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ORIZZONTI TEORICI E INTERPRETATIVI, TRA PERCORSI DI MATRICE FRANCESE, ARCHEOLOGIA POST-PROCESSUALE E TENDENZE ITALIANE: CONSIDERAZIONI E INDIRIZZI DI RICERCA PER LO STUDIO DELLE NECROPOLI * 1. Orizzonti teorici e interpretativi I presupposti teorici delle considerazioni che saranno svolte in queste pagine sono stati da me illustrati nell’ambito di un recente articolo, in cui si proponeva un quadro di sintesi su alcune tendenze attuali nell’interpretazio- ne delle necropoli (CUOZZO 1996). Il punto di partenza è la valorizzazione dell’emergere di un fenomeno di convergenza tra diversi filoni dell’archeolo- gia europea che, a partire da tradizioni differenti, sono approdati a prospet- tive teoriche e metodologiche affini. Questa prospettiva sembra avvicinare, soprattutto, da un lato una serie di studiosi – francesi, svizzeri, italiani, ecc. – che si sono rivolti allo studio delle mentalità e dell’immaginario collettivo, nel quadro di una ‘antropologia del mondo antico’, dall’altro, l’archeologia post-processuale, nata in ambito britannico dalla critica radicale alla New Archeology e al processualismo (CUOZZO 1996, p. 2). La diversità di impatto in campo archeologico di questi due filoni è dovuta alle differenti premesse e ai differenti obiettivi. Per quanto riguarda gli studi di antropologia del mondo antico e di psicologia della storia, un ruolo fondamentale è stato svolto dal Centre des recherches comparées sur les sociétés anciennes, diretto da J.P. Vernant, sulla base del lavoro pionieristico di L. Gernet, nell’ambito di un approccio socio-antropologico e storico di stampo francese, le cui complesse basi teoriche hanno radici nella tradizione sociologica, filosofica, storica, antropologica, linguistica di matrice struttu- ralista o struttural-marxista, nella psicologia della storia di I. Meyerson, nella scuola storica delle «Annales» e acquistano accenti peculiari nel lavoro dei diversi autori (soprattutto J.P. Vernant, P. Vidal Naquet, M. Detienne, A. Schnapp, F. Lissarrague, C. Mossè, N. Loraux, F. Frontisi, A. Schnapp- Gourbeillon ed altri) 1 . Un ruolo rilevante va ascritto, inoltre, agli studi della scuola di Losanna di C. Bérard (cfr. note 1-2). In ambito italiano, secondo la prospettiva delineata in queste pagine, sarà privilegiata la ricerca teorica portata avanti, in particolare, dalle scuole campane, di Napoli e Salerno, orientata ad una feconda saldatura tra marxi- ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 1

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ORIZZONTI TEORICI E INTERPRETATIVI, TRA PERCORSI DI MATRICE FRANCESE, ARCHEOLOGIA POST-PROCESSUALE E TENDENZE ITALIANE: CONSIDERAZIONI E INDIRIZZI DI RICERCA PER LO STUDIO DELLE NECROPOLI*

1. Orizzonti teorici e interpretativi

I presupposti teorici delle considerazioni che saranno svolte in queste pagine sono stati da me illustrati nell’ambito di un recente articolo, in cui si proponeva un quadro di sintesi su alcune tendenze attuali nell’interpretazio-ne delle necropoli (CUOZZO 1996). Il punto di partenza è la valorizzazione dell’emergere di un fenomeno di convergenza tra diversi filoni dell’archeolo-gia europea che, a partire da tradizioni differenti, sono approdati a prospet­tive teoriche e metodologiche affini. Questa prospettiva sembra avvicinare, soprattutto, da un lato una serie di studiosi – francesi, svizzeri, italiani, ecc. – che si sono rivolti allo studio delle mentalità e dell’immaginario collettivo, nel quadro di una ‘antropologia del mondo antico’, dall’altro, l’archeologia post-processuale, nata in ambito britannico dalla critica radicale alla New Archeology e al processualismo (CUOZZO 1996, p. 2).

La diversità di impatto in campo archeologico di questi due filoni è dovuta alle differenti premesse e ai differenti obiettivi. Per quanto riguarda gli studi di antropologia del mondo antico e di psicologia della storia, un ruolo fondamentale è stato svolto dal Centre des recherches comparées sur les sociétés anciennes, diretto da J.P. Vernant, sulla base del lavoro pionieristico di L. Gernet, nell’ambito di un approccio socio-antropologico e storico di stampo francese, le cui complesse basi teoriche hanno radici nella tradizione sociologica, filosofica, storica, antropologica, linguistica di matrice struttu­ralista o struttural-marxista, nella psicologia della storia di I. Meyerson, nella scuola storica delle «Annales» e acquistano accenti peculiari nel lavoro dei diversi autori (soprattutto J.P. Vernant, P. Vidal Naquet, M. Detienne, A. Schnapp, F. Lissarrague, C. Mossè, N. Loraux, F. Frontisi, A. Schnapp-Gourbeillon ed altri) 1. Un ruolo rilevante va ascritto, inoltre, agli studi della scuola di Losanna di C. Bérard (cfr. note 1-2).

In ambito italiano, secondo la prospettiva delineata in queste pagine, sarà privilegiata la ricerca teorica portata avanti, in particolare, dalle scuole campane, di Napoli e Salerno, orientata ad una feconda saldatura tra marxi-

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smo e strutturalismo, tra discipline del mondo antico e orizzonti socio-antro-pologici nel quadro di un costante rapporto dialettico con diversi filoni di matrice francese e di un importante dialogo tra archeologia, storia antica – che ha conosciuto un primo interlocutore di grande apertura teorica socio­antropologica, nella figura di E. Lepore – ed altri ambiti teorici (sull’argo-mento, D’AGOSTINO 1991, pp. 58-59; D’AGOSTINO, CERCHIAI, 1999; MONTE-PAONE 1999, pp. 7-9) 2.

Le premesse di questo e numerosi altri indirizzi archeologici italiani attuali sono da riconoscere sia nell’importante contributo di tradizione marxi-sta-gramsciana, maturato, soprattutto a partire dal lavoro di R. Bianchi Bandi­nelli e dal dibattito nell’ambito di Dialoghi d’Archeologia (tra mondo classico, preistoria, protostoria, storia antica, ecc.) – in modi e con esiti differenziati – nel percorso scientifico di diversi studiosi, che sono da considerare all’origi-ne di alcune delle principali “scuole” archeologiche oggi identificabili, sia nel costante e costruttivo confronto con la ricerca storica che si avvale di più referenti di rilievo (su tali argomenti, cfr. in particolare MANACORDA 1982; D’AGOSTINO 1991; da ultimo TERRENATO 1998 con bibliografia; cfr. nota 4).

Se gli studi di antropologia del mondo antico e di psicologia della sto­ria hanno interessato molteplici temi riguardanti il mondo greco, in partico­lare Atene – dal mito alla concezione dell’uomo, alle forme di pensiero, dal-l’uso del corpo all’uso dello spazio e dei monumenti, all’indagine sulle men­talità e i loro cambiamenti, alle forme e trasformazioni politico-economiche, sociali, religiose – tuttavia, l’adozione di questo approccio in ambito specifi­camente archeologico è stata limitata a pochi settori specifici: le analisi ico-nografico-iconologiche sulla imagérie del mondo antico, in particolare del mondo classico (pittura vascolare o tombale; scultura; ecc.) o più raramente gli studi di ideologia funeraria e interpretazione delle necropoli o sulla con­cezione e l’uso delle “forme spaziali” (cfr. note 1-2).

Secondo J.P. Vernant – che sembra sintetizzare già nel 1965, in modo illuminante, i principali aspetti della prospettiva qui delineata ed anche molti dei temi discussi, poi, dall’archeologia post-processuale – la finalità principa­le deve essere la ricerca sull’uomo, l’uomo antico, nell’ambito del suo conte­sto socio-culturale, «…di cui è il creatore e insieme il prodotto» e il tentativo, attraverso le opere, di comprenderne il linguaggio, entrando in comunica­zione con «i contenuti mentali, le forme di pensiero e di sensibilità, i modi di organizzazione del volere e degli atti» (VERNANT 1965; 3a ed. it. 1984, pp. 3-4).

In tale ottica, l’indagine sul passato si configura come una difficile con­quista di carattere interpretativo, da attuare attraverso un complesso lavoro di lettura e decodificazione, alla ricerca dei molteplici linguaggi e dei codici che presiedono all’immaginario sociale veicolato da ogni forma di cultura materiale. Le potenzialità ermeneutiche in campo archeologico di tali ap­procci sono testimoniate da importanti edizioni di scuola francese e italiana che si pongono su una linea teorico-metodologica affine (cfr. note 1-4): in

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primo luogo, per gli ambiti che si è scelto di privilegiare in queste pagine, le letture dell’immaginario figurato attico nei vari contributi raccolti ne La Cité des images (1984) o il simile approccio alla pittura italica di Pontrandolfo-Rouveret (1982; 1992) ed etrusca di d’Agostino, Cerchiai (1999) o per l’uso e la costruzione del passato il recente lavoro di A. Schnapp (1993). Nel cam­po degli studi di ideologia funeraria, un ruolo centrale nel panorama italiano e una particolare apertura teorica connessa ad una posizione di tipo proble­matico già dagli anni ’70, devono essere attribuiti, in primo luogo, a B. d’Ago-stino (in particolare, D’AGOSTINO 1977; 1985; 1990a; 1996; D’AGOSTINO, SCHNAPP 1982; D’AGOSTINO c.s. con bibliografia; cfr. nota 2) 3. Sull’argomento si tornerà più avanti.

A partire da un percorso e da obiettivi differenti, l’archeologia post­processuale, già nei testi programmatici di I. Hodder ed altri (M. Shanks, C. Tilley, J. Barrett, ecc. o di autori di posizione affine come M. Leone) si è esplicitamente e sistematicamente proposta come finalità la rilettura e la rie­laborazione teorica di tutti i campi della ricerca archeologica e l’avvio di una riflessione critica dell’archeologia su sé stessa, sui suoi fondamenti epistemo­logici e tecnico-metodologici. Al neopositivismo della New Archaeology sono stati contrapposti una apertura teorica alle scienze sociali e un accentuato dibattito critico, sperimentando le suggestioni provenienti da molteplici re­ferenti di stampo filosofico e socio-antropologico, di volta in volta, esplicita­ti e discussi; tutto ciò secondo un percorso che dal neo-marxismo e dallo strutturalismo, attraverso la “Teoria Critica” e la teoria sociale, porta alle prospettive post-moderne dei diversi indirizzi post-strutturalisti, alle teorie della “pratica” (practice) e dell’“azione sociale” (agency), all’ermeneutica, alla fenomenologia (in particolare, HODDER 1986; 1999, con bibliografia; SHANKS-TILLEY 1987; LEONE et al. 1987; BARRETT 1988; TILLEY 1990; MORRIS

1994; JOHNSON 1999; in sintesi, CUOZZO 1996). Pertanto se è vero che il post-processualismo britannico ha spesso ri­

preso e rivisitato ambiti teorici (soprattutto marxismo, strutturalismo e filoni da essi derivati) le cui potenzialità interpretative erano già state esplorate e dibattute da tempo in altri paesi europei, l’importanza di questa tendenza anglofona è nello sviluppo sistematico delle possibilità e suggestioni offerte da questa complessità di apporti teorico-metodologici, nella prospettiva di una archeologia compiutamente storico-sociale «bridging humanity and science» (HODDER 1999, pp. 20 ss.).

Il clima di convergenze non occasionali tra diversi filoni europei – già sottolineato da vari autori delle diverse scuole (in particolare: HODDER 1986; SHANKS 1995; 1999; MORRIS 1995; D’AGOSTINO, CERCHIAI 1999) – appare evi­dente non solo nelle scelte teoriche ma anche nell’affermazione di un ap­proccio problematico e interpretativo alla ricerca archeologica e nella condi­visione – con accenti e caratteristiche peculiari in ciascun filone – di numero­se tematiche: la centralità del contesto storico e sociale; il rapporto tra strut-

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tura e ideologie; i linguaggi simbolici e i codici di simbolizzazione; l’immagi-nario collettivo e le forme di comunicazione sociale; lo studio delle mentali­tà; il ruolo attivo delle varie forme di cultura materiale nella costruzione sociale, ecc.

Per quanto riguarda l’archeologia post-processuale, gli argomenti prin­cipali affrontati tra gli anni ’80 e ’90, possono essere così sintetizzati: – le modalità di azione delle ideologie, le forme di potere e di legittimazione,le strategie di resistenza e di negoziazione sociale; – il ruolo attivo della cultura materiale;– il rapporto tra struttura, pratica sociale e individuo come agente socialeattivo; il dibattito sull’agency e sul suo ruolo negli studi sulla cultura materia­le, sull’uso dello spazio, sulla produzione, riproduzione e il cambiamento sociale; – la lettura della cultura materiale e l’indagine sul processo di significazione(«Material culture as a text»), tra strutturalismo e post-strutturalismo; – la tematica del gender nelle società del passato e del presente; – il rapporto tra dimensione contestuale, storia e archeologia;– la riflessione critica sul rapporto tra passato e presente, sulla costruzionesociale del passato, sui temi del linguaggio e della scrittura archeologica; il dibattito sul ruolo dell’archeologia nella società attuale, sull’impegno politi­co e sociale dell’archeologo (value commitment) e sull’apertura ad altre voci in archeologia (archeologie indigene o delle minoranze etniche; archeologia femminista; ecc.); – la riflessione avviata negli anni ’90, ispirata da un lato alle teorie dellapractice (P. Bourdieu; A. Giddens; ecc.) e a vari orizzonti post-strutturalisti, dall’altro alla fenomenologia, con l’attenzione all’uso del corpo (Archaeology of body and practice), alla sfera delle percezioni e del campo emotivo (in sintesi: HODDER 1999, con bibliografia; HODDER, PREUCEL 1996; CUOZZO 1996; TERRENATO 1998).

In particolare, le tendenze più recenti hanno privilegiato sia temi con­nessi alla costruzione delle identità – nei campi sociale, etnico, di genere, ecc. –, ai linguaggi simbolici, alle modalità di funzionamento della pratica o dell’azione nel modellare e perpetuare l’universo sociale attraverso l’uso del­lo spazio, del tempo, del corpo umano come «potente strumento di comuni­cazione», sia aspetti legati al versante delle percezioni ed alla “fenomenolo­gia del paesaggio” (ad esempio, SHANKS 1995; THOMAS 1991; 1996; PARKER

PEARSON 1999; JONES 1997; il dibattito in HALL 1998; VAN DOMMELEN 1998; DÍAZ-ANDREU 1998).

Tuttavia, più che ripercorrere le direzioni teoriche dell’archeologia post­processuale, come si è detto, da me discusse di recente (CUOZZO 1996), inten­do soffermarmi su alcune questioni e alcuni indirizzi problematici di ricerca

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che si sono rivelati notevolmente importanti nel campo dell’interpretazione delle necropoli e, in particolare, per lo studio del caso archeologico proposto più avanti: le necropoli orientalizzanti di Pontecagnano (CUOZZO 1994a; c.s.).

1.1 IL RUOLO ATTIVO DELLA CULTURA MATERIALE

La prima questione – il ruolo attivo della cultura materiale – rappre­senta uno dei punti di partenza e di arrivo più importanti del lavoro di I. Hodder e del dibattito all’interno dell’archeologia post-processuale (in parti­colare, HODDER 1982a; 1982b; 1986; 1999; SHANKS, TILLEY 1987; BARRETT

1988; TILLEY 1990; SHANKS 1999; PARKER PEARSON 1982; 1993; 1999; CUOZ-ZO 1996).

La cultura materiale, in tutte le sue forme, è considerata non soltanto come prodotto, ma soprattutto come componente prioritaria della costru­zione sociale e della acculturazione pratica attraverso le potenti metafore della comunicazione non verbale. Se è vero che la ripetizione continua della simbologia materiale nelle routines delle pratiche quotidiane/sociali/rituali ha un ruolo fondamentale nel perpetuare il controllo dell’organizzazione spazio-temporale, conferendo potere e legittimazione, tuttavia, il mondo materiale costituisce anche una sede privilegiata di negoziazione, rielabora­zione o resistenza e può acquistare un ruolo fondamentale nell’affermazione di differenti mentalità, identità, ideologie (per il background teorico, cfr., in sintesi: CUOZZO 1996, pp. 12-18).

1.2 COMPRESENZA DI PIÙ IDEOLOLOGIE ALL’INTERNO DELLO STESSO CONTESTO

La seconda questione – strettamente connessa alla prima – riguarda il ruolo delle ideologie e, soprattutto, la possibilità della coesistenza di più ideo­logie nell’ambito dello stesso contesto. La compresenza di differenti ideolo­gie problematizza l’evidenza archeologica e comporta la possibilità della coe­sistenza di modi di rappresentazione conflittuali nella cultura materiale, rive­lando dinamiche complesse, fluide e multiformi, di carattere rituale, politi­co, sociale, etnico, di genere o connesse a specifiche condizioni individuali che sembrano trovare espressione talvolta in modo contrastante o, addirittu­ra, fuorviante. Non a caso qui si utilizza il plurale, parlando di ideologie piuttosto che di ideologia.

Su questo argomento già da tempo si è espressa l’antropologia di ma­trice struttural-marxista, simbolica e post-strutturalista e, più di recente, in campo archeologico vari studiosi di ambito post-processuale hanno conside­rato la cultura materiale come strumento attivo del confronto e/o del conflit­to tra più ideologie in competizione prodotte da diversi “gruppi di interes­se”: all’ideologia del gruppo o dei gruppi dominanti si contrappongono quelle dei subalterni o di altri ceti/classi d’età/ generi che costituiscono la propria

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identità o premono per una promozione sociale, nell’ambito di complesse dinamiche di potere e/o negoziazione o resistenza.

Tale posizione si distingue da quella del marxismo classico connetten­dosi, piuttosto alla riflessione teorica di Althusser, di Gramsci, della Scuola di Francoforte, di vari filoni antropologici cd. struttural-marxisti (sull’argo-mento, GODELIER 1999), simbolici o interpretativi (C. Geertz), della teoria sociale (della pratica e dell’azione sociale) da Weber a Bourdieu, F. Barth e A. Giddens (in sintesi, HODDER 1986; MILLER et al. 1989; MCGUIRE, PAYNTER

1991; CUOZZO 1996). In questa ottica, uno stesso oggetto/rituale/comportamento può essere

investito di significati completamente diversi anche all’interno dello stesso contesto e il suo significato è ambiguo e polivalente, può essere letto e riela­borato in molteplici direzioni. La possibilità di rintracciare più ideologie e modi rappresentazione tra loro in contraddizione nello studio della cultura materiale apre nuove prospettive ma propone anche ulteriori problemi.

Lo studio del costume funerario rappresenta un esempio illuminante. In primo luogo è necessario verificare se, in base al/ai sistemi di valori vigenti in quel contesto, sia o meno attribuita priorità ad aspetti della composizione/ stratificazione sociale o, al contrario, siano altri fattori ad essere privilegiati (per es., di tipo politico; privato; religioso; ecc.); in secondo luogo andranno indagate le modalità di azione delle ideologie.

Gli effetti di inversione e mistificazione provocati dalla contempora­nea presenza di ideologie diverse all’interno di un medesimo contesto sepol­crale sono stati dimostrati in modo eclatante da Parker Pearson (1982) nella sua analisi etnoarcheologica sul costume funerario moderno di Cambridge: all’ideologia egalitaria ed al carattere privato del lutto espressi dalle sepoltu­re della gran parte della società britannica contemporanea si contrappongo­no le diverse ideologie funerarie di minoranze sociali e/o etniche, in primo luo­go, in modo vistoso e fuorviante, l’appariscente comportamento di componenti discriminate e marginali come gli zingari, che sembra aderire esclusivamente a dinamiche interne al gruppo (per risultati simili in Italia, Guidi et al. 1995).

Un secondo aspetto del problema riguarda le modalità di azione delle ideologie: le tre possibilità identificate da A. Giddens nelle strategie sociali 1. negazione, 2. rappresentazione parziale di sezioni sociali, 3. naturalizzazio­ne, non vanno considerate necessariamente alternative ma possono identifi­care, all’interno dello stesso contesto, l’azione contraddittoria di più gruppi o segmenti sociali (sull’argomento, CUOZZO 1996, p. 24, con bibliografia). Nel primo caso, se l’ideologia dominante è diretta alla negazione nel costu­me funerario della stratificazione e/o del conflitto all’interno della società, cioè sotto l’azione di ideologie di tipo egualitario – come sembra dimostrato, per esempio, per Roma e il Lazio o per Atene nel V sec. a.C. (COLONNA 1977a; D’AGOSTINO 2000; MORRIS 1999) – in assenza di altra documentazione, le necropoli non possono restituire informazioni sui rapporti sociali.

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Nel secondo caso, quando gli interessi di uno o più gruppi siano rap­presentati come universali, il costume funerario può essere diretto, in vari modi, alla distorsione dei rapporti sociali vigenti: un buon esempio è fornito dall’importante questione della rappresentatività demografica e/o sociale delle necropoli e delle strategie funerarie discriminate che riservano il Formal Burial solo a determinati soggetti sulla base della classe d’età e/o del genere e/o della condizione sociale. Questo problema, già proposto da alcuni studi di paleo­demografia, è stato introdotto nella discussione archeologica da Morris (1987; 1999): la rilettura dei sepolcreti di Atene e dell’Attica tra il periodo sub­miceneo e l’età arcaica porta ad ipotizzare che in alcune fasi cronologiche fossero operanti rigidi meccanismi di selettività nell’accesso alla sepoltura formale destinata a circa un quarto della componente adulta come esito di «un sistema funerario che divideva la popolazione tra una élite visibile e un’am-pia maggioranza invisibile» (MORRIS 1995, p. 53; WHITLEY 1991; D’AGOSTINO, D’ONOFRIO 1993).

Strategie funerarie che prevedono la segregazione spaziale sulla base del genere e limitazioni nel corredo per la componente femminile sono state di recente descritte, per esempio, da Parker Pearson (1993). Al contrario, in altri contesti, complessi rituali archeologicamente invisibili o che implicano un completo scarto di comportamento rispetto alla norma possono distin­guere il vertice della gerarchia sociale (D’AGOSTINO 1977; 1985; PARKER PEARSON

1982; 1993; GUIDI et al. 1995). Nella terza possibilità identificata da Giddens, infine, le ideologie sono dirette alla naturalizzazione del sistema di relazioni sociali esistente che appare rappresentato, pertanto, in modo formalizzato e immutabile, come se si trattasse di una legge naturale (CUOZZO 1996, p. 24).

Un ulteriore campo di «produzione ideologica» – ampiamente indaga­to nell’archeologia classica o negli studi di etruscologia – riguarda la legitti­mazione del presente attraverso la creazione e idealizzazione del passato che può utilizzare come tramite privilegiato la costruzione del culto degli antena­ti e della memoria storica (cfr. per esempio, BÉRARD 1970; i contributi in GNOLI, VERNANT 1982 in CRISTOFANI 1987 e in RUBY 1999; COLONNA 1977b; CARANDINI 1997; TORELLI 1997; GRECO 1999; MORRIS 1999; D’AGOSTINO 1977; 1996; 2000).

1.2 DINAMICHE DI RESISTENZA

Uno dei problemi principali nello studio dei fenomeni di resistenza o di negoziazione da parte di gruppi marginali o subalterni è il grado di visibilità che privilegia, naturalmente, i segni delle ideologie dominanti. Tuttavia è proprio l’analisi della cultura materiale quotidiana restituita dai contesti ar­cheologici che rivela notevoli potenzialità per l’indagine sulle manifestazioni archeologiche delle dinamiche dominio/resistenza attraverso la manipolazio­ne simbolica e il ruolo attivo della cultura materiale (per esempio, HODDER

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1982a; 1982b; 1982c, 1986; MILLER et al. 1989; MCGUIRE, PAYNTER 1991, con bibliografia; VAN DOMMELEN 1998).

Importanti studi antropologici recenti, soprattutto di matrice neo-marxi-sta, gramsciana o struttural-marxista, hanno esaminato le diverse forme che tali strategie possono acquisire, distinguendo soprattutto due casi: 1. la resi­stenza quotidiana – strettamente connessa al concetto di negoziazione – che non implica il confronto diretto, ma alimenta – talvolta in modo inconscio – la costruzione di ideologie alternative attraverso la manipolazione dei signi­ficati degli oggetti e/o degli usi, modificando tratti apparentemente insignifi­canti o poco visibili dei comportamenti o tramite forme di conservatorismo o atteggiamenti indiretti o sotterranei di negazione e rifiuto; 2. la resistenza aperta al sistema dominante sotto forma di lotta politica di vario genere. Il primo tipo di “resistenza” costituisce di solito la base per la costruzione della seconda (ad esempio, SCOTT 1985; MCGUIRE, PAYNTER 1991).

Un esempio illuminante – poiché si basa sull’analisi di uno degli oggetti quotidiani privilegiati in archeologia, cioè la ceramica comune, e sull’impor-tanza del ruolo della donna nell’acculturazione pratica – è fornito da una serie di studi sugli schiavi di origine africana in Nord-America. Tali ricerche hanno dimostrato come in alcuni contesti coloniali, la fabbricazione, l’uso costante ed esclusivo da parte degli schiavi di ceramica da mensa di stile africano, in argilla grezza, caratterizzata da uno stile semplice e uniforme (e/o la costruzione di oggetti e utensili in altri materiali) e, pertanto, da un lato la mancata adesione al costume dei bianchi, in un ambito domestico apparente­mente marginale, dall’altro la celebrazione di vincoli reciproci tra gruppi africani di diversa origine, abbiano costituito una potente forma di resistenza culturale – inconscia – trasmessa, come tramite privilegiato, dalle donne ai bambini nelle routines quotidiane fin dalla nutrizione della prima infanzia. Questa forma di resistenza quotidiana avrebbe svolto, nel lungo periodo, una funzione fondamentale nella costruzione di identità e nella formazione di una ideologia alternativa a quella dominante (FERGUSON 1991, con bibliogra­fia).

1.4 COSTRUZIONE DI IDENTITÀ E COMPONENTI ETNICHE

Altri aspetti potenzialmente rivelati dalla coesistenza di più ideologie nell’ambito dello stesso contesto e talvolta intrecciati con fenomeni di resi­stenza, sono le articolate dinamiche legate alla costruzione di identità di ca­rattere sociale e/o etnico: tuttavia, la problematica connessa alla possibilità o meno di riconoscere eventuali indicatori etnici nella cultura materiale pre­senta caratteri di estrema complessità, esponendo facilmente al rischio di riproporre spiegazioni di tipo storico-culturale o diffusionista.

Sembra utile soffermarsi, pertanto, su due punti al centro della discus­sione in ambito archeologico: la definizione e i limiti del concetto di etnicità;

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il ruolo dell’archeologia e, in primo luogo, degli studi di ideologia funeraria, nell’identificazione di identità etniche del passato.

Nell’ambito più vasto del dibattito all’interno delle scienze sociali e storiche, il tema etnico è ritornato con urgenza al centro dell’interesse nel corso degli ultimi anni, in conseguenza dei più recenti avvenimenti di politi­ca internazionale (BARTH 1969; AMSELLE 1990; 1999; cfr. la sintesi in Fabietti 1995, con bibliografia). Simili questioni, d’altronde, hanno anche costituito uno degli argomenti del confronto scientifico in molti altri ambienti e, in particolare, nell’archeologia e storia antica italiana tra gli anni ’70 e ’80 o anche in anni più recenti. Dei diversi settori e ambiti cronologici indagati, gli aspetti che qui interessano più da vicino sono connessi da un lato alle com­plesse dinamiche di coesistenza etnica, colonizzazione, etnogenesi, confine, frontiera, nella storia del popolamento della Campania e dell’Italia meridio­nale, dall’altro ai fenomeni di convivenza e mobilità in Etruria, a Roma, nel Lazio e in altre zone dell’Italia arcaica 4. Un ampio bilancio critico su tali argomenti è stato tracciato, di recente, dalla discussione in Confini e frontie­ra (1999; cfr. i lavori citati a nota 4, con bibliografia precedente).

Sulla base di presupposti diversi, che privilegiano in primo luogo orizzonti di carattere antropologico e comparativo, un recente confronto tra archeologi e antropologi si è sviluppato in ambito anglofono (soprattutto, Jones 1997; HALL 1997, con bibliografia; HALL 1998; DÍAZ-ANDREU 1998; VAN DOMMELEN 1998).

I differenti filoni del dibattito citati, partendo da diversi backgrounds, arrivano a conclusioni affini, che implicano il rifiuto della considerazione del fenomeno etnico in termini biologici o di origini e, al contrario, l’affermazio-ne di un approccio socio-politico e storico al problema: l’identità etnica è considerata frutto di un complesso processo di formazione, costruzione, tra­sformazione. In particolare, approcci socio-antropologici di posizione cd. “strumentalista” e interpretativa hanno sottolineato i caratteri ambigui, mul­tiformi, fluidi in continuo processo di cambiamento delle identità etniche e la costante negoziazione con altre componenti di tipo sociale e soggettivo (cfr. il dibattito in HALL 1998 e nota 4).

Di notevole importanza appare la definizione della natura contrastiva dell’identità etnica (contrastive identity) che sembra costituirsi e acquistare visibilità solo tramite l’opposizione ad altre identità (a partire da BARTH 1969). In tali ambiti, pertanto, l’etnicità è stata considerata, in primo luogo, come una costruzione socio-culturale, soggettivamente percepita e di carattere prin­cipalmente discorsivo, che utilizza attivamente il simbolismo della cultura, del linguaggio, della parentela, della discendenza da origini comuni nel per­seguire un comune interesse (in sintesi, FABIETTI 1995; in particolare, BARTH

1969; AMSELLE 1990; 1999; JONES 1997; HALL 1998). Tralasciando in questa sede di approfondire i complessi problemi teori­

ci sottesi alla definizione del fenomeno etnico o, anche, le differenze di ap-

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proccio tra i diversi filoni citati, sembra utile piuttosto soffermarsi sul secon­do tema riproposto dalla recente discussione in ambito anglofono, cioè, il ruolo dell’archeologia nell’identificazione di identità etniche del passato che è stato negato da alcuni, in assenza di altro tipo di documentazione (HALL

1997). Per altri, l’uso attivo della cultura materiale è da considerare tra i diversi aspetti cui va attribuito un ruolo strutturante nel processo di costru­zione delle identità etniche (MORRIS 1998) e della loro riproduzione nella pratica sociale (habitus di P. Bourdieu) anche se i caratteri fluidi e polimorfi di tali identità, la continua negoziazione con altre componenti rendono diffi­cile o fuorviante l’indagine archeologica (JONES 1997; DÍAZ-ANDREU 1998). Una posizione in parte diversa sottolinea come il processo di costruzione delle identità etniche possa comportare l’uso cosciente, volontario e attivo di segni materiali come diacritical markers che, in questi casi, possono trovare riscontro a livello archeologico (SHENNAN 1989). Altri esempi, come si è vi­sto, svelano, invece, un uso attivo della cultura materiale in forma meno cosciente, prepolitica, all’interno di compositi legami tra fenomeni di resi­stenza sociale, di tipo quotidiano e componenti etniche (per esempio, MCGUIRE, PAYNTER 1991; FERGUSON 1991); un complesso intreccio tra com­ponenti etniche e sociali e forme più o meno accentuate di marginalità sem­bra presiedere alle dinamiche identificate nel comportamento funerario delle minoranze dalla già citata analisi etnoarcheologica di Parker Pearson (1982).

Pertanto, se la presenza, l’accentuazione o la costruzione di eventuali indicatori etnici nella cultura materiale e nella rappresentazione funeraria dipende, ancora una volta, esclusivamente dal scelte contestuali, di tipo più o meno cosciente o competitivo, da parte di gruppi o segmenti sociali o della collettività, la possibilità di riconoscere segni connessi alla costruzione o rie­laborazione di identità sociali o etniche nella documentazione archeologica – secondo la linea indicata sia dagli studi sui complessi fenomeni di etnogenesi, per esempio in Campania e in Italia meridionale sia dalle suggestioni offerte dalla ricerca etnoarcheologica e antropologica – dipende, in primo luogo, dalla possibilità di lettura della polisemia dei contesti. Linee di ricerca privi­legiate appaiono, dunque, l’indagine su tutti gli aspetti connessi alla compre­senza di più ideologie nello stesso contesto, l’analisi dell’uso attivo, ambiguo, polivalente dei simboli materiali, all’interno di dinamiche contrastive e op­positive tra sistemi strutturati di segni, la complessa dialettica tra forme quo­tidiane di negoziazione e/o resistenza, nella “pratica” sociale, fenomeni di rifunzionalizzazione e acquisizione o di apparente conservatorismo, persi­stenza, negazione, rifiuto (cfr. nota 4 e il dibattito in HALL 1998).

1.5 DINAMICHE DI GENERE

Un ulteriore direzione di indagine è suggerita dal dibattito sulla costru­zione sociale del genere, sulle complesse dinamiche maschile/femminile/in-

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fantile, sui ruoli e le forme di negoziazione tra generi (GERO-CONKEY 1991; DÍAZ-ANDREU, questo volume, e la sintesi in CUOZZO 1996, con bibliografia).

1.6 ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’INTERPRETAZIONE DELLE NECROPOLI

Il complesso campo dell’interpretazione delle necropoli è da conside­rare ancora un contesto privilegiato di ricerca in ambito archeologico sia perché spesso l’evidenza funeraria costituisce l’unica documentazione dispo­nibile sia perché essa implica uno dei più alti gradi di intenzionalità da parte della collettività corrispondente, e dunque, se attentamente decodificata, co­stituisce una fonte di informazioni preziosa in primo luogo sulle ideologie e sulla produzione dell’immaginario sociale. L’ambiguità del rapporto tra im­magine funeraria e mondo dei vivi occupa una posizione centrale in queste pagine, secondo la prospettiva che contraddistingue sia gli studi di ideologia funeraria, francesi, svizzeri, italiani sia l’archeologia post-processuale (cfr. nota 2; in sintesi, soprattutto, CUOZZO 1996; HODDER 1986; 1999; D’AGOSTI-NO 2000). Un fondamentale apporto in ambito italiano è fornito anche dai lavori di alcuni studiosi che a partire da un approccio di stampo processuale si sono avvicinati a posizioni di tipo contestuale e cognitivo (in primo luogo, BIETTI SESTIERI 1986; 1992; 1996; cfr. anche GUIDI et al. 1995; GAMBACURTA, RUTA SERAFINI 1998) e dagli studi sul funzionamento delle forme ideologiche (in particolare TORELLI 1984, 1997).

L’approccio qui adottato si fonda sull’analisi delle necropoli come “con­testo strutturato” sulla base di scelte ideologiche e simboliche che regolano il rapporto metaforico tra società dei vivi e comunità dei morti, secondo la definizione di B. d’Agostino: «come in ogni sistema di segni, le singole scelte – nel campo del rituale, della tipologia tombale, del corredo; ecc. – che com-pongono il sistema sono arbitrarie e tuttavia significanti» (D’AGOSTINO 2000). Un secondo aspetto di fondamentale importanza è il ruolo attivo della poli­valente performance funeraria (e delle altre forme rituali), come potente for­ma di creazione, riproduzione, trasformazione dell’immaginario sociale.

Il rapporto tra la società dei vivi e il suo riflesso nel costume funerario non può essere mai ritenuto diretto ed immediato ma è sempre indiretto, selettivo, mediato, contestuale, fondato sulla distinzione categoriale tra i due universi e sugli atteggiamenti mentali della comunità verso la morte; inoltre, il rituale funerario non può essere in nessun caso considerato una semplice comunicazione dei valori di una determinata comunità: piuttosto – struttu­rando i complessi momenti di transizione dalla morte biologica alla morte sociale – esso può costituire parte attiva nella riproduzione e legittimazione dei rapporti vigenti oppure nell’affermazione di nuove mentalità e percezio­ni del corpo e dell’individuo, nella legittimazione di nuovi stili di vita, nuove tecnologie del potere, nella promozione di differenti posizioni sociali, nella costruzione di identità, nelle dinamiche di negoziazione, resistenza o cambia-

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mento sociale (CUOZZO 1996, pp. 22 ss.). Intenzionalità e selezione determinano l’adozione dei codici che pre­

siedono alla grammatica e alla sintassi dell’immagine funeraria: finalità prio­ritaria è l’interpretazione delle scelte di autorappresentazione indotte dalla comunità o da particolari opzioni di segmenti sociali. In particolare, campi semantici privilegiati sono da considerare gli ambiti connessi alla struttu­razione simbolica dello spazio della necropoli e dello spazio interno della tomba, alla concezione e all’uso del corpo umano e al rapporto interno/ esterno. Linee centrali di indagine devono essere considerate (CUOZZO 1996, pp. 21 ss.): – le strategie di rappresentazione e, in primo luogo, la ricerca dei codiciconnessi ai sistemi di valori di riferimento in quel determinato contesto; come si è detto, essi possono o meno attribuire priorità ad aspetti della stratifica­zione sociale e, nel primo caso, possono essere diretti – secondo gli interessi di uno o più gruppi – alla legittimazione dell’ordine sociale o al contrario alla sua contraddizione o distorsione (cfr. supra, pp. 338-340); – la rappresentatività delle necropoli, rivolta alla identificazione di strategieselettive su basi demografiche o sociali (cfr. supra p. 339); – «la selezione e costruzione di identità» dei defunti; in rapporto alle strate-gie dei vivi, la performance funeraria – implicante una pluralità di rapporti e di letture (defunto/gruppo di appartenenza/diversi livelli della comunità/di-mensione soprannaturale) – può diventare un «contesto per la produzione di identità sociali», non necessariamente corrispondenti alla realtà in vita degli individui sepolti, né necessariamente aderenti ad un linguaggio univoco (per es., THOMAS 1991; PARKER PEARSON 1993; in sintesi, CUOZZO 1996); – la compresenza di più ideologie nello stesso contesto (supra p. 338); – l’incidenza dei complessi aspetti del rituale funerario che non lasciano (olasciano solo in parte) tracce archeologiche (D’AGOSTINO 1985; 2000; CUOZ-ZO 1996); – gli approcci metodologici.

1.7 ASPETTI METODOLOGICI

La ricerca di un approccio che valorizzi la complessità dei contesti fu­nerari sembra indicare l’esigenza di sperimentare più direzioni di indagine. La necessità della rielaborazione di forme di analisi di carattere strutturale e semiologico nello studio della cultura materiale, all’interno di un quadro interpretativo che abbia come riferimento privilegiato l’orizzonte più ampio delle teorie sociali, è stata ribadita da più voci in ambito europeo che hanno valorizzato la «portata operativa» di tali metodi, come «formidabile strumen­to di indagine» (D’AGOSTINO, CERCHIAI 1999, p. XVIII; cfr. anche, TILLEY 1990; MORRIS 1995; HODDER 1999; CUOZZO c.s.). Una simile esigenza metodologi-

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ca sembra richiamata anche da studiosi italiani che basano il loro approccio alle necropoli sull’individuazione di “sistemi di segni” (GAMBACURTA, RUTA

SERAFINI 1998). In questo quadro, tuttavia, può essere considerata ancora di notevole

utilità l’adozione integrata di una serie di metodi di altro genere, come l’uso di forme più o meno complesse di tematismi geografici, di GIS, o di metodo­logie statistiche, che, tuttavia, possono essere recuperate come utili strumen­ti, non più secondo una logica quantitativa, ma, al contrario, esclusivamente in senso qualitativo e oppositivo, all’interno di uno studio interpretativo del sepolcreto come contesto simbolicamente strutturato (sull’argomento, CUOZZO

1994; c.s.; MORRIS 1995; D’Andrea 1999).

2. La rappresentazione funeraria nella necropoli di Pontecagnano durante il periodo Orientalizzante

Le prospettive interpretative delineate si sono rivelate preziose per l’in-dagine sulla complessa immagine funeraria offerta dal caso archeologico che prenderò in considerazione in queste pagine: saranno qui anticipati alcuni interrogativi e risultati emersi da un recentissimo lavoro sulle necropoli orien­talizzanti di Pontecagnano (CUOZZO c.s; Figg. 1-2).

2.1 IL CONTESTO

La vasta necropoli del grande centro che sorgeva nel sito della moderna Pon­tecagnano, 10 Km. a Sud di Salerno, nella regione picentina – il cui carattere etrusco è testimoniato da Plinio il Vecchio (N.H. III, 70) – documenta come il periodo tra l’Orientalizzante Antico e Medio (ultimo quarto dell’VIII-metà/erzo quarto VII sec. a.C.) rappresenti un momento di straordinaria fioritura, attraverso un’evidenza ampia e ricca, ma finora in gran parte inedita (Fig. 2; oltre 8000 tombe databili principal­mente tra il IX sec. a.C. e il IV, mentre ancora poco si conosce dell’abitato: D’AGOSTI-NO 1988a; CERCHIAI 1995). Dopo la recente edizione di estesi sepolcreti della prima età del Ferro, negli ultimi anni è stato possibile avviare lo studio sistematico delle aree orientalizzanti. In entrambe le necropoli di Pontecagnano, quella occidentale in corrispondenza del centro abitato attuale e la necropoli orientale, in loc. S. Antonio a Picenza (Fig. 2), le aree funerarie dell’Orientalizzante non si sovrappongono mai a quelle della prima età del Ferro: l’inumazione è ora il rito dominante, le tombe sono generalmente a fossa o a cassa di travertino; la cremazione – vera o simulata – ritor­na solo in casi eccezionali come le note tombe principesche 926-928 (D’AGOSTINO

1977) e 4461 (CERCHIAI 1987). La fisionomia della composita cultura materiale te­stimonia, come è noto, gli stretti rapporti tra Pontecagnano e l’ articolato panorama Orientalizzante: da un lato le relazioni con i greci di Pithecusa e Cuma, i legami con il mondo etrusco e etrusco-laziale, o con componenti fenicie o orientali, dall’altro complesse relazioni con le comunità campane circostanti, i gruppi irpini dell’area cd. di Oliveto Citra-Cairano nella Campania meridionale interna, l’area delle tombe

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a fossa della Campania Settentrionale costiera (Valle del Sarno, ecc.) o i più rari interscambi con Capua e con altri ambienti (Fig. 1; D’AGOSTINO 1988a; CERCHIAI

1995).

I molteplici interrogativi posti dallo studio delle necropoli di Ponteca­gnano contribuiscono ad individuare importanti indirizzi problematici di ri­cerca e suggeriscono alcuni lineamenti di interpretazione sulle strategie che le differenti componenti della comunità hanno scelto per rappresentarsi, fino a giungere ad avanzare ipotesi su aspetti delle dinamiche sociali di riferimen­to e sulla complessa rete di interrelazioni evocata.

A partire dalla fine dell’VIII sec. a.C., si delinea nella rappresentazione funeraria l’emergere di più gruppi elitari dominanti di carattere parentelare, in competizione tra loro, che nell’uso della cultura materiale sembrano con­tendersi il dominio socio-economico e il monopolio dell’immaginario (CUOZZO

c.s.). Il particolarismo di questi gruppi, in parte paragonabili alle potenti gentes di cui parlano le fonti per l’Etruria e il Lazio del periodo Orientaliz­zante (AMPOLO 1987; D’AGOSTINO 1990b; COLONNA 1991; TORELLI 1997), si manifesta attraverso una accentuata pluralità di comportamenti che svela la compresenza di diverse ideologie e l’esistenza di molteplici rapporti con re­ferenti esterni diversificati. L’evidenza funeraria dimostra che l’accentuato particolarismo dei gruppi dell’aristocrazia ha come riferimento, in primo luo­go, una dinamica interna all’élite testimoniata – come aspetto più eclatante ma non unico – dalla dialettica tra figure femminili, maschili e infantili di carattere principesco; in altri casi, è possibile forse identificare componenti di carattere etnico. Un ulteriore aspetto da indagare appare l’esclusione – totale o parziale – dalle aree di sepoltura formali dei livelli sociali inferiori (CUOZZO 1994a, p. 286).

Le questioni emerse saranno illustrate attraverso il confronto tra due significativi campioni, appartenenti alla necropoli orientale di Pontecagnano (loc. S. Antonio a Picenza; cfr. CUOZZO c.s). Il primo campione – in proprietà INA CASA – rappresenta il limite settentrionale (composto da ca. 252 tom­be; Fig. 3) mentre il secondo – in proprietà CHIANCONE IV (ca. 108 tom­be; Fig. 6) – segna il limite sudoccidentale nell’Orientalizzante Antico e Me­dio ed è separato a Sud da una fascia sepolcrale occupata a partire dai periodi Tardo-Orientalizzante e arcaico. In queste pagine sarà privilegiata un’ottica sincronica, enucleando principalmente alcune problematiche riguardanti il periodo tra fine VIII e metà VII sec. a.C.

2.2 RAPPRESENTATIVITÀ DEMOGRAFICA E SOCIALE

La rappresentatività di entrambi i campioni è stata verificata in via pre­liminare (cfr. MORRIS 1987). Secondo i parametri adottati per le società agricole preindustriali (WEISS 1973; BUIKSTRA, KONIGSBERG 1985) le due aree funerarie rivelano una composizione bilanciata tra i due sessi e le diverse classi di età, con

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una proporzione tra adulti/giovani e bambini in media intorno al 40%-60%. Le analisi antropologiche attestano la presenza nelle necropoli di tutte

le categorie infantili, dall’età perinatale – accolta a volte nelle tombe di adulti o di individui di età giovanile – fino alla pubertà (BONDIOLI, MACCHIARELLI

c.s.). La piena visibilità della componente infantile nella Pontecagnano orien­talizzante costituisce un importante cambiamento rispetto alla prima età del Ferro e una rilevante differenza rispetto a numerosi contesti coevi, in primo luogo dal Lazio, dove è documentata una generale esclusione dei bambini dai sepolcreti formali e la frequente sepoltura all’interno degli insediamenti (Bietti Sestieri 1992, pp. 504 ss. con bibliografia precedente; CUOZZO 1994b).

Al contrario, meccanismi di selettività rivolti all’esclusione – del tutto o in parte – dei ceti inferiori potrebbero essere suggeriti dalla verifica della rappresentatività sociale. Questo fenomeno sembra particolarmente visibile nell’area settentrionale INA CASA dove i dislivelli nell’esibizione funeraria sono da ascrivere principalmente alle differenze ideologiche che presiedono, come si vedrà, alla composizione dei corredi maschili e femminili (CUOZZO

1994a, p. 286).

2.3 COMPOSIZIONE DEI GRUPPI SEPOLTI; USO DEL CORPO E RAPPORTO INTERNO/ESTERNO

NEL CONTESTO TOMBALE

Nell’impossibilità di illustrare in questa sede i vari aspetti dell’analisi condotta per le necropoli orientalizzanti di Pontecagnano (analisi statistiche multivariate; esame dei campi semantici; ecc.), non mi soffermerò su questi aspetti, limitandomi ad osservare come lo studio dello spazio tombale in quan­to luogo simbolicamente strutturato, dell’uso del corpo e del rapporto inter-no-esterno abbiano suggerito importanti linee di ricerca, rivelando sia com­plesse polarità maschile/femminile e tra diverse classi d’età, nella concezione del corpo e/o nell’uso dello spazio, sia articolate e ambigue dinamiche simbo­liche tra ambiti destinati al defunto e spazi dei vivi (CUOZZO c.s).

2.4 LA DIALETTICA TRA GRUPPI FUNERARI

Nell’organizzazione spaziale, l’affermazione di gruppi elitari è identifi­cata dal carattere permanente, presumibilmente ereditario, del possesso del­le aree sepolcrali sul lungo periodo, distinte nettamente dall’organizzazione funeraria della prima età del Ferro e tra loro differenziate, che in alcuni casi si configurano come privilegiate e riservate anche attraverso la presenza di elementi di recinzione. La maggior parte dei gruppi sepolti, infatti, testimo­nia un’ininterrotta continuità diacronica, almeno fino al V sec. a.C. (Fig. 3; CUOZZO 1994a, p. 270).

Una funzione strutturante del tessuto funerario pertinente ai singoli gruppi è svolta, soprattutto negli ultimi anni dell’VIII sec. a.C., dalla disposi-

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zione di una serie di tombe con caratteri cd. principeschi (Figg. 3, 5): tale fenomeno non riguarda solo i campioni esaminati ma anche altre aree fune­rarie limitrofe della necropoli orientale (CUOZZO c.s). La concentrazione areale di particolari classi di oggetti di corredo testimonia relazioni privilegiate con ambienti esterni rivelando le differenti connotazioni socio-economiche dei singoli gruppi: gli aspetti più appariscenti di questo fenomeno sono visibili in entrambi i campioni scelti. Nel sepolcreto settentrionale INA CASA, signifi­cativi indicatori di legami preferenziali con l’area etrusco-laziale o falisca, in particolare, l’impasto fine a superficie bruna d’importazione (CUOZZO 1994), ricorrono costantemente soprattutto all’interno di due gruppi funerari orien­tali, probabilmente distinti ma correlati e demarcati da un recinto di lastre di travertino, rispettato fino all’inizio del V sec. a.C. (Fig. 3). In modo diverso, nel settore sud-occidentale, in proprietà Chiancone IV, l’ostentazione della cultura materiale irpino-meridionale di Oliveto-Cairano sembra acquistare una fisionomia etnica: è possibile distinguere due raggruppamenti, ad Ovest ed Est, o un gruppo caratterizzato da una organizzazione complessa, attorno alla tomba principesca 5928, parzialmente depredata (Fig. 6).

2.5 COMPRESENZA DI PIÙ IDEOLOLOGIE FUNERARIE ALL’INTERNO DELLO STESSO CONTESTO

E DIALETTICA MASCHILE/FEMMINILE/INFANTILE NEL COMPORTAMENTO “PRINCIPESCO”

Una delle espressioni più eloquenti dell’accentuato particolarismo dei gruppi elitari si individua nella coesistenza di una pluralità di ideologie prin­cipesche all’interno del medesimo contesto e, in particolare, nella dialettica tra figure femminili e maschili (su tale concetto cfr. il dibattito in RUBY 1999).

Per inquadrare i termini della questione è necessario confrontare i com­portamenti delineati per la necropoli orientale con il panorama offerto dal-l’altra necropoli di Pontecagnano, quella occidentale, in corrispondenza del centro abitato attuale. L’immagine funeraria testimonia una evidente con­trapposizione ideologica tra la varietà di comportamenti attestati nella ne­cropoli orientale e la regolarità che l’acquisizione del costume principesco riveste in quella occidentale, dove esso è appannaggio esclusivo di pochi adulti maschi armati, rappresentati secondo il modello del principe-eroe – di matri­ce greca e rielaborazione etrusca-laziale –, nella nota interpretazione di B. d’Agostino (cremazione – adottata o simulata –; deposizione nel lebete di bronzo; gruppo di keimelia metallici preziosi e/o esotici; presenza di armi; presenza del carro o di paramenti equini; nucleo di strumenti in ferro-spiedi, alari, machaira, scure, ecc. – legati al sacrificio e al focolare domestico: tom­be 926, 928, 4461; D’AGOSTINO 1977; 1999a; cfr. i contributi in RUBY 1999). Al contrario, nei sepolcreti orientali è in primo luogo il particolarismo dei gruppi a prevalere: se, infatti, emerge soprattutto il comportamento princi­pesco femminile – esemplificato dalla eccezionale tomba 2465 (Fig. 4) – tut-

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tavia il linguaggio principesco può essere acquisito, all’interno di diversi gruppi funerari, alternativamente o contemporaneamente da più componenti: ma­schi adulti, donne adulte, individui di età giovanile, bambini.

Pertanto, al costume unitario della necropoli occidentale – confermato da un recente lavoro di ricognizione sistematica dei sepolcreti – dove ecce­zionali figure maschili si rappresentano come uniche garanti della continuità del gruppo e depositarie di un potere accentrato e individuale, probabile segno dell’imporsi di un’unica ideologia dominante, sembra opporsi la rispo­sta variegata e competitiva della necropoli orientale che prevede, al contra­rio, la reinterpretazione del linguaggio principesco in base alle esigenze di autorappresentazione dei diversi gruppi elitari, forse nell’ambito di dinami­che interne di potere e promozione sociale. Tra i due modelli esiste una pro­fonda differenza ideologica: tutte le sepolture principesche orientali sono inglobate nel tessuto funerario, rivestendo, probabilmente, il ruolo di capo­stipiti dei diversi gruppi che attorno ad esse si strutturano.

Come nella società etrusca e laziale coeva, qui le tombe dei capostipiti possono essere sia maschili che femminili (D’AGOSTINO 1992; 1999a). Si no­tano tuttavia alcune significative polarità, da un lato nel rituale che, in en­trambe le necropoli, riserva la cremazione di tipo ‘eroico’ esclusivamente a figure emergenti di maschi adulti, mentre donne e bambini sono costante­mente inumati, dall’altro nella selezione dei segni di tipo sociale, poiché nel­la necropoli orientale, si verifica, per esempio, una attribuzione esclusiva degli alari e tendenziale del coltello o della associazione spiedi/coltello a par­ticolari figure femminili (CUOZZO c.s).

In queste pagine saranno descritti due principali comportamenti: il pri­mo è esemplificato dall’area settentrionale INA CASA, dove l’adozione del costume principesco e la presenza di evidenti indicatori di prestigio appaio­no di esclusivo appannaggio femminile; il secondo caso può essere esemplifi­cato dall’area Chiancone IV, dove tale comportamento – in modo più o meno completo o segmentario – è esibito da più personaggi dei gruppi sepolti.

2.6 L’AREA SETTENTRIONALE INA CASA: I COMPORTAMENTI FUNERARI

Nell’ambito delle 148 tombe, databili al periodo tra la fine dell’ VIII e la metà del VII sec. a.C. (CUOZZO 1994), l’opposizione femminile/maschile (63 tombe: 35-A; 28-Iu.; Figg. 4-5) è netta nel costume personale ed è basa­ta, sulla presenza/assenza di ornamenti e fibule, che nel gruppo femminile sono soprattutto nei tipi a sanguisuga, a navicella, ad arco rivestito, mentre in quello maschile, si segnala la totale assenza di ornamenti o la sporadica occorrenza di un’unica fibula ad arco serpeggiante derivata dai tipi maschili della prima Età del Ferro. Le armi e gli strumenti per la filatura o tessitura più che connotare la funzione appaiono designare, in questa area, esclusiva­mente particolari condizioni sociali.

Il corredo funerario dei bambini (85 tombe) presenta una composizio-

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ne sostanzialmente analoga a quella degli adulti, se si eccettua la completa mancanza di strumenti di funzione – pressoché assenti già nelle sepolture della categoria Iuveniles (ad eccezione di 2 tombe femminili) – e una minima incidenza di oggetti legati alla sfera infantile.

I gruppi emergenti esibiscono ora nuove forme di comportamento, estese a tutte le componenti sepolte, in primo luogo l’adozione generalizzata di una ideologia connessa al consumo del vino, attraverso un nuovo servizio funera­rio che dimostra in modo appariscente l’influenza greca cumano-pithecusana e sembra caratterizzare il costume della gran parte dei sepolcreti coevi del centro campano.

Il corredo base (Fig. 5A) è costituito dall’associazione di quattro for­me: da un lato, l’anforetta d’impasto, dall’altro, un servizio di tipo ‘greco’, oinochoe (in bronzo solo nella 2465), kylix/skyphos (Thapsos senza pannel­lo, a sigma, a fascia risparmiata); infine la coppa/piattello (italo-geometrica o di impasto). Elemento ricorrente nei gruppi funerari orientali, come si è det­to, appare l’impasto fine a superficie bruna di tipo etrusco-laziale o falisco, in primo luogo l’ anforetta a doppia spirale, più raramente oinochoe, kylix/ skyphos, coppa su piede (per esempio, BAGLIONE, DE LUCIA BROLLI 1990, con bibliografia; BOSIO, PUGNETTI 1986, pp. 89-90).

L’immagine funeraria dei maschi adulti nell’area INA CASA, è impron­tata alla sobrietà e alla duritia: non sono mai presenti nei corredi né vasella­me in bronzo, né utensili o strumenti di alcun tipo eccettuate le armi. Si distinguono soprattutto il defunto della tomba 1937 – munito di spada – e altre tombe di individui armati (n. 8, cuspidi di lancia; Fig. 5B).

Il vertice dell’espressione funeraria si manifesta nella tomba principe­sca femminile 2465 (Fig. 4), che non ha paralleli maschili nell’area, e, in misura minore, in altre sepolture femminili eminenti. In queste tombe si con­centrano la gran parte dei segni di prestigio: dal vasellame in metallo – il bacino, l’oinochoe, la Zungenphiale della 2465 – agli accessori per la filatura e la tessitura (tombe 1956, 2468, 2132, 1914; 2465) – al gruppo degli stru­menti in ferro – il coltello, gli spiedi e gli alari, connessi alla garanzia del focolare domestico (tombe 2465, 1956, 2468, 2132); ulteriori elementi di distinzione appaiono l’articolato corredo vascolare, i gioielli (che, nella 2465, comprendono esemplari laminati in oro e/o a filigrana di probabile importa­zione etrusca e cumano-pithecusana mentre ambre, scarabei, decorazioni della veste in argento e bronzo sono presenti anche in altre tombe) e, infine la straordinaria occorrenza del carro nella 2465, probabilmente indicata dal rinvenimento di elementi pertinenti alle ruote, secondo quanto è stato di recente riconosciuto per le tombe 926-928 (cfr. D’AGOSTINO 1999a, p. 82; EMILIOZZI 1999, p. 312).

2.7 L’AREA SUD-OCCIDENTALE (CHIANCONE IV): I COMPORTAMENTI FUNERARI

Nei gruppi sud-occidentali (CUOZZO c.s), la distinzione tra i generi (A.

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14/18; Iu.10/14 ca.) è espressa quasi costantemente sia tramite strumenti di carattere funzionale – armi e accessori filatura/tessitura – sia nella occorren­za di specifiche forme del corredo vascolare tipo Oliveto-Cairano (Figg. 6-8; D’AGOSTINO 1964; PESCATORI, COLUCCI 1971a; 1971b; BAILO MODESTI 1981; 1982). Tale differenziazione appare più sfumata per altri tipi di utensili, lega­ti alla sfera del focolare domestico: se gli alari ricorrono esclusivamente in corredi femminili, il coltello compare anche in sepolture infantili e gli spiedi accompagnano più componenti del gruppo.

Completamente diverse da quelle illustrate per il sepolcreto INA CASA si rivelano, invece, le norme seguite nel costume personale: si verifica, infat­ti, in primo luogo, una tendenziale coesistenza tra fibule ‘femminili’ e ‘ma­schili’, e soprattutto le prime compaiono generalmente nell’abbigliamento di entrambi i generi, dimostrando una esplicita aderenza al comportamento fu­nerario irpino-meridionale (D’AGOSTINO 1964; BAILO MODESTI 1981; 1982).

L’esibizione funebre connota, come si è detto, contemporaneamente diverse figure: donne, uomini, adolescenti, bambini. Una ostentata concen­trazione di segni sembra riguardare 6 sepolture femminili contraddistinte non solo da una vistosa parure di ornamenti personali e da un servizio vasco­lare riferibili all’orizzonte di Oliveto-Cairano, ma anche dal potenziamento simbolico della sfera degli strumenti di funzione (5968; 5980; 5970; 5977; 5946; 5987) – secondo un costume che conosce un solo confronto in area irpino-meridionale nella tomba 66 di Bisaccia. Il fastoso abbigliamento fune­bre secondo l’uso irpino prevede che tutto il corpo sia ricoperto di bronzo: dalla serie dei bracciali ad arco inflesso (da 5 a 33) ai peculiari pendagli, triangolari con decorazione incisa; ad omega o con saltaleoni; agli orecchini a capi sovrapposti, alle diverse file di fibule (oltre 20 esemplari) anche di grandi dimensioni, alla ricca decorazione della metà inferiore della veste; più rari sono altri ornamenti in ambra e osso (Fig. 8 A-B).

Aspetti altrettanto peculiari presenta la composizione del servizio va­scolare tipo Oliveto-Cairano: l’associazione più frequente per le donne del gruppo CHIANCONE IV è costituita da forme considerate a Bisaccia preva­lentemente maschili come l’askòs a più colli e il boccale decorato da bugne sotto l’orlo o sotto l’ansa; più rari sono l’anforetta con anse complesse o sormontanti, lo scodellone con ansa lunata o a pettine e l’askòs configurato (Fig. 7A; D’AGOSTINO 1964; BAILO MODESTI 1981; 1982).

Nell’ambito della componente maschile, poco si può dire della depre­data tomba principesca 5928, probabilmente una deposizione di adulto cre­mato recante nella controfossa una hydria corinzia, cuspidi di lancia, spiedi. I segni distintivi dell’area irpino-meridionale caratterizzano soprattutto in due deposizioni- 5998 (maschio di 40 anni ca.); 5926 – sia attraverso l’osten-tazione di inconfondibili tipi ceramici – olle d’argilla, una con anse a piattel­lo; boccale con le bugne e anforetta d’impasto – sia tramite la compresenza di fibule ‘maschili’ e ‘femminili’ (Fig. 7B; D’AGOSTINO 1964; BAILO MODESTI

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1981; 1982). Il corredo della 5926 appare connotato da numerosi segni di prestigio: armi, utensili di ferro (lancia, spiedi) e vasi in bronzo (oinochoe; 2 bacini). Accanto a questo repertorio, le tombe di entrambi i generi, possono presentare sia le forme del corredo base di Pontecagnano, sia ceramica di tipo greco o esemplari del repertorio in impasto locale. In due sepolture femminili ricorre l’anfora vinaria di probabile produzione pithecusana (CUOZ-ZO c.s).

Per quanto riguarda la categoria infantile (52/58 tombe), importanti aspetti della rappresentazione funeraria sono stati chiariti dalla fortunata pre­senza dei reperti antropologici in discreto stato di conservazione (BONDIOLI, MACCHIARELLI et al. c.s.). In primo luogo, il ricorrere di servizi vascolari di tipo Oliveto-Cairano contraddistingue il costume degli infanti e dei bambini entro i primi 2 anni, e sembra acquistare una preponderante connotazione ‘materna’. In particolare, di esclusivo appannaggio infantile si rivelano la brocca del tipo con collo a tromba – una forma generalmente associata al costume funerario femminile sia nella regione irpino-meridionale (Fig. 7c, 8c; D’AGOSTINO 1964; BAILO MODESTI 1981; 1982) che in altri contesti cam­pani dell’area delle “tombe a fossa” (GASTALDI 1982) – e il boccale-poppato-io, attestato anche in corredi di donne adulte, in probabile correlazione con il ruolo materno; soltanto nei corredi femminili e infantili, nei gruppi sudoc­cidentali, compare, inoltre, lo scodellone con ansa lunata o a pettine.

Un secondo fenomeno si manifesta nel comportamento funerario riser­vato ad alcuni bambini maschi dai 3 anni ai 6/8, che esibiscono un corredo sovraccarico di segni rivolti al mondo degli adulti e possono essere connotati da oggetti di prestigio – vasellame in bronzo – e strumenti di funzione – armi; utensili – tanto da configurarsi come deposizioni di ‘piccoli principi’ (in par­ticolare tombe 5867, 5870, 5910, 5929). Si tratta di un aspetto che non appare limitato ai gruppi sudoccidentali a Chiancone IV ma contraddistin­gue altre aree cimiteriali limitrofe, dove si segnala, soprattutto, la ecceziona­le tomba principesca 575 (in proprietà Chiancone I), il più completo paralle­lo infantile delle deposizioni principesche di adulti maschi (CUOZZO c.s).

La dialettica tra differenti modelli principeschi sembra rispecchiare sia una competizione interna all’élite di Pontecagnano sia una dinamica più am­pia che coinvolge le coeve aristocrazie greco-campane, etrusco-laziali e ilmondo indigeno circostante. È possibile che tale dinamica opponga gruppi ‘tradizionali’, cui apparterrebbe la necropoli orientale, legati preferenzial­mente da un lato all’ambiente laziale dall’altro all’entroterra indigeno, alle nuove aristocrazie principesche, orientate verso il mondo greco coloniale e etrusco medio-tirrenico, che sembrano aver acquisito il predominio nella necropoli occidentale: ma i due aspetti non sono così nettamente differenzia­ti e monolitici (CUOZZO c.s).

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2.8 DINAMICHE DI “GENERE” E CONNOTAZIONE INFANTILE

La dialettica femminile/maschile e i complessi aspetti connessi alla visi­bilità infantile nelle necropoli inducono a riflettere sulle molteplici implica­zioni della rappresentazione della donna nell’Orientalizzante di Pontecagna­no. Se è indubbiamente vero che l’opposizione ideologica tra un comporta­mento funerario maschile sobrio, basato sull’esibizione delle armi e impron­tato ai valori della duritia, e un costume femminile sontuoso nell’abbiglia-mento e/o in altri segni di prestigio, ha radici nella Fase II della prima età del Ferro di Pontecagnano e in ambiente campano (D’AGOSTINO 1988b), tuttavia il confronto più significativo per l’espressivo potenziamento della sfera della figura muliebre a livello familiare e sociale nella necropoli orientale sembra provenire dall’ambiente etrusco ed etrusco-laziale coevo (CUOZZO 1994a, pp. 290-292). Questa similarità sul piano ideologico è avvalorata, soprattutto nei gruppi orientali INA CASA, dalla presenza delle specifiche importazioni già menzionate – impasto etrusco-laziale o falisco; ecc. – ed anche dalla pro­babile presenza del carro nella 2465, che non sembra trovare alcun confron­to in sepolture femminili coeve di ambiente campano, mentre costituisce una delle prerogative attribuite a donne di carattere eccezionale in area medio­tirrenica (BARTOLONI, GROTTANELLI 1984).

Come hanno dimostrato svariati studi sulla figura femminile in Etruria e nella società etrusco-laziale, molteplici elementi – onomastica, fonti lette­rarie, documenti figurati, contesti archeologici – concorrono a delineare un’im-magine prestigiosa e una posizione non subalterna, configurando la donna sia come garante della casa e della sua continuità, accanto o in alternativa all’uomo, sia come depositaria di particolari poteri o forme sacerdotali: ba­sterà ricordare la celebrazione della sfera dell’attività di filatura e tessitura della lana in ambito domestico come appannaggio della donna di rango; le prerogative connesse al rito sacrificale, al taglio, alla distribuzione della car­ne e al controllo delle risorse alimentari del gruppo; l’integrazione nel sim­posio; l’attributo del carro o dello scudo; ecc. (CUOZZO c.s, con bibliografia; in particolare, SORDI 1981; GRAS 1983; BARTOLONI 1984; 1989; BARTOLONI, GROTTANELLI 1984; RALLO 1989; BEDINI 1990; D’AGOSTINO 1992; 1999, con bibliografia; TORELLI 1997). Una situazione affine potrebbe delinearsi per l’Orientalizzante di Pontecagnano.

Piuttosto che tornare su questi aspetti, già sottolineati altrove (CUOZZO

1994), sembra utile fare riferimento ad un’altra questione: il problema dei sistemi di discendenza (cfr. soprattutto SORDI 1981). Uno dei campi più ricchi di implicazioni è l’onomastica etrusca e, in particolare l’esistenza del matro­nimico: si tratta di una questione di rilievo straordinario come sottolinea giustamente M. Sordi, poiché l’indicazione della filiazione è strettamente connessa presso i popoli antichi con il diritto di cittadinanza, con tutte le prerogative della discendenza e, pertanto, con i diritti ereditari (SORDI 1981,

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pp. 54-56; D’AGOSTINO 1992). Il sistema di discendenza evocato per l’Etruria sulla base dell’onomasti-

ca e dell’interpretazione delle fonti letterarie sembra corrispondere a quello definito in antropologia come bilineare o doppio, che prevede la discenden­za e, generalmente anche la possibilità di ereditare sia dalla linea paterna che da quella materna (LEACH 1961; FOX 1970; HARRIS 1987). Testimonianze archeologiche eccezionali, in tal senso, appaiono la famosa stele vetuloniese di Aule Feluske – dove la nobiltà del personaggio è avvalorata attraverso l’ostentazione di entrambe le linee di discendenza, femminile e maschile (CO-LONNA 1977b, pp. 189 ss.; D’AGOSTINO 1992, con bibliografia) – ed ora anche il trono della tomba 89 di Verrucchio, secondo la recente interpretazione di M. Torelli (1997).

Per quanto riguarda Pontecagnano, la suggestione di sistemi di discen­denza bilineari – che merita un futuro approfondimento – potrebbe prospet­tarsi sulla base dei comportamenti della necropoli orientale, da un lato per la centralità ideologica della donna documentata nei gruppi settentrionali INA CASA, dove, a differenza di altre aree, si verifica l’accentramento esclusivo nel costume funerario femminile di tutti i segni della continuità del nucleo familiare e del gruppo, dall’altro per il legame diretto tra l’immagine funera­ria degli infanti entro i due anni e il mondo materno nel campione Chianco­ne IV. Un ulteriore aspetto è rivelato dall’ambiguità che si determina nel com­portamento funerario di alcuni bambini oltre i 3 anni tra l’adozione del co­stume del maschio adulto di rango e, invece, la persistenza di una forte in­fluenza del versante materno, visibile nel trattamento del corpo (inumazio­ne), nella selezione degli strumenti deposti nella tomba – per esempio l’asso-ciazione spiedo-coltello che appare prevalentemente legata alla sfera femmi­nile, nella necropoli orientale – o, infine, nel ritorno di segni ‘materni’ in alcune sepolture di adolescenti e adulti (CUOZZO c.s).

A Pontecagnano, tra gli aspetti maschile e femminile sembra verificarsi una evidente ambiguità, spesso connaturata, d’altronde, a società con sistemi di discendenza bilineare, attraversati da tensioni e da una complessa dialetti­ca che tende a privilegiare l’uno o l’altro aspetto (LÉVI-STRAUSS 1958; LEACH

1961; FOX 1970). Una seconda questione da approfondire riguarda il vistoso mutamento

nella rappresentazione funeraria di alcuni bambini maschi, connotati come ‘piccoli principi’, a partire dall’età di 3 anni che sembra già costituire, in alcune aree del mondo arcaico o in contesti etnografici, un particolare mo­mento di transizione, forse la prima età considerata degna di un certo rico­noscimento sociale (CUOZZO c.s.); una interessante testimonianza in tal senso è offerta dalle leges regiae attribuite a Numa: «egli fissò anche la durata del lutto secondo l’età e il tempo. Per esempio, non bisognava osservare il lutto per un bambino di meno di tre anni» (Plut., Num., 12,3).

I complessi comportamenti documentati nel trattamento della catego-

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ria infantile costituiscono un osservatorio privilegiato per seguire nella rap­presentazione funeraria le tappe della costruzione e selezione delle identità maschili dell’élite di Pontecagnano. A partire dai 3 anni è possibile ipotizzare per alcuni bambini maschi una precoce proiezione verso il passaggio al mon­do degli adulti e verso identità che non hanno avuto il tempo di ricoprire: attraverso l’esibizione di un costume sovraccarico di segni tale transizione appare significativamente costruita nel comportamento funerario. Come ri­corda, I. Hodder d’altronde, «il rituale funerario non è un riflesso passivo dialtri aspetti della vita. È costruito significativamente (…) nella morte spesso le persone diventano ciò che non sono state in vita» (HODDER 1982c, pp.141, 146). È possibile che a Pontecagnano questo trattamento funerario par­ticolare fosse considerato lecito soltanto a partire dalla prima età di passag­gio riconosciuta socialmente per la componente infantile (3 anni) e riservato a quei bambini la cui scomparsa provocava un momento di crisi profonda nel gruppo di parentela, probabilmente i primogeniti maschi dei lignaggi domi­nanti.

L’ipotesi dello svolgimento di rituali di iniziazione degli adolescenti è già stata avanzata di recente per la prima età del Ferro, sia ad Osteria del-l’Osa che a Pontecagnano (BIETTI SESTIERI 1992, pp. 504 ss.; GASTALDI 1998), per spiegare l’attribuzione a partire dall’età giovanile delle armi, assenti inve­ce nel costume funebre dei bambini maschi. Tuttavia, i comportamenti de­scritti per l’Orientalizzante di Pontecagnano sembrano evocare fenomeni più complessi, forse connessi a veri e propri antecedenti nella prima infanzia dei rituali di passaggio, noti e studiati sia per il mondo antico – in alcuni casi specifici (in particolare, MONTEPAONE 1999, con ampia bibliografia) – sia in contesti etnografici, dove sono documentate molteplici fasi di transizione tra l’infanzia e l’adolescenza accompagnate da specifiche cerimonie, a partire dal rituale per l’attribuzione del nome fino ai diversi momenti delle procedu­re iniziatiche in senso stretto (in particolare, BARRY-SCHLEGEL 1980; LALLEMAND-LE MOAL 1981). Molto interessanti, a questo proposito, sono anche gli studi sui rituali di passaggio femminili e maschili nella Roma arcaica che eviden­ziano le varie tappe di iniziazione e forme di cristallizzazione nel costume funerario (cfr. soprattutto, TORELLI 1984; 1990).

2.9 COESISTENZA DI PIÙ IDEOLOLOGIE ALL’INTERNO DELLO STESSO CONTESTO: COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ, INTEGRAZIONE, RESISTENZA E DINAMICHE ETNICHE

Altri aspetti di difficile interpretazione rivelati dalla coesistenza di più ideologie nell’ambito dello stesso contesto sono connessi alla presenza di gruppi o individui che ostentano marcati segni di diretti legami con specifici ambienti esterni. Anche in questo caso la lettura non può essere univoca.

Sono da inquadrare, senza dubbio, all’interno di relazioni privilegiate tra élites gentilizie i comportamenti riscontrati nei gruppi funerari INA CASA,

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in particolare, la ricorrente presenza dell’impasto fine d’importazione etru-sco-laziale o falisca ed alcune convergenze con il medesimo ambiente verifi­cabili nel costume funerario. Interrogativi molto più complessi sono prospet­tati dall’ostentazione simbolica di sistemi strutturati di segni rivolti all’oriz-zonte di Oliveto-Cairano nel campione sudoccidentale CHIANCONE IV.

Le ipotesi interpretative possibili sono soprattutto tre. Ad una prima interpretazione – che avrebbe il vantaggio di evitare i pericoli insiti nelle ipotesi connesse allo spostamento di genti, inquadrando piuttosto il fenome­no nell’ambito dei rapporti tra gruppi di diverse comunità – o ad un secondo tipo di spiegazione, riferita, invece, al modello del connubium, implicante lo scambio matrimoniale di donne appartenenti a ceti elevati di comunità allo­trie, in queste pagine, sarà preferita una terza ipotesi: la possibilità che si tratti di un intero gruppo allogeno proveniente dall’area di Oliveto-Cairano (su tali argomenti, cfr. nota 4).

Pur lasciando aperti numerosi interrogativi e problemi, questa inter­pretazione sembra, allo stato attuale, l’unica che riesca a motivare l’adozione di un dominante linguaggio irpino-meridionale nel comportamento funera­rio delle diverse componenti demografiche dei gruppi sudoccidentali di Pon­tecagnano: in primo luogo la esplicita adesione a peculiari norme nel costu­me personale sia femminile che maschile (per es. il complesso apparato fem­minile o la compresenza di fibule ‘maschili’ e ‘femminili’; ecc.), in secondo luogo, l’ostentata insistenza sull’esibizione di servizi in ceramica di uso co­mune – come il repertorio in impasto lavorato a mano di tipo irpino- e l’esten-sione di tale corredo alle sepolture infantili correlate.

Non appare possibile, invece, una precisa identificazione del centro di provenienza dei gruppi irpini di Pontecagnano, da un lato per la mancanza o carenza di sufficiente documentazione edita per la maggior parte di tali siti, dal-l’altro, forse, anche per il verificarsi di un rafforzamento intenzionale delle com­ponenti tipo Oliveto-Cairano nei contesti funerari CHIANCONE IV (D’AGOSTI-NO 1964; PESCATORI, COLUCCI 1971a; 1971b; BAILO MODESTI 1981; 1982).

L’individuazione di una compagine allogena strutturata e connotata se­polta nell’ambito delle necropoli principali di Pontecagnano, in posizione non marginale, contraddistinta dall’insistenza simbolica su possibili indicato­ri etnici apre molteplici interrogativi sul grado di integrazione di gruppi o elementi di diversa provenienza nel tessuto sociale del centro picentino e sulle articolate problematiche di mobilità etnica.

I numerosi studi sui fenomeni di mobilità in Etruria e nel Lazio dimo­strano che l’accoglienza e integrazione di gruppi e individui di diversa origi­ne era un fenomeno estremamente diffuso nelle società aperte dell’Orienta-lizzante: come sottolinea Ampolo, la continua mobilità sociale era dovuta a fattori diversi, dalle guerre con deportazione dei vinti, all’attrazione esercita­ta dai centri emergenti, all’assorbimento pacifico o forzato delle comunità vicine ma soprattutto sembrerebbe strettamente legata all’affermazione e allo

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sviluppo dell’aristocrazia gentilizia (AMPOLO 1981, pp. 66-67; cfr. nota 4). Un interrogativo che resta aperto e sembra indicare una ulteriore dire­

zione di futura indagine, è la possibilità che l’esibizione programmatica di uno strutturato sistema di segni di carattere allogeno – soprattutto nel costu­me femminile e infantile – costituisca l’indizio di una strategia di resistenza di tipo etnico e/o sociale: le complesse dinamiche che accompagnano la co­struzione di identità, infatti, potrebbero offrire una chiave di lettura per i peculiari aspetti che contraddistinguono i gruppi irpino-meridionali di Pon­tecagnano (cfr. supra pp. 341-343 e nota 4).

Come si è ricordato precedentemente, recenti studi hanno riconsidera­to le modalità di azione di diverse forme di resistenza esaminando, in parti­colare, comportamenti di tipo quotidiano che alimentano – in modo più o meno cosciente e non necessariamente competitivo – la costruzione o tra­smissione di ideologie alternative attraverso l’uso della cultura materiale e apparenti forme di conservatorismo; una suggestione in tal senso potrebbe delinearsi per l’area sudoccidentale CHIANCONE IV, sia pure nell’ambito di un contesto dove le strategie di resistenza, sembrerebbero comparire in pri­mo luogo all’interno di gruppi che non si rappresentano attraverso un lin­guaggio di marginalità. I gruppi sudoccidentali, infatti, sembrano voler di­mostrare una capacità di inserimento competitivo nel tessuto sociale elitario del centro picentino, tuttavia tale convivenza presenta un carattere di ambi­guità: il comportamento funerario appare attraversato da latenti tensioni di carattere etnico e sociale espresse in forma contraddittoria ma visibile, utiliz­zando come tramite privilegiato il costume femminile-infantile.

Un ulteriore ambito che merita approfondimento è la cultura materiale dei centri irpino-meridionali di riferimento. Se si considera, infatti, la docu­mentazione disponibile per le comunità di Oliveto-Citra, Cairano, Bisaccia, è possibile notare come l’inconfondibile patrimonio materiale – ornamentale e vascolare – considerato tipicamente irpino-meridionale, si riveli codificato e rielaborato in gran parte proprio in questa fase, tra la fine dell’VIII e la prima metà del VII, cristallizzandosi nel costume funerario in una forma for­malizzata e ristretta, pressoché immutata, attraverso poche variazioni tipolo­giche, fino al periodo arcaico (D’AGOSTINO 1964; BAILO MODESTI 1981; 1982). Tale fenomeno si accompagna – nei tre centri principali – all’assenza (o rifiu­to?) della ceramica di tipo greco e, generalmente, anche degli altri elementi legati al costume ellenizzante almeno fino al VI sec. a.C. (sotto certi aspetti l’unica parziale eccezione appare la tomba 66 di Bisaccia: BAILO MODESTI 1982), al contrario delle altre comunità campane che subiscono una più o meno consistente influenza del modello cumano-pithecusano.

Si tratta di una serie di elementi generalmente considerati forme di conservatorismo che potrebbero, forse, prestarsi anche ad una lettura diver­sa, acquistando la fisionomia di forme di resistenza di tipo quotidiano, con­nesse a complesse dinamiche di costruzione dell’identità etnica di tipo con-

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trastivo/oppositivo, riconosciute e indagate solo per periodi più recenti (cfr. nota 4).

Non intendo affrontare in questa sede le problematiche associate ai legami adriatici e transadriatici dei peculiari aspetti culturali irpino-meridio-nali, né soffermarmi sulle possibili motivazioni di tipo economico dell’espan-sione di tali comunità nell’Orientalizzante. Interessa piuttosto sottolineare come i compositi comportamenti descritti per Pontecagnano indichino l’esi-genza di seguire anche altre ipotesi e di tentare di rintracciare le spiegazioni di questi fenomeni in primo luogo in cause ‘interne’. Non può essere dimen­ticata, d’altronde, anche la funzione strutturante di Pontecagnano nella re­gione picentina dove si verifica, proprio durante l’Orientalizzante antico – forse come conseguenza della forte attrazione centripeta esercitata nel mo­mento della sua massima fioritura – la formazione o riorganizzazione di nu­merosi siti, caratterizzati nei comportamenti funerari da un’appariscente dia­lettica tra i segni della prevalente connotazione irpino-meridionale e molte­plici indicatori dell’influenza della comunità etrusco-campana (S. Maria a Vico, Montecorvino Rovella, Castelvetrano, Eboli, ecc.; CINQUANTAQUATTRO

1991, CERCHIAI 1995, p. 91 ss.). Le complesse dinamiche identificate per i gruppi irpino-meridionali,

potrebbero essere indirizzate, pertanto, a due interlocutori principali: da un lato Pontecagnano e il suo ruolo nella regione costiera, dall’altro il potere ideologico prima che politico e l’espansione economica delle città greco-cam-pane. L’analisi delle necropoli urbane e dei siti del territorio potrebbe sugge­rire, infatti, che il centro picentino possa aver svolto un ruolo determinante e ambiguo attualmente difficilmente leggibile nella pluralità dei suoi aspetti. L’indagine sul significato dei complessi fenomeni delineati e sui loro sviluppi a livello diacronico, tuttavia, non può che restare aperta, allo stato attuale, e suggerire le linee di possibili approfondimenti.

3. Conclusioni

In conclusione, è importante sottolineare come la ricerca di un approc­cio teorico-metodologico adeguato al complesso campo dell’interpretazione delle necropoli sia da considerare ancora una questione aperta e problemati­ca: la prospettiva seguita in questo contributo indica da un lato l’esigenza di un approccio interpretativo diretto all’indagine sull’immaginario collettivo, i suoi aspetti selettivi e polivalenti, il suo ruolo attivo nella costruzione sociale ed alla ricerca delle diverse modalità di azione delle ideologie e delle molte­plici forme di identità – nel quadro di fondamentali interrogativi di carattere socio-antropologico e storico – dall’altro evidenzia la necessità di sperimen­tare più direzioni metodologiche, rielaborando forme di analisi strutturale e semiologica in senso lato, di tipo qualitativo e oppositivo che non escludono,

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tuttavia, l’utilità dell’adozione di strumenti e tecniche di altro tipo.

MARIASSUNTA CUOZZO

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*Desidero ringraziare in particolare i proff. Bruno d’Agostino e Luca Cerchiai per il costante e prezioso aiuto in tutte le fasi del lavoro. Un vivo ringraziamento è rivolto inoltre al dr. L. Bondioli ed alla dr. M. Bernabei cui si devono le analisi statistiche dei campioni, al dott. A. d’Andrea per la grafica informatizzata, a Eugenio Lupoli per le fotografie e a C. Lanzara eA. Beatrice per i disegni (2;4,6,7, 8).

1 L’ampia bibliografia è in parte raccolta in VERNANT 1965 (1984); VIDAL, NAQUET 1981; SCHNAPP 1980; BÉRARD 1983; La Citè des images in particolare SCHNAPP 1984; La mort, le morts dans les sociétés anciennes (GNOLI, VERNANT 1982); La parola, l’immagine la tomba 1988; e, ora, in FRONTISI DUCROUX-VERNANT 1998; D’AGOSTINO, CERCHIAI 1999; MONTEPAONE 1999; cfr. anche CUOZZO 1996, nota 5.

2 Per il lavoro sui temi riguardanti l’interpretazione delle immagini e lo studio delle necropoli cfr., soprattutto, da un lato le affermazioni metodologiche in Pontrandolfo-Rouveret 1982; 1992 e, ora, soprattutto, D’AGOSTINO-CERCHIAI 1999, con ampia bibliografia, dall’al-tro, le riflessioni teoriche in D’AGOSTINO 1977; 1985; 1990a; 1996; D’AGOSTINO, SCHNAPP 1982; D’AGOSTINO c.s.; CUOZZO 1996, nota 5; cfr. inoltre i diversi contributi in La mort, le morts dans les sociétés anciennes (Gnoli-Vernant 1982) e in La parola, l’immagine la tomba 1988 (M. TADDEI; I. BALDASSARRE, B. D’AGOSTINO, L. CERCHIAI, A. PONTRANDOLFO et al., A.M. D’ONOFRIO; ecc.), e le considerazioni in D’AGOSTINO 1991. Per quanto riguarda altri tipi di approccio e l’ampio dibattito su altri temi, in particolare sugli argomenti connessi al popola­mento della Campania (confronto tra culture, confini, frontiere, scambio, mobilità, accultu­razione, etnogenesi ecc.), senza pretesa di esaustività, cfr. infra nota 4; per la città e le forme di “produzione spaziale” cfr., soprattutto, GRECO 1992; e i contributi in GRECO 1999a con bibliografia precedente. Sui rapporti tra archeologia e antropologia cfr., in particolare, BIETTI SESTIERI et al. 1986; BIETTI SESTIERI 1996; D’AGOSTINO 1999b.

3 Per le prospettive teorico-metodologiche nell’interpretazione delle necropoli e la considerazione di altri approcci in ambito italiano, cfr. infra pp. 343 ss. e, in particolare, BIETTI SESTIERI 1992, 1996; TORELLI 1997; GAMBACURTA, ROTA SERAFINI 1998.

4 Per citare solo alcuni esempi della ampia discussione storico-archeologica di ambito italiano su questi argomenti, senza alcuna pretesa di esaustività, cfr. in particolare, per la Campania i quadri di sintesi con bibliografia precedente in PONTRANDOLFO 1982; 1994; D’AGOSTINO1988a; 1988b; LEPORE 1989; PONTRANDOLFO, D’AGOSTINO 1990; GRECO 1992; CER-CHIAI 1995; TAGLIAMONTE 1996; cfr. anche D’AGOSTINO 1995, i vari contributi in Apoikia (BATS-D’AGOSTINO 1994); Euboica (Euboica 1998); La Presenza etrusca nella Campania Meridiona­le (Presenza Etrusca 1994), e ora, in generale, per l’Italia meridionale, soprattutto, i vari contributi in Confini e frontiera (Confini e frontiera 1999), con vasta bibliografia e rassegna del dibattito precedente in particolare CORCELLA 1999, CERCHIAI 1999; D’AGOSTINO 1999b; GRECO 1999a; BATS 1999; MORGAN 1999; PROCELLI, ALBANESE 1999; per l’Etruria e Lazio arcaico, cfr. per esempio, i diversi contributi in Gli Etruschi e Roma (Etruschi e Roma 1981), soprattutto gli articoli di C. Ampolo, G. Colonna; ecc.; Etruria e Lazio arcaico (CRISTOFANI 1987) con la discussione, pp. 67-71; 185-191 (in particolare, gli interventi di M. Pallottino; D. Musti; G. Colonna; C. Ampolo; M. Cristofani; E. Lepore; A. Mele; ed altri); Crises et

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transformation (Crises et transformation 1990); cfr. anche TORELLI 1988; 1997; D’AGOSTINO 1991a; CARANDINI 1997; Identità e civiltà dei Sabini (Identità e Civiltà 1996) con bibliografia.

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