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BIBLIOTECA DEL DIPARTIMENTO DI ARCHEOLOGIAE STORIA DELLE ARTI - SEZIONE ARCHEOLOGICA

UNIVERSITÀ DI SIENA

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FONDAZIONE

MONTE DEI PASCHI DI SIENA

Progetto “Archeologia dei Paesaggi Medievali”

Stampato con il contributo di

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCAProgrammi di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale – COFIN 2002

“Gestione dei sistemi informativi territoriali e comunicazione inarcheologia e storia medievale: insediamenti, chiese ed architettura”

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BIBLIOTECA DEL DIPARTIMENTO DI ARCHEOLOGIAE STORIA DELLE ARTI - SEZIONE ARCHEOLOGICA

UNIVERSITÀ DI SIENA

L’INSEDIAMENTO ALTOMEDIEVALENELLE CAMPAGNE TOSCANE

Paesaggi, popolamento e villaggi tra VI e X secolo

di MARCO VALENTI

ALL’INSEGNA DEL GIGLIO

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In coperta: Castello di Miranduolo (Chiusdino, SI) – il cassero in corso di scavo;visibile in primo piano la palizzata di metà IX secolo.

© 2004 - All’Insegna del Giglio s.a.s. - www.edigiglio.itISBN 88-7814-241-7

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a Laurina Marraccini Valenti

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Le ricostruzioni in computer grafica si devono a Mirko Peripimeno (Figg. 7-14, 16, 18, 36,46-47, 60); la cartografia si deve a Federico Salzotti (Figg. 1-6, 43-45, 48-49, 57); le immaginitratte da piattaforma GIS si devono a Alessandra Nardini (Figg. 28-29, 34, 58-59, 62, 66-70,74); le ricostruzioni grafiche si devono allo studio InkLink di Firenze (Figg. 13, 51-56, 61,64); le Figg. 30-33 sono state fornite gentilmente da Federico Cantini; la Fig. 37 è statafornita gentilmente da Lorenzo Marasco; le Figg. 38-41 sono state fornite gentilmente daGiovanna Bianchi; la Fig. 42 è stata fornita gentilmente da Maddalena Belli e Francesca Grassi.

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Villaggi dell’altomedioevo: invisibilità sociale e labilità archeologica,di Riccardo Francovich IX

I. Le problematiche 1

II. Il metodo della ricerca: fra ricognizione di superficie e scavi 11

III. Le strutture dell’insediamento 19

IV. Urbanistica e trasformazione dell’insediamento 47

V. Insediamento e gestione della terra dall’età longobarda a quella carolingia 65

VI. Conclusioni 117

Bibliografia 137

INDICE

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VILLAGGI DELL’ALTOMEDIEVO:INVISIBILITÀ SOCIALE E LABILITÀ ARCHEOLOGICA

seto, mentre non mancano iniziative significativenella Città e nella Provincia di Firenze, come nel-le provincie di Pisa e di Livorno.Gli interventi puntuali si iscrivono nel quadro diun’articolata sistematizzazione di quanto si è co-nosciuto relativamente al patrimonio archeologicoregionale, attraverso una schedatura di vasto respi-ro: solo per dare un esempio, si ricorda che parteintegrante del progetto è l’“informatizzazione” geo-referenziata del celebre Dizionario di EmanueleRepetti, che si è conclusa proprio in questi mesi,come della letteratura archeologica e storico topo-grafica della Regione, che si è andata accumulandosoprattutto nel corso del secolo passato.Al lavoro tradizionale degli archeologi, la realiz-zazione del progetto ha permesso di affiancare unvalore aggiunto di grande significato per la rico-struzione dei quadri ambientali attraverso la rea-lizzazione dei laboratori di scienze applicate al-l’archeologia in grado di apportare contributi so-stanziali alla definizione delle trasformazionigeomorfologiche, vegetazionali, come allo studiodei manufatti e dei materiali organici.Ma, accanto agli obiettivi di valorizzazione, “co-municazione” del patrimonio e costruzione dellebanche dati, si vanno raccogliendo risultati signi-ficativi nell’ambito strettamente attinente la ricer-ca. Infatti la scala subregionale e urbanistica degliinterventi, che si affiancano a quelli già realizzatinegli anni Ottanta e Novanta, sta contribuendoad elaborare una documentazione per la storiadelle dinamiche e delle trasformazioni dell’inse-diamento rurale fra tarda antichità e i secoli cen-trali del medioevo tale da permettere di elaborarequadri ricostruttivi innovativi e certamente in gra-do di “sfidare” quanto delineato sulla base dellemere fonti scritte.

2. In questo contributo Marco Valenti elabora lavasta messe di nuovi dati, accumulati soprattuttonegli ultimi anni, ma anche quelli emersi nel cor-so dell’ultimo venticinquennio, e li colloca nelquadro della discussione che l’archeologia euro-pea ha aperto sul terreno delle dinamiche insedia-tive tra tardo antico e medioevo, e sfida coraggio-samente i ricercatori a rendere compatibili le in-terpretazioni storiografiche con queste diverse enuove tipologie di fonti.

1. Dalla fine degli anni Novanta l’Area di Archeo-logia Medievale dell’Università di Siena sta realiz-zando un grande progetto sui “Paesaggi Medieva-li della Toscana”, con particolare riferimento allaparte meridionale della regione, in sinergia con laFondazione Monte dei Paschi di Siena, che si èfatta, con grande generosità, promotrice dell’ini-ziativa.Il progetto ha come obiettivi principali quelli dicostruire un sistema integrato di parchi e musei,capace di valorizzare un patrimonio culturale stra-ordinario costituito non solo da monumenti, maanche da un numero altissimo di “rovine” ed areearcheologiche, che segnano in profondità le ca-ratteristiche del paesaggio della regione. Fra imotivi sostanziali del progetto vi è quello inoltredi introdurre massicciamente, nella gestione delpatrimonio, una diffusa pratica di uso della tec-nologia innovativa.Il progetto si articola attraverso interventi archeo-logici su specifici siti, sui quali vengono poi deli-neati progetti di valorizzazione che investono iresti materiali emergenti, la costruzione di centridi documentazione e la realizzazione di strumentidi comunicazione raffinati: pannellature partico-larmente sofisticate, sistemi informativi territoriali,banche dati destinate ad un pubblico differenzia-to, ma sempre più attento ai segni della storia ine-stricabilmente legati al territorio toscano.L’uso di tecnologie avanzate caratterizza il pro-getto nella fase di raccolta delle informazioni, dairilievi con scanner 3D di manufatti e monumenti,dalla gestione in GIS dei rilievi e della documen-tazione di scavo e del patrimonio diffuso. Fino adoggi sono stati raggiunti tutti gli obiettivi definiti,grazie al formidabile impegno dei ricercatori coin-volti, andando alla realizzazione di mostre e cen-tri di documentazione in aree urbane e rurali, daSiena a Grosseto, alla costruzione di parchi, daquello archeologico e tecnologico di Poggibonsiai segmenti centrali del sistema dei parchi dellaVal di Cornia, da Gavorrano a Roccastrada, dal-l’Amiata al territorio di San Galgano. Sono inol-tre in atto collaborazioni con strutture di gestionedi parchi quali quello della Maremma, il Parcoarcheologico e tecnologico delle Colline Metalli-fere, il Parco della Valdorcia, ma soprattutto conun larghissimo numero di governi locali, in parti-colare la Provincia di Siena e la Provincia di Gros-

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Il saggio porta elementi di chiarezza e di discus-sione in quella nebulosa, costituita dalla ricostru-zione storica dell’assetto delle campagne altome-dievali che denuncia evidenti segnali di afasia frastorici ed archeologi, questi ultimi non propensi adelineare quadri interpretativi generalizzanti, par-tendo dai loro singoli momenti di approfondimen-to, e gli altri, soprattutto nell’ultimo trentennio,propensi a offrire un quadro talvolta contraddit-torio, ma non di rado caratterizzato da un pae-saggio incerto e “derivante”, sostanzialmente, daun assetto tardo romano. Un paesaggio dove avreb-bero avuto largo spazio le forme dell’insediamen-to sparso, mentre la struttura del villaggio, in buo-na parte della penisola, avrebbe assunto una pro-pria forma consolidata solo con l’affermazione deicastelli in relazione ai processi di formazione del-la signoria territoriale intorno all’anno mille.Il modello insediativo altomedievale fondato sulvillaggio accentrato, che ebbe nelle pagine diGeorges Duby nel 1962 una prestigiosa espres-sione storiografica, è stato più o meno esplicita-mente contestata, sia dagli assertori di una antite-tica diffusione del popolamento sparso1, sia daisostenitori della labilità e dell’incessante mobilitàdelle forme insediative accentrate2.Prescindendo dai dati emergenti dalla ricerca ar-cheologica, si è continuato a descrivere i nuclei dipopolamento contadino e i centri aziendali dellagrande proprietà come realtà, fra loro, diverse eben separate non solo sul terreno socio-economi-co, ma anche sul piano insediativo; si sono esclu-se implicitamente sia la consistenza demograficasia l’identità comunitaria dei centri sui quali siincardinava la signoria fondiaria, che spesso inve-ce costituivano rilevanti agglomerati rurali, abita-ti da contadini e non da allodieri giuridicamenteliberi, le cui tracce documentarie possono emer-gere con maggior facilità dalle carte private alto-medievali. In tal modo molti medievisti sembranoriferirsi ad una presunta continuità tra la villa diVarrone e quella dell’abate Irminone3, come se lavilla/curtis carolingia derivasse direttamente dallatifondo romano, come se la dissoluzione dell’in-tero assetto politico-economico-sociale romanoimperiale non avesse rivoluzionato profondamentele stesse strutture agrarie, e i villaggi altomedieva-li non si fossero affermati attraverso profondi pro-

cessi di trasformazione dei sistemi insediativi an-tichi4.Numerosi storici dell’Italia altomedievale sonogiunti a supporre l’esistenza di un popolamentorurale sparso sulla base di indicatori desunti esclu-sivamente dall’esigua documentazione d’archivio,peraltro sempre successiva alla metà del secolo VII,distribuita non uniformemente nel tempo e nellospazio, nonché sostanzialmente ambigua ai finidella ricostruzione dei contesti insediativi.Nel delineare i caratteri dell’habitat e del paesag-gio agrario, Andreolli e Montanari proponevano,nel 1983, una sintesi sulla curtis in Italia essen-zialmente incentrata sugli aspetti gestionali del-l’azienda curtense in riferimento alla proprietàdella terra e al lavoro contadino durante i secoliVIII-XI5.Riconoscendo che le fonti d’archivio utilizzate siprestano soprattutto a delineare i caratteri delpossesso fondiario altomedievale, le relazionieconomico-sociali e le forme di controllo sugliuomini, gli autori evidenziavano che il sistemagestionale “curtense” non implicò alcun tipo spe-cifico di insediamento e di organizzazione agra-ria6. Sottolineavano tuttavia che dalla lettura do-cumentaria avevano tratto l’impressione di unaprevalente diffusione di un modello insediativodi tipo poderale, secondo il quale i mansi dipen-denti da un centro curtense corrispondevano aduna «unità aziendale compatta, autonoma nei suoiconfini, delimitabile con chiarezza nella sua indi-vidualità», presupponendo che a tale definita uni-tà gestionale dovesse corrispondere necessaria-mente anche una contiguità topografica delle ter-re, giungendo a generalizzare tali osservazioni al-l’intera penisola.La posizione sostenuta, secondo cui molti riferi-menti documentari altomedievali sarebbero inter-pretabili come indizi di popolamento sparso inse-rito nel quadro del sistema curtense appare fragi-le. Ma una simile perplessità è suscitata dalle af-fermazioni che generalizzano la diffusione dell’in-sediamento sparso anche a prescindere dall’affer-mazione della grande proprietà e del sistema cur-tense e che ne presuppongono anche una notevo-le diffusione nei decenni precedenti l’affermazio-ne dell’azienda bipartita: «In Italia, nei secoli VIII-

1. In riferimento alla diffusione del villaggio accentrato nelsecolo IX sostenuta da Duby, ad esempio Andreolli e Mon-tanari ritengono che «tale immagine, se può valere per l’Eu-ropa del Nord a cui il Duby soprattutto si riferisce, nonpuò certamente essere applicata all’Italia» (ANDREOLLI, MON-TANARI 1983, pp. 177-200).2. FOSSIER 1992, p. 208.3. Cfr. TABACCO 1967, pp. 67-110.

4. Wickham in un suo contributo del 1998 affronta l’anali-si del doppio impatto della crisi del sistema romano e dellacontinuità delle strutture agrarie dopo essersi posto la do-manda «come è stato possibile che la crisi dell’impero [ro-mano] si sia sviluppata in concomitanza con una sostanzia-le continuità dell’economia agraria?» (WICKHAM 1998a, pp.203-226, in particolare pp. 204-205).5. ANDREOLLI, MONTANARI 1983, pp. 177-200.6. ANDREOLLI, MONTANARI 1983, p. 180.

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XIMontarrenti (Sovicille-Siena). Montarrenti è stato scavato tra il 1982 ed il 1988. L’esistenza del castello viene attestato dalle fontiscritte a partire dalla metà del XII secolo. L’indagine ha dimostrato che la prima occupazione stabile del rilievo avvenne in realtàintorno alla metà del VII secolo sotto forma di un villaggio di capanne fortificato. Le difese erano costituite da due palizzate ligneeposte a protezione della parte alta e bassa del rilievo. In basso a destra il particolare di una capanna delimitata da buche di palo. Frala seconda metà dell’VIII ed il IX secolo le capanne dell’area sommitale vennero smontate e la palizzata fu sostituita da un murocostruito con pietre rozzamente squadrate legate da malta. In basso a sinistra: muro che taglia la palizzata. All’interno dello spazioracchiuso dalla nuova cinta in pietra è costruito un grande magazzino in legno ed un forno con annessa tettoia. L’evidenza archeologicalascia ipotizzare una trasformazione dell’insediamento da villaggio a centro curtense, guidato da un nuovo potere che si impone

accentrando i beni e le strutture di servizio e richiamando in loco maestranze capaci di costruire strutture in muratura.

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IX, il modello prevalente di habitat sembra esserequello sparso». Andreolli e Montanari giungonoa sistematizzare e ad enfatizzare posizioni analo-ghe espresse occasionalmente dalla storiografiaprecedente sulle campagne altomedioevali, che apartire dagli anni cinquanta ha creduto di intra-vedere testimonianze di una consistente diffusio-ne di abitazioni isolate nelle campagne altomedie-vali, proponendo anche una distinzione tra i pic-coli proprietari, residenti nei vici, e i massari daessi dipendenti, che spesso non avrebbero abitatoentro il villaggio, ma sul podere loro affidato ingestione7.Andreolli e Montanari, usando soprattutto le fontiprivate dell’Italia settentrionale, sono giunti adipotizzare per l’intera Penisola dei secoli VIII eIX, tanto nelle aree di tradizione longobarda quan-to in quelle di tradizione bizantina, una sostanzia-le marginalità del modello insediativo fondato sulvillaggio accentrato, che tuttavia confligge con leconoscenze relative a molte regioni italiane (areemontane, sia appenniniche che alpine, gran partedella Toscana) e al quadro che si va delineandoper l’Europa carolingia e nel mondo bizantino. Ilpregio di queste pagine dedicate ai quadri inse-diativi nell’Italia “curtense” consiste nella propo-sta di un modello insediativo senza sostanzialiambiguità, con la quale gli archeologi possonoutilmente confrontarsi; mentre posizioni storio-grafiche altrettanto orientate a generalizzare ladiffusione del popolamento sparso durante l’altoMedioevo sono state avanzate, più spesso sottin-tese che esplicitate con coerente consapevolezza.Si potrebbe affermare, dunque, che la medievisti-ca interessata ai problemi della storia rurale abbiarinunciato ad usare i documenti archeologici chehanno apportato nuove conoscenze sugli elemen-ti cardine delle forme insediative altomedievali, eche le ricostruzioni dei quadri insediativi sono stateproposte dagli storici sulla base del genere di fon-ti scritte cui hanno fatto prevalente ricorso. Infat-ti, in assenza di documentazione scritta di tipo fi-scale-descrittiva, la presenza del villaggio risultasostanzialmente “invisibile” utilizzando questo oquel tipo di scrittura8.Le vecchie ricerche della scuola economico-giuri-dica, ad esempio, hanno ricondotto univocamen-

te le testimonianze relative a organizzazioni co-munitarie rurali a forme di organizzazione politi-co-amministrativa ed ecclesiastico-religiosa fonda-te sul villaggio o su quadri territoriali ancora piùorganici e complessi (vicus, casale, pagus, etc.),attingendo soprattutto alle fonti normative tardo-romane e romano-barbariche, alle non rare fontinarrative e, non ultimo, alla documentazione ditipo giudiziario9.D’altra parte anche gli studiosi che si sono avvi-cinati all’alto medioevo da una prospettiva stori-co-economica e storico-sociale hanno frequente-mente fatto riferimento al villaggio come celluladi un ecosistema nel quale la comunità era inseri-ta, nell’ambito di sistemi produttivi che tendeva-no all’autosufficienza su base locale10. Infine, ilvillaggio è stato considerato come il fulcro del-l’organizzazione del territorio rurale nell’altomedioevo quando ci si è occupati dell’assetto ec-clesiastico altomedievale delle campagne11, comeè accaduto in Toscana12, per la straordinaria di-sponibilità di testimonianze giudiziarie raccolte inoccasione della contesa tra il vescovo di Siena equello di Arezzo in merito alla titolarità di un grup-po di pievi poste al confine tra i due territori13.Ma le posizioni sull’insediamento altomedievalein Europa e in Italia sembrano differire non solotra “storici” e “archeologi”, quanto piuttosto inrelazione alla formazione dei singoli ricercatori eal genere di fonti cui si è fatto riferimento. Unapiù estesa analisi riguardo ai temi dell’insediamen-to altomedievale lascerebbe emergere più profon-de distinzioni tra chi (storico o archeologo) è ri-corso a paradigmi interpretativi, attingendo amodelli noti o elaborandone di autonomi, e chi,invece, ha organizzato le informazioni in formadisaggregata e meramente descrittiva.Appare chiaro che l’archeologo che appiattisse un

7. FASOLI 1958, pp. 111-133.8. Non pare un caso che un assetto del popolamento pervillaggi emerga con chiarezza da un testo del secolo X chepresenta caratteri per certi versi assimilabili a fonti di tipofiscale, vale a dire l’inventario della pieve di S. Pietro diTillida (nella pianura veronese) riguardante i vici i cui abi-tanti erano tenuti a versare la decima ecclesiastica pressol’ente ecclesiastico (CASTAGNETTI 1976; cfr. anche CASTAGNET-TI 1982, p. 62).

9. SCHNEIDER 1914, pp. 182-183 e SCHNEIDER 1980; BOGNETTI1927; FASOLI 1958; SANTINI 1964, pp. 33-65; BOGNETTI1965, in particolare pp. 469-490; CAVANNA 1967, p. 546;MOR 1972, pp. 15-19.10. Per le comunità di villaggio altomedievali italiane cfr.FUMAGALLI 1985a, pp. 22-23; le stesse posizioni sono ripre-se, sottolineando l’erosione dei beni comunitativi da partedella grande proprietà dei secoli VIII e IX, anche in FUMA-GALLI 1994, pp. 377-379. Sostiene che nel mondo longo-bardo la struttura del villaggio appare dominante dai no-stri primi documenti scritti WICKHAM 1992, pp. 240-241.Più in generale, per i villaggi tardo-antichi e del primo al-tomedioevo nel contesto dell’Europa occidentale cfr.CONTAMINE et alii 1997, pp. 29-31, mentre per il villaggiodel IX secolo è ancora utilissima la lettura di DUBY 1984,pp. 8-10.11. Cfr. VIOLANTE 1986, pp. 105-265.12. Cfr., ad es., l’analisi della charta repromissionis dell’ot-tobre 746 relativa alla chiesa di S. Pietro di Mosciano, pressoLucca (CDL, I, n. 86, pp. 252-254), in MENGOZZI 1915.13. CASTAGNETTI 1982, pp. 34, 41, 272-274.

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inquadramento dei dati materiali prodotti dal pro-prio lavoro sul campo entro modelli costruiti sul-le fonti scritte si priverebbe di strumenti essenzia-li, tali da escludere interpretazioni innovative,anche a livello storiografico, e si priverebbe deglistrumenti indispensabili per individuare i contestie le strategie per le indagini future. L’unica strate-gia possibile per accrescere la conoscenza dell’in-sediamento altomedievale è quella di costruire emettere alla prova i paradigmi interpretativi, ri-manendo disponibili a modificarli e a superarlisulla base delle nuove conoscenze acquisite, e laverifica delle interpretazioni storiografiche nonpuò che ripartire dalla lettura delle fonti: chi le hausate infatti non necessariamente si è confrontatocon sufficienti strumenti critici alle fonti materia-li. Ma anche questa strada non necessariamente,soprattutto in fasi di elaborazione intermedie, por-ta a conclusioni definitive: la logica di conserva-zione della materialità della storia è ben diversadalla logica di conservazione delle fonti scritte. Inparticolare per l’altomedioevo dobbiamo averchiaro che ormai gli scavi hanno prodotto, in re-lazione alle strutture dell’habitat, documenti cheinvestono qualità e quantità di dati assai superioriai pochi documenti privati superstiti

3. La Toscana è stata, ed è, contrassegnata dallacompresenza di contesti geografici e ambientalimolto differenziati14 e le varie subregioni conob-bero vicende storiche divergenti già durante l’altomedioevo15, determinando condizioni specificheche influenzarono localmente la geografia delpopolamento rurale. Tuttavia, le differenze neiquadri insediativi altomedievali proposte sulla basedell’analisi della documentazione d’archivio super-stite16 non hanno trovato riscontro sul terrenodell’indagine archeologica: i risultati delle rico-gnizioni topografiche e degli scavi dei siti ruralidelineano in modo concorde una realtà tenden-zialmente omogenea entro i diversi comprensoriindagati. Infatti, in Toscana – come, del resto, nellageneralità delle regioni oggetto di estese ricogni-zioni archeologiche –, l’esame dei dati relativi aisecoli V-X consente di escludere una diffusionedel popolamento sparso, mentre gli scavi hannofrequentemente portato alla luce centri abitati dialtura, contrassegnati generalmente da una consi-

stenza demografica percepibile piuttosto rilevan-te, con fasi di occupazione che prendono avviogià a partire dal primo altomedioevo17.Per alcune aree della Toscana, una difficoltà dicogliere i segni di una identità sociale fondata sulterritorio di villaggio attraverso l’analisi della do-cumentazione privata di età carolingia e post-ca-rolingia ha indotto a ipotizzare una diffusione atratti pervasiva dell’insediamento sparso, non solonella piana di Lucca, strettamente legata alla cit-tà, ma persino in aree montane, quali l’Appenni-no casentinese e l’Amiata18. A fronte di tali ipotesiricostruttive la ricerca archeologica di superficieavrebbe dovuto individuare in buon numero trac-ce di residenze rurali isolate, che – invece – risul-tano del tutto assenti: per quali motivi l’insedia-mento sparso, che per altri contesti cronologiciemerge con chiarezza nell’indagine di superficie,non viene individuato in queste medesime ricer-che? Appare allora chiaro, come ci conferma Va-lenti, che l’“invisibilità” del popolamento altome-dievale si debba alla ricorrente presenza di nucleialtomedievali nei centri a continuità di vita fino albasso medioevo o alla sua ubicazione in corrispon-denza di alture, per le quali l’esistenza di fasi alto-medievali è accertabile attraverso scavi program-mati o, più semplicemente, alla sua coincidenzacon i centri abitati di lunga durata che ne hannoobliterato le tracce sino a renderle non percepibi-li fuori da indagini archeologiche mirate, data la“monumentalità” delle strutture in pietra delle fasisuccessive all’XI secolo e, viceversa, per la labilitàdei materiali costruttivi dei secoli compresi fra ilVI e l’XI.Possiamo inoltre chiederci se le differenze negliassetti delle campagne toscane altomedievali, de-lineate dagli storici, riflettano una disomogeneitànelle definizioni socio-insediative delle fonti, uti-lizzando una terminologia notarile, finalizzata adescrivere rapporti giuridici privati, non in gradodi farci capire quale fosse l’assetto reale delle strut-ture del popolamento, aderendo invece ad altrischemi di riferimento mentale19.Dopo il collasso dei sistemi distributivi e delle prin-cipali vie di comunicazione di epoca romana, lepopolazioni rurali furono costrette a contare suse stesse per il soddisfacimento dei bisogni prima-ri. In tale contesto, le logiche distributive del po-polamento furono orientate da dinamiche com-pletamente diverse rispetto a quelle che avevanocaratterizzato i paesaggi antichi: il popolamento

14. PINTO 2002, pp. 7-73.15. Cfr. WICKHAM 1995, pp. 232-233.16. Per due recenti sintesi sull’articolata organizzazione so-cio-insediativa delle campagne altomedievali toscane, rea-lizzate appoggiandosi ai documenti scritti, cfr. WICKHAM1992, pp. 239-251 e FRANCOVICH, GINATEMPO 2000, pp. 7-24.

17 FRANCOVICH, HODGES 2003, pp. 61-74, 106-114.18. WICKHAM 1990, pp. 79-102; WICKHAM 1995; WICKHAM1997.19. Cfr. le esemplificazioni in WICKHAM 1992, p. 241.

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rurale, fortemente ridotto, anziché disperdersi trai boschi e gli incolti, si andò rapidamente aggre-gando in nuovi insediamenti20, dopo una fase didisarticolazione degli impianti insediativi tardoantichi, spesso collocati ai margini degli spazi finoad allora utilizzati.Le condizioni socio-economiche e l’insicurezzapolitico-militare che contrassegnarono la regionenel corso del VI secolo fecero sì che una organiz-zazione di villaggio tornasse a soddisfare le esi-genze di sussistenza delle popolazioni rurali21, con-correndo al sedimentarsi di strutture mentali chevincolavano la comunità ad un centro abitato bencaratterizzato nella sua identità, ancorché labileper i materiali utilizzati nelle strutture abitative.L’accentramento delle abitazioni contadine in nu-clei di popolamento consentiva inoltre di raggiun-gere una “massa biologica” di consistenza adegua-ta, vale a dire un numero di abitanti che giungessealmeno alla soglia del centinaio di individui, al disotto della quale difficilmente la solidarietà e lasussidiarietà comunitaria potevano raggiungerequella massa critica utile per ottenere una produt-tività agricola efficace per la sopravvivenza: in quelcontesto, per un gruppo umano troppo esiguo eisolato, una comune infezione batterica sarebbebastata a compromettere l’esito di un raccolto. Ivillaggi – che tra l’altro costituivano il naturalequadro di riferimento anche per le popolazionigermaniche migrate nella Penisola22 – rappresen-tavano, poi, una sede ove accumulare le scortealimentari, uno spazio privilegiato per la produ-zione, la riparazione e lo scambio degli utensili e,non ultimo, il contesto di riferimento privilegiatoper la conservazione e la trasmissione del patri-monio di conoscenze tecniche, tanto più prezio-so, quanto più ciascuna comunità era forzatamentespinta all’autarchia in quasi tutti i settori produt-tivi. Lo sviluppo di una vita comunitaria entroquesti nuovi centri fu favorito dall’abituale con-duzione di pratiche collettive: la mietitura, la ven-demmia, la caccia e persino le rivalità con i centrivicini dovevano costituire ragioni per consolidarei legami di villaggio, mentre le dinamiche dei rap-porti parentali interni e esterni a questi centri abi-tati rimangono ancora da indagare in una prospet-tiva archeologica e antropologica23. Il popolamento rurale non si esauriva nelle co-munità di villaggio, doveva includere infatti l’esi-

stenza di elementi marginali: i vagabondi, i pel-legrini, i lavoratori forestieri specializzati, forseanche i pastori transumanti. Non vi è dubbio,tuttavia, che, sulla base delle indicazioni archeo-logiche, nella sua sostanza lo scheletro insediati-vo del primo medioevo fosse costituito da villag-gi di dimensioni non trascurabili, vale a dire dastrutture socio-insediative in grado di assolverealla massima parte delle necessità dei propri abi-tanti, in un contesto complessivo di profonda crisidelle città, dell’economia di scambio, delle in-frastrutture viarie e degli assetti politico-ammi-nistrativi.L’economia di sussistenza delle popolazioni ruralisi fondava sulla raccolta, sulla caccia e sull’alleva-mento, quanto sulle tradizionali attività agrarie, ilcui ruolo si andava ridimensionando rispetto allatarda antichità, come emerge con chiarezza ancheprendendo in considerazione l’evidenza archeo-zoologica (un crollo della presenza di ossa di bo-vini adulti, legata all’impiego come animali da tiro,a fronte di un incremento percentuale di caprio-vini e di suini24). Pertanto, i nuovi centri abitati,che talvolta occuparono insediamenti d’alturadell’età del Bronzo o del Ferro sostanzialmenteabbandonati dopo la romanizzazione, andaronoa collocarsi vicino a sorgenti perenni, presso lequali vennero impiantati gli orti, e si insediarononon lontano dagli estesi manti boschivi montani,dove il castagno e il cerro consentivano di sfama-re uomini e bestiame anche quando una carestiastagionale o un conflitto avrebbero compromessoil raccolto cerealicolo25. Il ruolo centrale ricoper-to dall’allevamento brado nell’economia agrariadel primo medioevo concorse a favorire l’accen-tramento insediativo delle popolazioni rurali, cheimpiantarono le residenze e le connesse coltureorticole, arboree e arbustive, entro una sorta di“oasi”, ben separate dal paesaggio semi-selvaticocircostante attraverso alte siepi, che dovevanoimpedire agli armenti e alle bestie selvatiche didanneggiare le colture e gli animali domestici. Sideterminò, così, quasi ovunque una ripartizionecolturale che nella sua rudimentalità dovette an-dare a separare nettamente i due fondamentaliterritori agrari: quello prossimo al villaggio, equello esterno comprendente in apparente fluidi-tà le colture cerealicole, quelle tessili, i pascoli e iboschi. In tale contesto, il manso di villaggio (valea dire la casa attestata nei documenti d’archivio apartire dalla metà del secolo VII) costituisce l’ele-mento in grado di garantire una gestione familia-

20. FRANCOVICH 2002, pp. 144-167; FRANCOVICH, HODGES2003, pp. 61-74; WICKHAM 1992, pp. 240-241.21. FRANCOVICH, HODGES 2003, pp. 31-74.22. GALETTI 1997; GALETTI 2001; GASPARRI 1996, pp. 317-320.23. Cfr. FUMAGALLI 1976, p. 34.

24. SALVADORI 2003, pp. 180-181.25. Cfr. QUIRÓS CASTILLO 1998, pp. 177-198; QUIRÓS CA-STILLO et alii 2000, pp. 147-175.

Page 14: 00.1 Fronte - All’Insegna del Giglio · gestionale “curtense” non implicò alcun tipo spe-cifico di insediamento e di organizzazione agra-ria6. Sottolineavano tuttavia che dalla

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Montemassi (Roccastrada-Grosseto). Il castello fu reso celebre dalla rappresentazione che ne fece Simone Martini nell’affresco del PalazzoPubblico di Siena, raffigurante l’assedio portato a Montemassi da Guidoriccio da Fogliano nel 1328. In alto, ricostruzione del castello di XIIIsecolo: le campagne di scavo, svolte dal 1990 al 1995 e dal 2000 al 2004, hanno dimostrato che l’occupazione dell’altura è più antica dellaprima menzione documentaria del sito datata al 1076. Le tracce più leggibili di questa fase insediativa si collocano sul fianco meridionaledella rocca; si tratta dei resti di tre capanne parzialmente addossate alla roccia. In basso, ricostruzione delle capanne sinora individuate.