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[Articoli] Il Caso.it 22 aprile 2013 IL CONCORDATO DELLE SOCIETÀ di COSTANZA DALMASSO DI GARZEGNA 1. I concordati delle società. Premessa - 1.1. I tipi di concordato: inquadramento dell’istituto nella riforma delle procedure concorsuali. - 1.2. Il concordato fallimentare: profili funzionali e di diritto sostanziale. - 1.2.1. La controversa natura dell’istituto quale “transazione collettiva” e le affinità con i modelli stranieri. - 1.3. Il “nuovo” concordato preventivo a sei anni dalla riforma e la ratio di prevenzione. - 1.3.1. I concordati fallimentare e preventivo alla luce del c.d. Decreto sviluppo (d.l. 22/6/2012 n. 83) e del c.d. Decreto Sviluppo bis (d.l. 18/10/2012 n. 179) - 1.4. Il concordato straordinario: i diversi tipi. - 1.4.1. Evoluzione storica: La legge Prodi (l. 3/4/1979 n. 95) e la Prodi bis (d.lg. 8/7/1999 n. 270). - 1.4.2. I problemi di coordinamento tra la legge Prodi bis e la legge fallimentare. - 1.5. L’evoluzione della disciplina dell’amministrazione straordinaria: da Parmalat ad Alitalia: la Legge Marzano (l. 18/3/2004 n. 39) come risposta ai grandi crack finanziari. - 1.5.1. La Legge Marzano e le questioni di legittimità costituzionale (C.Cost. 21/4/2006 n. 172 e C.Cost. 7/12/2006 n. 409). - 1.6. I “concordati di gruppo”: il dibattito dottrinale. Riproduzione riservata 1

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IL CONCORDATO DELLE SOCIETÀ

di COSTANZA DALMASSO DI GARZEGNA

1. I concordati delle società. Premessa - 1.1. I tipi di concordato: inquadramento dell’istituto nella riforma delle procedure concorsuali. - 1.2. Il concordato fallimentare: profili funzionali e di diritto sostanziale. - 1.2.1. La controversa natura dell’istituto quale “transazione collettiva” e le affinità con i modelli stranieri. - 1.3. Il “nuovo” concordato preventivo a sei anni dalla riforma e la ratio di prevenzione. - 1.3.1. I concordati fallimentare e preventivo alla luce del c.d. Decreto sviluppo (d.l. 22/6/2012 n. 83) e del c.d. Decreto Sviluppo bis (d.l. 18/10/2012 n. 179) - 1.4. Il concordato straordinario: i diversi tipi. - 1.4.1. Evoluzione storica: La legge Prodi (l. 3/4/1979 n. 95) e la Prodi bis (d.lg. 8/7/1999 n. 270). - 1.4.2. I problemi di coordinamento tra la legge Prodi bis e la legge fallimentare. - 1.5. L’evoluzione della disciplina dell’amministrazione straordinaria: da Parmalat ad Alitalia: la Legge Marzano (l. 18/3/2004 n. 39) come risposta ai grandi crack finanziari. - 1.5.1. La Legge Marzano e le questioni di legittimità costituzionale (C.Cost. 21/4/2006 n. 172 e C.Cost. 7/12/2006 n. 409). - 1.6. I “concordati di gruppo”: il dibattito dottrinale.

1. I concordati delle società. Premessa.

Le recenti riforme della legge fallimentare (d.l. n. 35/2005, d.lgs. n. 5/2006, d.lgs. n. 169/2007) hanno introdotto una serie di innovazioni legislative volte a modificare e ampliare gli strumenti giuridici a disposizione delle imprese per il governo delle crisi, con l'obiettivo di limitare il ricorso a procedure meramente liquidatorie e per favorire il recupero di valore del capitale attraverso il funzionamento aziendale.Erano da tempo condivisi i limiti del precedente quadro normativo, che inducevano la prassi aziendale a perseguire soluzioni stragiudiziali per il governo delle crisi d'impresa, giungendo al ricorso al Tribunale solo in caso di insuccesso o impraticabilità delle alternative di tipo privatistico. Tra le varie evidenze di questo atteggiamento, basti per tutti il codice ABI di comportamento delle banche nei processi di risanamento delle imprese, volto a promuovere: <<l'adozione di strumenti alternativi a quelli al momento offerti dalla normativa fallimentare - giudicati incapaci di soddisfare le esigenze che sorgono nel caso di risanamento aziendale>>.

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Nella previgente disciplina il concordato fallimentare, così come il concordato preventivo si configuravano come un accordo su una proposta avente contenuto economico, realizzato ed eseguito sotto il controllo dell’autorità giudiziairia tra la maggioranza dei creditori chirografari e l’imprenditore insolvente1. L’accordo negoziale che debitore e creditori raggiungevano veniva, infatti, sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria in base al principio che anche l’utilizzazione di uno schema contrattuale sia pure tipico, non esclude di per sè che le parti abbiano inteso realizzare interessi non meritevoli di tutela.Nella legge fallimentare del 1942, nella sezione II del capo VIII (dedicato alla cessazione della procedura fallimentare) gli artt. 124 e ss. erano rivolti a disciplinare lo strumento che si radicava nel fallimento determinandone la cessazione. La Sezione intitolata <<Del concordato>>, senza alcun aggettivo di accompagnamento si apriva con una norma (l’art. 124 per l’appunto) che nè definiva quello strumento, nè tantomeno, ne esplicitava l’obiettivo e la funzione2.La riforma del diritto fallimentare del 2006 e la giurisprudenza provvederanno, poi, a fornire una disciplina assai più dettagliata degli istituti in commento delineandone le differenze e talvolta coniando nove figure rimediali allo stato di crisi quali i concordati staordinari e i concordati di gruppo che tuttora alimentano un vivace dibattito giurisprudenzial-dottrinale circa la loro configurabilità.I differenti tipi di concordato corrispondono ai diversi momenti all’interno della crisi d’impresa in cui vengono proposti e alle diverse modalità di attuazione. Comune a tutti è, invece, l’esigenza del debitore/impreditore di soddisfare i propri creditori nella maniera più agevole e se possibile, di salvare quel che resta dell’attività di impresa.Con la presente trattazione s’intende fornire un quadro generale dei principali tipi di concordato alla luce della Riforma evidenziandone i tratti salienti della disciplina con particolare attenzione alle “nuove figure di conocrdato” che occupano in maniera preponderante lo scenario suscitando dubbi circa la loro ammissibilità.

1.1. I tipi di concordato: inquadramento dell’istituto nella riforma delle procedure concorsuali.

La riforma della legge fallimentare non reca una regolamentazione organica della crisi e dell'insolvenza delle società, perpetuando una lacuna della legislazione concorsuale, da tempo criticata in dottrina3, ma che si 1 S. Pacchi, Il concordato fallimentare XLII, 1371, in Fallimento e altre procedure concorsuali, II, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, 2009, Milano.2 Art. 124 legge fall. Proposta di concordato. Dopo il decreto previsto nell’art. 97, il fallito può proporre ai creditori un concordato presentando domanda al giudice delegato. La domanda deve contenere l’indicazione della percentuale offerta ai creditori chirografari e del tempo del pagamento e la descrizione delle garanzie offerte per il pagamento dei crediti, delle spese di procedura e del compenso del curatore.3 Cfr. Per tutti A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.B. Colombo e G.B. Portale, Torino, 1993, 209 ss.; e, dopo la riforma, v. G.B. Portale, La legge fallimentare rinnovata: note introduttive, in

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avverte maggiormente nelle soluzioni "negoziate" e in presenza di un "gruppo" di imprese. Le difficoltà risultano acuite dall'insufficiente coordinamento della legge fallimentare, novellata a più riprese dal d.l. n. 35/2005, dal d.lgs. n. 5/2006 e infine dal d.lgs. n. 169/2007, con il "nuovo" diritto delle società, specialmente con riguardo agli effetti del fallimento sull'organizzazione societaria ed al rapporto fra gli organi sociali e gli organi della procedura concorsuale durante la pendenza di questa.Le nuove soluzioni concordatarie, concordato fallimentare, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti4 si contraddistinguono, in sintonia con la "filosofia" della privatizzazione delle procedure concorsuali che ispira la riforma e con le esperienze di alcuni sistemi stranieri5: per la flessibilità, essendo il contenuto della proposta (o dell'accordo) "detipizzato" ed aperto a qualsiasi formula atta a conseguire l'obiettivo primario del soddisfacimento dei creditori, conciliandolo con l'esigenza, secondo i casi, di ristabilire l'equilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell'impresa, di conservare in funzione il complesso aziendale e l'avviamento, di valorizzare in massimo grado i beni e le attività destinate alla liquidazione; per la negozialità, essendo la modalità di soluzione della crisi e la sua "convenienza" fondamentalmente rimesse alla valutazione degli stessi creditori (a maggioranza di capitale) e sottratte all'apprezzamento dell'autorità giudiziaria, se non in caso di opposizioni o di dissenso di talune classi; per il coinvolgimento dei creditori e dei terzi nel progetto di recupero, promozione e riallocazione del valore dell'impresa risultante dalla riorganizzazione economica, patrimoniale, finanziaria e/o proprietaria programmata nell'ambito del "piano" di cui agli artt. 124, 160-161 e 182-bis l. fall6.

Banca borsa, 2007, I, 368 ss; M. Rescigno, Rapporti e interferenze fra riforma societaria e fallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio, Bologna, 2007, t. 2, 2120 ss; F. Guerrera, Commento all’art. 152 l. fall, ivi 2202 ss; A. Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, 175 ss.4 D’Alessandro, La crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali, in Giust. Civ., 2006, II, 329 ss.; L. Guglielmucci, La riforma in via d’urgenza della legge fallimentare, Torino, 2005, 51 ss., 123 ss.; F. Guerrera, Il nuovo concordato fallimentare in Banca borsa, 2006, I, 527 ss.; G. Giannelli, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento nella riforma delle procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2005, I, 1156 ss.; G. Alessi, Il nuovo concordato preventivo, in Giur. comm., 2005, I, 723 ss.; S. Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare, in Fallimento, 2005, 949 ss.5 Si allude soprattutto all’Insolvenzordnung del 5 ottobre 1994 sulla quale v. L. Guglielmucci, La legge tedesca sull’insolvenza, Milano, 2000, 16 ss., in particolare sul piano della regolazione dell’insolvenza (Insolvenplan) (§§ 217 ss.).6 Non mette conto, invece, di occuparsi del piano di risanamento di cui all’art. 67 comma 2 lett. D., l. fall., nel quale la composizione negoziale può mancare o assume una dimensione stragiudiziale: cfr. S. Bonfatti -P.F. Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, Padova, 2006, 268 ss.

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Le due principali figure di concordato che tradizionalmente si incontrano nello studio delle procedure concorsuali sono il concordato fallimentare e il concordato preventivo.Andando per ordine, ai fini di una corretta ricostruzione dell'istituto, il "nuovo" concordato fallimentare dev'essere analizzato nel quadro delle soluzioni negoziate della crisi d'impresa, prima che come causa di cessazione della procedura, malgrado la collocazione sistematica che esso ha conservato nella legge fallimentare anche dopo la novella del d.lgs. n. 5 del 2006.Nel senso della sua equiparazione funzionale agli altri strumenti che la riforma mette a disposizione dell'autonomia privata per la regolamentazione privata della crisi, latamente intesa, depone innanzitutto l'attenuazione delle differenze strutturali e normative rispetto al concordato preventivo, che può cogliersi sotto molteplici aspetti.Si allude alla detipizzazione ed alla liberalizzazione del contenuto della proposta, che accomuna post riforma i due concordati (artt. 124 e 160 l. fall.); alla drastica riduzione, in entrambi, dell'incidenza del controllo preliminare circa l’ammissibilità (artt. 125 e 163 l. fall.) e del controllo omologatorio da parte del tribunale (artt. 129 e 180 l. fall.); alla eliminazione dei c.d. requisiti soggettivi, nonché del controllo giudiziale di meritevolezza, per quanto riguarda il concordato preventivo (artt. 160 e 180 l. fall.). Nel nuovo sistema concorsuale, contrassegnato dalla scelta di non unificare le procedure di crisi e d'insolvenza, le due forme di concordato appaiono assimilabili, sotto molteplici aspetti, e perciò anche relativamente fungibili, quantunque operanti in direzione diversa: nel senso della prevenzione o della rimozione dello stato di fallimento dell'imprenditore e degli effetti della relativa dichiarazione.Restano pur sempre, com'è ovvio, notevoli differenze fra il concordato preventivo e fallimentare in punto di legittimazione alla proposta, revocatoria degli atti pregiudizievoli, trattamento dei creditori privilegiati, sistema di votazione e approvazione del concordato, conseguenze penali, e soprattutto di spossessamento. Quest'ultimo costituisce difatti un effetto automatico ed inevitabile del fallimento (art. 42 l. fall.), che dà adito all'apprensione dei beni e all'amministrazione del curatore.La nuova disciplina del concordato fallimentare consente dunque - molto meglio che in passato - di "autoregolamentare" gli effetti dell'insolvenza in deroga al diritto concorsuale legale e giova a propiziare la sistemazione negoziata del dissesto, su impulso di qualunque "soggetto interessato" al recupero, all'acquisizione o alla valorizzazione del patrimonio o dell'attività che fa capo all'imprenditore7.Alcune delle maggiori novità introdotte dalla riforma della disicplina del concordato preventivo e del concordato fallimentare sono rappresentate da quelle che riguardano la sorte che nelle procedure in esame può toccare ai creditori con diritti di prelazione (speciale o generale).Essendo la maggior parte dei problemi sollevati dalla novella comune a entrambe le procudere concordatarie con riferimento alla prima di esse e alla fomrulazione e presentazione della proposta del debitore “in stato di

7 F. Guerrera, Il nuovo concordato fallimentare, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, 05, 527.

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crisi” si osserva come l’art. 160 l. fall8, ricalchi fedelmente quella del (nuovo) terzo comma dell’art. 124 l. fall. Quest’ultimo riguarda la proposta di concordato fallimentare, con l’unica variante che mentre qui il “professionista” qualificato deve essere designato dal tribunale, lì, nel concordato preventivo è scelto dallo stesso debitore concordatario; nella Relazione illustrativa di tale diversità non viene data alcuna spiegazione, cosicchè all’interprete non resta che ricavarla dalla considerazione che, mentre il concordato fallimentare oggi può essere proposto da chiunque e segue comunque e necessariamente l’accertamento dello stato di insolvenza contenuto nella sentenza dichiarativa di fallimento, il concordato preventivo può essere proposto solo dal debitore in stato di crisi ed è precisamente diretto a prevenire la dichiarazione di fallimento e, dunque, il legislatore potrebbe aver ritenuto superfluo imporre al debitore medesimo l’onere di denunciare anticipatamente al tribunale, sia pure solo al fine della nomina del profesionista, la situazione di crisi e l’intenzione di presentare una proposta concordataria. Perlatro, le stesse Relazioni illustrative dei testi di riforma manifestano con insistenza l’obiettivo (o il desiderio) di “incentivare ulteriormente il ricorso al concordato preventivo” anche liberandolo laddove possibile, di adempimenti formali: e ciò potrebbe essere stato anche alla base della diversità sopra evidenziata9.

1.2. Il concordato fallimentare: profili funzionali e di diritto sostanziale.Per quanto attiene il profilo d’indagine circa gli obiettivi della riforma rispetto al connotato fallimentare si possono avanzare le seguenti considerazioni.

La riforma del concordato fallimentare ha perseguito vari intenti. Ne risulta una procedura concordataria fortemente innovata non solo per quanto riguarda l’ampliamento del novero dei soggetti legittimati, il possibile contenuto delegificato della proposta e l’anticipazione del momento nel quale si può presentare l’offerta, ma per la frizione che alcuni aspetti della nuova impostazione suscitano con certi principi di diritto privato. Nello specifico pare potersi affermare che il diritto di proprietà dell’imprenditore ceda il passo al diritto del mercato alla riallocazione dei complessi produttivi di imprese in crisi.Innanzitutto il legislatore del 2005-2006-2007 ha disegnato un sistema connotato dal ricorso al fallimento quale extrema ratio mentre l’utilizzazione dei mezzi alternativi di gestione della crisi viene 8 Art. 160 II comma l.f. La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 III comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione.9 P. F. Censoni, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa, (a cura di) S. Bonfatti, 2008, 67, Torino.

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incentivata, da un lato affidandola alle parti stesse (debitore e creditore) e dall’altro riducendo l’intervento del giudice.L’accordo tra debitore e creditori è, così, lo strumento principe che consente di armonizzare gli interessi in gioco nella crisi evitando il fallimento. Il Riformatore lo propone sotto diverse formule che vanno dal piano di risanamento attestato, all’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, al concordato preventivo sulla base di un piano che può essere modulato secondo un obiettivo meramente satisfattivo, o invece, satisfattivo-conservativo, contemperando le aspettative dei creditori con le chances che ancora presentano l’impresa e/o l’azienda.Tali strumenti permettono all’imprenditore di pilotare in tempo la propria impresa verso una soluzione concordata della crisi, mantenendo, per la durata dell’intervento, il potere di amministrare (a meno che il prezzo che domandano i creditori consista in un mutamento dell’assetto imprenditoriale) ed alla fine la titolarità. Tale è il premio per l’imprenditore che fa ricorso tempestivamente agli strumenti preventivi.Post Riforma, dunque, l’imprenditore deve essere consapevole che se ai primi segnali di crisi non utilizza uno strumento alternativo al fallimento, che gli consente di tentare la conservazione della titolarità dell’impresa, in seguito, deterioratasi ulteriormente la situazione e dichiarato fallito, rischierà di perdere, con un concordato fallimentare proposto “da altri” ogni residua chances sull’impresa10.Pare, quindi, potersi affermare che il legislatore ha strutturato il nuovo concordato fallimentare in modo da servirsene anche anche come strumento di pressione indiretta sull’imprenditore affinché ricorra fin dai primi segnali di crisi ad uno degli strumenti di concertazione.Questo costituisce il primo obiettivo perseguito dal legislatore che conseguentemente ha conservato la legittimazione del fallito comprimendola però temporalmente e, di fatto, relegandola in posizione residuale rispetto alle iniziative degli altri soggetti legittimati11.10 Sul punto cfr. De Crescienzo-Mattei-Panzani, La Riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2006,138.11 L’estensione della legittimazione a soggetti diversi dal fallito (creditori e terzi) è un’innovazione che deve essere letta nel quadro della nuova posizione assegnata dalla riforma al concordato fallimentare. E’ per questo motivo che secondo alcuni la disciplina nuova del concordato fallimentare costituisce la “quadratura del cerchio”. Ci si potrebbe chiedere se il declassamento della posizione del debitore nell’offerta del concordato fallimentare sia coerente o meno con il nuovo sistema. In effetti mentre il concordato preventivo, quale procedura diretta e alternativa a evitare il fallimento, non può essere richiesto dall’imprenditore che ha ancora in mano la soluzione della crisi e il rischio della gestione di questa, il concordato fallimentare, proprio perché procede dal fallimento e quindi segue all’accertamento giudiziale dell’insolvenza e allo spossessamento, deve essere nella disponibilità di chiunque vi abbia interesse. Una volta che l’insolvenza è stata accertata sono venute meno le preclusioni all’ingresso nell’impresa. Il fallimento ha già fatto perdere al fallito il diritto a disporre dell’impresa sulla base dei principi civilistici e costituzionali. I creditori in primis hanno diritto a disporre del complesso aziendale e, inoltre, entra in gioco, sulla base dell’art. 41 Cost. l’interesse sociale a investire nell’impresa per trovare indirettamente la via al proprio soddisfacimento e direttamente la restaurazione del danno subito dalla collettività con l’insolvenza. Da qui trae la legittimazione l’intervento del terzo. In questo quadro la norma che pospone l’iniziativa del debitore si inserisce armonicamente nel sistema tracciato dalla riforma, potendone, anzi costituire la molla. Per questa impostazione cfr.

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Inoltre, il legislatore come secondo obiettivo ha puntato verso la flessibilità del contenuto della proposta. Quest’ultima risulta, in primo luogo, svincolata da precostituite modalità di soddisfacimento dei creditori: non fissa nè percentuale, nè tempo, nè richiede garanzie. Sono i creditori gli arbitri del loro soddisfacimento. Ciò che la legge richiede è l’accettazione da parte dei creditori di un quid che essi ritengano idoneo a soddisfare il loro diritto di credito. La legge non richiede l’adempimento: al pregiudizio loro recato dal fallimento del debitore può aggiungersi il rischio dello strumento da essi accettato per il soddisfacimento.La legge suggerisce modelli flessibili, disponibili dall’autonomia privata. E ciò che ad essa conviene viene rispettato dal giudice, custode della regolarità della procedura quando la maggioranza dei creditori ha accolto la proposta riconoscendola non deteriore rispetto a quella della liquidazione concorsuale12.La nuova disciplina elimina, inoltre, una delle “gabbie” in cui era imprigionato il concordato fallimentare del 1942: quella del soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati.E questo perfino nel caso di loro probabile incapienza sul bene oggetto della garanzia. La proposta di concordato oggi (in virtù dell’art. 124 III comma, l.fall.) può rivolgersi anche ai creditori muniti di prelazione: se e in quanto possa essere loro offerto un trattamento non integrale.Ancora, il legislatore fallimentare ha assunto come terzo obiettivo, quello di coniugare l’interesse dei creditori al soddisfacimento con l’istanza sociale di conservazione dell’azienda consegnando ai primi (che fuori e prima della procedura concorsuale si affidano al contratto e dopo al metodo maggioritario) la decisione non solo (come già avveniva in passato) sulle modalità (e quindi sulla convenienza) del loro soddisfacimento, ma anche sull’assunzione del rischio conseguente ad un progetto conservativo che, nella nuova legge, è presentato come un investimento nell’azienda13.Pacchi, Mutamenti nel diritto concorsuale e nel diritto dell’impresa, RDCo, 2003, I, 341 ss. Alla luce del nuovo concordato fallimentare nel senso del testo cfr. De Crescienzo-Mattei-Panzani Op. cit., 136; Bertacchini, Poposta di concordato, art. 124, in Nigro-Sandulli (a cura di) La riforma delle legge fallimentare, Torino, 2006, 768; Schiavon, Il nuovo concordato fallimentare in M. Fabiani-Patti (a cura di), La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 215.12 E’ evidente il capovolgimento rispetto alla disciplina del concordato preventivo, nel quale la convenienza è stata espressa in termini di soddisfacimento superiore rispetto al fallimento, al di là dei vantaggi che l’impresa avrebbe potuto conseguire nella procedura minore. Possiamo aggiungere che il concordato fallimentare rispetto al concordato preventivo, la cui convenienza è sempre in bilico perché privo delle revocatorie, mostra un punto a proprio favore: le revocatorie sono trasferibili, a meno che proponente e nel contempo obbligato non sia lo stesso debitore, e sono fruibili sia per finanziare il progetto sia per meglio soddisfare i creditori, dal momento che comunque l’interesse di questi passa anche dalla conservazione dei valori produttivi.13 Si legge nella Relazione di accompagnamento che in definitiva l’intenzione del legislatore del 2006 è stata quella di creare un modello normativo concorsuale ispirato a una “nuova prospettiva di recupero delle capacità produttive dell’impresa, nelle quali non è più individuabile un esclusivo interesse dell’imprenditore, secondo la ristretta concezione del legislatore, ma confluiscono interessi economici e sociali più ampi, che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento della crisi aziendale”. Inoltre il legislatore ha voluto adeguare la disciplina in materia di fallimento, rendendola

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Creditori, terzi, o lo stesso debitore possono decidere di investire (o di investire nuovamente) in quell’azienda. Chi decide della convenienza di quell’operazione sono soltanto i creditori, che nel fallimento e nel concordato fallimentare sono affiancati e supportati dal curatore.Spesso l’ingresso dei creditori come soci avverrà in seguito al mutamento degli assetti imprenditoriali. La formula che facilita queste operazioni è quella del concordato con assunzione (da parte di un terzo, o dei creditori o di una newco). L’autonomia privata ha, pertanto, a disposizione un ventaglio ampio di soluzioni tra le quali rimane in ombra il pagamento di una somma di denaro che continuerà, tuttavia ad essere presente nelle proposte di concordati di imprese di dimensione normale.Il legislatore fallimentare del 2006 ammette, così, la compatibilità con il fallimento, non solo delle operazioni sul capitale, ma anche di quelle cc.dd. straordinarie (trasformazione, fusione e scissione). Tali operazioni assumono indubbia rilevanza in un rinnovato quadro di strumenti satisfattivi utilizzabili nel concordato fallimentare, ma ancor di più nell’ambito di un progetto di possibile ristrutturazione di impresa insolvente. E’ possibile, quindi, riorganizzare l’impresa mentre si procede al soddisfacimento concorsuale dei creditori atteso che per la riforma del diritto societario (d.lg. 6/2003) da una parte il fallimento non è causa di scioglimento delle società di capitali e dall’altra le operazioni straordinarie sopra elencate non sono di per sè incompatibili con le procedure concorsuali. La convenienza economica è il metro con cui giudicare della compatibilità di queste operazioni anche perché esse comportano cadenze e procedimenti più lunghi, complessi e costosi. La proposta dovrà in tal caso contenere in dettaglio la loro previsione e quindi lo svolgimento e dovrà essere accompagnato da un allegato contenente la necessaria documentazione.Questo insieme di regole fa sì che oggi le procedure concorsuali possano divenire occasione di investimenti da parte dei terzi e/o dei creditori e, in prospettiva, di operazioni finanziarie. In ciò è consentito individuare il terzo obiettivo della riforma del concordato fallimentare. Ciò è reso possibile, oltre che dalla prevista estensione della legittimazione a creditori e terzi per la presentazione di una proposta di concordato fallimentare, dalla flessibilità del contenuto dell’offerta.Il nuovo concordato fallimentare si atteggia, quindi, come lo strumento tipico, messo dalla legge a disposizione dell'autonomia privata per regolare, in ragione e in funzione della situazione d'insolvenza, i rapporti

compatibile, alla tendenza, da tempo sviluppatasi nella legislazione dei paesi europei “volta a considerare le procedure concorsuali non più in termini meramente liquidatori-sanzionatori, ma piuttosto come destinate ad un risultato di conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa, assicurando la sopravvivenza, ove possibile, di questa e negli altri casi, procurando alla collettività e, in primo luogo, agli stessi creditori, una più consistente garanzia patrimoniale attraverso il risanamento e il trasferimento a terzi delle strutture aziendali”. Con la conferita delega, il legislatore ha inteso allinearsi agli altri Stati membri dell’Unione europea e introdurre “una disciplina concorsuale per la regolamentazione dell’insolvenza che semplifichi le procedure attualmente esistenti e sopperisca in modo agile e spedito alla conservazione dell’impresa e alla tutela dei creditori”.

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e la responsabilità patrimoniale del debitore nei rapporti con i creditori e con gli altri "interessati". L'intervento del giudice, rispetto a questo programma negoziale di sistemazione della crisi assume una portata affatto circoscritta, in fin dei conti riconducibile ad un controllo "di legalità", quand'anche sostanziale e non meramente formale.La "materia" dell'insolvenza acquista pertanto, assai più nettamente che in passato, carattere relativamente disponibile. Proprio in ciò risiede, per quanto riguarda il nostro tema - e non già in una concezione puramente "contrattualistica" del concordato, comunque non più riproponibile - l'essenza della "privatizzazione" delle procedure concorsuali. Parafrasando il disposto dei §§ 1 e 221 dell'Insolvenzordnung, si potrebbe affermare che la proposta di concordato, al pari dell'Insolvenzplan, mira a dettare negozialmente una "differente disciplina" per il soddisfacimento concorsuale dei creditori e stabilisce "in quale modo deve essere modificata la posizione giuridica degli interessati", naturalmente in esito al relativo procedimento.Il nuovo concordato fallimentare dev'essere riguardato allora contemporaneamente: a) come modalità di regolamentazione alternativa dell'insolvenza, secondo il contenuto della proposta e del "piano" che dovrà redigersi a corredo di essa in tutte le ipotesi di riorganizzazione patrimoniale finanziaria e societaria dell'impresa, oltre che in quella legalmente contemplata (art. 124, comma III, l. fall.) di trattamento diversificato dei creditori: modalità rispetto alla quale il processo di fallimento è destinato a subire appunto una profonda alterazione della sua ordinaria progressione (accertamento-liquidazione-riparto-chiusura-eventuale esdebitazione); b) come strumento idoneo a determinare l'eliminazione successiva dello stato d'insolvenza per effetto della stessa regolamentazione concordataria che comporta, in esito alla procedura di approvazione-omologazione, una "esdebitazione" più o meno intensa, ma comunque tipica dell'istituto (quanto meno con riguardo agli interessi ex artt. 55 e 135 l. fall.); sebbene tale effetto non possa più dirsi esclusivo, data la possibilità per l'imprenditore individuale di accedere al beneficio dell'esdebitazione secondo la nuova disciplina dell'art. 142 l. fall.; c) come modalità di cessazione anticipata - se del caso, come si è detto, anche repentina - del processo di fallimento, che è destinato a rimanere soppiantato dalla sistemazione concordataria del dissesto e che prelude al rientro, in bonis, cioè al riacquisto della disponibilità del patrimonio (e alla eventuale ripresa dell'attività) da parte dell'imprenditore, in conseguenza della sua "chiusura" collegata automaticamente all'omologazione del concordato fallimentare (artt. 120-130 l. fall.).Appare evidente, tuttavia, che in tanto il fallimento può cessare al di fuori delle normali cause di chiusura (art. 118 l. fall.) - senza pregiudizio ed anzi con maggiore soddisfazione degli interessi coinvolti - in quanto le conseguenze dell'insolvenza siano state altrimenti regolate, sì "privatamente", ma pure "legittimamente", sotto il controllo dell'autorità giudiziaria. Se si vuole, il profilo sostanziale del concordato (la rimozione dell'insolvenza mediante autoregolamentazione) appare logicamente preliminare a quello processuale (la cessazione del fallimento),

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quantunque connesso e subordinato alle regole che producono unitariamente entrambi i risultati.

1.2.1. La controversa natura dell’istituto quale “transazione collettiva” e le affinità con i modelli stranieri.

Come già più sopra ricordato rappresentano un chiaro indice del favor legislativo per la soluzione concordataria, sia a) l'ampliamento della cerchia dei soggetti legittimati alla formulazione della proposta, che sono, oltre all'imprenditore insolvente, uno o più creditori, o un terzo, col parere favorevole del curatore, ovvero lo stesso curatore, col parere favorevole del comitato dei creditori (arg. artt. 124 e 129, comma 2° l. fall.); sia b) la piena libertà di iniziativa del suo "autore", non essendo prescritta alcuna autorizzazione preventiva (come avviene invece nelle procedure "amministrative") e mancando, d'altra parte, un filtro valutativo preliminare ad opera del giudice. Va detto per inciso che appare poco convincente la restrizione temporale imposta al fallito ai fini della presentazione della proposta (non prima di sei mesi dalla dichiarazione di fallimento, non oltre due anni dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo), quantunque sempre superabile per iniziativa del curatore.Questi elementi pongono evidentemente su basi del tutto nuove e diverse la ricostruzione dell'istituto. Nessun accordo, contratto o transazione con i creditori sono infatti concepibili rispetto ad una "proposta" che non provenga dal debitore insolvente; ovvero che, seppure formulata da esso, possa essere poi migliorata e soppiantata da altra "proposta concorrente" presentata da un creditore, da un terzo o dal curatore contro la volontà del titolare formale del patrimonio (art. 125, comma III, ult. inc. l. fall.). La "competizione" fra soluzioni concordatarie sembra aprire anzi degli scenari inediti, nella prospettiva di una ristrutturazione/valorizzazione più "trasparente" delle attività.D'altro canto, non avrebbe senso identificare ancor oggi il "nucleo" del concordato col provvedimento di omologazione del tribunale, onde predicarne la natura pubblicistica, dacché il controllo giudiziale di merito (rectius di legalità "sostanziale") in ordine al trattamento dei creditori assume carattere eventuale, essendo legato al dissenso di talune "classi" o all'opposizione di singoli dissenzienti (art. 129, comma 5° ss. l. fall.).Tale "transazione collettiva" è, come si diceva, potenzialmente aperta a tutti i soggetti interessati, a vario titolo dalla insolvenza dell'imprenditore ovvero alla sua attività ed ai suoi beni: chi aspira a proteggere il credito, il contratto o la proprietà acquisita dagli effetti del dissesto dell'impresa; chi a salvare taluni cespiti dalla liquidazione o a mantenere una quota di partecipazione nella società; chi, piuttosto, a profittare delle vantaggiose condizioni di acquisto prospettate dalla situazione; chi, infine, è disponibile ad affrontare nuovi rischi, finanziando il tentativo di salvataggio, pur di contenere i danni subiti o di evitarne di maggiori.

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Il concordato fallimentare giova allora a "redistribuire" ex novo fra tutti questi soggetti - insieme alle perdite determinate dall'insolvenza e agli ulteriori rischi (ed oneri) della liquidazione concorsuale - il "valore attuale", come pure il "valore futuro" o "sperato" dell'azienda e del patrimonio dell'insolvente: valore che potrà essere generato, se del caso, proprio dal piano di riorganizzazione collegato alla proposta.Quest'obiettivo si consegue, anziché con l'espropriazione forzata (quand'anche "in blocco"), a mezzo della "vendita virtuale" delle attività, che si realizza grazie alle tecniche traslative o solutorie utilizzate nel predetto piano, alle operazioni finanziarie e/o societarie programmate ed alle specifiche previsioni inserite in esso, nel caso di intervento di un terzo. Il concordato mira cioè a soddisfare e contemperare in maniera trasparente ed equilibrata, su base consensuale, esigenze, pretese ed aspettative di ogni categoria di "interessati": a stabilire cioè fino a che punto, in quale modo e in quale misura l'azienda (e il patrimonio) dell'imprenditore, o, per meglio dire, il loro valore, debbano "passare" ai creditori.Taluni dei creditori, peraltro, potrebbero essere i maggiori interessati a prendere l'iniziativa del concordato o, comunque, ad accettare soluzioni compromissorie, onde scongiurare il rischio di un loro ancor più gravoso coinvolgimento. Difatti, essi potrebbero rivelarsi corresponsabili del dissesto e, più in generale, esposti alle azioni revocatorie, risarcitorie e/o restitutorie del curatore ed essere quindi disponibili a "scontare" in anticipo tale rischio, sulla base di una proposta opportunamente modulata: si pensi a titolo esemplificativo alla possibilità di differenziazione in peius del loro trattamento, nell'ambito di una suddivisione in classi, funzionale alla transazione precoce del contenzioso. D'altra parte, questi creditori non dovrebbero essere chiamati a far parte del comitato dei creditori, che esprime una serie di decisivi pareri sul programma di liquidazione e sulla proposta di concordato, venendo a trovarsi in posizione di conflitto d'interessi, per lo meno in senso formale, nell'ambito del procedimento.In molti casi, l'intervento di un terzo (anche sotto forma di newco) quale assuntore del concordato si lascerà comunque preferire, poiché solo così sarà possibile, secondo l'art. 124, comma IV l. fall., operare la cessione, "oltre che dei beni compresi nell'attivo fallimentare, anche delle azioni di pertinenza della massa, purché autorizzate dal giudice delegato, con specifica indicazione dell'oggetto e del fondamento della pretesa". Il valore di tali azioni, dato dal loro prevedibile esito, verrà inglobato nel valore stimato delle attività fallimentari (che beninteso, in caso di continuazione dell'impresa, ricomprenderà anche l'avviamento ed altre entità immateriali) e pertanto inciderà sul "corrispettivo" del concordato con assunzione, cioè sulle condizioni praticate ai creditori concorsuali.Del resto, la prospettiva del "risanamento" e della "conservazione" dell'impresa, proprio perché accompagnata dal "mutamento degli assetti proprietari", non potrebbe in alcun modo ritenersi confliggente con la funzione recuperatoria e redistributiva delle azioni revocatorie fallimentari (cfr. Corte cost., 21 aprile 2006, n. 172). E ciò quand'anche il mutamento non fosse totale e la precedente "proprietà" mantenesse una

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qualche presenza nel nuovo assetto imprenditoriale, magari destinando nuovi mezzi a servizio del piano, o ricavasse qualche beneficio dall'operazione (come del resto accade usualmente in virtù degli accordi c.d. paraconcordatari).La potenziale ampiezza e varietà del contenuto della proposta segna, quindi, la caduta di ogni "barriera" formale fra risanamento e liquidazione, conservazione e ristrutturazione dell'azienda, salvataggio dell'impresa e dell'imprenditore, trasferimento dei beni e trasferimento del controllo dell'impresa (sociale), pagamento e soddisfacimento (non pecuniario) dei creditori.Il nuovo concordato fallimentare si atteggia pertanto - per utilizzare la terminologia propria dei modelli stranieri ai quali la riforma si è ispirata - come un "piano di regolazione dell'insolvenza" (Insolvenzplan: §§ 217 ss. InsO) e "di riorganizzazione dell'impresa" (Reorganization Plan: §§ 1121 ss. Bankruptcy Code - Ch. 11), cioè come un progetto flessibile di reimpiego-dismissione-ripartizione (del valore) delle attività fallimentari, destinato a diventare disciplina concreta, effettiva e vincolante del soddisfacimento concorsuale dei creditori subordinatamente alla positiva definizione della procedura di approvazione-omologazione.Esso mira cioè a sostituire, in via di autoregolamentazione, al risultato quantitativamente e temporalmente aleatorio della liquidazione fallimentare (sebbene anch'essa oggetto di doverosa programmazione ex art. 104 ter l. fall.), una sorta di "transazione collettiva", la cui iniziativa può essere assunta da qualsiasi soggetto "interessato". Transazione in senso atecnico, a struttura beninteso non già negoziale, ma procedimentale, in quanto si perfeziona con l'osservanza delle relative disposizioni legali, che tenderà, secondo i casi, al risanamento aziendale, anche mediante la ricapitalizzazione e il mutamento degli assetti imprenditoriali, ovvero semplicemente alla valorizzazione del patrimonio del debitore, comunque destinato alla dismissione totale o parziale.

1.3. Il “nuovo” concordato preventivo a sette anni dalla riforma e la ratio di prevenzione.

Negli ultimi anni il concordato preventivo è stato oggetto di interventi legislativi, che ne hanno significativamente modificato la disciplina; il primo, nel 2005, ha rivisto profondamente l'istituto; il secondo, alla fine del 2007, con il c.d. decreto correttivo e da ultimo con il d.l. del giugno 2012 che ne ha modificato alcuni aspetti14.Il primo intervento riformatore prendeva origine dal desiderio e dalla speranza di favorire l'utilizzo del concordato preventivo, con un ovvio intento di accelerazione della cronicità dei (gravi) ritardi delle procedure fallimentari. L'idea di fondo era quella di un intervento deflattivo sull'utilizzo del fallimento, nella convinzione che le procedure alternative 14 Ve ne è stato un terzo nel 2010 (con l’art. 48 della legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito nella legge 122/2010) che ha cercato di agevolare il reperimento di finanziamenti sul mercato e di introdurre una sorta di procedura che garantisca a certe condizioni al debitore un ombrello nella fase delle trattative preconcorsuali.

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potessero svolgere un ruolo di rilievo all'interno delle soluzioni concorsuali per le imprese in crisi. Sebbene non condivisa da tutti, l'opinione prevalente era concorde nel ritenere che la scelta del legislatore si fosse articolata sulla base di due principi: a) l’assoluta libertà di contenuto conferita alla domanda di concordato preventivo15 e b) la privatizzazione del processo di concordato, sottratto in larghissima misura all'intervento del giudice e rimesso al potere dispositivo delle parti, debitore e creditori16.Sia pur con qualche oscillazione, anche la giurisprudenza si era orientata ad una interpretazione del nuovo istituto conforme ai due principi appena ricordati, nelle loro varie applicazioni17. L'intervento correttivo del 2007, modificando alcune norme che regolano il concordato preventivo, ha riacceso un dibattito, ormai pressoché sopito. Secondo alcuni, infatti, la riforma avrebbe inciso sul secondo principio sopra ricordato, restituendo al tribunale poteri di controllo sulla proposta del debitore (e sul piano allegato) assai più penetranti di quelli prima previsti18. In questi pochi anni si è così formato un orientamento, soprattutto giurisprudenziale, volto a riconquistare il terreno perso con la riforma del 2005; e si afferma che sussisterebbe un più ampio potere del tribunale di valutare nel merito la proposta del debitore, sia in fase di ammissione sia in fase di omologa.A tale istituto la legge fallimentare dedica ventisette articoli (dall'art. 160 all'art. 186); la nuova legge ne riforma sei, riguardanti: tre la fase di ammissione (gli artt. 160, 161 e 163); uno la fase della votazione dei creditori (l'art. 177); uno il giudizio di omologazione (l'art. 180); uno la chiusura del procedimento (l'art. 181); vi si aggiunge poi l'art. 182-bis, che però non riguarda il concordato preventivo, ma il diverso istituto degli accordi (semigiudiziali) di ristrutturazione dei debiti, che con il concordato preventivo, sul piano della disciplina, hanno molto poco in

15 Grazie alla riforma è divenuto possibile proporre un accordo in qualsivoglia forma, subordinato soltanto al consenso della maggioranza dei creditori; si sottolineava che il contenuto del nuovo art. 160 l. fall. prendeva origine dalle esperienze maturate in ordinamenti vicini al nostro; e in ciò si rinveniva una conferma del rilievo che, in un’epoca di facile circolazione di modelli culturali, è pressoché insopprimibile la tentazione di cambiare modello nella speranza di un miglioramento.16 Privatizzazione della procedura che prendeva origine sia dall’insoddisfazione verso il giudice gestore, sia soprattutto dal vantaggio competitivo acquisibile nell’affidarsi alle scelte delle parti.17 Da ultimo, App. Torino, 19 giugno 2007, in Fallimento, 2007, p. 1315, con nota di Vacchiano, I poteri di controllo in sede di ammissione del debitore al concordato preventivo, aveva permanentemente preso posizione a favore della tesi che negava qualunque potere valutativo in ordine alla fattibilità del piano, rimesso unicamente ai creditori, debitamente informati della relazione del commissario giudiziale.18 Panzani, Il decreto correttivo della Riforma delle procedure concorsuali (prima parte), in Fallimento online, 2007, 1 afferma il disegno del legislatore del 2006 di eliminare il controllo del giudice sul merito della proposta concordataria è stato definitivamente accantonato senza ambizione di competenza, Rago, I poteri del Tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, in Fallimento, 2008, 264; Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fallimento 2007, 1267; Piccinini, I poteri del Tribunale nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo dopo il decreto correttivo, in Riv. dir. fall., 2009, II, 551.

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comune, a parte la generica finalità di sistemazione concordata della crisi e i richiami espressi (alquanto problematici) agli artt. 161 e 183 l. fall.La legge delega di riforma organica delle procedure concorsuali, contenuta nell'art. 1, V e VI comma della legge di conversione del d.l. n. 35 (e cioè la l. 14 maggio 2005, n. 80, pubblicata in G.U. del 14 maggio 2005, n. 111), dispone sì che il legislatore delegato dovrà realizzare "il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, nonché la riconduzione della disciplina della transazione in sede fiscale per insolvenza o assoggettamento a procedure concorsuali al concordato preventivo come disciplinato in attuazione della presente legge"; e prevede altresì (alla lett. b) del VI comma) la futura abrogazione in quella sede dell'amministrazione controllata, ma non detta ulteriori principi e criteri direttivi per il concordato preventivo, cosicchè è lecito attendersi che detta riforma "organica" non modificherà ulteriormente il nostro istituto, salvo forse qualche modesto intervento di coordinamento.Dunque, gli effetti sostanziali del concordato preventivo (per il debitore, per i creditori, sui rapporti giuridici pendenti) non vengono toccati dalla riforma; nè è previsto che lo siano dal legislatore delegato; e questo ha un impatto non indifferente sulla soluzione di alcuni problemi posti dalla nuova disciplina.Le nuove norme tuttavia presentano numerosi difetti di coordinamento con le altre norme della legge fallimentare non toccate dalla riforma, difetti in parte probabilmente dovuti alla scelta che è stata fatta di estrapolare solo alcune disposizioni da un più ampio testo governativo di riforma del diritto fallimentare (definito come "maxi-emendamento" ad un altro testo in discussione al Senato fin dall'anno 2002) o per inserirle nel d.l. o per ricavarne principi e criteri direttivi della legge delega, contenuta nella legge di conversione del d.l.Nonostante l'importanza della "novella", sul punto la Relazione illustrativa al menzionato d.l. è estremamente laconica, essendosi preoccupata di affermare solo che, "per quanto concerne il concordato preventivo, le nuove regole rendono i creditori divisibili in classi che rendono più omogenea l'espressione dei loro diversi interessi nell'ambito della procedura liquidatoria: il concordato diviene lo strumento attraverso il quale la crisi dell'impresa può essere risolta anche per mezzo di accordi stragiudiziali che abbiano a oggetto la ristrutturazione dell'impresa": in verità, l'affermazione non coglie i veri elementi di novità della riforma (a parte la divisione dei creditori in classi, che peraltro è eventuale ed è stata mutuata dalla c.d. "legge Marzano" per l'amministrazione straordinaria delle imprese insolventi di grandissime dimensioni vd. infra) e finisce per confondere il concordato preventivo con gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l. fall.Il nome dell'istituto non è stato cambiato.Nei precedenti progetti - sia in quelli elaborati sotto la precedente legislatura, sia in quelli più recenti - si era volta a volta parlato di procedura di crisi o di procedura di ristrutturazione delle passività o di procedura di composizione concordata della crisi, avendo sostanzialmente presente un istituto più duttile del concordato preventivo e

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dell'amministrazione controllata, che ne combinasse taluni elementi tipici, per situazioni di crisi aziendali comprensive dell'insolvenza, della temporanea difficoltà di adempimento delle obbligazioni e anche del semplice pericolo di insolvenza.Profondamente cambiati, invece, sono i connotati del vecchio istituto, non solo per la totale libertà del contenuto della proposta, non più vincolata alle rigide alternative del concordato con garanzia del pagamento di una percentuale minima, del concordato con cessione dei beni o, tutt'al più, del concordato "misto", ma anche: a) per la perdita di ogni requisito soggettivo di meritevolezza del debitore ricorrente, sia in fase di avvio del procedimento (iscrizione nel registro delle imprese, regolare tenuta della contabilità, ecc.), sia in sede di omologazione, fatto salvo quanto si dirà a proposito dell'art. 173 l. fall.; b) per la sostanziale scomparsa, in quest'ultima sede, del giudizio di convenienza, oggi confinato all'ipotesi residuale del cram down; c) per la possibilità di suddividere i creditori in classi "secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei", riservando a classi diverse "trattamenti differenziati" e, quindi, derogando al principio della par condicio creditorum (v. artt. 160, lett. c) e d); 163, I comma; 177, I e II comma; 180, IV comma, l. fall.); d) per l'abbandono, in sede di approvazione dei creditori, della regola della doppia maggioranza, di numero e di somma, conservando solo la seconda e richiedendo la maggioranza semplice (anziché quella dei due terzi) dei crediti ammessi al voto; e) per la semplificazione processuale del giudizio di omologazione, non solo quanto all'oggetto (limitato apparentemente a un controllo di legalità e alla verifica del raggiungimento della maggioranza, salvo - come detto - il caso del cram down), ma anche quanto alle forme, passandosi da quelle del giudizio ordinario di cognizione definito con sentenza a quelle del giudizio camerale definito con decreto.Dunque, il concordato preventivo non è più un beneficio concesso solo al debitore "sfortunato, ma onesto", secondo l'antica definizione di Bolaffio, al quale si deve l'introduzione dell'istituto nel nostro ordinamento giuridico sin dal lontano 1903; e non è più caratterizzato da un mix di auto e di eterotutela; nel risalente contrasto tra procedimento e contratto, esso punta decisamente la prua verso quest'ultimo, conformandosi - quanto ai contenuti - al principio di "autonomia contrattuale" di cui all'art. 1322 c.c.In passato giustamente si presupponeva che un effetto così dirompente sulla sorte del credito come la falcidia concordataria - anche in relazione ai principi generali in tema di obbligazioni - non potesse ricondursi che alla volontà del singolo creditore, sì che l'intervento imparziale del giudice a proposito della convenienza del concordato, in sede di omologazione, costituiva, per così dire, il prezzo da pagare a fronte dell'effetto remissorio e, nello stesso tempo, un efficace strumento di tutela giurisdizionale per i creditori dissenzienti, assenti o addirittura ignorati.Oggi non è più così: l'effetto esdebitatorio (o, se si preferisce, la trasformazione dell'obbligazione civile in obbligazione naturale) è

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rimesso alla mera decisione di una parte dei creditori, anche di una minoranza di creditori, purché rappresentativi della maggioranza dei crediti.Dopo un primo periodo di applicazione della nuova disciplina del concordato preventivo forse non è già tempo di bilanci, ma qualche riflessione approfondita può essere azzardata. Le domande che più spesso si sono udite sono: quando opera (presupposto oggettivo) ed a cosa serve (finalità) il concordato preventivo?Analoghe domande sono state formulate con riguardo agli accordi di ristrutturazione (art. 182- bis l. fall.) ed al risanamento stragiudiziale (in gergo: piani attestati) (art. 67, III comma, lett. d, l. fall.).Dare una risposta di primo acchito non è facile. Di certo, quello che si può dire è che gli obiettivi della riforma si sviluppano su tre direttrici fondamentali: la prevenzione, la privatizzazione e la velocizzazione. Quanto alla prevenzione essa si traduce nell'esigenza di impedire che, con il passare del tempo, si assista, quando le cose vanno male, alla distruzione di assets dell'impresa a scapito dei creditori19.La privatizzazione, invece, risponde all'esigenza di lasciare la regolazione della crisi, quanto più è possibile, nelle mani del debitore e dei creditori20.Circa, infine, la velocizzazione, essa è diretta a contenere in un arco di tempo accettabile lo spazio dell'intervento prescelto21.Delineato in modo sommario il quadro, è opportuno soffermarsi sulla prevenzione. Come accennato, è da tempo che si è consolidata l'opinione secondo cui proprio per tutelare i creditori sia necessario agire prima che l'insolvenza si manifesti con tutta la sua forza distruttiva. Al fine di dare concreta attuazione a questo precetto occorre utilizzare uno strumento che prevenga il fallimento e sia ad esso alternativo. Una procedura, cioè, che scatti prima che divenga necessario l'intervento coattivo e sia ancora 19G.Terranova, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale, in Dir. fall., 2006, I, 548, secondo cui ci si trova al cospetto dell’ennesima manifestazione di quel favor debitoris, che sembra contraddistinguere la riforma e che si sostanzierebbe, qui, nel tentativo di anticipare l’intervento sulla crisi, al fine di evitare che le perduranti difficoltà economiche di chi gestisce l’impresa distruggano il valore organizzativo dell’azienda.20D. Galletti, Commento all’art. 160, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna 2006, II, 2269, per il quale l’affermarsi della corrente di pensiero indirizzata alla privatizzazione ha seriamente attaccato la stessa idea di procedura concorsuale giudiziaria esprimendo insofferenza per ogni intervento giurisdizionale che abbia per oggetto la crisi dell’impresa ed enfatizzando l’idea per cui l’autonomia privata e la contrattazione fra debitore e creditori sarebbero i migliori strumenti per affrontare il problema dell’impresa insolvente.21Un esempio è fornito dal termine di sei mesi per la chiusura del concordato preventivo, fissato dall’art. 181 l. fall., su cui v. C. D’Ambrosio, Commento all’art. 181 in La riforma della legge fallimentare a cura di A. Nigro e M. Sandulli, Torino, Giappichelli, 2006, II 1076 che ha sottolineato che la soluzione della natura perentoria di detto termine è senz’altro da preferire, anche per evitare che i diritti dei creditori siano compressi per troppo tempo in attesa dell’approvazione del piano di ristrutturazione. D’altro canto, se il termine fosse di natura meramente ordinatoria non avrebbe senso la previsione di cui all’art. 181 che vincola il tribunale alla concessione di una sola proroga. Nello stesso senso anche S.Ambrosini- P.G. Demarchi, Il nuovo concordato preventivo, Milano, Giuffrè, 2005, 172; contra L. Panzani, Il d.lgs. n. 35 del 2005 e la riforma del diritto fallimentare reperibile in fallimentoonline.it.

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possibile una regolazione bonaria, con modalità e finalità diverse rispetto al fallimento. Questo, probabilmente, è il motivo per cui è stato introdotto nel concordato preventivo il presupposto oggettivo dello stato di crisi.Le cose, però, non sono così semplici. Ad esempio, un po' maldestramente si è modificato l'art. 160 l. fall., eliminando la previsione per cui il concordato preventivo può essere proposto " fino a che il fallimento non è dichiarato". Il che ha dato adito al dubbio che fosse possibile accedere alla procedura anche nel corso del fallimento, negando perciò stesso l'idea di prevenzione. Cosa che, ovviamente, non è logicamente possibile (ed è esclusa dalla presenza del concordato fallimentare): sicchè è da ritenere che tuttora il concordato preventivo resti una procedura che opera solo fino a quando non è stato dichiarato il fallimento.Altrettanto maldestramente (qualcuno ha ritenuto scientemente) non si è detto in origine se anche gli altri strumenti (accordi di ristrutturazione e risanamento stragiudiziale) richiedessero per la loro apertura la presenza della crisi (o dell'insolvenza) dell'imprenditore. Con ciò facendo nascere altri dubbi e perplessità e, soprattutto, rendendo ardua una ricostruzione del quadro sistematico. Solo con il decreto correttivo (d. lgs. n. 169 del 12 settembre 2007) è stato precisato che la crisi è il presupposto oggettivo (anche) per l'accesso agli accordi di ristrutturazione (cfr. l'art. 182- bis l. fall.). Il che rende necessario allargare a questi ultimi il discorso, così da chiarire quando essi effettivamente operino e a cosa servano. Nulla si è detto, invece, con riguardo al risanamento stragiudiziale.Sta di fatto che attualmente regna un'atmosfera di grande incertezza, per cui diviene particolarmente importante cercare di porre qualche punto fermo per dare un'esatta collocazione al concordato preventivo.In questa direzione il primo aspetto da mettere in luce è che - com'è evidente - l'area di operatività è delineata dai presupposti.Se si ritorna, allora, a quanto osservato in precedenza in merito alla prevenzione, si può notare come l'utilizzo del presupposto della crisi sia portatore di un'area problematica. Quando si indaga sui suoi contorni ci si accorge di essere stretti in una morsa. Da un canto, vi è l'esigenza di allargarne la nozione al fine di rendere effettiva la prevenzione, così da favorire la sua tempestiva emersione ed ampliare il campo di applicazione dell'istituto.D'altro canto, vi è la necessità opposta di restringerne l'ambito allo scopo di evitare gli abusi. Come da più parti posto in luce, infatti, una visione eccessivamente largheggiante (della crisi) può rappresentare un mero strumento di pressione nelle mani dell'imprenditore a scapito (di tutti o di alcuni) dei creditori. Si rischia di trovarsi al cospetto di un mezzo per ribaltare la situazione, con una richiesta di sacrifici ai creditori, mentre i sacrifici dovrebbero essere solo dell'imprenditore. Il pericolo, in sostanza, è che si favoriscano comportamenti opportunistici del debitore, che ha tutto da guadagnare e poco o nulla da perdere, non potendo (in mancanza dell'insolvenza) fallire o, addirittura, si rendano legittimi accordi fraudolenti con alcuni creditori a scapito di altri, oppure, ancora, si tollerino procedure meramente strumentali.

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Da qui l'esigenza di delimitare lo stato di crisi nel giusto equilibrio tra prevenzione e tutela dei creditori. Esigenza che appare ancor più importante oggi, dato che, essendo venuto meno il giudizio di meritevolezza, la verifica del presupposto oggettivo è uno dei pochi elementi lasciati alla valutazione dell'autorità giudiziaria.

1.3.1. I concordati fallimentare e preventivo alla luce del c.d. Decreto sviluppo (d.l. 22/6/2012 n. 83) e del c.d. Decreto Sviluppo bis (d.l. 18/10/2012 n. 179).

L’11 settembre 2012 è entrata in vigore la riforma della legge fallimentare introdotta con il decreto legge n. 83 del 22 giugno 2012 e successivamente integrata dalla legge di conversione n. 134 del 7 agosto 2012 (la “Riforma”).Tale complesso normativo rappresenta probabilmente la spinta riformatrice più significativa nell’ambito del processo di ammodernamento del sistema fallimentare italiano iniziato nel 2004 ed ispirato sempre più, come emerge dalla relazione illustrativa del citato decreto, alle finalità di promuovere l'emersione anticipata della crisi d'impresa e di rendere più efficienti i procedimenti di composizione della crisi stessa.Fra le diverse innovazioni previste dal Decreto, riveste un ruolo di primo piano l’art. 33 che – traendo ispirazione dal Bankruptcy code statunitense – muta sensibilmente la fisionomia del concordato preventivo: la nuova disciplina introduce un numero rilevante di disposizioni finalizzate a migliorare l’efficienza dei procedimenti di composizione delle crisi di impresa superando le criticità emerse in sede applicativa.Per il perseguimento di tale obiettivo il Legislatore ha introdotto degli strumenti diretti a fronteggiare alcune delle maggiori problematiche rivelatesi nella prassi della procedura e, segnatamente: le difficoltà del debitore di reperire risorse finanziarie durante la fase di preparazione del piano di concordato (c.d. “finanza interinale”); l’insufficiente protezione del debitore durante la fase preparatoria del piano; l’assenza di una disciplina che incentivi un’effettiva continuità aziendale nella fase prodromica all’omologazione del concordato.Il superamento delle criticità sopra elencate, dovrebbe, nelle intenzioni del Legislatore, favorire un’emersione anticipata dello stato di crisi, incentivando l’impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi, piuttosto che quella di assoggettarla a misure esterne che la rilevino Uno dei profili maggiormente innovativi introdotti dall’art. 33 del Decreto è rappresentato dalla possibilità di depositare il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, riservandosi di presentare la proposta, il piano di concordato e la documentazione richiesta dall’art. 161, commi II e III, l.f. entro un termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e centoventi giorni prorogabile per ulteriori sessanta giorni.

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In tal modo la norma, da un lato, consente al debitore di beneficiare degli effetti “protettivi” connessi al mero deposito del ricorso; dall’altro lato, permette di evitare che i tempi tecnici necessari alla predisposizione della proposta e del piano di concordato possano aggravare lo stato di crisi dell’impresa.Si è inteso così ovviare al problema, frequentemente riscontrato nella prassi applicativa, del peggioramento  irreversibile della situazione di crisi durante il periodo di predisposizione del piano che, nei casi di maggiore complessità, poteva protrarsi anche per alcuni mesi.A norma del novellato articolo 161, comma V, l.f., entro il giorno successivo al deposito, la domanda di concordato deve essere pubblicata, a cura della cancelleria, nel registro delle imprese. Tale previsione è stata coordinata con l’art. 168, comma I, l.f. il quale, nella formulazione attuale, pone come discrimine, fra creditori concorsuali e non, il giorno della «pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese» e non più, come in precedenza, la data di sua «presentazione».In tal modo, si consente ai terzi, che contrattano con il debitore, di venire a conoscenza del deposito della domanda e degli effetti derivanti dagli atti posti in essere dal debitore medesimo.La lettera h) dell’art. 33 del Decreto introduce una disposizione ad hoc – il nuovo art. 186-bis l.f. – con riferimento al concordato con continuità aziendale, ossia finalizzato alla prosecuzione dell’attività di impresa, da oggi attuabile anche attraverso la cessione o il conferimento dell’azienda in una società esistente o in una NewCo.In tale caso il piano deve necessariamente contenere: un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi in relazione alla prosecuzione dell’attività di impresa; l’indicazione delle risorse finanziarie necessarie con le relative modalità di copertura.Il piano deve essere corredato dal placet di un professionista indipendente che attesti che la prosecuzione dell’attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.Nell’ambito del concordato con continuità aziendale, vi sono numerose diposizioni di favore, sia di rilievo privatistico sia pubblicistico.A livello privatistico, da un lato, si riconosce al debitore la facoltà di prevedere nel piano una moratoria per un periodo fino ad un anno dall’omologazione del concordato per il pagamento dei creditori privilegiati, pignoratizi o ipotecari. Dall’altro lato, viene esclusa la risoluzione dei contratti in corso e sancita l’inefficacia di eventuali patti contrari: vengono così paralizzate le tipiche clausole dei contratti commerciali che prevedono la risoluzione di diritto in caso di assoggettamento di una delle parti a fallimento o altre procedure concorsuali.Sul versante pubblicistico è interessante notare come l’esclusione della risoluzione dei contratti in corso di esecuzione operi anche con riferimento ai contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni (rectius, stazioni appaltanti) con la conseguenza che la norma sopravvenuta prevale sulle eventuali previsioni di segno opposto contenute nella lex specialis di gara.

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La regola appena esposta viene ulteriormente rafforzata dalla previsione contenuta nel nuovo art. 186-bis l.f., secondo la quale «l’ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici» a condizione che un professionista indipendente attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento da parte dell’impresa in crisi.Ma la vera “breccia” nel sistema del Codice dei contratti pubblici è rappresentata dalla possibilità, per l’impresa ammessa al concordato, di partecipare a procedure di affidamento in deroga ad uno dei baluardi contenuti all’art. 38, comma I del Codice: disposizione, quest’ultima, che espressamente preclude la partecipazione alla gara alle imprese assoggettate a fallimento o altre procedure concorsuali, ivi incluso il concordato preventivo.La deroga è tuttavia attenuata dalla necessità per l’impresa in concordato con continuità aziendale di: presentare in sede di gara una relazione di un professionista che attesti la conformità del contratto al piano e la ragionevole capacità di adempimento allo stesso; ricorrere all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49 del Codice dei contratti pubblici; non assumere la qualifica di impresa mandataria laddove partecipi in Associazione Temporanea d’Imprese. All’indomani della entrata in vigore della legge n. 134/2012 la dottrina ha espresso critiche, evidenziando che il legislatore, con le citate norme, da un lato ha voluto favorire il debitore anticipando l’effetto protettivo sul patrimonio a un momento in cui il piano e la proposta potrebbero non essere stati depositati unitamente al ricorso, dall’altro lato, però, stabilendo che il debitore, nel periodo compreso tra il deposito del ricorso e il decreto di cui all’art. 163, può compiere atti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del Tribunale, attribuisce a quest’ultimo il compito di autorizzare atti nella totale ignoranza di ciò che accadrà, atteso che la domanda “è, appunto, con riserva”.In chiave critica la dottrina ha, altresì, rilevato che la previsione del “concordato con riserva” potrà, in concreto, dare adito a comportamenti opportunistici e strumentali da parte dell’imprenditore, il quale, potrebbe avvalersi della facoltà di depositare una domanda di ammissione al concordato “spoglia”, vale a dire priva del piano, della proposta e della documentazione ex art. 161, commi II e III l.f., al solo fine di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio ex art. 168 l.f.L’elemento cardine del nuovo concordato preventivo delineato dal Decreto è rappresentato dal rafforzamento del ruolo del professionista indipendente.A fronte di uno spostamento del baricentro della procedura verso una privatizzazione della stessa, soprattutto nella fase interinale intercorrente fra il deposito della domanda di concordato e l’effettiva ammissione, il Legislatore ha ampliato il novero delle ipotesi nelle quali il professionista è chiamato ad esprimersi e dalle cui valutazioni dipendono alcune decisioni del Tribunale in ordine ad aspetti rilevanti e delicati che coinvolgono, fra l’altro, anche il rispetto del principio della par condicio creditorum.

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L’anello di chiusura del sistema è rappresentato dalla lettera l) dell’art. 33 del Decreto che, introducendo l’art. 236-bis l.f., predispone un apparato di sanzioni penali a carico del professionista che espone informazioni false o omette di riferire informazioni rilevanti.Il bene giuridico protetto dalla norma sembra individuabile nell’affidamento di cui devono godere le menzionate attestazioni del professionista, in relazione al loro contenuto e alla funzione che esse assolvono nell’ambito della procedura.Per quanto attiene, invece l’apporto contributivo fornito dal c.d. decreto sviluppo bis del 18/10/2012 n. 179 convertito con legge n. 221 del 17/12/2012 si segnalano a mero scopo di completezza novità di stampo più marcatamente tecnico.Con l’articolo 17 si modificano profondamente le comunicazioni degli atti ai creditori, la presentazione delle domande di ammissione al passivo nelle procedure concorsuali e la disciplina della notificazione del ricorso per dichiarazione di fallimento. Già in sede di conversione è però possibile che, dopo anni di sperimentazioni, venga finalmente compiuto il passo decisivo per l’eliminazione totale della carta ossia la fissazione della data dalla quale tutti gli atti delle procedure concorsuali in tutti i tribunali italiani dovranno essere formati ab origine e comunicati esclusivamente con le modalità del processo civile telematico.Con l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, nelle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria aperte a partire da quella data, e in quelle già pendenti in cui non sia stata ancora effettuata la prima comunicazione ai creditori, tutti gli atti più importanti della procedura (ad esempio: stato passivo, rendiconto, proposta di concordato preventivo e così via) sono comunicati, nella loro interezza, dal curatore o dal commissario all’indirizzo di Pec dei creditori in base alla regola generale introdotta con il nuovo articolo articolo 31 bis della legge fallimentare. A questo fine, con la prima comunicazione ai creditori (che va inviata ai relativi indirizzi di Pec se risultanti dal registro delle imprese o dall’indice nazionale degli indirizzi Pec di imprese e professionisti o, in mancanza, a mezzo posta o fax) il curatore o il commissario indicano il proprio indirizzo Pec. Allo stesso tempo richiedono ai creditori la tempestiva comunicazione del relativo indirizzo Pec informandoli che, in mancanza dell’indicazione, le successive comunicazioni degli atti saranno effettuate, a ogni effetto (e quindi anche per la decorrenza dei termini per opposizioni o reclami), esclusivamente mediante deposito in cancelleria ai sensi dell’articolo 31-bis senza ulteriori avvisi. Sempre con riguardo alle procedure aperte dalla data di conversione del decreto Sviluppo-bis, (e in quelle pendenti nelle quali non è stato ancora inviato l’avviso ai creditori), le domande di ammissione al passivo nei fallimenti e nelle amministrazioni straordinarie (non essendo esse previste nel concordato preventivo e nella liquidazione coatta amministrativa) non vanno più, come ora, depositate o inviate alla cancelleria a mezzo posta ma solo trasmesse, unitamente ai documenti, all’indirizzo Pec del curatore o del commissario; con le stesse modalità vanno presentate, entro cinque giorni

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prima dell’udienza di verifica, le osservazioni al progetto di stato passivo (per la cui comunicazione alle Pec dei creditori rimane invece fermo il termine di 15 giorni prima della verifica.Con effetto dal 31 ottobre 2013, le norme appena viste si applicano anche alle comunicazioni degli atti e alla presentazione delle domande di ammissione al passivo relative alle procedure già pendenti alla data di conversione del decreto, in cui sia già stata effettuata la prima comunicazione ai creditori. I curatori e i commissari entro il 30 giugno 2013 dovranno comunicare a tutti i creditori il loro indirizzo Pec invitandoli a loro volta a inviare i relativi indirizzi Pec entro tre mesi con l’avviso che, in caso di mancata indicazione, le comunicazioni saranno effettuate mediante deposito in cancelleria.Le nuove norme prevedono la comunicazione alla Pec dei creditori della proposta di concordato preventivo e del decreto di ammissione (con richiesta di indicazione dei relativi indirizzi Pec entro 15 giorni), della relazione del commissario almeno dieci giorni prima dell’adunanza dei creditori, dell’apertura del procedimento di revoca e, nel caso di concordato per cessione dei beni, a seguito dell’omologa, della relazione semestrale sull’andamento della liquidazione. Anche queste norme entrano in vigore dalla data della conversione del d.l. per i nuovi concordati e per quelli già pendenti in cui non sia stato ancora inviato l’avviso ai creditori e dal 31 ottobre 2013 per gli altri.Con effetto dal 1 gennaio 2014 nei procedimenti per dichiarazione di fallimento viene modificata la disciplina dell’instaurazione del contraddittorio. Per contenere i tempi del procedimento, evitando le attuali abnormi dilatazioni per difficoltà di notifica a imprese che hanno abbandonato la sede, sarà la cancelleria a notificare il ricorso all’impresa debitrice con modalità telematica all’indirizzo Pec risultante dal registro delle imprese (il decreto estende l’obbligo della relativa comunicazione, già vigente per le società, alle imprese individuali) ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di Pec di imprese e professionisti. Quando questo non sarà possibile la notifica del ricorso sarà effettuata a cura del creditore e a mezzo dell’ufficiale giudiziario presso la sede dell’impresa. In caso d’irreperibilità dell’impresa a tale indirizzo la notifica si perfezionerà con il deposito dell’atto presso la casa comunale, senza necessità di notifica presso il legale rappresentante. La disciplina normale delle notificazioni troverà quindi applicazione solo per i soci illimitatamente responsabili.

1.4. Il concordato straordinario: i diversi tipi.

Nel nostro paese le crisi delle imprese, in cui sono più rilevanti gli interessi collettivi coinvolti, sono state storicamente sottratte all'autorità giudiziaria e assoggettate all'intervento spesso scoordinato dell'amministrazione, sia nella convinzione che i giudici, per mentalità e cultura, fossero inidonei ad affrontarle, sia perché si preferiva scaricarne il costo sulla collettività socializzandole, e sia ancora per l'imperante

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panprocessualismo della legge fallimentare del 194222. L'evoluzione impressa dalla riforma al processo di fallimento in processo di parti, tende tra l'altro a far recuperare ai giudici quelle competenze loro sottratte nella logica che ad essi fossero esclusivamente riservati compiti di garanzia identificati con la realizzazione coattiva dei crediti e negate funzioni di mediazione dei rapporti sociali23. Tuttavia, sottrarre al giudice il compito di tutelare certe istanze equivale a chiedergli di occuparsi solo delle microimprese che hanno minori responsabilità sociali degradando così la stessa legge fallimentare ad un codice di bottegai24 nel contesto di un fallimento inteso come mero processo esecutivo speciale, insensibile alle istanze complessive del sistema.In verità la tendenza normalizzatrice rispetto a quest'anomalia dell'ordinamento25, era stata già avviata con l'art. 3 della l. 223/1991 per le imprese c.d. socialmente rilevanti26, dove il riconoscimento di una prelazione legale a favore dell'affittuario dell'impresa fallita è funzionale ad un procedimento speciale di liquidazione diretto a nuove forme di socializzazione del dissesto e di job creation, compatibili con la tutela dei creditori-imprenditori e rimessa alla valutazione del giudice. Ma soprattutto con la l. Prodi-bis (d. lgs 270/1999) si assiste ad un sostanziale rovesciamento dei poteri decisori in ordine all'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria ed alla sussistenza dei presupposti economico-finanziari, prima spettanti all'autorità amministrativa e poi attribuiti al tribunale che viene pure investito del potere di valutare nel merito l'interesse alla conservazione dell'impresa, oltre a quello dei creditori, sia in sede di conversione sia in sede di chiusura della procedura mediante concordato. Rispetto alla prima legge Prodi (l. 95/1979) è stato ricalibrato, anche grazie all'intervento comunitario, il rapporto fra gestione della crisi e gestione dei conflitti sorti dalla crisi, con il giudice relegato ad un ruolo marginale nella fase gestionale ma rivitalizzato quanto a poteri di intervento in alcuni momenti cruciali del percorso. In questo rapporto duale giudice-ministero si è registrato anche un parziale recupero del ruolo dei creditori27.

22In tema cfr. Ragusa Maggiore, Il fallimento tra diritto processuale e finalità sostanziale, in Dir. Fall., 2003, 53.23Al riguardo Fazzalari, Intervento al convegno su Crisi dell’impresa ed intervento del giudice, Villa d’Este, Como, 16-18 ottobre 1978.24Jaeger, Crisi dell’impresa e poteri del giudice, in Giur., comm., 1979, 876; Greco, Il fallimento da esecuzione collettiva ad espropriazione dell’impresa, Milano, Giuffrè, 1984, 10.25In tal senso Jorio, Le esigenze di una nuova disciplina delle crisi d’impresa, in Dir. fall., 2003, 551. 26Sul senso della definizione Fimmanò, Fallimento e circolazione dell’azienda socialmente rilevante, Milano, Giuffrè, 2000, 8. E’ come se la legislazione speciale avesse concepito accanto alla grande impresa assoggettabile all’amministrazione straordinaria, un tipo di impresa intermedia qualificata dal punto di vista occupazionale ossia dotata dei requisiti numerici per l’ammissione al trattamento di cassa integrazione guadagni. Il requisito numerico di più di 15 lavoratori dipendenti rappresenta tradizionalmente la linea di confine a partire dalla quale l’impresa industriale è considerata socialmente rilevante.27Fabiani, Dai pomodorini ai latticini ovvero la regola dell’eccezione: un testo unico per l’amministrazione straordinaria e la gestione dei gruppi transnazionali, in Foro it., 2004,

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La Prodi-bis, a differenza della prima versione della legge28, non è più l'unica procedura della grande impresa insolvente, ma concorre con il fallimento, a seconda che esista o meno l'ulteriore presupposto delle ''concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico dell’attività imprenditoriale''29, nell'ottica di una conservazione ''non forzata'' del patrimonio produttivo30.Di conseguenza l'eventuale risanamento in tanto si giustifica in quanto consente di conservare l'impresa, se del caso modificata negli assetti proprietari. L'indirizzo della cessione dell'azienda, o di suoi rami, risponde invece ad una istanza conservativa diversa, di liquidazione riallocativa dei valori aziendali nell'interesse comunque dell'economia. In questo contesto vanno inseriti i vari tipi di concordato straordinario, sulla cui ammissibilità si discuteva nel vigore della vecchia legge 95/1979 e che vengono disciplinati espressamente anche per le grandi imprese ammesse alla procedura concorsuale prima dell'entrata in vigore della l. Prodi-bis. Su questo punto, l’art. 106 del d.lgs. 270/1999, nel sancire che “Alle procedura di amministrazione straordinaria in corso si applicano in ogni caso le disposizioni degli articoli 46 comma III, 77 e 78 del presente decreto” rende applicabili le norme sul concordato straordinario anche alle procedure disciplinate dalla prima l. Prodi. Un’impostazione minoritaria negava del tutto l’ammissibilità del concordato in vigenza della l. Prodi, altri l’ammettevano e altri ancora lo ritenevano possibile solo nel caso in cui fosse stato previsto nel programma del commissario31.Peraltro il legislatore ha previsto anche la modificabilità del programma e la sostituzione di un indirizzo con l'altro alternativo e tale facoltà può

1571.28La L. Prodi risale ad un periodo in cui la crescita del sistema industriale italiano si era arrestata di fronte alle prime gravi crisi internazionali, quando ancora si pensava che l’intervento diretto o mediato dello Stato nell’economia privata fosse uno strumento di possibile soluzione dei dissesti. Si è poi percepito che quelle norme erano del tutto inidonee a favorire il risanamento, visto allora come mera diluizione nel tempo della crisi, con lo spostamento in avanti della questione occupazionale. Per vent’anni non si è mai assistito a ritorni in bonis dell’impresa decotta, ma al contrario alla creazione di debiti prededucibili di proporzioni così devastanti da erodere sempre di più le aspettative di soddisfazione dei creditori, del tutto emarginati dalle scelte commissariali e dell’autorità amministrativa (Fabiani nt. 6 1572).29Come testualmente recita l’art. 27, I comma, del. d. lgs. 270/1999.30La legge 95/1979 era ispirata alla logica della conservazione forzata dell’impresa anche decotta sul piano della capacità di generare reddito, funzionale al mantenimento dell’occupazione attraverso aiuti di stato. E proprio dal divieto di questi ultimi trova ispirazione la nuova legge Prodi. 31Monsignori, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, Cedam, 1980, 133. Cavallaro, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi in Saitta, Diritto fallimentare, Padova, Cedam, 1996, 769. Colleganti in Colleganti, Schlesinger, Maffei Alberti, Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in N. leggi civili 1979, 724; Nicita, Note sulle forme di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, in Giust. civ., 1984, II, 205. Beltrami, sub. art. 78 in Castagnola-Sacchi, La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2000, 404. Tricomi, Sul concordato nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in Dir. fall., 2005, I, 1101 s.

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essere ben utilizzata anche al fine di agevolare la proposizione di un tipo di concordato piuttosto che di un altro.Orbene il primo tipo di concordato è quello di cui parla l'art. 56, III comma, ultima parte del d. lgs. 270/1999, dove, a proposito del contenuto del programma, si legge che ''Se è adottato l'indirizzo della ristrutturazione dell'impresa, il programma deve indicare... le eventuali previsioni di ricapitalizzazione dell'impresa e di mutamento degli assetti imprenditoriali, nonché i tempi e le modalità di soddisfazione dei creditori, anche sulla base di piani di modifica convenzionale delle scadenze dei debiti o di definizione mediante concordato''.Si tratta in realtà di una modalità procedimentale tipica alternativa ai due indirizzi standard, da attuare sulla base della programmazione del commissario, anche se non è esclusa una soluzione concordataria ''imprevista'' dal commissario, proposta durante la prosecuzione dell'attività, che passi poi, o meno, per una modifica del programma nel senso dell'indirizzo della ristrutturazione. La relazione al d. lgs. 270/1999, evidenzia, infatti, come il concordato, soluzione esclusivamente esogena alla procedura nella legge del 1979, assurge a rimedio strutturale per il conseguimento dei suoi obiettivi.Viceversa in caso di scelta dell'indirizzo della cessione, bisogna distinguere chiaramente le due diverse fasi in cui è ipotizzabile una proposta concordataria: quella antecedente all'esecuzione del programma e quella successiva, tenendo conto che, laddove il programma non venga realizzato nei termini, si assiste alla conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento.La distinzione è necessaria in quanto un concordato proposto nella prima fase è necessariamente connesso alle finalità della procedura di conservazione dei valori aziendali nell'interesse dell'economia, mentre quello liquidatorio proposto successivamente è una mera modalità subprocedimentale di chiusura della procedura, il cui attivo è ormai privo dell'impresa, dell'azienda o dei rami enucleati e ceduti dal commissario.La prima ipotesi deve peraltro essere vista con particolare favore ed incentivata specie se concepita ed attuata sulla base di presupposti, condizioni e garanzie equipollenti al normale programma di cessione. In questo caso infatti, la soluzione concordataria presenta rilevanti vantaggi competitivi, sul piano deflattivo delle procedure, della durata delle stesse ed anche dei costi, mirando soprattutto a far coincidere l'esecuzione del programma di cessione con la chiusura dell'amministrazione straordinaria ed evitando la lunga, costosa (e spesso inutile), seconda fase meramente liquidatoria.Andranno perciò, applicati i principi di cui all'art. 63 della l. Prodi-bis, e quindi la valutazione della proposta di concordato dovrà basarsi, oltre che sull'ammontare offerto, sull'affidabilità del proponente e sul piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali e potrà tener conto della redditività, anche negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo. Il proponente dal canto suo, se da un lato potrà beneficiare del badwill, dall'altro dovrà obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le

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attività imprenditoriali e a garantire il mantenimento per il medesimo periodo dei livelli occupazionali32.Ed in relazione a quest'ultimo profilo va evidenziato che nel caso in cui il concordato venga proposto ed attuato da un terzo, come assuntore, l'effetto traslativo dell'azienda, che come visto impone di valutare il piano di prosecuzione anche per i profili occupazionali, esigerebbe, il procedimento di informazione e consultazione di cui all'art. 47 della l. 428/1990, indipendentemente dagli effetti derogatori delle disposizioni di cui all'art. 2112, c.c.. Quest’ultimo sancisce, come noto, che in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. L’alienante e l’acquirente dell’azienda sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento, salva la liberazione dell’alienante in caso di ricorso alle procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c. Peraltro rispetto alla formulazione originaria il secondo comma dell’art. 2112 c.c. ha eliminato sia il requisito della conoscenza o conoscibilità del credito da parte dell’acquirente sia quello della dipendenza dal lavoro prestato che doveva connotare il credito del lavoratore. Il cessionario risponde dei debiti da lavoro subordinato dell’azienda ceduta, quindi anche se non risultano dai libri contabili obbligatori. L’art. 47 della l. n. 428 del 1990 prevede tuttavia che in caso di trasferimento d’azienda riguardante le imprese dotate dei requisiti dimensionali per essere ammesse agli interventi di cassa integrazione nei confronti delle quali vi sia stato, tra l’altro, assoggettamento ad amministrazione straordinaria, qualora nel corso delle consultazioni contemplate dai primi due commi del medesimo articolo, sia stato raggiunto un accordo relativo al mantenimento anche parziale dell’occupazione nei confronti dei lavoratori il cui rapporto continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 c.c. salvo che dall’accordo non risultino condizioni di miglior favore. Infatti sia la giurisprudenza che lo stesso art. 2112, c.c., configurano come trasferimento di azienda ai fini dell'applicazione della relativa disciplina, qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità dell'impresa, preesistente al trasferimento, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento (ad esempio l'approvazione giudiziale del concordato) sulla base del quale il trasferimento è attuato, ''assumendo esclusivo rilievo non il mezzo giuridico in concreto impiegato ma soltanto che il nuovo imprenditore cessionario diventi titolare del complesso organizzato di beni nel suo nucleo essenziale''33. Ciò evidentemente non vale laddove il terzo non sia

32In tal senso il Trib. Parma, 22 dicembre 2006 (Pres. Stellario - Rel. Fabbrizzi sentenza di approvazione dei concordati Arquati Spa, Arquati Cornici Spa, Arquati industrie Spa) inedito p. 12 che prevede una garanzia bancaria a prima richiesta dal terzo assuntore a favore del commissario straordinario in ordine agli impegni diretti al mantenimento dell’occupazione e della continuità dell’attività industriale. In senso contrario Alessi, 285 (che in modo asimmetrico sostiene che il giudizio prognostico sulla capacità di continuazione del proponente assuntore il concordato sarebbe sfornito di garanzie e senza neppure la previsione dell’obbligo di proseguire per il biennio successivo ex art. 63, e che viceversa andrebbe valutata la redditività negativa a norma dello stesso articolo).

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qualificabile come assuntore34, nel caso in cui il concordato straordinario venga realizzato attraverso una modifica degli assetti imprenditoriali del soggetto ammesso alla procedura.

1.4.1. Evoluzione storica: La legge Prodi (l. 3/4/1979 n. 95) e la Prodi bis (d.lg. 8/7/1999 n. 270).

Sul finire degli anni settanta, il sistema industriale italiano si era arrestato e cominciavano a verificarsi i primi fallimenti di importanti industrie nazionali. Per fronteggiare la crisi economica, il Governo italiano, nel presupposto che l’intervento dello Stato nell’economia privata fosse un possibile strumento di soluzione dei dissesti delle imprese, decise di introdurre nel nostro ordinamento una nuova procedura amministrativa. Dapprima fu varato il c.d. decreto Donat Cattin n. 602/1978, mai convertito in legge, il quale prevedeva una procedura concorsuale unitaria per i gruppi d’impresa, anche non insolventi.Successivamente la legge 95/197935 detta anche Legge Prodi, ha introdotto nel nostro ordinamento l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.L’introduzione di tale procedura, era stata determinata dalla preoccupazione che dalla crisi delle grandi imprese, potesse derivare pregiudizio all’economia nazionale.Difatti tale istituto era caratterizzato dal perseguimento della continuazione dell’impresa, attraverso l’attuazione di un piano di risanamento, venendo al contrario, modellato su una procedura spiccatamente liquidatoria, indirizzata alla cessazione dell’impresa.Tale legge, intitolata “Provvedimenti urgenti per l’amministrazione delle grandi imprese in crisi”, ha avuto l’importante merito di dettare per la prima volta una disciplina organica del gruppo insolvente, introducendo nell’ordinamento concorsuale il principio secondo il quale va attribuita priorità al risanamento, piuttosto che al concorso e alla par condicio dei creditori.Nel periodo di vigenza di questa disciplina, più di 200 società in crisi hanno evitato il fallimento. Il dettato normativo, in sintesi, consentiva all’impresa accertata giudizialmente insolvente - con, tra le altre caratteristiche, almeno 300 dipendenti ed un’esposizione debitoria superiore a cinque volte il capitale versato ed esistente secondo l’ultimo bilancio approvato nonché a venti miliardi di lire, di cui almeno uno per finanziamenti agevolati - di accedere ad una procedura di carattere

33 Tra le altre Cass., 27 dicembre 1999 n. 14568 in Rep. Foro it., 1999 voce Lavoro n. 149.34 In giurisprudenza tale qualità dipende dalla ricorrenza di due presupposti fondamentali e cioè l’assunzione dell’obbligo di adempiere il concordato e l’acquisizione dell’attivo fallimentare (cfr. Cass. 26 agosto 1971 n. 2576).35 La legge 95/1979 fu modificata ed integrata dalle L. 13/08/1980 n. 445, 2/10/1981 n. 544, 31/03/1982 n. 119, 8/06/1984 n. 212, 18/12/1985 n. 755, 6/02/1987 n. 19, 23/08/1988 n. 391 e 25/03/1993 n. 80.

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amministrativo, in cui la gestione veniva affidata ad uno o a più commissari nominati dal Ministro dell’Industria.Tale istituto si applicava nei confronti degli imprenditori commerciali (art. 2195 c.c.), ai quali erano appliccabili le procedure concorsuali del fallimento, del concordato preventivo e del-l’amministrazione controllata; nonché nei confronti di quelle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, per le quali la legge non escludeva la procedura fallimentare, con prevalenza dell’una o dell’altra in base al criterio della prevenzione (art. 196 L.F.).Doveva trattarsi di: a) imprese qualificate dalla presenza, da almeno un anno, di un numero di addetti non inferiori a trecento; b) imprese che avevano una esposizione debitoria, verso istituti, aziende di credito, istituti di previdenza o assistenza sociale e società a prevalente partecipazione pubblica (per finanziamenti contratti in base alle previsioni di piani aziendali approvati dal CIPI – Comitato Internazionale per il Coordinamento della Politica Industriale – nell’ambito di leggi di ristrutturazione settoriale): non inferiore a 84,266 miliardi di lire (decreto del 30 aprile 1998 del Ministro dell’industria, commercio ed artigianato); non superiore a cinque volte il capitale versato, risultante dall’ultimo bilancio approvato.Mentre requisito oggettivo dell’istituto era l’accentramento giudiziario, ex. artt. 5 e 195 L.F., d’ufficio o ad iniziativa dei soggetti indicati dall’art. 6 della Legge n. 95/79, costituito dallo stato di insolvenza.Il capoverso dell’art. 1 della Legge n. 95/79 fissava inoltre un parametro di per sè rivelatore dello stato di insolvenza, stabilendo che si reputa insolvente l’impresa nei riguardi della quale sia stata accertata una situazione “generalizzata” di mancato pagamento delle retribuzioni dovute per almeno un trimestre.Erano altresì soggette alla procedura di amministrazione straordinaria, le imprese il cui stato di insolvenza era determinato dall’obbligo di restituire allo Stato, ad Enti pubblici, o a società a prevalente partecipazione pubblica, una somma non inferiore al 51% del capitale versato e comunque non inferiore a 50 miliardi di lire, in attuazione di decisioni adottate in applicazione degli artt. 92 e 93 del Trattato istitutivo della CE, sempre che occupassero un numero di addetti non inferiore a trecento (L. 25 marzo 1993, n. 80).Il procedimento per l’accertamento dei presupposti soggettivi e oggettivi dell’istituto era delineato dalla legge con riferimento all’art. 195 L.F., in relazione all’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa.La sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, doveva essere pronunciata dal Tribunale del luogo dove l’impresa aveva la sua sede principale.Avverso l’eventuale decreto di rigetto, il creditore istante era legittimato a proporre reclamo, ex art. 22 L.F. Avverso l’accertamento giudiziale dei presupposti per l’amministrazione straordinaria era invece esperibile l’opposizione di cui all’Art. 195, 4° comma L.F.

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Legittimato all’opposizione era qualunque interessato e l’opposizione medesima poteva essere rivolta sia nella contestazione dello stato di insolvenza, sia ad evidenziare la carenza dei requisiti soggettivi richiesti per l’assoggettabilità ad amministrazione straordinaria.In seguito all’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza, il Ministro dell’industria, commercio ed artigianato “di concerto” con il Ministro del tesoro, emetteva il decreto che disponeva la procedura.Mediante tale provvedimento l’imprenditore veniva sostituito nello svolgimento dei suoi compiti, da uno o tre Commissari, che potevano disporre la continuazione dell’esercizio dell’impresa, opportunamente valutati gli interessi produttivi, occupazionali e quelli dei creditori.Costituivano organi dell’amministrazione straordinaria: il Commissario, organo individuale o collettivo, cui spettava il fondamentale compito di redigere un “Programma” il quale poteva contenere un “Piano di Risanamento”, illustrante: gli impianti da riattivare e completare; gli impianti da trasferire e gli eventuali nuovi assetti patrimoniali.Il Comitato di Sorveglianza, composto da tre o cinque membri, di cui dovevano far parte uno o due creditori chirografari, svolgente funzioni di: nomina e revoca Commissari e accertamento di tutte le operazioni in senso stretto.L’Autorità Amministrativa di Vigilanza, costituita dal Ministro dell’industria, commercio ed artigianato, cui la Legge n. 95/79 recepiva numerose disposizioni facenti riferimento alla liquidazione coatta amministrativa.Il CIPI (Comitato Internazionale per il Coordinamento della Politica Industriale), il quale formulava pareri vincolanti in materia di: autorizzazione all’attuazione del “Programma” predisposto dal Commissario; revoca del Commissario; proroga della concessa autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa al di là del biennio; revoca della concessa continuazione dell’esercizio dell’impresa; autorizzazione specifica del Comitato, pena la nullità, per gli atti di straordinaria amministrazione del Commissario, anteriori all’esecutività del programma da lui predisposto.Gli effetti derivanti dall’attuazione della procedura riguardavano: il debitore che perdeva l’amministrazione e la disponibilità dei “beni esistenti”, con conseguente inefficacia di ogni atto o pagamento successivamente compiuto o ricevuto e il venir meno della capacità processuale, per ogni controversia relativa a rapporti di diritto patrimoniale dell’impresa che subiva la cessazione delle funzioni delle assemblee e degli organi di amministrazione che controllavano la società.Il creditore, al quale era fatto divieto di dar vita ad esecuzioni individuali.I rapporti giuridici preesistenti, per i quali vigeva la normativa della liquidazione coatta amministrativa, che rinviava agli artt. 72 e seguenti della Legge Fallimentare, in particolare: per i rapporti destinati a continuare e per quelli che si scioglievano ope legis, in quanto erano ritenuti incompatibili con il dissesto; per il Commissario, cui spettava il subingresso nel rapporto pendente o lo scioglimento di esso, e tale scelta

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doveva essere finalizzata non alla migliore convenienza per i creditori, bensì alla conservazione e continuazione dell’impresa.L’accertamento dei crediti nei confronti dell’impresa, era compiuto dal Commissario, attraverso lo speciale procedimento di accertamento del passivo previsto dall’art. 209 L.F..Il seguente procedimento però, a differenza che nel fallimento, prescindeva dalle iniziative e dalle domande dei creditori, svolgendosi davanti al Commissario.La sua attività era di natura amministrativa ed era sottratta ad ogni ingerenza e controllo giurisdizionale, fino alla data del deposito dello stato passivo.Soltanto dopo tale adempimento era consentito ai creditori di proporre in sede giurisdizionale le opposizioni e le impugnazioni dello stato passivo, di cui agli art. 98 e 100 L.F., in ordine alle quali la competenza spettava al tribunale che dichiarava lo stato di insolvenza.Infine, il Tribunale che aveva dichiarato lo stato di insolvenza, doveva ritenersi competente delle azioni che derivavano dalla procedura, nonché della cognizione delle azioni di revocatoria fallimentare proposte dal Commissario.La procedura poteva concludersi: mediante la liquidazione totale o parziale dei rami aziendali ritenuti secchi; con la ripartizione ai creditori delle somme ricavate, anche attraverso la cessione a terzi dei complessi aziendali risanati; con un concordato, proposto dagli amministratori e deliberato dall’assemblea della società, strutturato secondo lo schema dell’art. 214 L.F.La dottrina, tuttavia, sin dall’inizio, ha fortemente criticato la legge Prodi, dando seguito ad incessanti dispute sulla natura giuridica, sulle finalità e sulla disciplina dell’amministrazione straordinaria. Il principale oggetto di critica era il criterio selettivo che consentiva l’accesso alla procedura amministrativa, ritenuto troppo arbitrario in quanto legato esclusivamente alle dimensioni dell’impresa e non all’effettiva possibilità di risanamento della stessa. Venivano, infatti, ammessi alla procedura amministrativa gruppi gravemente dissestati, con la conseguenza che il pregiudizio più grave era sopportato dai creditori pregressi all’insolvenza, i quali, non solo dovevano attendere la fine della procedura per soddisfare i propri crediti, ma vedevano ulteriormente depressa l’effettiva realizzazione di questi, rispetto alle attese, in ragione degli ingenti debiti prededucibili connessi alle spese della procedura.Ulteriori critiche sono state mosse dalla dottrina all’indeterminatezza del tipo di risanamento da perseguire, alla lungaggine dei piani di risanamento e agli eccessivi poteri conferiti alla pubblica amministrazione. Tuttavia, i motivi che spinsero il legislatore ad abrogare la legge n. 95/1979, non derivarono dalle critiche, per quanto aspre, della dottrina, bensì dalle censure nel contempo avanzate dalle Autorità Comunitarie, che ravvisavano nella disciplina dell’amministrazione straordinaria, gravi e numerose violazioni dell’art. 92 del trattato CE, in quanto lesive del divieto di concessione alle imprese di aiuti di Stato idonei ad alterare le regole della concorrenza. La Commissione CE

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informava, inoltre, che gli aiuti di Stato finalizzati al risanamento dell’impresa potevano essere concessi solo dietro autorizzazione della commissione stessa. Le raccomandazioni degli organismi comunitari vennero disattese e per tale motivo fu avviata una procedura d’infrazione nei confronti del Governo italiano, il quale, per timore di incorrere in una condanna in sede comunitaria, si trovò nella condizione di dover presentare alle Camere un disegno di legge delega per l’abrogazione della legge n. 95/79.Con decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, venne, quindi, emanata la nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza comunemente definita Prodi bis. Il decreto legislativo dettava una disciplina più flessibile rispetto alla legge Prodi del 1979 e conteneva numerose ed interessanti innovazioni.Una delle più rilevanti riguardava l’introduzione del c.d. “sistema del doppio binario”, il quale prevedeva che l’apertura dell’amministrazione straordinaria si articolasse in due fasi, entrambe dominate dall’autorità giudiziaria. Nella prima fase, il tribunale, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti generali e dei requisiti occupazionali e patrimoniali per l’ammissione alla procedura, emetteva sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza; nella seconda fase, invece, il medesimo tribunale - tenuto conto della relazione di un commissario di nomina ministeriale (contenente la situazione particolareggiata e motivata circa l’esistenza delle condizioni per l’ammissione alla procedura) nonché del parere del Ministro dell’Industria, dell’imprenditore, dei creditori e di ogni altro interessato accertava l’esistenza di concrete prospettive di risanamento economico dell’impresa e con decreto motivato consentiva l’accesso alla speciale procedura amministrativa, ovvero, in caso contrario, il fallimento della stessa.Ulteriori elementi di novità si ravvisavano nelle disposizioni che prevedevano: l’estensione degli effetti della sentenza di insolvenza e dell’amministrazione straordinaria ai soci illimitatamente responsabili, la selettività dell’ingresso alla procedura, riservata esclusivamente alle imprese economicamente risanabili; la rigorosa definizione dei criteri e del contenuto dei programmi di risanamento e la notevole riduzione dei tempi di esecuzione di esso; l’estensione dell’azione di responsabilità per abuso di direzione unitaria e dell’azione revocatoria aggravata alla grande impresa dichiarata fallita; l’improponibilità dell’azione revocatoria durante il corso di ristrutturazione; la disciplina dei contratti in corso; la tutela più intensa dei creditori pregressi, ottenuta sia tramite la riduzione del periodo di durata dell’esecuzione del programma di risanamento, sia mediante l’attribuzione al tribunale del potere di disporre la procedura e di poterla convertire in fallimento, nonché del potere di decidere sulle impugnazioni degli atti di liquidazione.Tra le novità appena enunciate, tuttavia, la legge 270/1999 presentava anche aspetti alquanto discutibili. Le dispute dottrinarie questa volta si sono maggiormente concentrate sui requisiti soggettivi richiesti per accedere alla procedura. In merito al primo requisito, (che richiedeva all’impresa che volesse accedere alla procedura un numero di dipendenti

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non inferiore a 200 da almeno un anno), la dottrina ha rilevato che tale previsione, non solo era in contrasto con la bozza di legge delega che richiedeva almeno 500 dipendenti, ma contrastava anche con gli orientamenti comunitari, che qualificavano l’impresa con 200 dipendenti di medie, e non rilevanti, dimensioni. In realtà, appare evidente che la scelta del legislatore di abbassare il parametro occupazionale, sia stata dettata proprio dall’intenzione di consentire anche alla media impresa l’accesso alla procedura straordinaria. In tal modo, però, il criterio di selettività è stato compromesso e reso operante esclusivamente con il presupposto della risanabilità economica. In merito al secondo requisito soggettivo (secondo il quale l’impresa doveva aver maturato debiti per un ammontare complessivo non inferiore a due terzi tanto del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio), la dottrina si è soffermata avanzando forti perplessità e dibattendo su problemi interpretativi riguardo sia al soggetto cui va imputato l’indebitamento sia allo strumento probatorio da utilizzare per dimostrare l’entità dei debiti. In ogni modo, sebbene alcuni aspetti della normativa fossero suscettibili di rivisitazione, la procedura nel suo complesso era considerata adeguata a sostenere la gestione dei gruppi industriali dissestati. Improvvisamente, invero, con il verificarsi della crisi del gruppo Parmalat, il Governo ha ritenuto, di emanare con urgenza un nuovo decreto legge, c.d. decreto Marzano, con la finalità di disporre di uno strumento più efficace per contrastare la nuova situazione di crisi.

1.4.2. I problemi di coordinamento tra la legge Prodi bis e la legge fallimentare.

L'art. 78, 3° comma, della l. Prodi-bis, sancisce che al concordato ''si applicano le disposizioni dell'articolo 214, secondo, terzo, quarto e quinto comma della legge fallimentare che ha sostituito al commissario liquidatore il commissario straordinario '', in quanto compatibile.Orbene, il fatto che il decreto correttivo abbia fortemente innovato nel contenuto e nella struttura l'art. 214, l. fall., e gli articoli ivi richiamati36, senza aggiornare il d.lgs. 270 del 1999 o comunque coordinare le norme, determina una serie di difficoltà interpretative che impongono una scelta di fondo. Si tratta di stabilire se la legge ha prodotto una serie di abrogazioni e modificazioni implicite oppure no. L'impostazione complessiva della riforma e l'evidente processo di armonizzazione ispirato originariamente proprio all'amministrazione straordinaria, fanno propendere per una interpretazione adeguatrice in quanto compatibile.Questo significa innanzitutto permettere ciò che recentemente i giudici di legittimità avevano escluso37 e cioè la possibilità di un trattamento 36 Articoli 124, 129, 130, 131 e 135 l. fall., dettati in tema di concordato.37 Cass. 19 settembre 2006, n. 20259, in Fallimento, 2007, 11 s., con nota di Ianniello, Liquidazione coatta amministrativa: escluso il concordato con trattamento differenziato dei creditori; in Riv. dir. comm., 2006, II, 77 e ss con nota di Serafini, Nuove questioni in tema di concordato nella liquidazione coatta amministrativa; ed in Giur. comm. 2007,

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differenziato per classi, sulla base dell'inammissibilità di sottrazioni all'attivo rispetto alla naturale destinazione di soddisfacimento dei creditori38. La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei e trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, indicando le ragioni dei trattamenti differenziati; e ancora che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nella logica della legge fallimentare ante riforma si era affermato che era conveniente il concordato straordinario per i creditori chirografari, considerato che i privilegiati e quelli verso la massa vanno soddisfatti integralmente, se la percentuale offerta dal proponente non è inferiore a quella che essi potrebbero ricevere con il riparto dell’attivo realizzato o realizzabile39.In particolare nell'amministrazione straordinaria la ripartizione di creditori in classi secondo le diverse prospettive di soddisfazione e i diversi interessi alla prosecuzione dell'attività d'impresa può giustificare una deroga al principio della par condicio in funzione dei superiori obiettivi di riallocazione efficiente delle risorse concorsuali.La proposta presentata da uno o più creditori o da un terzo può prevedere la cessione, oltre che dei beni compresi nell'attivo, anche delle azioni di pertinenza della massa, con specifica indicazione dell'oggetto e del fondamento della pretesa, comprese evidentemente le revocatorie nel solo caso in cui l'indirizzo adottato sia quello di cessione40, prima della trasmissione della proposta al ministero. Va preferita questa impostazione, nonostante la diversa previsione della l. Marzano, a quella della cedibilità delle revocatorie avviate prima del provvedimento di approvazione, in quanto il giudizio di convenienza che devono esprimere gli organi della procedura, deve tener conto del probabile esito delle azioni e del vantaggio economico delle stesse per i creditori. Per ''azioni proposte'' devono intendersi quelle per le quali il processo è stato radicato, in quanto nell'amministrazione straordinaria, a differenza che nel fallimento, le azioni non ''devono essere autorizzate'' e quindi il limite temporale non si espande alla liti non iniziate ma rispetto alle quali abbia

II, 1171 s., con nota di Tommaso, Il concordato nella liquidazione coatta amministrativa dopo le riforme della legge fallimentare e la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.38 Bazzani-Bazzani, La liquidazione coatta amministrativa, in Il diritto fallimentare riformato. Commento sistematico, a cura di Schiano di Pepe, Padova, Cedam, 2007, 725 ss; Battaglia, Sub. art. 14 legge fall., in Il nuovo diritto fallimentare Commentario, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, Zanichelli, 2007, 2, 2706 (si può ritenere che i creditori privilegiati possano non essere soddisfatti integralmente purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato dei beni in caso di vendita). Incerto Blatti, Sub. art. 214 l. fall., in la legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, Padova, Cedam, 2006, 1621.39 Alessi, nt. 21, 285.40 Art. 6 legge Marzano vd. infra.

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espresso già espresso (al momento di presentazione della proposta) il proprio vaglio il giudice delegato, autorizzandole ai sensi dell'art. 31 l. fall.41.Si parla di azioni di pertinenza piuttosto che di massa in quanto ci si riferisce anche alle azioni che già spettavano al patrimonio del debitore e che sono oggetto di trasferimento al terzo, quale componente ordinaria dell'attivo ed a quelle che competono al commissario e che tuttavia non sono di esclusiva spettanza della procedura in quanto potevano essere promosse dai creditori prima del fallimento: azioni di simulazione, azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, azioni di risarcimento del danno per concessione abusiva di credito, e, specie per i gruppi, azioni di risarcimento per dominio abusivo come espressamente riconosciute dall'ultimo comma dell'art. 2497, c.c.Altro problema interpretativo potrebbe essere posto dall'introduzione di un ulteriore comma all'art. 214, l. fall., il quinto che stabilisce che ''gli effetti del concordato sono regolati dall'articolo 135'', dalla circostanza che il vecchio quinto comma è scalato a sesto pur se invariato nel contenuto ed infine dal fatto che l'originario primo comma nella vecchia versione non era richiamato.Orbene nella logica individuata si devono ritenere applicabili tutte le disposizioni dell'art. 214, l. fall., specie se si guarda alla natura delle stesse in rapporto alle finalità istituzionali dell'amministrazione straordinaria.Quanto al primo comma dell'art. 214 l. fall., prima della riforma il richiamo sarebbe stato ultroneo in quanto riproduttivo del contenuto dell'art. 78 della Prodi-bis, ora invece c'è l'espressa previsione che il concordato deve essere ''a norma dell'articolo 124'', di cui si è già parlato e che è stato ispirato dalla l. Marzano.Stessa logica vale per gli effetti del concordato a norma dell'art. 135 l. fall., per cui successivamente alla sua approvazione, ''i creditori conservano la loro azione per l'intero credito contro i coobbligati, i fideiussori del fallito e gli obbligati in via di regresso'', contrariamente a quanto affermava la giurisprudenza della Cassazione attribuendo all'istituto carattere esdebitatorio anche nei confronti dei coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso del debitore''42.

41 La clausola aggiuntiva che compare nell’art. 124 mira ad individuare con esattezza le azioni autorizzate nel senso che non sarà sufficiente un’autorizzazione generica del giudice, ma occorrerà che questa sia specifica e cioè con indicazione della parte convenuta, del petitum e della causa petendi.42 Cfr. ex multis Cass. 27 dicembre 2005, n. 28774, in Fallimento, 2006, 1285 (riferita proprio ad un caso di amministrazione straordinaria ove la Suprema Corte aveva rilevato come la disciplina del concordato rappresentasse una normativa a sè, distinta da quella del concordato fallimentare, sicché in assenza di richiami espressi andava esclusa l’applicazione della norma di cui agli artt. 124 e ss. ed in particolare dell’art. 135 l. fall., in quanto norma eccezionale che al fine di favorire l’accettazione introduceva una deroga ai principi di cui agli artt. 1301 e 1239 c.c.) Al riguardo cfr. Renzetti, Osservazioni sulla proposta di concordato dell’impresa in liquidazione coatta amministrativa, in Giust. civ. 1989, II, 377; Lazzareschi-Murer-Ruffini, La liquidazione coatta amministrativa delle società cooperative, Milano, Giuffrè, 1996, 225.

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Anche per l'amministrazione straordinaria la norma incentiva evidentemente la presentazione di autonome proposte da parte di terzi, e meglio ancora se creditori, in funzione del salvataggio dell'azienda e al tempo stesso ha l'ulteriore vantaggio competitivo di evitare opposizioni alla proposta concordataria da parte dei titolari di pretese creditorie. Peraltro la deroga ai principi generali stabiliti dagli artt. 1301 e 1239 c.c. in tema di remissione del debito nelle obbligazioni solidali non trova alcuna giustificazione alla luce dell'interesse pubblico sotteso alla procedura.Esattamente per le stesse ragioni si deve ritenere inapplicabile all'amministrazione straordinaria l'art. 153, l. fall., che nel concordato proposto da una società con soci a responsabilità illimitata produce effetti anche rispetto ai soci e fa cessare il loro fallimento. E non a caso l'art. 78, della l. Prodi-bis, omette ogni richiamo alla norma che peraltro anche nel fallimento ammette la pattuizione contraria, escludendo per via negoziale gli effetti remissori nei confronti dei singoli soci.Sempre alla luce dell'interpretazione armonizzatrice di tutti i concordati va risolto il problema di coordinamento tra la previsione temporale contemplata per l'amministrazione straordinaria dal rinvio all'art. 97 l. fall., ed il nuovo art. 124, l. fall., per cui abrogata la necessità di attendere la dichiarazione di esecutività dello stato passivo per la presentazione della domanda di concordato fallimentare o di avvenuto deposito dell'elenco da parte del commissario per il concordato coattivo, viene superata ogni preclusione temporale anche per la Prodi-bis, specie dopo il correttivo. Preclusione che riguardava la presentazione per la preventiva autorizzazione da parte dell'organo amministrativo di vigilanza o per l'ancor più preventivo parere dell'organo commissariale e del comitato di sorveglianza.Un impatto rilevante sull'amministrazione straordinaria hanno le nuove disposizioni in tema di pubblicità della proposta di concordato di cui all'art. 214, l. fall., in luogo del generico rinvio alla discrezionalità dell'Autorità amministrativa. La comunicazione va infatti effettuata dal commissario a tutti i creditori ammessi allo stato passivo mediante notifica, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax o posta elettronica con garanzia dell'avvenuta ricezione e dalla stessa decorre il termine per la presentazione delle opposizioni dei creditori in cancelleria. La stessa va inoltre pubblicata in Gazzetta Ufficiale e depositata presso l'ufficio del Registro delle Imprese e da queste altre forme di pubblicità decorre il termine per la presentazione delle opposizioni per ogni soggetto interessato. Questo tipo di pubblicità, in luogo della pubblicazione su quotidiani disposta nella prassi dal ministero, rappresenta nella sostanza una forma di sollecitazione ad esprimersi.Tuttavia l'opposizione non è per nulla assimilabile al voto contrario alla proposta, né di converso la sua mancanza equivale al voto favorevole, né ancora rappresenta una vera e propria domanda giudiziale costituendo una semplice dichiarazione, rivolta anche senza assistenza di un procuratore legale al giudice, contenente un dissenso motivato all'approvazione della proposta. L'unica domanda giudiziale resta quella di concordato che non

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introduce un giudizio a cognizione piena ed in cui infatti le opposizioni non vanno notificate né al debitore, né all'autorità di vigilanza, né al commissario straordinario.Va ricordato, infine, che l'art. 79, della l. Prodi-bis, prevede in analogia a quanto stabilito dall'art. 154, l. fall., che ''nell'amministrazione straordinaria di una società con soci a responsabilità illimitata, ciascuno dei soci ammessi alla procedura può proporre un concordato ai creditori sociali e particolari che concorrono sul suo patrimonio con l'osservanza delle disposizioni dell'articolo 78''. La lettera della norma farebbe pensare ad un tipo di concordato del tutto diverso, tuttavia è da ritenere che ci siano imperfezioni involontarie del legislatore e che anche in questo caso destinatario della proposta sia il tribunale, la legittimazione appartenga anche ad un terzo e il procedimento sia identico a quello previsto per la società.Si tratta in ogni caso di procedura del tutto autonoma da quella della società, in quanto è consentita la chiusura dell'una a prescindere dalla sorte dell'altra. Questo concordato, come quello fallimentare, non può riguardare la sistemazione del solo passivo verso i creditori particolari e non è liberatorio per la società e gli altri coobligati a meno che non comporti l'estinzione integrale del passivo sociale. In quest'ultimo caso produrrà la chiusura della procedura per una ragione diversa dal passaggio in giudicato della sentenza di approvazione e cioè a causa dell'integrale pagamento dei creditori.Ciò comporta che l'unico criterio di meritevolezza sarà, in questo peculiare caso, la convenienza per i creditori e non il fine conservativo della procedura a meno che la proposta del socio non porti al risanamento con il ritorno in bonis dell'impresa con l'estinzione di tutti i debiti sociali. In quest'ultima ipotesi varranno infatti i peculiari principi delineati per il concordato straordinario e che trovano origine nel pubblico interesse dell'economia.

1.5. L’evoluzione della disciplina dell’amministrazione straordinaria: da Parmalat ad Alitalia: la Legge Marzano (l. 18/3/2004 n. 39) come risposta ai grandi crack finanziari.

Verso la fine dell’anno 2003 una profonda crisi finanziaria ed industriale ha colpito il Gruppo Agroalimentare Parmalat, uno dei più rilevanti gruppi industriali del Paese, presente in modo significativo anche a livello internazionale. Il Gruppo Parmalat possedeva tutti i requisiti necessari per essere ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dal d.lgs. 270/1999, ma l’Esecutivo, ha, invece, preferito intervenire emanando il nuovo decreto legge 23 dicembre 2003 n. 347, che ha, appunto, previsto misure urgenti per la ristrutturazione industriale delle grandi imprese in crisi.Il suddetto d.l. 347/2003, è stato poi convertito e notevolmente modificato con la legge 18 febbraio 2004, n. 39 (legge Marzano). A sua volta, tale legge ha subito un susseguirsi di modifiche ed integrazioni, tanto che a

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soli 45 giorni dalla sua emanazione è stata corretta e modificata dal decreto legge 3 maggio 2004, n. 119, poi convertito nella legge 5 luglio 2004 n. 166.Con riferimento a questa prima vicenda, il Governo di allora per risolvere l’affare Parmalat aveva ritenuto inidonee sia le disposizioni in materia di amministrazione controllata sia quelle più recenti in tema di nuova amministrazione straordinaria, varando la nuova microprocedura.Infine, le ultime modifiche alla disciplina della ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, sono state introdotte dal decreto legge 29 novembre 2004, n. 281, poi convertito nella vigente legge 5 gennaio 2005, n. 6 Il d.l. 347/2003 convertito con modificazioni con legge 39/200443 aveva dunque quali principali obiettivi la forte accelerazione e la semplificazione del procedimento di amministrazione straordinaria delle grandi imprese anche nella fase anteriore al decreto di amministrazione straordinaria.I motivi che hanno indotto il Governo ad intervenire con una nuova procedura sono meglio illustrati nella relazione allo stesso d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, la quale riferisce dell’intendimento di perseguire i seguenti obiettivi: garantire l’efficace ristrutturazione della grandissima impresa in stato di insolvenza, e del gruppo nel quale essa è inserita; perseguire, unitamente alla garanzia dei creditori, l’obiettivo di conservare l’avviamento e la posizione di mercato dell’impresa, assicurando la ristrutturazione del passivo e l’eventuale dimissione delle sole attività non strategiche o non coerenti con l’oggetto dell’attività principale dell’impresa.A tal proposito la relazione sostiene che gli obiettivi suesposti non sono perseguibili con l’amministrazione straordinaria prevista dalla legge Prodi bis, in quanto: le fasi di apertura della procedura sono eccessivamente complesse; la procedura avrebbe una caratterizzazione prevalentemente liquidatoria; la fase preliminare di osservazione, da parte dell’autorità giudiziaria, creerebbe uno stato di incertezza sull’avvio dell’amministrazione straordinaria. La Relazione riferisce, infine, che in conformità a queste affermazioni, si è quindi reso necessario, per la continuazione dell’impresa di grandi dimensioni in crisi, un provvedimento immediato, fermo restando che per le medie imprese rimane applicabile la procedura di amministrazione straordinaria prevista dalla legge Prodi bis. Tuttavia, è necessario sottolineare come la dottrina prevalente si sia già pronunciata ritenendo pretestuose le suesposte finalità, che dovrebbero giustificare quest’ultima procedura.I primi commentatori hanno accolto in modo diverso la legge Marzano. Secondo taluni il caso Parmalat ha segnato un punto di svolta nel panorama del diritto fallimentare italiano in quanto avrebbe messo in moto un più ampio processo di riforma sviluppatosi attraverso una serie di leggi che hanno avuto il pregio di innovarne e ammodernarne, sebbene

43 Sulle modifiche apportate al decreto Parmalat in sede di conversione in legge si veda A. Calafa, Il decreto Parmalat: profili lavoristici e comunitari, in Diritto del lavoro, Parte I, 2004, 318 e ss.

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non in maniera del tutto organica e coordinata, la relativa disciplina. Le citate riforme avrebbero, dunque, trasformato la normativa fallimentare da strumento punitivo a carattere prevalentemente liquidatorio ancorato a un’arcaica e anacronistica concezione del fallimento quale evento socialmente squalificante, in uno strumento più pragmaticamente orientato a una efficace e rapida soluzione delle crisi d’impresa nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti44.Altri hanno sottolineato taluni profili che rappresentano una sorta di regresso rispetto alle innovazioni dettate dal d.lgs. 270/1999 (legge Prodi-bis), rispetto alla legge 95/1979 (prima legge Prodi) e che avevano consentito di superare le critiche mosse alla legge Prodi dagli organi comunitari, nonché i profili di sospetta incostituzionalità. La nuova legge Marzano è stata ritenuta un notevole passo indietro nel riequilibrio del rapporto fra tutela dei diritti (espunti con la legge Prodi) e tutela del mercato, intesa come conservazione delle risorse residue dell’organismo produttivo45.Ugualmente in modo difforme si sono espressi i primi commentatori circa la natura di sottospecie dell’amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. 270/199946 o piuttosto di una nuova procedura. Parte della dottrina ritiene esistenti nel nostro ordinamento concorsuale tre procedure di amministrazione straordinaria: quella introdotta dalla legge 95/1979 (cd. legge Prodi), quella disciplinata dal d.lgs. 270/1999 (legge Prodi bis) e quella istituita dalla legge 39/2004 (c.d. Prodi ter o legge Marzano e legge Parmalat). Nonostante l’aver mantenuto l’unità terminologica consenta di far rientrare tutte le procedure di amministrazione straordinaria, permangono profonde ed innegabili differenze tra le procedure di amministrazione straordinaria e il solco tracciato dalla legge Prodi e Prodi bis.La prima differenza attiene ai requisiti per l’ammissione alla procedura, quali dettati dalla prima legge Marzano. Il requisito soggettivo prevede la qualità di imprenditore commerciale, soggetto dunque alla disciplina del fallimento, un numero di lavoratori subordinati non inferiore a mille da almeno un anno e debiti complessivi, incluse le garanzie concesse non inferiori a 1 milione di euro. Dunque con la legge Marzano si assiste ad una significativa elevazione delle soglie di accesso, così destinandosi tale procedura all’insolvenza delle imprese di grandi dimensioni. Invariato rimane, invece il requisito soggettivo dello stato di insolvenza.Altra differenza essenziale attiene, invece alla fase di avvio ella procedura, la cui scansione temporale, come rilevato, appare pressoché invertita47. Sotto tale profilo si sottolinea come nella legge Marzano 44 Sul punto Manganelli, da Parmalat ad Alitalia: strumenti di gestione della crisi d’impresa, in Diritto e pratica delle società, 2008, 24 e ss.45 Alessi, L’amministrazione straordinaria accelerata (legge Parmalat), in Diritto fallimentare delle società commerciali, Parte I, 2004, 21-23 e 27-31.46 Fabiani Ferro, Dai Tribunali ai Ministeri: prove generali di degiurisdizionalizzazione della gestione della crisi d’impresa, in Il Fallimento, n. 2 del 2004, 132 e ss. Malamente, Il decreto Parmalat appunti per una prima lettura, in Il diritto fallimentare delle società commerciali, parte I, 2004, 36.47 Costa, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza dopo il d. lgs. 12/9/2007 n. 169, 2008, 17.

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questa fase venga sottratta all’autorità giudiziaria per essere affidata all’autorità amministrativa (all’epoca Ministero delle Attività Produttive oggi Ministero dello Sviluppo Economico). Altra caratteristica essenziale è l’immediatezza dell’ammissione all’amministrazione straordinaria che si distingue dal sistema bifasico introdotto con il d. lgs. 270/1999. Si è, infatti, ritenuto che quest’ultimo fosse eccessivamente schiacciato sull’autorità giudiziaria privando il commissario della necessaria operatività immediata di cui dispone invece nella variante Marzano.Dunque l’imprenditore insolvente ma in grado di predisporre un programma di ristrutturazione economica e finanziaria della propria impresa, può richiedere al Ministro delle attività produttive con istanza motivata e corredata di adeguata documentazione, di essere ammesso, immediatamente, all’amministrazione straordinaria purché presenti contestuale ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale del luogo in cui ha la sede.E’ quindi riservata al Ministro la valutazione dei requisiti dell’ammissione nonché la nomina del commissario straordinario cui sono attribuite le medesime funzioni previste dal d.lgs. 270/1999 e che provvederà all’attività gestoria compiendo ogni atto utile all’accertamento dello stato di insolvenza rimesso al tribunale.La legge Prodi bis prevedeva due modi alternativi per ottenere il recupero dell’equilibrio economico dell’impresa insolvente, ossia il programma di cessione dei complessi aziendali ed il programma di ristrutturazione. La legge Marzano diversamente ha previsto che il programma può essere destinato esclusivamente alla ristrutturazione. Ne consegue che se il programma rassegnato identifica come unica possibile soluzione la cessione dei complessi aziendali potrebbe essere attivata solo la procedura dell’amministrazione straordinaria per le medie imprese disciplinata dalla Prodi bis.L’unico caso in cui in base alla legge Marzano è possibile ricorrere alla cessione dei complessi aziendali è rappresentato dall’ipotesi in cui il programma di ristrutturazione non venga approvato.E’ evidente, dunque, l’intento perseguito dal legislatore nazionale che ha inteso, anzitutto salvaguardare l’integrità dei complessi aziendali privilegiando la conservazione dell’impresa insolvente. La verifica della compatibilità del programma con l’obiettivo della ristrutturazione e con la valutazione sulla sua attuabilità sono demandate al Ministro cui è affidato il compito di autorizzare l’esecuzione del programma con decreto.La legge Marzano ha inoltre disciplinato l’istituto delle azioni revocatorie in maniera del tutto antitetica rispetto alla Prodi bis: infatti l’art. 6 della legge Marzano attribuisce al commissario straordinario il potere di proporre le azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 della Prodi bis anche nel caso di approvazione del programma di ristrutturazione al fine del raggiungimento del programma stesso ed a condizione che ciò costituisca un vantaggio per i creditori. Le azioni esercitate dal commissario straordinario sino alla pubblicazione della sentenza di approvazione del concordato possono altresì essere trasferite all’assuntore. I termini di tali azioni si computano a decorrere dalla

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pronuncia del decreto di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e tale previsione è applicabile ai casi di conversione della procedura in fallimento.Un ulteriore profilo di novità riguarda la proposta di concordato prevista dalla legge Marzano che rispetto alla proposta di concordato prevista dalla legge Prodi bis non può essere presentata dall’imprenditore o da un terzo, ma solo dallo stesso commissario straordinario. L’innovazione più rilevante è contenuta nell’art. 4 bis tanto da far affermare che la consapevolezza di aver inteso il Legislatore disegnare una procedura allo scopo di affrontare e risolvere le vicende del caso Parmalat la si ricava dall’art. 4 bis introdotto con la legge di conversione che ha previsto e regolamentato la definizione della procedura tramite concordato.Tale articolo, dopo aver stabilito al primo comma che nel programma di ristrutturazione presentato al Ministero può essere prevista la soddisfazione dei creditori attraverso il concordato prevede la possibilità che la proposta di concordato possa contenere la suddivisione dei crediti in classi e che la suddivisione debba essere effettuata secondo la posizione giuridica e secondo interessi economici omogenei con possibilità di costituzioni di autonome classi per i piccoli creditori e per i possessori di obbligazioni emesse o garantite dalla società in amministrazione straordinaria.Un’ulteriore novità consiste nella possibilità di trasferire ad un assuntore sia le attività delle imprese interessate, sia le azioni revocatorie promosse dall’amministratore straordinario. Riguardo alla figura dell’assuntore, la legge Marzano ha stabilito che possono assumere tale ruolo non solo i creditori o società da questi partecipate, ma anche società costituite dallo stesso commissario straordinario, le cui azioni siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato.Un’ulteriore vicenda che ha visto il legislatore protagonista di un intervento mirato si è registrata in occasione della crisi del vettore aereo di bandiera Alitalia. In tali circostanze il Governo ha attuato con l’emanazione del d.l. n. 134/2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 201 del 28 agosto 2008) un’ulteriore nonché significativa modifica alla legge Marzano48, introducendo consistenti deroghe alla disciplina in tema di fallimento e di amministrazione straordinaria spingendosi fino alla concorrenza in nome dell’interesse generale dell’economia nazionale, essendo Alitalia una compagnia esercente il trasporto pubblico di passeggeri49.Analizzando il nuovo intervento si notano modifiche volte a rimuovere la pregiudiziale ristrutturatoria rendendo la più snella procedura prevista dalla legge Marzano applicabile a tutti i casi di grandi dissesti, anche quando non presentino le peculiari caratteristiche del crack Parmalat

48 Sulle considerazioni generali sul decreto Alitalia e il suo inquadramento nell’ambito delle procedure di amministrazione straordinaria, sulla settorialità delle modifiche e sulla specificità dell’intervento si veda Beltrami, Decreto Alitalia: un nuovo capitolo nella storia della procedura di amministrazione straordinaria, in Giur. comm., n. 3/2009.49 Sull’influenza degli interessi pubblici nelle modifiche apportate dal decreto Alitalia al decreto Marzano si veda Leozappa, Interessi pubblici e amministrazione straordinaria dopo la legge 168/2008 (variante Alitalia in Giur. comm., n. 3/2009, 619,62.

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ovvero grandi debiti ma un’attività di impresa che si sostiene da sola, circostanza che Alitalia non era in grado di affrontare. L’amministrazione straordinaria “speciale” si applica anche nel caso della ristrutturazione mediante cessione dei complessi aziendali, ovvero quella forma di ristrutturazione che era stata espressamente espunta dal decreto Marzano perché allora si pensava che la decisa virata dell’amministrazione della crisi d’impresa fosse tollerabile solo in regime di continuità imprenditoriale. In questo senso il d.l. 134/2008 rappresenta un vistoso passo indietro in quanto si rende meno netta dal punto di vista sistematico la ragione della distinzione fra l’amministrazione straordinaria base e quella speciale. Infatti le condizioni di accesso divergono solo in relazione al numero dei dipendenti (fra 200 e 499 per l’amministrazione straordinaria base e almeno 500 per la variante Marzano) e all’entità dell’indebitamento50.Il decreto Alitalia ha introdotto una serie di deroghe per le grandi imprese che esercitano servizi pubblici essenziali attribuendo al Governo e al commissario straordinario poteri maggiormente incisivi consentendo in particolare: al Governo con decreto di nomina del commissario di prescrivere il compimento di atti necessari al conseguimento delle finalità della procedura (art. 2, II comma, d.l. 347/2003) ciò che ha fatto parlare di evidente cortocircuito tra funzioni di vigilanza e poteri gestori; al commissario in deroga al disposto dell’art. 62 del d.lgs. 270 ove per la vendita di beni immobili, aziende e rami d’azienda si prevede il previo espletamento di idonee forme di pubblicità l’alienazione dei beni possa perfezionarsi a trattativa privata51 purché nel rispetto dei principi di trasparenza e ad un prezzo non inferiore a quello di mercato come risultante da perizia effettuata da primaria istituzione finanziaria con funzione di esperto indipendente individuata con decreto del Ministro dello sviluppo economico (art. 4, IV comma quater); all’acquirente di evitare la preventiva autorizzazione antitrust nazionale (art. 4 IV comma quinquies), Si sottraggono, infatti, alla normativa antitrust le eventuali operazioni di concertazione connesse o contestuali sia per quanto riguarda la necessità dell’autorizzazione (artt. 5 e ss. legge 287/1990) sia per quanto riguarda posizioni di monopolio eventualmente determinatesi che dovranno cessare solo entro un termine che spetterà all’autorità definire, ma che comunque non potrà essere inferiore a tre anni e sia infine per quanto riguarda l’eventuale imposizione di prezzo o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori per la quale sarà sufficiente una preventiva notifica all’autorità con proposta di misure 50 Fabiani-Stanghellini, La legge Marzano con le ali, ovvero la volatilità dell’amministrazione straordinaria in Corriere Giuridico, n. 10/2008, 1337 e ss.51 L’introduzione della possibilità per il commissario straordinario di procedere alla cessione dei beni e dei complessi aziendali mediante trattativa privata nasce dall’esigenza di risolvere i dubbi interpretativi sorti in relazione al dettato normativo dell’art. 62, II comma, del d.lgs. 270/1999 laddove prevede che la vendita di beni immobili, aziende e rami d’azienda debba essere effettuata previo espletamento di idonee forme di pubblicità. Tali dubbi interpretativi, peraltro sono stati anche alla base del lungo contenzioso insorto tra Alitalia, Air One e l’amministrazione straordinaria del gruppo Volare a seguito della cessione dei complessi aziendali di quest’ultimo ad Alitalia (cfr. Consiglio di Stato sent. 797/2008).

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comportamentali idonee a prevenire il rischio salva la facoltà dell’autorità di prescrivere modificazioni e integrazioni ritenute necessarie; al commissario, di negoziare riduzioni di personale con poteri più incisivi rispetto a quelli concessi dalla legislazione ordinaria in materia lavoristica, ma con ampi ammortizzatori sociali (art. 5 commi II ter e II quater). Si introduce, inoltre un’importante deroga alla normativa giuslavorista, con l’ammissibilità di passaggi anche solo parziali di lavoratori alle dipendenze del cessionario anche previa collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria o cessazione del rapporto di lavoro in essere. Ancora al commissario si consente le possibilità di frazionare complessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie definendone i contenuti in uno o più rami d’azienda anche non preesistenti.Le plurime deroghe introdotte dalla nuova legge Marzano non hanno comunque minato i connotati della procedura che rimane ad ogni effetto una procedura di amministrazione straordinaria con conseguente applicazione nel conflitto di giurisdizione del regolamento CE 1346/2000 sulle procedure di insolvenza entrato in vigore il 31 maggio 2002 il cui art. 16 prevede che i provvedimenti di apertura della procedura di amministrazione straordinaria siano automaticamente riconosciuti in tutto lo spazio giudiziario europeo ad eccezione della Danimarca.

1.6. I “concordati di gruppo”: il dibattito giurisprudenzial-dottrinale.Sulla figura del c.d. concordato di gruppo sussistono aspri contrasti sia in dottrina sia in giurisprudenza.

La disciplina di diritto positivo in tema di “concordato preventivo di gruppo” risulta quanto meno lacunosa. Nessuna norma della legge fallimentare prevede, infatti, una gestione unitaria della “crisi” o “insolvenza” di più soggetti facenti parte di un gruppo.Anche la giurisprudenza si trova concorde su tale punto. Come evidenziato da Trib. Roma 732011 e da Trib. Terni 30122010, manca una definizione di “gruppo” nel nostro ordinamento.Nella relazione illustrativa della riforma del diritto societario si imputa ciò a una scelta meditata, stante l’inopportunità di circoscrivere, in una rigida definizione normativa, una realtà economica in continua evoluzione. A fortiori è assente un’organica disciplina dell’organizzazione del gruppo, rinvenendosi soltanto episodiche discipline relative a determinati profili (tutela dei soci e dei creditori con la previsione del bilancio consolidato, limiti concorrenziali con la normativa antitrust, disciplina del gruppo insolvente nell’ambito delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese, responsabilità per la condotta infragruppo di direzione e coordinamento).Da più parti si afferma come il gruppo di imprese costituisca un fenomeno della realtà economica e giuridica dei tempi moderni e tale

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realtà “deve essere opportunamente valorizzata e custodita nella sua unitarietà”52.Nel codice civile non si rinviene una nozione di gruppo di società, sicché già nella perimetrazione del fenomeno si avvertono le prime complessità. All’epoca in cui entrò in vigore la legge fallimentare (1942) il fenomeno del gruppo di imprese era poco conosciuto. Invero, lo stesso fenomeno dell’impresa collettiva non era considerato rilevante, come si evince dalla parte (esigua) della legge dedicata alla disciplina del fallimento delle società (artt. 146-154). Nonostante vi sia stata in Italia, negli anni successivi al 1942, una evoluzione dal punto di vista economico, solamente nel 1979 troviamo il primo intervento legislativo teso a disciplinare il fenomeno patologico (ossia l'insolvenza) di un gruppo di imprese e precisamente la legge n. 95 del 3 aprile 1979 c.d. legge Prodi (art. 3), che, come supra esaminato, ha istituito la procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi, poi riformata dal d.lgs. n. 270/1999 c.d. legge Prodi bis (artt. 80-91), cui ha fatto seguito il d.l. n. 347/2003 convertito, con modifiche, nella legge n. 39/2004 c.d. Legge Marzano (artt. 1, 3, 4, 4 bis, 5), con successive modificazioni.All’interno del codice civile le uniche norme che fanno riferimento all’aggregazione di imprese sono l'art. 2359 c.c., che analizza il fenomeno del controllo societario e del collegamento tra società, e l'art. 2497 c.c., che disciplina l'azione di responsabilità dei soci delle controllate nei confronti delle società controllanti e degli amministratori delle stesse. È, però, pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che il mero controllo sociale, come pure il collegamento, ivi incluso il collegamento orizzontale (che si verifica quando due società non sono controllate, ma hanno una medesima linea programmatica per l'identità degli amministratori o dei soci) non disegnano il fenomeno del gruppo. Nella legislazione speciale vi sono altri casi di trattamento unitario del gruppo insolvente o in crisi, in forza del quale le società del gruppo, la cui insolvenza è stata accertata giudizialmente, sono assoggettate alla medesima disciplina prevista per la capogruppo insolvente: sono i casi di

52 Cfr. Trib. Roma, decr. 7 giugno 2007, in Fall., 2008, 218 con nota di A. di Majo. Il principio dell’unitarietà dell’impresa di gruppi è stato evidenziato anche dal TAR Lazio, Sez. III, 2 febbraio 2007 n. 777, in Red. Amm. TAR, 2007, 2, 547. Contra Consiglio di Stato, Sez., V, 26 gennaio 2007, n. 278, in Foro Amm. CDS, 2007, 1, 137. La Corte di Cassazione sembra orientata nel senso di assegnare alla direzione unitaria una posizione centrale nella ricostruzione dei gruppi. Premesso, infatti che il controllo societario non esaurisce il fenomeno del gruppo, ma è alla base del modello strutturale del gruppo di società al fine di affermare l’autonomia e il carattere imprenditoriale della funzione svolta dalla capogruppo, il fatto di caratterizzare il gruppo si sostanzia propriamente nella direzione e nel coordinamento unitario espletato dalla holding. Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439. La Suprema Corte, in sostanza, individua tra gruppo e controllo una diversificazione qualitativa ed aggiunge che da un punto di vista organizzativo, la direzione unitaria comporta che il centro decisionale delle strategie venga posto al di fuori delle singole società operative (Cass. 21 gennaio 1999 n. 521, Cass. 5 dicembre 1998, n. 12325; Trib. Biella, 17 novembre 2006, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 1143 con nota di Zamperetti; Trib., Roma, 10 gennaio 2001, in Soc., 2001, 1256, con nota di A. di Majo, in Banca, borsa, tit. cred. 2002, 176 con nota di Daccò).

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liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie o di revisione (art. 2 d.lgs., n. 233/1986 convertito con la L. n. 430 del 1986) e di crisi dei gruppi creditizi (artt. 100-105 d.lgs. n. 385 del 1993).In tema di concordato preventivo, sono da segnalare alcuni riferimenti che la riforma fallimentare di cui al d.lgs n. 5/2006 riserva alle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo (artt. 124, comma 1° e 127, comma 6°, L.F., nonché in un certo senso l’art. 160 L.F, comma 1°, lett. b).Difatti, il “piano” che propone l’imprenditore “in crisi” può prevedere anche “l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura...”.A tal riguardo, è stato sostenuto che la proposta di concordato può anche essere avanzata congiuntamente da più soggetti in stato di crisi e, quindi, in particolare da più imprese facenti parte del medesimo gruppo, ferma restando l’autonomia e la separazione dei patrimoni delle singole società.E’ da ritenere che il testo vigente dell’art. 160 L.F., non prevedendo requisiti particolari per l’ammissione al concordato preventivo, dovrebbe permettere l’ammissione alla procedura di società facenti parte di un gruppo in quanto ogni società del gruppo costituisce un soggetto di diritto a sè stante.Tuttavia, pur non volendo attribuire eccessiva rilevanza al riferimento testuale contenuto nell’art. 160 l. fall., nella parte in cui consente all’assuntore l’attribuzione delle attività “delle imprese interessate” dalla procedura di concordato (riferimento alla stregua del quale una parte della dottrina ha dedotto la configurabilità del concordato di gruppo), la scelta del concordato preventivo relativo al gruppo non può che ritenersi legittima, consentendo l’art. 1322 c.c. di affermare detta possibilità in quanto meritevole di tutela, essendo riferita a una realtà economica di primaria rilevanza nell’attuale contesto di mercato qual è impresa di gruppo.Va altresì considerato che la funzione del concordato preventivo è il superamento della crisi di impresa attraverso l’esdebitazione dell’imprenditore insolvente per decisione dei creditori concorsuali; essendo, quindi, il concordato preventivo una procedura concorsuale dell’impresa, può applicarsi all’impresa stessa in tutte le conformazioni che ne costituiscono pratica esplicazione, e qualora l’impresa si manifesti e si realizzi nel gruppo questa sarà la dimensione che potrà assumere rilievo nel concordato preventivo.Su altro fronte, pur non trattandosi di concordato preventivo, è da segnalare, in tema di concordato fallimentare, l’art. 124 L.F., il quale dispone che la proposta di concordato non può essere presentata dal fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo, se non dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purchè non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo.

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Dal tenore della norma non si comprende che definizione debba essere attribuita al verbo “partecipare”. Sembra che, sul punto, si possa dare un’interpretazione estensiva e che, quindi, il fallito partecipi, anche fittiziamente o fiduciariamente, alla società che presenta la proposta di concordato53. E’ stato sostenuto che sarebbero da includere anche le società che diventano “partecipate” in un momento successivo ossia in virtù del concordato54.Anche il riferimento al “comune controllo” si espone a più di un dubbio. Attenendoci alla norma, sembra che si debba riferire alle forme indicate nell’art. 2359 c.c. e non (anche) a quello di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 c.c. che “presuppone” talvolta anche il controllo ai sensi dell’art. 2497 sexies c.c.55. Non vengono però indicate le società controllanti alle quali si dovrebbe estendere analogicamente la norma in questione.L’art. 127, 6° comma, L.F., sempre in tema di concordato fallimentare, prevede l’esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze dei crediti delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo56.In primo luogo, è stato affermato che detta norma ha carattere eccezionale e tale disposizione non è, quindi, applicabile al voto espresso nel procedimento di concordato preventivo57.E’ da evidenziare sul punto il diverso atteggiamento assunto dal legislatore, che riconosce alle società del gruppo la legittimazione alla presentazione della proposta di concordato fallimentare mentre, in sede di legittimazione al voto, ne prevede la totale esclusione (peraltro estesa alle società controllanti).Sul fronte giurisprudenziale numerosi sono i casi in cui è stata affermata l'autonomia giuridica di ogni singola società del gruppo. Nell'ambito di procedimenti ad evidenza pubblica si è stabilito, infatti, che il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno delle società dotate di personalità giuridica distinta, sicché non è consentito l' affidamento diretto dei servizi ad aziende dello stesso gruppo senza esperire gare aperte all'esterno58.Inoltre, il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell'autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica

53 Cfr. Guglielmucci, in AA. VV. Codice commentato del fallimento, a cura di Lo Cascio, Milano, 2008, 1208.54 Cfr. Stanghellini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare comm. diretto da A. Jorio e coordinato da Fabiani, Torino, 2007, 1953.55 Per il riferimento all’art. 2497 c.c. cfr. Bertacchini in AA. VV. La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2006, 769.56 E’ stato sostenuto che il curatore del fallimento della società controllata può legittimamente votare in caso di concordato della società controllante, dato che il curatore agisce non quale rappresentante della società fallita (titolare del credito) bensì quale organo di giustizia per conto e nell’interesse della massa dei creditori.57 Trib. Reggio Emilia, 1 marzo 2007 in ilcaso.it, sul punto: Scognamiglio G., Gruppi di imprese e procedure concorsuali in Giur., comm., 2008, 1100.58 Cons. di Stato 11 aprile 2000, n. 588, in Foro it., 2002, III, 427.

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distinta, alle quali continuano a far capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese59.Tuttavia, in presenza di un gruppo di società, la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale spettante alla stessa sul complesso delle attività delle società controllate, determina l'assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell'organizzazione produttiva nel quale l'attività lavorativa è inserita con carattere di subordinazione60.Passando in rassegna alcune pronunce di merito si può osservare un panorama composito nel quale si affastellano tesi spesso di segno opposto.Un orientamento ha ritenuto ammissibile la procedura unitaria di concordato preventivo a condizione che siano favorevoli le maggioranze dei creditori di ciascuna impresa61. Un altro orientamento ha ammesso una procedura unitaria “attesi gli indissolubili collegamenti tra le diverse società. L’addivenire a separate procedure sarebbe dannoso sia per le società istanti che per i loro creditori”. Per cui, dovrà essere il tribunale della controllante a valutare la proposta di concordato nella sua complessità, pur nel rispetto delle rispettive autonomie societarie62. Un’ulteriore tesi ha ammesso un concordato preventivo di gruppo per società aventi sede legale ed amministrativa nello stesso luogo e che rientrino, dunque, nella circoscrizione dello stesso tribunale, purchè le domande siano contestuali e ricorrano, per tutte le società, le condizioni di ammissibilità63. E’ stato altresì ammesso che, con un unico provvedimento, si provvedesse alla nomina di un unico giudice delegato e commissario giudiziale, seguito da un solo giudizio di omologazione, anche se è necessario predisporre stati passivi distinti per le singole società. È, invece, minoritaria la tesi, pur supportata da un cospicuo numero di pronunce di merito e da parte della dottrina64, che considera il gruppo societario come un unicum inscindibile, per cui è sufficiente un unico ricorso completo o con domanda «in bianco» o «spoglia», seguito, poi, ai sensi dell'art. 161 comma 6 l. fall. (dopo la modifica di cui al d.l. n. 83 del 59 Cass. sez. lav. 12 marzo 1996, n. 2008; Cass. 23 marzo 2004, n. 5808.60 Cass. 29 novembre 2011, n. 25270.61 Cfr. Trib. Terni 19 maggio 1997, in Fall., 1998, 290, con nota di Fabiani.62 Cfr. Trib. Roma, 16 dicembre 1997, in Giur. merito, 1998, 643 e in Dir. Fall., 1998, II 778, con nota di Di Gravio.63 Cfr. Trib. Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fall., 1995, 969, con osservazioni di Fabiani. Nello stesso senso, Trib. Firenze 13 luglio 1992, in Dir. fall., 1993, II, 180, con nota di Lazzara e in Fall., 1994, II, 563.64 Racugno, Concordato preventivo, Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonumore-Bassi, Padova, 2010, 503, il quale desume tale possibilità dall’espressione di cui all’art. 160 lett. b) L.F. ove si prevede che l’attribuzione delle attività alle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore e più generale dalla lett. a) del medesimo articolo che menziona la possibilità di altre operazioni straordinarie; Pacchi, Il concordato preventivo, Bertacchini, Gualandi, Pacchi, G. Pacchi, Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 435; Sandulli, Sub. art. 160 L.F. la riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro-Sandulli, II, Torino, 2006, 984.

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2012, convertito in l. n. 134 del 2012), previa concessione del termine da parte del tribunale (in composizione collegiale) dal deposito di proposta, piano e documentazione, con un unico decreto di ammissione, una sola adunanza dei creditori, la commistione di masse attive e passive ed un unico decreto di omologazione. In un caso si è ritenuto che quando vi sono più società di persone in cui vi è totale identità dei soci illimitatamente responsabili, le procedure di concordato preventivo richieste da ciascuna possono essere organizzate in modo da consentire una risoluzione unitaria dell'insolvenza.Sono da segnalare altre pronunce: in un caso è stato sostenuto che, quando vi sono più società di persone in cui vi è totale identità dei soci illimitatamente responsabili, le procedure di concordato preventivo richieste da ciascuna possono essere organizzate in modo da consentire una risoluzione unitaria dell’insolvenza65; in altra vicenda è stata sostenuta la impossibilità di una procedura concorsuale del “gruppo”, in quanto le società appartenenti al “gruppo” mantengono la propria autonomia. Ma ciò non esclude che, se per tutte le società sono presenti i presupposti di ammissione al concordato preventivo, nella valutazione del tribunale un ruolo rilevante sia rappresentato dal riscontro dell’esistenza di un’aggregazione societaria cui fanno capo distinti interessi 66.Una giurisprudenza di merito, più recente 67, ha confermato la necessità di una “valutazione unitaria della proposta di concordato che dovrà essere valutata in una sola procedura” e “la necessità di considerare separatamente le masse attive e passive di ogni società e quindi di procedere a distinte adunanze di creditori”. E’ stato sostenuto altresì che “la legislazione vigente, come dimostrato ancora dalla recente legge n. 39/2004, non permette di considerare in modo unitario le rispettive masse attive e passive ritenendo che l’esistenza dei singoli enti e conseguentemente dei singoli patrimoni non può in alcun modo essere superata dall’esistenza del “gruppo” neppure per far prevalere la reale situazione economica ed imprenditoriale rispetto all’assetto giuridico dello stesso”. Si era, infatti, valutata separatamente la situazione patrimoniale delle singole società nell’ambito di quattro distinte adunanze dei creditori facenti parte delle stesse.Altra giurisprudenza ha invece sostenuto che, in caso di richiesta di un gruppo di imprese di essere ammesso a un’unica pronuncia di concordato preventivo, sussistendone i requisiti, può essere omologato il concordato preventivo di gruppo anche nel caso di mancato raggiungimento delle maggioranze previste dalla legge per una delle imprese facenti parte del gruppo, dovendosi privilegiare, in ogni caso, l’ottica del gruppo quando la soluzione concordata non si traduce in un pregiudizio per i creditori dissenzienti68.

65 Trib. Messina, 30 novembre 1998, in Dir. fall., 2000, II, 202, con nota di Latella e in Foro it., 2000, I, 1327; in dottrina cfr. Pacchi, D’Orazio, Coppola, Il concordato preventivo, Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, Milano, 2009, 1760.66 Trib. Perugia, 3 marzo 1995, in Foro it., 1995, I, 1995.67 Trib. Pavia, 1 giugno 2004, in merito al gruppo Yomo.68 Trib. Crotone 28 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 1533, con nota di Colognesi.

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Si è anche affermato che il gruppo di imprese deve necessariamente presentare un unico ricorso per l'ammissione al concordato preventivo. Se l'impresa è organizzata in una logica di gruppo, tale pianificazione deve necessariamente coinvolgere tutte le soggettività imprenditoriali che costituiscono il gruppo, non apparendo soddisfacente la pur legittima via dei ricorsi separati per società ma organizzati nell'ottica complessiva della operazione di gruppo69.Pertanto, alcuni tribunali70 ritengono che le società del gruppo possano presentare una domanda unitaria di concordato preventivo, purché la sede legale di ciascuna società si trovi nel circondario dello stesso tribunale (non potendosi applicare l'art. 40 c.p.c. come per le ipotesi di connessione di cui agli artt. 31-36 c.p.c.), provvedendo, però, ad una netta distinzione tra le masse attive e passive, con distinte adunanze dei creditori, e con un unico decreto di ammissione alla procedura ed un unico decreto di omologazione (e con la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale). Pertanto, si è ritenuta ammissibile la presentazione di un unico ricorso per concordato preventivo, basato su un piano unitario, da parte di due società legate da rapporto di controllo e da una sostanziale direzione unitaria e che in vista del concordato abbiano previsto e deliberato la fusione; in tal caso l'attivo e il passivo di ogni società devono essere tenuti distinti sino alla adunanza dei creditori e le votazioni devono essere autonome, in modo da poter ricostruire la volontà dei creditori di ciascuna società ed evitare che il peso di un eventuale dissenso di ciascuno dei componenti delle due masse creditorie perda o diminuisca la propria rilevanza in conseguenza della fusione71.Per altri72 poi, orientati ad una stretta interpretazione dell'autonomia giuridica di ogni società del gruppo, devono restare distinte, non solo le masse attive e passive e le rispettive adunanze, ma ogni società deve presentare una propria domanda di concordato preventivo, con un piano ed una proposta autonomi, in modo da consentire al tribunale di pronunciare singoli decreti di ammissione alla procedura e singoli decreti di omologazione. Soltanto in caso di esito negativo del concordato (artt. 162, 173, 179, 180 e 186 l. fall.) dovranno pronunciarsi tante sentenze di fallimento (in caso, ovviamente, di espressa richiesta in tal senso da parte dei creditori) quante sono le società che hanno presentato la domanda di concordato.

69 Trib. Roma 8 marzo 2011, in osservatorio-coi.org, 2011.70 Trib. Benevento 18 gennaio 2012, in www.ilcaso.it 2012.71 Trib. Monza 24 aprile 2012, in www.ilcaso.it 2012.72 Trib. Perugia 3 marzo 1995, in Foro it., 1995, 1995, I, 1952; Trib. Ivrea 21 febbraio 1995, in Fall., 1995, 969; Trib. Milano 18 febbraio 2010, I Viaggi del Ventaglio, in Bonelli, Crisi di imprese: casi e materiali, Milano 2011, 1015; Trib; Trib. Genova 19 febbraio 2010; Organizzazione viaggi Columbus s.r.l., Bonelli, Crisi d’impresa: casi e materiali, Milano 2011, 1017; Trib. Mondovì 16 settembre 2005, Styl Group spa; in dottrina di Majo, I gruppi di imprese nel concordato preventivo, Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccininni, Severini, IV, Milano, 2011, 362; Mandrilli, Sub. art. 160 L.F. La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2011, 1807; Lo Cascio, il concordato preventivo, Milano, 2008, 233, Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova. 2006, 537; esprime dubbi sul tema Dimundo, Sub. art. 160 L.F. Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, II, Bologna, 2007, 2298.

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Le variegate tesi affastellate in questo paragrafo rendono l'idea della complessità della questione e, soprattutto, della sforzo ermeneutico cui sono costretti gli operatori del diritto, in una materia, quale quella della direzione e coordinamento, che presenta difficoltà interpretative anche nel diritto societario sostanziale, in assenza di una disciplina univoca sia a livello societario che in sede di procedure concorsuali.Si è visto che la giurisprudenza di merito ha ritenuto ammissibile la realizzazione di procedure di concordato preventivo di gruppo. Sarebbe, quindi, opportuno un intervento del Legislatore anche in merito alla nuova legge fallimentare, che preveda la disciplina della crisi e dell’insolvenza nei gruppi di imprese volta a garantire il coordinamento delle singole procedure ed a tendere all’uniformità del trattamento dei creditori nell’ambito del gruppo. Intervento che preveda, inoltre, una regolamentazione della responsabilità degli organi amministrativi e di controllo e della stessa capogruppo (o meglio del soggetto cui fa capo l’attività di direzione e coordinamento) sia in ordine all’abuso della direzione unitaria, sia avuto riguardo all’abuso della personalità giuridica delle società facenti parte del gruppo. L’obiettivo da perseguire dovrebbe, quindi, essere quello di ampliare i rigidi schemi dell’irrilevanza giuridica del gruppo di imprese e del riconoscimento di un interesse generale che non è più della singola impresa ma dell’intero gruppo.E’ da tener conto che, in ambito internazionale cui può ispirarsi il Legislatore italiano, cresce il consenso per l’applicazione di un’unica procedura con un vero e proprio consolidamento dei patrimoni come, ad esempio, in USA dove appunto le singole società del gruppo possono essere sottoposte ad una procedura unitaria. Viene formato un unico patrimonio rispetto al quale concorrono indistintamente tutti i creditori delle diverse società del gruppo (substantive consolidation). A tal riguardo, è opportuno dimostrare, da parte di chi propone tale procedura, che i terzi facevano affidamento sull’unicità del centro di interessi dell’impresa e che, data l’estrema confusione tra i patrimoni, la consolidation risulta vantaggiosa per tutti i creditori.

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