8 . Per quanto riguarda il resto del territorio le ricerche di superficie hanno consentito di censire cinque Unità Topografiche caratteriz- zate dalla presenza di ceramica databile al Bronzo finale. Mentre le UT 118 e 148 9 sono interpretabili come semplici stazioni – a quanto IX. I PAESAGGI 171 1 Si veda p. 22. 2 ROSSI, 1998. 3 VILUCCHI, 1998, pp. 137-139. 4 Cfr. Catalogo delle Unità Topografiche nn. 59, 61. 5 In generale, i ritrovamenti di età preistorica e protostorica si presentano rispetto alle epoche successive, piuttosto scarsi. Il numero ridotto di siti databili a questo periodo, del resto, è imputabile non soltanto alla effettiva rete di distribuzione degli abitati o alla relativa casualità dei rinvenimenti di superficie ma anche alle condizioni geo- morfologiche del territorio (cfr. pp. 7-15). 6 Per una sintesi sugli insediamenti dell’età del Bronzo sul Cetona si veda SARTI, 1990, pp. 47-57; CUDA-SARTI, 1991-1992; CUDA-MARTINI-SARTI, 1998, p. 19. Per il Monte Amiata si veda CASI, 1996b. 7 VILUCCHI, 1998, p. 139; ROSSI, in questo volume. 8 SARTI, 1990, pp. 54-56. 9 L’UT 118, posta in località Palazzuolo, presenta una consistente fase di vita databile ai periodi orientalizzante e arcaico; l’UT 148, situata in località Caselle, presenta an- ch’essa una occupazione databile allo stesso periodo ma di dimensioni più ridotte. Fig. 1. Le Unità Topografiche databili all’età del Bronzo © 2004 Nuova Immagine Editrice, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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1. IL PERIODO PROTOSTORICO. L’ETÀ DEL BRONZO

Il territorio di Radicofani ha restituito, fino a oggi, scarse testimo-nianze riferibili ai periodi preistorico e protostorico. Alcuni mate-riali, attualmente conservati presso il Museo Archeologico di Pe-rugia, documentano una frequentazione dell’area in età neolitica edurante l’età del Bronzo 1. Purtroppo l’assenza di precise indica-zioni che consentano una puntuale localizzazione di questo mate-riale impedisce di formulare una qualsiasi ipotesi sulla natura del-l’insediamento nella zona fino alla media età del Bronzo. Gli scavicondotti all’interno della fortezza di Radicofani, infatti, hanno por-tato all’individuazione di un insediamento, forse stagionale, testi-moniato dalla presenza di alcuni frammenti di ceramica con deco-razione appenninica 2. Il sito, per quanto in buona parte obliteratoe asportato in seguito alle successive fasi di occupazione dell’areasommitale, sembra comunque dotato, in virtù della sua stessa po-sizione geografica, di un evidente carattere strategico. Il luogo, in-fatti, consentiva un notevole controllo del territorio circostante edelle principali valli fluviali, tramite le quali già in questo periododovevano situarsi alcuni importanti percorsi viari 3.La ricognizione ha portato all’individuazione di alcuni frammenti diceramica di impasto, probabilmente databili al Bronzo medio, al-l’interno di due Unità Topografiche 4. La scarsità del materiale, uni-tamente all’elevato grado di usura superficiale 5, impedisce di coglierela reale natura di questi insediamenti, che potrebbero essere forse

connessi alla pratica della transumanza. Entrambi, comunque, pre-sentano caratteri costanti, come la localizzazione su rilievi argilliticia quote non elevate e la vicinanza a corsi d’acqua di media e grandeportata. Ulteriori indagini all’interno delle UT potrebbe portare alrecupero di una maggiore quantità di materiale, contribuendo a me-glio definire i rapporti tra questi modesti insediamenti e i siti ubicatisulle pendici del Monte Cetona e del Monte Amiata 6.Dall’area della rocca di Radicofani, inoltre, provengono altre traccedi occupazione databili all’età del Bronzo finale. In particolare, loscavo ha consentito di individuare una struttura di tipo capannicolo,indiziata dalla presenza di buche di palo realizzate nella roccia vul-canica 7. L’insediamento, anche in questo caso interpretabile forsecome riparo stagionale, appare fortemente connesso con la viabilitàdel territorio circostante. In questo periodo, infatti, i centri abitativilocalizzati sulle pendici (Casa Carletti) e sulla sommità del MonteCetona conoscono un notevole incremento 8. Per quanto riguarda il resto del territorio le ricerche di superficiehanno consentito di censire cinque Unità Topografiche caratteriz-zate dalla presenza di ceramica databile al Bronzo finale. Mentre leUT 118 e 148 9 sono interpretabili come semplici stazioni – a quanto

IX. I PAESAGGI

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1 Si veda p. 22.2 ROSSI, 1998.3 VILUCCHI, 1998, pp. 137-139.4 Cfr. Catalogo delle Unità Topografiche nn. 59, 61.5 In generale, i ritrovamenti di età preistorica e protostorica si presentano rispetto alleepoche successive, piuttosto scarsi. Il numero ridotto di siti databili a questo periodo,

del resto, è imputabile non soltanto alla effettiva rete di distribuzione degli abitati oalla relativa casualità dei rinvenimenti di superficie ma anche alle condizioni geo-morfologiche del territorio (cfr. pp. 7-15).6 Per una sintesi sugli insediamenti dell’età del Bronzo sul Cetona si veda SARTI, 1990,pp. 47-57; CUDA-SARTI, 1991-1992; CUDA-MARTINI-SARTI, 1998, p. 19. Per ilMonte Amiata si veda CASI, 1996b.7 VILUCCHI, 1998, p. 139; ROSSI, in questo volume.8 SARTI, 1990, pp. 54-56.9 L’UT 118, posta in località Palazzuolo, presenta una consistente fase di vita databileai periodi orientalizzante e arcaico; l’UT 148, situata in località Caselle, presenta an-ch’essa una occupazione databile allo stesso periodo ma di dimensioni più ridotte.

Fig. 1. Le Unità Topografiche databili all’età del Bronzo

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pare – isolate, le UT 111, 112, 113 10 sembrano raggrupparsi a for-mare un piccolo villaggio. Ciascuna delle tre concentrazioni apparelocalizzata su modesti rilievi di forma mammellonare, situati a po-che decine di metri di distanza l’uno dall’altro. Nel caso di Molinodella Vignaccia, la grande disponibilità di acqua, derivante dallaestrema vicinanza al corso del fiume Orcia, appare la motivazionedominante nella scelta insediativa. Nel territorio comunale di Pienzale recenti indagini di superfici e hanno portato all’individuazione ditracce di frequentazione, a poche centinaia di metri di distanza dallimite comunale con Radicofani, databili all’età del Bronzo 11. Ilcorso dell’Orcia si presenterebbe quindi come un’area cardine nelquadro del popolamento protostorico.Nel caso degli altri due siti, invece, la maggiore altimetria (590-610metri per l’UT 148, 510-520 metri per l’UT 118, a differenza del340-350 metri delle UT 111, 112, 113) sembra suggerire forme di

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10 Le UT sono situate in località Molino della Vignaccia.11 FELICI, 2004, pp. 299-301.

Fig. 2. Il popolamento nell’età del Bronzo

Fig. 3. Tipologia delle Unità Topografiche databili all’età del Bronzo

frequentazione

stazione

frequentazione

stazione

frequentazione

stazione

villaggio

0 3 6 9 km

Età del Bronzo:

Età del Bronzo medio:

Età del Bronzo finale:

confini comunali

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insediamento che prediligevano luoghi posti in posizione dominante. Malgrado la labilità delle tracce archeologiche provenienti dalle ri-cerche di superficie, quindi, il territorio di Radicofani si presentanel corso dell’età del Bronzo come una sorta di anello di congiun-zione tra il Monte Amiata, da un lato, e il Monte Cetona e il restodel Chiusino, dall’altro. Dallo studio degli scarsi frammenti cera-mici, infatti, appare evidente una appartenenza della zona radico-fanese a quella facies culturale del Bronzo finale del gruppo“Chiusi-Cetona” 12.

Stefano Rossi

2. IL PERIODO ETRUSCO

I siti etruschi localizzati all’interno dei limiti amministrativi del co-mune di Radicofani sono numericamente ridotti, soprattutto se si ef-fettua il paragone con altri territori dell’Etruria settentrionale già in-dagati 13. Le ragioni di questa assenza vanno ricercate, più che nell’i-nevitabile grado di casualità dei rinvenimenti provenienti da ricerchedi superficie, nella marcata marginalità di questa porzione dell’agroChiusino. La stessa ricerca antiquaria prima e archeologica poi, del re-sto, non aveva portato alla luce nessun sito databile al periodo etrusco,ad eccezione di alcuni significativi rinvenimenti localizzati tra la som-mità e le pendici del cono vulcanico di Radicofani. Si tratta della notastipe votiva, di dubbia localizzazione, attualmente conservata presso ilMuseo Archeologico di Firenze, di un’olla con coperchio – recanti en-trambi una breve inscrizione – proveniente dalla zona limitrofa all’a-bitato di Radicofani, di un soggetto antropomorfo di provenienza im-precisata e di scarsi frammenti ceramici provenienti dall’area dellarocca 14. Sembrano, invece, inattendibili le notizie relative alla pre-

senza, all’interno del Bosco Isabella (attuali giardini pubblici di Radi-cofani, nella zona compresa tra l’abitato moderno e la Posta medicea),di mura in opera poligonale di età etrusca 15. In ogni caso, la localiz-zazione di tutti i ritrovamenti nella zona limitrofa al cono vulcanico la-scia ipotizzare una presenza etrusca non trascurabile in quest’area.Quale che fosse la natura dell’insediamento qui localizzato, appare evi-dente il ruolo egemone da esso ricoperto rispetto al resto del territorio.Al momento d’intraprendere la ricognizione archeologica, quindi, ilcomprensorio comunale di Radicofani, a differenza del resto del Chiu-sino, si presentava estremamente marginale e apparentemente noncoinvolto nel sistema di distribuzione degli abitati presso i maggiorivalichi fluviali compresi tra il Monte Amiata e il Lago Trasimeno.

L’età villanoviana

Le ricerche di superficie condotte nel territorio comunale di Radi-cofani hanno portato all’individuazione di sole 13 Unità Topografi-che databili genericamente ai periodi orientalizzante e arcaico. Nes-suna evidenza villanoviana o di età classica è stata rilevata. D’altrocanto, molte delle aree limitrofe non appaiono caratterizzate, perquel che riguarda l’età del Ferro, da tracce di occupazione e sfrutta-mento intensivo delle campagne. Nel comprensorio amiatino sononoti soltanto tre vasi fittili databili alla prima età villanoviana prove-nienti da Semproniano 16 e una punta di giavellotto in bronzo recu-

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Fig. 4. I siti noti di età etrusca

12 ZANINI, 2000b, pp. 32-34.13 All’interno del progetto di Carta Archeologica della Provincia di Siena, soltanto lericerche condotte nel comune di Abbadia San Salvatore hanno messo in evidenza unasituazione analoga a quella di Radicofani: i siti di età etrusca individuati, infatti, sonostati due (CAMBI, 1996a, UT Rad 18 e Rad 51, pp. 74, 81; per i paesaggi di età etru-sca si veda nello specifico CIACCI, 1996, pp. 151-163). Negli altri territori il numerodelle Unità Topografiche attribuibili all’età etrusca si è sempre dimostrato molto piùelevato (VALENTI, 1995, pp. 393-398; CIACCI, 1999; NARDINI, 2001, pp. 135-143;CAMPANA, 2001, pp. 276-282, 292-297); in particolare, nel caso di Pienza, il cui ter-ritorio comunale confina con quello di Radicofani, la ricerca ha portato all’indivi-duazione di oltre 20 UT per il periodo arcaico e oltre 40 UT per il periodo ellenistico(FELICI, 2004, pp. 302-309). Appare significato il fatto che i due comuni meno inte-ressati da fenomeni di occupazione e sfruttamento delle campagne durante il periodoetrusco appartengano entrambi al comprensorio amiatino (comuni di Abbadia SanSalvatore e Radicofani). 14 Si veda pp. 20-24.

15 VILUCCHI, 1998, p. 145.16 PISTOI, 1989, pp. 87-88.

Fig. 5. Cronologia delle Unità Topografiche etrusche individuate

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perata presso Campigliola (nel comune di Castiglion d’Orcia) 17. Aest di Radicofani, è principalmente Sarteano a presentare cospicuetracce di occupazione del territorio, testimoniate però esclusiva-mente da necropoli, come quelle localizzate presso Poggio Rotondo,Sferracavalli, Pietraporciana, Albinaia, Boccacciano, Pianporcelli 18.La loro dislocazione, nelle aree montane del territorio comunale, te-stimonia una evidente continuità nelle scelte insediative con il pe-riodo precedente, malgrado la prima fase villanoviana sia scarsa-mente documentata soltanto in alcune di esse 19. Nell’area de La

Foce, a cavallo dei comuni di Pienza e Chianciano, la necropoli diTolle sembra attestare la precoce importanza del valico e del percorsoviario che lo attraversava e che metteva in comunicazione la Val diChiana con le zone costiere 20. Presso Chiusi, infine, sembrano oc-cupate, di preferenza, le alture poste a ovest e a nord dell’attuale pe-rimetro urbano, più prossime allo sbocco verso la Val di Chiana, checostituiva un tratto del percorso raccordante l’Etruria padana conquella meridionale interna 21.Già in età villanoviana, quindi, appaiono occupate le principali areeinsediative dei periodi successivi, destinate, in molti casi, ad avereuna lunga continuità di vita fino all’età ellenistica. Radicofani, allostato attuale delle ricerche, non sembra coinvolto in questo sistemadi distribuzione degli abitati, sebbene la presenza, nell’area dellarocca, di ceramica databile alla fase finale dell’età del Bronzo e al pe-riodo orientalizzante non escluda la possibilità di una frequentazioneanche nel corso dell’età del Ferro.

Le età orientalizzante e arcaica

Nel corso dell’età orientalizzante e arcaica il territorio di Radicofaniè caratterizzato dalla presenza di scarse e modeste abitazioni e da al-cune tracce di frequentazione 22. La mancanza di elementi diagno-

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mento che sono gli unici oggetti del territorio Chiusino attestanti la fase cronologicadi passaggio tra l’età del Ferro e il periodo orientalizzante (CIACCI, 1985b, pp. 260-261; MINETTI, 1997b, p. 23). Reperti di epoca villanoviana sono stati rinvenuti, in-fine, anche a Pietraporcina, Pianporcelli, Albinaia-Casolimpia e Boccacciano, a do-cumentazione di una diffusa presenza di villaggi nel settore nord/ovest del territoriosarteanese (MINETTI, 1997b, p. 23).20 Presso il valico naturale tra la Val d’Orcia e la Val di Chiana, a La Foce, non lon-tano da Castelluccio di Pienza, è localizzata una necropoli etrusca, in parte scavata dalMieli negli anni Trenta del XX secolo e tuttora in corso di scavo, che ha restituito ma-teriali di età villanoviana. La necropoli è, con ogni probabilità, da ricollegare a un vil-laggio, non ancora indagato, situato a poca distanza (CIACCI, 1985a, p. 68; PAOLUCCI,1986, p. 21; PAOLUCCI, 1988a, p. 103; PAOLUCCI, 1997b, p. 15; PAOLUCCI, 2000a;BETTINI, 2000, p. 52, nota 5; PAOLUCCI, 2001a, p. 72)21 BETTINI, 2000a, pp. 56-57; BETTINI, 2000b, pp. 54-56. Il villanoviano di Chiusipresenta caratteri peculiari rispetto ai grandi centri dell’Etruria meridionale: l’area dovesorgerà la città storica, infatti, non sembra particolarmente privilegiata rispetto ai collicircostanti, né occupata da un agglomerato già accentrato. Il dato più interessante è laprobabile continuità di vita sulle due sommità occupate nell’età del Bronzo finale (ZA-NINI, 2000a, pp. 45-46; ZANINI, 2000b, pp. 28-30), originariamente divise da selle col-mate presumibilmente in età imperiale. Purtroppo gli interventi di epoca successiva, ein particolare la costruzione delle mura urbane (MAETZKE, 1985), hanno profonda-mente intaccato e distrutto una parte considerevole delle testimonianze protostoriche.Tracce di capanne dell’età del Ferro sono documentate su entrambe le sommità, purnon consentendo di definire né l’estensione né l’articolazione dell’abitato, mentre lepiù cospicue testimonianze villanoviane sono state individuate sui colli circostanti lacittà, e in particolare sui rilievi occidentali e settentrionali (RASTRELLI, 1993a, pp. 115ss.). L’abitato più vasto individuato fino a oggi e in parte scavato è ubicato sul colle diMontevenere: si tratta di un insediamento di pendice, disposto sul versante occiden-tale del colle, prospiciente la Val di Chiana. All’interno dell’area sono state individuatealmeno 12 strutture di tipo capannicolo, forse con destinazioni diverse, che sembranoper lo più semi-incassate negli strati geologici che costituiscono l’ossatura della collina(BETTINI-ZANINI, 1995, pp. 158-161; BETTINI, 2000a, pp. 53-54). Altre tre aree in-sediative sono state individuate sui rilievi collinari posti intorno alla città, insieme a unnumero cospicuo di ritrovamenti isolati, difficilmente riconducibili ad ambito dome-stico o funerario (RASTRELLI, 1993a, pp. 117 ss.). In generale l’area periurbana diChiusi appare caratterizzata da più insediamenti disposti prevalentemente sulle pen-dici collinari, a una quota superiore ai 300 metri, spesso sui crinali piuttosto che sullesommità dei rilievi, che appaiono estremamente ridotte (BETTINI, 2000a, pp. 56-57).22 I dati relativi al periodo etrusco sono stati sinteticamente pubblicati in un contri-buto uscito nel 2004 (BOTARELLI, 2004). Le differenze riscontrabili tra l’articolo inquestione e la presente carta archeologica derivano dall’analisi più approfondita ef-fettuata nel lasso di tempo intercorso: a un più attento studio della ceramica, infatti,alcuni siti hanno subito delle parziali modifiche circa la loro cronologia o interpreta-

17 PISTOI, 1989, p. 38. Interessante il parere di Ciacci che esclude che tale rinveni-mento possa essere indicativo di una frequentazione, dal momento che la classe di og-getti cui appartiene, quella delle armi, appare piuttosto legata all’ambito dei contattie degli scambi che non a quello della cultura locale (CIACCI, 1996, p. 152).18 MINETTI, 1997b, p. 23; BETTINI, 2000a, p. 52.19 Scarsa è la documentazione della prima fase villanoviana nel territorio di Sarteano,mentre molto più numerosi sono i materiali di VIII secolo e quelli che documentanola fase di passaggio tra il villanoviano e il primo periodo orientalizzante. Molto signi-ficativa a questo riguardo è la necropoli di Sferracavalli, dove, tra il 1875 e il 1879,furono rinvenute circa 140 tombe a pozzetto, contenenti il classico biconico copertoda una ciotola e, in questo caso, privo di decorazioni (D’AVERSA, 1984, p. 85; MI-NETTI, 1997b, p. 23). La necropoli, per la sua collocazione presso la concentrazionedi abitati della precedente fase protovillanoviana e per la semplicità delle sue tombe,potrebbe aver avuto un ruolo di primaria importanza per la formazione della culturavillanoviana nell’area, malgrado tali segni di arcaicità siano stati talvolta giudicati sem-plicemente come indizi di cantonalità (TORELLI, 1990, p. 308). Un’altra necropoli,sempre all’interno del territorio comunale di Sarteano, in località Poggio Rotondo,che ha restituito abbondanti materiali villanoviani, è stata scoperta nel 1951 da Gu-glielmo Maetzke. Anche qui, come a Sferracavalli, i materiali ceramici sono piuttostopoveri, con olle e ciotole non tornite che documentano un livello produttivo piutto-sto arretrato. Malgrado questo, rivestono comunque un interesse notevole, dal mo-

Fig. 6. I principali siti villanoviani citati nel testo

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stici all’interno di molte Unità Topografiche, caratterizzate da scarsiframmenti di ceramica di impasto, impedisce di effettuare una scan-sione cronologica più articolata, obbligando a trattare i due periodicongiuntamente. Questa sostanziale povertà della cultura materialelocale appare tanto più significativa se paragonata al grande dinami-smo del resto del Chiusino, dove, soprattutto a Chiusi e Chianciano,a partire dall’ultimo quarto del VII secolo, le necropoli testimonianola nascita di un ceto aristocratico legato al controllo e allo sfrutta-mento agricolo del territorio 23. D’altro canto, lo stesso comprenso-rio sarteanese, per quanto privo dei principali simboli del potere ari-stocratico – i troni e gli ossuari in bronzo – mostra già nel periodoorientalizzante un notevole progresso delle attività artigianali e unasignificativa estensione delle aree insediative 24.Nel territorio comunale di Radicofani, il sito in migliore stato diconservazione è costituito da un piccolo nucleo abitativo localizzatoa est del cono vulcanico, non lontano dalle sorgenti del fiume Orciae del torrente Rigo 25. Il luogo si presenta oggi come un rilievo diforma allungata – con direzione nord-sud – avente pendii piuttostoripidi. La sommità è costituita da una sorta di stretto pianoro carat-terizzato, al suo interno, da una variazione altimetrica di soli 10 me-tri (530-540 metri s.l.m.) a fronte di una lunghezza di 650 metri edi una larghezza variabile tra i 50 e i 100. I fianchi del rilievo sonoprofondamente scavati da una serie di calanchi, all’interno dei qualiscorrono corsi d’acqua di scarsa portata, in buona parte immissari delRigo. Sebbene sia difficile stabilire con precisione lo stato di erosione– oggi molto vistoso – cui la zona era soggetta oltre 2500 anni fa, ècomunque possibile cogliere le motivazioni che hanno portato a que-sta scelta insediativa. La possibilità, infatti, di dominare il territoriocircostante e al tempo stesso di coltivare il pianoro senza dover com-

piere spostamenti verso il fondovalle, unitamente alla grande dispo-nibilità d’acqua, dovevano apparire requisiti importanti in un pe-riodo in cui il popolamento prediligeva ancora posizioni elevate 26.È possibile che il sito in questione sia da considerare in qualche modoinserito all’interno delle vicende che interessavano il resto del territo-rio. Le necropoli di Sarteano, il comune più vicino a quello di Radi-cofani, mostrano, infatti, una diversificazione dei ruoli sociali e una ric-chezza che sono indice di una nuova concezione del potere, legatoprincipalmente allo sfruttamento agricolo del territorio. In quest’ot-tica è probabile che l’abitato di Palazzuolo sia da considerare come unasorta di insediamento satellite, fortemente subordinato a una delle co-munità cui le necropoli fanno riferimento. Il rinvenimento di un ossoumano (all’interno dell’UT 119) potrebbe indicare la presenza di se-polture che, se confrontate con le coeve tombe a camera dell’agroChiusino, dovevano apparire poverissime. In un clima in cui la diffe-renziazione sociale cominciava a farsi sempre più vistosa è possibile cheuna tale semplicità nel rito funerario indichi la condizione servile o se-miservile di quanti abitavano la struttura. D’altro canto, la presenza disepolture farebbe escludere un’interpretazione del sito come sempliceriparo stagionale legato alle attività di transumanza che, sebbene for-temente diminuite rispetto all’età del Bronzo, continueranno a carat-terizzare l’economia della zona fino all’età moderna 27. Il materiale rinvenuto sembra suggerire una durata di vita del sito dicirca 150 anni, tra la seconda metà del VII e il VI secolo d.C. 28, la-sciando immaginare un abbandono alla fine dell’età arcaica. Sappiamo, del resto, che molti dei siti minori del territorio chiusinosubirono continue flessioni nei secoli VII e VI, a differenza degli op-pida, che non sembrano mostrare segni di recessione o abbandonoalmeno fino all’età classica 29.

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Fig. 7. Le Unità Topografiche databili alle età orientalizzante e arcaica

zione. La diversa numerazione dipende, invece, dalla necessità di colmare i vuoti cheinevitabilmente si creano in corso di studio, in seguito alla soppressione di alcuneUnità Topografiche.23 RASTRELLI, 2000b, p. 68; MINETTI, 2000b; Minetti, 2000a; MAGGIANI, 2000, pp.258-259, 263-264; PAOLUCCI, 2002, pp. 247-263.24 MINETTI, 1997a, pp. 23-24.25 Si veda il catalogo delle Unità Topografiche: UT 118, 119, situate entrambe in lo-calità Palazzuolo.

26 Si pensi, ad esempio, alla necropoli di Solaia, il cui abitato doveva verosimilmentetrovarsi dove sorge l’attuale Castiglioncello del Trinoro, a 780 metri di altitudine, nel-l’attuale comune di Sarteano (MINETTI, 1997a, pp. 24-25).27 PICCINNI, 1989, pp. 203-204; PICCINNI, 1990, pp. 49-50.28 L’UT ha restituito il numero più cospicuo di materiale databile al periodo orienta-lizzante-arcaico, tra cui una scodella in impasto grezzo prodotta tra la fine del VII e ilVI secolo a.C. (tav. 3.4), un frammento di bucchero (tav. 3.3) e una parete decorataa bugnette e incisioni semicircolari in impasto bruno sottile (tav. 3.2).29 RASTRELLI, 2000c, pp. 116-118.

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Il rinvenimento, in superficie, di frammenti di incannicciato inducea pensare che il modello abitativo utilizzato nell’abitato fosse di tipocapannicolo, caratterizzato dalla presenza di elevati in argilla pres-sata e da un tetto probabilmente stramineo. L’assenza di scavi siste-matici relativi a strutture rurali di epoca orientalizzante e arcaica nelresto del territorio Chiusino impedisce di formulare ipotesi più det-tagliate a questo proposito 30.

Bisogna, infine, sottolineare l’eccezionalità delle condizioni pe-dologiche che hanno portato al riconoscimento delle UT 118 e119. La tardiva messa a coltura dei terreni in località Palazzuolo,infatti, ha fatto sì che materiali facilmente deperibili, come la ce-ramica d’impasto, si siano conservati nel sottosuolo fino a po-chissimi anni fa, venendo facilmente individuati nel corso dellaricognizione. Non è da escludere che altri siti analoghi esistesseroin questa porzione del territorio di Radicofani, caratterizzata dal-l’abbondanza di acqua e dalla vicinanza agli oppida di Sarteano;se così fosse, le intense attività agricole degli ultimi quarant’anni,condotte tramite l’impiego di mezzi meccanici, ne avrebbero in-teramente cancellato le tracce.Per quanto riguarda il resto del territorio comunale di Radicofani, èprincipalmente a sud e a est dell’attuale abitato che si concentrano le

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30 Presso Chiusi, in ambito suburbano, è stata recentemente indagata una strutturaabitativa databile all’età arcaica. Le pareti dell’edificio erano costituite da una zoccoloin pietra e un elevato in graticcio, mentre i muri divisori erano realizzati in mattonicrudi. Un tetto in tegole a doppio spiovente ricopriva i vari ambienti, di cui due sol-tanto si sono conservati. La trave di colmo era rivestita da coppi e il bordo del tettoera probabilmente ornato da lastre architettoniche, di una delle quali lo scavo a con-sentito il recupero (GASTALDI, 1998b; GASTALDI, 1998c; MORETTI GIANI, 1998;PAOLUCCI, 1998; GASTALDI, 2000). Si tratta, come è evidente, di un edificio caratte-rizzato da una maggiore varietà e ricchezza di materiali, ben difficilmente confronta-bile con le modeste strutture individuate presso Palazzuolo.Gli scavi condotti a Veio-Campetti, presso la porta nord/ovest, hanno messo in luceuna capanna rettangolare, suddivisa in due ambienti uguali, caratterizzata da tettostramineo, probabilmente displuviato, e porte sul lato lungo. La struttura è datata allaprima metà del VII secolo, mentre già nella seconda metà cominciano a comparire

Fig. 8. Il popolamento nelle età orientalizzante e arcaica

nello stesso sito abitazioni in muratura coperte da tetti di tegole (WARD PERKINS-MURRAY THREIPLAND, 1959, p. 68). È possibile immaginare che un attardamento delmodello abitativo veiente più antico potesse aver luogo in un’area conservativa comel’agro Chiusino, e, in particolare, in un insediamento dotato di caratteristiche di mar-ginalità e dipendenza politica.

capanna

frequentazione

villaggio

abitazione

necropoli

0 3 6 9 km

Siti noti:

Siti di età orientalizzante-arcaica:

confini comunali

1. Tolle - 2. Chianciano - 3. Morelli 4. Poggio Rotondo - 5. Macchiapiana 6. Albinaia - 7. Madonna la Tesa 8. Sferracavalli - 9-10. Poggio Villanova 11. Tribbioli - 12. Cancelli - 13. Santa Maria

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altre attestazioni. Nella zona più settentrionale, invece, la ricogni-zione ha portato all’individuazione di due soli siti. In località Le Co-nie – non lontano dall’incrocio stradale tra la strada provinciale 93di Contignano e la strada provinciale 26 di Radicofani – sono statidocumentati alcuni frammenti di ceramica di impasto, riconducibiliforse a una struttura abitativa 31. Malgrado l’esiguo numero del ma-teriale raccolto, infatti, l’ottima posizione strategica del sito indur-rebbe a ipotizzare la presenza di un vero e proprio insediamento piut-tosto che una semplice frequentazione del luogo. L’incrocio del prin-cipale asse viario del territorio, avente direzione nord-sud, con i duepercorsi diretti verso il fondovalle del Formone e del Paglia dovevacostituire già in antico un luogo ottimale per controllare in qualchemisura il transito delle merci ed esitare i prodotti derivanti dall’atti-vità agricola della zona. A poche centinaia di metri a nord, del resto,si colloca un’altra struttura abitativa databile, con ogni probabilità,all’età arcaica 32. L’UT ha restituito, insieme a scarsi frammenti diceramica di impasto e a materiale con datazione recenziore, una pa-rete dipinta di anfora da trasporto (tav. 4.3). Malgrado persista unconsistente margine di dubbio sulla reale natura della porzione di-pinta (interpretabile come semplice colatura di pigmento da una fa-scia situata sulla spalla del vaso o come porzione di una più ampiaiscrizione di lettura problematica) 33, appare comunque degno dinota il rinvenimento di un tipo di contenitore destinato al trasporto,e quindi al commercio, di derrate alimentari 34.Sui primi rilievi prospicienti il corso del Paglia, non lontano dalpodere Galichino, la ricognizione ha portato all’individuazione dialtre tracce di frequentazione, che, insieme alle strutture localizzatepresso la confluenza tra Paglia e Rigo 35, confermano l’esistenza el’importanza di un percorso viario che sfruttava la facile via dellevalli del Formone e del Paglia, raccordando il corso dell’Ombronecon quello del Tevere 36, di cui il Paglia è appunto il maggior af-fluente. In particolare, si potrebbe forse ravvisare nei tre siti loca-lizzati immediatamente a sud del limite meridionale del territoriodi Radicofani 37 una sorta di villaggio aperto costituito da modesteabitazioni caratterizzate da elevato in materiale deperibile, coper-tura straminea e più raramente in laterizi, e da vasellame non pre-giato prodotto localmente.La viabilità, d’altro canto, appare l’elemento di maggior peso nellescelte insediative dell’area radicofanese. Lungo lo spartiacque deifiumi Paglia e Rigo – che coincide con l’attuale strada che collega Ra-

dicofani e Celle sul Rigo – in località Caselle, su di una precedentestazione databile all’età del Bronzo finale, è stata individuata unastruttura abitativa di ridotte dimensioni che ha restituito un fram-mento di ceramica italo-geometrica e uno di bucchero grigio. Perquanto il materiale sia numericamente poco consistente, il fatto stessoche nel luogo non sia documentata soltanto ceramica di impasto, la-scia supporre una frequentazione probabilmente non solo locale an-che del percorso collinare transitante ai piedi del cono vulcanico 38.In località Casano, infine, a circa un chilometro dalla attuale stradaprovinciale di Sarteano, è situata una casa di piccole dimensioni da-tabile genericamente ai periodi orientalizzante e arcaico, mentre altretracce di frequentazione coeve sono state individuate sulle pendici diPoggio Gello, in prossimità delle sorgenti del fiume Orcia. In questaseconda località, in particolare, la scarsa visibilità archeologica pre-sente al momento della ricognizione non ha consentito di approfon-dire l’indagine, facendo sì che la loro interpretazione sia tuttora dub-bia. Allo stato attuale, infatti, è impossibile stabilire con certezza se sitratti di semplici frequentazioni o di insediamenti stabili, probabil-mente assimilabili a strutture abitative di tipo capannicolo. Molto si-gnificativa appare la presenza nella zona di una strada poderale che,dopo aver percorso buona parte dell’alta Val d’Orcia, oltrepassa le sor-genti in un punto di facile transito, dove anche in inverno la portatadel fiume è molto ridotta, per proseguire in direzione est, lambendole pendici meridionali del Monte Cetona. È probabile che questo per-corso sia un’antica direttrice viaria che metteva in comunicazione leestremità orientali e occidentali del territorio Chiusino, collegandocosì l’agro vulcente con quello volsiniese, come confermerebbe la pre-senza di necropoli di una certa rilevanza 39.La povertà dei materiali impiegati per realizzare le strutture abitativee l’elevato grado di erosione del suolo, che ha fortemente condizio-nato le campagne di ricognizione, purtroppo non consentono di co-gliere a pieno la realtà della tipologia abitativa dei siti radicofanesi.In generale, il tipo abitativo di epoca arcaica è di solito costituito dacase di dimensioni ridotte, a pianta quadrangolare, articolate in dueo più vani ottenuti con muri divisori perpendicolari ai muri lunghi.Il pavimento è normalmente in terra battuta, mentre l’alzato è rea-lizzato in mattoni crudi o in graticcio. Il tetto, che poteva essere aspiovente unico o doppio, a seconda della grandezza dei vani, rimasedotato di copertura straminea per buona parte del VII secolo,quando cominciarono a comparire i laterizi veri e propri 40. Case diquesto tipo, però, richiedevano competenze artigianali specifiche,comportando anche una notevole spesa di realizzazione. Si può im-maginare, pertanto, che esse siano state appannaggio, almeno neiprimi tempi, dei ceti più abbienti, mentre le classi subalterne conti-nuarono ad abitare in strutture di tipo capannicolo, come nel casodegli edifici di Radicofani.Altrettanto difficoltoso, in mancanza di dati pollinici provenienti dascavi stratigrafici, è identificare con chiarezza il tipo di attività agri-cole svolte dalle comunità rurali etrusche in epoca così antica. È pro-

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31 Vedi catalogo delle Unità Topografiche: UT 28. L’UT, che non ha restituito ma-teriale diagnostico, è genericamente databile ai periodi orientalizzante e arcaico.32 Vedi catalogo delle Unità Topografiche: UT 40.33 Vedi tav. 4.3.34 È possibile che l’anfora sia una produzione vulcente. Proprio con questa città, delresto, Chiusi intrattenne intensi rapporti commerciali in età arcaica e classica (RA-STRELLI, 2000c, p. 116). Vulci, infatti, fu sicuramente il tramite della abbondante ce-ramica attica attestata nel Chiusino (RASTRELLI, 2000c, p. 116), così come, probabil-mente, delle anfore samie rinvenute a Chiusi, Chianciano, Sarteano e Camposervoli(PAOLUCCI, 2000b, p. 150, con particolare riferimento alla nota 22). In generale sulleanfore etrusche si veda Commercio arcaico, 1985, con particolare riferimento a NARDI-PANDOLFINI, 1985; GRAS, 1989; PERKINS, 2002a, p. 77, con bibliografia.35 Vedi catalogo delle Unità Topografiche: UT 157, 159, 160.36 Sappiamo da una notizia di Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, III, 51) che l’Om-brone nell’antichità era navigabile (navigiorum capax), certamente fino alla confluenzacon il Merse, se non addirittura fino a quello con l’Orcia. Le vie d’acqua intermedietra la costa e l’asse Tevere-Chiana divennero infatti delle vie di penetrazione verso l’in-terno (CRISTOFANI, 1985d, p. 15).37 I siti sono situati nel comune di San Casciano dei Bagni, dove, per altro, è nota, ol-tre alla necropoli di Cancelli, anche una tomba a ziro isolata databile proprio al pe-riodo orientalizzante (RASTRELLI, 1990; PAOLUCCI, 2002, p. 249, con bibliografia).

38 La ceramica italo-geometrica è principalmente prodotta nei grandi centri dell’E-truria meridionale, come Cerveteri, Veio, Tarquinia e Vulci (MARTELLI, 1987b, p.16). Il fatto stesso che il frammento sia stato rinvenuto presso il corso del fiume Pa-glia, il cui fondovalle rappresentava per la zona amiatina il principale asse viario di pe-netrazione verso sud, sembrerebbe confermare la vivacità di questo percorso.39 A poca distanza dalla zona sono ubicate alcune importanti necropoli orientalizzantee arcaiche, come Albinia, Sferracavalli, Madonna la Tea, Macchiapiana, Poggio Ro-tondo (nel comune di Sarteano), Cancelli e Santa Maria (nel comune di Cetona). Peruna sintesi si veda PAOLUCCI, 2002, pp. 247-263.40 CAMPOREALE, 1986, pp. 258-260; MANINO, 1989, pp. 337-340; TORELLI, 1985a,pp. 21-32.

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babile che la situazione di età ellenistica, con una predominanza dellacerealicoltura sulle colture arboree, rispecchi una tradizione di vec-chia data diffusa su tutto il territorio etrusco. D’altro canto, è pro-prio tra la fase finale dell’orientalizzante e la piena età arcaica che siaffermano in modo stabile le produzioni vitivinicola e olearia, il cuisurplus fu oggetto di esportazioni sistematiche 41. Questo tipo di con-duzione mista della terra ben si adatterebbe alla situazione del terri-torio indagato, dove il concentrarsi dei pochi siti presso le valli flu-viali o sui rilievi meno impervi sembra testimoniare un’ampia diffu-sione delle attività agricole, oltre a quelle pastorali. Contempora-neamente all’introduzione delle colture arboree della vite e dell’olivoviene definitivamente abbandonato il sistema di coltivazione per“campi d’erba” a favore della rotazione bi-triennale del maggese, giàampiamente diffusa in Grecia 42.Un discorso a parte merita, infine, l’area limitrofa all’odierno abitatodi Radicofani. Tracce di frequentazione attribuibili all’età arcaica pro-vengono infatti dalla sommità del cono vulcanico. Nel corso degli scavi

condotti dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, allametà degli anni Novanta, all’interno della rocca sono venuti alla lucealcuni frammenti di piattelli e coppette in bucchero 43. Purtroppo ladecontestualizzazione del materiale, tutto proveniente da un consi-stente riporto di terreno effettuato nella seconda metà del XII secolod.C. 44, impedisce di cogliere l’estensione e l’articolazione dell’inse-diamento, riconducibile forse a una struttura di tipo santuariale. Seb-bene, infatti, gli indizi a suffragio di questa ipotesi siano al momentoancora molto labili, appare verosimile che già prima del III-II secolo,quando è documentato il deposito votivo costituito dai bronzetti con-servati al Museo Archeologico di Firenze (cfr. infra), l’area sommitaledi Radicofani si configurasse come un luogo dalla duplice valenza sa-crale e strategica. Lo stesso santuario di età classica di Seggiano 45, sulversante nord-occidentale del Monte Amiata, sembra confermare lafunzione di controllo del territorio e della viabilità svolto dai siti a ca-rattere cultuale localizzati in questa zona periferica dell’agro Chiusino,ai confini con le città costiere di Vetulonia e Roselle, da un lato, equelle dell’interno come Vulci e Volsinii, dall’altro 46.

L’età classica

L’indagine di superficie non ha individuato nessun sito databile al-l’età classica. La scarsità di tracce riferibili a questo periodo, all’internodi progetti di archeologia dei paesaggi, appare ormai un elemento dif-fuso 47. Il V secolo, definito spesso come un secolo di crisi, è spessocaratterizzato dalla soluzione dei conflitti dell’età precedente 48. In

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41 CRISTOFANI, 1985c, pp. 137-138; CRISTOFANI, 1981b, pp. 177-182; FORNI, 1989.42 SERENI, 1961, pp. 35-39. Più in generale si veda GIULIERINI, 2002.

43 VILUCCHI, 1998, p. 139.44 VILUCCHI, 1998, p. 139.45 Ciacci ipotizza che il santuario sia nato alla fine dell’età arcaica, quando Chiusi eRoselle, in seguito all’avvenuta configurazione urbana, ridefiniscono i territori di ap-partenenza (CIACCI, 1996, p. 155).46 Cfr. pp. 184-185.47 Per quanto riguarda il progetto di Carta Archeologica della Provincia di Siena siveda: per il Chianti Senese, VALENTI, 1995, p. 396; per il Monte Amiata, CIACCI,1996, p. 157; per la Val d’Elsa, CIACCI, 1999, p. 305; per Chiusdino, NARDINI, 2001,p. 140; per Murlo, CAMPANA, 2001, p. 282; per Pienza, FELICI, 2004, p. 305.48 L’idea di crisi nasce in primo luogo proprio dalla documentazione archeologica, cheappare in questo periodo meno ricca e abbondante rispetto all’età arcaica. Il feno-meno, a ben guardare, riguarda principalmente le aree più sviluppate del Sud ed è im-putabile, oltre che a fattori esterni (le guerre persiane, alle numerose turbolenze etni-che nell’intera penisola), a una diffusa involuzione oligarchica (TORELLI, 1981,p. 183). Questo ceto dominante appare caratterizzato da quella che, in ambito greco,

Fig. 10. Tipologia delle Unità Topografiche databili all’età orientalizzantee arcaica

Fig. 9. Olla in ceramica grezza

Fig. 11. Anfora da trasporto etrusca dipinta

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particolare, il conflitto tra campagna e città appare risolto a favore diquesta ultima, come testimonia l’abbandono dei principali palazzi dietà arcaica 49, e la forte ristrutturazione territoriali di molte città 50.Nel Chiusino la situazione appare, in qualche modo, in contro ten-denza. Il territorio si presenta ancora caratterizzato da nuclei di unacerta rilevanza, come Chianciano, Sarteano, Castelluccio di Pienza,Città della Pieve, Castiglion del Lago 51. A Chianciano, la necropolidella Pedata non da segni di recessione 52, mentre nel Sarteanese si as-siste a un evidente fenomeno di spostamento degli abitati verso la

valle dell’Astrone 53, caratterizzata da rilievi più dolci ed estese terrecoltivabili, oltre che dalla maggiore vicinanza al centro urbano diChiusi, che riveste comunque una incontestabile funzione di fulcrodella concentrazione urbana. La presenza del maggiore asse viario del-l’Etruria interna transitante proprio per la Val di Chiana deve svoltouna ulteriore funzione di attrazione per il popolamento della porzionepiù occidentale del territorio che, nelle sue aree più periferiche comeRadicofani, Pienza e le pendici orientali dell’Amiata non appare quasidocumentato. La presenza a Seggiano di un santuario databile, sullabase degli scarsi elementi noti, proprio all’età classica sembrerebbesuggerire una funzione di marker territoriale svolta dalla struttura 54.

L’età ellenistica

A fronte dei pochi siti sicuramente databili all’età orientalizzante earcaica, la ricognizione ha messo in luce 20 UT di probabile età el-lenistica. La datazione proposta all’interno delle scheda di UT (“etàellenistico-repubblicana”) rende ragione della difficoltà di indicareun puntuale inquadramento cronologico per questi siti, che sono ca-ratterizzati dalla mancanza di elementi diagnostici. Si è quindi, ipo-teticamente, inserito in questa categoria temporale tutti quei siti che,

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è stato definita “tesaurizzazione nascosta”, da un accumulo non esibito, cioè, di ric-chezze (MUSTI, 1981, pp. 95-96). Significative a questo proposito appaiono il rifiutodello strumento monetario o la diminuzione dell’uso della scrittura (TORELLI, 1981,p. 185 ; CATALLI, 2000, pp. 89-92).49 Alla fine del VI secolo, quasi contemporaneamente sia Murlo che Acquarossa sonoabbandonati (per Acquarossa si veda RYSTEDT, 1985, pp. 41-42; per Murlo si vedaNIELSEN-PHILIPS, 1985, pp. 64-69; CIACCI, 2001).50 Si pensi a Vulci, che amplia in suo dominio verso la valle del Fiora a spese della So-vana arcaica e di Poggio Buco (BIANCHI BANDINELLI, 1929, pp. 18-19; COLONNA,1977; MAGGIANI, 1985; PERKINS, 2002b, pp. 79-89; MAGGIANI, 2003, pp. 90-91;BARTOLONI, 1972; MOSCATI, 1985; CELUZZA, 1993, pp. 204, 205, 207), o a Roselle,che conquista definitivamente parte dell’entroterra, facendosi forse promotrice delladistruzione di palazzo di Murlo (TORELLI, 1981, p. 188; BOCCI PACINI, 1981, p. 120).51 RASTRELLI, 2000c, pp. 119-125; PAOLUCCI, 2000b, p. 148; PAOLUCCI, 2002,p. 266.52 PAOLUCCI-RASTRELLI, 1999; RASTRELLI, 2000c, p. 125.

53 MINETTI, 1997b, p. 26.54 CIACCI, 1996, pp. 155-157.

Fig. 12. Le Unità Topografiche databili all’età ellenistico-repubblicana

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pur in assenza di elementi cronologici affidabili, erano però empiri-camente analoghi ad altri databili in maniera attendibile. Non siesclude, pertanto, che alcune delle Unità Topografiche che qui sipresentano possano rivelarsi, in seguito a indagini di tipo stratigra-fico, più recenti (tarda età repubblicana).In questa fase l’occupazione del territorio sembra farsi più diffusa ri-spetto ai periodi precedenti: oltre alle valli fluviali, sono sede di stan-ziamenti stabili anche alcuni piccoli rilievi localizzati all’interno delterritorio. In molti casi la vicinanza a corsi d’acqua di discrete di-mensioni, unitamente alla disponibilità di terreni non impervi equindi facilmente arabili, deve essere considerata la motivazioneprincipale di questa scelta insediativa. Anche il resto del Chiusino, d’altro canto, si presenta in età elleni-stica caratterizzato da un notevole incremento degli abitati rurali,spesso di ridotte dimensioni 55. Le principali cause di questo feno-meno vanno ricercate, da un lato, in un notevole incremento demo-grafico, dall’altro, nei moti libertari diffusi in tutta l’Etruria setten-trionale interna che portarono all’affrancamento di buona parte dellaclasse servile e alla parcellizzazione della terra 56. Allo stato attualedelle ricerche, è difficile stabilire se le strutture abitative di dimen-sioni maggiori possano essere considerate proprietà di questa nuovaclasse di liberi o se, più probabilmente, siano da considerare appan-naggio dei contadini di origine non servile che anche in precedenzapossedevano piccoli appezzamenti. La stessa area amiatina, scarsa-mente abitata nelle fasi precedenti, appare adesso più densamentepopolata, per quanto probabilmente gestita, almeno nel settorenord-occidentale, da alcune famiglie aristocratiche 57.Tracce di frequentazione del massiccio di Radicofani sono ampia-mente testimoniate dal rinvenimento di una consistente stipe vo-tiva e di un’olla cineraria iscritta databili al III-II secolo a.C. Sta-bilire le connessioni tra i diversi ritrovamenti è, al momento, moltoproblematico. La presenza di un’area santuariale non farebbe esclu-dere, per sua natura, l’esistenza di un piccolo nucleo abitativo lo-calizzato intorno al cono vulcanico. Per quanto non siano notetracce archeologiche che confermino questa ipotesi, non si può co-munque escluderla in modo definitivo 58. Nulla vieta, d’altrocanto, di immaginare che l’olla cineraria possa essere la testimo-nianza di una piccola area sepolcrale, forse da mettere in relazionecon il villaggio ubicato in località Le Caselle 59.Più in dettaglio, il comprensorio comunale di Radicofani appare ca-ratterizzato da piccole strutture abitative a destinazione unifami-liare, talvolta raggruppate a formare modesti villaggi, e da tracce difrequentazione e sfruttamento agricolo del territorio. Ancora unavolta, la viabilità appare un elemento non secondario nella deter-minazione delle aree insediative. Buona parte delle Unità Topogra-fiche individuate, infatti, sono dislocate nelle principali valli fluvialie lungo lo spartiacque che attraversa in senso nord-sud l’intero ter-

ritorio. L’assenza di rinvenimenti in prossimità del corso del fiumePaglia potrebbero essere imputabili all’elevato grado di edificazionedella zona – sede della principale area “industriale” del versanteorientale del Monte Amiata –, per quanto non si possa escludere, inquesta fase, una predominanza del percorso interno che lambiva lependici del cono vulcanico. La presenza del santuario proprio inquesta zona, d’altro canto, sembra un elemento in grado di poter at-trarre il popolamento e la viabilità principale. È noto come tutti isantuari, in generale, fossero sede di operazioni di carattere econo-mico. In essi, infatti, si gestivano le eventuali proprietà del dio e siproduceva spesso la maggior parte degli ex voto offerti dai fedeli. An-che in assenza di questi due elementi, una certa rilevanza aveva lafornitura di animali per i sacrifici, oltre alle attività derivanti dal-l’afflusso di fedeli 60.Altre tracce di occupazione del territorio derivano da alcuni fossililinguistici tramandati dai documenti dell’abbazia di San Salvatore alMonte Amiata e dalla cartografia moderna. Si tratta di pochissimitoponimi riconducibili ad andronimici etruschi, alcuni dei quali at-testati anche in brevi iscrizioni sepolcrali di età ellenistica 61. In due

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60 COLONNA, 1985b, p. 25.61 Il toponimo Bitena, attestato nella cartografia moderna nella forma Vitena (in cor-rispondenza di due poderi, entrambi in stato di abbandono, a sud di Contignano, sulversante che domina il corso del fiume Orcia) richiama l’andronimico etrusco Vetna,Vetina, dal quale può essere derivata la forma *Vetena (PIERI, 1969, p. 47). Il gentili-zio è documentato all’interno di alcune brevi iscrizioni funerarie, impresse su tegolesepolcrali o ossuari in pietra o terracotta, provenienti dai territori di Chiusi e di Pe-rugia (CIE nn. 970, 1132, 1576, 1946, 2179, 2331, 2671, 3047, 4185), redatte tra-mite l’impiego dell’alfabeto recente. La provenienza delle iscrizioni appare piuttostointeressante: oltre a una epigrafe proveniente dal territorio di Perugia e cinque da zonenon meglio precisate di quello di Chiusi, ve ne sono una proveniente da Cetona eun’altra rinvenuta presso Le Foci (in entrambi i casi, quindi, a breve distanza dal ter-ritorio comunale di Radicofani). Il gentilizio sembra aver conosciuto una certa diffu-sione anche in età romana. Sono infatti attestati, nel periodo imperiale, due membridella gens Vetina, entrambi di origine volterrana, o presunta tale (si veda Prosopo-graphia, 1978, nn. 310, 311). Nel CDA è menzionato come Bitena e Bittena (nn. 6a,anno 747; 263, anno 1027; 272, anno 1036; 283, anno, 1066; 361, anno, 1094).Il toponimo Mussona, noto soltanto dai documenti del Codex Diplomaticus Amiati-nus, è riconducibile al gentilizio etrusco Musu, Mus’u– unia, attestato poi nelle formelatine Musonius, Musenus –ienus –idius (PIERI, 1969, p. 29). A livello epigrafico sol-tanto due sono le iscrizioni in cui compare questo gentilizio. Si tratta di due urnettein pietra, su cui è incisa una breve formula onomastica, provenienti da Tarquinia(CIE, 5546, 5547). Un C. Musonius Rufus, proveniente da Volterra, è documentatoin età romana (Prosopographia, 1978, n. 753). Nel CDA è attestato nelle gorme Mus-sona, Massona, Mosona, Mossone, Mussona, Mossona, Muxona, Muxone (n. 6a, anno747; 6, anni 749-756; 134, anno 853?; 212, anno 996; 263, anno 1027; 272, anno

Fig. 13. Tipologia dei siti di età ellenistico-repubblicana

55 A Sarteano nascono nuovi insediamenti in aree mai occupate in precedenza, men-tre la zona di Solaia-Macchiapiana mostra segni di una evidente fioritura (MINETTI,1997b, pp. 27-28). Una situazione analoga è riscontrabile a Chianciano, dove la vi-talità dell’area è testimoniata, oltre che dalle numerose abitazioni rurali e dalle necro-poli, anche dalla presenza di più santuari (PAOLUCCI, 1997b, pp. 18-21). A Pienza lerecenti indagini di superficie hanno consentito di individuare numerosi siti agricolidi piccole e medie dimensioni (FELICI, 2004, pp. 305-308). In generale sul Chiusinosi veda RASTRELLI, 2000d, pp. 181-184.56 CRISTOFANI, 1977, pp. 77-78; RIX, 1977.57 CIACCI, 1996, pp. 159-160.58Per un esempio di oppido localizzato nell’area di tangenza tra Chiusi e Roselle siveda DONATI, 2001.59 UT 145, 147, 149.

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casi le pergamene del monastero amiatino si sono dimostrate estre-mamente preziose, tramandando dei nomi di luogo che, in seguitoai fenomeni di incastellamento e di abbandono dei villaggi altome-dievali, sono poi andati dimenticati 62. Non è agevole stabilire se ilprocesso di identificazione di un luogo con un andronimico indichisemplicemente la dimora o piuttosto, cosa che appare più probabile,la proprietà. In ogni caso, la pur ridotta presenza, a Radicofani, di

toponimi appartenenti allo strato linguistico etrusco viene a raffor-zare l’idea di una occupazione del territorio più intensa di quanto lalabilità dell’evidenza di superficie effettivamente documenti. La dif-fusione in area chiusina di alcuni dei gentilizi da cui i toponimi di-scendono sembrerebbe inoltre confermare i legami tra Radicofani eil resto dell’agro 63.Il rinvenimento di frammenti di dolia, in buona parte delle UnitàTopografiche, sembra indicare una ampia diffusione delle attivitàagricole, oltre che di quelle pastorali, principalmente indiziate dagliscarsi pesi da telaio rinvenuti 64. È comunque molto probabile che ilterritorio di Radicofani fosse inserito all’interno dei principali per-corsi a breve e medio raggio riguardanti la pratica della transumanza.Il Monte Amiata, infatti, dovette costituire in età etrusca e romanala principale meta, insieme al Cetona, degli spostamenti stagionalilegati all’allevamento transumante, che conosce proprio a partire dal-l’età post-annibalica un incremento e una razionalizzazione 65. La di-slocazione, infine, di alcuni siti in aree più interne e più elevate delterritorio potrebbe suggerire uno sfruttamento delle risorse boschive.La raccolta in superficie ha evidenziato anche una discreta quantità diframmenti di incannicciato, che, se paragonata allo scarso numero dilaterizi, lascia supporre che le strutture abitative di età ellenistica nonfossero poi molto dissimili da quelle dei periodi precedenti. Il perdu-rare di strutture di tipo capannicolo, del resto, s’inserisce bene in unquadro economico e sociale di sostanziale povertà e cantonalità. Il fa-moso passo di Livio 66, relativo all’avanzata di Quinto Fabio Rullianoin Etruria, mostra una campagna popolata da una classe di semiliberi,alle dipendenze dell’aristocrazia locale. Probabilmente anche il tenore

1036; 277, anno 1046; 281, anno 1064; 283, anno 1066; 310, anno 1084; 315, anno1085; 319, anno 1094).Il toponimo Offena, documentato dal CDA, è collegato all’etrusco da Pieri a causadella presenza della doppia spirante f e della terminazione in –na, pur non essendo almomento noto alcun gentilizio cui ricondurlo. In latino sono invece documentati gliandronimici Ofinius e Offonius (PIERI, 1969, p. 29). Un unico Ofonius è noto all’in-terno del panorama dei gentilizi latini: si tratta del noto Tigellino, prefetto del preto-rio sotto Nerone, che sappiamo essere figlio di un agrigentino non altrimenti cono-sciuto (Prosopographia, 1978, n. 91). È attestato nel CDA come Offena, Ofena, Of-fina, Offine (nn. 15, anno 765; 198, anno 937; 200, anno 962; 212, anno 996; 215,intorno al Mille; 221, anno 1027; 272, anno 1036).Il toponimo Ponano, attestato nel Codex Diplomaticus Amiatinus e nella cartografiamoderna (corrisponde a un podere disabitato non lontano dalle sorgenti del torrenteRigo), è riconducibile al gentilizio etrusco Apunas –uni, da cui è discesa la forma *App-Aponanu. In latino ha dato luogo all’andronimico App- Aponius (PIERI, 1969, p. 48).In ambito etrusco il gentilizio Apunas è attestato a Volterra, nell’agro perugino, a Tar-quinia, a Tuscania e a Cerveteri, in località Banditaccia (CIE nn. 104, 3669, 4152,5439, 5688, 6066). In età romana sono noti sette personaggi aventi il gentilizio Apo-nius, dei quali però si ignorano le origini (Prosopographia, 1978, nn. 932-938; si vedaanche la voce Apponius/Aponius in Thesaurus, 1900, pp. 293-294). È attestato nelCDA come Ponano, Ponano, Punanu (nn. 201, anno 962; 210, anno 995; 230, anno1009; 296, anno 1075; 297, anno 1075).L’idronimo Socenna, infine, indica tuttora un affluente di sinistra del fiume Paglia.È riconducibile al gentilizio Sucnei, Zuchna – nei, poi trasformatosi in latino in So-cennius (PIERI, 1969, p. 39). L’andronimico etrusco è documentato in cinque iscri-zioni, di cui due provengono dall’abitato di Chiusi, due provenienti dall’agro Chiu-sino e una da Bettolle, nel comune di Sinalunga (CIE nn. 414, 1194, 1195, 2248,2249). Si tratta anche in questo caso di brevi iscrizioni, recanti semplici formule ono-mastiche, incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali e redatte tramite l’uso dell’al-fabeto recente. Nel CDA è attestato un casale Saucine (n. 46, anno 796). A propositodel toponimo Socenna si veda la nota 8 a p. 129.Un ultima osservazione merita l’idronimo Orcia, ricondotto da Pieri, sulla scorta diSchulze (SCHULZE, 1904, n. 364), a un gentilizio latino Orcius (PIERI, 1969, p. 77).Alessio, invece, ha ipotizzato un’origine preromana, ricollegando il nome all’etruscourc (corrispondente al latino orca, urceus) col significato di “acqua”, “ruscello” (ALES-SIO, 1958, p. 89). Data la difficoltà di definire l’etimologia del termine si è preferitonon inserirlo all’interno della tabella e della carta riguardanti i toponimi di Radicofani.62 I toponimi Offena e Mussona, infatti, non sono altrimenti documentati. Il CodexDiplomaticus Amiatinus, inoltre, riporta anche il nome di un casale indicato comeSaucine, probabilmente in riferimento all’area limitrofa al corso del torrente Socenna(CDA, I, n. 46).

63 Si veda nota 49. In età romana, ad esempio, quasi tutte le famiglie cui apparten-gono i magistrati cittadini risultano ben inserite all’interno dell’agro Chiusino me-diante una o più epigrafi sepolcrali sparse nel territorio, che testimoniano loro radi-camento nei terreni agrari circostanti, presupposto fondamentale per potersi candi-dare alle cariche pubbliche (PACK, 1988, p. 33).64 Nel vicino comune di Abbadia San Salvatore il numero di questo tipo di manufattiappare molto superiore. Le quote della zona, la presenza di versanti fortemente ac-clivi, unitamente alla diffusa presenza di pesi, potrebbero testimoniare forse una mag-giore diffusione della pastorizia (FIRMATI-MENICONI, 1996, pp. 96-97).65 Per la transumanza nei secoli della romanizzazione si veda PASQUINUCCI, 1979;GIARDINA, 1989, pp. 91-97; TOYNBEE, 1983, pp. 345-358.66 Liv., IX, 36, 12-13: “Postero die luce prima iuga Ciminii montis tenebat; inde con-templatus opulenta Etruriae arva milites emittit. Ingenti iam abacta preda tumultua-riae agrestium Etruscorum cohortes, repente a principibus regionis eius concitatae,Romanis occurrunt adeo incompositae ut vindices praedarum prope ipsi praedae fue-rint. Caesis fugatisque his, late depopulato agro Victor Romanus opulentusque rerumomnium copia in castra rediit”. Siamo negli anni 310-308 a.C.

Fig. 14. Toponimi di origine etrusca

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di vita di molti contadini liberi non doveva essere molto dissimile daquello dei servi facenti parte della cosiddetta familia rustica. In gene-rale, le dimensioni delle abitazioni appaiono molto ridotte, in basealla norma per cui ogni dimora ospitava un solo nucleo insediativo,costituito da padre, madre, figli ed, eventualmente, servi 67.La vistosa differenza di prosperità tra l’area periurbana di Chiusi e icomprensori di Chianciano e Sarteano, da un lato, e la periferia ter-ritoriale 68, dall’altro, non deve sorprendere più di tanto. Si tratta, in-fatti, di un fenomeno estremamente diffuso su tutto il suolo etrusco,

sebbene difficilmente quantificabile. Le aree di tangenza tra i terri-tori delle varie città sembrano presentare tutte un livello economicobassissimo, all’interno del quale l’unica prospettiva di miglioramentoè spesso affidata alla possibilità di accesso al matrimonio con fami-glie di ceto medio, reso possibile dall’indebolimento generale dellasocietà e dal conseguente livellamento delle fortune 69. Le urnette fit-tili chiusine rappresentano l’immagine più diretta di questa realtà ru-rale, tramite la raffigurazione del combattimento dell’eroe con l’ara-tro o del fratricidio di Eteocle e Polinice, immagini evocanti la difesacontadina della terra e le sanguinose lotte civili 70.

I paesaggi sacri

Il ritrovamento di gran lunga più significativo effettuato all’internodel territorio comunale di Radicofani è rappresentato dalla nota stipevotiva attualmente conservata presso il Museo Archeologico di Fi-renze. Si tratta di 12 bronzetti, tre appliques in terracotta e alcune mo-nete acquistati nel 1898 dal museo fiorentino presso l’antiquario

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67 CAMPOREALE, 1986, pp. 264-266.68 Radicofani, San Quirico d’Orcia, Abbadia San Salvatore, Piancastagnaio, San Ca-sciano dei Bagni e, in direzione opposta, Gioiella e Valiano, presso il Lago Trasimeno. Un caso esemplare a questo proposito proviene dal territorio vulcente, dove all’iniziodegli anni Novanta è stata scavata una abitazione databile tra la fine del IV e gli inizidel III secolo a.C. Si tratta di una struttura di ridotte dimensioni (almeno nell’im-pianto originario, poi ampliata, forse per ospitare più di un nucleo familiare) realiz-zata con un elevato in pietra e una copertura in laterizi. Gli indicatori paleobotanicie la presenza esclusiva di ceramica prodotta in ambito regionale hanno fatto pensarea una economia di pura sussistenza (PERKINS, 2002b, pp. 86-89, con bibliografia). Ilquadro insediativo della Valle dell’Albegna, alla vigilia della conquista romana, si pre-sentava quindi caratterizzato da una evidente dicotomia tra i centri urbani (sedi delleélites) e gli insediamenti rurali, occupati da una classe di contadini relativamente po-veri (PERKINS, 2002b, p. 89).

69 RIX, 1977, p. 73; HARRIS, 1977, p. 61.70 CRISTOFANI, 1979, p. 123; TORELLI, 1981, pp. 155-153; TORELLI, 1985b, pp.309-310.

Fig. 15. Il popolamento in età ellenistica

casa 1

casa / tomba

frequentazione

santuario

villaggio

abitato

abitazione

necropoli

santuario

0 3 6 9 km

Siti noti:

Siti di età ellenistico-repubblicana:

confini comunali

1-3. Poggio Villanova - 4-5. Tribbioli - 6. Solaia7. Aiola - 8. Costolaiola - 9. Le Tombe10. Casella - 11. Camposervoli 12. Poggio Cencio - 13. Molino Burburigo

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Carlo Gabrielli. Dall’atto di vendita si apprende che la stipe dovevaessere in origine ben più consistente: si parla infatti di 92 idoletti, dicui 18 recanti una piccola base in calcare. Quanto al luogo del rinve-nimento, è sommariamente indicata la proprietà di una tale marchesaLanducci, di cui, però, non sembra esistere traccia nell’Archivio diStato di Siena, così come negli archivi locali 71. La notevole assonanzatra i due cognomi, lascerebbe supporre che possa in realtà trattarsi diIsabella Andreucci, moglie di Odoardo Luchini e proprietaria, in-sieme al marito, di una estesa area posta a ovest dell’abitato di Radi-cofani (il cosiddetto Bosco Isabella) 72. Sappiamo che i lavori nella

zona, al fine di realizzare il parco, ebbero ufficialmente inizio nel 1901in seguito al forte interesse di Luchini al problema del rimboschi-mento e della valorizzazione delle aree verdi 73, sebbene alcuni scassifossero già stati eseguiti in precedenza, ancora senza una accurata pia-nificazione, facendo probabilmente sì che venissero alla luce i bron-zetti poi pervenuti nelle mani di Gabrielli. L’ipotesi, al momento nonsuffragata da prove inconfutabili, appare comunque degna di consi-derazione anche grazie alla segnalazione di Neppi Modona circa lapresenza di muri “etruschi” all’interno del Bosco Isabella 74. Mal-grado, infatti, le strutture da lui indicate si siano rivelate, a una più at-tenta analisi, moderne, appare comunque significativa l’osservazionedall’autore circa la “frequenza con cui si rinvengono nei pressi idolettie altri bronzi votivi etruschi” 75. La zona del Bosco Isabella sembradunque essere, con ogni probabilità, l’area di provenienza della stipe.I 12 bronzetti conservati consistono in quattro figure maschili stanti,una figura femminile stante, sei figure di offerenti e un cavallino.Bentz, che ha catalogato il deposito, sottolinea l’omogeneità stilisticadelle statuette, tutte inquadrabili nel III secolo a.C., a eccezione diuna figura di offerente con corona, che sembrerebbe leggermente piùtarda 76. Lo studioso, inoltre, sottolinea il carattere dionisiaco del de-posito, tramite l’identificazione di uno dei bronzetti con Fufluns-Dionysos, mentre Ciacci ipotizza l’esistenza nella zona di un cultodelle acque, di tipo ctonio, indiziato da un bronzetto di Lare (oltreche dalla presenza nell’area in questione di sorgenti) 77.

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71 Alcune recenti ricerche sono state effettuate da Silvia Vilucchi in occasione della pub-blicazione del volume dedicato al restauro della rocca (VILUCCHI, 1998, pp. 144-145).72 I Luchini sono stati, negli ultimi due secoli, la famiglia più illustre di Radicofani.Odoardo (avvocato civilista e docente di diritto amministrativo a Firenze, attivo gari-

baldino, poi deputato e senatore del Regno) iniziò alla fine dell’Ottocento a operarenell’area dell’attuale Bosco Isabella per realizzare il parco. L’opera si collega con gliideali liberali della famiglia Luchini, in base ai quali il bosco è concepito come un luogosvincolato dai legami creati dall’uomo. Nella realizzazione del parco i Luchini usaronodunque la massima attenzione nel rispettare l’andamento del terreno e delle preesi-stenze architettoniche (MANGIAVACCHI-PACINI, 1993, pp. 11-20). Nel 1902, in parti-colare, Isabella scoprì una costruzione rettangolare (di 16 x 6 metri) realizzata in bloc-chi di pietra grossolanamente squadrati. Neppi Modona, che prese visione della strut-tura poco tempo dopo, ipotizzò che si trattasse di un edificio etrusco. Silvia Vilucchiesclude però che il rudere possa essere realmente antico (VILUCCHI, 1998, p. 145). In-dagini di tipo stratigrafico nella zona potrebbero definitivamente fugare ogni dubbiocirca la natura e la cronologia della struttura.73 MANGIAVACCHI-PACINI, 1993, p. 12.74 Vedi nota 64.75 NEPPI MODONA, 1928, pp. 290-291. È possibile che lo studioso avesse avuto noti-zia, in occasione della sua visita, del rinvenimento dei bronzetti proprio dai proprietari.76 Bentz suggerisce una datazione al II secolo a.C., sebbene la mancanza di confrontipuntuali possa indurre a considerare il bronzetto come un prototipo di III secolo(BENTZ, 1992, p. 65, n. 8).77 BENTZ, 1992, p. 65, n. 8; CIACCI, 1996, pp. 158-159. Sull’evoluzione del culto diFufluns in ambito etrusco si veda MARTELLI-CRISTOFANI, 1978; Sul suo carattere cto-

Fig. 18. I presunti muri in opera poligonale segnalati da Neppi Modona (daVilucchi, 1998, p. 140)

Fig. 17. Localizzazione del Bosco Isabella

Fig. 16. Il Bosco Isabella

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Per quanto riguarda le tre appliques, esse rappresentano due testinedi negroidi con capigliatura arricciata e corona fogliata e una testinafemminile con capigliatura ricadente in due lunghi riccioli ai lati delcollo, diadema semilunato e collana con pendenti a goccia 78. Alcuniconfronti formali, come sottolinea Bentz, provengono dalle tombeellenistiche di Viterbo, Tuscania, Vulci e Tarquinia 79, mentre la pic-cola testa femminile, più in dettaglio, si presenta estremamente si-mile a tre appliques conservate a Bettolle 80. Paolucci, che ha catalo-gato questi ultimi reperti, ipotizza che essi fossero fissati su dei sup-porti perduti tramite dei piccoli chiodi inseriti nei tre fori presentisulla superficie, mentre Ciacci immagina un loro impiego comeoscilla 81.Le monete rinvenute insieme ai bronzetti e alle mascherine, copronoinvece un arco cronologico più lungo. Soltanto due assi in bronzocon testa di Giano e prora di nave, risultano coevi al deposito e si da-tano al III-II secolo a.C., mentre gli altri reperti leggibili – un asse inbronzo con testa di Augusto giovane, un asse in bronzo con figura

recante una cetra (Nerone?) e testa imperiale non riconoscibile –sono collocabili tra la fine del I secolo a.C. e il I d.C.82

L’interpretazione della stipe come traccia inequivocabile della presenzadi un santuario nella zona è ormai da tempo accettata. Altrettanto pa-lese appare la funzione di controllo e organizzazione/gestione del ter-ritorio svolta dal santuario in questa area periferica del Chiusino 83. La zona, del resto, presenta molte delle caratteristiche tipiche dei luo-ghi sacri nell’antichità. Essa è costituita da un rilievo di tipo mon-tuoso dalla conformazione insolita, visibile da molti chilometri di di-stanza, dalla presenza di boschi – probabilmente già presenti in an-tico – e da numerose sorgenti, di cui due localizzate immediatamentea ovest del Bosco Isabella (una piccola fonte e la Fontana Grande,monumentalizzata dai Medici nel corso del Cinquecento) 84.Purtroppo, nel caso di Radicofani, l’assenza di strutture impedisce dicogliere la vera natura del santuario, obbligando, come in altri casi 85,ad argomentazioni generali prive di solide basi documentarie. Interessante appare la localizzazione, sul versante orientale e set-tentrionale del Monte Amiata di altri due santuari di età etrusca:quello ubicato presso Poggio alle Bandite, nel comune di Seg-giano, e quello recentemente documentato al disotto dell’abba-zia di San Salvatore (nel comune di Abbadia San Salvatore). Ilprimo, indiziato dal rinvenimento di due antefisse fittili databilialla metà del V secolo a.C. e riconducibili a prototipi di produ-zione chiusina di età classica 86, appare fortemente caratterizzatoda una funzione di definizione e tutela della frontiera politica traChiusi e Roselle 87.

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nio PAILLER, 1989; MASSA PAIRAULT-PAILLER, 1979; Dyonisos, 1991. Fufluns è rap-presentato sul fegato di Piacenza vicino a Selvans, divinità preposta alla tutela dellepratiche pastorali e dei boschi (sul fegato si veda TORELLI, 2000a, p. 285, con biblio-grafia). Un altro santuario con evidenti caratteristiche silvo-pastorali all’interno delterritorio Chiusino è situato in località Casa al Vento, non lontano dal valico dellaFoce (MINETTI, 1994).78 BENTZ, 1992, p. 67.79 BENTZ, 1992, p. 67.80 PAOLUCCI, 1996, p. 113, fig. 100; VILUCCHI, 1998, p. 143.81 PAOLUCCI, 1996, p. 113; CIACCI, 1996, p. 159.

82 VILUCCHI, 1998, p. 144.83 RASTRELLI, 1992, pp. 306-307, 135; CIACCI, 1996, p. 159.84 Le sorgenti sono tra i luoghi sacri per eccellenza. È famosa l’affermazione di Servio,per cui “nullus enim fons non sacer” (Servio, 7. 84). Numerosi sono gli esempi di cultidelle acque associati a fonti. Tra tutti si pensi ai santuari di Fonte Veneziana, pressoArezzo, e di Marzabotto, databili il primo all’ultimo trentennio del VI secolo, il se-condo ai decenni a cavallo tra il VI e il V secolo (EDLUND, 1987, pp. 68-69). Nel Chiu-sino un culto delle acque è chiaramente attestato nel territorio di Chianciano, pressole Acque Sillane (PAOLUCCI, 1997b, pp. 19-20), presso i Foculi (RASTRELLI, 1993b;RASTRELLI, 1993c) e, con ogni probabilità, in località Acquasanta (PAOLUCCI, 1997b,p. 21). Vicino a Chiusi, da località Montevenere, proviene una lamina in bronzo condedica alle ninfe Ogulnie (CIL, XI, 2097; il toponimo indicherebbe una connessionecon Turan/Afrodite; RASTRELLI, 2000d, p. 178). Nel comune di Sarteano è nota unastruttura santuariale posta in località Costalaiola, anch’essa riferita a un culto salutiferoconnesso con le acque (MINETTI, 1997A, p. 27), mentre da Bagni San Filippo provieneuna iscrizione dedicatoria alle Ninfe databile all’età romana (CIL, XI, 2595; BIANCHI

BANDINELLI, 1927, p 24; per una rilettura si veda FIRMATI, 1996, pp. 174-175; da ul-timo CAMBI, 2001). Sul culto delle acque in Etruria, v. PRAYON, 1993.85 Si pensi alla nota stipe di Brolio: il rinvenimento di un cospicuo numero di bron-zetti votivi immediatamente al di sotto della collina di Brolio ha fatto pensare alla pre-senza di un santuario rurale, connesso probabilmente con il culto delle acque (a pochecentinaia di metri si colloca il corso del Clanis). In generale si veda ROMUALDI, 1981.86 CRISTOFANI, 1976, p. 180.87 CIACCI, 1996, pp. 155-156.

Fig. 19. I bronzetti della stipe votiva di Radicofani (da BENTZ, 1992, pp.)

Fig. 20. Le appliques in terracotta della votiva di Radicofani (da VILUCCHI,1998, p. 137)

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Presso l’odierno abitato di Abbadia San Salvatore, all’interno dellastruttura abbaziale, gli scavi condotti dall’Università di Siena neiprimi anni Novanta e ripresi nel corso del 2003 hanno portato al-l’individuazione di materiale databile al periodo arcaico88, ricondu-cibile, forse, a un edificio santuariale su cui, nel corso dell’alto Me-dioevo, sarà edificata la chiesa di San Salvatore 89. La presenza di tre luoghi di culto localizzati a pochi chilometri didistanza gli uni dagli altri, sulle pendici del Monte Amiata e sullasommità del Monte di Radicofani lascia intravedere uno spaziogeografico organizzato e puntualmente controllato, all’interno delquale dovevano esistere una o più comunità locali deputate alla suagestione, come già ipotizzato da Ciacci a proposito del santuario diSeggiano 90. L’esistenza di tali comunità, non ancora individuate,appare comunque inconfutabile, a testimonianza di una presenzainsediativa, se non massiccia certamente rilevante, anche in zonecosì lontane dalle realtà urbane. La realizzazione di viewshed relative ai tre centri conferma la loroimportanza strategica nel controllo delle principali vie di penetra-zione, da ovest e da sud, all’interno del territorio Chiusino. Mal-grado, infatti, piccole variazioni dell’effettiva visibilità del territo-rio, derivanti dal tasso di erosione dei suoli e dalla presenza/assenzadi boschi con alberi ad alto fusto, appare comunque notevole laporzione di territorio visivamente collegata ai tre santuari 91.

La presenza di santuari connotati da una forte valenza politicapresso i confini territoriali delle città è un fattore molto diffusonell’antichità, non soltanto all’interno del mondo etrusco 92. Ol-tre all’evidente valenza politica, non si può escludere anche unaimportante funzione economica svolta dai santuari in questione.Sappiamo infatti che il Monte Amiata si collocava, fin da epocapreistorica, al centro dei percorsi di transumanza a breve e medioraggio che collegavano la costa tirrenica ai pascoli estivi appenni-nici 93. Questi percorsi, che attraversavano territori di comunitàdistinte, erano puntualmente disegnati all’interno della geografialocale 94. È possibile che i santuari amiatini svolgessero una fun-zione di tutela dei tratturi comuni e delle aree destinate al pascolo,e di composizione di eventuali controversie circa l’occupazioneabusiva di terreni pubblici e privati 95, offrendo, al tempo stesso,un luogo di culto per i pastori transumanti. Alcuni studi condottinel Sannio hanno dimostrato come i santuari extraurbani rive-stissero un ruolo importante nel controllo dei distretti agrari com-prendenti ampie aree pascolive 96. Se si considera poi che in etàtardorepubblicana i percorsi destinati al transito degli animali,chiamati calles, costituivano addirittura una provincia, non sem-bra privo di fondamento ipotizzare una loro regolamentazione già

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88 Si tratta di alcuni frammenti di ceramica etrusco-corinzia e ceramica a figure nererinvenuti all’interno di uno strato con evidenti tracce di combustione in associazionee semi carbonizzati (CAMBI-DALLAI, 2000, pp. 193-200; CAMBI, 2000b; CAMBI, 2001,pp. 114-115). A essi vanno aggiunti un altro frammento di ceramica a figure nere pro-veniente da un’area limitrofa a quella dei materiali sopra descritti e un frammento diitalo-geometrica rinvenuto all’interno del riempimento di una sepoltura trecentesca.89 CAMBI-DALLAI, 2000; CAMBI, 2000b, CAMBI, 2001.90 CIACCI, 1996, pp. 155-156.91 Si ringraziano Giancarlo Macchi e Federico Salzotti per i preziosi consigli relativa-mente a questo tipo di analisi spaziale. Cfr. pp. 60-61.

Fig. 21. I principali santuari citati nel testo

92 Nel mondo magnogreca sono presenti dei casi di strutture santuariali dall’evidentefunzione di controllo dei confini. Esse sono spesso localizzate presso le foci dei fiumiche fungono da limite tra due o più territori, siano essi occupati da greci o indigeni(in generale di veda EDLUND, 1987, pp. 128-129). L’impianto di santuari extraur-bani, di fatto, rappresentava il modo più frequentemente impiegato dalle città ma-gnogreche per ampliare gradualmente le aree direttamente soggette al loro controlloe sfruttamento (GRECO, 1996, p. 233). All’interno del territorio di Chiusi una fun-zione di tutela del confine orientale poteva essere svolto dai santuari localizzati intornoal Lago Trasimeno. In particolare le testimonianze relative a Castiglion del Lago sonostate collegate al culto della dea CEL (COLONNA, 1976-1977). Un altro esempio diorganizzazione sacra di uno spazio di tangenza – tra Volsini e Vulci – è costituito daisantuari ubicati presso le sponde del Lago di Bolsena (ACCONCIA, 2000; BERLINGÒ-D’ATRI, 2003).Per un esempio di creazione ed evoluzione dei confini di una città etrusca si veda ZIF-FERERO, 1995 (dove, alla fine dell’orientalizzante, si ipotizza la nascita di una fron-tiera a barriera interrotta in relazione ai territori di Caere e Tarquinia).93 Sull’area amiatina in generale si veda la nota 15. Le fonti antiche non menzio-nano mai l’Etruria settentrionale a proposito del fenomeno della transumanza. Al-cune notizie relative all’Umbria, dove era molto diffuso l’allevamento di bovini(Colum., 7, 2, 1; Plin., Nat. Hist., 11, 241), o alla Liguria, celebre per la produ-zione della lana (Strab., 5, 1, 12; 4, 6, 2; Plin., Nat. Hist., 8, 73, 191), lascino co-munque immaginare una certa diffusione delle pratiche di allevamento e transu-manza anche nella zona in questione. Appare interessante anche un passo del DeBello Civili in cui si sostiene che i Domizi Enobarbi disponevano nell’ager Cosanusdi un elevato numero di pastori (da cui discende, ovviamente, un ancor più elevatonumero di capi di bestiame; Caes., b. c., 1, 56). Non è da escludere che almeno partedi queste greggi o mandrie si spostasse stagionalmente verso le aree appenninichetransitando lungo le pendici del Monte Amiata o verso il Monte Amiata stesso.94 Emblematico a questo proposito è un celebre passo di Varrone, nel quale l’autoreparagona i pascoli distanti a due ceste appese a un giogo, rappresentante i tratturi pub-blici (“Cum inter haec bina loca, ut iugum continet sirpiculos, sic calles publicae di-stantes pastiones”; Varr., de r.r., 2, 2, 9).95 Livio documenta multe ingenti a danno di pastori, che avevano commessoabusi nell’ager publicus, negli anni 296-293 a.C. (Liv., 10, 23, 13; 10, 47, 7). Unesempio illustre è fornito dalla Pro Cluentio di Cicerone, dove l’oratore raccontauno scontro avvenuto tra i vilici del suo cliente ad alcuni pastori presso alcunecalles probabilmente in relazione alla grande transumanza tra la Sabina e l’Apulia(pro Cluent., 161). Sugli scontri tra agricoltori e pastori si veda anche SALMON,1967, pp. 68-70. Nel corso dei secoli l’attività pastorale e di transumanza acqui-stò sempre più carattere di brigantaggio, tanto che nel IV secolo d.C. si arrivò avietare l’uso dei cavalli ai pastori (PASQUINUCCI, 1979, pp. 157-158). Una iscri-zione proveniente dall’area di Biferno testimonia i soprusi dei pastori transumantiche sconfinavano spesso nelle terre limitrofe ai tratturi (CIL, IX, 2628; TOYNBEE,1969, p. 293).96 LA REGINA, 1970, p. 196; BARKER et alii, 1978.

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in età etrusca 97. Più difficile è stabilire se i santuari svolgesserouna funzione, oltre che di tutela, di esazione di eventuali pedaggi.Nella tarda età repubblicana sappiamo che le calles o le viae publi-cae erano liberamente percorribili da greggi, dietro pagamentodella sciptura, ovvero la tassa per l’occupazione dei pascoli 98. È pos-sibile dunque che anche nel mondo etrusco il transito degli animalinon fosse soggetto a tassazione, non comportando quindi entratedirette per i santuari rurali deputati al controllo del territorio. Informa indiretta, invece, il passaggio di un discreto numero di pa-stori 99 deve aver comunque determinato un aumento dei fre-quentatori dei luoghi di culto, con conseguente incremento delleattività, anche economiche, connesse alla ricezione dei fedeli 100.

La viabilità in età etrusca

Ben poco è noto circa la viabilità in Etruria prima della conquista ro-mana. L’area interessata da questa ricerca non fa eccezione. Essa ap-pare, come si è visto, sostanzialmente marginale dal punto di vista siapolitico che economico. Il principale asse di penetrazione, in dire-zione nord-sud, dell’Etruria interna era infatti costituito dai corsi delTevere e del Clanis 101. Non è un caso che le due principali città etru-sche orientali, Chiusi e Volsinii, siano sorte lungo questo tracciato. Sicuramente i percorsi pre-protostorici furono riutilizzati, in epochepiù recenti, dagli Etruschi, anche in considerazione della sostanzialecontinuità di vita di molti insediamenti dall’età del bronzo a quellaetrusca 102. È possibile che molti di questi tracciati siano rimasti, al-meno fino alla conquista romana, poco più che dei tratturi e dellepiste di non sempre facile percorrenza 103.Malgrado la penuria di conoscenze, è comunque possibile indivi-duare almeno due tracciati viari che, fin dall’antichità, attraversa-vano la Val di Paglia e la Val d’Orcia. Il primo, avente direzionenord-sud, collegava il Chiusino con l’Etruria meridionale, lam-bendo il lato orientale dell’Amiata fino alla confluenza con il Te-vere 104. Il secondo, orientato in senso trasversale est-ovest, met-

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97 L’istituzione della provincia avvenne probabilmente nel corso del III secolo a.C.,con lo scopo primario di organizzare l’ager publicus recentemente acquisito nel San-nio e in Apulia in seguito alla guerra pirrica. L’istituzione era anche di grande impor-tanza strategica: essa consentiva infatti di controllare ampie zone limitrofe ai tratturi,normalmente abitate da numerosi schiavi pastori che, in virtù del loro stesso lavoro,erano normalmente armati (sulla questione si veda PASQUINUCCI, 1979, pp. 140-141,con bibliografia).98 Questa tassa riguardava i medi e grandi proprietari, le cui greggi superavano di so-lito i limiti stabiliti (10 capi di bestiame grosso e un numero variabile di bestiame mi-nuto), tutelando così i piccoli allevatori. Sulla scriptura e sull’ager scriptuarius si vedaPASQUINUCCI, 1979, pp. 134-140; PASQUINUCCI, 2002, pp. 205-206.99 Varrone, nel De re rustica, sostiene che il numero dei pastori, pur variando a se-conda dei proprietari, si aggirava in un rapporto di uno ogni 80-100 pecore (Varr.,2, 2, 20; 2, 10, 10-11). Egli, nello specifico, dice di disporre di un pastore ogni 70capi, Attico ogni 80 (Var., 2, 10, 11). Un gregge di grandi proporzioni poteva rag-giungere i 1000 esemplari, Varrone ad esempio ne possedeva 700, Attico 800 (Var.,2, 10, 11). Ai pastori, nella transumanza, talvolta si accompagnavano schiave che liaiutavano e provvedevano alla preparazione dei cibi (Var., 2, 10, 6-8). Anche ipo-tizzando un traffico relativamente ridotto, caratterizzato magari da greggi di mediedimensioni, si sarebbero trovati a transitare nell’area amiatina (due volte all’anno)diverse decine di persone, forse addirittura qualche centinaio.100 Si veda p. 180.

101 CRISTOFANI, 1985d, p. 16.102 Come osserva Cristofani, infatti, nel IX secolo a.C., quando ha inizio il processodi concentrazione del popolamento nelle aree in cui sorgeranno le future città etru-sche, la scelta di luoghi elevati è da relazionare anche all’esigenza di controllare le viedi comunicazione allora in uso (CRISTOFANI, 1985d, p. 15).103 Sicuramente la regione non offriva strade facilmente percorribili da parte di eser-citi. Coarelli vede tra la strutturazione della viabilità in Italia e la colonizzazione di IV-III secolo a.C. un diretto rapporto di dipendenza, considerandoli fenomeni contem-poranei e tra loro collegati (COARELLI, 1988).104 Per i percorsi nella zona di Radicofani si veda VILUCCHI, 1998, pp. 138-139;FIRMATI, 1996, p. 171.

Fig. 22. La visibilità del territorio dai santuari di Radicofani, Poggio delle Bandite (Seggiano), Abbadia San Salvatore

La Foce - Tolle

Radicofani

Abbadia San Salvatore

Poggio delle Bandite

aree visibili da Radicofani

aree visibili da Abbadia San Salvatore

aree visibili da Poggio delle Bandite (Seggiano)

idrografia principali

percorso di raccordo tra Orcia e Astrone

0 3 6 9 km

Confini comunali

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teva in collegamento Chiusi con la costa tirrenica tramite il corsodell’Astrone, il valico de La foce, le valli dell’Orcia e dell’Om-brone. È probabilmente tramite quest’ultimo tracciato che i pro-dotti vulcenti, tra cui anfore da trasporto, o di importazione greca,come la ceramica corinzia o greco-orientale e alcune anfore SOSdi fabbrica ateniese, raggiunsero Chiusi nel corso dell’età orienta-lizzante 105. Nei secoli successivi forse la mole delle merci in tran-sito aumentò ulteriormente, a giudicare dal consistente numero diceramica attica, sia a vernice nera che rossa, e di anfore samie rin-venuto nel Chiusino 106. Nella direzione opposta, ma in misuradecisamente inferiore, erano veicolati a Vulci skyphoi a cilindrettoe prodotti in avorio 107.Oltre a questi due tracciati, di più lunga percorrenza, ce n’era cer-tamente un terzo che, passando per Sarteano e sfiorando le pen-dici del Monte Cetona, raccordava Chiusi con l’Amiata 108. Talepercorso attraversava trasversalmente tutto l’attuale territorio diRadicofani. Dopo aver valicato infatti il corso del torrenteAstrone, esso si dirigeva verso i bassi rilievi che separano le sor-genti dell’Orcia da quelle del Rigo (dove tutt’oggi transita unastrada vicinale) e, oltrepassatoli, raggiungeva il cono vulcanico di-rigendosi verso il fondovalle del Paglia e del Formone 109. È evi-dente che la formazione di quest’asse viario va posta in relazionealla forte attrattiva esercitata dalle risorse di legname e dalle mi-niere di cinabro del Monte Amiata 110.Dall’analisi della distribuzione dei siti di età etrusca, soprattuttodi quelli di probabile età ellenistica, sembra probabile che il per-corso transitante per Le Conie e diretto verso il corso del For-mone proseguisse anche in direzione nord, in modo non dissimiledalla attuale strada provinciale 18, transitante sui rilievi che co-stituiscono lo spartiacque tra Formone e Orcia 111. Un altro trac-ciato, forse poco più di un sentiero, doveva invece correre paral-lelamente al corso del torrente Socenna (magari secondo l’anda-mento della attuale via vicinale dei Marmi, posta sui primi rilievia est del corso d’acqua), come testimonierebbe la presenza di piùabitazioni nelle immediate vicinanze. Questo percorso, evidente-mente a uso solo locale, metteva invece in comunicazione Radi-cofani con le comunità poste nella parte più settentrionale delterritorio di Sarteano. Un ulteriore sentiero, infine, transitava im-mediatamente a ovest di Poggio Casano e si dirigeva all’internodel territorio comunale di San Casciano in direzione del MonteCetona, alle cui pendici prosperava la comunità di Camposer-

voli 112. È forse tramite questo percorso che sono transitate le de-cine di vasi attici documentate nelle necropoli di Fallerini e Val-lone, di pertinenza del centro di Camposervoli 113.In generale, per tutto il III secolo a.C., il percorso transitante per lavalle del Paglia, che acquisterà sempre maggiore importanza fino a di-ventare il principale asse viario dell’intera area 114, rimase di seconda-ria importanza, collegando semplicemente i piccoli nuclei rurali pre-senti nella zona con i centri di controllo delle aristocrazie agrarie.

Lucia Botarelli

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105 Per una sintesi sul commercio tra Chiusi e Vulci si veda RASTRELLI, 200b, pp. 76-80.106 In particolare, in questo periodo il livello di acculturazione delle aristocrazie diChiusi sembra crescere notevolmente: tra le importazioni di ceramica a figure nere,infatti, bisogna ricordare anche il celebre vaso François e il cratere di Ergotimos e Klei-tias (per le importazioni nel corso dell’età arcaica e classica si veda RASTRELLI, 2000c,pp. 116, 124-125). In generale, v. PARIBENI, 1993.107 CAMPOREALE, 1974, pp. 121-125. Per un aggiornamento si veda RASTRELLI,2000c, p. 78, con particolare riferimento alla nota 77, con bibliografia.108 VILUCCHI, 1998, pp. 138-139. 109 Silvia Vilucchi sottolinea come, nell’area immediatamente a est delle sorgenti diOrcia e Rigo siano presenti, fin da epoca protostorica, numerosi insediamenti da col-legare, in qualche modo, proprio alla presenza del percorso viario (VILUCCHI, 1998,pp. 138-139). È lungo questo percorso che si colloca, a poca distanza dal corso delFormone, il rinvenimento di un’anfora etrusca di età arcaica (vedi pp. 177).110 Per lo sfruttamento delle risorse boschive e minerarie dell’Amiata in età etrusca siveda CIACCI, 1996, pp. 153, 160-161, con bibliografia.111 Il sentiero poteva proseguire poi lungo il corso dell’Orcia, raccordandosi con l’asseviario che transitava per La Foce, in direzione nord, e con la comunità corrispondentealla necropoli di Solaia/Macchipiana (Castiglioncello del Trinoro?). Per le necropolinel territorio di Sarteano si veda p. 174.

112 Per Camposervoli si veda p. 177.113 RASTRELLI, 1998, pp. 352-356.114 Per la Via Francigena nel Medioevo si veda p. 232.

Fig. 23. La viabilità in età etrusca

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IL PERIODO ROMANO

Così come per il periodo etrusco, anche per quello romano il terri-torio comunale di Radicofani si caratterizzava, all’inizio della rico-gnizione archeologica, per la presenza di pochi siti di scarsa rilevanza.Erano note, infatti, soltanto le modeste tracce di frequentazione del-l’area sommitale del cono vulcanico in età alto e medioimperiale, lafattoria (all’epoca ancora in corso di scavo da parte della Soprinten-denza ai Beni Archeologici della Toscana) ubicata presso PoggioGrillo, non lontano da Contignano, e alcune Unità Topografiche in-dividuate nel corso delle ricerche di superficie svolte alla fine deglianni Ottanta nel comprensorio di Abbadia San Salvatore e in alcunearee limitrofe 115.La ricognizione ha consentito di documentare un numero consi-stente di nuovi siti databili al periodo romano. Buona parte di essisono riconducibili alle fasi tardorepubblicana e altoimperiale, men-tre soltanto un numero esiguo di UT appare collocabile nell’arco ditempo compreso tra gli inizi del II e il V secolo d.C. La maggiore dif-ficoltà nella creazione di una scansione cronologica delle evidenze èstata rappresentata dall’elevato numero di siti privi di materiale dia-gnostico, per i quali non si è potuto far altro che indicare una gene-rica fase di vita di età romana. Queste Unità Topografiche compari-ranno, pertanto, all’interno delle carte rappresentanti il popolamentodei due periodi più ricchi di presenze, quello tardorepubblicano equello altoimperiale.

L’età tardorepubblicana

Nella tarda età repubblicana il territorio comunale di Radicofani nonsembra presentare evidenti cesure, a livello insediativo, rispetto al pe-riodo precedente. Le aree oggetto di occupazione e sfruttamentoagricolo rimangono sostanzialmente le stesse dell’età ellenistica. An-che il numero dei siti, se si escludono quelli genericamente datati al-l’età ellenistico-repubblicana 116, permane quasi invariato. Il processodi romanizzazione della zona appare quindi caratterizzato, così comein buona parte dell’Etruria settentrionale interna, da una sostanzialecontinuità politica e, in certa misura, culturale 117. Ancora nella se-conda metà del II secolo a.C., e agli inizi del successivo, l’Etruria set-tentrionale presentava infatti una struttura economica e sociale dal-

l’aspetto provinciale, in cui i sistemi romani di conduzione della terraera solo parzialmente diffuso 118. In generale, tutto l’agro Chiusino documenta, tra il II e il I secoloa.C., una sorta di parcellizzazione del terreno coltivabile, gestito dacontadini liberi i cui gentilizi rivelano spesso un’origine servile 119.Questa parcellizzazione può aver in qualche modo imitato il modellodelle assegnazioni coloniali, che prevedevano in Etruria lotti di 5-10iugeri 120. I grandi squilibri del II secolo a.C., primi tra tutti la gravesollevazione di schiavi del 196 e il movimento di rivolta celato sottole sembianze di riti dionisiaci del decennio successivo, contribuironofortemente alla trasformazione almeno parziale operata dalle oligar-chie settentrionali della arcaica struttura della servitus 121. Le vaste di-stese controllate da Chiusi, Perugia e Volterra proprio in questa fasesi popolano infatti di numerosissimi insediamenti di piccole dimen-sioni 122. A Chiusi, in particolare, a differenza di Perugia, questanuova classe non sembra intrecciare rapporti con i ceti dominanti123, sebbene l’aristocrazia locale dimostri comunque evidenti segni dicedimento, come testimonia la tendenza all’abbandono delle più ti-piche forme di magnificenza a favore di più modeste sepolture 124.

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118 TORELLI, 1981, p. 266.119 Si tratta di gentilizi derivati da prenomi correnti in età ellenistica o da nomi indi-viduali di varia origine (RIX, 1977, pp. 65-66).120 A Cosa, per esempio, la centuriazione fu realizzata con lotti non inferiori agli 8 iu-geri, forse anche di 16 (CELUZZA, 1984; CELUZZA, 2002a, p. 106). A Saturnia, fon-data nel 183 a.C., le assegnazioni prevedevano 10 iugeri a focolare, almeno nella zonaorientale (FENTRESS-JACQUES, 2002).121 Sugli episodi, entrambi narrati da Livio (Liv., XXXIII, 36, 1-3; Liv., XXXIX, 8-19) si veda HARRIS, 1971, pp. 109-110; PAILLER, 1988.122 CARANDINI, 1994, pp. 167-174; TERRENATO, 1998, pp. 96-98; CAMBI, 1993, pp.229-238; CAMBI, 2000, pp. 27-32.123 RIX, 1977, pp. 65-66.124 RASTRELLI, 2000d, p. 172.

Fig. 24. I siti noti di età romana

Fig. 25. Grafico tutti siti romani

115 Si veda pp. 20-24 e la tabella riportata a figura 24.116 Una ventina di siti sono stati datati a un ampio arco cronologico (“età ellenistico-repubblicana”) a causa della scarsità di materiale diagnostico al loro interno. Non sipuò pertanto escludere che alcuni di essi siano in realtà databili alla tarda età repub-blicana (cfr. pp. 179-180).117 In generale si veda HARRIS, 1971, TORELLI, 1981, pp. 251-278.

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Al tempo stesso, la crescita del numero delle persone che trovano ac-cesso a una sepoltura formale, evinta dallo studio delle necropoli diquesto periodo, è indizio di una società vivace e in mutamento 125.Il territorio comunale di Radicofani, per quanto non caratterizzatodalla presenza di necropoli, sembra comunque subire in qualche mi-sura gli effetti dei grandi mutamenti che avvengono nelle altre areedel Chiusino. La cultura materiale, ancora improntata a una notevolesemplicità, denota maggiori contatti con le zone circostanti, comesembrerebbe suggerire la presenza di ceramica a vernice nera ricon-ducibile, per quanto riguarda almeno i pochi tipi identificabili, a pro-duzioni di ambito locale. È possibile, infatti, individuare nelle fornacisituate nelle zone immediatamente a est di Chiusi i centri produttivicui far risalire la ceramica a vernice nera proveniente da Radico-fani 126. Certamente la ridotta quantità di frammenti pertinenti a que-sta classe appare piuttosto sorprendente se paragonata alla coeva si-tuazione delle zone limitrofe. Si potrebbe forse immaginare che essavenisse considerata una sorta di merce pregiata da parte degli abitantilocali, affrancati magari proprio in questo periodo. Interessante, aquesto proposito, appare la presenza di una piccola lettera iscritta sulfondo di una coppa a vernice nera proveniente da una casa di mediedimensioni localizzata a poca distanza dal corso del fiume Orcia. Perquanto la forte usura superficiale del frammento non consenta una

lettura agevole, sembra comunque di poter ricondurre il segno pre-sente a una piccola “zeta”, riconducibile a un gentilizio piuttosto dif-fuso nella zona come Zuchna, Zuchnei. Si tratta di un andronimicoattestato in cinque brevi iscrizioni funerarie provenienti in due casi daChiusi, in altri due dal territorio Chiusino e in un caso da Bettole 127,che faceva forse già parte del territorio di Arezzo ma che ebbe sicura-mente intensi contatti anche quello di Chiusi 128. Il gentilizio è inol-

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125 Molti cinerari recano l’iscrizione lautni, liberti cioè, o la raffigurazione del mitodell’eroe che combatte con l’aratro, a conferma del profondo coinvolgimento diChiusi al fenomeno della liberazione dei servi (CRISTOFANI, 1971; RASTRELLI,2000d, pp. 172-173).126 I tipi identificati trovano tutti confronti con le produzioni della fornace di Mar-cianella (cfr. pp. 128-129). I dati di scavo della fornace sono stati recentemente editi:PUCCI-MASCIONE, 2003.

127 CIE, 414, 1194, 1195, 2248, 2249. Le iscrizioni sono tutte incise su urnette inpietra o tegole sepolcrali e recano delle semplici formule onomastiche, redatte tramitel’uso di lettere dell’alfabeto recente.128 Bettolle sorge su di una collina in posizione strategica a poca distanza dal corso delClanis. I corredi delle tombe note nella zona testimoniano infatti frequenti e facili rap-porti con Chiusi, grazie al rinvenimento di vasi in bucchero decorati a stampo di pro-duzione chiusina (PAOLUCCI, 1996, pp. 136-137, con bibliografia).

Fig. 26. Le Unità Topografiche databili alla tarda età repubblicana

Fig. 27. Tipologia delle Unità Topografiche databili alla tarda età repubblicana

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tre documentato proprio all’interno del territorio comunale di Radi-cofani dal fossile linguistico Socenna, oggi un idronimo che designaun torrente immissario del fiume Orcia 129. A ogni modo, la presenzadi una lettera redatta con alfabeto etrusco a indicare un gentilizio an-ch’esso etrusco appare indicativa della tendenza, riscontrata anche inaltre zone dell’Etruria, al conservatorismo linguistico 130.L’assenza di elementi sicuramente databili all’inoltrato I secolo a.C.potrebbe confermare il brusco calo demografico e insediativo che siregistra in buona parte dell’Etruria settentrionale in seguito ai vio-lenti scontri tra mariani e sillani 131.In tutto il territorio di Chiusi, così come nel resto dell’Etruria set-tentrionale, a partire dagli anni Settanta del I secolo a.C. la magliadell’insediamento si fa sensibilmente più rada. Se all’inizio del se-colo, infatti, l’agro Chiusino appare ancora caratterizzato da un’altadensità insediativa, riconducibile soprattutto ad abitazioni di ridotte dimensioni, a partire da questo momento i siti si fanno molto meno

numerosi e, al tempo stesso, più consistenti. All’interno del territo-rio, infatti, la parziale diminuzione della popolazione rurale sembraaver portato, in molti casi, a un accorpamento della piccola pro-prietà, a vantaggio delle fattorie di medie dimensioni e delle primeville 132.I dati provenienti dalla ricognizione effettuata nel comune di Ab-badia San Salvatore sembrano confermare questa tendenza. In par-ticolare, il concentrarsi di tutti i siti repubblicani nel fondovalle, conuna maggiore presenza nell’area compresa tra il corso del fiume Pa-glia e del torrente Minestrone (area che costituisce il principale ter-razzo alluvionale della zona), sembra testimoniare un notevole in-cremento demografico e una crescente richiesta di terreni da colti-vare 133. È molto probabile che il percorso viario che attraversava insenso nord-sud la zona valliva abbia esercitato una notevole attra-zione sugli abitanti locali, che vedevano in essa la possibilità di esi-tare eventuali surplus derivanti dalla produzione agricola. Il tracciatoche lambiva il cono vulcanico di Radicofani era comunque ancora

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129 Si veda la nota 61.130 Per l’impiego di formule onomastiche etrusche in ambito Chiusino si veda PACK,1988, pp. 12-23.131 È noto che buona parte dell’Etruria settentrionale, in occasione dello scontro trale partes di Mario e Silla, scelsero di schierarsi dalla parte del primo. Torelli individuamolteplici ragioni: da un lato c’erano i rapporti di tipo clientelare che Mario e moltiuomini a lui vicini avevano stretto con molte famiglie dell’Etruria settentrionale, dal-l’altro alcuni capi mariani erano di origine etrusca (si pensi a C. Carrinate, di Vol-terra, o a M. Peperna, di Perugia). Non mancavano, del resto, motivazioni economi-che: i produttori etruschi, infatti, non erano inseriti nel sistema di sfruttamento co-loniale, lamentando gravi danni soprattutto per i piccoli proprietari. Per unapprofondimento sulla questione si veda TORELLI, 1981, pp. 270-275. Tra l’83 e l’82buona parte dell’Etruria settentrionale, quindi, fu teatro di combattimenti e stragi,che interessarono soprattutto le città di Chiusi, Volterra, Populonia e Vetulonia. APopulonia, in particolare, i recenti scavi condotti dal Dipartimento di Archeologia eStoria delle Arti dell’Università di Siena hanno evidenziato tracce di abbandono deiprincipali edifici e delle strade nel periodo successivo all’80 a.C. (MASCIONE, 2003,p. 43). Le vendette sillane si esplicarono sotto forma di confische, uccisioni e penalitànel diritto di cittadinanza. Furono poi completate da una serie di deduzioni coloniali.A Chiusi, in particolare, venne dedotta una colonia che portò a una distinzione delcorpo civico in Clusini veteres e Clusini novi (Plinio il Vecchio, Nat. Hist., III, 51). Ilvuoto senatorio registrato per città come Chiusi sembra forse imputabile ai violentisovvertimenti messi in atto da Silla (per Chiusi si veda PACK, 1988).

132 MINETTI, 1997c, pp. 29-30; PAOLUCCI, 1988a, p. 104; PAOLUCCI, 1997c, p. 22.133 FIRMATI, 1996, pp. 166-168.

Fig. 28. Fondo di coppa in ceramica a vernice nera iscritto

Fig. 29. Localizzazione delle principali fornaci che producevano ceramica a ver-nice nera

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attivo, a giudicare dalla puntuale occupazione delle aree più pros-sime 134. Per quanto riguarda il territorio di Radicofani la tipologia abitativa, separagonata al periodo precedente, appare caratterizzata da strutture piùsolide, con le pareti in alcuni casi realizzate tramite uno zoccolo in pie-tra e la copertura costantemente in laterizi, forse prodotti dalle due for-naci per ceramica localizzate presso i corsi del fiume Paglia e del torrenteFormone 135. Le dimensioni, spesso accresciute, lasciano immaginarein alcuni casi un’articolazione interna in più vani 136. La presenza in su-

perficie di alcuni frammenti di cocciopesto deporrebbe a favore di unacerta perizia tecnica nella realizzazione di alcune delle strutture piùgrandi (sebbene presentino quasi tutte anche una ulteriore fase di vitanella prima età imperiale, impedendo di stabilire con certezza l’arco cro-nologico in cui questo tipo di pavimento fu in uso). Nel caso della fat-toria di Poggio Bacherina, ad esempio, l’unico ambiente pavimentatoin cocciopesto era destinato all’attività di pigiatura dell’uva, come testi-monierebbe il ritrovamento al suo interno di una vasca a forma discarpa 137. Una notevole distribuzione di impianti di viti pompeiane nelterritorio è testimoniato dalle fonti letterarie 138, dalle quali si apprende

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134 UT nn. 31, 35, 39, 150, 153.135 Si veda CAMBI, 1996a, nn. UT Rad, 58 e UT Rad 7.136 Un esempio di struttura rurale scavata all’interno del territorio comunale di Ra-dicofani proviene da Poggio Grillo (si veda BARBIERI, in questo volume). Un inse-diamento databile tra i decenni centrali del II e gli inizi del I secolo a.C. è stato sca-vato non lontano da Chianciano, presso Poggio Bacherina. La struttura è costituitada un’ampia corte aperta dalla quale si accedeva ad ambienti dalle dimensioni piùcontenute. Le pareti erano realizzate in opus craticium e il tetto in laterizi. Il ritrova-mento di numerosi dolia, alcuni dei quali contenti residui di vinacce, sembra testi-moniare una intensa produzione vinicola (PAOLUCCI, 1992a; PAOLUCCI, 1993). Un

altro insediamento oggetto di indagini stratigrafiche è situato presso Giardino Vec-chio, nel territorio di Vulci. Esso presenta una estensione notevole (ben 500 metriquadrati) e una maggiore articolazione interna, tanto da poter essere difficilmenteparagonato alle evidenze di superficie individuate a Radicofani (per quanto l’area oc-cupata dalla struttura a scavo ultimato si è rivelata quasi il doppio della superficie in-teressata dallo spargimento documentato nel corso della ricognizione; CAMBI, 2002,pp. 142-144).137 PAOLUCCI, 1992, pp. 35-37.138 Plinio il Vecchio, Nat. Hist., XIV, 38.

Fig. 30. Il popolamento nella tarda età repubblicana

casa 1

casa 2

casa / tomba

frequentazione

santuario ?

capanna

casa 1

villaggio

frequentazione

fornace

strada

0 3 6 9 km

Siti noti di età repubblicana:

Siti di età repubblicana:

confini comunali

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Fig. 31. Il popolamento nella tarda età repubblicana (siti sicuramente databili all’età repubblicana e siti genericamente databili al periodo romano)

Confini comunali

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Fig. 32. Le UT di generica età romana

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una altrettanto ampia diffusione deicereali minori, come il farro, qualitati-vamente poco pregiato ma di facilecoltivazione, che poteva raggiungerein questi terreni anche 26 libbre permoggio 139. Venivano coltivati, poi,cereali di maggior pregio, come la si-ligo, che prediligeva terreni più bassi eumidi, e dalla quale si potevano rica-vare fino a sei sestari per moggio 140.Un ruolo non secondario deve aversvolto anche l’attività della pastorizia.L’allevamento di ovini e caprini con-sentiva, infatti, di disporre di latte,formaggi, carne, pelli e lana, la piùimportante fibra impiegata per la rea-lizzazione di abiti nell’antichità 141.Appare probabile che nel periodoestivo avesse luogo una transumanzaa breve raggio verso i pascoli montanidell’Amiata e del Cetona.Effettuare un calcolo, anche appros-simativo, della popolazione che vi-veva all’interno dei moderni limitiamministrativi di Radicofani non ap-pare semplice. L’elevato grado di ero-sione del suolo, infatti, ha fortementedeteriorato i depositi archeologici,determinandone forse in molti casi latotale cancellazione. Se si prendonoin esame i siti databili al periodo tar-dorepubblicano e si considerano le“case 1” a destinazione unifamiliare ele “case 2” a destinazione bifamiliare,si ottiene una popolazione di circa130 persone 142. A queste possono es-sere aggiunte altre 230 persone riferi-bili alle Unità Topografiche datategenericamente all’età romana 143, perun totale di 360 individui. Calcolibasati su campioni statisticamentemolto più rappresentativi hanno di-mostrato come, di norma, una rico-

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139 Plinio il Vecchio, Nat. Hist., XVIII, 7.140 PACK, 1988, p. 24, con bibliografia.141 PASQUINUCCI, 1979, p. 89.142 Calcolando per ogni nucleo familiare, o fo-colare, una media di cinque persone si ottieneuna popolazione di 125 persone, cui potreb-bero essere aggiunte altre 5 se si interpreta la“casa/tomba” individuata come abitazione. Sesi considera, invece, una “casa 2” a destina-zione trifamiliare la cifra sale a 175.143 Le UT aventi generica datazione all’età ro-mana sono costituite da 26 “case 1”, 1 “casa2” e 17 “case/tombe”. Applicando gli stessiparametri di calcolo (5 persone a nucleo fa-miliare) impiegati per i siti tardorepubblicani,si ottiene una popolazione di 230 persone.Considerando le “case 2” a destinazione trifa-miliare si sale a 235.Fig. 33. Distribuzione spaziale dei siti di età repubblicana e romana generica

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gnizione di superficie porti all’individuazione di una percentuale deisiti realmente esistiti del 20-33% (in un rapporto, quindi, tra dato diorigine e dato acquisito che varia tra un quinto e un terzo) 144. Ap-plicando questo modello al territorio di Radicofani si otterrebbe, inmodo approssimativo, una popolazione effettiva compresa tra 1060(nel caso di un 33% di siti individuati) e 1750 (nel caso di un 20%di siti individuati) individui. Per quanto questo dato debba essereconsiderato soltanto indicativo, perché paragonato a territori inten-samente colonizzati di cui era noto il numero di coloni dedotti 145,appare comunque un elemento interessante.D’altro canto, la maglia insediativa molto ampia riscontrata a Radi-cofani sembrerebbe deporre a favore di una considerevole perditadell’evidenza archeologica. Se si considera, infatti, che l’appezza-mento di terra minimo indispensabile al sostentamento di una fa-miglia era almeno di 7 iugeri – ma che più facilmente oscillava in-torno ai 10 146 – il nostro territorio, a una analisi di tipo topografico,non appare intensivamente sfruttato dal punto di vista agricolo 147.Anche limitando l’indagine alle aree pianeggianti, alla dorsale che at-traversa il territorio in senso nord-sud (e che offre una lunga strisciadi terra dalla pendenza quasi irrilevante) e ai versanti meno acclivi,la distribuzione degli insediamenti e delle probabili aree da essi col-tivate e gestite a pascolo lascia ampie aree vuote. Al tempo stesso lapresenza di ampie aree non sfruttate sembra indiziare un’attività pa-storale intensa, magari associata a una diffusa economia di selva.

L’età altoimperiale

Il territorio di Radicofani si caratterizza tra la fine del I secolo a.C. e gliinizi del II d.C. per una sostanziale continuità di vita rispetto al pe-riodo precedente. Le strutture di dimensioni più grandi non sembranointeressate da cambiamenti, mentre alcune delle più piccole vengonoampliate o abbandonate a favore di abitazioni di nuova costruzione,sempre interpretabili come edifici rurali a destinazione bi-trifamiliare(casa 2) 148. Le aree occupate di preferenza sono ancora le principalivalli fluviali, lo spartiacque che attraversa il territorio in senso nord-sud, i rilievi meno elevati. La cultura materiale si presenta ancora moltopovera: tra la ceramica prevalgono di gran lunga le produzioni non ri-vestite, mentre la terra sigillata italica – che rappresenta per questo pe-riodo il principale fossile guida – appare scarsamente attestata. Se sitiene conto della relativa vicinanza dei principali centri di produzione

di questa classe, alcuni dei quali ubicati nel comune di Torrita di Siena,a circa quaranta chilometri di distanza in linea d’aria 149, la ridottaquantità proveniente dalla ricerca di superficie appare ancora più si-gnificativa. Così come per la ceramica a vernice nera, infatti, essa è pre-sente soltanto nel caso delle strutture di dimensioni maggiori, soprat-tutto se localizzate nelle valli del Paglia e del Formone. Si potrebbe im-maginare, forse, che la sigillata italica, in transito verso i mercati dellecittà costiere dell’Etruria settentrionale (lungo il percorso costituito daOrcia e Ombrone), venisse acquistata soltanto dalle poche famiglie chevivevano al di sopra della soglia della pura sussistenza.Le strutture più piccole erano probabilmente realizzate in opera a gra-ticcio, molto economica e di veloce realizzazione, o, al massimo, in mat-toni crudi; la copertura era sicuramente in tegole. Le abitazioni di mag-giori dimensioni dovevano apparire più curate: in molte di esse, infatti,sono stati rinvenuti spezzoni di pavimenti in cocciopesto e una discretaquantità di pietre, probabilmente impiegate per creare uno zoccolo inmateriale non deperibile su cui impostare l’alzato, isolandolo così dal-l’umidità del terreno 150. Se si considera che l’arrivo dei mattoni cotti aRoma data all’inoltrato I secolo a.C. 151, non è da escludere che nellazona di Radicofani non siano stati mai impiegati. Dal II secolo, però, isintomi di crisi all’interno del territorio si fanno alquanto vistosi, fa-cendo dubitare che questo tipo di laterizio sia mai stato effettivamenteimpiegato nell’area in questione. La presenza esclusiva di tegole e coppisembrerebbe confermare questa ipotesi, anche se i frammenti più mi-nuti sono difficilmente riconducibili alla forma originaria.Il rinvenimento di una discreta quantità di pietre da macina depone afavore di una intensa attività agricola legata alla produzione e al con-sumo di cereali. Una conferma proviene dai Medicamina faciei di Ovi-dio, in cui l’autore allude all’uso fatto del semen Tuscum per truccarsi 152,o dagli Xenia di Marziale, dove è ironicamente consigliato di riempirele olle della plebe con la polenta, fatta a base di spelta chiusina 153. Ilprevalere, poi, dei frammenti di dolia rispetto a quelli appartenenti ad

195

144 CAMBI, 2002, p. 140.145 L’ager Cosanus non può essere, infatti, paragonato al territorio di Radicofani,quanto a intensità dell’occupazione e dello sfruttamento agricolo. Inoltre, le fonti par-lano di 5000-6000 coloni, fornendo un punto di partenza fondamentale su cui ba-sare i calcoli di tipo demografico (CAMBI, 2002, p. 140).146 AMPOLO, 1980, pp. 27-29. I calcoli realizzati da Ampolo si riferiscono al Latium Ve-tus. Malgrado la differenza geografica, cronologica e sociale, le evidenti forme di attarda-mento economico di un territorio marginale come quello di Radicofani potrebbero es-sere in qualche modo trovare un lontano paragone con il contesto studiato da Ampolo.147 In fig. 33, si è realizzato degli areali di superficie di 10 iugeri (25.233,4 mq) in-torno alle “case 1” e di 25 iugeri (63083,5 mq) nel caso delle “case 2”. Le “case/tombe”sono state, anche in questo caso, assimilate a strutture abitative unifamiliari. La formacircolare degli areali è stata dettata dall’esigenza di non direzionarli nello spazio, for-zando eccessivamente la ricostruzione.148 Fenomeni analoghi sono riscontrabili in altre zone dell’Etruria settentrionale. Peril Senese si veda: VALENTI, 1995, pp. 398-400, a proposito del Chianti; FIRMATI,1996, pp. 169-171, sulla situazione amiatina con particolare riferimento ad AbbadiaSan Salvatore; CAMPANA, 2001, pp. 299-300, il comune di Murlo; FELICI, 2004, pp.309-313, per Pienza. Diversa appare la situazione della Val d’Elsa, dove la maglia delpopolamento si fa sensibilmente più rada (VALENTI, 1999, pp. 312-136), e di Chiu-sdino, dove la ricognizione non ha quasi individuato emergenze di età romana (NAR-DINI, 2001, pp. 144-145). Una tendenza simile è riscontrata anche in alcune aree del-l’Etruria meridionale (per l’ager Cosanus si veda FENTRESS, 2002, p. 182).

149 PUCCI, 1992; PUCCI-MASCIONE, 1993.150 Strutture di ridotte dimensioni caratterizzate da una evidente povertà costruttivasono documentate anche nell’Etruria meridionale: a monte Forco, nell’ager Capenas,la British School at Rome scavò nei primi anni Sessanta un piccolo edificio rettango-lare (di soli 11 x 5 metri) privo di divisioni interne, con pareti realizzate in opera re-ticolata. La struttura è sta utilizzata come abitazione tra la metà del I secolo a.C. e iprimi decenni del I secolo d.C. (JONES, 1963; POTTER, 1985, pp. 137-138).151 Vitruvio, che scrive tra il 40 e il 32 a.C., non fa menzione dei mattoni cotti, chepur esistevano già nell’Italia meridionale. A Pompei, ad esempio, le più antiche testi-monianze dell’utilizzo di questo tipo di laterizio datano all’età sillana (ADAM, 1984,pp. 64-65). A Roma si può datare l’inizio del loro impiego nella seconda metà del I se-colo a.C. (COARELLI, 2000, p. 91).152 Ovidio, Medic. faciei, 65. Il poemetto è verosimilmente comparso nei primissimianni del I secolo d.C. (GUASTELLA, 1995a, pp. 625-626).153 Marziale, Epigr. XIII, 8. Gli Xenia sono stati composti tra l’84 e l’85 d.C. (GUA-STELLA, 1995b, p. 259).

Fig. 34. Tipologia dei siti di generica età romana

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anfore può essere un elemento fortemente indiziante di un’economiadi pura sussistenza, in cui le importazioni di merci dall’esterno appaionorarissime. Il rinvenimento di un orlo attribuibile a una anfora Haltern70, destinata al commercio del defrutum della Baetica, costituisce un’ec-cezione 154. È forse possibile immaginare che l’anfora, giunta in Etru-ria con il suo contenuto originale, sia stata successivamente riutilizzatain ambito regionale per trasportare prodotti locali, giungendo così nellazona di Radicofani.Purtroppo i dati provenienti dal resto dell’agro Chiusino, sebbenenon scarsissimi ma quasi sempre inerenti edifici di grandi dimensioniche hanno restituito resti monumentali, non consentono di formu-

lare una chiara e inequivocabile tipologia degli insediamenti e unaricostruzione dell’evoluzione del paesaggio agrario 155. In generale siha l’impressione di un territorio piuttosto florido, in cui una fiorenteagricoltura costituisce la base economica della città romana, comesembrano testimoniare alcuni piccoli gruppi di iscrizioni rinvenutiin più zone dell’agro 156. È stato ipotizzato che si tratti di contadini

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154 Il contenitore è stato rinvenuto presso Le Conie (UT 31) in associazione ad alcuniframmenti di laterizi. Purtroppo le pessime condizioni di visibilità hanno impedito chevenisse recuperato altro materiale archeologico. Anfore Haltern 70 sono documentatenell’ager Cosanus nella prima metà del I secolo d.C. (CELUZZA, 2002b, p. 201).

155 Nel territorio di Chianciano Terme sono note alcune ville, di preferenza situate inzone molto fertili e nelle vicinanze dei principali tracciati stradali. Probabilmente lavilla di Poggio all’Abate derivò dal riadattamento di una grande fattoria di età elleni-stica, che occupava una collina isolata a poca distanza da una sorgente di acqua pota-bile. Una struttura analoga è stata rinvenuta in località Montato (PAOLUCCI, 1988a, p.107). Resti imponenti dell’impianto di una villa si conservano in località Camerelle,dove è tuttora visibile una monumentale cisterna, connessa a un notevole impiantoidraulico. La villa doveva svilupparsi non lontano dalla struttura, a breve distanza daltracciato della via Cassia (PAOLUCCI, 1992b; MASCI, 1992). Le tracce di occupazionedi queste ville non sembrano oltrepassare il II secolo d.C., a eccezione di quella situatapresso le Camerelle, che era ancora abitata nel corso del V secolo. L’importanza del-l’insediamento è testimoniata anche dall’edificazione della più antica pieve del territo-rio, dedicata ai santi Cosma e Damiano (PAOLUCCI, 1988a, p. 107; PAOLUCCI, 1997c,pp. 22-23). Dal comune di Sarteano si conoscono tracce di frequentazione degli im-pianti termali in località Colombaiolo e nei pressi della cosiddetta Peschiera Giannini.Di entrambe le località si ignora la cronologia dell’abbandono (MINETTI, 1997c, pp.29-30). Lo sfruttamento delle acque salutari è attestato anche presso Bagni San Filippo,dove, non lontano dalla struttura termale, è venuta in luce una necropoli databile trail I e il IV secolo, a testimonianza dell’esistenza di un piccolo insediamento (CON-TORNI, 1988, pp. 9-10). Un’iscrizione dedicatoria alle Ninfe, rinvenuta presso BagnoVignoni, nel Comune di San Quirico d’Orcia, attesta anch’essa l’utilizzo delle acquesulfuree (CIL XI, 2595; CA 121; p. 25; PISTOI, 1997, pp. 13, 66). Di recente si è vo-luto mettere in relazione quest’epigrafe con un’altra proveniente da Montelaterone, sulversante occidentale del Monte Amiata. La dedica a Iuppiter Optimus Maximus ha in-dotto a considerare l’intera montagna come un santuario a cielo aperto, un nemus. Nelmondo romano, peraltro, l’associazione delle Ninfe con Giove Ottimo Massimo è bendocumentata (FIRMATI, 1996, pp. 174-175; in generale si veda CAMBI, 2002).156 PACK, 1988, pp. 24-25.

Fig. 35. Le UT databili all’età altoimperiale

Fig. 36. Tipologia dei siti databili all’età altoimperiale

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liberi o liberti, che, forse insieme a schiavi, gestivano ampi possedi-menti in mano a pochi proprietari 157.La ricognizione condotta nel comune di Abbadia San Salvatore hafornito dei dati interessanti. I pochi abitati databili con certezza al-l’età imperiale sono tutti concentrati sul fondovalle, e più precisa-mente nelle immediate vicinanze del corso del Paglia. Alle capanneo semplici case, predominanti nel periodo precedente, si sostitui-scono villaggi o abitazioni comunque più complesse. Gli unici sitiche hanno restituito frammenti di sigillate sono tutti ubicati in que-st’area, a testimonianza della relativa vivacità dei flussi commercialiche interessavano la strada. La vicinanza reciproca di questi insedia-menti mal si concilia con il solo sfruttamento agricolo dei terrazza-menti fluviali, e suggerisce piuttosto l’idea di un’economia basata sulcommercio e sulla fornitura di servizi per i viaggiatori, come taber-nae o stazioni di posta. Alcuni basoli stradali rinvenuti lungo tutta laVal di Paglia, del resto, lasciano immaginare che, dopo la fondazione

di Saena Iulia, la strada fosse stata lastricata, conformemente ai ca-ratteri delle viae publicae 158.Il territorio comunale di Pienza presenta una situazione analoga mapiù variegata: i complessi medio-grandi, interpretati talora comeville, fattorie, abitati e generiche aree insediative, appaiono predo-minanti rispetto alle strutture più piccole 159.

La media e tarda età imperiale.

A partire dagli inizi del II secolo d.C. la maglia insediativa di Ra-dicofani mostra inequivocabili segni di cambiamento. Il numerodei siti decresce in maniera molto vistosa, fino quasi a scomparire.

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157 PACK, 1988, pp. 24-25.

158 FIRMATI, 1996, pp. 169-174. è possibile cogliere una relazione tra il crescere del-l’importanza della percorso transitante per la Val di Paglia e il progressivo impalu-damento della Val di Chiana, che ebbe inizio probabilmente già in età altoimperiale(TACITO, Ann., I, 79; un accenno, più vago, anche in STRABONE, V, 2, 9).159 FELICI, 2004, pp. 309-313.

Fig. 37. I paesaggi di età altoimperiale

casa 1

casa 2

villaggio

frequentazione

capanna

casa 1

villaggio

frequentazione

fornace

strada

0 3 6 9 km

Siti noti di età altoimperiale:

Siti di età altoimperiale:

confini comunali

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Fig. 38. I paesaggi di età altoimperiale e generica età romana

capanna

casa 1

casa 2

villaggio

casa / tomba

frequentazione

fornace

strada

siti di età altoimperiale

siti noti di età altoimperiale

siti di generica età romana

0 3 6 9 km

confini comunali

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Oltre alle tracce di frequentazione dell’area successivamente oc-cupata dalla rocca e dal borgo 160, soltanto due sono i siti chehanno restituito ceramica databile ai secoli II-III d.C. 161. Il primoè localizzato sui rilievi prospicienti il corso del torrente Formone(UT 146), il secondo si trova a poca distanza dalla strada modernache collega Ponte a Rigo e Radicofani (UT 161). È possibile chealtre tracce di occupazione o semplice frequentazione della zonariferibili a questo periodo siano state obliterate dalle più tarde fasidi vita dei villaggi e dei complessi medio-grandi di età tardoantica.In quest’ottica la quasi totale assenza del principale fossile guidaper l’età medioimperiale, la terra sigillata africana, ha sicuramentecontribuito nel creare una immagine di estrema rarefazione delpopolamento.Tracce dell’esistenza, nella zona di Radicofani, di tenute di grandidimensioni potrebbero essere ravvisate in alcuni fossili topono-mastici, come i prediali Perignano, Contignano, Pigacciano e San-sano 162. Soltanto le ultime due località, però, hanno restituitomateriali romani 163 all’interno di unità topografiche interpretatecome semplice frequentazione. È probabile che a Perignano, Con-tignano, ed eventualmente a Reggiano, le tracce delle più antichefrequentazioni siano state obliterate in seguito alla costruzione deicastelli che ciascuna di queste località ospitò in seguito.Nel resto del Chiusino la situazione, per quanto ancora non puntual-mente studiata, appare analoga. Le ville documentate nel territorio diChianciano Terme scompaiano tutte, con una sola eccezione, nelcorso del II secolo 164, lasciando il paesaggio agrario in lenta, ma ine-vitabile, evoluzione verso il latifondo. Una tendenza simile è riscon-trabile anche nei territori di Pienza e Abbadia San Salvatore 165. Le

cause di questo inesorabile cambiamento degli assetti delle campagnesono da ricercare, da un lato, nel vistoso calo demografico che si veri-ficò nella seconda metà del II secolo d.C. in seguito al diffondersi dellacosiddetta “peste antonina”, dall’altro, nel crescente fiscalismo cui icontadini furono sottoposti proprio a partire da questo periodo 166. Ildiminuire della popolazione in ambito rurale determinò poi l’aumentodei terreni facenti parte del patrimonio imperiale, ponendo le basi peril nascere delle cosiddette massae fundorum 167. A giudicare dalle fontiletterarie e dall’evidenza archeologica proveniente dall’intera Etruria,lo spopolamento delle campagne dovette essere generalizzato e di am-plissima portata 168. La progressiva chiusura dei circuiti commercialidel Mediterraneo determinò inoltre una forte pressione sulle econo-mie regionali, finendo di fatto per legare alla terra i contadini anche daun punto di vista giuridico 169, per quanto non si possa parlare di verie propri vincoli al suolo prima dell’età dioclezianea 170. I rivolgimenti

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160 VILUCCHI, 1998, pp. 145-146. Si tratta di un gruppo di otto monete, di cui unadatabile al III secolo d.C. (le altre sette sono invece databili al IV).161 Vedi Catalogo delle Unità Topografiche nn. 146, 161.162 Più dubbia appare l’origine del toponimo Reggiano, da Pieri ricondotto al gen-tilizio latino Regius (che avrebbe poi dato origine alla forma *Regianu; PIERI, 1969,p. 128). Potrebbe anche discendere, infatti, dalla presenza nella zona di proprietàregie di epoca altomedievale, dal momento che il luogo appare attestato in questaforma già nell’VIII secolo d.C., in alcuni documenti del CDA. Per quanto riguardagli altri toponimi sono fatti discendere dall’andronimico Acontius e Acontius, perquanto riguarda Contignano (PIERI, 1969, p. 89), Perennius, per quanto riguardaPerignano (PIERI, 1969, p. 124), Picacius e Pacatius, per quanto riguarda Pigac-ciano (PIERI, 1969, p. 124), Sentius, per quanto concerne infine Senzano (PIERI,1969, p. 131).163 I materiali provenienti da Piacciano, in particolare, sono genericamente databiliall’età romana, trattandosi di pochissime pareti di ceramiche acrome, mentre quellirinvenuti in località Sansano non sembrano datare oltre il I secolo d.C. 164 PAOLUCCI, 1988a, p. 106.165 FIRMATI, 1996; FELICI, 2002, pp. 314-319.

166 MARCONE, 2002a, pp. 53-54, con bibliografia.167 MARCONE, 2002b, p. 346.168 Celebre è l’iniziativa di Pertinace, del 193 d.C., che, per tentare di arginare il fe-nomeno, assicurava il diritto di proprietà a tutti coloro che avrebbero coltivato ter-reni abbandonati o incolti, venendo esonerati dal pagamento dei tributi per ben diecianni (ERODIANO II, 4, 6). In generale si veda CARANDINI, 1986, pp. 5-7; CAMBI,1993, p. 230-243; VERA, 1994, pp. 244-247; LO CASCIO, 1991; LO CASCIO, 2002.169 MARCONE, 2002b.170 LO CASCIO, 2002, p. 307.

Fig. 39. I prediali attestati nel territorio di Radicofani

Fig. 40. Localizzazione dei prediali

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militari del III secolo e gli altri scoppi epidemici che si verificarono inquesto periodo determinarono il definitivo radicamento dei cambia-menti avvenuti nel corso del secolo precedente 171. In ambito urbanola realtà appare più variegata: nel caso di Chiusi, ad esempio, a par-tire dalla fine del II secolo d.C. le testimonianze epigrafiche inerentia dediche a personaggi imperiali iniziano a farsi consistenti 172, la-sciando ipotizzare una certa vivacità economica e culturale 173.

In età tardoantica il territorio di Radicofani appare popolato da un ri-dotto numero di abitazioni, di piccole e medie dimensioni. La pre-senza di villaggi, che costituiscono in questo periodo la forma inse-diativa più tipica, appare limitata soltanto al fondovalle del fiume Pa-glia. I principali fossili guida per questo periodo sono costituiti dallepiù tarde forme di terra sigillata africana (come i tipi Hayes 61 e 91)e dalle loro imitazioni in ceramica comune. I dati provenienti dallaricognizione effettuata nel comune di Abbadia San Salvatore ap-paiono confermare questa tendenza. Dopo il definitivo declino dei ti-pici paesaggi rurali romani, articolati nelle aree periferiche e montaneprincipalmente per abitazioni sparse, riemergono gli antichi paesaggidei pagi 174. La scarsità dei ritrovamenti archeologici induce a pensareche la presenza umana, a partire dal V secolo d.C., doveva essersi ri-dotta a ben poca cosa. La popolazione residua risiedeva principal-

200

171 LO CASCIO, 2002, p. 307.172 La serie delle dediche imperiali sicuramente databili prende inizio con una basemarmorea iscritta nel 194 d.C. in onore dell’imperatore Settimio Severo, continuacon un frammento di travertino attribuibile a una iscrizione onoraria di Gordiano III,posta nel 239 d.C., e si protrae fino alla seconda meta del III secolo d.C., quando, tragli anni 270 e 275 l’ordo Clusinorum, fregiandosi del titolo orgoglioso di sp[l]endidis-simus, ebbe motivo di onorare la moglie dell’imperatore Aureliano, Ulpia Severina(PACK, 1988, pp. 35-44).173 PACK, 1988, pp. 69-71. 174 FIRMATI, 1996; CAMBI, 1993.

Fig. 41. Il popolamento nella media età imperiale

casa 2

frequentazione

abitazione

confini comunali

0 3 6 9 km

Siti di età medioimperiale:

Siti noti di età medioimperiale:

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mente nei villaggi sul fondovalle, dove, peraltro, il traffico viario do-veva essere notevolmente ridotto, seppur non del tutto cessato 175.Nel corso della tarda antichità, il tradizionale sistema dell’alternanzabiennale maggese-grano viene sempre più frequentemente degra-dando verso un sistema di campi d’erba, in cui molto spesso si vedeseguire a un anno di maggese e a uno di coltura granaria, uno o piùanni di riposo a pascolo. Questa estensione del saltus determina dun-que il passaggio da un regime di campi chiusi a uno di campi aperti,

nel quale tutte le terre sono messe a disposizione, dopo il raccolto, delpascolo promiscuo delle greggi 176. Non occorre sottolineare come unasimile gestione comunitaria, o parzialmente comunitaria, della terraben si sposasse con il nuovo assetto del popolamento. Oltre all’ampiadiffusione dell’allevamento di ovicaprini, già molto praticato nei pe-riodi precedenti, anche l’economia della selva deve aver giocato unruolo fondamentale in un’area montana come quella amiatina. È notoche i boschi fornivano materie prime fondamentali, quali legname,pece e resina (sempre più importanti all’interno dell’economia tar-doantica della zona in seguito alla presumibile scomparsa delle fornaciper ceramica localizzate lungo il corso del Paglia) e, soprattutto, offri-vano ampie possibilità di praticare l’allevamento suino 177. Le ghiande,

201

175 CAMBI, 1996b. Diverso appare il quadro del Senese: nelle aree collinari più pros-sime al nucleo urbano di Siena, che era ancora un centro di consumo vivace, si loca-lizzano le ville, probabilmente attratte dalla presenza del mercato cittadino. Sui rilievipiù elevati, invece, si situano le abitazioni rurali di varie dimensioni. La generale as-senza dei villaggi richiama la situazione della agro Cosano, con poche ville superstitiattorno alla città, e di quello rosellano, con case sparse nell’interno (CAMBI et alii,1994; VALENTI, 1995).

176 SERENI, 1961, pp. 65-66.177 TRAINA, 2002, pp. 239-242. I suini infatti fornivano un ampio apporto proteicoa un costo di produzione relativamente basso (PASQUINUCCI, 2002, pp. 162-163).

Fig. 42. Il popolamento nella tarda antichità

casa 1

casa 2

villaggio

casa 1

casa 2

frequentazione

abitazione

villaggio

confini comunali

0 3 6 9 km

Siti di età tardonatica:

Siti noti di età tardonatica:

Siti di IV - metà VII secolo d.C.:

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del resto, potevano essere impiegate, in caso di anni di carestie, ancheper l’alimentazione degli uomini 178. Una risorsa non secondaria do-veva apparire anche la caccia di cinghiali, caprioli e lepri, mentre uncarattere marcatamente più marginale avevano la raccolta di miele sel-vatico e piante officinali 179.

LA VIABILITÀ IN ETÀ ROMANAIn età romana la principale viabilità all’interno dell’attuale territoriocomunale di Radicofani rimane quasi invariata rispetto al periodotardoetrusco. Le principali valli fluviali e i più significativi spartiac-que rimangono le direttrici preferenziali fino alla tarda antichità. Sol-tanto la microviabilità conosce probabilmente un incremento e unamaggiore articolazione in seguito al consistente aumento del numerodei siti, che, a partire dal II secolo a.C., si dislocano pressoché sul-l’intero territorio.In questo periodo il tracciato che transitava nelle valli del Formonee del Paglia acquista maggiore importanza. La ricognizione con-dotta nella zona alla fine degli anni Ottanta ha mostrato come na-scano nuove realtà insediative o si sviluppino quelle già esistenti.Firmati, sulla base del materiale raccolto, ha sottolineato il caratteredi sovraregionalità degli scambi in cui l’alta Val di Paglia inizia a es-sere coinvolta, ipotizzando la presenza di una via publica, che met-teva in comunicazione Roma e Saena Iulia 180. Il rinvenimento, poi,di basoli stradali sembrerebbe confermare che si trattasse di unastrada lastricata di una certa rilevanza, le cui tracce sono ancora inparte visibili dallo studio delle foto aeree 181.

Nella media e tarda età imperiale il traffico di uomini e merci lungoil percorso della futura Francigena aumenta ulteriormente, anche gra-zie al pessimo stato in cui versava il tratto della Via Cassia che colle-gava Bolsena con Chiusi. Gli interventi di rettifica, intrapresi nelcorso del IV secolo d.C., infatti, non sembra che abbiamo ottenuto irisultati sperati 182, mentre la Val di Chiana era probabilmente già in-teressata da estesi focolai di malaria 183. Appare interessante che moltedelle strutture di maggiori dimensioni localizzate nell’area limitrofa aRadicofani si situino proprio lungo i corsi del Formone e del Paglia.La presenza della strada, infatti, offriva la possibilità di esitare i sur-plus alimentari derivanti dalla produzione agricola e, al tempo stesso,di integrare quest’ultima con la fornitura di servizi per i viaggiatori 184.Come sottolinea Firmati, si tratta ormai di un percorso caratterizzatoda una grande facilità e velocità di percorrenza, al tempo stesso causaed effetto dell’intensità della frequentazione che lo coinvolge 185.Più in dettaglio, all’interno del territorio comunale di Radicofani,oltre ai probabili percorsi già indicati per l’età etrusca, appare pos-sibile che la rete viaria che potremmo definire “di servizio” si infit-tisse, al fine di collegare i villaggi e le grandi fattorie tra loro. È pro-babile che essa sfruttasse alcune delle odierne strade vicinali, che,sulla base della cartografia storica e della presenza di tracce di pa-vimentazione in pietra, appaiono tutte caratterizzate da una rela-tiva antichità. Se si considera, infatti, che molti degli insediamentidi età basso medievale si dislocano, in conseguenza della partico-

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178 Plinio ricorda come, in certe aree appenniniche, si preparasse pane realizzato conuna sorta di farina di ghiande (Plinio, Nat. Hist., XVI, 15).179 TRAINA, 2002, p. 243.180 FIRMATI, 1996, pp. 165-175.181 CAMBI-DE TOMMASO, 1988, pp. 471-479.

182 HARRIS, 1965, pp. 116, 123.183 SZABÒ, 1989, pp. 292-293. L’abbandono del percorso in epoca longobarda è im-putabile anche a ragioni di tipo squisitamente politico: da Firenze, una delle tappeprincipali della Via Cassia, si dipartivano infatti arterie che conducevano tutte in ter-ritorio bizantino, e quindi nemico (STOPANI, 1993, pp. 11-18, STOPANI, 1995, p. 7;STOPANI, 1998, pp. 5-8).184 FIRMATI, 1996, p. 171.185 FIRMATI, 1996, p. 171.

Fig. 44. Le UT databili alla tarda antichità

Fig. 43. Le UT databili alla media età imperiale

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lare geomorfologia del territorio, in corrispondenza delle ree piùdensamente abitate anche in età romana, appare verosimile che ipercorsi in uso durante i secoli finali del Medioevo non fossero par-ticolarmente diversi delle epoche etrusca e romana.

Lucia Botarelli

IL PERIODO MEDIEVALE 186

Il periodo caotico (VI-metà-VII secolo d.C.)

Il periodo compreso tra il VI e la metà del VII secolo d.C. è spessodefinito, per quanto riguarda i contesti rurali toscani, “età del caos”o “periodo caotico” 187. Il termine caotico definisce, come sottolinea

Valenti, sia la caoticità della distribuzione insediativa, sia l’assenza diprogettualità 188 e ben si presta a descrivere decenni caratterizzati dagrande instabilità del governo centrale, declino demografico nellecampagne e infuriare di guerre, carestie e epidemie 189. Il territorio di Radicofani si presenta in questo periodo popolatoda un esiguo numero di modeste abitazioni, che rioccupano per lopiù le maggiori strutture abitative del periodo precedente. Cosìcome in buona parte del resto della Toscana 190, anche nel versanteorientale del Monte Amiata al paesaggio dei pagi tardoantichi suc-cede un paesaggio di tipo caotico, all’interno del quale non sonoravvisabili né articolazioni gerarchiche tra i siti né tentativi siste-matici di controllo del territorio.

Se si prendono in esame anche i siti con datazione generica tra il IVe il VII secolo d.C. in totale sono soltanto sette le strutture abitativeche caratterizzano il comprensorio di Radicofani e le sue immediatevicinanze. Si tratta di semplici case costituite da elevato in materialeverosimilmente deperibile e copertura in laterizi. Soltanto nel casodell’abitazione situata tra Palazzuolo e Poggio Bianco, nel comunedi Sarteano, l’evidenza archeologica sembra suggerire una strutturadi dimensioni medio-grandi 191. In questo caso, però, l’ampio arcocronologico fornito dal materiale ceramico raccolto – che va gene-ricamente dal IV al VI secolo – inficia ogni tentativo di ulterioreanalisi interpretativa del sito.Appare significativo che, mentre le abitazioni di età medio e tar-doimperiale si dislocano ancora lungo i principali assi viari – come ildiverticolo della Via Cassia lungo i fondovalle del Paglia e del For-mone o il percorso che ricalca lo spartiacque avente senso nord-sudche transita ai piedi di Radicofani – o sui primi rilievi presso i mag-giori corsi d’acqua, gli unici due siti sicuramente databili al VI-VII se-colo d.C. sono situati in una zona più marginale dal punto di vistadegli scambi. È proprio in questo periodo, infatti, che alcuni dei prin-cipali assi viari dell’Etruria cessano di funzionare, a causa del pro-gressivo impaludamento di certe aree, dell’abbandono di buona partedelle stazioni di posta, dell’imperversare della guerra greco-gotica 192.

203

186 I testi che compongo questa sezione sono di Lucia Botarelli e Anna Caprasecca. Inparticolare le parti afferenti al territorio di Radicofani sono di Lucia Botarelli, men-tre quelle relative al più ampio contesto amiatino sono di Anna Caprasecca.187 CAMBI et alii, 1994, p. 202. Per un’attenta analisi della problematica si veda VA-LENTI, 2004, pp. 65-77.

188 VALENTI, 2004, p. 69.189 WICKHAM, 1983, p. 41; WICKHAM, 1998; VALENTI, 2004, p. 49.190 Per una sintesi si veda VALENTI, 2004, pp. 69-81.191 Si veda la scheda n. 124 del catalogo delle Unità Topografiche.192 In particolare per la Via Cassia e il percorso di età romana della futura Via Fran-cigena si veda infra, pp. 202-203, 217-218, 231-232. Per una sintesi del popolamentoin relazione alla viabilità dell’Etruria interna a partire dalla tarda antichità si vedaCAMBI, 1993, pp. 233-240.

Fig. 45. La principale viabilità in età romana

Fig. 46. Distribuzione cronologica delle Unità Topografiche di età medievale

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I caratteri della ceramica diffusa su scala regionale riflettono la ra-refazione del popolamento rurale, la diminuzione della domanda,il decadimento e più in generale la scomparsa di organizzazioniaziendali, l’interrompersi del collegamento con i mercati urbani,il collasso dell’economia monetaria nelle campagne 193. In conco-mitanza, almeno a partire dall’inoltrato VI secolo, le importazionidi ceramica vascolare – oltre che di derrate alimentari non localitestimoniate dalle produzioni anforarie orientali – sono ormaisporadiche, mentre i centri produttivi decadono 194.Per quanto i rinvenimenti di Radicofani non costituiscano in al-cun modo un campione statisticamente rilevante, anche all’in-terno delle due Unità Topografiche databili tra il VI e la metà delVII secolo rinvenute, non compaiono che ceramiche comuni diprobabile produzione locale. Per la struttura abitativa situata inPian dei Mori 195, in particolare, l’elemento con datazione re-

cenziore è costituito da una imitazione in acroma grezza dellascodella tipo Hayes 105 prodotta in sigillata africana 196, mentreper quanto riguarda la casa ubicata in località Palazzetta l’unicoelemento datante è un orlo di pentola in ceramica comune chetrova precisi confronti con contesti databili per al VI-VII se-colo 197.Questi scarni dati sembrano suggerire un notevole calo demogra-fico e una forte riduzione delle terre coltivate. I nuclei insediativiindividuati, costituiti da semplici case di modeste dimensioni, ap-paiono piuttosto distanziati gli uni dagli altri, lasciando immagi-nare ampie porzioni di territorio ormai totalmente incolte. Losfruttamento delle risorse boschive e una sempre più ampia praticadell’allevamento a scapito delle più tradizionali pratiche agricole,in primis quella dei cereali superiori, appaiono adesso la risorsaprincipale per il sostentamento della popolazione 198.

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193 FRANCOVICH-VALENTI, 1997; VALENTI, 1999, p. 322; VALENTI, 2004, p. 47.Come gli autori sottolineano, la distribuzione di manufatti ceramici diviene semprepiù locale, i campionari tipologici vengono semplificati e le importazioni conosconouna drastica riduzione, fino al loro definitivo cessare.194 VALENTI, 2004, p. 49.195 Vedi catalogo delle Unità Topografiche: UT 93.

196 Tav. 10.4.197 Tav. 9.7.198 In questo periodo, in continuità con l’età tardoantica e i secoli VIII-X, lo sfrutta-mento delle risorse boschive e l’allevamento di suini e, in misura probabilmente mi-nore di ovini e caprini, appare predominante rispetto alla pratica della cerealicoltura(CORTONESI, 2002, pp. 83-87).

Fig. 47. Localizzazione delle UT databili al periodo caotico

casa 1

casa 2

villaggio

casa 1

casa 2

villaggio

casa 1

abitazione

villaggio

confini comunali

0 3 6 9 km

Siti di VI - metà VII secolo d.C.:

Siti di IV - metà VII secolo d.C.:

Siti noti di IV - metà VI secolo d.C.:

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Le strutture abitative caratterizzanti questo periodo sono assimilabilia misere capanne di ridottissime dimensioni, con elevati in terra etetto a uno spiovente (stramineo o in laterizi) 199.Una situazione analoga appare riscontrabile nei territori immediata-mente limitrofi, come Abbadia San Salvatore, dove non sono stateriscontrate tracce di insediamenti databili a questo periodo 200, oPienza, che ha restituito alcuni siti di varia natura collocabili crono-logicamente tra IV e VI secolo 201. Di particolare interesse è la pre-senza, immediatamente a est del corso dell’Orcia a poche centinaiadi metri dal limite amministrativo con il comune di Radicofani, didue strutture localizzate su Poggio Villanova e presso il podere Trib-bioli e interpretate come abitazioni realizzate con uno zoccolo in pie-tra e copertura in laterizi 202.Questa situazione non contrasta con il quadro offerto dal resto delSenese, dove la distribuzione insediativa nelle campagne si presentaa maglie larghe e articolata per case sparse senza alcuna intenzione diprogettualità 203. Anche nelle aree costiere, come la valle dell’Albe-gna, a partire dal VI secolo d.C. si ha una inversione di tendenza ri-spetto al secolo precedente, quando è attestata una notevole vivacitàcommerciale e mercantile 204.

Alto Medioevo (seconda metà VII-X secolo d.C.)

La ricognizione nel territorio comunale di Radicofani non ha por-tato all’individuazione di alcun sito databile tra la metà del VII e lafine del X secolo d.C. 205. Le fasi di vita altomedievali della zona,

quindi, risultano finora documentate soltanto dalle testimonianzearchivistiche, costituite dalle pergamene del Codex DiplomaticusAmiatinus, e da scarsi fossili toponomastici. Il problema della “invisibilità” dell’alto Medioevo tramite i tradizio-nali metodi di indagine di superficie è ormai un assunto generaliz-zato e riconosciuto. La causa principale della scomparsa delle traccemateriali di molti insediamenti databili tra la metà del VII e il IX-Xsecolo è da ricercare spesso nelle successive vicende edilizie di questisiti. I processi di incastellamento, da un lato, e il perdurare dell’oc-cupazione delle stesse aree da parte dei nuclei di villaggio giunti finoai nostri giorni, dall’altro, hanno determinato, in molti casi, l’ero-sione o l’obliterazione delle fasi di vita altomedievali 206.La totale assenza di elementi appartenenti alla cultura materiale rife-ribili a questa fase, del resto, rende molto problematica l’ipotesi diuna diffusione del popolamento sparso nell’area in questione, con-trastando con il quadro emerso dall’analisi del fondo diplomaticodell’abbazia di San Salvatore 207. È possibile ipotizzare, come sostieneFrancovich, che gli assetti delle campagne delineati dagli storici ri-flettano piuttosto una disomogeneità delle definizioni utilizzate dallefonti altomedievali che non una effettiva varietà delle strutture delpopolamento 208. La terminologia impiegata, infatti, atta a descrivererapporti giuridici privati, non appare adeguata per estrapolare detta-gliate ed esatte informazioni circa il quadro insediativo 209.

205

199 Le due strutture scavate nel Chianti senese e a Siena, in contesto urbano, hannouna superficie di circa 20 mq (per la capanna di Siena di veda BOLDRINI-PARENTI,1991; per quella situata in località san Quirico, nel comune di Castelnuovo Berar-denga, si veda VALENTI, 1995, sito n. 121, IV, 32, pp. 360-361).200 CAMBI, 1996b, pp. 192-193.201 FELICI, 2004, pp. 314-319.202 FELICI, 2004, UT 168.3 e 172.2.203 VALENTI, 1995a, pp. 401-405; VALENTI, 1999, pp. 318-322; NARDINI, 2001,pp. 146-149; CAMPANA, 2001, pp. 305-306. Le uniche, parziali eccezioni, vanno in-dividuate nella probabile presenza di una ristretta élite gota nella Val d’Elsa (VALENTI,1999, p. 320) o a Murlo, dove, in località Montepescini, già tra la fine del VI e gliinizi del VII secolo d.C. sembra fare la sua comparsa un nucleo insediativo in certamisura accentrato (CAMPANA, 2001, pp. 304-305).204 A partire dal VI d.C. le indagini di superficie condotte nella zona hanno dimo-strato una netta inversione di tendenza, con una preponderanza delle produzioni lo-cali sulle imitazioni (CAMBI, 2002, p. 239).205 L’unica eccezione è costituita dal sito di Radicofani, dove, alla metà degli anni No-vanta, sono state individuate alcune tracce di frequentazione databili tra IX e XI se-colo d.C. (ROSSI-RONCAGLIA, 1998, pp. 155-157). Una situazione analoga, quanto

a carenza di siti altomedievali emersi in seguito a indagini di superficie, è stata ri-scontrata anche in altre zone della provincia di Siena (VALENTI, 1995a; CAMBI, 1996a;VALENTI, 1999; NARDINI, 2001; CAMPANA, 2001; FELICI, 2004).206 VALENTI, 2004, pp. 11-15.207 Sulla base della documentazione di San Salvatore, infatti, sia Wickham che Va-quero Piñeiro sostengono l’esistenza, nell’area amiatina e orciana, di forme di po-polamento sparso costituite da case isolate (WICKHAM, 1989, pp. 110-111; VA-QUERO PIÑEIRO, 1990, p. 23). L’impossibilità di rintracciare, tramite ricognizionedi superficie, qualsiasi traccia materiale a esse riferibile sembra però deporre a fa-vore di una diversa lettura dei documenti del monastero. Non appare sufficiente,infatti, a spiegare un simile vuoto di presenze archeologicamente documentabili farericorso alla deperibilità del materiale da costruzione impiegato (principalmente le-gno e incannicciato, e più raramente pietre non lavorate) e all’ampia diffusione direcipienti in materiali di origine vegetale. Allo stesso modo, i fenomeni di erosionedei depositi archeologici, per quanto sicuramente presenti, non possono da soli averasportato completamente ogni traccia altomedievale (tanto più operando una sele-zione di tipo diacronico: a Radicofani, dove il tasso di erosione, come si è detto nelprimo capitolo, è addirittura di 500-1000 volte maggiore rispetto alla media na-zionale, sono state comunque rinvenute strutture abitative in materiale deperibiledatabili all’età del Bronzo o al periodo orientalizzante). Più in generale, sulla que-stione si veda VALENTI, 2004, pp. 126-129.208 FRANCOVICH, 2004, pp. XIII, XIX-XXII.209 FRANCOVICH, 2004, pp. XIII, XIX-XX.

Fig. 48. Le Unità Topografiche databili al periodo caotico

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Le sortes non vengono definite nei loro singoli confini ma semplice-mente ubicate nel territorio con riferimento al distretto civile o, piùprecisamente, al territorio di pertinenza dei vari centri demici rurali.Il definire l’ubicazione per loci, fundi e vici è una pratica che si diffondesoprattutto nella Padania a partire dal IX secolo probabilmente in re-lazione all’apporto culturale germanico nei confronti della gestione estrutturazione dello spazio 210.L’insediamento longobardo aveva soppiantato il rigido ordine cata-stale romano, con un assetto decentrato e disomogeneo che ridava va-lore ai vici e le cui basi giuridiche erano legate ai rapporti personali ediretti degli uomini con gli altri uomini e con la terra. A una chiarificazione catastale dello spazio viene preferita una rete dipunti e personaggi a cui fare riferimento. I documenti non sono chesupporti tecnici di un catasto vivente, mezzi per meglio ricordare odefinire. Il territorio viene delimitato con zone conosciute e ricono-scibili. La tensione conoscitiva è in direzione di una microtoponimiache definisca ogni singola realtà produttiva 211. Va inoltre ricordatoche nell’alto Medioevo il confine non rappresenta esclusivamente illimite di proprietà ma, vista anche l’ambigua realtà giuridica, regolasemplicemente lo sfruttamento e l’uso del territorio delimitato. È peròvero che ci si muove verso una concentrazione curtense dei beni, cor-relata all’espansione politica ed economica dei grandi enti ecclesiasticidell’alto Medioevo. I recenti scavi condotti su quasi quaranta siti incastellati della To-scana hanno messo in luce, in una percentuale che potremmo defi-nire statisticamente rilevante, fasi di occupazione degli stessi luoghiin età altomedievale, concorrendo così a dimostrare una preferenza,tra VII-VIII e X secolo, per l’insediamento di tipo accentrato 212.Dopo il collasso del sistema insediativo romano, infatti, le indaginiarcheologiche di superficie non evidenziano un diffuso e capillarepopolamento sparso fino ai secoli finali del Medioevo. Le difficoltàeconomiche determinate dal tracollo del sistema infrastrutturale ro-mano, che facilitava l’approvvigionamento di materie prime e lacommercializzazione dei surplus alimentari (oltre che la circolazionedi beni di lusso), insieme all’insicurezza politico-militare, determi-narono una tendenza all’aggregazione della popolazione rurale in nu-clei demici di una certa consistenza, all’interno dei quali i legami disolidarietà comunitaria garantivano una produttività agricola suffi-ciente per la sussistenza dell’intero gruppo 213.La realizzazione di scavi sistematici all’interno di alcuni siti fortificatidel versante orientale del monte Amiata 214 potrebbe offrire, graziealla straordinaria ricchezza del fondo diplomatico amiatino, l’occa-sione di un più diretto confronto tra le fonti documentarie e quellearcheologiche, procurando magari una ulteriore chiave di lettura perle numerose definizioni delle tipologie insediative fornite dai docu-menti altomedievali 215. In assenza di tracce archeologicamente rile-

vabili, infatti, la non univocità di significati riscontrabile all’internodella documentazione di San Salvatore obbliga alla cautela nell’ana-lisi della distribuzione del popolamento del territorio di Radicofani.

Seconda metà VII-VIII secolo d.C. Tra la metà del VII e l’inoltratoVIII secolo l’attuale territorio comunale di Radicofani doveva esserecaratterizzato dalla presenza di alcuni nuclei insediativi di una certarilevanza demica e di una ben definita identità culturale collettiva se,al momento dell’assegnazione di beni e persone a San Salvatore, essipossedevano già un nome 216. Questi centri, definiti principalmentecasalia dalle fonti documentarie e interpretati da Wickham come in-sediamenti aperti 217, non hanno lasciato tracce materiali di sé, ob-bligandoci a tentare di enucleare la loro natura sulla base soltantodelle scarne indicazioni del Codex Diplomaticus Amiatinus. VaqueroPiñeiro, all’interno del suo contributo dedicato alla Val d’Orcia inetà altomedievale, ha sottolineato come, trattandosi di una strutturasocio-economica ancora in formazione, non sia chiaro se il terminecasale designi la circoscrizione di un vero e proprio villaggio agricoloo si limiti a segnalare piccole frazioni di case più o meno contigue eancorate a un punto fisso 218. In particolare, sostiene l’autore, appareinnegabile che già nell’VIII secolo d.C., esso manifesti chiaramenteun carattere frammentario della proprietà 219. La ripartizione delleterre del casale tra liberi proprietari terrieri e conduttori dipendentida una signoria, laica o religiosa, corrisponderebbe fisicamente a unaorganizzazione particellare, tesa a raggruppare i coltivi di ogni nucleofamiliare all’interno di un più ampio contesto unitario, quello del ca-sale. Questo modello, pur non dando vita a un’azienda fondiariacompatta, garantirebbe l’autosufficienza alimentare dell’intero vil-laggio, che può quindi presentarsi all’apparenza non omogeneo e ri-gorosamente strutturato. Il prodotto finale, sempre secondo Va-quero Piñeiro, sarebbe un insediamento di tipo alveolare, in cui lacontiguità delle case e delle coltivazioni intensive concorrerebbe a de-finire l’unità fisica e l’identità collettiva del gruppo 220.Le indagini archeologiche condotte in alcuni contesti toscani negliultimi decenni hanno mostrato una realtà insediativa di VII-metàVIII secolo ancora fluida, in cui le strutture comunitarie risultano inparte deboli – se paragonate a quelle dell’azienda curtense dei secolisuccessivi – pur esistendo una pianificazione degli spazi determinatae forse una forma di prelievo fiscale 221. Malgrado, infatti, questi cen-tri si presentino spesso semplicemente come una serie di piccolestrutture rurali ravvicinate, l’apparente casualità della loro disloca-zione trova una sua ragion d’essere in seno all’organizzazione strut-turale degli spazi disponibili per ogni nucleo familiare. Si tratta,quindi, di insediamenti compatti organizzati intorno a uno spazio

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210 BOGNETTI, 1968, pp. 68-69; CASTAGNETTI, 1979, pp. 272-275.211 LAGAZZI, 1988, pp. 24-26.212 Per una sintesi si veda FRANCOVICH-HODGES, 2003, pp.; VALENTI, 2004, p. 14.213 FRANCOVICH, 2004, p. XIV.214 L’unico scavo condotto all’interno di un sito incasellato del comune di Radicofaniè stato diretto dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana alla metà de-gli anni Novanta in seno all’ampio progetto di restauro della rocca di Radicofani. Gliampi rimaneggiamenti effettuati, però, tra la fine del Medioevo e la prima età mo-derna hanno pesantemente compromesso la stratigrafia altomedievale, così comequella di età protostorica e classica (ROSSI-RONCAGLIA, 1998). Sullo scavo di Radi-cofani si veda anche il recente intervento di Valenti (VALENTI, 2004, p. 47).215 Sull’importanza delle fonti archeologiche per la piena comprensione dellefonti documentarie: FRANCOVICH, 1998, pp. 13-20; FARINELLI, 2000, pp. 13-20;FRANCOVICH-GINATEMPO, 2000, pp. 7-24.

216 Si tratta di Mussona, Casano, Clemenzano, Offena, Gello (WICKHAM, 1989,pp. 113-114, con bibliografia). In particolare sembra che, pur essendo situati al difuori del grande blocco di terra pubblica che andava dalla vetta dell’Amiata allacima di Radicofani, molti di essi furono caratterizzati da un tipo di proprietà fram-mentata, che mescolava all’interno dello stesso insediamento un assetto privato(forse ancora su piccola scala) con uno pubblico, documentato dal fondo di SanSalvatore. Terra fiscale è attestata a Mussona (CDA, I, n. 6), Clemenzano (CDA, I,n.175), Offena (CDA, I, n. 198).217 WICKHAM,1989, p. 113.218 “Per assegnare a un grappolo di case l’attributo di villaggio non è indispensabileche queste formino un nucleo compatto, devono unicamente insistere su uno spazioche dal di fuori venga riconosciuto come dotato di una certa unità o coesione interna”;VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 19.219 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 20.220 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 21.221 VALENTI, 2004, p. 92.

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aperto, soggetti a consuetudini che regolano gli spazi agrari sfruttatidalla comunità 222. Dietro a queste prime forme organizzate di vil-laggi, sono talora da immaginare aristocrazie prive di strategie pro-gettuali di tipo economico, interessate molto spesso alla sempliceproduzione per autoconsumo 223. In altri casi, invece, l’assenza diprecisi indicatori di differenziazione sociale ed economica potreb-bero deporre a favore di una relativa autonomia di comunità ruraliformatesi per soddisfare le esigenze di famiglie contadine proprieta-rie della terra 224.Per quanto attiene al versante orientale del monte Amiata, stando al-l’analisi di Wickham, nell’VIII secolo sarebbero esistiti due diversiassetti della proprietà: il primo appare costituito da un blocco di terrapubblica, soltanto in piccola parte coltivata, che si estendeva fra lacima della montagna e Radicofani e includeva buona parte dell’altaVal di Paglia, il secondo, in cui si ipotizza che il fisco avesse comun-

que delle proprietà, è descritto come privato e su piccola scala, pun-teggiato da una fitta maglia di casalia, dislocati al di sotto dei seicentometri di quota 225. Gli insediamenti noti all’interno dell’attuale ter-ritorio comunale di Radicofani, alla metà dell’VIII secolo, sembranocollocarsi tutti all’interno di quest’ultimo gruppo di terre. In parti-colare i casalia posti più a settentrione potrebbero aver gravitato al-ternativamente nella sfera di influenza delle diocesi di Siena eArezzo 226, mentre quelli situati a est e a sud del futuro castello di Ra-dicofani ebbero verosimilmente come punto di riferimento le sedidiocesane di Chiusi e Montepulciano 227.La fondazione di San Salvatore, citato per la prima volta in un do-cumento incontestabile del 762 d.C.228, venne a rompere questi as-setti. Il monastero fu dotato infatti di buona parte del blocco di terrapubblica, fino a quel momento amministrato dalla curtis regia diChiusi, senza diventare però un punto di riferimento politico im-portante, per gli abitati della zona, prima degli inizi del IX secolo 229.L’indagine di superficie non ha consentito di individuare nessunodei siti citati nei documenti di San Salvatore. Per quanto riguarda gliinsediamenti di localizzazione certa è possibile ipotizzare che le fasidi vita altomedievali siano state obliterate da strutture successive,come i poderi moderni che in molti casi hanno conservato i topo-nimi ricordati nel CDA. È questo il caso, probabilmente, dei casaliadi Agello e Bitena, situati rispettivamente a est e a nord di Radico-fani. In tutte e due le località, infatti, la ricognizione, per quanto ri-petuta più volte a maglie strettissime (in alcuni casi con una distanzatra i ricognitori di un solo metro), non ha evidenziato alcuna tracciasicuramente riferibile all’Alto Medioevo. Presso Poggio Gello, dovela portata dell’insediamento in epoca etrusca e romana appare tuttosommato limitata, sono state individuate abitazioni e tracce di fre-quentazione genericamente databili al periodo medievale. Purtroppol’assenza di materiale diagnostico in superficie non ha consentito diprecisare con maggiore dettaglio l’arco cronologico delle strutture,che potrebbero forse essere riferite alle fasi di vita di XI secolo testi-moniate dai documenti amiatini 230. In assenza di ulteriori indaginiquesta ipotesi rimane comunque da comprovare. Per quanto riguarda Bitena, la coincidenza toponomastica con duepoderi moderni che recano entrambi il nome di Vitena – situati apoca distanza gli uni dagli altri – non lascia spazio a dubbi circa lasua localizzazione. Nell’area limitrofa la ricognizione non ha peròevidenziato tracce di frequentazioni di età romana tali da far sup-porre una continuità di vita tra i casalini citati nel CDA e even-tuali insediamenti precedenti 231. Va però osservato che l’elevatotasso di erosione della zona, che ha generato una lunga serie diprofondi calanchi, può aver fortemente condizionato le ricerchedi superficie.

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222 VALENTI, 2004, pp. 92-93.223 VALENTI, 2004, p. 93.224 È questo il caso di Scarlino e Poggibonsi (FRANCOVICH, 1985, pp. 20-32; VALENTI,1996, pp. 363-372; per una sintesi VALENTI, 2004, pp. 88-89), a differenza della Vald’Elsa, dove sono attestati per questo periodo centri di popolamento sorti per inizia-tiva aristocratica (VALENTI, 1999, pp. 306-308). Più in generale, WICKHAM, 1998,pp. 153-170; WICKHAM, 1999, pp. 15-16.225 È fatto riferimento a San Filippo, Lardoniano, Spargaria, Comeiano, Forcole, Mus-

sona, Casano, Clemenzano, Offena, Gello, Boceno (WICKHAM, 1989, pp. 113-114).226 L’area si colloca probabilmente all’interno dello scenario delle dispute delle duediocesi per il possesso di alcune pievi: Cosona, Citigliano, Fabbrica, Camprena e Fe-roniano (l’attuale Montefollonico), attualmente facenti parte dei comuni di Torrita ePienza (VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 15, con bibliografia).227 Il loro centro politico, fino alla fondazione di San Salvatore, fu dunque la Val diChiana VAQUERO PIÑEIRO, 1990 p. 14; WICKHAM, 1989, p. 114.228 Nel documento non è menzionato alcun patrocinio, si può immaginare che il mo-nastero fosse ancora in costruzione e la chiesa non fosse stata ancora consacrata(KURZE, 1989a, pp. 39-40). Buona parte dei terreni di cui fu dotata l’abbazia era co-stituita da foresta vergine (KURZE, 1989, pp. 40-41).229 WICKHAM, 1989, p. 115.230 L’ultima menzione di Agello, citato come corte, data al 1082 (CDA, II, n. 308).231 Nel 747 si parla di “casalinis et terris cum silvis” (CDA, I, n. 6).

Fig. 51. I siti citati dal CDA nella seconda metà dell’VIII secolo

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Un’alta densità insediativa in età tardoetrusca e romana caratterizzainvece l’attuale Pian dei Mori, immediatamente a sud del quale sipuò verosimilmente collocare il casale di Offena 232. In quest’areale ricerche di superficie hanno portato all’individuazione di unadelle due strutture sicuramente databili al periodo caotico. Perquanto l’assenza di un toponimo puntuale ancora documentato inetà moderna impedisca di localizzare con esattezza l’area occupatadal casale altomedievale, non sembra comunque casuale la presenzanella zona di un’abitazione cronologicamente così vicina alla primaattestazione documentaria di Offena (765 d.C.) 233.Più a nord, nell’area compresa tra Le Conie e Contignano si colloca,invece, Mussona. Descritta come una corte con terreni sparsi, è lo-calizzata da Wickham in fondo ai pendii a est del crinale del futurocastello di Reggiano 234. La ricognizione, per quanto non abbia in-dividuato tracce materiali sicuramente riferibili al periodo altome-dievale, sembra aver fatto luce sulla esatta posizione della curtis. Sap-piamo infatti che alla fine dell’XI secolo i monaci di San Salvatoreottennero dagli Aldobrandeschi, nella persona del conte Ranieri, diedificare un castello presso Mussona 235. Wickham, sulla base dellatotale assenza di ulteriori riferimenti al castello nei documenti suc-cessivi, nonché di elementi strutturali a esso riferibili, ipotizza che,così come nel caso di Serra de Ruga, nessuna struttura fortificatafosse stata realmente costruita 236. Nel corso della campagna del1999 la ricognizione ha portato all’individuazione, in località Ca-stellare, poco a sud di Reggiano, di alcuni lacerti murari, di note-vole spessore, realizzati tramite l’impiego di grossi blocchi di tra-chite legati con malta. La tecnica muraria e la presenza di un topo-nimo così trasparente lasciano ipotizzare, con un buon margine disicurezza, che il castello – probabilmente mai ultimato – di Mussonapossa essere situato con esattezza in corrispondenza del modernopodere Castellare. Ne discenderebbe che anche la curtis altomedie-vale di Mussona si trovasse nello stesso luogo 237.Il monastero di Clemenzano, ricordato a partire dal IX secolocome curtis, crea invece seri problemi di localizzazione spaziale.Citato nell’810 accanto a Casano 238, e più tardi, nel 995 e 1075,vicino a Ponano 239, nel 1009 infine è strettamente associato a Cor-vaia 240, situata per l’appunto in una posizione intermedia tra idue. Wickham, pertanto, propone una sua approssimativa collo-cazione all’interno del triangolo avente come vertici le località re-canti i toponimi Casano, Ponano, Corvaia 241. Nell’area è presenteun edificio moderno che potrebbe, in qualche misura, aver con-servato traccia dell’oratorio di Clemenzano dedicato a San Qui-rico: si tratta del podere Madonna delle Vigne (in linea d’aria ametà strada tra Poggio Casano e La Palazzina), dove si conserva

tuttora, per quanto in buona parte crollata, una chiesetta absi-data 242.Di difficile collocazione spaziale risultano anche i “duo casalia quivocatur Reodola maiore et Reodola minore” e il casale denominatoErminula (o Herminula) 243. L’associazione con Mussona e con ilfosso Cannita – da identificare sicuramente con l’odierno fossoCanneta, immissario del torrente Formone – lascia immaginareche fossero situati tutti nella porzione settentrionale del comune diRadicofani. Nella zona, sia sui rilievi prospicienti il fiume Pagliache il Formone, si situano alcuni siti databili all’età tardoantica, dicui uno potrebbe aver conosciuto una fase di vita anche durante ilperiodo caotico 244.Concludendo si può dunque osservare come, nella seconda metà del-l’VIII secolo, la documentazione di San Salvatore presenti, nella por-zione di territorio compresa all’interno degli attuali confini comunalidi Radicofani, otto insediamenti definiti secondo le seguenti catego-rie: curtis, casale, casalino, casa, monasterium. Benché la ricognizionearcheologica non abbia consentito di individuare alcuna traccia diqueste strutture, appare comunque interessante la coincidenza topo-grafica tra esse e le aree popolate in età tardoantica e durante il cosid-detto periodo caotico. Si potrebbe quindi ipotizzare che gli stanzia-menti citati dal CDA costituiscano in qualche modo l’esito del po-polamento tardoantico, secondo modalità che potranno esserechiarite soltanto in seguito a indagini di tipo stratigrafico.

Il contesto amiatino. Nel versante occidentale, l’assenza di una ri-cerca sistematica su tutto il territorio, non permette di giungere aun’analisi dettagliata del popolamento. Tuttavia i dati positividella verifica delle anomalie da foto aerea 245 consentono di for-mulare alcune ipotesi sull’evoluzione dei singoli insediamenti.Ovviamente, trattandosi di un campione numericamente ridotto,soltanto ulteriori indagini di superficie potranno confermare que-sta linea di lettura. A riprova di quanto emerge per il comune diRadicofani è da rilevare la coincidenza topografica di alcuni inse-diamenti citati nel CDA a metà dell’VIII con aree insediative oc-cupate durante la tarda antichità e il periodo caotico. Un elementosul quale riflettere è rappresentato dall’evoluzione documentariadi questi stessi insediamenti per i secoli successivi che non trovaanaloghi riscontri dal punto di vista archeologico. Per quanto ri-guarda il contesto insediativo possiamo rilevare, in questi casi, unatendenza a scegliere luoghi generalmente pianeggianti, posti inaree marginali e alle pendici del monte e già precedentemente pra-ticati, seguendo probabilmente un modello precostituito nel pe-riodo tardoantico.

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232 Offena era probabilmente localizzata a sud dell’attuale Pian dei Mori, sulla basedella descrizione duecentesca dei confini delle Rocchette di Radicofani (WICKHAM,1989, p. 123, nota 51). Potrebbe corrispondere all’attuale podere Sansano, che si si-tua nella zona indicata e conserva il toponimo del vicino castello, ora allo stato di ru-dere, posto in località Rochette.233 All’interno dell’Unità Topografica 93 è stata rinvenuta una imitazione in acromagrezza di una scodella tipo Hayes 105, databile fino alla metà del VII secolo d.C. Laprima attestazione del casale di Offena risale al 765 d.C. (CDA, I, n. 15).234 WICKHAM, 1989, p. 124, nota 52.235 CDA, II, n. 310, anno 1084.236 WICKHAM, 1989, p. 128.237 Si veda la scheda del catalogo delle Unità Topografiche n. 42.238 CDA, I, n. 70.239 CDA, II, nn. 210, 296, 297.240 CDA, II, n. 229.241 WICKHAM, 1989, p. 114.

242 L’edificio presenta, a una prima analisi, murature di età moderna. A causa dellapresenza di numerosi roveti non è stato possibile visitare l’interno dell’edificio e pren-dere visione dell’eventuale materiale interno.243 Interessante appare l’origine del termine: Pieri lo riconduce infatti, sulla scorta diFörstemann, all’andronimico di origine germanica Hermann (PIERI, 1969, p. 154,con bibliografia).244 Si vedano le UT nn. 40, 59, 61, 114, 161. L’UT 114 risulta genericamente data-bile al IV-VII secolo d.C.245 Vengono presentati i dati più rilevanti, tenendo conto del tipo di ricerca, limi-tata alla sola verifica puntuale delle anomalie registrate nel corso della tesi di laureadella scrivente ( Foto interpretazione del comprensorio amiatino. Tesi di laurea inArcheologia Medievale, discussa il 9-03-2003). Parallelamente Stella Menci e TeresaCavallo svolgevano indagini di superficie per i comuni di Casteldelpiano e Arcidosso.Cfr. Teresa Cavallo: Paesaggi amiatini nel Medioevo. Il caso di Casteldelpiano (GR);Stella Menci: Ricognizione di superficie: territorio comunale di Arcidosso e SantaFiora (GR).

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Fig. 52. I siti altomedievali situati nel comune di Casteldelpiano citati nel CDA

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La situazione del versante occidentale ebbe uno sviluppo storico bendiverso, rispetto alla parte orientale. Nell’VIII secolo, la proprietàmonastica, si estendeva sopra gli 800 m., cioè il limite della coltiva-zione. Il blocco coltivabile più importante era rappresentato dalla Valdi Paglia 246. I primi riferimenti scritti associabili a precise localitàcompaiono nel 738 247 in un atto, relativo alla vendita di un vignetoin località Cellule. Il contratto viene stilato presso Massa Mustiba laMustia dei documenti successivi, attualmente identificabile con po-dere la Pieve (comune di Casteldelpiano). La località è citata comeMustia, Mostia, Mustiba, Mustiua. La curticella di Mustia viene ci-tata nuovamente dall’853 all’896. Nel 903 e nel 915 figura come ca-sale 248. Nel 962 è citata come curte. In un privilegio di Corrado II(1027) 249 viene confermato a San Salvatore il possesso della “curtede Mustia cum castro Monte Nigro” al quale da questo momento inpoi verrà associata. Una chiesa di Santa Maria di Mustia è citata nel-l’elenco delle chiese battesimali confermate al vescovo di chiusi daCelestino III 250. La chiesa è inoltre ricordata nelle decime di fineDuecento e dei primi del Trecento e nel 1532, figura con il titolo dipieve di Santa Mustiola fuori Monte Nero. Kurze identifica il luogopresso podere la Pieve 251, a circa due chilometri a sud di Montenero,il Pecci descrive la chiesa ancor esistente con un solo altare e la tri-buna semicircolare 252. Attualmente, presso podere la Pieve è ancoravisibile la pianta con navata unica e l’abside semicircolare. La foto aerea ha evidenziato una grande traccia di umidità sul ter-reno arato, posta a sud-est della chiesa tuttora identificabile. Durantela verifica sono state riconosciute tre aree con media concentrazionedi ceramica. Purtroppo l’elevato degrado dei materiali, non permetteuna datazione certa. Unico elemento indicativo è rappresentato daun frammento di parete con ingobbio rosso genericamente inqua-drabile tra la tarda età romana e il periodo caotico 253. Un altro casointeressante è quello di località Santa Croce (comune di Casteldel-piano) a 270 metri di altitudine, non lontano dalla confluenza tra iltorrente Ente e il fiume Orcia. L’attuale edificio religioso e la docu-mentazione rivelano una frequentazione durante i secoli XIII e XIVmentre, a circa 100 m di distanza, in corrispondenza di una tracciacircolare sul terreno arato, è stato rilevato un ampio spargimento diceramica associabile a contesti di fine V-VII secolo d. C.254. L’esi-stenza di una sporadica presenza genericamente riconducibile all’e-poca etrusco-romana, localizzata un centinaio di metri più in basso,lascia pensare a un’occupazione di aree collinari già relativamente fre-quentate forse al solo scopo di sfruttamento agricolo, o forse, in pros-simità delle vie di comunicazione. I siti di Mustia e Santa Croce, nonrestituiscono più ceramica fino al XIV secolo, nonostante, almenonel primo caso, la documentazione d’archivio sembrerebbe indicare

la presenza di nuclei demici ben organizzati e strutturati per tuttol’Alto Medioevo.

IX-X secolo d.C. - Nel IX secolo si assiste, nell’area amiatina e del-l’alta Val d’Orcia, a una vera e propria impresa colonizzatrice, cherinveste un carattere di particolare incisività sin dalla prima metà delsecolo. Si tratta, secondo Vaquero Piñeiro, dei primi passi di unamodesta, ma senza dubbio diffusa, azione di bonifica 255. Si tratta diun movimento di espansione, testimoniato da nuovi toponimi, chesi propaga su ogni versante del monte, compresa la Val di Paglia,dove la pressione dell’uomo sullo spazio coltivato è ben rappresen-tato da una “terra lavorativa” di 20 moggi per campo, a differenza,ad esempio, dell’alta Val d’Orcia, dove la media è di soli 3 moggi 256.Questo processo di disboscamento e di installazione di comunità ru-rali nelle aree boschive, già indiziato a partire dalla metà dell’VIII se-colo, determina un diverso assetto insediativo nell’alta Val di Paglia,lasciando supporre che l’aumento del numero degli insediamenti do-cumentati possa discendere da un incremento demografico 257.A partire dagli inizi del IX secolo l’abbazia ricevette alcune impor-tanti donazioni, ubicate dall’altra parte della collina di Radicofani:si tratta del monastero privato di San Quirico in Clemenzano 258 edi un gruppo di terre vicino a Gello. Questo riconoscimento del-l’importanza di San Salvatore da parte dei proprietari locali deter-minò lo spostamento del reticolato politico ed economico versoovest, a danno del predominio esercitato fino a quel momentodalla diocesi di Chiusi. La possibilità stessa di un tale spostamentonell’area amiatina sottintende come tutta la zona fosse politica-mente ed economicamente marginale e, dunque, più suscettibile dicambiamenti rispetto ad altre zone più ricche, ove i rapporti poli-tici ed economici erano stabiliti più solidamente 259.Agli inizi del IX secolo nei documenti amiatini fa la sua comparsa ilcasale Casano, mentre, grosso modo alla metà del X, una strutturaanaloga appare attestata presso Ponano, non lontano dalla precedente260. In particolare, Ponano è verisimilmente collocabile in corrispon-denza dell’attuale podere omonimo, mentre Casano si situa in un areapiù ampia, in cui compaiono – con lo stesso toponimo – due abita-zioni moderne e un poggio. In entrambi i casi la ricognizione non haportato all’individuazione di tracce materiali databili all’alto Me-dioevo. Appare comunque interessante il fatto che a poche centinaiadi metri dall’odierno podere Ponano siano state individuate tre strut-ture abitative (due di piccole e una di medie dimensioni) databili al-l’età tardoantica, con la possibilità, per una di esse, di una continuitàdi vita anche durante il periodo caotico 261. Il luogo, già frequentatonel corso del periodo orientalizzante e arcaico, si configura come unasorta di villaggio aperto a partire almeno dall’età ellenistica, mante-nendo questo suo carattere di consistente nucleo demico per tuttal’età romana. Il casale altomedievale sembrerebbe dunque il risultatoultimo di una plurisecolare tradizione insediativa nell’area 262. Uncaso analogo è rappresentato da Casano: anche in quest’area (dove si

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246 Cfr. supra.247 Altra attestazione del 796 sembra riferirsi sempre alla stessa area compresa tra Mu-stia e Montenero. Si tratta di Saucine, citato come casale. Cfr. CDA, I n. 46. 248 KURZE 1985, pp. 17-24; CDA, I n. 3, 46, 132, 146, 176, 178, 184, 189. CDA,II n. 200, 212.249 CDA, II n. 263 e nel 1194 “curte de Mustia cum toto castro Montis Nigri et totaeius curia et districtu” in CDA, II n. 361.250 CAPPELLETTI, 1844-1870, XVII, p. 588.251 CDA, III, pp. 290-291.252 GABRIELLI 1990, p. 126.253 Si fa riferimento a frammenti di ceramica a copertura di colore tendente all’ocra,associabile a un periodo genericamente compreso tra l’inizio del V e la fine del VII se-colo d.C.; FRANCOVICH-VALENTI 1997, pp. 143-165. 254 Tra i reperti ceramici segnaliamo frammenti di forme non definibili relativealla ceramica a copertura rossa di fine V-VII secolo d. C. La copertura è pococompatta, di colore tendente all’arancio o al grigio chiaro per cotture eccessive;Cfr. FRANCOVICH-VALENTI 1997, pp. 143-165, ibidem.

255 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 16.256 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 17.257 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 18.258 CDA, I, nn. 47, 66, 70, 74, 101.259 Per la verità, la capitale diocesana sarà, d’ora in avanti, effettivamente tagliata fuoridall’avere un’influenza significativa a occidente del Monte Cetona e dell’alta Val d’Or-cia (WICKHAM, 1989, p. 116).260 Per Casano si veda CDA, I, nn. 70, 80; per Ponano CDA, II, n. 201.261 Si vedano le schede di Unità Topografica n. 120, 121, 124.262 Si vedano le schede di Unità Topografica nn. 118-124.

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situano alcuni poderi moderni, oltre a edifici non databili conservatisoltanto in pianta o per poche decine di centimetri in elevato) la ri-cognizione non ha portato all’individuazione di tracce altomedievali,mentre molto abbondanti sono risultate le abitazioni di età tardoe-trusca e romana. Proprio in questo lasso di tempo tutta l’area si con-figura, infatti, come una delle più densamente insediate all’interno delterritorio comunale 263.In assenza di scavi stratigrafici non è possibile delineare l’evoluzionestrutturale dei siti attestati dal fondo diplomatico di San Salvatore, senon in maniera approssimativa, basandosi esclusivamente sulle scarnedescrizioni notarili del fondo stesso. Appare probabile, comunque,che anche in questa zona della Toscana meridionale si sia verificatauna evoluzione verso veri e propri centri di gestione del lavoro, comele recenti indagini archeologiche hanno ampiamente documentato innumerosi insediamenti dislocati tra le province di Siena, Grosseto eLivorno 264. Depone a favore di questa ipotesi la trasformazione, cheè possibile cogliere dall’analisi comparativa di alcuni atti giuridici diSan Salvatore, della curte di Mussona 265. Nel 747, nell’atto di fonda-

zione dell’abbazia, si elencano tra i possedimenti ricevuti dal mona-stero nella zona a sud di Contignano i casalia di Bittena, Erminula,Reodola maiori, Roedola minore e la corte di Mussona. Questa distri-buzione dell’insediamento risulterà invariata un secolo dopo(nell’853, per l’esattezza), per dimostrarsi invece profondamente mo-dificata alla fine del X secolo, quando, in un privilegio di Ottone III,Reodola e Herminula (la Erminulae del 747) sono associate a Cannitaper indicare delle semplici terre di pertinenza della curtem de Mu-siona 266.Questa trasformazione dei casalia in veri e propri villaggi curtensi,caratterizzati da una accresciuta popolazione, una diversificazionedelle attività lavorative e un notevole sviluppo delle pratiche agricole,deve essere riconosciuta come il frutto della stabilizzazione delle ari-stocrazie locali, che si affermano definitivamente sulla popolazionerurale consolidando i propri patrimoni 267. La presenza di una fami-glia di lambardi attestata dal CDA già nei primi decenni dell’XI se-colo a Reggiano (incastellato prima del 1028) 268, poco a nord di

Fig. 53. I siti di IX secolo citati dal CDA Fig. 54. I siti di X secolo citati dal CDA

263 Si vedano le schede di Unità Topografica nn. 125-138.264 Per una dettagliata esemplificazione si veda VALENTI, 2004, pp. 100-115.265 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 32, con riferimento a CDA, I, nn. 6, 134; CDA, II,n. 212.

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266 Pochi decenni più tardi, nel 1027, anche Bitena è indicata semplicemente cometerra soggetta alla gestione di Mussona (CDA, II, n. 263). Per un commento si vedaVAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 32.267 VALENTI, 2004, p. 129.268 CDA, II, nn. 265, 266.

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Mussona e Bitena, sembra suffragare l’ipotesi di una presenza aristo-cratica nella zona già in precedenza 269.In età carolingia il segno tangibile di questo avvenuto cambiamentoè costituito dalla presenza di una gerarchia interna al villaggio e distrutture di coordinamento della produzione 270. L’attestazione, nellaprima metà del IX secolo, di una parte domnicale all’interno del ca-sale di Agello 271 – da intendersi ora evidentemente come vera e pro-pria curtis – appare una chiara testimonianza di questo processo. Inmolti altri casi, però, all’interno delle proprietà del monastero è dif-ficile cogliere, sulla base della sola documentazione d’archivio, unanetta distinzione tra dominico e massaricio 272.In generale, comunque, le pergamene di San Salvatore descrivono,per il IX secolo, un paesaggio agrario piuttosto evoluto, in cui i varielementi che costituiscono l’azienda (se in ogni singolo caso diazienda si può parlare) presentano spesso una organizzazione spaziale

molto simile all’interno delle varie proprietà. Vaquero Piñeiro, ba-sandosi sullo studio dei documenti amiatini, ha evidenziato un’arti-colazione dello spazio agricolo in funzione del grado di intensivitàdelle colture: l’orto appare situato nelle immediate vicinanze dell’a-bitazione, così come gli alberi da frutto, mentre i campi coltivati acereali e i vigneti sono di norma più lontani. Al di fuori dell’area col-tivata si collocano i pascoli e il bosco 273, che offrivano ampie possi-bilità di soddisfacimento dei fabbisogni alimentari 274.Una situazione in parte diversa è ravvisabile, invece, nell’alta Val diPaglia, dove i primi fenomeni di accentramento furono in buonaparte il frutto dell’aumento dell’importanza, e quindi del traffico,della Via Francigena a partire del IX secolo 275. A conferma della ec-cezionalità degli insediamenti vallivi sta anche la loro diversa deno-minazione all’interno della documentazione del monastero, dove iltermine burgo è utilizzato esclusivamente facendo riferimento a essi.Tra le diverse accezioni semantiche che ebbe il termine nel Me-dioevo 276 i casi riguardanti la Val di Paglia si avvicinano al valore deltermine come nucleo di popolazione in se stesso. È interessante os-servare come i documentai amiatini specifichino intus burgo, fori oprope, come se esistesse una netta divisione tra gli abitati e la campa-gna che le circondava 277. Soltanto in un secondo momento la pa-rola acquistò il significato di agglomerato esterno a un castello. Que-sti borghi delle valli dell’Orcia e del Paglia non si presentano comerealtà diverse o complementari rispetto alla categoria del casale, mane rappresentano piuttosto l’evoluzione, derivante da un diversocontesto socioeconomico 278.Di natura difficilmente interpretabile, invece, appare, paradossal-mente, l’unico sito altomedievale dell’intero territorio comunale cheè stato oggetto di scavi stratigrafici, Radicofani. Nel corso dei lavoridi restauro della rocca, infatti, è stata individuata, nel settore sud-orientale del piazzale, una muratura in conci di pietra vulcanica pog-giante direttamente sulla roccia. Nelle immediate vicinanze erano si-tuate una canaletta con sezione a V e delle estese concavità circolariche, insieme alla presenza di alcuni chicchi di grano carbonizzato,hanno fatto supporre l’esistenza di silos e di un magazzino sulla som-mità 279. Gli scarsi materiali rinvenuti in associazione a queste strut-ture forniscono una datazione generale compresa tra la fine dell’VIII

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Fig. 55. La viabilità in età altomedievale

269 WICKHAM, 1989, p. 123.270 VALENTI, 2004, p. 129.271 CDA, I, n. 114 (anno 837 d.C.).272 Il fatto ha fatto ipotizzare una scarsa importanza e una breve durata del fenomeno(VAQUERO PIÑEIRO, 1990, pp. 24-25). Tra l’VIII e il IX secolo, in Toscana, sono pre-senti spesso dominici piccoli e frazionati, che di solito non resistettero oltre gli inizidel X secolo (WICKHAM, 1998, p. 210).

273 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, pp. 24-27. Interessante una testimonianza relativa al ca-sale Gello, in cui, sotto il termine casalino è riassunta la triplice realtà insediativa edeconomica costituita da casa, curte, orto. Si legge: “…omnem paupertatem substantiameam, tam casalino, vinea, prato, terra, silbas, cultum et incultum, de quanto in ca-sale Agelli de mea sorte…” (CDA, I, n. 33, anno 786 d.C.). Il quadro offerto da Va-quero Piñeiro è sostanzialmente concorde con quello generalmente noto per l’altoMedioevo, dove le pratiche agricole conoscono un elevato grado di diversificazione esi articolano in orti, caratterizzati spesso da grandi dimensioni e da un elevato gradodi produttività (essendo di norma le uniche aree concimate in modo sistematico), ter-reni coltivati a cereali e vigneti, e, infine, incolti di vario tipo. Molto significativa èanche la quasi totale assenza di riferimenti nel CDA all’olivo, che, richiedendo un altolivello di perizia tecnologica, non era frequentemente coltivato (CDA, I, n. 46;CHIAPPA MAURI, 2002, p. 50). In generale sull’agricoltura in questo periodo si vedala sintesi in MONTANARI, 2002, con bibliografia; sulle aree montane della Toscanadurante l’alto Medioevo una analisi in WICKHAM, 1997.274 Proprio per questo motivo le aree boschive erano spesso salvaguardate in questoperiodo (MONTANARI, 1984, pp. 150-151; ANDREOLLI, 2002, p. 127).275 Sulla Via Francigena nelle valli del Formone e del Paglia si veda STOPANI-MAM-BRINI, 1989; CAMBI, 1996b, pp. 188-191, 195-197.276 SETTIA, 1980, p. 176. Si veda anche la voce “borgo” in BARBERO-FRUGONI, 1994,pp. 36-37.277 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, pp. 28-29.278 VAQUERO PIÑEIRO, 1990, p. 29.279 ROSSI-RONCAGLIA, 1998, p. 156. Sullo scavo di Radicofani si veda anche VALENTI,2004, p. 47.

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e l’XI secolo 280. Malgrado la presenza di questi elementi, Radicofaninon dovette essere un nucleo demico di una qualche rilevanza finoall’inoltrato XI secolo, come suggeriscono – argomentum ex silentio –le pergamene del fondo di San Salvatore. È interessante il fatto cheRadicofani, diversamente da altri che poi saranno castelli, è citato neidocumenti solo come castello e non come corte cum castello. Potrebbetrattarsi soltanto di un lapsus, ma potrebbe anche confermare l’ipo-tesi che Radicofani non fosse ancora un rilevante centro economicoo demografico 281.

Il contesto amiatino. Verso ovest, l’impresa colonizzatrice del mo-nastero, è definita dall’assegnazione fatta da Ludovico II nell’853,delle curtes di Lamula e Mustia e da un nucleo più modesto: Mon-teccluo. Si trattò di proprietà con mansi sparsi qua e là e non grandiestensioni come quelle del versante orientale. Tuttavia, da questomomento in poi, divennero i centri dell’attività monastica nell’areae, a giudicare dal numero di documenti pervenuti, dovettero esseremolto importanti per il monastero. Ma gli stessi testi mostranocome molti altri proprietari laici, come pure altre chiese, avevanoterre nella zona e nelle stesse aree di pertinenza delle curtes abba-ziali. San Salvatore non ebbe mai un controllo totale di tutta lazona, neppure quando nel XI secolo ottenne porzioni della curtisLuminiana poiché, nello stesso tempo, stava perdendo il controllodi Mustia 282.Le testimonianze archeologiche, riconducibili ai secoli IX-X, sonopiù consistenti di quanto rilevato per il comune di Radicofani. Lacorrispondenza diretta tra fonte archivistica ed evidenza archeologicasembra ancor più solida che per l’VIII secolo. Nelle figure 52-53 siè cercato di seguire l’evoluzione insediativa di alcuni luoghi citati nelCDA. Viene subito evidenziata la corrispondenza tra evidenze ar-cheologiche altomedievali e testimonianze documentarie che prose-guono oltre i secoli VIII-IX. La mancata testimonianza archeologicasi ha soprattutto per i numerosi casalia, loci, vici che non evolvonomai in apparati più complessi 283. Non si vuole con questo genera-lizzare anche perché non tutti gli insediamenti sembrano seguire lestese regole di comportamento. Dal X secolo le pergamene descrivono una realtà territoriale carat-terizzata dagli stessi abitati dei secoli precedenti ma dequalificati alivello amministrativo. Alcune realtà insediative non evolvono maiin castelli. In questi casi la verifica ha prodotto una maggiore quan-tità di dati relativi alle fasi di vita precedenti l’incastellamento. Inrealtà, se si considera il perdurare dell’occupazione e l’evoluzione in-sediativa fino ai centri moderni, che ha portato l’erosione o l’obli-terazione delle fasi di vita altomedievali, occorre anche tener pre-senti i rari casi, archeologicamente fortunati, in cui alcuni centri cur-tensi furono semplicemente abbandonati poiché l’incastellamento

scelse luoghi non propriamente coincidenti con i centri ammini-strativi 284.Sostanzialmente, nel versante occidentale, sembra prevalere la ten-denza a scegliere piccole alture più interne e isolate o in ogni modoposte ai margini rispetto alle vie di comunicazione, in punti crucialie in posizioni dominanti il territorio circostante, a quote che si aggi-rano intorno ai 500-600 metri. Questo tipo d’insediamento trovaconferma anche nella documentazione che ne testimonia l’evolu-zione demica. Il sito di Case Nuove (Comune di Casteldelpiano) èarticolato su due terrazzi. Quello più ampio ospita la chiesa di SanBiagio e accanto numerose buche di palo scavate nella roccia trachi-tica locale. Wilhelm Kurze ipotizza l’ubicazione della curtis di Gra-vilona presso questa zona, a una certa distanza dalla stessa chiesa 285.Nel Catasto Leopoldino il toponimo Gravilona sembra riferirsi aun’area che comprende anche l’attuale chiesa di San Biagio fino a lo-calità Pian di Ballo, posta a nord/ovest 286. La stessa documentazionefa riferimento anche ad altre località poste in stretta relazione con lacurtis: Descaditu 287, Secalari 288, Pacciano289.Le vicende storiche riportano un’occupazione della zona dal IX e unprobabile abbandono, a causa della nascita dei vicini castelli, nelcorso del XII 290.Le foto aeree evidenziano rilievi dalla morfologia ondulata, accom-pagnati in genere da tracce nella vegetazione poste sulla sommità. Ilsecondo terrazzo è posto più in alto, separato dal primo, da una pa-rete di roccia vulcanica che forma un baluardo naturale, superabilesolo attraverso uno stretto percorso che conduce alla sommità. Quisono stati individuati: un lacerto murario costituito da grandi bloc-chi regolari di dubbia datazione e una buca per palificazione simile adaltre poste più in basso, associate alla presenza di vasche scavate nellaroccia affiorante, forse interpretabili come torchi vinari 291. In pros-simità dell’abitato di Tepolini è visibile una piccola altura rotondeg-giante dall’aspetto singolare, ben evidente anche dalla foto aerea e po-sta in un punto dominante l’intera vallata del fiume Ente. Si tratta diun insediamento probabilmente costituito da capanne in materialedeperibile, giacché non sono stati rinvenuti laterizi di copertura. I dati raccolti nel corso dei sopralluoghi lasciano dubbi sull’esattacoincidenza della chiesa attuale con la curtis di Gravilona e fannopensare, piuttosto, a una più ampia area, caratterizzata da un elevatopotenziale per la ricerca archeologica, articolata tra il terrazzo più altodi località Case Nuove e il poggio di Tepolini posto a circa 300 me-tri dal primo.

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280 ROSSI-RONCAGLIA, 1998, pp. 155-156.281 CDA, II, nn. 292 (anno 1072), 295 (anno 1075).282 WICKHAM, 1989, p. 108.283 Riportiamo alcuni esempi la cui evidenza archeologica è pressoché inesistente: Cel-lina casale nel 903, CDA, I n. 176 (Comune di Casteldelpiano); Flabiano vicus 808,CDA, I n.62 (Comune di Casteldelpiano); Marconiano locus 808, CDA, I n.62 (Co-mune di Casteldelpiano).In altri casi, le testimonianze individuate, non sono cronologicamente interessanti ocomunque non rapportabili all’entità insediativa descritta dai documenti: Monticlo(Casale Montecchio 1 Km a nord di Montelaterone comune di Arcidosso), vicus 775,CDA, I n. 25; cella de S. Stefani in M. 837-962, CDA, I n. 115, 132, 170, 171, 189,190, 198, CDA, II n. 200; curtis 996, 1027 CDA, II 212, 263; Monteautu casale 926(Casa Montoto 1 Km S di Casteldelpiano, comune di Arcidosso), CDA, I n. 196.

284 VALENTI, 2004, pp. 11-15.285 KURZE, 1989, pp. 378.286 La località Case Nuove presso l’attuale chiesa di San Biagio è associata con la cur-tis di Gravilona sulla base dei riferimenti documentari e della presenza in loco di unedificio religioso. Cfr. KURZE 1989, pp. 378-386; GABRIELLI, 1990, p. 127.287 CDA, I, n. 147, nell’865-866.288 CDA, II n. 286, nel 1070?289 CDA, I, n. 62, nell’808.290 Gravilona compare come locus nell’808. Nell’893 è attestato come casale, nel 1076e nel 1084 è citato come corte, nel 1081 si ha notizia di soprusi al villaggio di Gravi-lona da parte degli Aldobrandeschi. Si parla di imposizioni a prestare servizio per la co-struzione e la guardia di un castrum situato nella zona e da identificare con Arcidossoe meno probabilmente con Casteldelpiano, documentato solamente nel 1200; Sem-bra che la curtis si mantenesse in vita almeno sino alla prima metà XII secolo. In que-sto periodo il monastero di San Salvatore edificò una chiesa, il cui possesso gli fu con-fermato nelle bolle pontificie del 1188 e nel 1198 (ecclesia de Grauilona); Cfr. CDA,I, n. 147, 169; II n. 216, 299, 309, 352, 370; KURZE, 1989, pp. 378; GABRIELLI, 1990,p. 127; WICKHAM, 1989, p. 111; FRANCOVICH et al., 2002.291 CAPRASECCA, 2004, pp. 31-37.

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Forse la ceramica precede di almeno uno-due secoli i documenti amia-tini. Dovette trattarsi di aree non coincidenti con i siti della piena ro-manità, ma forse già precocemente frequentate in età tardo antica 292. La riorganizzazione delle campagne e la diffusione della mezzadria po-derale, soprattutto nelle aree vallive a partire dal XIV secolo, portò aun grande sconvolgimento del paesaggio che potrebbe in parte spie-gare, sebbene non in maniera esaustiva, la scomparsa delle labili traccealto medievali. La proprietà terriera prevalentemente cittadina con-ferì una riorganizzazione delle campagne attraverso la diffusione dicase coloniche. Un sostanzioso assestamento del paesaggio agrario, av-venne infine nei secoli XV-XVI per mantenere poi un aspetto quasiinalterato fino al Novecento 293. La strutturazione delle campagne checaratterizzava la Toscana fino a qualche decennio fa costitutiva, in-fatti, il punto d’arrivo di una organizzazione che si era andata lenta-mente formando durante l’età comunale. Sono questi i fattori chemodificarono totalmente e in alcuni casi obliterarono i resti dei pae-saggi dei secoli precedenti. D’altra parte l’aumento delle zone lasciateincolte o adibite a castagneti da frutto (ciò accade soprattutto nel ver-sante occidentale), divenuti, in alcuni periodi, quasi l’unica fonte diapprovvigionamento 294 faranno, da questo momento in poi, la for-tuna per la salvaguardia dei molti insediamenti abbandonati. L’au-mento dei boschi favorirà il formarsi di aree di rispetto in presenza diruderi e resti sepolti.

I secoli centrali del Medioevo

L’XI secolo si apre, per quanto riguarda l’attuale territorio comu-nale di Radicofani, con una quanto mai estesa e consolidata pre-senza di San Salvatore all’interno dei principali insediamenti alto-medievali: Mussona, Reodola maiore, Cannita, Erminula, Clemen-zano e Agello 295. Radicofani, citato per la prima volta in undocumento nel 973 296, non doveva essere, come si è appena detto,un rilevante centro demico.Dopo la crisi economica del IX secolo, San Salvatore che conosceadesso, grazie all’abate Winizo, un momento di grande splendore,che si estrinseca materialmente con la fondazione della nuova strut-tura abbaziale 297, accresce ulteriormente i propri possedimenti. Tradi essi compaiono anche Reodola minore e Bittena, a nord, e la RoccaSaxine, a est 298. Non è questa l’unica attestazione, in quegli anni,di un centro incastellato ubicato all’interno dei moderni confini co-munali di Radicofani. Nel 1007, infatti, si ha il primo riferimento

alla Rocca di Senzano 299, mentre nel 1028 fa la sua comparsa, comesito fortificato, Reggiano 300. Mentre Sassine e Senzano, in seguitodefinite le Rocchette di Radicofani, sono localizzate a est del paesemoderno, nell’area compresa tra il Monte Calcinaio, a sud, Pian deiMori, a nord, e Pigacciano, a ovest, Reggiano è localizzato sull’o-monima collina a metà strada tra Le Conie e Contignano 301. Sas-sine e Senzano compaiono come nuovi punti di riferimento per lacurtis monastica di Offena 302, mente Reggiano è fortificato a operadi una famiglia della aristocrazia minore, nell’area in cui nei secoliprecedenti erano attestate Bitena, Mussona e le due Reodola 303.Molto interessante appare il caso di Offena, che, in modo del tuttoinsolito, sembra aver dato vita a due castelli. Vaquero Piñeiro spiegal’anomalia con il carattere di sostanziale precocità del fenomeno ri-spetto alle zone circostanti, malgrado il potenziale demografico delcasale di Offena, stando ai dati dei secoli VIII-X, non fosse partico-larmente elevato 304.La nascita di questi centri fortificati si sposa con la più generaletendenza dell’intero settore amiatino che, con gli inizi dell’XI se-colo – se non addirittura negli ultimi decenni del X 305– è inte-ressato dal fenomeno dell’incastellamento. Come sottolineaWickham, all’origine il processo fu simile a quello del versante oc-cidentale della montagna, per quanto più lento e meno com-pleto 306. Ad est, infatti, la maggiore articolazione degli insedia-menti altomedievali, l’esistenza della Francigena e la compresenzadi varie signorie di potere determinarono il crearsi di una situa-zione più complessa. Fino al 1080 circa, il popolamento della zonafu costituito da castelli, centri curtensi e borghi, con una predo-minanza di queste ultime due categorie rispetto alla prima 307.È probabilmente allo scorcio del secolo che Radicofani venne mas-sicciamente fortificato 308, mentre altre curtes vicine, come Clemen-

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292 Una datazione certa per questi siti risulta problematica a causa della forte usura delmateriale raccolto e della mancanza di uno studio approfondito. Tuttavia sulla base diuna analisi macroscopica, che comunque necessita di tutte le dovute cautele in attesadi ulteriori approfondimenti, possiamo affermare che il periodo di frequentazione de-gli insediamenti in questione è inquadrabile tra la fine dell’età tardo antica e l’alto Me-dioevo con una continuità almeno fino ai secoli centrali. Non sembrano presenti ma-teriali databili al basso Medioevo. Si ringrazia il dottor Federico Cantini, che, con laconsueta disponibilità, ha visionato la schedatura preliminare del materiale ceramico.293 STOPANI, 1989 pp. 13-50.294 Grandi problemi esistevano già nel XIII-XIV per la sussistenza della popolazionea causa della mancanza di zone adatte alle coltivazioni estese. Le aree coltivate a grano,ad esempio, non erano sufficienti a sfamare la popolazione di Abbadia San Salvatorenel 1318. Cfr. PICCINNI, 1989 pp. 194-208.295 In un diploma del 996: CDA, II, n. 212; per una più ampia interpretazione deldocumento si veda anche KURZE, 1988, pp. 9-10.296 CDA, II, n. 203.297 KURZE, 1989a, pp. 43-45; KURZE, 1989c, pp. 366-370; sugli scavi condotti al-l’interno dell’abbazia si veda CAMBI-DALLAI, 2000.298 In un documento del 1027: CDA, II, 263, retrodatato a prima del 988 (COLLA-VINI, 1998, pp. 146-147).

299 CDA, II, 234, 263.300 CDA, II, 265-266.301 La loro localizzazione non crea problemi. Reggiano è ubicato sulla omonima col-linetta situata a sud di Contignano, immediatamente a est la strada provinciale 18 ea nord del podere Vitena II, a una quota di circa 620 metri. Sul posto non sono visi-bili murature ancora affioranti, sebbene l’elevata quantità di pietre e di frammenti dilaterizi, oltre che di alcuni frammenti di ceramica vascolare, testimonino inequivoca-bilmente la presenza di un consistente deposito archeologico nel sottosuolo (schedan. 76 del catalogo delle Unità Topografiche). Senzano è localizzato su di uno speronedi roccia che reca a tutt’oggi il toponimo Rocchette, immediatamente a sud di Pian deiMori. Circa ottocento metri in linea d’aria in direzione nord/est, a una quota di 460metri rispetto ai 625 della sommità di Rocchette, si trova un podere chiamato San-sano. Senzano appare uno dei castelli meglio conservati del territorio comunale di Ra-dicofani: sulla sommità di Rocchette, infatti, sono ancora visibili ampie porzioni dimurature conservate per circa un metro di altezza e molti metri di lunghezza (schedan. 139 del catalogo delle Unità Topografiche). Sassine, infine, di cui si è persa ognitraccia del toponimo nella cartografia moderna, è senza dubbio localizzabile presso ilpodere casa al Treggia, situato immediatamente a est di Pigacciano. Il luogo, che sipresenta oggi come una collinetta circondata su ogni lato da una sorta di circolo digrandi blocchi di pietra, non appare, così come Reggiano, posto in una posizione geo-grafica dominante. Del castello rimane soltanto un lacerto murario in opera a filarettoinglobato all’interno dell’edificio moderno (scheda n. 91 del catalogo delle Unità To-pografiche).302 CDA, 198, 200, 212, 215, 221. La sola Offena sembra, in maniera insolita, averdato origine a due castelli anziché a uno (WICKHAM, 1989, p. 123).303 CDA, 263 (anno 1027 d.C., prima attestazione), 280, 291, 301, 308, 318, 361.304 VAQUERO PIÑEIRO, 1990.305 Nel documento del 973 sono citati come siti in qualche modo fortificati, oltre aRadicofani, anche Campliglia e Cininule (probabilmente l’attuale podere Cinille);CDA, II, n. 203.306 WICKHAM, 1989, p. 122.307 WICKHAM, 1989, pp. 123-124.308 WICKHAM, 1989, pp. 122-123.

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zano o Mussona 309, non furono mai incastellate da San Salvatore.Lungo le valli del Paglia e del Formone i burgi dei secoli precedenticontinuarono a prosperare, dimostrando in molti casi anche una de-cisa crescita demografica 310 e caratterizzando in modo sempre piùdeciso il popolamento della zona. È la strada, del resto, che funzionòcome stimolo alla formazione dei villaggi sul fondovalle, determi-nando già nell’XI secolo un certo livello di specializzazione econo-mica e ulteriori dissodamenti, anche se i boschi della valle e dei bassipendii delle colline su ambedue i lati probabilmente non sparironodel tutto. Gli statuti di Radicofani, ancora nel 1255, mostrano unnotevole interesse per l’economia di selva 311. Tutti questi borghi of-frono una testimonianza non trascurabile della quantità di percor-

sone che doveva percorrere la strada e dell’effetto che ciò deve averavuto sull’economia locale, in considerazione del fatto che moltedelle locande dovevano essere presumibilmente rifornite con risorselocali. I circa cinquanta dipendenti di San Salvatore residenti a Cal-lemala, oppure gli ottantadue di Voltole, devono aver compreso an-che molti contadini che, pur continuando a coltivare i rilievi pro-spicienti le valli del Paglia e del Formone, si insediarono all’internodei borghi per ottenere una vendita più facile del surplus derivantedalle attività agricole 1312. In questo stesso periodo le attestazioni delcentro di Muliermala, localizzato da Wickham presso Le Conie, la-sciano immaginare una crescita dell’importanza del percorso chelambiva Radicofani 313. Esso si distaccava dalla Francigena all’altezzadi Callemala e, dopo essere transitato ai piedi del cono vulcanico, siricollegava alla strada principale presso il borgo di Fermone 314. L’o-

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Fig. 56. Il popolamento nei secoli centrali del Medioevo

309 Sull’incastellamento di Mussona si veda WICKHAM, 1989, pp. 125-126, 128 e, al-l’interno di questo contributo, p. 218.310 La realtà demica di questi centri si rivela in continua crescita, come dimostrano idati disponibili per Callemala, che agli inizi dell’XI secolo poteva contare non menodi 200 abitanti (CDA, I, n. 230, dell’anno 1009).311 PIATTOLI, 1935, p. 58.

312 WICKHAM, 1989, p. 120.313 La prima attestazione di Muliermala risale al 1016 (CDA, II, n. 248).314 WICKHAM, 1989, p. 118, con particolare riferimento alle note 37-38.

borgo

sito fortificato

curtis

locus

sors

confini comunali

0 3 6 9 km

Secoli centrali del Medioevo

Siti di localizzazione certa:

Siti di localizzazione incerta:

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dierna località Le Conie, oggi soggetta a fenomeni di erosione testi-moniati dall’avanzare di alcuni calanchi, non ha restituito però, mal-grado le ripetute ricognizioni, materiali riferibili al Medioevo.A partire dai decenni finali dell’XI secolo l’interesse degli Aldobran-deschi per il settore orientale del monte Amiata crebbe sensibil-mente 315. Paradigmatica è la famosa disputa tra i monaci e i contiRanieri e Ugo, figli di Ildebrando, conclusasi con la concessione for-male a San Salvatore del diritto di costruire castelli in punti strate-

gici delle sue proprietà, tra cui Mussona 316. A partire da questo mo-mento, la presenza della famiglia comitale all’interno del centro diRadicofani non è più documentata. Il castello, pervenne per i cinque

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Fig. 57. I principali siti databili ai secoli centrali del Medioevo

315 Fino a questo momento, gli Aldobrandeschi furono attivi principalmente a norddi Radicofani, in qualità di livellari di San Salvatore per una parte della curtis mona-stica di Offena (CDA, II, 215). Sebbene esistano addirittura delle indicazioni di unasorta di patrocinio informale sullo stesso monastero (CDA, II, 215, 255), la famigliaè raramente presente nei documenti, a eccezione del momento di tensione fra essa eSan Salvatore nel 1046 (CDA, II, 277) al quale seguì una conferma delle terre mo-nastiche da parte di Ildebrando V, dietro imposizione di Enrico III.

316 Si trattava di punti strategici sì, ma per il controllo del traffico lungo la Francigena,e non per la difesa contro gli stessi Aldobrandeschi, che non sarebbero certo giuntilungo la strada (WICKHAM, 1989, p. 126). È interessante come, nella celebre letterainviata a Enrico IV, i monaci si lamentassero, tra tutti i soprusi perpetrati dagli Al-dobrandeschi, principalmente dell’obbligo imposto ai contadini di fortificare e di-fendere i castelli, nonché di partecipare ai loro placita. I monaci, infatti, avevano ca-pito la minaccia insita nelle munitiones che vedevano costruire intorno al monastero.Gli Aldobrandeschi, però, avevano posseduto castelli molto prima del loro docu-mentato esercizio di poteri signorili, pertanto si può immaginare che l’incastellamentodegli inizi dell’XI secolo ebbe poco o nulla a che fare con la localizzazione di tali di-ritti. Solo dopo il 1080 d.C., per gli Aldobrandeschi, e il 1130 per il resto dell’aristo-crazia, i castelli portarono a una connotazione signorile e ne ricevettero importanzain conseguenza di ciò (WICKHAM, 1989, p. 125).

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sesti, infatti, nelle mani di San Salvatore, al più tardi nel 1145d.C. 317, mentre la sesta parte fu ceduta dal conte Manente I diChiusi al Vescovo di Siena nel 1139 318. In generale, il prodotto dei rapporti intercorsi alla fine dell’XI secolotra San Salvatore e gli Aldobrandeschi determinò, da un lato, la per-dita monastica di alcuni suoi territori a ovest e a sud, e la cessione deidiritti signorili su altri, dall’altro una notevole crescita del potere mo-nastico nell’alta Val di Paglia e sulla stessa Radicofani. Si può dun-que immaginare, sulla scorta di Wickham, che gli Aldobrandeschidonarono intenzionalmente il castello, e di conseguenza il controllodella Francigena, all’abbazia. Non sembra casuale che i castelli diMussona e Serra di Ruga non siano mai stati costruiti o ultimati 319.Per l’XI secolo Wickham sottolinea l’importante assenza di coltiva-tori proprietari terrieri, essendo i soli possessori laici documentati perlo più aristocratici, grandi o piccoli 320. Tra di essi bisogna ricordarei cosiddetti lambardi di Reggiano, Callemala e Senzano 321. Si trattadi famiglie dell’aristocrazia minore, benestanti e con contadini di-pendenti, per quanto caratterizzate da situazioni patrimoniali e in-sediative diverse. I lambardi di Callemala e Rocca di Senzano, infatti,furono in gran parte livellari di terra monastica, quelli di Reggianoproprietari di terra allodiale 322. E ancora i lambardi di Reggiano eSenzano abitarono in castelli, mentre quelli di Callemala non arri-varono mai a fortificare il borgo 323. Allo stesso modo, i nuclei forti-ficati di Senzano e Sassine si presentano piuttosto come la manife-stazione dei diritti signorili che come centri demici di una qualcherilevanza, a differenza forse di Reggiano, dove la documentazionesembra suggerire la presenza di una comunità più consistente 324.Per quanto riguarda il XII secolo la documentazione di san Salvatoresi fa estremamente rarefatta, almeno a partire dagli anni Trenta, la-sciando intravedere soltanto le vicende fondamentali di questo pe-riodo. Come ha sottolineato Wickham, il dato di maggiore interesseappare costituito dalla crescita dell’importanza dei diritti signorili, chesi estrinsecavano in forme coercitive esercitate dall’aristocrazia sugliabitanti dei centri incastellati, ben più che sulle rimanenti curtes aperte

325. In seguito al ripiegamento degli Aldobrandeschi nel versante oc-cidentale del monte Amiata, l’alta Val di Paglia gravitava ormai inte-ramente nell’orbita di San Salvatore, così come Radicofani 326, che,grazie alla sua naturale posizione di dominio sul paesaggio circostantee sulla Francigena, acquistò sempre maggiore importanza. Una con-ferma è fornita dai ripetuti tentativi da parte di forze estranee, comela Repubblica di Siena, l’impero e il Papato, di controllare il castello,che, nel 1153, sarà ceduto per metà dalla stessa abbazia a papa Euge-nio III in locazione perpetua 327. L’interesse da parte di Roma per latutela di Radicofani è chiaramente documentata dagli immediati in-terventi di fortificazione fatti intraprendere da Adriano IV e dalla rior-

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317 CDA, II, nn. 337, 338.318 La ritirata degli Aldobrandeschi da Radicofani è l’aspetto più importante di tuttaquesta serie di cambiamenti, soprattutto a causa dell’importanza strategica del castello,in grado di controllare la Via Francigena. Addirittura, alla fine del XIII secolo, ve-diamo che la Francigena stessa è il confine del territorio posseduto dalla famiglia versoest, e non più una risorsa che pretende di controllare. La sole terre escluse dal contadoaldobrandesco nella zona sono i territori di San Salvatore, in effetti più protetti cheminacciati dagli Aldobrandeschi. Per un più ampio commento sulle vicende di que-sti anni si veda MARROCCHI, in questo volume.319 CDA, II, 310. Anche la nota dorsale apposta al documento fa, però, riferimentoa un castello di Mussona. Wickham non la consideri una prova della costruzione delcastello (WICKHAM, 1989, p. 128).320 WICKHAM, 1989, pp. 128-129.321 Cominciano a essere chiamati lambardi a partire dagli anni Settanta del secolo. Il ter-mine indica, in Toscana, il livello più basso dell’aristocrazia. Le origini di queste famigliesono oscure. Il massimo che si può dire, osserva ancora Wickham, è che il lento processodi cristallizzazione che creò, ovunque nell’Italia centro-settentrionale, un’aristocrazia mi-nore di milites o lambardi interessò in questa zona soprattutto queste quattro famiglie:anche se non sappiamo cosa fossero all’inizio dell’XI secolo, alla fine erano divenuti no-bili. Su tutta la questione si veda WICKHAM, 1989, pp. 128-129, con bibliografia.322 Interessante constatare che i livellari monastici di Rocca di Senzano si appropriarono,secondo un tipico comportamento “aristocratico”, anche a Gello di altra terra mona-stica, “quas diabolus per longum tempus per fraudem et per malum ingenium nobis re-tinere fecit”, come constatarono nel 1082 quando la restituirono (CDA, II, n. 308).323 WICKHAM, 1989, pp. 128-129.324 MARROCCHI, in questo volume, p. 41, con bibliografia.325 WICKHAM, 1989, pp. 130-131. In generale sulle signorie rurali si veda WICKHAM,1996, con particolare riferimento, per la zona amiatina e maremmana alle pp. 348-349, 359-361.

326 WICKHAM, 1989, p. 131.327 In seguito agli eventi del 1145, quando la Repubblica di Siena tentò di impos-sessarsi di Radicofani, i Senesi stessi stabilirono che l’abate avrebbe detenuto perconto del Vescovo e del “Popolo” di Siena la sesta parte del castello di Radicofaniricevuto dal conte Manente di Pepone. Era una soluzione manifestamente provvi-soria, che mentre riconosceva ai Senesi la sovranità politica e la proprietà formaledella sesta parte del castello, ne associava all’abbazia il possesso materiale (VER-DIANI BANDI, 1926, pp. 36-37; CDA, II, nn. 337, 338, 341-346, 361, 364; CAM-MAROSANO-PASSERI, 1984, pp. 143-144; WICKHAM, 1989, p. 131; ASCHERI, 1998,p. 73). In realtà, il fatto stesso che San Salvatore fosse un’abbazia imperiale poneval’intervento papale in Radicofani in concorrenza con gli interessi degli imperatori,come sottolinea Kurze (KURZE, 1989d, pp. 402-403).

Fig. 58. Le strutture religiose attestate nei secoli centrali del Medioevo

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ganizzazione dell’intero impianto difensivo voluta, nel 1198, da In-nocenzo II 328. L’accresciuta importanza del castello determinò, nel corso del Due-cento, il totale assorbimento degli altri centri documentati nel pe-riodo precedente. Reggiano non è più attestato a partire dal 1085(così come la chiesa intitolata a Sant’Andrea), mentre le due rocchettedi Sassine e Senzano furono abbandonate nel corso del secolo, a giu-

dicare dal silenzio delle fonti documentarie e dai due tentativi di ri-costruzione che interessarono Senzano nel 1205 e poi nel 1248 329.La notevole crescita dell’importanza di Radicofani determinò ancheun ulteriore rafforzamento del percorso transitante ai piedi di Radi-cofani, che nel 1191 è ricordato per la prima volta come stazione stra-dale a sé 330. La stessa Callemala, pur conservando una certa impor-tanza, già nel 1153 era di fatto sotto il controllo di Radicofani, chesemplificò molto la viabilità della zona, polarizzando al suo interno

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328 Innocenzo III, inoltre pose un proprio castellano a Radicofani. I castellani eranodelle figure particolari, dal duplice carattere di appaltatori e pubblici ufficiali a untempo. La riscossione dei proventi, infatti, attribuiva alla castellaneria un preciso va-lore economico: la carica era assegnata mediante vendita, anzi proprio la sua venditacostituiva una delle voci di entrata della tesoreria provinciale. Quella di Radicofani,ad esempio, fu venduta per 78 lire di denari paparini nel 1305 e raggiunse i 70 fiorininel 1350 (LANCONELLI, 1990, p. 272). A Radicofani i proventi di alcuni beni dema-niali, come l’erbatico dei pascoli camerali e il passagium, potevano non essere com-presi nella castellaneria e venivano venduti direttamente dal tesoriere (LANCONELLI,1998, pp. 100-101). Radicofani venne così a costituire il punto di confine del Patri-monio si San Pietro in Tuscia, in seguito all’accordo di Neuss, del 1201, con il qualel’imperatore Ottone IV riconosceva le nuove frontiere raggiunte dal dominio tem-porale della Chiesa (CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 144).

329 L’iniziativa del 1205 non andò evidentemente a buon fine se nel 1248 essa fu repli-cata. Per la seconda si può immaginare una sorte analoga: è noto infatti che nel 1369l’abbazia diede ordine che le due rocchette, o quanto meno quella di Senzano, fosserodemolite (CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 147; WICKHAM, 1989, p. 132). San Sal-vatore ebbe la capacità di attrarre nel nuovo centro le principali famiglie aristocratichedella zona. I legami clientelari e militari si stavano rafforzando, secondo un processo giàcominciato dal 1080 con gli Aldobrandeschi e che continuò e si stabilizzò sotto i mo-naci. Questo rafforzamento fece di Radicofani un centro gradito anche ai piccoli nobilidi altri castelli. Fu con ogni probabilità questo spostamento dell’élite locale che indussegli altri abitanti della zona a trasferirsi nel nuovo centro (WICKHAM, 1989, p. 132).330 WICKHAM, 1989, p. 134, con bibliografia.

Fig. 59. La visibilità tra i centri fortificati durante i secoli centrali del Medioevo

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buona parte della popolazione che risiedeva nei borghi della Val diPaglia 331.La ricognizione ha confermato questa situazione. Dall’indagine disuperficie, infatti, sono emerse soltanto labili tracce di frequenta-zione localizzate a poca distanza da Radicofani a dal presunto borgodi Muliermala 332. Interessante appare il concentrarsi di alcune UnitàTopografiche, genericamente databili al Medioevo, intorno a Pog-gio Gello, presso le sorgenti del fiume Orcia e del torrente Rigo 333.È possibile che esse rappresentino delle abitazioni riferibili alla curtisdi Agello, o, quanto meno, le aree più direttamente soggette a sfrut-tamento agricolo da parte della piccola comunità 334.

Il contesto amiatino. La riorganizzazione dei beni monastici fatta daOttone I, portò a un disordine nella distribuzione delle proprietà a di-scapito di San Salvatore e a favore dei potentati locali. A due soli annidi distanza dall’emanazione del primo diploma, l’imperatore sottrasseal monastero i beni più strettamente legati all’Amiata come la chiesa diSanto Stefano con la curtis di Monticlu presso Montelaterone; la curtisdi Lamula e quella di Mustia, oltre alla curtis di Offena nel territorio diRadicofani e riconfermò quelli più lontani come la curtis di San Laz-zaro in Siena, alcuni mulini e una taverna in Acquapendente, i territoriattorno al lago di Bolsena, quelli presso Tarquinia, i monti dell’Uccel-lina e Campagnatico. In realtà l’intento era di mettere nelle mani delmonastero il controllo delle strade da Siena allo Stato della Chiesa. Iltentativo fallì proprio perché vennero a mancare le basi solide costituitedalle terre immediatamente confinanti con l’abbazia. Ottone III, gra-zie anche al marchese Ugo di Tuscia, seguì una linea politica favorevoleagli enti religiosi della bassa Toscana. Purtroppo la morte prematuradell’imperatore e l’incoronazione di Arduino d’Ivrea portarono a nuoveperdite di beni e al capovolgimento della situazione. 335

Secondo Kurze, nonostante gli sforzi e la zelante politica di Winizoverso i sovrani, la mossa di Ottone I aveva destabilizzato l’equilibriodel controllo territoriale amiatino, e aveva dato avvio alla crescita dinuovi organismi di controllo. La supremazia politica del monasterodi San Salvatore, perduta con gli Ottoni, non fu più recuperata siaper le scelte politiche dei sovrani successivi sia per le famiglie nobilidella zona, che acquistarono un’influenza sempre maggiore.Wickham sostiene che il numero dei castelli che compaiono sull’A-miata tra l’inizio del XI e il XIII, sia legato a tre fattori essenziali qualila protezione della proprietà, l’affermazione del potere politico sullapopolazione e la riorganizzazione dell’economia di una determinataregione. La visione del fenomeno sotto quest’aspetto lascia pensaresoprattutto a esigenze di carattere difensivo nella formazione dei ca-stelli amiatini. Rilevante il fatto che i diritti signorili documentatidalle fonti siano riferiti, almeno fino al 1131, alla sola famiglia degliAldobrandeschi. 336 Nella cartula possesionis del 1046, Ildebrando Vconferma all’abate Teuzone le proprietà “ingiustamente tenute”. Trai vari beni figurano nell’elenco: il castello di Montenero e di Mon-telaterone, le cose e le terre di Mustia, Luminiana, Campusona, Fa-biano, Cellena e Paterno; Plano, Albineta, Mussona più vicine al-l’abbazia. Su queste terre il conte aveva posto i propri gastaldi e serviministeriales sostituendosi ai funzionari pubblici nella riscossione delleesazioni delle terre fiscali 337. La querela del 1081 concernente l’attodegli Aldobrandeschi di prendere a servizio la gente di Gravilona perle loro milizie (“custodias et clausuras”), nel momento in cui venivacostituito un castrum, situato nella zona e da identificare con Ca-steldelpiano o con Arcidosso 338, è la chiara testimonianza dei primitentativi di incastellamento 339. Dal documento comunque si evincenon un vero spostamento della popolazione ma un reclutamentodella forza lavoro a discapito del monastero, permettendo comun-

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331 Probabilmente l’attrazione esercitata dal castello, come sostiene Wickham, fu par-ticolarmente forte anche per la famiglia di lambardi di Callemala. È possibile, quindi,che i lambardi di Callemala abbiano potuto esigere che anche gli abitanti agricoli siadattassero al lento movimento del traffico stradale verso il tratto superiore. Tale com-portamento è probabilmente da ritenere valido anche per i burgi di Voltole, Burgorico,Fermone e Muliermala, tutti rimpiazzati da Radicofani (WICKHAM, 1989, p. 135).332 Si veda le schede del catalogo delle Unità Topografiche nn. 9, 17, 26.333 UT nn. 77, 78, 80.334 Gello è citato come curtis per l’ultima volta nel 1082 (CDA, II, n. 308). Per le UTsi vedano le schede nn. 77, 78, 80.335 Nell’anno 962, alla sua prima discesa in Italia, Ottone I aveva riconfermato i benidel monastero già affidati dai sovrani precedenti, cedendo alle lagnanze dell’abate chedenunciava una situazione di crisi a causa delle prepotenze di “uomini malvagi” che liavevano defraudati dei loro beni. Il documento venne rilasciato in Reggiano, quindiabbastanza vicino al monastero dove l’imperatore era di passaggio. Due anni dopo,forse per provvedere alla riorganizzazione di tutta la Toscana, l’imperatore emanò daLucca un altro diploma per San Salvatore. In realtà l’intento era quello di mettere nellemani del monastero il controllo delle strade da Siena allo Stato della Chiesa. Il tenta-

tivo fallì proprio perché vennero a mancare le basi solide di potere costituite dalle terreimmediatamente confinanti. Ottone III, grazie anche al marchese Ugo di Tuscia, se-guì una linea politica favorevole agli enti religiosi della bassa Toscana. Purtroppo lamorte prematura dell’imperatore e l’incoronazione di Arduino d’Ivrea portarono anuove perdite di beni e al capovolgimento della situazione. KURZE 1989, pp. 367-368.336 WICKHAM, 1989, pp. 104-105.337 NANNI, 1999, pp. 47-48; CDA, II, n. 277.338 WICKHAM, 1989, p. 111; COLLAVINI 1998, pp. 134, 136, 172.339 Nel documento i monaci benedettini descrivono con estremo puntiglio il cattivocomportamento dei fratelli Ugo e Ranieri. Appare chiaro come il disegno degli Al-dobrandeschi riguardi non solo il patronato sulle terre monastiche ma sostituirsi al-l’abbazia nel controllo del monte Amiata. Oltre a Gravilona vengono menzionati casianaloghi di territori detenuti senza diritto e di costrizioni della popolazione delle villee dei casalia al servizio militare. Ranieri ad esempio costringeva la popolazione dellevillule di Plano e San Cassiano al servizio militare presso Castel Marino. Si menzionaanche il castello di Radicofani detenuto impropriamente senza alcun diritto legale per-ché proprietà dell’abbazia.; KURZE, 1989e, pp. 378-386.

Fig. 60. I siti databili alla generica età medievale

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que agli abitanti di Gravilona di risiedere sempre nello stessoluogo 340. Come è oramai dimostrato il processo di incastellamentonon fu un fenomeno “monolitico”, e occorre quindi pensare agli in-sediamenti fortificati come al risultato dei due processi separati d’in-castellamento e accentramento, non sempre necessariamente imme-diati e inscindibilmente legati. Questo non esclude la presenza di uncontrollo sulla popolazione presente nelle aree di pertinenza 341. Trala fine del X e durante tutto l’XI secolo, seguendo la tendenza dellaToscana meridionale, compaiono i primi castelli: Montelaterone nel1004 342, Montenero nel 1015 castellare poi castello nel 1027 343,Potentino nel 1042 344, e Castel Marino 345 e Selvena 346 nel 1081.Verso la fine dell’XI secolo l’abbazia progetta la realizzazione di al-cuni “castra” nelle proprie terre a confine con Radicofani. Nel 1084e nel 1087 il conte Ranieri concedette il diritto a San Salvatore dicostruire castelli in punti strategici confinanti con le sue proprietà.Si trattava dei castelli di Mussona e Serra de Ruga, situati ai marginisettentrionali e meridionali del territorio abbaziale e sovrastanti laVia Francigena. La concessione avvenne secondo Wickham, dietroil pagamento di ingenti riscatti e comunque avvenne in modo quasisprezzante, in quanto la funzione difensiva di castelli in una tale po-sizione era praticamente inconsistente. Il castello di “Serra de Ruga”non sarebbe mai stato effettivamente eretto, ciò è provato dall’as-senza di riferimenti nella documentazione successiva e la costruzionestessa del castello, sarebbe divenuta superflua in seguito al migliora-mento dei rapporti tra gli Aldobrandeschi e i monaci.347 Nel 1108,la famiglia comitale cedette anche metà dei castelli di Marino e Bo-ceno, tutta la villa di Albinita e metà dei diritti su Piancastagnaio eSan Cassiano. Non conosciamo l’entità delle conseguenze che ne de-rivarono ma Boceno ad esempio, cessò di esistere come castello. Inquesto contesto, la presenza nel territorio di Radicofani di tanti pic-coli siti fortificati in un’area abbastanza ristretta, è indice di centricon vocazione difensiva a controllo del territorio, più che di agglo-merati demici con funzioni economiche o con differenziazioni so-ciali interne. Ricordiamo a tal proposito le due Rocchette di Saxinae di Senzano (XI secolo), lo stesso Reggiano (sebbene citato solo nel1028) e altri siti ancora, anche non fortificati, come Callemala, dovesappiamo attestata una famiglia di lambardi. Da aggiungere ancheMussona e Serra de Ruga, i progettati castelli di San Salvatore mairealizzati 348. Lo sviluppo dei due versanti non fu esattamente omogeneo. La mag-gior frammentarietà presente in alcune aree del versante orientale giànei secoli precedenti, con una rete di casalia e curticelle portò a un’e-voluzione del frazionamento della proprietà relativa, non solo alla no-biltà, ma anche ad altri proprietari minori. Wickham ne identifica al-meno dieci 349. L’individuazione nel versante occidentale, di emer-

genze a carattere insediativo poste in zone non lontane dagli stessi ca-stelli sembrerebbe mettere in evidenza come la prima fase di incastel-lamento nella Toscana meridionale permise la coesistenza di formeinsediative alternative al castello forse già ben organizzate dall’alto Me-dioevo 350. Occorre considerare che non tutti i castelli si posiziona-rono sulle aziende curtensi, ma occuparono aree precedentementepoco frequentate e relativamente importanti a livello amministrativo,consentendo la coesistenza di alcuni agglomerati demici almeno finoal XII secolo. La presenza di elementi datanti che non oltrepassano isecoli centrali del Medioevo, nel già citato insediamento di Gravilona,(Case Nuove-Tepolini) potrebbe costituire un ulteriore elemento diconferma.I castelli documentati a partire dal XII secolo sono Arcidosso 351, Seg-giano 352, Stribugliano 353. Nel XIII secolo, Casteldelpiano 354, SantaFiora 355, Castel di Badia 356, Montegiovi 357, Piancastagnaio 358. Inrealtà la sola documentazione amiatina non sembra sufficiente a rico-struirne con una certa sistematicità l’evoluzione insediativa. Solo dagliultimi anni del XII secolo è possibile avere fonti complete ed esaustive,basti pensare alle registrazioni dei pagamenti delle imposte del 1278 oancora alle tavole delle possessioni del 1320 sulle quali vengono ri-portati: numero, dimensioni e distribuzione di tutti i centri abitati. Ifenomeni di accentramento insediativo che si collocano tra la secondametà del XII secolo e il XIII nella Toscana meridionale vengono defi-niti come “secondo incastellamento”. Questa nuova trasformazioneportò sostanzialmente alla creazione di rilevanti centri di popolamentocon l’ampliamento dei castelli di prima fase o con l’edificazione di vil-laggi fortificati ex novo 359.Alcuni castelli come Boceno 1108 360, Aspretulo 1216 361 e Castel dellaPertica, forse castello già nel 1160 362, presentano una documentazionepiuttosto lacunosa quando non del tutto assente per la fase di primo in-castellamento e, nei secoli successivi (XII-XIII), risultano già in statodi abbandono a causa dell’attrazione demica esercitata dai grandi ca-stelli vicini.Lo studio delle foto aeree ha permesso l’individuazione di anomalie bendefinite costituite da rilievi morfologicamente uniformi, coperti da bo-sco fitto la cui sommità è sempre interessata dalla presenza di una trac-cia regolare. I castelli di Marino e Aspretulo si trovano entro il comune

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340 WICKHAM, 1989, pp. 104-105.341 FRANCOVICH, 1995 pp. 397-406.342 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 18, n. 2.2; NANNI 1999, pp. 18-19, 54-56;CDA, I nn. 129, 132, 190; CDA, II, n. 221.343 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, pp. 33-34, n. 8.3; CDA, I, n. 176; CDA, II, n.243, 263344 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 182-183, n. 57.2; WICKHAM, 1989, pp. 101-112; WICKHAM, 1989, pp. 112-136345 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 126-127, n. 39.3; CDA, II n. 309346 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 34, n. 9.3; FRANCOVICH et al., 2002, pp. 43-44; CDA, II n. 309347 WICKHAM, 1989, PP. 126-128348 Cfr. supra349 Wickham distingue i piccoli casalia con pochi abitanti, a San Salvatore e Albinita efra Callemala e l’abbazia, dalle villae più consistenti, situate presso Piancastagnaio e SanCassiano. Senza dubbio i nuclei demografici maggiori erano rappresentati dai borghi

del fondovalle. Compaiono nei documenti altri borghi all’inizi dell’XI, tra questi ricor-diamo, Le Briccole cioè Abricula, a nord, verso la Val d’Orcia e il torrente Formone,Muliermala, forse l’attuale podere Le Conie, Callemala, Sce Petir in Pail attuale Voltolee Voltolino, Burgurico, Richoburgo verso l’attuale Mulino Burburigo. Questi insedia-menti sorgono tutti lungo la Via Francigena a testimonianza che vi era un cospicuo svi-luppo dei coltivi e di proprietà, già nell’XI secolo. In base a quanto riportano i docu-menti del 991, vengono citati 82 dipendenti per Sce Petir Pail e 50 per Callemala.350 FRANCOVICH-HODGES, 1989.351 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, pp. 17-18, n. 2.1; WICKHAM, 1989, p. 109; CDA,I n. 141.352 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 181, n. 57.1; WICKHAM, 1989, pp. 131-135;FARINELLI-GIORGI, 1998, p. 237.353 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, pp. 18-19, n. 2.3; FRANCOVICH et alii, 2002, p. 44;CDA, I, n. 149.354 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 33, n. 8.1; FRANCOVICH et alii, 2002, p. 44;CDA, I n. 167.355 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 175, n. 53.1; FRANCOVICH et alii, 2002, p. 44;CDA, I, n. 309, 321.356 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 17, n. 1; WICKHAM, 1989, pp. 131-133.357 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 33, n. 8.2.358 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 126, n. 39.1; WICKHAM, 1989, pp. 131-135;FARINELLI-GIORGI, 1992, pp. 157-263, nota 47; CDA, II, n. 330, 361.359 FARINELLI-GIORGI,1992, pp. 157-263.360 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 126, n. 39.2; CDA, II, n. 330.361 CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, pp. 126-127, n. 39.3.362 CAMBI 1996, nn. ass 17-19, pp. 62-64.

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di Piancastagnaio presso l’attuale “Riserva dei Rocconi”. Si tratta di duerilievi impervi che si fronteggiano a circa 500 metri di distanza l’unodall’altro. La prima notizia della silva de Asperetulo risale a una dona-zione del 1108 al monastero di San Salvatore. “Aspretuli cum sua cu-ria et districtu” figura nel 1216 e nel 1274 con la spartizione della con-tea aldobrandesca. In un documento del 1275 il castellum Aspretuli vienedescritto come “nunc inhabitatum” ma continua a comparire nelle spar-tizioni della contea almeno fino ai primi anni del XIV secolo. Agli inizidel Novecento esisteva una cappella del Roccone con un altare dedi-cato a San Francesco. L’anomalia morfologica di circa 1 ettaro di su-perficie sembra suggerire la presenza di strutture interrate. La verifica aterra ha evidenziato, sulla sommità, due costruzioni di forma quadran-golare, costruite con pietrame locale e legato con abbondante malta.Una delle due costruzioni ha una superficie di circa 20 mq e si trovasulla parte più alta. Presenta una muratura con un nucleo interno co-stituito da pietrame informe legato con molta malta e un rivestimentonel paramento esterno con conci di pietra rettangolari e ben squadrati.I dati archeologici non sembrano mostrare tracce rilevanti di cintemurarie, ma è intuibile, dall’andamento del terreno, la presenza diuna fortificazione o in ogni modo di un baluardo difensivo che sfruttaanche la naturale impraticabilità dei versanti. Simile la situazionepresso Monte Penna (comune di Castell’Azzara), un castello con un’e-voluzione documentaria analoga ad Aspretulo, poiché è citato nei do-cumenti dai primi anni del 1200 e nel 1414 è già un fortilizio ab-bandonato 363. Il muro di cinta descrive intorno alla sommità del pog-gio una linea a L. Il fianco che rimane scoperto non necessita di unadifesa poiché un baratro di circa 80-100 metri di dislivello crea unostacolo invalicabile. La tecnica costruttiva del muro di difesa é di me-diocre qualità in blocchi di pietra locale di grosse dimensioni, nonsquadrati e disposti in modo disordinato, assente l’uso di malta. Delborgo sono rimaste scarse tracce murarie. La parte sommitale è occu-pata da un cumulo di macerie costituito da pietre sommariamentesquadrate di media grandezza, malta e scarsissimi frammenti di late-rizi, che lasciano supporre l’esistenza di una struttura 364.L’anomalia di Castel Marino è costituita da un colle di circa 6 ettaridi superficie sulla cui sommità è presente una traccia riferibile a unastruttura di circa 59 mq. La verifica ha riscontrato la presenza di unatorre quadrata di circa 5 metri. di lato in corrispondenza dell’ano-malia. La messa in opera è molto solida. Si tratta, infatti, di una mu-ratura di circa 1 metro. di spessore realizzata con molta malta. All’e-sterno i filari sono costituiti da pietre sommariamente squadrate dimedia grandezza, mentre all’interno ci sono file più regolari ben la-vorate costituite da pietre rettangolari di circa 30-35 cm di altezza edi lunghezza variabile. Non è comprensibile se, la presenza di grandimucchi di spietramento disposti intorno al rudere della torre tuttoravisibile, possa suggerire l’esistenza di annessi o abitazioni. In questocaso la cronologia dei documenti abbraccia un periodo un po’ piùampio: dal 1081 365 al 1303 366. Probabilmente, come accade ancheper i numerosi castelli del comune di Radicofani si trattò di centri confunzione di protezione e controllo, più che di concentrazione dellapopolazione.

Il basso Medioevo e il Medioevo finale

Agli inizi del XIII secolo il controllo di Radicofani da parte del Pa-pato è minacciato dalle truppe imperiali, che, nel 1210 riuscirono aoccupare il castello. Tornato nel 1221 al Patrimonio di San Pietro,Radicofani fu progressivamente svincolato dai diritti signorili che ilmonastero di San Salvatore esercitava su di esso, al fine di consoli-dare il dominio pontificio 367. La perdita di potere da parte dell’ab-bazia, però, non determinò automaticamente una più facile situa-zione all’interno del centro, dove la componente comunale andavacrescendo in importanza. Le aspirazioni all’autonomia del comunevennero comunque frenate dal Papato, che riuscì a mantenere gli ob-blighi di natura fiscale e politica di Radicofani 368. Gli statuti del1255 testimoniano un ampio margine di autonomia, a confermadell’esistenza di una comunità vivace che dimostrò spesso aperta-mente la propria ostilità allo Stato della Chiesa 369. In questo conte-sto si inseriscono anche i ripetuti tentativi di Orvieto e Siena di con-trollare il castello 370. In particolare, a partire dalla metà del secolo,Radicofani si trovò più volte coinvolto nelle vicende interne della Re-pubblica, fino a divenire per qualche tempo ricovero di molti fuo-riusciti ghibellini, tra i quali la tradizione annovera Ghino diTacco 371. In questo clima di tensioni si inserisce, nei primissimi annidel Trecento, la vicenda della guerra condotta da Guido di Montforte Margherita Aldobrandeschi contro il Papato e i comuni guelfi diSiena e Orvieto (1301-1302), conclusasi con la sconfitta dello schie-ramento ghibellino e il ritorno di Radicofani nell’ambito della so-vranità papale. Il castello rimase così, per circa cinquanta anni, al difuori dei conflitti che caratterizzarono la Toscana nella pria metà delXIV secolo, come sembrano confermare i documenti risalenti a que-sti decenni, dove sono menzionati soltanto lavori di manuten-zione 372. Questo stato di cose venne modificato in seguito a unnuovo intervento di Siena, che riuscì, grazie anche all’appoggio dellalocale famiglia dei Del Guasta, a ottenere nel 1352 un formale attodi sottomissione di Radicofani, fortemente contestato, com’è ovvio,dalla Chiesa. Della situazione approfittarono i Salimbeni che, invirtù del sostegno del Papato al fine di indebolire la Repubblica, af-fermarono una signoria su Radicofani 373. La presenza, nel XIV se-

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363 FRANCOVICH et alii, 2002, pp. 37-39.364 FRANCOVICH et alii, 2002, pp. 37-45.365 Si veda la nota n. 5.366 Il castello, assente nella divisione della contea aldobrandesca del 1216, torna a es-sere menzionato nel patrimonio familiare del 1274. Figura infine nella bolla del 1303con cui papa Bonifacio VIII rivendicò le terre concesse in feudo dalla Chiesa di Romaagli avi di Margherita Aldobrandeschi (CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 144, n. 39.3;CDA, II, n. 309).

367 LANCONELLI, 1990, pp. 274-275. Fu soprattutto il rafforzamento della sovranitàpontificia seguito alla fine della dinastia sveva che fece sì che il processo di estromis-sione del patrimonio amiatino conoscesse un impulso decisivo. A questo propositoappaiono paradigmatiche le vicende legate al possesso di alcuni mulini e terreni di-slocati nella va di Paglia. I mulini passarono, per la metà, alla castellaneria di Radico-fani nel 1256, così come alcuni terratici posti nelle immediate vicinanze. La Lanco-nelli considera il processo di estromissione di San salvatore concluso già negli anniSettanta del secolo (LANCONELLI, 1990, pp. 276-278).368 Appare interessante il fatto che Radicofani fosse probabilmente esentato dal paga-mento dell’imposta più importante all’interno del sistema fiscale dello Stato dellaChiesa, quella basata sui fuochi (LANCONELLI, 1990, p. 280).369 Paradigmatico è il caso della ribellione del 1284, che portò all’uccisione e al feri-mento di alcuni soldati e alla liberazione di alcuni ostaggi pisani detenuti nella rocca(LANCONELLI, 1990, pp. 281-282). Sugli statuti di Radicofani si veda PIATTOLI, 1935;ASCHERI, 1998, p. 74.370 LANCONELLI, 1990, pp. 282-285; CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 144.371 Le vicende relative a Ghino di Tacco appaiono nella realtà piuttosto confuse e oscure.Un ruolo importante nella creazione del mito relativo al personaggio, e dell’usuale colle-gamento Ghino-Radicofani, è ricoperto dai racconti di Dante e Boccaccio (Purgatorio,VI, 13 s.; Decameron, X, 2). Su Ghino di tacco si veda CARDINI, 1990, con bibliografia.372 Si parla esclusivamente di rifacimenti di tetti, scale e delle sovrastrutture difensivein legno (LANCONELLI, 1998a, pp. 91-92.).373 Il passaggio di Radicofani da terra immediate subiecta a quella in cui l’eserciziodella sovranità veniva affidato a esponenti di famiglie legate alla Chiesa romana darapporti di alleanza e fedeltà è giustificato dal diminuire dell’importanza strategicadi Radicofani e del controllo da esso esercitato sulla Francigena (LANCONELLI,

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colo, della famiglia magnatizia all’interno dell’attuale territorio co-munale, del resto, è attestata nel centro di Castelvecchio e, forse, inquello di Perignano. Contignano, invece, sottoposto alla signoria deiFarnese agli inizi del secolo, era passato nel 1339 sotto il controllo diSiena, per rimanervi fino al 1379 374. La definitiva sconfitta dei Sa-limbeni, agli inizi del secolo successivo, portò infine alla libera sub-missio di Radicofani alla Repubblica (1411), che lasciò però ampimargini di autonomia alla comunità. Nel 1417 fu intrapresa la co-struzione di una nuova fortezza, sotto la direzione di maestri lom-

bardi 375, mentre, nel 1443, fu smantellato l’antico tratto della ViaFrancigena transitante per la Val di Paglia e sostituito con un nuovotracciato che lambiva il borgo di Radicofani 376.Alla metà del Quattrocento gli unici due nuclei demici che caratte-rizzano il territorio sono gli stessi dell’età moderna: Radicofani eContignano. Perignano venne infatti distrutto nel 1456 dai Senesiin seguito al tentativo di ribellione di Antonio Petrucci e di altricongiurati, mentre Castelvecchio, sulla scorta di un documento del1405 che lo cita come castellare, appare forse già spopolato alla fine

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1990a, p. 285). Sull’intera vicenda si veda REPETTI, 1845, pp. 39, 211; VERDIANI

BANDI, 1926, pp. 92-96, 108-115, 134, 170, 229; CAMMAROSANO-PASSERI, 1984,p. 144; LANCONELLI, 1990a, p. 284). In generale sui Salimbeni e i loro possedi-menti in Val d’Orcia si veda CARNIANI, 1995.374 Sulle vicende dei tre castelli si veda: per Perignano REPETTI, IV, p. 106.

375 Cfr. CIAMPOLI, 1998, p. 291.376 Sulla questione di veda CHERUBINI, 1974, p. 147. REPETTI, all’interno dell’intro-duzione metodologica al Dizionario, nell’illustrare le varie categorie impiegate sotto-lineava: “ho indicato per castellare le vestigia di antiche roche, di torri, o di abbando-nati fortilizi” (REPETTI, I, p. XIII).

Fig. 61. Il popolamento nei secoli XIII-XIV

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del Trecento 377. La definizione lascia però spazio ad alcune incer-tezze: se, da un lato, non sembra di poter dubitare dell’effettivo dis-sesto delle fortificazioni, dall’altro, non si può escludere con asso-luta certezza una sopravvivenza della comunità in forme diverse. Lefonti, infatti, si presentano spesso ambigue nell’utilizzo del voca-bolo, indicando talvolta un castello distrutto e talvolta un sito ri-dotto a villa, un castello, cioè, cui sono state abbattute le mura 378.Inoltre, il termine Castelvecchio, frequente impiegato per indicareun castello di prima fase in stato di abbandono (a favore, è evidente,di un nuovo centro, spesso fortificato) 379, indurrebbe a immaginareuna fase di vita del sito anche nel corso dei secoli centrali del Me-dioevo. In assenza di ulteriori indagini documentarie e archeologi-che questa ipotesi resta comunque da comprovare.Alla luce delle informazioni in nostro possesso, Perignano, Conti-gnano e Castelvecchio, appaiono come castelli di seconda fase, natiprobabilmente non molti decenni dopo il declino degli altri centrifortificati assorbiti da Radicofani 380. Appare interessante, in seguitoall’analisi del grado di visibilità del territorio, il fatto che questo se-condo processo di incastellamento coinvolga l’area non soltantogeograficamente più lontana dal maggiore nucleo demico, ma an-che visivamente non soggetta a esso.Significative appaiono pure le dimensioni di questi tre castelli che,a giudicare dall’evidenza archeologica e dalle fonti documentarie,

non furono probabilmente mai dei nuclei di popolamento consi-stenti. Castelvecchio, l’unico a comparire nella Tavola delle Pos-sessioni del 1318-1320, contava in quegli anni 21 case all’internodel castrum e cinque nelle zone rurali limitrofe 381. Si tratta – è evi-dente – da una situazione ben diversa da quella che caratterizzavail monte Amiata, dove, in quello stesso periodo, il castello di Seg-giano (anche in questo caso l’unico dell’intero comprensorio mon-tano attestato nella Tavola) poteva contare su ben 194 abitazioni,di cui soltanto quattro situate all’esterno della cinta muraria 382.Dopo l’annessione allo stato senese l’area limitrofa a Radicofaniappare caratterizzata da una discreta vivacità economica, in buonaparte legata alla presenza della Via Francigena. La crisi demogra-fica che caratterizza il resto del territorio della Repubblica nelQuattrocento non sembra sfiorare questa zona, dove, alla metà del

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Fig. 62. I siti databili al basso Medioevo e al Medioevo finale

377 Nel 1405 è citato come castellare, a indicare probabilmente lo stato di abbandonodel castello (CAMMAROSANO-PASSERI, 1984, p. 146).378 Sulla questione di veda CHERUBINI, 1974, p. 147. Repetti, all’interno dell’intro-duzione metodologica al Dizionario, nell’illustrare le varie categorie impiegate sotto-lineava: “ho indicato per castellare le vestigia di antiche roche, di torri, o di abbando-nati fortilizi” (REPETTI, I, p. XIII).379 Per un’ampia esemplificazione sull’impiego di Castelvecchio in questo senso si vedaFARINELLI-GIORGI, 1998.380 Sui cosiddetti castelli di seconda fase si veda FARINELLI-GIORGI, 1998, FARINELLI-GIORGI, 2000.

381 PASSERI-NERI, 1994, p. 9.382 PICCINNI, 1989, p. 199.

Fig. 63. Il popolamento tra XIII e XV secolo

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secolo, sono attestati oltre mille abitanti, di cui almeno 150 stra-nieri 383, attratti forse dalle particolari condizioni fiscali di cui go-deva la comunità. Siena, infatti, dopo l’incorporazione aveva la-sciato a Radicofani ampi margini di autonomia e considerevoliprivilegi, come la possibilità di introdurre merci senza pagare dazi,tenere mercati e dare asilo a coloro che erano ricercati per debiti384. L’analisi dei documenti mostra una economia locale piuttostodiversificata, dove, accanto alle normali pratiche agricole, trovanoposto una fiorente industria del cuoio 385 e le attività connesse conl’afflusso di viaggiatori. Proprio la ricezione di pellegrini e vian-danti doveva costituire una fonte di introiti non secondaria se,come si apprende dagli statuti del 1441, gli albergatori che tenta-vano di attrarre all’interno delle proprie strutture i forestieri chegià si trovavano davanti ad altre locande erano passibili di multe386. Il definito spostamento, un anno più tardi, del tracciato dellaFrancigena immediatamente a ovest di Radicofani dovette ulte-riormente ampliare il traffico presso il borgo, a danno delle altrecomunità dell’Amiata, in primo luogo Abbadia, che già alla finedel secolo tentò di rivitalizzare il percorso vallivo 387.Sempre negli statuti del medesimo anno, che costituiscono unainsostituibile fonte di informazioni per la ricostruzione della sto-ria economia del luogo, è dato ampio spazio, nella sezione dedi-cata al cosiddetto “danno dato” 388, alla regolamentazione dellepratiche agricole e pastorali. Ne deriva un paesaggio agrario piut-tosto vario, caratterizzato dalla presenza di ampie aree destinate alpascolo degli animali (bovini, ovicaprini, suini), impianti di vitipiuttosto estesi e zone deputate alla cerealicoltura. L’assenza di ri-ferimenti a oliveti lascia supporre una scarsa incidenza di questotipo di coltura, che, in età antica e medievale, appare caratteriz-zato da una ridotta produttività a fronte di cospicui investimentie di un elevato grado di specializzazione tecnologica 389. La pun-tualità delle norme tese a regolare l’attività di vendemmia e a tu-telare i proprietari dei vigneti induce invece a immaginare unaproduzione di vino piuttosto abbondante, forse deputata non sol-

tanto all’autoconsumo 390. È possibile, infatti, che una parte diessa fosse destinata al commercio con i comuni amiatini, che, agiudicare dai documenti e dalle note descrizioni contenute nell’e-pistolario di papa Piccolomini, avevano territori ricchi di casta-gneti, boschi di latifoglie (principalmente querce, faggi e sugheri)e pascoli 391. Le uniche eccezioni sono costituite da Montelateronee Montegiovi, presso i quali, nel Quattrocento, è documentatauna intensa pratica della viticoltura 392. I documenti testimonianol’acquisto, da parte di alcuni osti e albergatori di Radicofani, divino prodotto a Montepulciano, a conferma dell’esistenza di unmercato non soltanto strettamente locale 393.Sempre dagli statuti del 1441 emergono indizi di pratiche collateraliche trovavano un’ampia diffusione al fine di integrare le normali pra-tiche agricole e di fornire parte dei tessuti impiegati per il vestiario,oltre che tele e corde. Nel vietare infatti di impiegare i principali corsid’acqua per la macerazione delle fibre vegetali, vengono citati il lino,la canapa e la ginestra 394.I documenti trecenteschi relativi all’area amiatina indicano una no-tevole parcellizzazione della terra, interpretata come sintomo diuna società tendenzialmente egualitaria, almeno per quanto ri-guarda i livelli più bassi 395. Le ridotte dimensioni degli appezza-menti, spesso insufficienti da soli per il sostentamento di una fa-miglia, erano integrati con varie pratiche artigianali, che avevanoraggiunto talvolta anche un notevole grado di specializzazione inseno a una intera comunità, come nel caso della lavorazione delcuoio a Radicofani 396.Oltre alle pratiche agricole e artigianali ampia portata ebbe l’alle-vamento, sia stanziale che transumante. Agli inizi del Trecentoquesta pratica era svolta, per quanto riguarda l’Amiata e l’alta Vald’Orcia, principalmente da piccoli proprietari secondo un ele-mentare modello economico basato sulla conduzione diretta 397. Lamaggiore lentezza dell’affermazione, in quest’area, della proprietàcittadina e della conseguente gestione mezzadrile, oltre a un piùevidente radicamento dei diritti signorili, comportò infatti la so-pravvivenza di beni comunitativi consistenti 398. Ancora nel Cin-quecento, soprattutto nel versante occidentale del monte Amiata,

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383 ASCHERI, 1998, pp. 78-79. Il dato appare tanto più significativo se paragonatoa quelli provenienti dalle zone limitrofe: Abbadia San Salvatore, ad esempio, nel1346 contava una popolazione di circa mille abitanti, ridotti a 200 nel 1405(CHERUBINI, 1981, p. 108). Sulla crisi demografica tra XIV e XV secolo in To-scana si veda GINATEMPO, 1988.384 ASCHERI, 1998, p. 78. A tutto ciò va aggiunto forse il più importante vantaggiopolitico per i radicofanesi: la possibilità di essere riconosciuto un cittadino originariodi Siena, in seguito al trasferimento nella città (ASCHERI, 1998, p. 78).385 ASCHERI, 1998, p. 79, con particolare riferimento alla nota 73; un altro impor-tante centro per la produzione del cuoio era localizzato presso montelaterone, sul ver-sante occidentale del monte Amiata (PICCINNI, 1989, pp. 206, 209).386 Ai testimoni veniva inoltre assicurata la segretezza circa la loro identità. MAGI,2004, p. 175; IV, 81.387 È noto dai documenti che, nel 1484, il comune di Abbadia garantì alcuni privi-legi a Sigismondo tedesco, che – già oste a Radicofani – si impegnava ad aprire un al-bergo in Val di Paglia (BARBIERI-REDON, pp. 231-239).388 Per una breve sintesi sull’organizzazione degli statuti e le principali norme conte-nute nella sezione del “danno dato”, con particolare riferimento a Radicofani, si vedaMAGI, 2004, pp. 21-22, 25, 144-187.389 Anche nelle aree limitrofe gli accenni alla coltivazione dell’olivo appaiono con-tati. A San Quirico, per esempio, nel Trecento sono documentate, in relazione adalcune case sparse, principalmente vigneti e soltanto qualche olivo (CHERUBINI,1974, p. 103). Nell’Amiata la situazione appare analoga: a Seggiano, nel Tre-cento, dall’analisi della Tavola delle Possessioni, le piante di olivo appaiono quasiinesistenti (PICCINNI, 1989, pp. 201-202). A Montalcino la presenza dell’olivodoveva essere molto modesta (CORTONESI, 1990, pp. 207-210). In generale sul-l’olivicoltura nel senese nel tardo Medioevo si veda PINTO, 1979, pp. 261-265.Sulla coltivazione dell’olivo nello stesso periodo una sintesi in MONATANARI,2002, pp. 49-50.

390 Sul vino in età bassomedievale si veda BALESTRACCI, 1988; ARCHETTI, 1998,con particolare riferimento, per quanto riguarda l’Italia centrosettentrionale, allepp. 93-106.391 CHERUBINI, 1974, p. 104, con bibliografia. Sono presenti anche accenni alla vite,che dobbiamo però immaginare limitata ai fondovalle e ai rilievi meno elevati.392 La coltivazione della vite è documentata anche a Piancastagnaio, dove ebbe peròminore incidenza sull’economia locale (PICCINNI, 1989, pp. 2002-201).393 PICCINNI, 1990, pp. 51-52.394 Nel Medioevo tutte e tre le piante erano impiegate per la produzione di tessuti. Lacanapa consentiva inoltre di produrre corde e tele di grande robustezza (abbondante-mente impiegata per scopi nautici). Dai processi di lavorazione della canapa si rica-vava poi la stoppa e un particolare tipo di legno detto canapolo. Da lino e canapa, in-fine, si ottenevano semi e olio. Le attività di tessitura sono ben documentate in tuttala zona amiatina: i documenti testimoniano una variegata attività legata alla lavora-zione di lino, stoppa e lana presso Abbadia, Piancastagnaio, Seggiano, Ponticello (PIC-CINNI, 1989, pp. 206-207).395 PICCINNI, 1989, pp. 210-211.396 Sempre per il monte Amiata, per il quale conosciamo molti dati, si sa che Monte-laterone era specializzato nella produzione del cuoio, Arcidosso poteva contare su unnutrito gruppo di fabbri, a Piancastagnaio erano attivi molti armaioli e lanaioli, Ab-badia era specializzata nella salatura del maiale e produceva tessuti di vario tipo, oltreche ferro, a Seggiano infine si lavorava il ferro (PICCINNI, 1989, p. 209-210).397 PICCINNI, 1990, p. 38.398 La zona della Val d’Orcia e dell’Amiata conobbero soltanto con molto ritardo ilfenomeno di appoderamento che invece interessò la aree più prossime a Siena già apartire dalla seconda metà del Duecento. Sul fenomeno si veda CHERUBINI, 1979,pp. 135-136; PICCINNI, 1990, pp. 39-42.

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sono attestati numerosi poderi contadini di piccole dimensioni 399.Più difficile appare individuare il momento di inizio della cessionedella terra da parte delle signorie laiche e religiose. Ad Abbadia SanSalvatore, nel 1212, il neonato comune ottiene una riduzione delleprestazioni d’opera e una conversione in canone monetario di al-cuni servitia che risultavano negli accordi ancora dovuti all’abba-zia 400. È possibile che una situazione analoga avesse luogo anchein altri territori storicamente soggetti al monastero, come Radico-fani, dove però la situazione appare complicata dall’appartenenzaal Patrimonio di San Pietro. Gli statuti comunali del 1255 testi-moniano comunque a favore, come si è detto, di una notevole vo-lontà di autonomia, che può aver verosimilmente comportato con-cessioni di terra dominicale e a reali diritti di durata indefinita, sfo-ciati infine nell’effettivo possesso di proprietà immobili 401.Il tardivo radicarsi del sistema di conduzione mezzadrie determinòanche un lungo prosperare dell’attività di transumanza, che appare,

nell’area amiatina e dell’alta Val d’Orcia, particolarmente diffuso.Non soltanto, infatti, la relativa vicinanza dei pascoli della Maremmafacilitò molto gli spostamenti stagionali del bestiame dei proprietari,ma essi stessi finirono per costituire una sorta di serbatoio di mano-dopera mobile presso le pianure tirreniche 402. Si trattò, evidente-mente, di un fenomeno di ampia portata, se alcune comunità, tra cuiContignano, presero provvedimenti per frenare un’eccessiva mobi-lità della manodopera 403. Per certo, Radicofani era attraversata daun preciso percorso di transumanza, che collegava i pascoli estivi delCasentino con la Maremma. Gli statuti comunali, che pure forni-scono una dettagliata casistica dei rimborsi dovuti agli agricoltori incaso di danneggiamenti delle colture da parte del bestiame, appaionopiuttosto tolleranti nei confronti del transito di greggi e mandrie,che, sostando nella zona di solito per quattro o cinque giorni, con-tribuivano certamente a vivacizzare l’economia locale 404.I dati provenienti dalla ricognizione sembrano confermare il qua-dro offerto dalle fonti documentarie. Per il XIII e XIV secolo si as-siste infatti a un incremento delle case sparse principalmente nel-l’area limitrofa a Radicofani, che, in qualità di consistente nucleodemico, esercitava una forte attrazione sul popolamento rurale. Al-tre abitazioni, invece, si dislocano a poca distanza dal corso del fiume

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Fig. 64. Le strutture religiose attestate nei secoli centrali del Medioevo

Fig. 65. La viabilità nel tardo Medioevo

399 ISAACS, 1979, pp. 388-389. Sul sistema mezzadrile si veda PINTO, 1982, pp. 225-246; PINTO, 1993, pp. 37-50. Per l’area amiatina e ociana PICCINNI, 1989; GINA-TEMPO, 1989; PICCINNI, 1990; GINATEMPO, 1990.400 CAMMAROSANO, 1979, p. 157.401 CAMMAROSANO, 1979, p. 212.

402 PICCINNI, 1990, p. 46.403 PICCINNI, 1990, p. 46.404 PICCINNI, 1990, pp. 49-50.

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Fig. 66. I possedimenti dell’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata e la viabilità proncipale nella prima età moderna (KURZE-PREZZOLINI, 1988, fig. 22)

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Orcia, caratterizzato – com’è noto – da un regime non torrentizioche poteva garantire disponibilità di acqua in qualsiasi periodo del-l’anno. La zona presenta inoltre terreni scarsamente acclivi e noninteressati, se non in maniera marginale, da fenomeni erosivi. La vi-cinanza di alcune UT ai corsi dell’Orcia e del Formone, del resto,potrebbe derivare anche dalla presenza di piccoli impianti idraulici,che proprio a partire dal basso Medioevo cominciano a essere do-cumentati per quest’area 405. Gli statuti del 1441, in particolare,confermano la presenza di mulini all’interno della corte di Radico-fani e ne tutelano l’attività, vietando di deviare l’acqua a essi desti-

nata nel periodo compreso tra l’inizio di novembre e l’inizio diaprile 406.Un’altra area caratterizzata da una certa densità del popolamentosi colloca nella porzione sud/ovest dell’attuale territorio comunale,in prossimità del fiume Paglia. La ricognizione condotta in que-sta zona alla fine degli anni Ottanta dal Dipartimento di Archeo-logia dell’Università di Siena aveva portato, infatti, all’individua-zione di alcune strutture abitative dislocate sul fondovalle o suiprimi rilievi a formare una sorta di villaggio aperto 407. La presenzadella Via Francigena, oltre a quella di terreni facilmente coltiva-bili, appare la chiave di lettura di questa scelta insediativa. Mal-grado, infatti, l’attrazione esercitata da Radicofani sul percorsostesso della strada, il tracciato di fondovalle dovette rimane in qual-

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Fig. 67. Visibilità tra i centri fortificati durante il basso Medioevo

405 Mulini nell’alta Val di Paglia sono documentati a partire dall’alto Medioevo(MAMBRINI, 1994). Per quanto riguarda la Val d’Orcia la documentazione ne at-testa la presenza dal basso Medioevo (PICCINNI, 1990, p. 47, con bibliografia).Lungo il torrente Formone, infine, i ruderi di un mulino di età moderna sem-brano confermare la possibilità che anche nel corso del Medioevo esistessero nellazona impianti idraulici.

406 MAGI, 2004, p. 163, n. 52.407 CAMBI, 1996b, pp. 199-202, fig. 265.

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che misura vitale fino alla fine del Medioevo, se ancora nel Quat-trocento importanti nuclei di villaggio come Callemala, e forseBurgorico, continuano a sopravvivere, senza conoscere, a quantopare, vistose contrazioni 408.In generale, a eccezione dell’area più prossima al borgo di Ra-dicofani e delle principali valli fluviali, il resto del territorio nonappare ancora caratterizzato da una capillare diffusione di pic-cole unità contadine. La presenza di boschi doveva essere quindiun elemento caratterizzante buona parte della zona, come sem-bra confermare la tutela della cosiddetta economia di selva giàall’interno degli statuti del 1255 409.Nel corso del XV secolo la maglia insediativa sembra farsi piùstretta. I siti databili al Medioevo finale, o ai primi secoli dell’età

moderna 410, aumentano considerevolmente in numero, interes-sando buona parte dell’attuale territorio comunale di Radicofani.Molto interessante appare la relativa rarefazione dell’insediamentointorno al cono vulcanico, imputabile forse a due distinti fattori,come una certa contrazione demografica della seconda metà delTrecento e di buona parte del Quattrocento (che può aver con-sentito a quasi tutta la popolazione che gravitava intorno al borgodi risiedere all’interno delle sue mura) e la dispersione di un certo

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Fig. 68. Il popolamento durante il Medioevo finale

408 CAMBI, 1996b, p. 201.409 PIATTOLI, 1935.

410 Le UT inquadrate in questo periodo sono caratterizzate dalla presenza di cera-mica invetriata da fuoco, databile a partire dal XV secolo (cfr. LUNA, in questo vo-lume). Non si può pertanto escludere che parte di questi siti si possano rivelare, inseguito a indagini di tipo stratigrafico, cronologicamente collocabili nei primi secolidell’età moderna. Non essendo stato possibile, sulla base dei pochi frammenti di ce-ramica rinvenuti al loro interno, operare una distinzione più precisa, si è deciso co-munque di rappresentare tutte queste Unità Topografiche nella figura xx, rappre-sentante la distribuzione del popolamento nel XV secolo.

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numero di piccoli nuclei contadini nelle campagne, in seguito altardivo processo di appoderamento della Val d’Orcia, che soltantonel corso dell’inoltrato XV secolo sembra prendere realmentecampo nella zona 411.La presenza di alcune piccole strutture abitative intorno al centro diContignano testimonia l’avvenuta affermazione del centro sullecampagne circostanti, divenendo da questo momento il nucleo de-mico più importante del settore settentrionale del territorio fino aigiorni nostri. L’assenza di Unità Topografiche nelle aree limitrofeai castelli di Perignano e Castelvecchio, invece, sembra confermarele notizie documentarie, che descrivono il secondo in stato di dis-sesto già alla fine del Trecento e il primo – che non fu mai un cen-tro molto popoloso – definitivamente abbandonato dopo la distru-zione operata dai Senesi alla metà del secolo 412.Non può inoltre escludere che molti degli attuali poderi presenti, giàattestati tutti nel Catasto Leopoldino, abbiano conosciuto una fasedi vita proprio nel periodo compreso tra il Quattrocento e i primisecoli dell’età moderna, venendo così ad aumentare il numero deisiti di questo periodo. La continuità di vita di questi ultimi fino ainostri giorni spiegherebbe così la significativa assenza di abitazionipresso le valli fluviali, di gran lunga migliori dal punto di vista geo-morfologico e idrologico dei versanti collinari. Proprio l’aggravarsidei fenomeni erosivi tipici di quest’area, insieme al noto calo demo-grafico degli ultimi due secoli, potrebbe infatti aver determinato l’ab-bandono delle case contadine disposte lungo lo spartiacque di Orciae Formone, a favore degli edifici localizzati più in basso.La dislocazione delle UT databili tra il Medioevo finale e i primi se-coli dell’età moderna, testimonia inoltre una grande vivacità del per-corso viario che da Radicofani conduceva a Contignano, a discapitodel tracciato transitante per Perignano e Castelvecchio. L’abban-dono di questi due centri dovette, infatti, determinare anche una

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Fig. 69. I siti databili tra il XV secolo e l’età moderna

Fig. 70. Localizzazione dei castelli dei Salimbeni in Val d’Orcia411 PICCINNI, 1990, p. 41, con particolare riferimento alla nota 30.412 Cfr. pp. 225.

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progressiva trasformazione della strada in un semplice sentiero, checonserva tuttora tracce di una pavimentazione in grossi blocchi dipietra irregolari. La presenza lungo questo percorso di una struttura,oggi abbandonata, dal toponimo trasparente come “Riposo” lasciacomunque ipotizzare che il percorso fosse stato caratterizzato nei se-coli precedenti da un traffico di una certa consistenza 413. Altre strut-ture destinate al ricovero di viaggiatori e pellegrini, per i secoli XIIIe XIV, risultano attestate soltanto a Radicofani, dove i documentiparlano di almeno tre ospedali 414.

La viabilità appare, dunque, un elemento fondamentale nella de-terminazione dell’assetto insediativo dell’intero territorio. Gli sta-tuti del 1255 e del 1441 di Radicofani, così come quelli del 1504di Contignano, testimoniano una rigida regolamentazione deglispazi limitrofi alle strade pubbliche, oltre che delle attività di ri-strutturazione del manto stradale 415.

Lucia Botarelli, Anna Caprasecca

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413 STOPANI-MAMBRINI, 1989, p. 312.414 Romanico nell’Amiata, 1990, p. 147, nn. 8.18, 8.19. 8.20. Una ulteriore strut-tura (definita xenodochio), attestata dai documenti agli inizi del XII secolo, era ubi-cata presso Muliermala (Romanico nell’Amiata, 1990, p. 147, n. 8.21). In tutti e trei casi la localizzazione delle strutture appare molto problematica, anche se l’odierna“via dell’ospedale” all’interno del centro storico di Radicofani può suggerire la loca-lizzazione di almeno una di esse (Romanico nell’Amiata, 1990, p. 147).

415 Erano previsti infatti interventi per arenare o lastricare le vie pubbliche (SZABÓ, 1990,p. 161) così come si davano precise indicazioni circa la distanza da tenere nella costru-zione di edifici lungo questi percorsi (SZABÓ, 1990, p. 160; MAGI, 2004, pp. 70, 184,n. 99). A Contignano, inoltre, si prevedeva che i residenti provvedessero a pulire il trattodi strada posto dinanzi alle loro abitazioni (GIORDANO, 1997, p. 56, n. 42). Sempre aContignano gli statuti vietavano di transitare sulle strade pubbliche con aratri, per nondeteriorare il manto stradale (GIORDANO, 1997, p. 74, n. 27). In generale sulla viabilitànella zona si veda anche MARONI, 1974; STOPANI-MAMBRINI, 1988; STOPANI-MAMBRINI,1989; SZABÒ, 1992, pp. 235-256; BEZZINI, 1996.

Fig. 71. La Posta medicea, costruita lungo il percorso della Francigena nel corsodel XVI secolo

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