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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA PRESIDENTE PROF. AUGUSTO PANÀ MODELLI OPERATIVI E FUNZIONALI DEL TEAM NURSING IN CARDIOLOGIA RIABILITATIVA Relatori: Studente: Dott. Gennaro Scialò Perfili Cesare Dott. Danilo Spaziani

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA

TOR VERGATAFACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICAPRESIDENTE PROF. AUGUSTO PANÀ

MODELLI OPERATIVI E FUNZIONALI

DEL TEAM NURSING

IN CARDIOLOGIA RIABILITATIVA

Relatori: Studente: Dott. Gennaro Scialò Perfili CesareDott. Danilo Spaziani

Anno Accademico 2004/2005

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Indice

Ringraziamenti

Introduzione……………………………………………………………….. Pag 1

Capitolo primo La riabilitazione cardiologica………………………………………………. Pag 7 1.1 Cenni storici………………………………………………………………………… Pag 8 1.2 Definizione e obiettivi……………………………………………………………… Pag 11 1.3 Indicazioni………………………………………………………………………….. Pag 18 1.4 Dimensione dell’ utenza……………………………………………………………. Pag 29 Capitolo secondoNursing in cardiologia riabilitativa…………………………………………. Pag 32 2.1 Organizzazione del team infermieristico…………………………………………… Pag 33 2.2 Ruolo dell’ infermiere………………………………………………………………. Pag 37Capitolo terzoProgrammi in riabilitazione………………………………………………… Pag 42 3.1 Le fasi riabilitative…………………………………………………………………. Pag 47 3.2. La compliance del paziente………………………………………………………... Pag 50Capitolo quartoMetodi………………………………………………………………………. Pag 47 4.1 Il treining fisico……………………………………………………………………… Pag 52 4.1.1 Training fisico autogestito………………………………………………………. Pag 53 4.1.2 Prescrizione dell’esercizio………………………………………………………. Pag 57 4.1.3 Mobilizzazione precoce…………………………………………………………. Pag 59 4.1.4 Ginnastica calistenica…………………………………………………………… Pag 65 4.1.5 Ginnastica respiratoria…………………………………………………………... Pag 68

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4.2 Il training psicocomportamentale…………………………………………………… Pag 73Capitolo QuintoProspettive future…………………………………………………………… Pag

78

Conclusioni…………………………………………………………………. Pag 80

Bibliografia e sitografia

Ringraziamenti

Ai professori Spaziani e Scialò,

al dott. Calcopietro, alla direttrice Lilla, al personale di facoltà, agli

infermieri ed ai compagni di corso,

nonché ai miei genitori.

Grazie a Tutti

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Introduzione

L’evoluzione della cardiologia riabilitativa negli ultimi trent’anni riflette le

variazioni delle caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione affetta da

malattie cardiovascolari, così come i progressi ottenuti nelle strategie di intervento

terapeutico.

Inizialmente, la maggior parte degli utenti che venivano arruolati a programmi di

trainig fisico erano i sopravvissuti ad un infarto miocardico acuto non complicato:

successivamente, anche soggetti con pregresso infarto complicato venivano

considerati per programmi riabilitativi seppure più limitati e graduali.

Attualmente, molti soggetti che sono stati sottoposti a recente intervento

cardiochirurgico (non soltanto di rivascolarizzazione miocardica), ad angioplastica

coronarica o ad altre procedure vengono avviati a riabilitazione.

Con il progressivo avanzare dell’età media della popolazione, un sempre più

consistente numero di pazienti anziani, molti dei quali con malattia coronarica severa

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e complicata (per ischemia miocardica residua, scompenso cardiaco, aritmie gravi,

presenza di pacemaker) è adesso avviato o necessita di riabilitazione cardiologica

specifica.

Qualunque programma di trainig fisico deve essere associato ad interventi di

educazione alla salute, counselling e di supporto psicocomportamentale che

consentano una significativa riduzione del rischio coronarico e la stabilità clinica nel

tempo.

La cardiologia riabilitativa ha lo scopo di correggere o limitare le reazioni avverse di

tipo fisiopatologico e le conseguenze emozionali dopo un evento coronarico o

cardiovascolare di altro tipo.

La corretta identificazione del rischio (stratificazione prognostica) è la premessa

fondamentale per un’adeguata strategia terapeutica di tipo medico o chirurgico,

prima di qualunque piano riabilitativo: essa si basa sulla valutazione funzionale con

l’obiettivo di raccogliere tutte le informazioni utili per caratterizzare il rischio

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dell’utente (valutazione dell’ischemia miocardica residua, grado di disfunzione

ventricolare sinistra, aritmie).

I soggetti con basso profilo di rischio od a rischio moderato possono essere avviati

precocemente ai programmi di riabilitazione e di trainig fisico.

I principali obiettivi dell’intervento riabilitativo sono quelli di controllare i sintomi

propri della malattia (stabilità clinica) a lungo termine, ridurre il rischio di futuri

eventi coronarici, di ottimizzare la performance muscolo-scheletrica e di migliorare

la capacità funzionale: a tal proposito rivestono una significativa importanza fattori

psicosociali e psicocomportamentali sia nella fase valutativa, che in quella

riabilitativa.

La riabilitazione cardiologica ha pertanto obiettivi multipli che si raggiungono

attraverso interventi multifattoriali o multidisciplinari che prevedono la

partecipazione di varie figure professionali: il cardiologo, infermiere, fisioterapista,

psicologo, dietista, ecc.

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Il periodo riabilitativo di tipo estensivo comprende attività diverse ma integrate tra

loro, considerando che gli aspetti fisico-psicologici convergono tutti a favorire un

ritorno ottimale del paziente alle normali attività quotidiane.

Le sedute di allenamento, con frequenza bisettimanale, hanno generalmente la durata

di circa un'ora, prevedendo un periodo di riscaldamento, esercizio muscolare

prevalentemente di tipo aerobico, ginnastica respiratoria e un periodo di

raffreddamento.

L'aspetto psicologico è affrontato nei programmi riabilitativi in considerazione

dell’impatto negativo che le malattie cardiache hanno sull'equilibrio emotivo in

termini di insicurezza, ansie e perdita di fiducia, derivanti dalla consapevolezza di

essere invalidati dai pessimistici potenziali risvolti prognostici di tali patologie,

offrendo pertanto un concreto ostacolo al pieno recupero della normale vita

lavorativa e di relazione.

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Solitamente vengono programmati incontri singoli o di gruppo con lo psicologo, il

quale spesso opera con la collaborazione dei familiari dell’utente, con obiettivo

finale di restituire la sicurezza necessaria, attraverso il recupero dell’efficienza fisica

e di responsabilizzare l’utente sui limiti e potenzialità della sua malattia.

Un ulteriore aspetto di non secondaria importanza riguarda l'educazione sanitaria

svolta nelle strutture riabilitative ove vengono affrontati i temi riguardanti i fattori di

rischio cardiovascolare come il fumo di sigarette, l'alimentazione, la sedentarietà e il

loro ruolo nella prevenzione secondaria delle malattie cardiache in modo da condurre

il paziente a stili di vita che comportino minori rischi per la propria salute.

Inoltre grande importanza riveste l'informazione sanitaria in termini di conoscenza

dei sintomi cardiologici, dei farmaci di comune utilizzo e dei loro possibili effetti

collaterali più frequenti.

Quest'ultimo aspetto della riabilitazione cardiologica di tipo estensivo coinvolge

direttamente anche i familiari dei pazienti che devono rivestire un ruolo importante

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nel monitoraggio della situazione clinica e nell'intraprendere eventuali provvedimenti

sanitari anche di primo soccorso.

In conclusione, la riabilitazione cardiologica estensiva è ormai diventata disciplina

medica attraverso la quale raggiungere importanti risultati nel miglioramento della

qualità di vita dei pazienti cardiopatici e della loro prognosi.

Capitolo Primo

La Riabilitazione Cardiologica

Il concetto di riabilitazione contempla non solo il recupero fisico ma anche quello

psicologico e sociale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1969 ha definito

la riabilitazione cardiologica come “la somma degli interventi richiesti per garantire

le migliori condizioni fisiche, psicologiche e sociali in modo che i pazienti con

cardiopatia cronica o post-acuta possano conservare o riprendere il proprio ruolo

nella società”.

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La RC è una branca della riabilitazione che si è diffusa soltanto negli ultimi 20 anni,

benchè le malattie cardiovascolari siano le principali cause di morte in tutto il mondo

e le future previsioni sui tassi di mortalità e morbilità non siano ottimistiche,

mancando adeguate campagne di informazione e prevenzione. L’approccio

terapeutico è multidisciplinare, centrato sulla persona e non più sulla malattia e

coinvolge molte figure professionali: il cardiologo, il fisiatra, il fisioterapista,

l’infermiere, il rianimatore, il dietologo, lo psicologo ed altri specialisti a cui

ricorrere per consulenze di casi clinici particolari, come l’ortopedico o il

pneumologo.

1.1 Cenni Storici

Asclepiade già nel 174 a.C. prescriveva esercizi per le malattie della circolazione.

Osler nel 1914 scrisse un libro “ Principi e pratica della Medicina”, in cui affermava

che "l'elemento più importante ai fini riabilitativi è l'esercizio fisico graduato non in

piano ma in salita con diversi gradi di pendenza”.

“La distanza percorsa ogni giorno viene registrata e gradualmente incrementata. In

tal modo il cuore viene esercitato e rinforzato in maniera sistematica”.

Nella prima parte di questo secolo, imperava categoricamente la cura dello stretto

riposo a letto e solo nel 1944 Harrison richiamava l'attenzione sull'abuso di tale

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procedura. Master e Dock nel 1940 avevano introdotto il concetto di riabilitazione

dopo occlusione coronarica acuta e Levine e Lown raccomandavano nel 1951 una

più precoce mobilizzazione dopo tale evento.

Nel 1957 White e Coll pubblicarono un volume intitolato "Riabilitazione del

cardiopatico", mentre Cain e Coll descrivevano nel 1961 i primi programmi di

attività fisica controllata dopo infarto miocardico.

Lo sviluppo storico di una riabilitazione omnicomprensiva si deve invece alle

iniziative del Council della Federazione Internazionale di Cardiologia e dell'Ufficio

Europeo della Organizzazione Mondiale della Sanità, che negli anni '70

organizzarono in Europa numerosi meetings nel corso dei quali si delinearono le

raccomandazioni per la valutazione e la riabilitazione dei pazienti colpiti da infarto

del miocardio. Venne successivamente organizzata una ricerca controllata a livello

europeo per valutare gli effetti di tale politica.

A quell'epoca risalgono i primi tentativi di riabilitazione in Italia da parte del gruppo

di Rulli a Roma.

Così sorsero i primi centri italiani.

Nel 1978 fu deciso di costituire il Gruppo Italiano di Valutazione Funzionale e

Riabilitazione del Cardiopatico (GIVFRC) che in tutti questi anni ha svolto

un’efficace opera di diffusione della metodica su tutto il territorio nazionale.

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Grazie a tale opera i Centri sono diventati sempre più numerosi.

Nel 1984 venne fondato da Vincenzo Ceci il Giornale di Riabilitazione.

Grazie alla Riabilitazione si è stabilito un nuovo approccio nella gestione dei pazienti

con infarto del miocardio che ha condotto ad un’ottimizzazione dei protocolli

cardiologici, riduzione della degenza ospedaliera in fase acuta, stratificazione più

precoce, migliore impatto psicologico nei confronti della malattia da parte dei

pazienti e dei familiari.

Negli anni successivi sono stati estesi i criteri di riabilitazione grazie

all’identificazione di nuovi utenti (affetti da altre malattie cardiovascolari).

Da un lato la riabilitazione è diventata un intervento più omnicomprensivo per cui

oltre al training fisico sono state incluse nei programmi misure contemporanee o

consecutive dirette a valutare ed eventualmente a correggere gli aspetti

comportamentali, sociali ed occupazionali dei pazienti, ivi compresi gli interventi di

prevenzione secondaria.

Pertanto il fine della riabilitazione all’inizio del XXI secolo sarà anche quello di

ridurre il rischio di sviluppare successivi eventi coronarici dopo l'attacco acuto.

In definitiva, in accordo con le linee guida del Gruppo Europeo, la riabilitazione

definisce la cura a lungo termine dei cardiopatici.

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Infatti, nel caso in cui non si possa migliorare lo stato fisico, psicologico degli utenti

per limitata compliance, sarà sicuramente possibile ottenere un soddisfacente grado

di qualità di vita, che a volte può rappresentare una valida alternativa alla terapia.

Anche gli utenti sono diventati più numerosi.

Infatti se negli anni '70 la riabilitazione aveva come scopo principale il recupero

degli infartuati più giovani per favorire il ritorno al lavoro, oggi vengono inclusi nei

programmi riabilitativi anche i soggetti affetti da ischemia, aritmie, quelli con

disfunzione ventricolare, gli operati di by-pass aortocoronarico, quelli sottoposti ad

angioplastica coronarica ed a trapianto cardiaco.

1.2 Definizione ed Obiettivi

La riabilitazione cardiologia è tradizionalmente definita come “la somma di attività

richieste per garantire le migliori condizioni fisiche, emotive e sociali in modo che

i pazienti possano con i propri sforzi riassumere un ruolo il più normale possibile

nella vita della comunità”.

Questa definizione è ancora valida, anche se tuttavia è limitata ad un intervento in

pazienti dopo un evento acuto. Attualmente, il concetto di riabilitazione per pazienti

cardiopatici sta subendo una rapida trasformazione in rapporto a nuove strategie

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d’intervento che si sono realizzate negli ultimi anni e che descriveremo qui di

seguito.

L'uso diffuso della trombolisi e di altri trattamenti raccomandati nelle sindromi

coronariche acute, associata all' incremento della rivascolarizzazione miocardica in

soggetti affetti da cardiopatia ischemica acuta e cronica, ha portato ad una

significativa riduzione della mortalità (e di conseguenza ad un aumento delle

problematiche mediche) in queste importanti aree di salute pubblica.

Sebbene l' incidenza di cardiopatia ischemica sia in calo in alcuni paesi, l' aumentata

sopravvivenza dopo eventi acuti, associata ad una sostanziale crescita dell'aspettativa

di vita media nel mondo occidentale, sta conducendo ad un aumento della prevalenza

della malattia.

L’ evidenza che la progressione della malattia aterosclerotica coronarica è variabile e

che l' insorgenza di eventi clinici improvvisi è spesso inaspettata ha rafforzato la

convinzione che la prevenzione è l' approccio più realistico ed efficace.

I pazienti che richiedono particolare attenzione sono i più anziani, quelli con

aterosclerosi multidistrettuale e disfunzione ventricolare, a più alta probabilità di

sviluppare eventi cardiovascolari e quelli con maggior numero di fattori di rischio

per progressione della coronaropatia.

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Lo scompenso cardiaco, visto fino a pochi anni fa come lo stadio terminale di molte

patologie cardiache progressive è adesso esaminato sotto una differente prospettiva

per molte diverse ragioni: la prima riguarda una più profonda analisi fisiopatologica

del problema, dimostrando che la progressione è almeno parzialmente evitabile

controllando una serie di circoli viziosi che sono scatenati dal deficit di pompa, ma

che esitano in un ulteriore peggioramento della funzione cardiaca stessa; il secondo

fattore è ovviamente il trapianto cardiaco, che permette ai pazienti di continuare a

vivere e richiede da un lato un attento esame del crescente numero di potenziali

candidati al trapianto, dall'altro delle strategie terapeutiche che permettano di

mantenere, a volte per anni, condizioni cliniche accettabili mentre i pazienti

attendono il trapianto.

Ultimo ed importantissimo fattore è rappresentato dal fatto che le cause della

maggior parte delle malattie cardiovascolari sono ancora in larga parte sconosciute

(per esempio coronaropatie, cardiomiopatie, ipertensione arteriosa essenziale),

rendendo impossibile una terapia eziologica e quindi la guarigione.

Queste malattie hanno un decorso cronico, di solito di lunga durata, con improvvisi

episodi di riacutizzazione potenzialmente letali (infarto acuto, instabilità dell'angina

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con necessità di rivascolarizzazione, ingravescenza dello scompenso, ecc.) che solo

una efficace strategia a lungo termine può prevenire e controllare adeguatamente.

Per questo insieme di ragioni credo che le strutture cardiologiche, così fortemente

orientate all'intervento in acuto ed a strategie a breve termine dovranno riorganizzarsi

sul piano culturale ed operativo per affrontare in modo più efficace e continuativo le

problematiche del paziente cronico.

L'opportunità di una strategia fondata sulla continuità osservazionale ed assistenziale

è la logica conseguenza quindi, da una parte, della incertezza della nostra capacità

predittiva e, dall'altra, della convinzione che sia l' unico mezzo a nostra disposizione

per controllare l'evoluzione della malattia e prevenire le instabilizzazioni soprattutto

negli ammalati a più alto rischio, con evidenti effetti favorevoli sui costi sanitari.

Un'attività cardiologica così orientata definisce la cardiologia riabilitativa degli anni

futuri.

In linea con questi concetti, il Working Group on Cardiac Rehabilitation della

Società Europea di Cardiologia e le recenti linee-guida ANMCO-SIC-GIVFRC

hanno modificato la definizione di riabilitazione citata in precedenza.

Quella definizione in primo luogo identifica il soggetto della riabilitazione

nell’utente con cardiopatia post-acuta o cronica, ed in secondo luogo definisce

l'obiettivo dell'intervento, ossia riassumere e conservare una condizione la più vicina

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possibile allo “stato di salute”, prevenendo effettivamente la progressione della

malattia, promuovendo quindi la riduzione degli eventi cardiovascolari (prevenzione

secondaria), favorendo contemporaneamente il processo di recupero.

La riabilitazione cardiovascolare (RCV), combinando la prescrizione dell'attività

fisica con la modificazione del profilo di rischio dei pazienti, ha come fine ultimo

quello di favorire la stabilità clinica, di ridurre il rischio di successivi eventi vascolari

e le disabilità conseguenti alla cardiopatia.

Gli obiettivi della RCV sono quindi di ridurre i sintomi legati alla malattia, di

migliorare la capacità funzionale, ridurre la disabilità, favorire il reinserimento

lavorativo, in altri termini migliorare la qualità di vita, ma anche definire e ridurre il

rischio di nuovi eventi cardiovascolari.

Questi obiettivi si realizzano mediante un globale approccio diagnostico-valutativo e

di trattamento, di cui l'esercizio fisico costituisce solo una componente. La

complessità e l'intensità di tale approccio devono essere commisurate alle

caratteristiche cliniche dei pazienti.

I pazienti complicati e ad alto rischio dovrebbero pertanto essere indirizzati alle

strutture riabilitative degenziali a più alto livello diagnostico ed organizzativo.

I pazienti a medio o basso rischio possono essere efficacemente gestiti presso

strutture riabilitative di livello organizzativo intermedio o ambulatoriale.

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I programmi riabilitativi si basano sui seguenti punti:

1. Stima del rischio cardiovascolare globale mediante valutazione clinica ed indagini

strumentali anche complesse;

2. Identificazione di obiettivi specifici per ciascun fattore che influenza il rischio;

3. Formulazione di un piano di trattamento individuale che includa:

a) Interventi terapeutici finalizzati a realizzare specifici obiettivi di riduzione di

rischio;

b) Cambiamento dello stile di vita (abolizione del fumo, dieta appropriata, controllo

del peso corporeo, dello stato d'ansia e della depressione) da ottenere soprattutto

mediante programmi educazionali strutturati;

c) Prescrizione dell'attività fisica;

4.) Intervento di mantenimento a lungo termine per ciascun paziente, allo scopo di

consolidare i risultati ottenuti, valutando nel tempo l' opportunità di modificare il

trattamento.

E’ documentato che la RCV ritarda la progressione della malattia, riduce la

mortalità, morbilità e la frequenza di riospedalizzazioni, previene il deterioramento

clinico e la progressione delle disabilità conseguenti alla malattia, migliora allo

stesso tempo sensibilmente la qualità di vita dei cardiopatici ed i costi sociali della

malattia.

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È necessario, tuttavia, che molteplici competenze professionali siano coinvolte nella

realizzazione dei programmi riabilitativi: cardiologo, infermiere, terapista della

riabilitazione, psicologo, dietologo ed altre figure pertinenti.

A questo proposito il Comitato degli Esperti dell' OMS1 ha fornito nel l993 le

seguenti raccomandazioni:

1. La RCV deve costituire parte integrante del trattamento a lungo termine di

tutti i cardiopatici;

2. Il programma riabilitativo deve essere elaborato e condotto da personale

competente e dedicato, capace non solo di prescrivere esercizi fisici

appropriati, ma anche di promuovere educazione sanitaria e garantire supporti

sociali ed attitudinali;

3. Deve essere sollecitato il coinvolgimento anche dei familiari dei pazienti;

4. I programmi riabilitativi devono essere inseriti nel contesto del sistema

sanitario vigente, attuati all'interno di dipartimenti ospedalieri o in centri di

riabilitazione specifici, con la responsabilità di personale medico dedicato;

5. Il programma di RCV deve essere delegato a figure professionali mediche e

parasanitarie esperte;

1 Organizzazione Mondiale della Sanità

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6. I programmi devono prevedere un controllo per la valutazione della loro

efficacia.

Indicazioni

La RCV costituisce una componente essenziale in un moderno programma

assistenziale per tutti i cardiopatici.

Non vi sono controindicazioni all'intervento riabilitativo nella sua globalità: le

limitazioni devono essere riferite al solo training fisico, non alle altre componenti del

programma riabilitativo, in dei casi particolari.

Tutti i pazienti con patologia cardiaca nota dovrebbero essere coinvolti in un

programma di riabilitazione al momento dell'evento acuto o quando la cardiopatia si

rende nota: in particolare i pazienti con cardiopatia ischemica che presentino

molteplici fattori di rischio modificabili, pazienti con ridotta o inadeguata tolleranza

allo sforzo per le necessità della vita quotidiana e professionale, pazienti con angina

o ischemia da sforzo che non necessitano di rivascolarizzazione miocardica, pazienti

con infarto miocardico, pazienti che hanno subito una rivascolarizzazione mediante

CABG o PTCA2, pazienti dopo chirurgia valvolare o con patologia valvolare cronica,

2 CABG= by pass aortocoronaricoPTCA= Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea

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pazienti con scompenso cardiaco cronico e pazienti con trapianto cardiaco e cuore-

polmone.

Per gli ultimi tre gruppi di pazienti la RCV dovrebbe essere iniziata durante la fase di

ricovero ospedaliero, con successivo avvio a un programma ambulatoriale subito

dopo la dimissione.

Sebbene non sia ancora del tutto definita quale sia la modalità ottimale di training in

pazienti con scompenso cardiaco, un programma di allenamento supervisionato, di

intensità lieve-moderata, dovrebbe essere considerato utile nel trattamento di pazienti

stabili in classe I-III.

Esistono ancora pochi studi specifici sul significato della RCV dopo angioplastica

coronarica o dopo chirurgia valvolare, tuttavia l'avvio di tali pazienti alla

riabilitazione appare ragionevole. I pazienti che hanno subito una PTCA,

specialmente se con fattori di rischio modificabili, scarsa capacità lavorativa,

rivascolarizzazione incompleta, pregresso o recente infarto miocardico o scompenso

cardiaco, sembrerebbero potere beneficiare di un intervento riabilitativo. L'effetto di

tali programmi sulla restenosi dopo PTCA non è noto, ma merita di essere valutato.

I pazienti sottoposti a chirurgia valvolare possono essere debilitati fisicamente in

modo simile, o anche maggiore, rispetto ai coloro che sono stati sottoposti a by-pass

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aortocoronarico. Inoltre essi possono presentare una disfunzione ventricolare sinistra

residua che potrebbe ulteriormente compromettere il loro stato funzionale. Per questi

motivi la RCV potrebbe essere molto utile dopo un intervento di chirurgia valvolare.

Fase post-acuta

Infarto miocardico. L'approccio riabilitativo in pazienti reduci da infarto miocardico

acuto è definito da linee-guida nazionali ed internazionali. Negli anni passati è stato

difficile disporre di dati epidemiologici sul numero di pazienti trattati negli ospedali.

Attualmente con l'analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), in

prospettiva di attribuzione dei Disease Related Groups (DRGs), sono emerse alcune

indicazioni che vale la pena segnalare.

Secondo i dati del Ministero della Sanità relativi al 1995 e riportati in confronto con i

dati ANMCO-EARISA è possibile stimare il numero infarti miocardici acuti (IMA)

dimessi in 35-40 mila/anno. Il numero dei DRGs relativo a IMA complicato è stato

del 23,3% (il criterio DRG di IMA complicato è differente dal criterio clinico), il

DRG 122 relativo a IMA non complicato è stato del 61,5% e il DRG 123 relativo a

IMA dimessi morti è stato del 29%.

L'IMA viene dimesso nel 60 % da reparti cardiologici e per il 40% da reparti

internistici.

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La modalità di dimissione sicuramente influisce sulla stratificazione prognostica e

sulla programmazione della riabilitazione.

Altri parametri che influiscono sulla indicazione al programma riabilitativo sono il

sesso femminile (il 22% dei pazienti con IMA) e l'età avanzata (34% con età

superiore a 70 anni). Il 68% dei pazienti con IMA presenta un decorso complicato da

problemi aritmici e/o ischemici e/o con disfunzione ventricolare sinistra.

Negli Stati uniti d'America si verificano 1,5 milioni di IMA all'anno, dei quali circa

500 mila sono fatali.

Pertanto un milione di IMA/anno sono i potenziali candidati alla riabilitazione.

Di questi il 5% hanno età inferiore a 40 anni. Il 55% hanno età superiore a 65 anni.

L'identificazione del livello di rischio (basso, medio o alto) che scaturisce dalle

valutazioni funzionali pre-dimissione sarà importante per impostare il programma

riabilitativo in regime ambulatoriale o degenziale.

Angioplastica Coronarica. Negli ultimi anni è cresciuto notevolmente il numero di

pazienti sottoposti a procedure di angioplastica anche complesse (associate a

impianti di stent multipli) che avrebbero bisogno quindi di afferire ad un programma

riabilitativo per la verifica dei risultati della procedura e per l'impostazione di

20

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interventi di prevenzione secondaria specie in pazienti portatori di fattori di rischio

multipli.

Per incrementare l'accesso di queste patologie ai centri di riabilitazione bisognerebbe,

tuttavia, superare alcuni errati luoghi comuni (il paziente che ha eseguito PTCA ha

risolto i suoi problemi ed ha eliminato la malattia) ed attivare una maggiore

collaborazione con i cardiologi interventisti.

In Italia, secondo i dati del GISE (Gruppo italiano Studi Emodinamici), le procedure

di PTCA nel 96 sono state 19.560 (5140 nel 1990) con una percentuale di procedure

con applicazione di stent del 53%. A fronte di questi numeri sempre in aumento

bisogna riconoscere che la percentuale di pazienti sottoposti a PTCA che hanno

partecipato ad un programma di riabilitazione è irrisoria.

By-pass aortocoronarico. Negli ultimi anni con l'incremento delle procedure di

angioplastica

si è assistito ad un’estensione delle indicazioni alla rivascolarizzazione miocardica

chirurgica in pazienti con frazione d’eiezione (EF) depressa, anziani, o con patologie

associate (valvole, carotidi, patologia all'aorta).

Questa estensione del trattamento a patologie più complesse e tra loro associate ha

accresciuto maggiormente il ruolo dei programmi riabilitativi degenziali in fase post-

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chirurgica. Tale atteggiamento ha portato il grosso beneficio di una dimissione

precoce dai reparti di cardiochirurgia (5 -7^ giornata).

Negli USA, nel 1993, il numero di interventi di by-pass è stato di 309 mila, il45%

con età inferiore a 65 anni. In Italia, secondo i dati del registro Gruppo di

Riabilitazione - censimento 1995 - sono stati avviati a programmi riabilitativi il 40%

dei pazienti bypassati.

Questa stretta collaborazione tra reparti di cardiochirurgia e centri di riabilitazione

sottolinea la necessità di attivare nuovi centri o servizi di riabilitazione degenziale in

stretta connessione con strutture cardiochirurgiche.

Cardiochirurgia valvolare. Esiste ancora un numero importante di pazienti che

annualmente viene sottoposto a interventi di correzione valvolare conservativa o

sostitutiva, per patologie congenite o acquisite.

In Italia questo tipo di intervento presenta il 20% di tutti gli interventi di

cardiochirurgia. Bisogna. tuttavia, considerare che alcune patologie valvolari

comportano importanti limitazioni funzionali sia per la gravità della malattia, che per

L'età dei pazienti. Infatti l'età comporta la presenza di patologie concomitanti

(diabete, bronchite cronica, arteriopatia sistemica) che peggiorano la prognosi di

questi pazienti. La possibilità di seguire tali pazienti in riabilitazione permette di

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intervenire in maniera importante sul ricondizionamento fisico, controllare le

complicanze del postoperatorio (malfunzionamento di protesi, tachicardie atriali,

infezioni alle ferite, versamento pleurico o pericardico), verificare l'impostazione

della terapia (in particolare quella anticoagulante) ed avere necessario supporto

psicologico.

Maggiore attenzione meriterebbero i soggetti sottoposti a interventi di

cardiochirurgia in età pediatrica.

Anche costoro dovrebbero beneficiare di un programma riabilitativo con modalità

organizzative ancora da identificare.

Trapianto cardiaco. Il numero di pazienti che annualmente viene sottoposto a

trapianto cardiaco è, purtroppo, limitato (345 pazienti nel 1999). In considerazione

del forte impegno organizzativo e della necessità di disporre di figure professionali

diverse con competenze specifiche, questo tipo di intervento riabilitativo dovrebbe

essere assicurato in pochi centri di riferimento collocati strategicamente nelle

vicinanze dei centri di cardiochirurgia che effettuano il maggior numero di trapianti.

Scompenso cardiaco instabilizzato. Strettamente legato al discorso del trapianto

cardiaco è quello che riguarda utenti con scompenso cardiaco cronico in fase di

instabilità.

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E’ difficile quantizzare il numero dei pazienti che vanno incontro a fasi di instabilità

ma è chiaro che si avverte l'esigenza di trovare dei modelli organizzativi (unità di

cura intermedia, unità per lo scompenso cardiaco) nell’ambito della struttura

riabilitativa in modo da garantire un protocollo di intervento multidisciplinare

(dietologo, psicologo, internista, pneumologo) ed un rapporto privilegiato con il

centro per il trapianto cardiaco.

Queste strutture non possono trovare posto negli ospedali per acuti (UTIC, divisioni

di cardiologia, divisioni internistiche), ma dovrebbero trovare una più convinta

diffusione nelle strutture riabilitative demenziali, sull'esempio dei modelli

organizzativi già sviluppati presso i centri della Fondazione "Salvatore Maugeri"

(Veruno, Montescano, Gussago, Tradate, Cassano). La migliore organizzazione delle

strutture riabilitative e gli sviluppi scientifici nel settore dello scompenso potrà dare,

sicuramente, risposte più adeguate ai problemi clinici rilevanti di questi malati.

Defibrillatori impiantabili e pacemaker definitivi.

Questo tipo di indicazione alla riabilitazione è nuova e richiede maggiore

approfondimento culturale ed organizzativo.

I defibrillatori impiantabili rappresentano una modalità terapeutica nei pazienti

ischemici e non, a rischio di morte per aritmie ventricolari maligne.

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L’indicazione sta avendo sempre più conferma alla luce dei risultati di recenti trials

internazionali.

In fase post-acuta di impianto di defibrillatore il supporto che può essere dato da un

protocollo riabilitativo si può sviluppare sulla verifica delle modalità di

funzionamento del pacemaker e sugli aspetti psicologici connessi con il

funzionamento del defibrillatore.

Anche per quanto riguarda i pacemaker più sofisticati (bicamerale. rate responsive)

un momento di verifica del funzionamento in rapporto all’attività fisica e alcuni

sforzi legati ad un tipo particolare di attività lavorativa sarebbe necessario.

Fase Cronica

I benefici (fisico, clinico, psicologico) di un programma di riabilitazione intensiva si

perdono se alla fase post-acuta non segue una costante fase di mantenimento che

nella maggior parte dei soggetti deve essere gestita al di fuori della struttura

riabilitativa (domicilio, palestra, club coronarici).

Tuttavia nella fase cronica della malattia può trovasi indicazione un programma di

riabilitazione in regime di ricovero o ambulatoriale per la verifica delle condizioni di

stabilità clinica mediante valutazioni funzionali (eco, Holter, test ergometrico) e

valutazione del grado di compliance terapeutica (sia farmacologici che fisica).

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Questo momento trova particolare indicazione nei pazienti con cardiopatia ischemica

cronica nelle fasi di variazioni cliniche (i pazienti con sindrome coronarica acuta

devono essere ricoverati in reparti intensivi cardiologici) o in quei pazienti nei quali

non siano state prospettate soluzioni meccaniche di rivascolarizzazione (by-pass,

angioplastica) sia per controindicazioni, che per impossibilità tecnica a eseguire la

procedura. Questi pazienti devono poter disporre della massima terapia farmacologia

tollerata.

La verifica terapeutica richiede un'osservazione che, a volte, le strutture per acuti non

possono garantire. Questa categoria di pazienti possono, periodicamente, accedere ad

un programma di riabilitazione con l'obiettivo di verificare la compliance terapeutica

e verificare o reimpostare adeguate misure di prevenzione secondaria .

Questo discorso può essere esteso a tutti i pazienti con valvulopatia acquisita o

congenita per una valutazione del timing chirurgico e per una preparazione

respiratoria in fase pre-operatoria.

I pazienti con scompenso cardiaco cronico necessitano di una gestione del follow-up

in modo da verificare la posologia terapeutica (alcuni farmaci vanno aumentati

gradualmente), la classe funzionale e le condizioni cliniche che permettono

l'inserimento nella lista d'attesa per trapianto cardiaco.

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Il follow-up del paziente con scompenso cardiaco può essere gestito, nella maggior

parte dei casi, in forma ambulatoriale riservando la possibilità di gestione degenziale

in pazienti con peggioramento clinico (fase d’instabilità) o per problemi logistici

(distanza da una struttura riabilitativa).

Altre categorie di pazienti meriterebbero maggiore attenzione da parte delle strutture

riabilitative.

I soggetti con arteriopatia obliterante cronica periferica possono avere un netto

miglioramento soggettivo dopo un programma riabilitativo mirato.

Oltre ai risultati fisici, obiettivo importante della riabilitazione in questi soggetti è

quello di mettere in atto un efficace programma di prevenzione per ridurre la

progressione del processo aterosclerotico che ha un coinvolgimento pluridistrettuale.

Anche i soggetti con ipertensione arteriosa ed obesità potrebbero accedere ad un

programma riabilitativo in funzione dei già noti effetti benefici del training fisico

sulla pressione arteriosa e sul sovrappeso.

I pazienti anziani dovrebbero avere un motivo in più per accedere ad un programma

di riabilitazione.

Circa il 25-30 % dei pazienti sopravvissuti ad un infarto miocardico acuto ha età

superiore a 70 anni e presenta una frequenza più alta di complicanze e comorbilità.

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Da qui la necessità di intensificare l'accesso ai programmi riabilitativi dei pazienti

anziani in fase di cronicità della malattia, per contrastare le complicanze cliniche e

psicologiche connesse all’immobilità e alla presenza di comorbilità, oltre a favorire

l'autonomia funzionale.

I benefici di un programma fisico in pazienti anziani non cardiopatici sono noti ed

ampiamente diffusi, anche se si avverte la necessità di inserirli in un contesto più

medico che sportivo per evitare una superficialità valutativa ed osservazionale che

può influenzare i rischi connessi con l'attività fisica.

1.4 Dimensioni dell’utenza

Se, com’è stato previsto anche dal Gruppo di studio europeo, la riabilitazione

cardiaca deve essere intesa come un intervento diretto alla cura a lungo termine del

cardiopatico tutti pazienti avrebbero la necessità e il diritto di usufruirne. Ciò

comporterebbe però un carico di lavoro estremamente oneroso per i Centri. Per

ragioni di gestione, almeno per la fase attuale, sarà possibile assicurare l’intervento

riabilitativo ai pazienti ischemici (stato post infartuale) e a quelli reduci da interventi

cardiochirurgici (by-pass aortocoronarico, sostituzione valvolare, trapianto cardiaco)

o di rivascolarizzazione con angioplastica.

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Non sono disponibili dati attendibili sulla reale dimensione di questa popolazione. In

base alle estrapolazioni si può ipotizzate per l’immediato futuro che nel nostro Paese

si realizzeranno:

1. Nuovi casi d’infarto del miocardio 150.000

2. Interventi di cardiochirurgia 30.000

3. Interventi di angioplastica 3.000

4. Interventi di trapianto cardiaco 200

Tenendo conto dei pazienti che per diverse ragioni non possono essere ammessi ai

programmi riabilitativi, nei prossimi anni sono necessarie strutture riabilitative per

almeno 100.000 pazienti anno.

A questi sarebbero da aggiungere i pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico il

cui numero attualmente non è definibile.

I dati americani in questo senso riferiscono:

- incidenza annuale: 0.37% nei maschi o 0,25% nella donna con ampi range a

seconda dell'età

- da 45 a 54 anni, 0,18% per i maschi e 0,08 per le donne

- da 65 a 75 anni, 0,82% per i maschi e 0,64% per le donne

- La prevalenza è del 1% con un massimo del 10% in età superiore a 75 anni

- La mortalità a 5 anni è di circa il 60% per gli uomini e di circa il, 45% per le donne.

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Capitolo secondo

Nursing in cardiologia riabilitativa

Il paziente arriva in un Centro di riabilitazione in accordo con le cardiologie per acuti

della zona o su segnalazione del medico di medicina generale, dove viene definito il

30

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progetto riabilitativo in base alla tipologia e alle condizioni del paziente, vengono

posti degli obiettivi e si procede alla costruzione del percorso sanitario attraverso

l’attuazione di un programma di intervento riabilitativo che si articola in intervento

clinico-terapeutico: nutrizionale, fisioterapico, psicologico ed educazionale nel quale

l’infermiere riveste una figura di grande importanza . Al termine di tale percorso si

programmano i follows-up che servono a fornire continuità assistenziale attraverso il

controllo e l’eventuale integrazione della terapia, il controllo dell’attività fisica, la

gestione di esami periodici, il supporto psicologico; tale intervento può essere svolto

a livello ambulatoriale o attraverso il Day-Hospital che rispetto al regime

ambulatoriale ha la possibilità di meglio integrare tutti gli interventi terapeutici.

2.1 Organizzazione del team infermieristico

Il team nursing è basato sulla pianificazione e realizzazione di obiettivi assistenziali

attraverso l'azione di gruppo. Il team è guidato da un infermiere (leader) che

pianifica, coordina, supervisiona e valuta l'assistenza infermieristica, stabilisce

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obiettivi e priorità, centralizza le informazioni attraverso l'uso della cartella

infermieristica informatizzata. Per motivi organizzativi questa funzione è svolta dalla

caposala. Ogni membro dell'equipe assiste un numero limitato di utenti per i quali

eroga una assistenza completa, consentendo una conoscenza approfondita dei bisogni

individuali. Fondamentale caratteristica del team nursing è la riunione

infermieristica. La riunione ha la durata di circa 30 minuti e coincide con il momento

del passaggio delle consegne fra il personale del turno del mattino e del pomeriggio.

Durante la riunione vengono discussi i piani di assistenza dei pazienti più

problematici; vengono confrontati le condizioni reali dell'utente con quelle

individuate come ideali e vengono discusse prestazioni infermieristiche che

prevedono l'utilizzo di strumenti nuovi o poco frequenti. Il luogo in cui si svolge è la

sala infermieri; durante la riunione viene garantita la continuità dell'assistenza in

reparto dall'infermiere fuori turno. L'utilizzo dei piani assistenziali è l'altra

caratteristica fondamentale di questo modello organizzativo. Viene attuato attraverso

l'utilizzo della cartella infermieristica informatizzata che prevede la valutazione dei

bisogni e l'applicazione dei piani di assistenza da porre in essere per il

soddisfacimento del bisogno stesso. Il piano deve essere realistico con obiettivi

realizzabili a breve, medio e lungo termine. La valutazione alla dimissione del

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paziente e il raggiungimento o meno degli obiettivi previsti, consente una revisione

critica dei piani.

A seguito della diagnosi infermieristica viene emessa la pianificazione delle azioni

che l'infermiere deve porre in essere per raggiungere il soddisfacimento del bisogno.

Il processo di pianificazione del nursing comprende l'insieme delle procedure

dedicate alla scelta e alla realizzazione degli interventi che nel contesto

dell'interprofessionalità del programma riabilitativo, l'infermiere è chiamato a

condurre. La pianificazione adottata dal gruppo infermieristico è stata costruita

utilizzando il processo di nursing e tradotta attraverso algoritmi di supporto alla

decisione.

I piani di assistenza hanno due tipi di scopi professionali, uno gestionale e uno

clinico.

I fini di carattere amministrativo-gestionale sono:

1. Definire il centro di attenzione dell'assistenza infermieristica da fornire alla

persona

2. Distinguere le responsabilità dell'infermiere da quelle degli altri membri

dell'equipe sanitaria

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3. Fornire dei criteri per la revisione e la valutazione dell'assistenza orientata ad un

miglioramento della qualità

4. In alcuni paesi fornire i criteri per il rimborso finanziario.

I fini di carattere clinico essenzialmente sono:

1. Fornire uno schema di documentazione

2. Comunicare al personale infermieristico cosa insegnare, cosa osservare e cosa

mettere in atto.

Perché possa orientare l'assistenza infermieristica e favorire la valutazione, il piano

di assistenza deve contenere i seguenti elementi:

Enunciazione diagnostica

Obiettivi

Interventi infermieristici

Valutazione

Relativamente al paziente ricoverato si sottolinea che le caratteristiche cliniche del

paziente con i dati raccolti nella cartella infermieristica dall'infermiere integrati con i

dati raccolti nella cartella clinica dal medico, vanno a costituire la base sulla quale,

non solo valutare il paziente all'ingresso, ma anche verificare l'evoluzione a breve,

medio e lungo termine.

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Risultati. I metodi utilizzati per la valutazione dei risultati sono: il questionario del

grado di soddisfazione dell'utente distribuito in reparto e la valutazione dei bisogni

alla dimissione.

L’Infermiere che esercita nell’area riabilitativa deve essere convinto che gli individui

con limiti funzionali abbiano un valore intrinseco che trascende le loro disabilità.

L’attività infermieristica in riabilitazione deve mettere in atto e supportare gli

interventi che riducono il marchio della disabilità ed aiutano gli utenti a ristabilire e

mantenere il controllo su tutti gli aspetti della propria vita.

L’infermiere è vero e proprio tessuto connettivo del lavoro in team all’interno di una

Unità Riabilitativa di degenza.

Egli è il professionista che segue la persona nell’arco dell’intera giornata.

L’infermiere deve, perciò, conoscere le proprie attribuzioni legate al lavoro in

collaborazione mirato al benessere dell’utente ed altrettanto deve per quelle degli

altri operatori coinvolti. 

 2.2 Ruolo dell’infermiere 

La figura infermieristica, rappresenta uno snodo cruciale del progetto riabilitativo.

L’infermiere si occupa della gestione ed aggiornamento della lista ricoveri e

dimissioni del reparto. All’arrivo del paziente si occupa di informare lui ed i

famigliari delle caratteristiche e delle usanze dell’Unità operativa. La funzione

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infermieristica  si articola in un processo sanitario che riconosce le seguenti

componenti organizzative: ACCETTAZIONE, DEGENZA E DIMISSIONE. In tutte

le fasi del processo, la figura infermieristica interagisce con le altre figure

professionali affinché sia prestato un servizio di alta qualità.

La fase dell’accettazione si concretizza mediante i seguenti punti:

Provvedere alla compilazione della cartella infermieristica computerizzata. Tale

computa permette una prima analisi  dei bisogni assistenziali del paziente con

successiva pianificazione dell’assistenza. L’infermiere si occupa dell’aggiornamento

quotidiano della cartella infermieristica e della scheda di monitoraggio degli esami.

Eseguire la registrazione dell’ ECG (è importante che l’infermiere che presta servizio

in reparti di  cardiologia sia in grado di riconoscere le variazioni

elettrocardiografiche),  eseguendo il controllo e la gestione dei parametri vitali e

delle ferite chirurgiche. Questa osservazione permette la presa in carico del paziente

e, nello stesso tempo la pianificazione di un planing gestionale del paziente con

identificazione di una serie di priorità clinico-gestionali condivise con le altre figure

professionali.

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La fase della degenza è il momento centrale per la realizzazione del progetto

riabilitativo individualizzato.  In funzione del percorso sanitario  è possibile

identificare le seguenti funzioni di pertinenza del personale infermieristico:

Gestione e monitoraggio delle medicazioni su prescrizione medica. In relazione alla

tipologia gestionale ( in ricovero o in DH) è possibile, mediante utilizzo di algoritmi

gestionali condivisi e regolamentati da linee guida predefinite, eseguire la titolazione

di interventi farmacologici ( titolazione di beta-bloccante, statine) o non

farmacologici ( attività fisica domiciliare, training fisico, rilevazione di indici di

funzione d’organo e/o fattori di rischio coronarico). si occupa della gestione di

eventuali cateteri venosi periferici o centrali.

Somministrazione di terapia orale, IM, SC, EV, infusionale applicando le proprie

conoscenze in riferimento ai farmaci prescritti (in base al farmaco sa quali controlli

effettuare e come gestirli).

Attuazione di procedure e protocolli  per il mantenimento dell’efficienza di

apparecchi elettromedicali  e dei carrelli necessari a  medicazioni, urgenze.

Assistenza del medico nella definizione iniziale  ed attuazione del progetto

riabilitativo del paziente

Organizzazione degli esami e della corretta preparazione del paziente.

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Interazione con le diverse figure assistenziali per concorrere alla riuscita degli

obiettivi prefissati (presta supporto psicologico, dietologico.)

Programmazione su indicazione medica del follow-up del paziente.

Applicazione del programma di “miglioramento continuo della Qualità”.  In merito 

l’infermiere  opera la raccolta  statistica degli interventi attuati durante il processo di

cura; identifica inoltre, dando un ordine di priorità, una serie di criticità

dell’organizzazione e degli snodi del processo gestionale.

Svolge inoltre un importante ruolo di educazione sanitaria, estremamente importante

per il paziente affinché possa acquisire quelle norme necessarie a variare le sue

abitudini di vita ed affrontare con serenità la propria malattia. Questo è uno dei punti

che differenzia l’attività svolta dall’infermiera nei reparti d’urgenza rispetto a quelli

di riabilitazione.

Educazione sanitaria

L’intervento di educazione sanitaria costituisce un processo che ha lo scopo di

fornire al paziente la conoscenza della malattia, degli esami necessari per monitorare

un’eventuale evoluzione, delle strategie necessarie per favorire l’aderenza alla

terapia prescritta e promuovere l’attenzione alle proprie cure .

Le lezioni di educazione sanitaria vengono normalmente svolte a piccoli gruppi di

pazienti a cui possono aggregarsi i famigliari. E’ importante creare dei gruppi

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omogenei affinché ci si possa focalizzare su conoscenze e capacità di cui il paziente

necessita. Il personale infermieristico deve creare un ambiente adatto

all’insegnamento. L’informazione deve avere contenuti sufficientemente chiari,

volgarizzati e facilmente comprensibili. L’interazione con il paziente deve essere

empatica, dimostrare sensibilità  ed attenzione per i problemi sollevati,

condividendoli e prospettando strumenti e metodi per il loro  superamento. 

L’educazione avviene mediante sedute bisettimanali della durata di circa 1 ora. La

seduta  comprende due fasi: la prima fase, mediante la presentazione di diapositive è

finalizzata a mettere a fuoco il contesto clinico in cui il paziente ed il gruppo si

trovano, familiarizzandoli a concetti e conoscenze nuove; la seconda fase, di

discussione aperta, ha l’obiettivo di evidenziare le discrepanze conoscitive e la

gestione di aspetti e problematiche dal singolo paziente, vissute come critiche. Le

sedute trattano i seguenti argomenti:

Conoscenza della malattia, gestione della terapia medica, consigli dietologici

autogestione della malattia (per i pazienti con SCC3) e attività fisica domiciliare.

L’intervento educativo è completato da manuali riportanti gli argomenti trattati,

affinché il paziente abbia la possibilità di meglio approfondire l’argomento che più lo

3 Scompenzo cardiaco congestizio

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interessa e possa anche in un secondo tempo rivolgersi all’operatore per eventuali

chiarimenti.

L'infermiere, oltre ad assistere i pazienti durante la fase acuta e subacuta della

malattia cardiaca, deve:

1. Favorire la progressione dei pazienti nelle attività della vita quotidiana;

2. Aiutare i malati e i familiari ad assumere un adeguato stile di vita.

3. Sviluppare la capacità di rapporto fra i pazienti e la famiglia per migliorare la

loro di vita

4. Insegnare ai malati a prevenire la progressione della malattia.

Capitolo terzo

Programmi di Riabilitazione Cardiologica

La RCV associa il momento puramente clinico alla prescrizione di training fisico,

alla modificazione dei fattori di rischio per coronaropatia, in soggetti con diagnosi

accertata di cardiopatia.

Il fine ultimo della riabilitazione cardiologica è di ridurre i sintomi propri della

malattia e di ripristinare e mantenere al livello migliore possibile le condizioni

fisiche, psicosociali e lavorative di ciascun paziente.

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La riabilitazione cardiologica deve essere quindi considerata come una terapia

standard integrata nel trattamento globale del paziente cardiopatico in fase post-acuta

o cronica. Particolare importanza sta assumendo l'intervento riabilitativo in pazienti

anziani e con scompenso cardiaco cronico nei quali il fine ultimo della riabilitazione

è quello di limitare e prevenire il deterioramento clinico, favorendo il più alto grado

d’autonomia funzionale.

La RCV non può prescindere da un'attenta valutazione clinica che comprende

l’ottimizzazione della terapia per il controllo dei sintomi e dalla valutazione

funzionale che è la base per una corretta stratificazione del rischio e pianificazione

dell'intervento.

Le componenti fondamentali dell'intervento riabilitativo sono:

1. Assistenza clinica, valutazione del rischio e corretta impostazione

terapeutica;

2. Training fisico e prescrizione di programmi d’attività fisica.

3. Educazione sanitaria specifica rivolta alla correzione dei fattori di rischio.

4. Valutazione psicosociale ed occupazionale con interventi specifici.

5. Follow-up clinico-strumentale individualizzato e supporto per il

mantenimento di un adeguato stile di vita e un’efficace prevenzione

secondaria.

41

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L'abitudine a praticare un training fisico e le modalità comportamentali atte a ridurre

i fattori di rischio dovrebbero essere continuate per tutta la vita.

I programmi di riabilitazione cardiologica dovrebbero essere mirati a fini specifici

per ciascun paziente. Il tempo di partecipazione ad un programma attivo, formale e

supervisionato dovrebbe essere basato non solo sui problemi legati alla capacità

funzionale. ma anche sulla necessità di un intervento su comportamenti ad alto

rischio come ad esempio il fumo e scorrette abitudini alimentari.

Idealmente, un'attiva partecipazione a programmi supervisionati dovrebbe essere

continuata fino ad avere stabilito un programma di training da svolgere

autonomamente con sicurezza ed avere raggiunto la correzione dei principali fattori

di rischio. Ciò ovviamente implicherà delle differenze in relazione ai pazienti

considerati.

Le prescrizioni riabilitative non dovrebbero essere uniformi, perché non tutti i

pazienti richiederanno la stessa intensità di intervento.

Periodici controlli da parte del medico o dello staff riabilitativo possono risultare utili

al raggiungimento di un'aderenza a lungo termine.

Un test da sforzo può essere eseguito le prime sei settimane di training per

riprogrammare l'intensità dell'allenamento, mentre la rivalutazione annuale sarà poi

utile in seguito. Inoltre, lo staff riabilitativo dovrebbe collaborare con il medico

42

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personale del paziente perché gli sia dato un appropriato supporto per la ripresa

dell'attività lavorativa.

Poiché il training fisico e la correzione dei fattori di rischio hanno ruoli

complementari, i programmi di riabilitazione devono fornire interventi multipli.

Programmi che offrono il training fisico come un intervento isolato non sono

sinonimo di riabilitazione cardiologica.

Si dovrebbe sviluppare un sistema di controllo di qualità, interno ed esterno dei

servizi di riabilitazione cardiologica, in modo che il paziente riceva comunque alti

standard di trattamento.

Le controindicazioni alla componente fisica della riabilitazione (controindicazioni al

training) sono relativamente poche e comprendono: scompenso cardiaco instabile ed

incontrollato, aritmie incontrollabili, angina instabile, stenosi aortica significativa,

malattie respiratorie severe, malattie muscolo-scheletriche invalidanti, ictus

invalidante o altre malattie sistemiche invalidanti.

La sola controindicazione ai programmi d’intervento sui fattori di rischio e sullo stile

di vita è un atteggiamento di rottura o conflittuale.

Per questi pazienti possono essere sviluppati programmi specifici personalizzati che

tengano conto delle necessità individuali e del contesto familiare e sociale.

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Dal punto di vista logistico purtroppo i programmi di riabilitazione cardiologica non

sono sempre facilmente accessibili.

Modalità alternative (come per esempio la telemetria a domicilio o programmi di

training non supervisionato, servizi indipendenti per la consulenza dietologica, per la

sospensione del fumo e/o per il supporto psicosociale) che mirino a raggiungere tali

finalità dovrebbero essere ricercate e prescritte dal medico, basandosi sulle necessità

individuali dell’utente e valutando il rischio di un training non supervisionato.

Nell’insieme, la riabilitazione richiede una varietà di approcci interdisciplinari ed un

supporto tecnico per assistere soggetti con profilo di rischio e gravità clinica diversi,

come i pazienti in buone condizioni soggettive generali da una lato, per i quali si può

semplicemente pianificare e seguire nel tempo un programma di prevenzione e,

dall’altro pazienti più severamente compromessi, quali i candidati al trapianto

cardiaco.

L’identificazione del profilo di rischio dei soggetti con patologia cardiovascolare è

parte fondamentale della riabilitazione e l’intervento riabilitativo stesso assumerà

modelli organizzativi diversi a seconda del profilo di rischio definito.

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3.1 Le Fasi Riabilitative

L'intervento riabilitativo viene distinto a seconda del timing della malattia in:

FASE I

FASE II

FASE III

Esaminiamo i caratteri peculiari di ognuna di esse.

Fase I: interessa il periodo acuto della malattia, ossia dal ricovero ospedaliero (UTIC

e terapia subintensiva) alla dimissione dell’utente. Gli “addetti ai lavori” sono medici

e personale infermieristico del reparto di degenza, unitamente a terapisti riabilitativi,

dietologi e psicologi della struttura ospedaliera. Gli obiettivi da raggiungere in Fase I

possono così essere riassunti:

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1. Valutazione clinica dell’utente in fase acuta ed in quella subacuta della

malattia;

2. Accurata stratificazione funzionale e prognostica

3. Pianificazione di programmi rieducativi sia fisici che personali

4. Informazione dell’utente sulla sua malattia, iter diagnostico e prognostico,

affrontando possibili ripercussioni depressive causate dalla stessa (evenienza

molto frequente soprattutto tra i più giovani utenti);

5. Educazione sui principali fattori di rischio cardiovascolari con finalità di

contenimento e/o loro correzione

6. Riabilitazione professionale dell’utente e delle sue attività ricreative.

Gli strumenti impiegati per raggiungere tali obiettivi si avvalgono della

fisiokinesiterapia e colloqui individualizzati.

Fase II. Ha inizio dalla dimissione dell’utente fino ad un periodo di 6 – 8 settimane:

si svolge presso un ambulatorio di riabilitazione divisionale o un centro di degenza.

Il personale dedicato è lo stesso della Fase I, con l’ausilio anche di un Medico del

Lavoro.

Le finalità di questa fase sono le seguenti:

1. Valutazione della funzione cardiovascolare e stratificazione prognostica.

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2. Istituzione di un’idonea terapia farmacologica, fisica, meccanica o chirurgica

per migliorare la qualità della vita e la prognosi.

3. Attenuazione dei potenziali risvolti psicologici indotti dalla malattia.

4. Eliminazione degli effetti negativi del decondizionamento fisico derivante da

una vita sedentaria ed accentuato dalla limitazione imposta dalla cardiopatia.

5. Informazione del paziente e dei suoi familiari sulla malattia, sull'iter

diagnostico-terapeutico e sulla prognosi.

6. Correzione dei fattori di rischio con l' educazione ad un adeguato stile di vita.

7. Favorire ed assistere il ritorno all' attività lavorativa e del tempo libero.

Fase III: è quella a lungo termine, che può svolgersi presso il domicilio stesso

dell’utente o clubs. Prevede come protagonista assoluto un terapista della

riabilitazione (linee guida della Società Europea di Cardiologia).

I suoi obiettivi ruotano attorno alla continuità ed al miglioramento dei risultati

ottenuti nelle precedenti fasi riabilitative, sia in chiave funzionale, che psichica.

La Fase III ha come strumenti operativi la fisiokinesiterapia, oltre a periodiche

verifiche clinico-strumentali.

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3.2 La compliance del paziente

L'aderenza alle procedure di riabilitazione a lungo termine è il risultato

dell’interazione fra diversi elementi che condizionano la motivazione ad iniziare e

proseguire il programma. Infatti, la motivazione non è permanente ma si modifica

con il tempo.

Nell' Ontario Heart Study la compliance dei pazienti a 12 mesi è risultata del 60% e

del 55% a 24 mesi, mentre nello studio di Oldrige l' aderenza dei pazienti è stata del

40%

La compliance è condizionata da numerosi fattori:

- Adeguata informazione dei pazienti, dei familiari e dei medici curanti sugli scopi

della procedura.

- Tendenza dei pazienti a fare attività fisica

- Impegni di lavoro e di tempo libero

- Atteggiamento del medico curante e della famiglia

- Percezione soggettiva del beneficio della procedura

- Procedura non gravata da incidenti

- Procedura varia e divertente

- Spirito di gruppo

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- Facilitazioni (orario di apertura del Centro, mezzi di trasporto, distanze dal Centro,

costi).

- Età e presenza di altre affezioni che possono aggravarsi con training.

Pertanto un’attenta selezione preliminare dei pazienti, un programma piacevole e

gratificante che viene periodicamente rivalutato, uno spirito di gruppo che facilita l'

ingresso del nuovo paziente, la regolarità delle sessioni, un atteggiamènto positivo

del medico curante e della famiglia rappresentano altrettanti fattori condizionanti il

successo del programma riabilitativo.

Capitolo Quarto

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Metodi

La terapia riabilitativa differisce in relazione alle patologie da cui è affetto il

paziente: tuttavia gli esercizi sono molto simili per cui riporterò la metodologia

utilizzata nella più diffusa patologia (IMA), nonché delle tabelle che includono, in

base alla giornata di degenza del paziente, la tipologia di esercizi consigliata .

Il primo approccio al malato deve essere necessariamente di tipo esplicativo al fine di

collaborare, il paziente deve essere informato sul tipo di malattia che l’ha colpito e

sul significato e gli obiettivi delle tecniche di mobilizzazione. Tale spiegazione

abitualmente è fornita dal medico dell' UTIC4, ma, in alternativa, anche un terapista

esperto potrà, iniziare un'opera di informazione ed educazione sanitaria che

proseguirà poi nel corso della riabilitazione. La terapia riabilitativa sarà graduale e

correlata con l’andamento clinico del paziente. Essa potrà essere suddivisa in vari

livelli, può essere buona norma segnare su un grafico, del tipo riportato il livello

raggiunto nelle varie giornate di ricovero in modo da avere un costante riscontro

dell' attività fisica svolta dal malato. Il passaggio di livello potrà essere seguito in

telemonitoraggio elettrocardiografico in modo da evidenziare e segnalare eventuali

risposte negative: aritmie, modificazioni ischemiche dell' ecg con o senza dolore.

4 Unità terapia intensiva coronarica

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4.1 Trainig fisico

Il training fisico è una componente fondamentale della riabilitazione cardiologica. La

riabilitazione cardiaca dopo IMA, in trials randomizzati, mostra la tendenza ad una

maggiore sopravvivenza nei pazienti arruolati nei programmi di riabilitazione. I

risultati di questi studi presentano dei limiti a causa del ridotto numero di pazienti

reclutati, dall'elevata quota di pazienti passata al gruppo in trattamento e dell'alto

drop-out. Tuttavia, procedure di metanalisi applicati a questi trials randomizzati

hanno mostrato una significativa riduzione della mortalità (20-25%) cardiovascolare

senza alcuna differenza nell'incidenza di reinfarto non fatale in pazienti sottoposti a

programmi di training. I risultati di questa metanalisi si riferiscono a studi svoltisi

prima dell'uso dei trombolitici e dei beta-bloccanti nel trattamento dell'IMA. Poiché

questi farmaci hanno migliorato la sopravvivenza dopo IMA, l'effetto di mortalità

rispetto a prima del loro impiego potrebbe essere di dimensioni diverse. In questi

trials riabilitativi erano reclutati prevalentemente maschi di età inferiore ai 70 anni.

Gli specifici benefici in termini di sopravvivenza per le donne e i soggetti in età più

avanzata, sono fino ad ora non determinati, sebbene i benefici fisiologici

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dell'allenamento sono simili in entrambi i sessi e per ampi ambiti di età sia in

soggetti normali sani che in individui affetti da coronaropatie. L'uso di uno schema di

stratificazione del rischio, come quello proposto dall'American Heart Association per

valutare i pazienti che entrano i pazienti che rientrano in un programma di

riabilitazione fisica, è un mezzo essenziale per ottimizzare il trattamento dei pazienti

e minimizzare il loro rischio potenziale. Il training fisico migliora la capacità

funzionale attraverso diversi meccanismi come adattamenti emodinamici e cardiaci,

modificazioni delle risposte neuro-ormonali e della cessione di ossigeno a livello

periferico nei muscoli scheletrici. In pazienti cardiopatici un training fisico di 3-6

mesi induce incrementi del VO2 picco del 11-66% con i maggiori risultati per i

pazienti più decondizionati. Tuttavia un miglioramento della capacità aerobica

nell'immediato post-infartuale e dopo un intervento di by-pass aorto-coronarico, può

essere spontaneo.

Dopo allenamento appare aumentata la capacità di endurance sottomassimale, con la

possibilità di tollerare più a lungo un dato carico di lavoro, con frequenza cardiaca e

PA più basse rispetto al periodo pre-training. Quest'ultimo effetto è particolarmente

utile nei cardiopatici, poiché, manifestandosi l'ischemia a più alti carichi di lavoro, i

pazienti possono svolgere meglio e più a lungo attività submassimali.

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Alcuni lavori hanno documentato con tecnica elettrocardiografica (sottoslivellamento

dell'S-T) o di perfusione con miocardioscintigrafia con tallio una riduzione

dell’ischemia da sforzo a pari doppio prodotto dopo un anno di allenamento. Sebbene

non sia stato identificato con certezza nessun meccanismo che spieghi le

modificazioni della soglio ischemica, questi dati implicano un aumentato apporto di

ossigeno a livello miocardico e/o una ridotta utilizzazione di ossigeno dopo training.

Un miglioramento della capacità funzionale è strettamente correlato con una

maggiore possibilità da parte del paziente di recuperare una propria produttività ed

autosufficienza. Tuttavia è difficile stabilire un rapporto diretto tra training fisico e

ritorno a lavoro, poiché molti altri fattori di ordine emozionale, socio-economico e

culturale possono condizionare la ripresa della propria attività lavorativa. Il ritorno al

lavoro in pazienti che hanno avuto un IMA varia dal 49 al 93%. Il training fisico

facilita il metabolismo dei grassi e dei carboidrati ed aiuta così nel controllo dei

fattori di rischio per la cardiopatia ischemica. L'attività fisica induce, in media, un

aumento del 15-16 % del colesterolo HDL ed è un fattore complementare nel

controllo di altri fattori di rischio coronarico, come l'obesità, il diabete e

l'ipertensione. Sebbene non sia stata del tutto definita quale possa essere la modalità

ottimale di training in pazienti con scompenso cardiaco, un programma di

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allenamento supervisionato di intensità lieve-moderata, dovrebbe essere considerato

utile nei pazienti con scompenso stabile in classe II-III NYHA5. I programmi di

riabilitazione cardiologica dovrebbero essere mirati a fini specifici per ciascun

paziente. Il tempo di partecipazione ad un programma attivo, formale, e

supervisionato dovrebbe essere basato non solo sui problemi legati alla capacità

funzionale, ma anche sulla necessità di un intervento su comportamenti ad alto

rischio quali ad esempio il fumo e la dieta. Periodici controlli da parte dello staff

riabilitativo possono essere utili al mantenimento di un’aderenza a lungo termine.

4.1.1 Training fisico autogestito

La riabilitazione autogestita, indicata come "home rehabilitation", rappresenta un

modello organizzativo controverso ma d’indubbia importanza per le possibilità

applicative. Proposta all'inizio degli anni '80 e successivamente applicata

5 Classi funzionali dello scompenso cardiaco

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ampiamente negli Stati Uniti, prevede che il paziente esegua un programma di

allenamento secondo le indicazioni fornite al momento della dimissione utilizzando

sistemi di controllo della risposta allo sforzo o in maniera autonoma, mediante la

rilevazione del polso, o attraverso la trasmissione dell'ECG con un cardiotelefono al

Centro di riabilitazione.

Il metodo si è dimostrato efficace e sicuro, consentendo una decisa riduzione dei

costi e dell'impegno assistenziale delle strutture sanitarie. Tuttavia è intuibile che

mancando il rapporto diretto con lo staff sanitario, vengono disattesi alcuni tra gli

scopi centrali della riabilitazione stessa, dal momento che non sono concretizzabili i

programmi di counseling e di educazione sanitaria e viene meno il rapporto psico-

terapeutico, considerati fondamentali per realizzare concrete e persistenti

modificazioni dello stile di vita del paziente.

Se ne deduce che questa modalità organizzativa è riservata a pazienti selezionati e

prevalentemente nei casi in cui sia impossibile la partecipazione ad un programma

controllato. Il training fisico a domicilio può rappresentare comunque una valida

alternativa al training supervised a condizione che alla prescrizione dell'attività fisica

da svolgere autonomamente, segua un programma di istruzione ed educazione

all'autogestione dell'attività fisica che garantisca un apprendimento reale da parte del

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paziente. Infatti abitualmente vengono fornite istruzioni generiche sulle modalità di

esecuzione del programma, talvolta supportate da illustrazioni o presentazioni in

videotape, ma non sono verificate le capacità di autogestione ed autocontrollo.

Elemento questo di rilevante importanza, se consideriamo che il training domiciliare

ha come particolare indicazione il trattamento di pazienti cronici e la prosecuzione

dell'attività fisica dopo il termine del ciclo riabilitativo.

4.1.2 Prescrizione dell'esercizio

Non esiste una formula per adattare il programma ad ogni singolo paziente. Ogni

soggetto differisce per condizione fisica e per le conseguenze della malattia.

L'esercizio fisico, per determinare un effetto allenante, deve essere basato su attività

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caratterizzate da peculiari tipologie, con diverse combinazioni di frequenza, intensità

e durata, e con una specifica progressione nel tempo.

Frequenza

Non esiste un unico protocollo, e le differenti modalità che si trovano utilizzate

possono dipendere sia da particolari esigenze organizzative del Centro, che da

protocolli differenziati sulla base degli obiettivi stabiliti per le diverse categorie di

pazienti. In generale, la frequenza di esecuzione del programma di esercizio fisico è

quotidiana o trisettimanale. Quando il programma è quotidiano (preferibile nelle

prime settimane di training, nei soggetti anziani o con peggiore adattamento allo

sforzo per cause muscolari o cardiache) è articolato in sedute alternate di ginnastica a

corpo libero e di esercizio su cyclette o treadmill; il programma trisettimanale

prevede nella stessa seduta parte delle due attività.

Intensità

L'intensità dell'attività deve essere tale da produrre un incremento dell'allenamento

fisico in misura proporzionata con il grado di tolleranza allo sforzo e con il periodo

di tempo in cui si è protratta l'immobilizzazione determinata dall'evento acuto. Il

paziente che per le complicanze dell’evento è stato a lungo allettato, al momento

della ripresa dell'attività fisica ha la percezione di un lavoro muscolare molto leggero

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come assai impegnativo e faticoso. L'intensità dell'esercizio deve pertanto essere

graduata per ogni paziente e messa in relazione con la durata: infatti risultati

analoghi, in termini di incremento di capacità funzionale, possono essere ottenuti con

periodi prolungati a bassa intensità e viceversa.

Un esercizio a bassa intensità ha minore rischio di determinare effetti negativi su

muscoli ed articolazioni ed una eccessiva sensazione soggettiva di fatica. E'

ampiamente noto che l'esercizio allenante dovrebbe essere effettuato di poco al di

sotto della soglia anaerobia, e che una attività a bassa intensità è considerata quella

inferiore al 40% del VO2 max, moderata pari a circa il 60% del VO2 max. Dal

momento che abitualmente non è possibile misurare il VO2 max del paziente, viene

utilizzata come parametro di riferimento la frequenza cardiaca massima raggiunta al

test ergometrico. Per la valutazione dell'intensità dell'allenamento, il range di

frequenza cardiaca entro il quale effettuare il programma in condizioni di sicurezza

(Target Heart Rate o THR) è calcolato secondo:

1. la percentuale della massima frequenza cardiaca raggiunta

2. la formula di Karvonen

Nel primo caso, se si seguono le raccomandazioni della American Heart Association

il training viene eseguito mantenendo la frequenza cardiaca tra 50% ed 80% della

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massima frequenza raggiunta; se si applica la formula di Karvonen, si deve sottrarre

alla massima frequenza raggiunta la frequenza a riposo, moltiplicare il risultato per

50% e 80%, e sommare i due valori ottenuti alla frequenza basale per ottenere il

range di allenamento

Le diverse modalità di calcolo portano ad un programma più leggero, che è

consigliabile riservare a soggetti con peggiore adattamento allo sforzo per età

avanzata o gravità della compromissione cardiaca, oppure più pesante (con la

formula di Karvonen) da riservare a soggetti non complicati e con buon adattamento

allo sforzo, o già allenati.

L'intensità dell'esercizio può essere anche calcolata sulla stima del consumo

energetico, se vengono utilizzati come riferimento i METS6, per ottenere un carico di

allenamento o una intensità di lavoro

Valutazione soggettiva dell'intensità

Il metodo più semplice è l'autovalutazione del polso, che deve sempre essere

insegnata al paziente affinché possa controllare la propria risposta allo sforzo anche

dopo il termine del programma riabilitativo. A questo scopo deve essere esercitato a

6 Consumo di ossigeno a riposo, pari a 3.5 ml di O2/Kg/min

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rilevare i battiti al polso per i primi 10 o 15 secondi immediatamente dopo

l'interruzione di un esercizio, verificando la correttezza della rilevazione.

Modalità

La singola seduta di training inizia con una fase di riscaldamento, nella quale

vengono eseguiti esercizi a corpo libero di mobilizzazione articolare e di stiramento

muscolare, oppure, se la sessione prevede l'utilizzo di attrezzi, un lavoro al minimo

carico di resistenza (ad esempio pedalare sul cicloergometro meccanico con minima

resistenza o camminare sul treadmill a pendenza 0% e velocità "di conversazione",

etc.)

Le fasi successive d’allenamento vengono svolte con modalità dette di endurance o

di interval training. L'esercizio intermittente (interval) eseguibile sia a corpo libero

che con attrezzi, alterna periodi di lavoro all'intensità prestabilita a fasi di recupero

con lavoro assente o molto lieve. L'applicazione del carico di lavoro per brevi periodi

determina un adattamento allo sforzo utile nei pazienti con angina da sforzo, nei

quali può essere ottenuto il migliore incremento della soglia ischemica, e nei pazienti

più decondizionati, negli anziani, o in quelli con disfunzione di pompa, i quali nelle

prime sessioni di training sopportano con difficoltà l'applicazione di un carico di

lavoro continuo.

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Il principio generale di tutti i programmi a corpo libero è quello di determinare una

mobilizzazione dei maggiori gruppi muscolari, con varie ripetizioni per la durata di 1

- 3 minuti ad esercizio e con impegno crescente approssimativamente da 1.5 a 8

METS. Esistono molte presentazioni degli schemi di esecuzione del corpo libero, tra

loro sostanzialmente equivalenti: bisogna tuttavia sottolineare che non esiste

l'esercizio "per il cardiopatico", ma possono essere utilizzate le più diverse modalità

di ginnastica calistenica, purché vengano seguiti i criteri esposti nella quantificazione

dell'intensità.

Il training di resistenza o continuo (endurance), è la forma più usata perché consente

il massimo incremento della capacità aerobia; tradizionalmente sono preferite le

attività con componente dinamica effettuate mediante cicloergometri, ergometri a

braccia, tappeti scorrevoli, con l'intensità dell'esercizio calcolata secondo le modalità

descritte in precedenza. Negli ultimi anni sono state applicate anche modalità di

lavoro che prevedono esercizi con pesi, atti a determinare un aumento della potenza

muscolare.

Durata

Una singola sessione di training ha in media la durata di un'ora, in cui sono compresi

10' di riscaldamento, 40' di training effettivo e 10' di raffreddamento (recupero).

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Periodi più prolungati d’esercizio non sono giustificati, mentre è invece possibile

suddividere la sessione in due parti (ad esempio 30' al mattino e 30' al pomeriggio).

La durata complessiva del programma di training deve essere programmata in

funzione degli obiettivi posti per ciascun paziente: i protocolli standard dei principali

Centri italiani ed esteri prevedono da un minimo di 12 ad un massimo di 40 sessioni,

in periodi compresi tra le 2 e le 8 settimane. Affinché si possano perseguire obiettivi

concreti, la durata ottimale non può essere comunque inferiore alle 4 settimane.

Progressione

L'incremento progressivo in intensità, durata e modalità di allenamento è funzione di

una molteplicità di variabili che rendono difficile la rappresentazione di uno schema

guida. Tuttavia In assenza di complicanze durante le sessioni di esercizio (ad

esempio comparsa di sintomi, disturbi del ritmo, modificazioni ST, alterato

comportamento della pressione arteriosa, etc) al miglioramento della risposta allo

sforzo segue un minore incremento di FC per carico equivalente che consente di

incrementare il carico di lavoro fino a riportare la Target Heart Rate nel range

prefissato. Pertanto è la frequenza cardiaca il più semplice e diretto riferimento per

regolare la progressione del programma. Come già detto in precedenza, dopo le

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prime 2 settimane di adattamento del paziente al protocollo di lavoro e di

sorveglianza sulle modalità di risposta cardiocircolatoria all'esercizio, è possibile (e

talora necessario) differenziare le attività.

4.1.3 Mobilizzazione precoce

Infarto

La mobilizzazione precoce del paziente infartuato inizia dopo 24 ore dall'ingresso in

UTIC nell' infarto non complicato oppure 24 ore dopo la risoluzione delle

complicanze maggiori quali:

Scompenso cardiaco congestizio grave e non controllato farmacologicamente;

Persistenza di dolore toracico di tipo ischemico;

Shock cardiogeno;

Aritmie ventricolari gravi (tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare

recidivanti).

TABELLA 1

Mobilizzazione precoce

Giorni Tipologie di Ginnastica

All’ingresso Respiratoria + passiva a letto

Primo Attiva (movimenti distali)

Secondo Attiva a letto

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Terzo Attiva seduto

Quarto Attiva seduto + passeggiata attorno al letto

Quinto Attiva seduto + passeggiata ai servizi

Sesto Attiva in piedi

Settimo Attiva in piedi + 6 gradini

Ottavo Attiva in piedi +20 gradini

Nono Prova da sforzo al cicloergometro

Il monitoraggio ECG telemetrico od a cavo è considerato una sicurezza e talora è

stato prescritto indiscriminatamente. Probabilmente non più del 20-25% dei pazienti

richiede, durante il programma riabilitativo, il monitoraggio ECG con l’attuale

possibilità di stratificare i pazienti in gruppi a basso, medio ed alto rischio. Non sono

disponibili i dati di confronto su complicazioni o morti e fra pazienti sottoposti a

training con e senza monitoraggio ECG. Sino a che nuovi dati non saranno

disponibili, si raccomanda di monitorizzare e supervisionare i pazienti definiti ad alto

rischio.

Comunque prima e dopo la seduta di mobilizzazione sarà utile almeno la

misurazione della frequenza cardiaca al polso. La pressione arteriosa potrà essere

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controllata dopo la mobilizzazione, ma sarà indispensabile la prima volta che il

paziente si alza per evidenziare eventuali tendenze all' ipotensione ortostatica.

Le raccomandazioni dell'American College of Cardiology sulla Riabilitazione

Cardiovascolare, relativamente ai criteri per il monitoraggio ECG (validi anche,per la

fase II), propongono che questo dovrebbe essere attivato di elezione nei seguenti

casi:

Severa riduzione della Frazione di Eiezione ( < 30%).

Aritmie ventricolari complesse a riposo (Lown classe 4 o 5).

Comparsa od accentuazione di aritmie durante esercizio.

Calo pressorio durante esercizio.

Sopravissuti da arresto cardiaco improvviso.

Pazienti con Infarto complicato, in fase acuta, da insufficienza cardiaca,

shock cardiogeno e/o aritmie ventricolari minacciose.

Pazienti con severa coronaropatia e marcata ischemia indotta

dall'esercizio.

Impossibilità ad autocontrollo della frequenza cardiaca per problemi

fisici o psichici.

Febbre superiore a 39°.

4.1.5 La ginnastica calistenica

65

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La ginnastica calistenica a corpo libero rappresenta il metodo elettivo di terapia fisica

che può ovviare al decondizionamento. Non richiede infatti particolari attrezzature e

può quindi essere svolta anche al domicilio da pazienti non complicati, dopo un

adeguato periodo di addestramento in regime controllato. Un indiscusso vantaggio è

rappresentato dalla possibilità di allenare un gran numero di masse muscolari degli

arti e del tronco, sia contemporaneamente che in successione. Questa modalità di

intervento rappresenta la forma fisiologica per migliorare, flessibilità articolare, forza

muscolare e resistenza. 

Sono riportate di seguito tabelle educative con degli esercizi molto semplici da poter

eseguire.

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Esercizi

Tabella 1

1) BRACCIA LUNGO I FIANCHI DENTRO L'ARIA ALZARE IN AVANTI LE BRACCIA FUORI L'ARIA ABBASSARLERIPETERE 8 VOLTE

3) BRACCIA LUNGO I FIANCHIDENTRO L'ARIAALZARE LE BRACCIA IN AVANTI FIN SOPRA LA TESTAFUORI L'ARIA ABBASSARLE LATERALMENTERIPETERE 8 VOLTE

5) DITA INCROCIATE GOMITI DRITTIDENTRO L'ARIAALZARE LE BRACCIA CON IL PALMO DELLE MANI VERSO L'ALTOFUORI L'ARIAABBASSARLERIPETERE 8 VOLTE

2) BRACCIA LUNGO I FIANCHIDENTRO L'ARIAALZARE LE BRACCIA LATERALMENTEFUORI L'ARIA ABBASSARLE LUNGO I FIANCHIRIPETERE 8 VOLTE

4) BRACCIA LUNGO I FIANCHIDENTRO L'ARIAALZARE LE BRACCIA LATERALMENTEFUORI L'ARIAABBASSARLE IN AVANTIRIPETERE 8 VOLTE

6) DITA INCROCIATE DIETRO LA NUCADENTRO L'ARIAALLARGARE I GOMITIFUORI L'ARIAAVVICINARLIRIPETERE 8 VOLTE

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7) BRACCIA INCROCIATE AL PETTO

DENTRO L'ARIA

ALLARGARE LE BRACCIA (vedi figura)

FUORI L'ARIA

RITORNARE IN POSIZIONE DI PARTENZA

RIPETERE 8 VOLTE

8) BRACCIA DISTESE LUNGO I FIANCHI

DENTRO L'ARIA

RUOTARE IL BUSTO VERSO DESTRA

FUORI L'ARIA

RITORNARE AL CENTRO

ALTERNARE 8 VOLTE A DESTRA E 8 VOLTE A SINISTRA

9)BRACCIA DISTESE LUNGO I FIANCHI

DENTRO L'ARIA

INCLINARE IL BUSTO VERSO DESTRA

FUORI L'ARIA

RITORNARE AL CENTRO

ALTERNARE 8 VOLTE A DESTRA E 8 VOLTE A SINISTRA

10)GAMBE APERTE E CORPO APPOGGIATO AL MURO

DENTRO L'ARIA

PIEGARE UN PO' LE GINOCCHIA

FUORI L'ARIA

RITORNARE IN POSIZIONE DI PARTENZA

RIPETERE 8 VOLTE

11. GAMBA DESTRA AVANTI

DENTRO L'ARIA

PIEGARE IL GINOCCHIO DESTRO (vedi figura)

FUORI L'ARIA

RITORNARE IN POSIZIONE DI PARTENZA

12. DISTESI SUL LETTO A PANCIA IN ALTO

DENTRO L'ARIA

ALZARE LA GAMBA DESTRA

FUORI L'ARIA

ABBASSARLA

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RIPETERE

8 VOLTE CON LA DESTRA

E 8 VOLTE CON LA SINISTRA

RIPETERE

8 VOLTE CON LA DESTRA E

8 VOLTE CON LA SINISTRA ALTERNATIVAMENTE

Tabella 2

Tabella 3

13. DENTRO L'ARIA

ALZARE VERSO

DESTRA LA GAMBA

SINISTRA

FUORI L'ARIA

14. DENTRO L'ARIA

ALZARE VERSO SINISTRA LA GAMBA DESTRA

FUORI L'ARIA

ABBASSARLA

RIPETERE 8 VOLTE CON LA DESTRA E 8 VOLTE

CON LA SINISTRA ALTERNATIVAMENTE

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ABBASSARLA

RIPETERE 8 VOLTE CON LA DESTRA E 8

VOLTE CON LA SINISTRA.

15. DENTRO L'ARIA

PIEGARE LA GAMBA DESTRA

FUORI L'ARIA

RADDRIZZARLA

RIPETERE 8 VOLTE CON LA DESTRA E 8

VOLTE CON LA SINISTRA

ALTERNATIVAMENTE

16. DENTRO

L'ARIA

PIEGARE TUTTE E

DUE LE GAMBE

FUORI L'ARIA

RADDRIZZARLE

RIPETERE 8 VOLTE

17. DISTESI SUL LETTO A PANCIA IN ALTO

CON LE GINOCCHIA PIEGATE

DENTRO L'ARIA

ALZARE I GLUTEI

FUORI L'ARIA

18. DISTESI SUL LETTO A PANCIA IN ALTO CON

LE GINOCCHIA PIEGATE

DENTRO L'ARIA

ALZATE A 90° LE GAMBE

FUORI L'ARIA

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ABBASSARLI

RIPETERE 8 VOLTE

ABBASSARLE

RIPETERE 8 VOLTE

4.1.5 Ginnastica respiratoria

La ginnastica respiratoria arreca al paziente cardio-operato numerosi benefici.

La sua utilità consiste nel permettere un pieno utilizzo dei polmoni.

La ginnastica respiratoria ha come obiettivi:

1) Un aumento della quantità d'aria inspirata con un conseguente maggiore afflusso

di ossigeno a tutti i tessuti e quindi anche al cuore.

2) La completa riespansione dei polmoni.

3) Lo scarico di tensione fisica e psichica attraverso un aumentato afflusso di sangue

al cervello.

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Esistono varie tecniche di ginnastica respiratoria ho creato di seguito delle schede di

alcune di esse.

Scheda 1 Respirazione Diaframmatica

Espirare (8-10 sec.)

L’aria esce dalla bocca e l’addome si

“gonfia”.

Con le mani si percepisce l’abbassamento

dell’addome.

Inspirare (3-5 sec.)

L’aria entra dal naso e l’addome si

“gonfia”.

Con le mani si percepisce l’innalzamento

dell’addome.

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Scheda 2 Respirazione toracica

Supini, gambe piegate mani sul torace.

Inspirazione: l’aria entra dal naso e la

gabbia toracica si espande.

Con le mani si percepisce lo spostamento

del torace.

Espirazione: l’aria esce dalla bocca e il

torace torna

nella posizione di partenza.

Scheda 3 Respirazione costaleTenere i gomiti piegati a

90°. e le braccia appoggiate

all'altezza dell'epigastrio

con i pugni chiusi.

Inspirare profondamente

dal naso portando nello

stesso tempo le braccia

sempre piegate

lateralmente

e in avanti.

Espirare soffiando e

portando le braccia alla

posizione

di partenza e cercando con

esse di favorire

l'espirazione.

Scheda 4 Respirazione degli apici

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Far mettere le mani dietro

la nuca con i gomiti in

avanti e all'altezza

delle spalle.

Inspirare profondamente

dal naso

portando gradualmente i

gomiti lateralmente il più

possibile.

Espirare dalla bocca

soffiando e

portando le braccia alla

posizione

di partenza.

Nota: gli esercizi vanno ripetuti 5 volte

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4.2 Il Training psicocomportamentale

Se l'approccio al paziente cardiopatico si articola in più livelli sequenziali, ovvero

attraverso una valutazione psicometrica ed un colloquio clinico individuale, è

possibile fare una pianificazione degli obiettivi terapeutici e delle strategie più

funzionali alla riduzione delle problematiche emerse. Il pull di informazioni che

deriva da un corretto assessment fornisce una serie di indicatori da cui si individuano

i principali goals terapeutici che noi descriviamo in comportamenti da aumentare

(conoscenza e coscienza della malattia, abilità nel comunicare i propri diritti e nel

rispettare il prossimo, autocontrollo, miglioramento dello stile di vita, gestione dello

stress) e comportamenti da diminuire (ansia, tensione, aggressività, passività,

depressione, paure, isolamento cognitivo-sociale, fattori di rischio comportamentali,

fumo, disordini alimentari, sedentarietà).

Le strategie terapeutiche che hanno ottenuto un consenso scientifico ed una

validazione sociale nell’ambito della riabilitazione cardiologica, sono cosidette a

breve termine e sono fondate sulle tecniche di ristrutturazione cognitiva e

modificazione del comportamento. Esse possono essere volte al singolo paziente o a

piccoli gruppi di pazienti e strutturate con una cadenza massima (5-6 sedute la

settimana) per i pazienti in degenza o ad intervallo (1-2 sedute la settimana) per

pazienti ambulatoriali.

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Quando siano applicate al gruppo possono essere assimilate ai training di self-help

poiché si basano sul principio di dare al soggetto l'abilità a riconoscere la propria

problematica attraverso esercizi di auto-osservazione e mediante tecniche di

problemi sciving, ad identificare le strategie più adeguate per fronteggiare i

comportamenti

disfunzionali.

È opportuno che i gruppi siano formati sull'omogeneità dei pazienti relativamente

alla problematica da affrontare in quanto si crea tra i pazienti un escludono,

comunque, un supporto individuale quando necessario. processo di identificazione

collettiva e di modeling che diminuisce l'isolamento cognitivo in cui spesso si trova

il paziente ospedalizzato. Da questo emerge ancora una volta la necessità di utilizzare

valutazioni psicologiche standard poiché l'efficacia degli interventi terapeutici è

direttamente correlata a:

1) L'accurato assessment della disfunzione psicocomportamentale in atto;

2) La selezione dell'appropriata tecnica di controllo della disfunzione rilevata;

3) La motivazione del paziente che è proporzionale a quanto riconosce come propria

la disfunzione psicocomportamentale per la quale viene proposto un correttivo.

Su queste basi, un approccio terapeutico sufficientemente standardizzato,

generalizzabile ai diversi livelli socioculturali dei pazienti e ripetibile nei più diversi

presidi ospedalieri, dovrebbe prevedere uno o più dei seguenti interventi che non

escludono, comunque, un

supporto individuale quando necessario.

Capitolo Quinto

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Prospettive della riabilitazione

Le possibilità della riabilitazione cardiologica offrono molti potenziali sbocchi, che

necessitano di ricerche future.

La possibilità che la riabilitazione possa avere un ruolo significativo sulla

prevenzione secondaria, sulla riduzione della disabilità, sul miglioramento della

qualità della vita e sui costi associati della Sanità, dovrebbe incoraggiare tutti i settori

interessati ad aumentare il supporto e la presenza sul territorio di queste aree.

L'effetto del training fisico sulla reattività vasomotrice coronarica, sulla reologia del

flusso ematico e sui meccanismi della coagulazione non sono ancora ben noti. E’

necessario valutare gli effetti di questi interventi sul realizzarsi dell'ischemia (silente

e sintomatica), sull’aritmogenesi, sul riassetto della funzione dei baroriflessi dopo

infarto miocardico e sulle alterazioni neuro-ormonali connesse con il training fisico.

Richiedono altresì maggiori verifiche gli effetti della riabilitazione sulla restenosi e

sul mantenimento della pervietà dei vasi dopo angioplastica coronarica.

Sono necessari studi per valutare l'effetto dell'allenamento fisico sul rimodellamento

ventricolare dopo IMA, specificamente rimane aperto il problema sul fatto che vi sia

un effetto differenziato dell'esercizio sul rimodellamento per infarti che colpiscano

diverse aree del miocardio o in relazione al miocardio vitale presente.

Dovranno essere valutati con ulteriori studi gli effetti del training sul rimodellamento

ventricolare in pazienti trattati con diverso approccio terapeutico, le interrelazioni tra

esercizio fisico e modificazione dei fattori di rischio (frequenza, intensità e durata

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dell'esercizio) utile ad influenzare positivamente i livelli lipidici plasmastici,

l'insulino-resistenza, la pressione ematica e la risposta neuro-ormonale.

Sono necessari ulteriori studi sugli aspetti psico-sociali e comportamentali in pazienti

arruolati in programmi di riabilitazione cardiologica.

La produttività dovrebbe essere valutata non solo in base alla percentuale di

reinserimento nel settore lavorativo, ma anche in termini d’incremento

dell'autosufficienza e dell'indipendenza nelle persone rese disabili dalla malattia

cardiaca; ciò considerando le necessità di supporto da parte dei familiari che

lavorano, di servizi d’assistenza a domicilio o di altri sistemi di supporto sociale.

Conclusioni

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Le patologie cardiovascolari rappresentano una delle maggiori cause di morbilità e

mortalità nei Paesi Industrializzati. Il conseguente incremento di domanda

sanitariaha determinato la necessità di creare nuove strategie e modelli operativi che

garantiscano, mediante interventi multidisciplinari, la continuità assistenziale.

Questi modelli permettono la crescita di nuove figure professionali dedicate, la

costituzione di una rete gestionale tra Reparti per acuti, centri di riabilitazione e

Medici di famiglia.

In tale contesto gli infermieri diventano dei “Professionisti Sanitari” responsabili

dell’assistenza del paziente. Tale Responsabilità  è autonoma ed è governata dalla

competenza che include tre aspetti peculiari: preparazione, formazione e

collaborazione con altri operatori sanitari, al fine di dare una risposta adeguata al

bisogno di salute del paziente. 

Questa modalità  operativa consente di esercitare il diritto/dovere di un diretto

coinvolgimento della figura infermieristica nel percorso sanitario, nel processo di

cura e nell’uso degli strumenti informativi che migliorino l’efficacia della gestione

sanitaria del paziente, con il diretto impegno della figura infermieristica nello

sviluppo di nuove politiche sanitarie. 

Gli obiettivi della Riabilitazione Cardiologica sono di migliorare lo stato fisiologico

e psico-sociale, di ridurre il rischio cardiovascolare, di prevenire il deterioramento

clinico, in ultima analisi, di promuovere e mantenere un miglior stato di salute.

Questi obiettivi si raggiungono attraverso un processo multifattoriale che include:

La valutazione del rischio in tutte le sue componenti.

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La stabilizzazione clinica e la ottimizzazione dei trattamenti farmacologici

raccomandati.

Il training fisico.

Un programma educazionale per la riduzione del rischio e la modificazione

dello stile di vita.

Un intervento psicocomportamentale.

Adeguato follow-up.

Tali attività devono essere integrate in un intervento multifattoriale per la cura

globale del paziente cardiopatico.

Sulla base delle evidenze scientifiche, si riconosce che la combinazione di esercizio

fisico e di interventi educazionali e psico-sociali è la forma più efficace di

Riabilitazione Cardiologica.

L'esercizio fisico favorisce il recupero e migliora gli aspetti fisici, riducendo la

disabilità e la dipendenza funzionale particolarmente, specie nei pazienti anziani ed

in quelli con ridotta tolleranza allo sforzo, senza rischi aggiuntivi; tuttavia, come

singolo intervento non è sufficiente ad ottimizzare il profilo di rischio

cardiovascolare e ad incidere in modo significativo su morbilità e mortalità.

Nonostante si sottolinei l'importanza e l'urgenza di sviluppare programmi strutturati

di riabilitazione e prevenzione per cardiopatici, molti pazienti non ricevono alcuna

forma di intervento in questo senso. La competenza e la professionalità degli

operatori coinvolti nel programma di riabilitazione è fondamentale ai fini dei

risultati. Questi modelli organizzativi potrebbero essere molto utili per

l’organizzazione e lo sviluppo della Riabilitazione Cardiologica.

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