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280 SULLE POSSIBILITÀ DI DATAZIONE E DI CLASSIFICAZIONE DELLE MURATURE 1. Gli ‘indicatori cronologici’ Individuando il contorno delle USM è possibile focalizzare un ambito piuttosto omogeneo (1), nel quale la tecnica muraria può essere studiata indipendentemente dal contesto edificato. A questo punto nasce, subito, il problema della datazione assoluta delle USM. Le USM difficilmente con- tengono elementi datanti, ma comunque, in una maniera o nell’altra, han- no in sé diverse potenzialità di datazione. In un articolo del 1984 (2), Tiziano Mannoni ha indicato una serie di fonti, di modi e di tecniche per riuscire a datare l’edilizia storica, a prescin- dere da qualsiasi differenziazione tra ‘monumenti’ ed ‘edilizia minore’. Si vuole, adesso, ripercorrere in maniera molto più riduttiva e sinteti- ca, le orme di quell’articolo, cercando di esemplificare quali siano, secon- do la definizione del Mannoni, gli ‘indicatori cronologici’. Per arrivare ad individuare gli indicatori vengono usate le fonti indi- rette, ricavabili da documenti che non sono collegabili direttamente al com- plesso edilizio in quanto tale, e quelle dirette, che sono leggibili soltanto e direttamente sulla struttura muraria. I metodi indiretti sono i mezzi classici impiegati nella Storia dell’Ar- chitettura e in altri tipi di analisi per stabilire la cronologia degli edifici e cioè: fonti storiche, cartografiche, iconografiche ed orali o narrative. Le datazioni dirette si suddividono in datazioni relative o sequenziali, (1) Il ‘termine omogeneo’ è strettamente correlato alla scala dell’intervento e al grado di approfondimento dell’analisi. Così potremo definire omogeneo un intero edificio, se la scala d’intervento è territoriale, così come omogenea è una determinata varietà di aggregato se l’analisi è riferita alle malte e agli intonaci. (2) MANNONI, 1984b. © 1988 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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SULLE POSSIBILITÀ DI DATAZIONE E DI CLASSIFICAZIONE

DELLE MURATURE

1. Gli ‘indicatori cronologici’

Individuando il contorno delle USM è possibile focalizzare un ambitopiuttosto omogeneo (1), nel quale la tecnica muraria può essere studiataindipendentemente dal contesto edificato. A questo punto nasce, subito, ilproblema della datazione assoluta delle USM. Le USM difficilmente con-tengono elementi datanti, ma comunque, in una maniera o nell’altra, han-no in sé diverse potenzialità di datazione.

In un articolo del 1984 (2), Tiziano Mannoni ha indicato una serie difonti, di modi e di tecniche per riuscire a datare l’edilizia storica, a prescin-dere da qualsiasi differenziazione tra ‘monumenti’ ed ‘edilizia minore’.

Si vuole, adesso, ripercorrere in maniera molto più riduttiva e sinteti-ca, le orme di quell’articolo, cercando di esemplificare quali siano, secon-do la definizione del Mannoni, gli ‘indicatori cronologici’.

Per arrivare ad individuare gli indicatori vengono usate le fonti indi-rette, ricavabili da documenti che non sono collegabili direttamente al com-plesso edilizio in quanto tale, e quelle dirette, che sono leggibili soltanto edirettamente sulla struttura muraria.

I metodi indiretti sono i mezzi classici impiegati nella Storia dell’Ar-chitettura e in altri tipi di analisi per stabilire la cronologia degli edifici ecioè: fonti storiche, cartografiche, iconografiche ed orali o narrative.

Le datazioni dirette si suddividono in datazioni relative o sequenziali,

(1) Il ‘termine omogeneo’ è strettamente correlato alla scala dell’intervento e al gradodi approfondimento dell’analisi. Così potremo definire omogeneo un intero edificio, se lascala d’intervento è territoriale, così come omogenea è una determinata varietà di aggregatose l’analisi è riferita alle malte e agli intonaci.

(2) MANNONI, 1984b.

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tipiche dei metodi dell’archeologia stratigrafica (contemporaneo a, primadi, posteriore a), e in datazioni assolute o intrinseche. Le datazioni assolu-te, sia di origine antropica, sia di origine naturale (archeometriche) po-trebbero essere in grado di darci una cronologia assoluta, spesso con unaoscillazione temporale assai più limitata degli altri indicatori.

Le datazioni relative si suddividono ancora in datazioni inerenti lestrutture stesse dell’edificio e in datazioni che si evincono dal rapporto frai reperti mobiliari, contenuti negli strati prevalentemente orizzontali, e lestrutture in elevato. La serie completa degli indicatori cronologici è rica-vabile dallo schema della Fig. 1.

L’esperienza insegna che è abbastanza difficile poter usufruire di tuttigli indicatori cronologici, dovendo scegliere, per lo studio dell’edificato,alcuni sistemi di datazione piuttosto di altri, a seconda dell’impegno eco-

Fig. 1 — Gli indicatori cronologici per una datazione dell’edilizia storica (elaborazioneda MANNONI, 1984b).

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nomico, di tempo e di personale a disposizione. È un problema che riguar-da la gradualità dell’approfondimento, così come è apparsa dalla discus-sione dei giorni passati.

Cerchiamo adesso di saperne di più sui circa venti indicatori cronologici.Le fonti storiche possono fornire informazioni, che sono comunque

molto rare per le strutture minori e per i periodi che precedono il XIIIsecolo, sul committente, sul costo, sulle strutture sociali, sui rapporti fracommittente e costruttore, altrimenti difficilmente ricavabili. Tuttavia risul-ta particolarmente difficoltoso riuscire a collegare in maniera precisa unainformazione desunta da questo tipo di fonti con una serie di USM, anche seraggruppate per attività. Non volendo assolutamente sottovalutare la quali-tà, la quantità e l’importanza dei dati che emergono dallo studio delle fontiarchivistiche, siamo consapevoli che ben altre informazioni si possono rica-varne, che non la datazione nuda e cruda delle strutture edilizie.

Anche le fonti cartografiche hanno un’importanza fondamentale, ma,generalmente, per periodi posteriori al XVI secolo.

Le fonti iconografiche costituiscono il pane quotidiano dello storicodell’arte. Le datazioni basate esclusivamente sui confronti stilistico-for-mali, però, lasciano, molto spesso, un’ombra di dubbio. Per esempio aSiena, dove è presente, in epoca basso-medievale, un accentuato conserva-torismo architettonico, una ripetizione delle forme che continua sicura-mente fino a tutto il XV secolo, e probabilmente anche successivamente,l’interpretazione del divenire dei modi decorativi è resa difficile dall’estre-ma viscosità dell’apparato formale. È quasi impossibile determinare conprecisione dove finisce la maniera ‘gotica’ e inizia il gusto ‘neogotico’.

Dalle fonti orali, ovviamente, abbiamo notizie che risalgono indietrodi pochi decenni, ma che sono importanti per la registrazione di una tecni-ca costruttiva ormai perduta (3).

Dalle fonti per una datazione diretta, che traggono le informazioni di-rettamente dalla struttura muraria, potremo ottenere indicazioni sulla cro-nologia relativa delle vicende costruttive dell’edificio. La conoscenza strati-grafica delle murature è stato l’argomento della comunicazione precedentee non occorre ricordarne le potenzialità. Anche la modifica della forma

(3) Il campo della tradizione orale ha un seguito vastissimo nelle discipline etnografi-che, ma possiamo far rientrare in queste esperienze le due testimonianze pubblicate da Man-noni, cfr. MANNONI, 1985 e MANNONI, 1986.

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delle aperture deve essere considerata come un indicatore cronologico didatazione diretta. Due esempi recentemente pubblicati mostrano i risultatiottenibili. Nello studio sulla casa-torre toscana (4) e nella ricerca sulle di-more dell’alta valle Aulella, in Lunigiana (5), i risultati possono sembraresimili, registrando i passaggi, i cambiamenti nella tecnica costruttiva e nellaforma delle aperture, ma la metodologia è sostanzialmente diversa. Lo stu-dio della casa-torre fa riferimento ad una campionatura relativamente am-pia, però non esaustiva, mentre nel caso delle dimore della Lunigiana si hauna registrazione a tappeto, totale, delle aperture esistenti.

Inoltre la prima serie è ordinata cronologicamente su basi quasi esclu-sivamente formali e di logica costruttiva, mentre l’altra si appoggia ad una‘coerenza fra gli elementi’ e ad una serie di date, incise o a rilievo, postesopra o intorno alle architravi, che costituiscono una fonte inequivocabileper la cronologia (vedi infra la voce epigrafi).

Un’altra possibilità di datazione è fornita dall’individuazione di unaprecisa tipologia edilizia, con una caratteristica distribuzione dei vani edei collegamenti interni. Pur con i limiti, ormai assodati, di questa meto-dica di studio, esistono particolari tipologie che oppongono una maggioreresistenza alle trasformazioni, ad esempio le torri. La torre, in Toscana, èun tipo di edificio ben definito nel tempo, che si sviluppa alla fine del Xsecolo (ricordata in documenti del 995-996) e continua fino al 1220-1250.Dopo questo periodo di circa 200-250 anni, le torri intese come struttureanche abitative non verranno più costruite. La torre, tuttavia, svolgeràancora una funzione simbolica (ad esempio la torre del Mangia a Siena) oinerente alle fortificazioni (Casseri e mura civiche).

A questo indicatore possiamo collegare l’altro, che fa riferimento allemodifiche nella tecnica distributiva e di completamento degli edifici: sca-le, volte, coperture, terrazzi, etc.

Abbiamo visto come i criteri di datazione si possono collegare ad unamodifica degli elementi strutturali, ma anche le tecniche costruttive pos-sono essere utilizzate come indicatori cronologici. La tecnica costruttivadi una muratura è un problema legato a fattori naturali e culturali insieme,ed è un settore della ricerca che attualmente sta avendo un grande svilup-po. Vedremo successivamente in quale maniera ampliare lo studio, per

(4) BRAUNE, 1983.(5) FERRANDO CABONA, CRUSI, 1980.

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una migliore conoscenza di qualche aspetto inerente le murature.È importante notare che, fra tutti gli indicatori cronologici, le mura-

ture sono sempre presenti: un edificio non può essere considerato tale, senon ha dei muri, o comunque delle strutture, che delimitano uno spazio.

Il tipo di materiale impiegato nelle costruzioni è quasi sempre legato afattori naturali, ma può diventare un indicatore cronologico. Per la Ligu-ria si conoscono i luoghi di approvvigionamento degli aggregati delle mal-te, con differenziazioni cronologiche ben determinate (6). Anche per Sie-na è possibile ipotizzare una cronologia delle costruzioni, a seconda delmateriale impiegato. Lo studio è ancora in corso, la scelta non è semprelineare ed esistono numerose eccezioni, ma è valida per grandi linee. Finoalla metà del XIII secolo, per le costruzioni più ‘prestigiose’, si impiega ilcalcare cavernoso, successivamente appare una fase mista di pietra e late-rizio e quindi, dalla fine del XIII secolo, primi anni del XIV, si impiegaquasi esclusivamente il laterizio, senza però dimenticare che l’utilizzazio-ne del calcare ha una lunga storia di reimpieghi, per cui troviamo, nellecostruzioni trecentesche, conci provenienti da abitazioni demolite. E ri-mane piuttosto difficile riuscire a capire quando i conci di calcare sonopreparati appositamente per tale muratura e quando, invece, sono il fruttodel reimpiego di una struttura demolita. Questo è uno dei molti problemiche devono essere tenuti presenti in una eventuale collocazione cronologi-ca dei materiali da costruzione.

I riempimenti delle fosse di fondazione, dei livelli pavimentali, dellevolte, l’inserimento di ceramiche nelle strutture sono ben conosciuti dagliarcheologi, che sfruttano egregiamente le potenzialità informative corre-late alla presenza di reperti mobiliari. I luoghi dove si instaurano rapportitra essi e le strutture in elevato sono essenzialmente due:

1) fosse di fondazione, livelli d’uso e riempimenti delle volte (stratiprevalentemente orizzontali);

2) inserimenti estetico-funzionali (prevalentemente sull’elevato).Gli eventuali materiali contenuti, perché gettati o inseriti volontaria-

mente, nelle due situazioni precedenti, possono fornire sicure indicazionicronologiche sull’epoca di formazione del deposito (bacino di sedimenta-zione o muratura) (7). Nella Fig. 2 sono indicati i principali tipi di fossa di

(6) Si veda MANNONI, 1984a.(7) BONORA, 1979.

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fondazione che, generalmente, si incontrano. Una misura intermedia è lafossa relativa alla fondazione di una struttura edilizia scavata a Scarlino(GR). Nonostante lo spazio fosse ristretto (10-15 cm), il riempimento eraincredibilmente ricco di materiale del XIII secolo.

I bacini ceramici (8), ma anche particolari forme chiuse usate per al-leggerire i riempimenti (9), sono degli esempi particolarmente significativiper l’importanza che rivestono come indicatori cronologici. I bacini sono,quasi sempre, più studiati e meglio conosciuti delle strutture murarie nellequali sono inseriti. È quindi possibile arrivare al periodo di costruzionecorrelando l’epoca di circolazione dei materiali ceramici all’erezione dellamuratura. Naturalmente gli archi cronologici non sono sempre ristretti,anzi, in certi casi possono variare fra uno-due secoli, ma costituisconocomunque un punto di appoggio utilissimo nella periodizzazione di uneventuale matrix.

Fig. 2 — Tipi principali di fosse di fondazione: A - a sacco; B - a fossa stretta; C - afossa larga.

(8) La distribuzione e lo studio dei bacini ceramici apposti negli edifici religiosi, ecivili, italiani è ormai quasi completata. Per una visione di sintesi si veda BERTI, TONGIORGI,1981 e GELICHI, 1986.

(9) Innumerevoli sono i ritrovamenti di ‘forme chiuse’ nei riempimenti di volte. Peralcuni aspetti specifici si veda FRANCOVICH, VANNINI, 1976 e MARINO, FRANCHI, 1987.

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Con questi esempi si esauriscono gli indicatori cronologici relativi,ricavabili da una sequenza stratigrafica.

Tra gli indicatori più utilizzati per ricavare una datazione assoluta sitrovano le epigrafi, in genere estremamente precise, qualche volta di diffi-cile interpretazione (10). Un problema di cui bisogna tener conto, studian-do le epigrafi, è la relazione stratigrafica che esiste tra la tabella e la mura-tura circostante. In genere le epigrafi sono apposte su una muratura dopola sua costruzione. Probabilmente poco tempo dopo, ma questo tipo dioperazione è conseguente ad un’azione di rottura, con la quale si costitu-isce un’interfaccia negativa intorno all’epigrafe, che può rendere fluttuan-te, nel matrix, la posizione rispetto ad un valore cronologico assoluto.Sappiamo che l’epigrafe è successiva alla costruzione del muro, ma nonpossiamo sapere con certezza quanto tempo sia intercorso tra la costruzio-ne del muro e l’apposizione dell’epigrafe. A seconda del tipo di epigrafepossiamo ipotizzare uno iato, estremamente limitato, ma non è semprecosì. E allora l’epigrafe costituisce solamente il terminus post quem. Il casocontrario è costituito da epigrafi reimpiegate o, comunque, spostate dallasede originaria per essere affisse in murature più recenti.

Gli altri indicatori cronologici assoluti, sia quelli dipendenti da fattoriantropici, come la mensiocronologia dei laterizi e del tufo vulcanico, siaquelli relativi a fattori naturali, fanno parte delle ricerche archeometriche:dendrocronologia, radiocarbonio, termoluminescenza e archeomagneti-smo, come vedremo nelle prossime comunicazioni.

2. Sulla classificazione delle murature

Un recente articolo confuta la possibilità di applicare il metodo dilettura stratigrafica allo studio dell’architettura. Spigolando tra i paragrafisi può trovare questo appunto: « Essa [l’indagine archeologica] ignora ilprofilo tecnico delle apparecchiature murarie e dei materiali ed elementiedilizi » (11). Se una critica poteva essere fatta, si doveva riconoscere che

(10) Un esempio delle difficoltà che possono sorgere dall’interpretazione di un’epi-grafe non troppo chiara, si ha nella datazione della Pieve di S. Giovanni a Campiglia Ma-rittima (LI), cfr. BACCI, 1917. Le epigrafi possono fornire delle informazioni anche sullosviluppo di un intero quartiere medievale, come nel caso di Cittanuova, a Massa Maritti-ma, cfr. PARENTI (c.s.).

(11) BONELLI, 1986.

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l’attenzione ai processi produttivi, anche nell’edilizia, è una acquisizionerecente, che deve essere ulteriormente sviluppata, dell’indagine archeolo-gica. Buona parte della scarsa bibliografia, però, è frutto dell’attività diarcheologi o basata su dati forniti dalla ricerca archeologica (12). Il pro-gresso della conoscenza, nel campo delle tecniche costruttive, ha, forse,un piccolo debito che deve essere riconosciuto anche alle persone che sisono occupate dell’aspetto materiale della costruzione.

Questa digressione ci riconduce ai problemi legati allo studio dellemurature. L’analisi delle tecniche murarie dovrà adottare criteri che, ana-logamente a quelli usati nello studio delle ceramiche, permettano un facileconfronto fra murature costruite in luoghi diversi. Da questo assunto sidiparte una linea metodologica che deve essere ancora sperimentata sularga scala. Nel giugno del 1987 è stata presentata, al convegno di Bressa-none, una proposta di classificazione delle tecniche murarie post-classi-che, basata essenzialmente sullo studio delle superfici esterne delle mura-ture, o comunque dei particolari osservabili ad una indagine macroscopicadella ‘pellicola’ esteriore (13).

Nonostante la riduzione del numero di voci caratterizzanti, si devenotare che non intendiamo sconfessare la validità della scheda sulla qualeregistrare i dati dell’USM, che si mantiene integra nei casi di studio anali-tico del manufatto edilizio. Nella necessità di operare una sintesi delleconoscenze bisogna cercare di estrapolare, dalle superfici in vista dellemurature, la maggiore quantità possibile di informazioni, con un numerominore di voci caratterizzanti. Si possono prevedere delle voci estrema-mente analitiche, estremamente dettagliate però, poi, se l’operazione con-duce a delle schede chilometriche o comunque di difficile compilazione, ilmetodo, teoricamente giusto, si scontra con la realtà pratica nella qualenon si riesce a trovare nessun gruppo di lavoro in grado di compilarle.

Riguardo alle tecniche murarie appare possibile codificare un numerorelativamente limitato di voci, che permetta la redazione di un atlantedelle murature, suddiviso per aree geologicamente omogenee. Non è, in-fatti, possibile pensare ad un atlante che abbia una sua validità per tutte le

(12) Il panorama degli studi sulla tecnica costruttiva e sull’impiego di determinati at-trezzi è abbastanza ristretto. Per un approccio al problema in epoca medievale si veda DAVEY,1966, NAGY, 1977, BINDING, 1972, BINDING, NUSSBAUM, 1978, MANNONI, 1984b (con biblio-grafia italiana), PARENTI, 1985c ed infine BESSAC, 1986 (con bibliografia esaustiva).

(13) PARENTI, 1987.

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regioni italiane. Nonostante esistano alcune tecniche costruttive comuni,un catalogo rappresentativo ha bisogno di un retroterra di studi analitici,puntuali, preparati per aree limitate, in genere quelle geologicamente omo-genee, perché il materiale impiegato nelle costruzioni è legatissimo ai pro-blemi di approvvigionamento, al modo e alle possibilità di sfruttamentodelle cave circostanti l’area della costruzione.

Sebbene si abbiano moltissimi riferimenti documentari di importazio-ne di materiale costruttivo, in genere una grandissima parte degli edifici ècostruita con materiali reperibili sul posto.

Nella proposta di Bressanone, i parametri adottati per la classificazio-ne erano limitati a sei. Per caratterizzare in maniera sufficientemente ap-profondita una muratura, è indispensabile conoscere:

1) il tipo di materiale da costruzione e i litotipi;2) il grado e il tipo di lavorazione impiegato per la preparazione del materiale;3) il tipo di posa in opera, l’apparecchiatura che i materiali lapidei, maanche i laterizi, assumono sulla faccia in vista dell’USM omogenea;4) le dimensioni dei singoli pezzi e la loro misura media, elaboratastatisticamente;5) le tecniche di finitura del materiale, soprattutto lapideo, attraverso letracce lasciate, sulla superficie in vista, dallo strumento;6) il tipo di malta e soprattutto il tipo dei componenti che costituiscono lemalte (leganti, aggregati, additivi, etc.).

Nella stesura dell’ordine delle voci caratterizzanti, è stato seguito uncriterio essenzialmente pragmatico: avvicinandosi ad una muratura, pri-ma si vedranno le caratteristiche più macroscopiche e successivamente siarriverà, in certi casi a diretto contatto con le strutture, a registrare i par-ticolari più raffinati.

3. Materiali da costruzione

Nonostante le numerose varietà dei litotipi, è abbastanza sempliceraggruppare il materiale da costruzione in ampie classi, il cui numero èestremamente limitato. Le classi si potranno, successivamente, suddivide-re in varietà secondo regole che per alcuni specifici materiali sono giàentrate in uso comune, mentre per altri devono essere ancora studiate.

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La stragrande maggioranza dei materiali da costruzione è costituita damateriali lapidei e da prodotti laterizi; si hanno, poi, le strutture miste, maesistono, ed esistevano in modo molto più generalizzato, i materiali depe-ribili (o precari). Per materiali deperibili si intendono i legnami (in scavi diambito medievale, laddove le condizioni di deposito hanno preservato ilmateriale del disfacimento, si rinvengono sempre più spesso strutture li-gnee, la terra (molto comune in Francia e in Spagna, comune mamisconosciuta in Italia), le ossa animali (molto rare, di interesse preistori-co ed etnologico) ed inoltre stoffe e pelli. Una classe ulteriore, (altri mate-riali) comprende, per adesso, blocchi di loppe provenienti dalla lavorazio-ne delle ghise e di altri metalli non ferrosi.

Il criterio di classificazione deve, comunque, rimanere aperto perchéè ormai assodato che la mente umana non pone limiti alla fantasia e all’in-ventiva, quando ha a disposizione un materiale e lo deve utilizzare.

4. Lavorazione

Prima di passare all’apparecchiatura, alla posa in opera, si deve porrel’accento sulla lavorazione delle superfici, o meglio, ai diversi gradi di lavo-razione riscontrabili sui materiali lapidei. I pezzi che costituiscono un muropossono essere privi di tracce di una lavorazione qualsiasi (ciottoli fluviali omorenici, blocchi erratici, etc.), oppure presentarsi con una lavorazione par-ziale, appena accennata (sfaldatura, spaccatura, etc.) o, ancora, con tracce dilavorazione evidente. Quest’ultimo caso è quello più facilmente studiabile,ma anche qui si hanno varie gradazioni di lavorazione. Pertanto è necessarioaprire un inciso e porsi il problema sulla terminologia da usare. In Toscanail lessico era generalmente limitato e i blocchi appena lavorati venivanochiamati bozze. Sappiamo benissimo che ogni regioni linguistica può avereun termine apposito per definire questo genere di manufatto e che voleruniformare il lessico è una forzatura, ma d’altra parte è assolutamente indi-spensabile cominciare a divulgare e far circolare le esperienze e quindi sideve costruire una terminologia comune.

Per i blocchi appena lavorati abbiamo visto il termine bozza (che puòessere discusso e modificato, se necessario); i blocchi squadrati, con quattrospigoli laterali finiti e faccia in vista a rilievo (lavorata o meno), si potrebbe-ro definire bugnati. Ci sono poi i blocchi squadrati e spianati, sulla faccia invista, che si potrebbero chiamare conci. Inoltre esistono blocchi squadrati,spianati per segagione o abrasione, che potremmo definire con entrambi i

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termini conci o lastre, a seconda dei rapporti fra le dimensioni.Si hanno, infine altri tipi di lavorazione, come la costruzione ‘in nega-

tivo’ del materiale lapideo. In Toscana esistono numerose testimonianze efonti materiali di utilizzazione di ambienti ipogeici. Nelle zone a tufo vul-canico, a Siena, nel basso Valdarno, ovunque esista un materiale facilmen-te scavabile, esso ha costituito una risorsa continuamente utilizzata percreare ricoveri, stalle, cantine, depositi di attrezzi e, in certi casi, abitazio-ni e strutture più ‘ricche’, quali oratori e chiese.

Anche i prodotti laterizi presentano diverse opere, diverse tracce dilavorazione (formati in « modine », trafilati, stampati, etc.), mentre per imateriali deperibili anziché di tecniche di lavorazione si dovrebbe parlaredi tecniche di preparazione.

Per la terra si conoscono le tecniche del pisé, delle adobes, delle strut-ture a graticcio.

5. Posa in opera (apparecchiatura)

È opportuno, come già accennato altrove, porre l’accento sulla diffi-coltà oggettiva di usare, per i diversi tipi di apparecchiature, dei terminiuniversalmente accettabili o accettati ed è altresì riduttivo condensare inuna trentina di modelli tipologici le innumerevoli varietà di apparecchia-ture esistenti (quantunque l’analisi possa essere limitata ad aree ristrette)

E qui chiedersi perché i modelli delle apparecchiature siano in nume-ro di trenta e non di trentamila (come sembrerebbe più logico) non suonané ridondante né retorico La risposta sta nella necessità di fare uno sforzodi sintesi, al fine di individuare gli elementi distintivi, fra un tipo di appa-recchiatura e l’altra Esistono relativamente poche tecniche costruttive enon si devono seguire tutte le varianti, le minime differenze che possonoessere rilevate in manufatti realizzati da maestranze diverse (14) Dobbia-mo, quindi, riuscire a quantificare, in maniera ‘maneggevole’, la massadelle apparecchiature presenti sul territorio.

Per far questo, cominciamo col porre l’attenzione su alcune significa-tive invarianti, quali:

1) la presenza, o meno, dei corsi;

(14) Una esauriente discussione sulle possibilità di classificazione si ha in PUCCI, 1983.Si veda anche RICCI, 1985.

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2) l’orizzontalità, più o meno precisa, dei corsi;3) la presenza, o meno, di zeppe, anche in laterizio.

Avremo un ventaglio — più o meno ampio — di tipologie (Fig. 3) nellequali sarà dato di trovare delle differenze, che possono dipendere dalla scel-ta di un materiale, reperibile in loco, e un altro, di più difficile approvvigio-namento, o da una particolare cultura materiale delle maestranze.

Tali differenze, tali varianti, debbono, comunque, rientrare in unoschema più ampio, coordinato ad altre voci (il tipo di legante, la lavora-zione, la finitura, etc.) e capace di definire, in un modo relativamentepreciso, una e una sola muratura.

I termini lessicali utilizzati per descrivere le singole apparecchiaturenon trovano riscontro con le terminologie scritte nei documenti archivi-stici coevi, nei rari casi in cui vengono citate, ma si riferiscono a una de-scrizione meramente costruttiva, basata sulla disposizione dei corsi, sub-orizzontali, orizzontali, sfalsati, etc. e sulla lavorazione dei singoli pezzicostituenti la muratura. Anche qui si tratta di costruire una base lessicalecomune, in grado di rendere confrontabili termini, diversi, che tuttavia siriferiscono alla stessa struttura muraria.

L’esempio delle apparecchiature murarie, campionate nel villaggio diRocca San Silvestro, è paradigmatico (Fig. 4). Erano solo quattordici levarietà murarie individuate nel corso delle prime due campagne di scavo epubblicate nel 1985, ad esse devono essere aggiunte, a tutt’oggi, solo duealtre varietà. In un intero villaggio, prendendo in considerazione tutte lemurature presenti, dalla struttura minima, come quella di un forno, allachiesa, alla torre, alle fortificazioni, sono state utilizzate solo sedici diver-se varietà di muratura. E non sono sedici modelli di apparecchiature, di-stinti e completamenti diversi fra loro, poiché in alcuni casi risultano esse-re delle combinazioni tra i vari parametri che caratterizzano la muratura.È opportuno far notare che per determinare le sedici diverse varietà, si èdovuto raggiungere un grado elevato di analiticità, che tenesse conto an-che del tipo di aggregato presente nelle malte. I modelli tipologici delleapparecchiature murarie sono soltanto quattro o cinque e le tecniche co-struttive un numero ancora minore.

Nella Fig. 3 le apparecchiature sono suddivise secondo un ordine chesegue anche il crescere della qualità tecnica della costruzione. Da muratu-re realizzate senza nessuna lavorazione superficiale dei singoli pezzi, fino aquelle più raffinate e perfezionate, come la muratura isodoma. La muratu-

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ra isodoma è una muratura dell’età classica, che riappare nel corso del XVe XVI secolo, in modi costruttivi completamente diversi: i conci non sonopiù passanti, ma ridotti a lastre che ‘foderano’ una muratura a sacco osono appoggiate ad una muratura in laterizi. L’aspetto esteriore di questo

Fig. 3 — Tipologia delle apparecchiature murarie. Materiali lapidei: 1. a corsisuborizzontali, con “pillori” o pietrame erratico; 2. a corsi sub-orizzontali, grezzo conzeppe in laterizio o pietra; 3. Calcestruzzo, con aggregati arrotondati o spezzati; 4. aspina-pesce, con ciottoli, pietrame o frammenti di laterizio; 5. irregolare senza corsi, ablocchi spaccati, con o senza zeppe; 6. irregolare, a blocchi sfaldati, con o senza zeppe;7. irregolare, a bozze o blocchi spaccati, con corsi di orizzontamento ogni 40-60 cm;8. a corsi sub-orizzontali e paralleli, con bozze sdoppiate, con o senza zeppe; 9. senzacorsi, con bozze e conci squadrati, spesso con zeppe in laterizio; 10. a corsi orizzontalie paralleli, con bozze di altezze diverse (filaretto); 11. a corsi orizzontali, sub-paralleli,con bozze prevalentemente verticali; 12. a corsi orizzontali e parallei, con conciriquadrati e spianati; 13. a corsi ondulati, con o senza zeppe; 14. a corsi paralleli eorizzontali, “araba”; 15. a corsi paralleli e orizzontali, con lastre, “pseudoisodoma”;16. a corsi paralleli e orizzontali, con conci, “isodoma”.

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Fig. 4 — Le varietà della tipologia: il caso del villaggio di Rocca S. Silvestro (LI).

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paramento, così come lo vediamo in molti palazzi rinascimentali italiani,allude alle costruzioni classiche. Circa i modi e le maniere in cui il richia-mo e la memoria dell’antico hanno influenzato la committenza e le mae-stranze rinascimentali, molto si è già scritto (15), ma rimane ancora dachiarire, o meglio rimane ancora da affrontare l’aspetto tecnico e produt-tivo. Resta da vedere, cioè, se la tecnica costruttiva rimane costante o se sidifferenzia e se la produttività di cantiere si perfeziona, come lascerebbesupporre la presenza di un rivestimento a “finta apparecchiatura isodoma”,con le lastre accuratamente disposte e incise successivamente a somiglian-za del “bugnato isodomo”.

Dall’unione di materiali costruttivi quali i laterizi e la pietra si posso-no avere quattro tipi diversi di apparecchiatura (Fig. 5). Esistono anchestrutture costituite da altri possibili accostamenti di materiali (laterizio eterra, legno e laterizio, legno e metallo, etc.), ma in Italia non è ancorastato affrontato il problema di come studiarle.

Una particolare attenzione deve essere rivolta allo studio dei diversimodi di porre in opera i laterizi (Fig. 6), affinché sia possibile spiegare laconnessione, se c’è, tra una particolare apparecchiatura e una determinataepoca, perché una lettura affrettata del paramento in laterizio non riesce afornire utili indicazioni.

La cosiddetta cortina “gotica”, o “a coltrina” secondo alcuni terminilocali, cioè la muratura in laterizi a faccia vista come viene costruita at-

Fig. 5 — Tipologia delle apparecchiature murarie. Materiali misti: 1. a corsi sub-orizzontali, con bozze o blocchi e zeppe; 2. a ricorsi, con bozze e/o conci; 3. a “cassetta”,con “pillori”; 4. a ricorsi, con bozze o blocchi.

(15) Ad esempio si vedano i tomi della Biblioteca di Storia dell’Arte Memoria del-l’Antico nell’arte italiana, a cura di S. SETTIS, I-III, Torino, 1984-1987. Per la ricca docu-mentazione d’archivio studiata, sui modi del costruire a Firenze rinascimentale, si vedaGOEDTHWAITE, 1984.

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Fig. 6 — Tipologia delle apparecchiature murarie. Materiali laterizi: 1. per fascia; 2.per testa; 3. per coltello; 4. per costa (in foglio); 5. inglese a blocco; 6. inglese a croce;7. olandese; 8. inglese per giardino; 9. “Rat trap”; 10. “Dearne”; 11. gotica o fiamminga,con due varianti; 12. “senese” o “Monk”, con varianti.

tualmente, con mattoni disposti alternativamente per testa e per fascia,non esisteva nel periodo ‘gotico’, durante il XIV secolo. È facilmente ri-scontrabile che gli esempi meglio datati di murature con questa disposi-zione, si rinvengono sulle cortine delle fortificazioni medicee, nella secon-da metà del XVI secolo. A Venezia esiste un esempio più antico, a cavallofra XIV e XV secolo, ma sembra piuttosto un risultato dovuto alla neces-sità di ricreare un particolare tipo di decorazione, che aveva avuto moltafortuna nei coevi intonaci veneti, con materiali più duraturi. Per poterottenere un risultato simile, l’apparecchiatura era estremamente obbliga-ta, dovendo ricostituire, con mattoni di due tonalità di colore notevol-mente diverse, l’alternanza del pattern decorativo (16).

(16) Si tratta del complesso religioso di san Zaccaria, che possiamo confrontare con gliambienti intonacati veronesi medievali, cfr. DOGLIONI, 1987:115-117, ARMANI, PIANA 1984:102, f. 60; BARZAGHI, 1984: 100, f. 55.

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Quali indicazioni cronologiche si possono ricavare dalla disposizionedei laterizi?

Nelle murature medievali toscane si riscontra una apparecchiatura ap-parentemente casuale, in cui non riusciamo ad individuare il criterio in-formatore, anche se non mancano superfici limitate che sembrano ripete-re lo stesso motivo. A Siena appare, alla fine del XIV-inizi del XV secolo,una apparecchiatura specifica, che abbiamo chiamato “senese”, anche senon possiamo escluderne la presenza in altre località. L’apparecchiatura èformata da filari, o corsi, con mattoni disposti uno per testa, due per fa-scia, uno per testa, etc., ed è presente anche in murature del XVII secolo.L’individuazione degli esempi è tuttora in corso e dobbiamo ancora capirese fra i suddetti estremi temporali (XV-XVII secolo) l’apparecchiatura siastata utilizzata con continuità, come si potrebbe intuire da una serie diesempi, oppure se siamo di fronte ad una utilizzazione saltuaria, con lun-ghi intervalli di abbandono.

6. Dimensioni

La caratterizzazione è legata alle dimensioni dei singoli componenti dellamuratura. Nelle apparecchiature dei materiali lapidei si possono ricavareinformazioni dalle differenze dimensionali medie, dalla presenza di conci direimpiego, generalmente più grandi, e da una ‘standardizzazione’ o da unaripresa dell’attività di cava e di preparazione delle bozze. Le differenze nelledimensioni del materiale non sono sempre da mettere in rapporto con cro-nologie costruttive nettamente distanziate fra loro, ma anche con una diver-sificazione delle fasi di approvvigionamento del materiale. Per esempio aMontarrenti, nel basamento della torre B, sono state individuate almenodue fasce, che possono essere lette come il risultato di due momenti distintidel medesimo cantiere (17). Analizzando le dimensioni dei corsi, costruiti intravertino (che non si rinviene sul posto ma proviene da cave distanti alcunichilometri), si è visto che le altezze variavano gradatamente da un massimodi 32-35 cm ad un minimo di 14-16 cm. Ciò è stato interpretato come ilrisultato dell’utilizzazione totale del materiale accantonato a piè d’opera, ilcui esaurimento comportava l’arrivo di una nuova partita: a quel punto si

(17) Le USM 102 e 105 nella fig. 8, in PARENTI, 1986:286.

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cominciava di nuovo a costruire corsi con altezze rilevanti che, però, dimi-nuivano nel prosieguo del lavoro.

Anche le dimensioni dei frammenti utilizzati come zeppe possono for-nire importanti informazioni. Nell’abside di San Giusto a Balli, nel comu-ne di Sovicille, i laterizi impiegati con un intento decorativo, si sono rive-lati frammenti di tegole di copertura. Se è lecito generalizzare da alcuniesempi delle aree toscane, si può ipotizzare una datazione ‘arcaica’ quan-do siamo in presenza di un reimpiego dei laterizi da copertura. La presen-za di frammenti di mattoni è, invece, un indice di relativa ‘modernità’della muratura.

Infine, importantissima, come è già stato fatto notare anche in questecomunicazioni, la mensiocronologia dei laterizi.

7. Finitura

Un’operazione di finitura estremamente comune è l’intonacatura del-le superfici della muratura, mentre le altre tracce di finitura di un materia-le, le tracce lasciate dagli attrezzi sulla superficie a vista, possono essereutilizzate per circoscrivere le murature in un ambito cronologico più pre-ciso. Ci dobbiamo domandare quali erano gli strumenti impiegati nel Me-dioevo per la lavorazione e la preparazione delle pietre in cava e, più pre-cisamente, sul cantiere. Quando si eseguiva l’operazione di finitura dellasuperficie delle pietre? A pie’ d’opera, oppure dopo la costruzione dellamuratura? A quest’ultima domanda possiamo rispondere con maggior co-gnizione di causa, anche se gli esempi sono estremamente limitati.

Generalmente si preparava il pezzo a pie’ d’opera, con la giacituracaratteristica del filare e, più raramente, di adattamento allo spazio dispo-nibile, con conci di forma particolare (a L, a T), e nella documentazioneiconografica coeva possiamo individuare significativi confronti (18). Suc-cessivamente la finitura veniva completata con operazioni di spianaturadella superficie murata, con le stesse operazioni che continuano attual-mente nella tradizione della ripavimentazione stradale.

La presenza del nastrino, o cordellina, o anathyrosis o altri terminilocali, è una caratteristica fondamentale delle pietre lavorate. La prima

(18) Si vedano BINDING, cit., BINDING-NUSSBAUM cit.

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operazione che viene fatta, dopo la sbozzatura, è la preparazione del na-strino. Successivamente il nastrino serve a delimitare un piano, che vienepoi ottenuto asportando la bugna superficiale o, in certi casi, regolarizzan-do la sporgenza.

Le operazioni di finitura sui mattoni sono fondamentali per capire sele murature sono nate per essere lasciate a faccia vista o se invece quest’ul-tima condizione è il risultato della mancata manutenzione del velo di into-naco o la proposta di una operazione di restauro. Quando il mattone èarrotato, cioè spianato con un adatto abrasivo, dopo la costruzione delmuro, si può essere certi che la muratura era prevista, originariamente, afaccia vista (19).

Per quanto riguarda lo studio degli strumenti impiegati dai maestricostruttori e l’ambito cronologico della loro utilizzazione, qualcosa si co-mincia a conoscere, nonostante la carenza di bibliografia. Precedentemen-te (20) abbiamo ripreso, e riproposto, una metodologia di studio che te-nesse conto di:

1) utensili trovati negli scavi;2) fonti iconografiche coeve;3) tracce degli utensili sul materiale.Al momento tale metodologia non sembra suscettibile di modifica,

pur se, con qualche cautela, possiamo tener conto anche degli strumentipresenti nelle raccolte etnografiche, stante la grande lentezza nel cambia-mento delle tecniche costruttive e di preparazione del materiale.

Se le informazioni ricavabili dalla forma degli utensili, ritrovati negliscavi o riconoscibili in fonti iconografiche, non sembrano lasciare adito adubbi, qualche motivo di ripensamento può venire dal riconoscimentodelle tracce degli utensili.

Le tracce che possiamo individuare sui materiali litoidi toscani vengo-no lasciate da un numero limitato di attrezzi, anche se teniamo conto dei

(19) Con il termine sagramatura, presente in molti documenti emiliani dei secoli scor-si, si intende un’operazione simile, secondo quanto presentato nel Glossario a Il Colore1985:75. « La tecnica consiste nello stendere un intonachino pigmentato, costituito da unimpasto di cocciopesto o terra minerale, fior di calce e acqua, steso in modo uniforme e astrati sottili e quindi levigato a mano con un mattone mantenendo la superficie costante-mente bagnata perché l’impasto e la polvere che si ottiene fregando i mattoni, si amalgami-no formando sopra al paramento una velatura dello stesso colore della muratura di supportoche lascia trasparire la tessitura dei mattoni ».

(20) PARENTI, 1985c.

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possibili equivoci dovuti a tracce simili lasciate da attrezzi diversi.Dalle tracce, possiamo risalire ai seguenti attrezzi:1) ascia (mannaria): usata per lo spianamento di conci di materiali

litoidi teneri, come il tufo vulcanico e il travertino; è probabilmente moltosimile a quella utilizzata per la squadratura del legname;

2) sega che lascia, sui materiali litoidi, tracce più o meno parallele,affini a quelle lasciate dall’ascia;

3) scalpello o martellina piana per la preparazione del nastrino;4) martellina a punta (o subbia) per la faccia spianata. Probabilmente

è seguita da una martellina dentata e poi da una gradina, che lascianotracce molto simili fra di loro;

5) bocciarda. Si deve ancora conoscere il periodo in cui ne viene in-trodotto l’uso (probabilmente successivo al XV-XVI secolo) (21). È ri-scontrabile sui materiali restaurati ‘recentemente’.

8. Le malte

In presenza di voci caratterizzanti simili fra loro, la malta e i suoicomponenti (legante, aggregati ed eventuali additivi) assumono una parti-colare rilevanza: l’utilizzazione di un legante piuttosto che un altro, l’ap-provvigionamento di inerte da una cava anziché da un’altra, l’introduzio-ne volontaria di appositi additivi, usati per adeguare le caratteristiche del-la malta alla funzione che essa dovrà svolgere, rivestono un valore pro-prio, di importanza fondamentale, sommati, poi, alle voci caratterizzanticitati in precedenza aumentano di interesse e costituiscono un argomentoche comincia ad essere indagato.

L’esempio di Rocca San Silvestro, il villaggio minerario presso Campi-glia Marittima, può sintetizzare, meglio di molti altri esempi, l’importan-za che deve essere attribuita alla malta:

a) nella datazione dei manufatti (per confronto);b) nell’individuazione della posizione degli edifici all’interno del cir-

cuito murario;c) per il livello delle conoscenze tecniche raggiunte dalle maestranze.

(21) La presenza di pietre ‘bocciardate’ è stata individuata recentemente in muraturemedievali pisani, cfr. REDI, 1987:308. Tuttavia permangono forti dubbi sull’impiego dellabocciarda prima del XV secolo, cfr. NAGY, cit.: 110 e BESSAC, cit.: 85.

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A San Silvestro si hanno murature del XIV secolo caratterizzate dauna lavorazione e da una messa in opera simile a quella di murature dell’XI-XII secolo. La differenza più macroscopica risiede nel tipo di malta impie-gata. Nelle murature più tarde è stata usata una malta caratteristica, checontiene, come aggregati, coloratissimi minerali ferrosi, resti della produ-zione siderurgica e mineraria. Inoltre le murature con questo tipo di maltasono state rinvenute solamente nell’area sommitale del villaggio, la zona‘militare’, intorno alla torre e alla cisterna.

Quando, poi, si deve studiare la tecnica costruttiva la malta assumeun’importanza ancora più rilevante, perché dalla quantità e dal modo incui essa viene impiegata (‘fresca’, stagionata, etc.), dal rapporto con glialtri materiali costruttivi (pietra, laterizio) si possono ricavare importantiinformazioni sulle capacità tecniche raggiunte dalle maestranze e sulla re-sistenza alle sollecitazioni statiche della muratura.

La naturale maturazione delle proposte finora espresse, porta ad untentativo di sistemazione — all’interno di uno schema ordinatore — delletecniche murarie. Una tecnica costruttiva potrà essere caratterizzata dal-l’ordinamento di tutti i possibili parametri disposti secondo uno schemanumerico e accompagnata da un disegno, per le dimensioni e le caratteri-stiche dei giunti, come mostra la Fig. 7.

9. Alcune considerazioni finali

La quasi totalità delle apparecchiature presentate, così come le altrevoci caratterizzanti, ha un periodo di diffusione che va dall’VIII al XVIIIsecolo, che corrisponde, più o meno, al momento in cui, in gran parte del-l’Italia, si ha la ripresa di una tecnica costruttiva autonoma, che non è più ilmero reimpiego di strutture edilizie di età antica e si comincia a selezionareil materiale di spoglio. È questa un’attività costruttiva che si differenzia daregione a regione, con innovazioni ed attardamenti tecnologici, secondo unandamento sinusoidale di alti e bassi nelle caratteristiche tecniche delle co-struzioni, fino all’introduzione di tecnologie diverse. Il limite del periodo,definito preindustriale (o premoderno), può arrivare fino alla metà del no-stro secolo, ma, generalmente, termina con l’applicazione su larga scala deimateriali e delle conoscenze legate alla diffusione e all’insegnamento dellaScienza delle Costruzioni, e alla conseguente legislatura che prefigura speci-fiche competenze e responsabilità di ordine civile e penale.

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Tanto maggiore è l’attenzione che poniamo nello studio delle muratu-re, tanto più numerose sono le domande alle quali non sappiamo dare unarisposta, rispetto alle poche certezze acquisite. E alcuni interrogativi nonsono di poco conto. Cosa conosciamo sulla struttura produttiva, su chimaterialmente costruiva gli edifici? Era una manodopera locale, che siconsociava stagionalmente, magari sotto la direzione di un maestro mura-tore (come sembra si possa ipotizzare da una quantità ricchissima di esem-pi, offerti soprattutto da quella che viene definita architettura ‘minore’),oppure esistevano gruppi di maestranze specializzate, in grado di seguire eguidare tutte le operazioni necessarie all’approntamento e alla gestione diun cantiere, che si spostavano da un luogo all’altro, ovunque ci fosse unadomanda in grado di sostenere i maggiori costi di una simile organizzazio-ne (come sembra di capire con gli esempi di architettura più ‘ricca’, monu-mentale). E le attrezzature di cantiere avevano un mercato ristretto, carat-terizzato da forme di autoproduzione e consumo, oppure costituivano untipo di materiale a larga circolazione? Dagli attrezzi rinvenuti in una cava

Fig. 7 — Schema per una proposta di classificazione numerica. Materiali: 0. nondeterminabile; 1. litico 80%; 2. laterizi 80%; 3. misti 20%; 4. legname; 5. terra;6. stoffa; 7. ossa; 8. altri materiali. Lavorazione: 0. non determinabile; 1. ciottoli fluvialio morenici; 2. ciottoli marini; 3. pezzi erratici; 4. spaccati; 5. sfaldati; 6. spezzati;7. squadrati; 8. squadrati e spianati; 9. segati. Apparecchiatura: 00. non determianbilie;01-16. vedi materiali lapidei; 17-20. vedi materiali misti; 21-32. vedi materiali laterizi;33. etc. Finitura : 0. non determinabile; 1. scavato; 2. colorato; 3. intonacato;4. rivestito; 5. subbia o martellina; 6. gradina o martellina; 7. bocciarda; 8. ascia;9. segata. Malte: 0. non determinabile; 1. a base di grassello di calce; 2. a base digrassello e materiali pozzolanici; 3. a base di gesso; 4. a base di leganti idraulici; 5. abase di leganti argillosi; 6. a base di leganti organici; 7. a base di più leganti.

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elbana si capisce che una serie di lavorazioni doveva essere sostenuta nelluogo stesso di utilizzazione, in quanto alcuni di questi attrezzi sono deisemilavorati, che mancano delle indispensabili opere di rifinitura. Ma lostato attuale degli studi non permette di cogliere il tipo di rapporto chedoveva esistere fra il fabbro e lo scalpellino (o tagliapietre).

E se prendiamo in considerazione la produzione laterizia, quali rispostepossiamo dare agli interrogativi che sorgono con il ritrovamento di mattonidi modulo romano in costruzioni medievali. Sono mattoni romani reimpie-gati nelle costruzioni o si tratta, invece, di mattoni di tradizione ‘romana’,fabbricati ancora nel XIII secolo, prima che i Comuni regolamentassero,con precise norme statuarie, la dimensione minima dei laterizi?

Molti altri sarebbero gli interrogativi che ci potremmo porre, che tut-tavia per il momento vengono rimandati, confidando in una maggioreattenzione al processo produttivo dell’edilizia storica, sia attraverso le in-formazioni che possono essere raccolte nei numerosi cantieri di restauro,sia nel caso di interventi di scavo che interessano complesse e stratificatestrutture edilizie, nel porre un particolare e accurato metodo nello studiodelle murature.

ROBERTO PARENTI

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