ruolo dl coordinatore infermieristico

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Aggiornamento ECM/FVG Collegio IPASVI di Gorizia “Conoscere per crescere” L’evoluzione degli studi infermieristici come momento di crescita professionale 1 COLLEGIO PROVINCIALE INFERMIERI PROFESSIONALI ASSISTENTI SANITARI – VIGILATRICI D’INFANZIA di Gorizia Aggiornamento ECM/FVG “CONOSCERE PER CRESCERE” L’evoluzione degli studi infermieristici come momento di crescita professionale “LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE PER LA SICUREZZA DEGLI ASSISTITI. RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO IN UN’OTTICA DI QUALITA’” Relatori: Gloria MORETTO Andrea GARDINI Edi Maurizio FEDEL Gorizia 8 maggio 2006 Monfalcone 9 maggio 2006

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“LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE PER LA SICUREZZA DEGLI ASSISTITI. RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO IN UN’OTTICA DI QUALITA’”

Transcript of ruolo dl coordinatore infermieristico

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L’evoluzione degli studi infermieristici come momento di crescita professionale

1

COLLEGIO PROVINCIALE INFERMIERI PROFESSIONALI

ASSISTENTI SANITARI – VIGILATRICI D’INFANZIA

di Gorizia

Aggiornamento ECM/FVG

“CONOSCERE PER CRESCERE”

L’evoluzione degli studi infermieristici come momento di crescita professionale

“LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE PER LA SICUREZZA DEGLI ASSISTITI.

RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO IN UN’OTTICA DI QUALITA’”

Relatori:

Gloria MORETTO

Andrea GARDINI

Edi Maurizio FEDEL

Gorizia 8 maggio 2006

Monfalcone 9 maggio 2006

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1. I concetti della Qualità nell’assistenza sanitaria “La qualità dell’assistenza sanitaria è il grado in cui i servizi sanitari per gli individui e le popolazioni aumentano la probabilità di raggiungere i risultati desiderati in termini di salute e sono coerenti con le migliori conoscenze professionali” La qualità dell’assistenza sanitaria può essere concepita come un sistema di elementi misurabili ed in interazione continua tra di loro, che dipendono in varia misura dalla sussistenza nel contesto di determinati prerequisiti e valori sociali (pace, democrazia, legalità, PIL, livello di scolarizzazione), ma anche valori sociali di tipo gestionale (come ad es. la trasparenza nelle procedure amministrative), individuali (competenza, onestà) e generali (etica, equità), ma che, nel singolo atto assistenziale o in una sequenza logica di atti assistenziali, hanno una dignità propria che deriva dalla loro misurabilità attraverso criteri esplicitabili. Tali componenti sono: a) l’efficacia teorica (efficacy), b) l’efficacia pratica (effectiveness), c) l’efficienza (efficiency), d) l’adeguatezza (adequacy), e) l’appropriatezza, f) l’accessibilità (accessibilità), g) la compatibilità o sostenibilità (affordability), h) la continuità (continuity), i) l’accettabilità (acceptability), j) la soddisfazione (dell’utente e dell’operatore), k) la comunicazione (interna ed esterna), l) la sicurezza. a) L’efficacia teorica L’efficacia è la capacità di un intervento di raggiungere l’obiettivo atteso (dal latino ex + facere = fare del tutto). Secondo Vuori l’efficacia teorica (efficacy) è: “il rapporto tra quanto è possibile fare in teoria e quanto viene fatto in condizioni ideali”. L’Ufficio per il Technology Assesment del Congresso degli Stati Uniti d’America definisce l’efficacy come: “la probabilità che gli individui di una determinata popolazione ottengano un beneficio da una tecnologia medica applicata per un determinato problema di salute nelle sue condizioni ideali d’uso” (intendendo per tecnologia medica i farmaci, i presidi, le procedure clinico-assistenziali utilizzati nell’assistenza sanitaria, i sistemi organizzativi e di supporto all’interno dei quali l’assistenza viene fornita). b) Lo stesso Ente definisce l’ efficacia nella pratica (effectiveness) come: “la probabilità che individui di una determinata popolazione traggano beneficio da una tecnologia medica applicata nelle consuete condizioni d’uso”. L’efficacia pratica delle prestazioni sanitarie sarà quindi tanto maggiore quanto minore sarà lo scarto fra gli obiettivi (intesi come gli effetti attesi delle cure) ed i risultati delle cure (outcome). Gli obiettivi dei servizi sanitari e sociali dovrebbero essere sempre esplicitati in termini generali e specifici. Gli obiettivi generali sono indicati nel mandato dei servizi e sono generalmente espressi in maniera molto generica (es.: promuovere la salute). Il mandato (o mission) di un’organizzazione sanitaria è dato dall’insieme dei suoi obiettivi generali definiti da norme, direttive, ingiunzioni emanate da autorità sovraordinate all’organizzazione stessa. Il mandato definisce il campo di operatività dell’organizzazione (mentre con il termine vision si intende la cornice di valori e significati cui fa riferimento una specifica organizzazione). Gli obiettivi specifici vengono per lo più stabiliti in base a decisioni autonome degli opera-tori e dovrebbero, nel loro insieme concorrere alla realizzazione degli obiettivi generali.

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Si tratta di quegli obiettivi che gli operatori definiscono per affrontare sia i problemi esterni (i bisogni e la domanda pertinenti al mandato) che i problemi interni (cioè problemi strutturali tecnici, gestionali e sociali che di continuo devono essere individuati e affrontati). Gli obiettivi specifici non possono essere confusi con gli obiettivi del mandato, in quanto essi rappresentano il frutto dell’interpretazione del mandato da parte dei dirigenti dell’organizzazione alla luce delle valutazioni di opportunità/necessità (derivanti dall’analisi del contesto, dei bisogni e della domanda) e delle valutazioni di fattibilità (riferite alle risorse reali della struttura). Un buon obiettivo specifico deve soddisfare i criteri di: o pertinenza al problema da affrontare e al ruolo dell’agente, o chiarezza e precisione nella formulazione, o valutabilità mediante l’indicazione di criteri, indicatori, livelli di accettabilità, o realizzabilità nel contesto dato, con le risorse disponibili, o rilevanza rispetto al problema, o eticità. La bassa efficacia pratica degli interventi sanitari risiede in gran parte nella mancata traduzione degli obiettivi generali in quelli specifici. La valutazione di qualità di qualunque servizio richiede anche l’analisi dei suoi obiettivi specifici, delle loro qualità intrinseche e della loro congruenza con gli altri fattori organizzativi. L’efficacia delle prestazioni In sanità le prestazioni di un servizio sono prodotti immateriali (ad esempio la raccolta dati infermieristica, la gestione del monitoraggio emodinamico, la consulenza infermieristica, ecc.) o derivati da essi (documentazioni, ricette, autorizzazioni amministrative, ecc.) forniti direttamente dagli operatori ai cittadini utenti. Secondo il modello di analisi organizzativa sistemica le prestazioni sono sottoinsiemi omogenei dei processi operativi, caratterizzati essenzialmente dal fatto che in ogni prestazione è compreso il rapporto diretto operatore/utente. Le prestazioni di un servizio o di un operatore non devono essere confuse con gli esiti esterni ad esse ascrivibili: un servizio sanitario non produce direttamente salute, ma produce vari tipi di prestazioni e, attraverso queste può contribuire a produrre salute. Dalla confusione tra prestazioni ed esiti (cioè tra mezzi e fini) e dalla maggiore facilità di attribuzione causale delle prestazioni deriva la naturale conseguenza che i servizi vengono di solito valutati in base al numero ed al tipo di prestazioni invece che al grado di realizzazione degli obiettivi. Per un servizio è indispensabile registrare accuratamente tutte le prestazioni per poter effettuare periodicamente “valutazioni di processo” e per poter impostare correttamente studi valutativi sui risultati. Ogni servizio dovrebbe anche dichiarare tutte le prestazioni che è in grado di offrire, illustrandole una per una e mettendole a disposizione degli utenti. L’attuale e diffuso orientamento gestionale che promuove esclusivamente l’incoraggiamento delle prestazioni in sanità, svincolato da una seria analisi dei bisogni della popolazione assistibile dovrebbe essere sostituito da un’analisi del “prodotto” – il surplus di salute indotto dall’organizzazione sanitaria – per determinarne la congruenza con le attese sociali, gli obiettivi e le risorse impiegate. All’interno di questo processo valutativo sta l’analisi delle prestazioni, della loro congruenza con gli obiettivi e del loro rapporto con gli esiti attesi o misurati. Il modello di analisi organizzativa, secondo Vaccani, rende evidente che le classi di “esiti” dell’azione di un servizio sanitario sono identiche alle classi di possibili obiettivi dello stesso servizio. Dal “Piccolo Dizionario della Qualità” (3): “Classi di possibili obiettivi/risultati di un servizio sanitario e sociale: 1. inerenti al servizio e riferibili a miglioramenti di:

• struttura • qualità delle procedure • qualità dei processi tecnici e delle prestazioni • qualità dei processi gestionali • qualità dei processi sociali • qualità degli obiettivi specifici

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• soddisfazione degli operatori • carriera degli operatori

2. esterni: • riduzione dei rischi per la salute e per l’ambiente • riduzione dei danni per la salute e per l’ambiente • modificazione di fattori ad effetto indeterminato sulla salute e sull’ambiente • aumento della cultura specifica degli assistiti • soddisfazione degli utenti • partecipazione degli utenti • migliore immagine del servizio • migliori input del servizio.

In campo sanitario si tende a considerare esito solo ciò che è connesso alle condizioni di benessere della persona assistita o della popolazione. In realtà per tutte le classi riportate in questo schema possono essere definiti presisi obiettivi specifici utilmente perseguibili, e, di conseguenza, i risultati esplorabili, cioè gli esiti, possono appartenere a tutte le classi indicate”. c) l’efficienza Dal Piccolo Dizionario della Qualità: “Il giudizio di efficienza può essere formulato secondo due approcci diversi: o quando si esprime come rapporto tra risultati e risorse si configura come un giudizio comparativo circa

la capacità di un servizio di produrre gli stessi risultati con minore consumo di risorse ovvero di produrre migliori risultati a parità di risorse impegnate;

o quando si esprime come un rapporto tra prestazioni e risorse fa riferimento alla capacità di produrre prestazioni col minimo di risorse.

In un servizio l’equazione prestazione = risultato, pur parzialmente valida in alcuni casi (indagini di laboratorio, diagnostica strumentale, atti amministrativi, ecc.), non lo è in tutti atri, cioè in quelli che afferiscono al core del servizio stesso, vale a dire quelli specificatamente sanitari (la visita medica, l’intervento chirurgico, i cateterismi, ecc.). In tutti questi casi il giudizio di efficienza dovrebbe chiamare in causa il rapporto tra risultati e risorse. Se si giudica l’efficienza delle prestazioni solo in rapporto alle risorse consumate si taglia completamente fuori il giudizio sulla loro qualità. Se invece si considera l’efficienza come rapporto tra risultati e risorse impegnate (risorse in senso lato, non solo costi) si può dire che è più efficiente il servizio che: • raggiunge il risultato atteso con un minor consumo di risorse, oppure • a parità di utilizzo di risorse si avvicina di più al risultato atteso. Così facendo nel giudizio di efficienza sarà anche incluso quello di senso, di finalità. E’ responsabilità etica di tutti gli operatori del servizio sanitario usare al meglio le risorse limitate a disposizione per raggiungere gli obiettivi di salute che ne costituiscono il mandato. Tale principio è previsto inoltre dal Codice Deontologico degli infermieri: nelle premesse, infatti, vi è affermato che: “il Codice Deontologico guida l’infermiere nello sviluppo dell’identità professionale e nell’assunzione di un comportamento eticamente responsabile”. Tra i principi etici (art. 2) si afferma che: “l’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l’uso ottimale delle risorse. In carenza delle stesse, individua le priorità sulla base di criteri condivisi dalla comunità professionale”. Nelle norme generali (art. 3): “l’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze valide ed aggiornate, così da garantire alla persona le cure e l’assistenza più efficaci”. Nei rapporti con le istituzioni (art. 6) “l’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce a determinare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti, l’equo utilizzo delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale” (4). d) adeguatezza Può essere definita come il rapporto tra i servizi disponibili e i bisogni della popolazione (5).

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Sono descritte quindi una componente numerica ed una componente che riguarda la distribuzione sul territorio. L’offerta adeguata di servizi sanitari dovrebbe essere commensurata ai bisogni di salute della popolazione e quindi basarsi sull’epidemiologia descrittiva, cioè su quella scienza che descrive una popolazione in base all’incidenza ed alla prevalenza delle malattie. e) l’appropriatezza Nella letteratura di questi ultimi dieci anni è possibile trovare almeno due significati del termine, entrambi relativi all’appropriatezza d’uso di strumenti che possano in qualche modo aiutare la società curante a trattare “meglio” gli esseri umani quando hanno problemi di salute: da una parte si tratta di appropriatezza del ricovero ospedaliero, dall’altra di appropriatezza dell’utilizzo delle procedure diagnostico-terapeutiche codificate dalla letteratura scientifica internazionale e dall’esperienza clinica.

Il dominio dell’appropriatezza sta nel campo del Technology Assessment e fornisce di continuo nutrimento sia all’attività pratica sui pazienti sia al suo monitoraggio continuo, garantendo una base per il suo altrettanto continuo miglioramento. L’appropriatezza si fonda sulle evidenze scientifiche, il cui “governo” deve essere patrimonio conoscitivo dei professionisti della sanità, assieme alle metodologie di valutazione delle fonti stesse. A livello operativo ogni professionista o gruppo di professionisti deve poi tradurre quella conoscenza in regole professionali condivise e adatte al luogo in cui si opera, nel senso della possibilità di applicazione in rapporto al contesto, alle risorse, al mandato. Il rigore nel rispetto di tali regole (protocolli operativi) non è obbligatorio, è frutto del consenso tra i professionisti, che non è automatico e dipende soprattutto dalle condizioni delle persone sulle quali queste regole vengono applicate: i pazienti sono molto di più di una semplice malattia ed hanno condizioni sociali, economiche, di salute, di cultura, che possono rendere difficile l’applicazione rigida di un protocollo terapeutico in ogni caso. f) l’accessibilità Secondo Vuori (5), l’accessibilità è “la possibilità dell’utente di usufruire del servizio di cui ha bisogno nel tempo e nel luogo più opportuni, in quantità sufficiente e ad un costo ragionevole”. Quantità e costi sono fattori strettamente correlati alla distribuzione dei servizi a quindi all’ “adeguatezza”, nella quale l’accessibilità può essere pertanto inclusa. In Italia questo principio è stato sancito dalla L. 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, in applicazione del dettato costituzionale. g) la compatibilità Concetto affine a quello di efficienza: per un paziente, in rapporto allo stadio della sua malattia e alle risorse presenti sul territorio che lo ospita, vanno scelte da parte dell’organizzazione sanitaria, le situazioni di cura più adatte alla sua condizione e meglio compatibili con le risorse della comunità. L’efficienza ha un aspetto di qualità statica, mentre la compatibilità è un concetto dinamico, interattivo con le situazioni di cura. h) la continuità (continuity) Concetto che richiede un adeguamento culturale epocale: mettere al centro del servizio sanitario la persona assistita. Garantire la continuità delle cure centrate sulla persona è un problema sia di gestione dei rapporti che della mancanza di strutture organizzative preposte. Ciò di cui va garantita la continuità è il processo di cura, attraverso l’attivazione dei clinical pathways (percorsi clinici o profili assistenziali), in via di sperimentazione in Italia nelle Marche e in Piemonte. i) l’accettabilità (acceptability) Variabile che attiene ai valori del contesto in cui l’assistenza sanitaria si muove o dei singoli cittadini che partecipano all’assistenza sanitaria (professionisti, pazienti, manager). L’accettabilità per i singoli, secondo Donabedian, proviene da almeno 5 proprietà dell’assistenza sanitaria: o l’accessibilità,

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o il rapporto operatore/paziente, o il contesto in cui avviene l’episodio di cura (comfort, pulizia, privacy, buon cibo), o le preferenze dei pazienti riguardo gli effetti delle cure, o le preferenze dei pazienti riguardo i costi delle cure. L’accettabilità ha anche una connotazione sociale: si parla in questo caso di legittimità (conformità alle preferenze sociali espresse nei principi etici, nei valori, nelle norme, nelle usanze e nei costumi, nelle leggi e nei regolamenti (6)). j) la soddisfazione (dell’utente e dell’operatore): “La qualità dal punto di vista del cliente è tutto ciò che il diretto beneficiario del servizio riesce a percepire come adatto ai propri bisogni ed aspettative” (7). Il punto di partenza per una programmazione dei servizi in un’ottica di qualità è quindi l’analisi del “mercato”, cioè le attività di ricerca sui bisogni di salute della popolazione costituente il bacino d’utenza dell’Azienda Sanitaria a livello generale. Da questa analisi devono emergere gli obiettivi generali, la visione strategica aziendale. Nel relativo livello di potere, il coordinatore infermieristico deve (dovrebbe) implementare la diffusione della cultura infermieristica fondata sui bisogni dei pazienti/utenti/clienti. I clienti, in un’istituzione sanitaria, non sono solamente le persone che necessitano di assistenza. Sono clienti anche i gruppi omogenei di pazienti, i gruppi costituiti dai loro famigliari, altri Enti o Istituzioni pubbliche (ad es. la scuola) o private (industria). L’approccio di qualità considera però allo stesso livello anche i cosiddetti clienti interni cioè tutti i singoli operatori o i servizi per i quali altri operatori o altri servizi lavorano in un determinato momento. Le logiche del cliente interno e del cliente esterno stravolgono completamente l’organizzazione centrata su obiettivi di salute: la precisa definizione nell’organizzazione dell’assistenza dei clienti interni e dei prodotti che ciascuno riceve dal proprio “fornitore”, elabora e fornisce al proprio cliente, è il fondamento della logica organizzativa per processi, che è a sua volta la base per i moderni processi riorganizzazione dell’assistenza (1). k) la comunicazione (interna ed esterna) La comunicazione è diventata ormai un elemento necessario di integrazione, di scambio e di nuova coesione, il contributo essenziale ad una diversa qualità del funzionamento organizzativo, il medium che collega ed orienta tutto il sistema. Impegnarsi nella pianificazione costringe a pensare in maniera analitica, basata su dati, ed a vagliare attentamente le alternative disponibili, cosa che migliora presumibilmente la qualità delle decisioni; mediante questo processo si massimizzano le opportunità e si minimizzano i rischi. L’identificazione dell’oggetto reale delle decisioni (strategiche – politica dell’organizzazione, obiettivi a lungo termine, gestionali – miglioramento delle prestazioni, operative – garanzia del funzionamento dei servizi) si ottiene sulla base delle informazioni. Per sistema informativo si intende il sistema che consente di avere a disposizione e di gestire l'informazione, vale a dire l’insieme delle persone, delle tecnologie e dei meccanismi operativi il cui compito è di produrre le informazioni che servono all’attività dell’azienda ed alla sua gestione. Lo scopo del sistema informativo è quello di fornire ad ogni componente dell’organizzazione tutte le informazioni di cui ha bisogno per il migliore svolgimento del suo mandato, nonchè tutte le informazioni rilevanti per la presa di decisioni (decision making). Il sistema informativo è costituito dall’insieme delle procedure di gestione dei dati, mentre il sistema informatico è lo strumento tecnologico per la gestione degli stessi. Le informazioni fornite devono essere articolate in modo da essere usufruibili e gestibili da parte di chi ne ha bisogno. In sintesi, il ruolo di base del sistema informativo non consiste nel fornire acriticamente il numero più elevato possibile di informazioni, ma nel fornire informazioni migliori in termini di selettività, di aggregazione e di facilità di gestione. I professionisti necessitano di: • Informazioni sul singolo paziente, accurate, complete, immediatamente disponibili. • Consultare le linee-guida e le conoscenze utili alla decisone clinica.

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• Informazioni per valutare l’efficacia e condurre un aggiornamento continuo (quello che, più avanti verrà descritto come “governo clinico”).

I pazienti vogliono: • Conoscere come si accede ai servizi. • Avere informazioni sulla propria condizione, sul trattamento e gli esiti. • Avere fiducia nelle abilità di chi li tratta. • Ottenere informazioni sanitarie personali accurate, complete e sicure. I managers vogliono: • Informazioni per sapere cosa funziona e cosa non funziona. • Informazioni rilevanti per valutare la salute della popolazione e verificarne le priorità dei servizi sanitari. • Informazioni accurate per identificare gli obiettivi e controllare l’uso delle risorse. Il pubblico vuole: • Ottenere informazioni affidabili sulla salute, sugli stili di vita corretti e di auto-aiuto. • Informazioni sul funzionamento dell’azienda. • Informazioni per influenzare e condividere la politica sanitaria (8). La qualità delle informazioni dipende dalla qualità dei dati di partenza e quindi da caratteristiche quali:

- completezza, - accuratezza ed esattezza, - tempestività, - destinazione (l’informazione è efficace se raggiunge chi la deve effettivamente utilizzare).

L’importanza di un sistema informativo efficace risiede nel fatto che la possibilità di prevedere gli eventi o di controllarli meglio consente una pianificazione adeguata agli obiettivi aziendali e, inoltre, il controllo adeguato dei processi di cui si è responsabili è possibile solamente se si possiedono rappresentazioni reali delle realtà governate. 3. La sicurezza Nel corso dell’ultimo congresso dell’ISQuA (International Society for Quality Assurance, Parigi, novembre 2002), la sicurezza è stata definita come un prerequisito della qualità:

• un sistema efficace di cure conosce e prevede al massimo grado possibile gli eventi collaterali che possono occorrere nel corso di un trattamento sia ai pazienti che agli operatori;

• un sistema efficiente di cure pone la sua attenzione anche alla tempestività delle stesse, per limitare al massimo i ritardi che possono determinare danni alle persone che hanno bisogno di essere trattate presto e bene;

• un sistema di cure appropriate si adopera affinché le persone siano trattate nel luogo migliore per i loro bisogni assistenziali, per il periodo e con i trattamenti più adatti alla loro condizione;

• un sistema di cure adeguate garantisce che l’insieme della popolazione non debba soffrire per la mancanza di servizi e sia fornita da persone preparate allo scopo;

• un sistema che cura la continuità assistenziale fa in maniera che non ci siano dei dannosi vuoti nel passaggio del paziente da un regime assistenziale ad un altro, curando la comunicazione efficace fra i diversi soggetti che sovrintendono ai diversi regimi per la progettazione comune degli eventi assistenziali da offrire a categorie di persone con dei bisogni assistenziali e per una precisa definizione dei loro ruoli nel processo assistenziale;

• un sistema di cure genera soddisfazione dei pazienti e degli operatori se, prima di tutto, non causa danni agli uni ed agli altri.

La sicurezza, quindi, o meglio, l’attenzione a non nuocere, è una caratteristica profondamente radicata nella cultura delle professioni di aiuto:

• “primum non nocere” • “nell’agire professionale l’infermiere si impegna a non nuocere, …” (4).

La letteratura sulla sicurezza in sanità è costituita da un corpus di conoscenze molto ampio che si può dividere in due filoni importanti: a) la sicurezza per gli operatori, corpus dottrinale e normativo che fa capo al D.Lgs 626/1994 e succ.

integrazioni, che non è oggetto di discussione di questa tesi, e b) la sicurezza per gli assistiti. Il tema della sicurezza degli assistiti rientra nella più ampia dimensione del “governo clinico”.

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4. Il Governo Clinico Il governo clinico si colloca nel più ampio contesto della corporate governance, termine con il quale si indicano le condizioni che assicurano o dovrebbero assicurare che il potere di gestione dell’azienda sia correttamente esercitato in funzione dei legittimi interessi istituzionali (Del Vecchio, 1998). Il governo clinico consiste quindi nell’insieme di strumenti con i quali l’organizzazione assicura l’erogazione

di assistenza sanitaria di qualità, responsabilizzando i professionisti sanitari sulla definizione, il mantenimento e il monitoraggio di livelli ottimali di assistenza, e si prefigge di assicurare interventi sanitari

efficaci ed appropriati nonchè le modalità necessarie ad implementarli. In particolare prevede: a) programmi di miglioramento della qualità

• individuazione delle linee di responsabilità nella qualità delle cure; • partecipazione dei professionisti a programmi di audit; • ricorso alla pratica basata su prove di efficacia; • attivazione di programmi di formazione e sviluppo professionale coerenti con i principi del governo

clinico; • produzione di report sulla qualità delle cure cliniche.

b) gestione dei rischi • garanzia dei controlli per la promozione dell’autovalutazione per individuare precocemente aree di

scarsa performance assistenziale; • attivazione di programmi di identificazione e gestione degli eventi avversi; • attivazione di programmi dei gestione dei reclami dai quali trarre stimolo per processi di

miglioramento.

Elementi fondamentali del governo clinico: a) il monitoraggio dei processi assistenziali e la valutazione sistematica e continuativa dei risultati finali

dell’assistenza prestata (la natura complessa dell’attività clinica e dell’assistenza sanitaria ad essa collegata impongono una alta autonomia professionale).

b) L’impegno al miglioramento continuo della qualità tecnic/professionale dell’assistenza (responsabilità

professionale, il cui fondamento consiste nella identificazione e nell’approvazione del ruolo assunto da parte di ciascun professionista).

Identificazione delle responsabilità:

L’infermiere è responsabile delle scelte tecniche, relazionali ed educative del paziente a lui assegnato e di essere in grado in ogni momento di dimostrare l’eccellenza e l’appropriatezza di tali scelte specificando e controllando le opportune evidenze scientifiche.

L’Organizzazione Sanitaria è responsabile di: o Erogare prestazioni di alta qualità e essere in grado di dimostrarla con la formulazione ed il controllo

delle caratteristiche del sistema di assistenza. o Assicurare che i clinici e i professionisti possano adempiere alla propria responsabilità.

Gli strumenti del governo clinico In tale contesto si collocano quali principali strumenti:

o l’audit clinico; o la gestione del rischio clinico; o la ricerca e lo sviluppo; o i programmi di formazione e “supervisione clinico-assistenziale”; o l’assistenza sanitaria basata sulle evidenze o prove di efficacia (appropriatezza); o tempestività e continuità delle cure; o la comunicazione efficace;

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o le indagini sul gradimento dei servizi resi da parte dei loro utilizzatori; o la sicurezza.

5. L’Audit clinico Il termine audit indica un processo che tende al miglioramento della qualità e degli esiti dell’assistenza attraverso una revisione tra pari strutturata, per mezzo della quale si esaminano la propria attività ed i propri risultati a confronto con standard espliciti e si apportano le eventuali necessarie modifiche. Il processo di audit clinico prevede una check list adattata dal National Centre for Clinical Audit (ora parte del NICE, National Institute for Clinical Exellence) che fornisce 18 criteri come guida per una buona pratica nell’ambito dell’audit clinico.

Audit Clinico: o Misurazione e valutazione continua da parte dei professionisti sanitari di come abbiano raggiunto gli

standard prefissati (livelli di performance). o Potenziamento dell’uso delle informazioni cliniche per il monitoraggio qualità assistenza.

o Strumento per ridurre il rischio di eventi avversi che insorgono durante l’assistenza sanitaria, attraverso una sistematica valutazione, revisione e ricerca dei mezzi per prevenirne la comparsa (apprendimento

dagli errori).

Il valore che ne può derivare per l’organizzazione professionale è notevole, in quanto:

• verifica l’aderenza dei professionisti alla cultura della buona pratica; • sviluppa la ricerca delle evidenze per la definizione degli standard; • sviluppa il confronto tra professioni; • sviluppa il confronto tra contesti organizzativi.

6. La sicurezza per gli assistiti Recenti tendenze evolutive hanno evidenziato un vertiginoso incremento della dinamica conflittuale tra pazienti e relative associazioni, professionisti della sanità e strutture sanitarie. Si tratta di un fenomeno che riconosce una molteplicità di fattori causali: • maggiore sensibilità dei pazienti e consapevolezza dei propri diritti; • prevalenza della “cultura del risarcimento” su quella della collaborazione e del consenso nei confronti

del cittadino; • immagine eccessivamente felice della medicina, che crea aspettative miracolistiche di cura e guarigione; • crescente sensibilizzazione della magistratura verso la tutela dei diritti dei cittadini e, in primo luogo,

della salute degli stessi (art. 32 C), con conseguente ampliamento dell’area di responsabilità dei sanitari; • crescita costo dei sinistri a seguito dell’introduzione del danno biologico e morale nella valutazione del

danno alla persona; • inserimento degli infermieri tra le figure professionali destinatarie di procedimenti civili e/o penali (DPR

739/1994 e L. 42/1999).

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In questo contesto si inserisce il mondo dei professionisti della sanità, che ha scarsamente sviluppato ed esplicitato le forme di autoregolazione ed autocontrollo, in quanto fortemente autoreferenziale e che, tuttavia, in una cultura fortemente accusatoria, tende ad attivare meccanismi di difesa piuttosto che analizzare gli errori come base di miglioramento del proprio esercizio professionale. La questione sicurezza è rilevante anche per il management, non solo per i professionisti. Ad oggi la maggioranza delle aziende sanitarie ha considerato l’aspetto della sicurezza in senso tradizionale, cioè orientato alle dimensioni prevalentemente strutturali, affidando a figure specifiche (il Responsabile della Sicurezza per i Lavoratori, l’ingegnere clinico) la responsabilità della sicurezza e attivando, nell’ambito del rischio clinico, un approccio amministrativo al problema, limitandosi alle coperture assicurative. I sistemi di gestione per la sicurezza ambientale, gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, pur se assolutamente necessari, devono affiancarsi ad un sistema di gestione del “rischio clinico” come identificazione, valutazione e gestione degli eventi e delle azioni che possono diminuire la capacità delle organizzazioni di raggiungere i propri obiettivi.

Il problema è quindi l’assenza nelle aziende sanitarie di una strategia in grado di ricondurre la gestione del rischio clinico in una visione più ampia,

che coinvolga analisi e revisione complessive dei processi assistenziali. 7. Approccio integrato al Risk Management Il tema della sicurezza del paziente deve rientrare tra gli obiettivi prioritari delle politiche sanitarie. Viene affrontato sia nel percorso dell’accreditamento istituzionale sia nell’ambito del governo clinico. Il processo di gestione del rischio si esplicita nelle attività cliniche, amministrative e gestionali allo scopo di: 1) ridurre il rischio di danni verso pazienti e operatori, e 2) ridurre il rischio di perdite economiche e costi evitabili per l’azienda. Il Risk Management può essere definito in vario modo, in funzione del punto di osservazione: 1. attività coordinate per gestire un’organizzazione con riferimento ai rischi. Tipicamente include la

valutazione, il trattamento, l’accettazione e la comunicazione del rischio (Guida ISO/IEC, 2001: norma concepita come strumento di business operativo e strategico, in grado di sostenere qualsiasi organizzazione nella gestione di tutti i rischi minimizzando le spese e ottimizzando le opportunità generate da tali rischi);

2. attività di identificazione, analisi e controllo, anche economico, dei rischi che possono minacciare gli equilibri o modificare le capacità produttive di un’impresa (Cosmi e Del Vecchio, 2003);

3. insieme di risposte organizzate e continue in tema di sicurezza e qualità per l’identificazione e la prevenzione degli errori e dei rischi di errore (Vincent, 2001);

4. Clinical Risk Management: insieme di strumenti finalizzati a sviluppare una buona pratica clinica e a ridurre l’incidenza degli eventi dannosi (Royal College of Nursing, 2000).

Gli ambiti che sono direttamente controllabili nella gestione dei rischi clinici sono: 1. le caratteristiche dell’utenza: si è ormai consolidato il principio secondo cui al paziente è dovuta la

massima informazione, per porlo in grado di collaborare al bilancio rischio-beneficio dei trattamenti attesi. Da ciò deriva che, se l’errore si realizza ed il paziente viene leso, sono quattro le cose che il paziente stesso ed i suoi familiari reclamano:

• l’ammissione dell’errore; • l’ammissione delle responsabilità; • le scuse sentite; • la garanzia che la lezione appresa possa impedire il riverificarsi dell’evento (Vincent et

al., 2004). 2. il comportamento e le caratteristiche del singolo operatore: componente potenzialmente controllabile in

termini di prevenzione del rischio, richiamando alcuni principi generali che sottendono il comportamento umano e la genesi degli errori.

Gli errori avvengono perché i processi mentali per attivare una buona prestazione sono sottoinformati per diverse cause: a) il soggetto ha cognizione del risultato o scopo da realizzare e la pianificazione è adeguata allo scopo, ma

compie un’azione che non corrisponde al piano; si tratta di errori di esecuzione (definiti anche slips),

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compiuti durante l’esecuzione di comportamenti abituali (ad es. somministrazione di un farmaco ad un paziente sbagliato durante il giro terapia, attività routinaria), l’azione non è allineata alle intenzioni;

b) il soggetto crede di avere la cognizione o lo scopo da realizzare ma la pianificazione è inadeguata allo scopo e compie un’azione che corrisponde al piano; si tratta di errori di programmazione (definiti anche mistakes, ad es. giusto paziente ma diluizione sbagliata);

c) il soggetto sa di non avere la cognizione dell’azione, non è sicuro di quello che sta facendo; si tratta di errori di cognizione, errori non commessi durante l’azione pratica in quanto si sviluppano durante processi di pianificazione di strategie: l’obiettivo non viene raggiunto perché le tattiche adottate non lo permettono e possono essere di due tipi: ruled- o knowledge- based.

d) Violazioni sono quegli errori secondari ad azioni che vengono eseguite anche se ciò è formalmente impedito da un regolamento o una direttiva (es. ridotti tempi di sterilizzazione di strumenti endoscopici).

Pur non eliminando le componenti legate ai fattori individuali (comportamenti scorretti che scaturiscono da stati mentali alterati, come distrazione, dimenticanza, demotivazione, inesperienza, negligenza), gli errori sono cause e conseguenze in termini di prodotto e interazione di molteplici circostanze latenti (elementi riguardanti le condizioni organizzative, i modelli di organizzazione del lavoro, di comunicazione interna, l’insieme del contesto organizzativo). Pertanto, concentrando l’origine dell’errore esclusivamente sull’individuo, si isolano le azioni negative dal contesto: in questo modo le stesse situazioni continuano a produrre lo stesso tipo di errore, indipendentemente dalle persone coinvolte.

I professionisti possono acquisire competenza mediante l’indirizzo ed il sostegno nello sviluppo professionale, individuando precocemente le aree di scarsa performance o di carenza di conoscenze, ma

l’ambito che dovrà essere ugualmente controllato è quello costituito dall’insieme delle variabili organizzative, vale a dire le dotazioni strutturali e tecnologiche, i meccanismi operativi, le condizioni di lavoro.

L’importanza di superare l’approccio individuale, che considera l’errore associato esclusivamente all’atto individuale, rende opportuno orientarsi all’approccio al sistema. 8. La sicurezza dei pazienti nel sistema

OMS In seno all’OMS, nell’ottobre 2004, è stata attivata la World Alliance for Patient Safety, passo significativo nella lotta per il miglioramento della sicurezza delle cure in tutti i Paesi membri. Le principali funzioni di questa nuova organizzazione sono: 1. Supportare lo sviluppo delle politiche e delle pratiche sulla sicurezza dei pazienti, 2. Mettere in grado i Paesi di valutare i loro progressi nella sicurezza, 3. Global reporting, 4. Sviluppo di soluzioni, 5. Ricerca, 6. Membership.

Documento ESQH

L’ESQH (European Society for Quality in Health Care) ha recentemente prodotto un documento, la Carta della sicurezza del paziente (Paper on Patient Safety) che rappresenta una sorta di chiamata alle armi per tutte le parti in gioco nella sicurezza del paziente. Focalizzare l’attenzione sulla sicurezza dei pazienti è essenziale per stabilire una cultura della sicurezza attraverso l’intero sistema sanitario, al fine di rendere coscienti tutti gli attori del sistema su dove, quando e come evitare gli errori e gli eventi avversi. I Paesi europei si trovano attualmente ad un diverso livello di implementazione della sicurezza dei pazienti nei relativi sistemi assistenziali, i quali spesso riportano eventi avversi simili e spesso richiedono lo stesso tipo di soluzioni: una metodologia armonica per lo sviluppo e l’implementazione dei sistemi per la sicurezza dei pazienti deve attraversare i confini nazionali e richiede un sostanziale expertise, risorse, ricerca e scambio di informazioni attraverso i Paesi europei. La sicurezza de pazienti è un importante argomento per migliorare sia la qualità dei trattamenti che la sostenibilità finanziaria del settore sanitario.

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Il documento prodotto chiama l’unione Europea e gli stati membri all’azione per affrontare l’argomento sicurezza del paziente lavorando continuamente insieme e coniugando gli sforzi, costruendo, sulla base della Dichiarazione sulla Sicurezza del paziente di Lussemburgo il lavoro del Consiglio d’Europa, della WHO Alliance for Patient Safety ed altri progetti europei sulla sicurezza come il SimPatIE ed il MARQuIS (10).

Dichiarazione di Lussemburgo L’accesso a cure di elevata qualità è un diritto chiave riconosciuto e valutato dall’Unione europea, dalle sue Istituzioni e dai suoi cittadini. In accordo a questo, i pazienti hanno il diritto di aspettarsi che ogni sforzo sia fatto per assicurare la loro sicurezza come utilizzatori di tutti i servizi sanitari. Background Il settore della salute è un’area ad alto rischio in quanto gli eventi avversi dipendenti dai trattamenti possono causare la morte, seri danni, complicazioni e sofferenze dei pazienti. Sebbene molti ospedali e struttura sanitarie hanno messo in atto procedure per assicurare la sicurezza dei pazienti, il settore sanitario, nella sua globalità, è rimasto indietro rispetto il settore industriale che ha introdotto procedure sistematiche per la sicurezza e la certificazione della qualità. Il settore della salute dovrebbe quindi essere ridisegnato in modo tale che gli errori e gli eventi avversi possano essere evitati, prevenuti o contenuti nelle manifestazioni e che si verifichi una compliance con le procedure di sicurezza. Il primo passo da fare è quello di stabilire una cultura della sicurezza del paziente attraverso l’intero settore sanitario. Il Risk Management deve essere introdotto come uno strumento di routine e la precondizione per questo è la costituzione di un ambiente di lavoro aperto e fiducioso caratterizzato da una cultura basata anche sull’apprendimento dagli errori e non sulla colpevolizzazione e successiva punizione. Un sistema sanitario che causa danni ai pazienti impone pesanti oneri alla società: investire sulla sicurezza genera quindi risparmi nei costi, oltre che ovvi benefici ai pazienti. Focalizzarsi sulla sicurezza fa evitare di trattare i pazienti esposti agli eventi avversi e al relativo impiego di risorse, oltre che ai costi che si sostengono per i reclami ed i relativi risarcimenti. In modo ancor più importante, la sicurezza dei pazienti contribuisce all’aumento della rispettiva qualità di vita. Al fine di raggiungere questi obiettivi, la cultura della sicurezza deve essere significativamente rafforzata a vari livelli. Azioni da prendere a livello europeo a) Allo scopo di raggiungere la sicurezza del paziente attraverso la condivisione delle conoscenze e l’integrazione delle relative problematiche in tutte le decisioni e le azioni nel campo della salute, si raccomanda che la Commissione Europea avvii una Task Force cui partecipino i più rilevanti stakeholders in campo sanitario e la cui mission consiste in: • supporto ai governi nazionali nella creazione e sviluppo di sistemi sanitari sicuri nell’ambito della

politica EU; • definire obiettivi SMART (Specific, Measurable, Attainable, Reasonable e Time-bound, come ad es. gli

obiettivi annuali National Patient Safety Goals - US JCAHO); • incoraggiare azioni concrete in modo coordinato; • incoraggiare la ricerca sulla sicurezza dei pazienti tra i paesi europei; • incoraggiare azioni concrete da parte di tutti gli attori, compresa l’industria e altri stakeholders, per lo

sviluppo di soluzioni per migliorare la sicurezza, • rendere possibile la condivisione delle conoscenze e lo scambio di esperienze. Per raggiungere tali obiettivi la Task Force deve sviluppare le seguenti azioni: 1. lavorare assieme al WHO Alliance for Patient Safety sulla comprensione comune delle questioni sulla

sicurezza ed unire le rispettive risorse per l’empowerment dei pazienti, per stabilire la tassonomia della sicurezza dei pazienti, per la ricerca, per cercare soluzioni e per aiutare a sviluppare il sistema di reporting e l’apprendimento.

2. stabilire una banca europea delle soluzioni, con esempi di best practice e standards, da costruire su ricerche esistenti (ad es. i progetti SimPatIE e MARQuIS), trasformando il database Simpatie in una risorsa web e costruendo un database comune per gli indicatori di eventi sentinella di errori iatrogeni e violazioni.

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3. assicurare che le regolamentazioni europee relative a prodotti e servizi sanitari siano effettuati tenendo conto della sicurezza dei pazienti;

4. sviluppare guide di best practice nella preparazione e somministrazione dei farmaci in ospedale, includendo l’analisi dei punti critici per l’insorgenza degli errori e l’identificazione di come gli errori possono essere evitati.

5. incoraggiare lo sviluppo di standard internazionali per la sicurezza e la performance della tecnologia medica (avvertenze chiaramente leggibili, istruzioni chiare e disponibili in formato elettronico, ecc.);

6. assicurare che la struttura normativa europea protegga la privacy dei dati del paziente e, allo stesso tempo, fare in modo che dati rilevanti siano prontamente disponibili per i professionisti della salute (uso delle carte elettroniche per il monitoraggio dei percorsi clinici, coordinare consultazioni con i professionisti per stabilire di quali informazioni essi hanno bisogno).

7. stimolare una conferenza internazionale sulla sicurezza dei pazienti; 8. raccogliere e aggiornare le informazioni relative alla sicurezza al fine di pubblicarle in un web-site. Azioni da promuovere a livello nazionale Le autorità nazionali devono promuovere la cultura della sicurezza in quanto essa è il pre-requisito principale per l’implementazione dei sistemi di incident reporting, per stabilire una collaborazione tra pazienti e professionals, per sviluppare efficaci sistemi di reclami e risarcimento danni e, in generale, le misure di sicurezza dei pazienti. Le varie strutture normative nazionali dovrebbero essere comparate a livello europeo e le azioni da intraprendere possono essere sintetizzate in: 1. mettere i pazienti/utenti in grado di avere l’accesso alle informazioni sulla propria salute in un formato

accessibile mediante: - la formulazione di linee guida basate sulle carte dei diritti dei pazienti già esistenti; - promozione dell’accesso alle informazione mediante un portale elettronico (eHealth); - adozione della campagna WHO Alliance for Patient Safety – SPEAK UP e lavorare attivamente per lo

sviluppo di questo programma; - Assicurarsi che i pazienti comprendano pienamente i loro trattamenti: è noto che i pazienti informati

salvaguardano meglio la propria salute. 2. supportare il sistema nazionale di rilevazione degli incidenti, degli eventi avversi e dei near misses,

mediante: - identificazione dei prerequisiti per un sistema di reporting efficace tramite la comparazione dei sistemi

esistenti; - verificare e dimostrare la complementarietà di altre fonti di dati (es. tribunale dei diritti dei malati), - introdurre il risk management come routine, ad esempio sviluppando linee guida ed indicatori come parte

integrante di un sistema di valutazione della qualità; 3. costruire la struttura di un sistema integrato di gestione dei rischi che, secondo le indicazioni del

Consiglio d’Europa, deve comprendere: - il sistema di incident reporting, - il sistema di reclami, - il sistema di risarcimento danni, - un organismo di supervisione per i professionisti della salute. 4. ottimizzare l’uso della nuova tecnologia sanitaria da parte dei professionisti soprattutto nei campi della

gestione dei farmaci, delle prescrizioni elettroniche, del sistema di “supporto alle decisioni”, dei report elettronici e della telemedicina, promuovere le applicazioni della telemedicina con il supporto delle telecomunicazioni satellitari nelle aree remote; promuovere gli ambienti di e-learning.

5. stabilire e sviluppare forum nazionali sulla sicurezza dei pazienti. 6. Salvaguardare le condizioni di lavoro per tutti i professionisti della salute. 7. assicurare, riconoscere e supportare un training adeguato per gli utilizzatori di nuove tecniche e

tecnologie sanitarie. 8. Includere la sicurezza dei pazienti nelle competenze da sviluppare nell’educazione continua dei

professionisti sanitari (le raccomandazioni del Consiglio d’Europa enfatizzano l’educazione alla sicurezza a tutti i livelli del sistema di cura) con metodi integrati e procedure incardinate in una cultura di continuo apprendimento e miglioramento.

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9. Stimolare l’empowerment dei pazienti/cittadini nel campo della sicurezza mediante l’avvio di campagne per la consapevolezza del ruolo dei pazienti nel creare sicurezza, la collaborazione con i mass media per costruire una partnership con i rappresentanti dei cittadini/pazienti sulla materia della sicurezza.

Azioni da intraprendere a livello locale dai singoli professionisti Le azioni e le iniziative a livello degli operatori sanitari e delle organizzazioni sanitarie che devono essere pianificate: 1. implementazione di progetti nelle unità operative focalizzati sulla sicurezza dei pazienti/utenti e di una

cultura aperta per gestire errori ed omissioni in modo efficace. 2. Iniziare una cooperazione tra pazienti (e/o chi si prende cura di loro) e professionisti per renderli

consapevoli dei near misses e degli eventi avversi. 3. Stabilire sistemi di incident reporting all’interno delle organizzazioni che devono essere utilizzati da tutti

gli operatori coinvolte nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, a tutti i livelli, per crescere professionalmente e culturalmente dalle esperienze di eventi avversi. I dati provenienti da questi sistemi devono essere utilizzati in aggiunta a quelli provenienti dai sistemi di report dei reclami e dei risarcimenti danni.

Contesto: Piano Sanitario nazionale 2003 – 2005

…Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanità e la salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti). Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione internazionale. A questi principi il Piano Sanitario Nazionale intende ispirarsi, proponendo azioni concrete e progressive per la loro attuazione, dal momento che è compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. … 6) Sicurezza. Il principio moderno di ”Primum non nocere” significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina. 1.2. Dalla sanità alla salute: la nuova visione ed i principi fondamentali La nuova visione della transizione dalla “sanità” alla “salute” è fondata, in particolare, sui seguenti principi essenziali per il Servizio Sanitario Nazionale, che rappresentano altresì i punti di riferimento per l’evoluzione prospettata: - il diritto alla salute; - l’equità all'interno del sistema; - la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti; - la dignità ed il coinvolgimento “di tutti i cittadini”; - la qualità delle prestazioni; - l’integrazione socio-sanitaria; - lo sviluppo della conoscenza e della ricerca; - la sicurezza sanitaria dei cittadini. La sicurezza sanitaria dei cittadini è stata messa in evidenza in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti connessi al terrorismo. La sanità di questi anni non può quindi prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e prevenzione, nonché ovviamente di cura degli eventuali danni. I 10 obiettivi del piano sanitario 2003-2005 2.3. Garantire e monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria e delle tecnologie biomediche Un obiettivo importante da perseguire nell’ambito del diritto alla salute è quello della qualità dell’assistenza sanitaria. E' la cultura della qualità che rende efficace il sistema, consentendo di attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell’utente.

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Sempre più frequentemente emerge in sanità l'intolleranza dell'opinione pubblica verso disservizi ed incidenti, che originano dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualità e che vanno dagli errori medici alle lunghe liste d’attesa, alle evidenti duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure codificate, agli evidenti sprechi. La qualità in sanità riguarda un insieme di aspetti del servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella umana, economica e clinica delle cure e va perseguita attraverso la realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia clinica, alla competenza professionale e tecnica, all’efficienza gestionale, all’equità degli accessi, alla appropriatezza dei percorsi terapeutici. Per l’aspetto umano, è opportuno che venga misurata anche la qualità percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un importante indicatore della soddisfazione dell’utente. Gli obiettivi strategici • promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento della qualità all’interno dei servizi per

la salute; • coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di informazione e formazione sulla qualità; • valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di definizione, applicazione e misurazione della

qualità; • promuovere la conoscenza dell’impatto clinico, tecnico ed economico dell’uso delle tecnologie, anche

con comparazione tra le diverse Regioni italiane; • mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle procedure diagnostico - terapeutiche ad

essi associati, con i relativi costi; • attivare procedure di bench-marking sulla base di dati attinenti agli esiti delle prestazioni.

Piano Sanitario Regionale 2005 La gestione del rischio clinico nelle strutture ospedaliere è una delle azioni prioritarie previste dal Piano Sanitario Regionale per il 2005 che prevede lo sviluppo di un programma organico di risk management negli ospedali della regione concentrato inizialmente nelle seguenti aree di attività:

- assistenza ostetrica e perinatale, - chirurgia generale di elezione, - chirurgia ortopedica di elezione, - procedure di distribuzione e somministrazione dei farmaci.

L’articolazione del programma prevede: - la predisposizione, a cura dell’ARS, di un programma unificato di rischio clinico, a partire da

programmi già esistenti di miglioramento della qualità assistenziale (infezioni ospedaliere, resistenze batteriche, lesioni da decubito, uso del sangue, terapia antalgica, esami preoperatori);

- l’identificazione all’interno di ciascun ospedale di una funzione di coordinamento di tutte le attività di risk management;

- il coinvolgimento degli operatori nella definizione di profili condivisi di accountability; - il coinvolgimento degli utenti/cittadini attraverso una revisione dell’attuale sistema di valutazione delle

proteste e lo sviluppo di modelli efficaci di comunicazione sulle attività di risk management; - la definizione di indicatori di processo che verifichino lo stato di avanzamento del programma di risk

management.

Piano Sanitario Aziendale 2005 Il documento di programmazione annuale (2005) dell’Azienda n° 2 “Isontina” riporta fedelmente il primo paragrafo del PSR e specifica la previsone di una funzione di coordinamento dell’attività di risk management. Nel Piano Aziendale della formazione, in accordo con i temi prioritari per le attività formative indicati nel PSR (….divulgare nella pratica quotidiana i principi dell’appropriatezza e del’EBM/N,…), l’ASS 2 si è proposta di: • partecipare ai gruppi di lavoro concordando con l’Agenzia le motivazioni ed i curricula del personale

prescelto, • sperimentare la pratica dell’EBM/N in almeno un’area clinica sempre in raccordo con il gruppo di lavoro

istituito presso l’ARS. Oltre a quanto previsto dai temi prioritari si è proposta di sviluppare percorsi formativi inerenti a: …..

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• indicatori di qualità e strategie per il miglioramento; • Risk Management; ….

Linee guida per il percorso di budget 2006 Anche nelle linee programmatiche per il 2006 l’ASS 2 viene focalizzata l’attenzione sulla qualità e sul governo clinico. Nelle 6 macroaree individuate, infatti, il punto 5 ed il punto 6 sono di pertinenza per l’ambito di tesi.

5. Miglioramento della performance ospedaliera ….. Esistono aree di criticità su cui l’Azienda sanitaria vuole intervenire per recuperare efficienza. Oltre a conseguire una maggiore efficienza, tutte le azioni hanno lo scopo di aumentare le qualità professionale, migliorare la collaborazione tra gli ospedali aziendali e ridurre il rischio clinico.

6. Governo delle attività cliniche L’Azienda Sanitaria ha la necessità di fondere la dimensione economica e quella professionale avendo, quale base comune, la gestione e l’organizzazione. E’ fondamentale la promozione della qualità professionale, organizzando, all’interno di ciascuna U.O. modalità sistematiche di revisione e autovalutazione della pratica clinica ed assistenziale. La modalità è quella dell’audit clinico, ovvero una revisione tra pari della propria attività e risultati in confronto a standard espliciti. Ulteriori aspetti da valorizzare sono la gestione del rischio clinico, le attività HPH (Ospedali per la promozione della salute), la formazione e la qualità percepita da parte dell’utenza.

Linee guida per la definizione dell’Atto Aziendale Questo documento, prodotto dalla Direzione Centrale Salute e Protezione Sociale (Trieste, aprile 2005), orienta il contenuto dell’Atto Aziendale nell’individuazione dell’assetto organizzativo e funzionale delle aziende sanitarie regionali nel rispetto della programmazione nazionale e regionale, nonché delle cogente normative e regolamentari. L’Atto aziendale è pertanto lo strumento per attuare un modello di Azienda Sanitaria che risponda ai seguenti obiettivi: • una chiara identificazione delle articolazioni presenti nella struttura aziendale, • una chiara identificazione dei poteri di indirizzo e controllo e dei poteri gestionali, tecnici ed

amministrativi attribuiti ai responsabili ai singoli livelli delle articolazioni aziendali. Nel perseguire queste finalità le aziende sanitarie regionali devono: • rispettare i criteri di efficacia, efficienza ed economicità. • Sviluppare la qualità, la performance e la sicurezza all’interno del Servizio Sanitario Regionale. • Garantire la migliore accessibilità ai servizi del cittadino. • Promuovere la valorizzazione delle professioni sanitarie in applicazione della L. 251/2000. • Promuovere modalità di coinvolgimento dei cittadini, assicurare la trasparenza degli atti e verificare il

gradimento dell’utenza rispetto i servizi erogati. • … omissis Nei “Principi e Criteri”, al punto 3.1.2 (il Direttore Sanitario e l’articolazione della Direzione Sanitaria) si delinea l’articolazione della Direzione Sanitaria quale struttura organizzativa adeguata alla trattazione di diverse funzioni, tra cui il risk management. Per quanto attiene alle aree delle professioni sanitarie viene precisato che alle stesse competono funzioni di pianificazione dei fabbisogni professionali, di sviluppo di processi e di programmi che coinvolgono le rispettive aree professionali di riferimento, nonché compiti di valutazione della qualità dell’assistenza, di implementazione dei modelli organizzativi e di promozione di iniziative formative per il personale. Al cap. 6 (organizzazione interna delle strutture operative aziendali), al punto 6.6.1, viene esplicitato il livello di potere dei coordinatori infermieristici. Il Responsabile Dipartimentale della linea assistenziale dipende gerarchicamente dal Responsabile di Dipartimento, garante della gestione complessiva del dipartimento. Il Responsabile della linea assistenziale si relaziona funzionalmente con il Responsabile dell’area delle Professioni Sanitarie Infermieristiche ed Ostetriche. L’esercizio della responsabilità assistenziale verrà effettuato dal Responsabile dell’Assistenza con le risorse assegnategli dal responsabile di dipartimento; tali risorse consisteranno in risorse umane ed in beni e servizi

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per le attività di assistenza. La gestione di queste risorse potrà essere a sua volta assegnata ai Coordinatori afferenti al Dipartimento e responsabili di specifiche aree produttive. Con tali modalità organizzative si potrà pertanto sperimentare una concreta valorizzazione e responsabilizzazione delle diverse competenze professionali del Dipartimento, ciascuna delle quali svilupperà il proprio specifico ambito di autonomia e di attività professionale e tutte concorreranno in forma integrata alla realizzazione degli obiettivi del Dipartimento, negoziati dal Direttore del Dipartimento e dal Responsabile della Linea Assistenziale con la Direzione Strategica. 9. Il coordinatore infermieristico

Il contesto contrattuale e normativo

Profilo L’infermiere con funzioni di coordinamento è un infermiere che ha acquisito il master in management infermieristico per le funzioni di coordinamento ed ha acquisito competenze specifiche nell’area organizzativa e gestionale di 1° livello allo scopo di attuare politiche di programmazione sanitaria, interventi volti al miglioramento continuo di qualità in riferimento alle risorse strutturali, tecnologiche, umane nell’ambito del servizio coordinato per garantire gli obiettivi del sistema organizzativo sanitario (19).

Il livello di potere: nasce la funzione di coordinatore La grande novità nel panorama legislativo delle professioni sono le “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”, approvato il 24 gennaio 2005, istitutivo degli ordini professionali per le professioni sanitarie e della funzione di coordinamento, in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. L’art. 6 (istituzione della funzione di coordinamento) stabilisce che in conformità all’ordinamento degli studi dei corsi universitari, disciplinato ai sensi dell’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, il personale laureato appartenente alle professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, della presente legge, è articolato come segue: a) professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente

all’attivazione dei corsi di laurea o di diploma ad esso equipollente ai sensi dell’articolo 4 della legge 26 febbraio 1999, n. 42;

b) professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, e dell’articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

c) professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche rilasciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, e dell’articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

d) professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 2 aprile 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 5 giugno 2001, e che abbiano esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni, oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell’articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, e successive modificazioni.

2. Per i profili delle professioni sanitarie di cui al comma 1 può essere istituita la funzione di coordinamento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, l’eventuale conferimento di incarichi di coordinamento ovvero di incarichi direttivi comporta per le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche interessate, ai sensi dell’articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, l’obbligo contestuale di sopprimere nelle piante organiche di riferimento un numero di posizioni effettivamente occupate ed equivalenti sul piano finanziario.

3. I criteri e le modalità per l’attivazione della funzione di coordinamento in tutte le organizzazioni sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private sono definiti, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della

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presente legge, con apposito accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Ministro della salute e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. L’esercizio della funzione di coordinamento è espletato da coloro che siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento nell’area di appartenenza, rilasciato ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, e dell’articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

b) esperienza almeno triennale nel profilo di appartenenza. 5. Il certificato di abilitazione alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica, incluso quello rilasciato in

base alla pregressa normativa, è valido per l’esercizio della funzione di coordinatore. 6. Il coordinamento viene affidato nel rispetto dei profili professionali, in correlazione agli ambiti ed alle

specifiche aree assistenziali, dipartimentali e territoriali. 7. Le organizzazioni sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, nelle aree caratterizzate da una

determinata specificità assistenziale, ove istituiscano funzioni di coordinamento ai sensi del comma 2, affidano il coordinamento allo specifico profilo professionale.

Il sistema di responsabilità civile:

La posizione dell’Ente (12) • L’Ente pubblico stipula un contratto con il paziente, impegnandosi a fornirgli un determinato servizio. • Si tratta di un’obbligazione di mezzi, non di risultato. • Responsabilità contrattuale con prescrizione decennale, che decorre dal momento in cui il paziente si

rende conto del danno subito. • Inversione dell’onere della prova: il paziente deve dimostrare solo il fatto ed il nesso causale, l’Ente deve

dimostrare l’assenza di colpa. L’Ente è responsabile direttamente:

o per insufficienze di struttura e/o disorganizzazione, o per fatto dei propri “ausiliari” (medici, infermieri, ecc..) in base all’art. 1228 c.c. (Cass. Civ. 103/99):

il rischio della loro prestazione è attribuito a chi si appropria dei vantaggi della stessa. I professionisti I professionisti della sanità, anche se dipendenti da Enti ospedalieri pubblici, sono responsabili come i professionisti privati per i danni subiti dai pazienti a seguito di interventi sanitari colposi. Esiste quindi una responsabilità diretta del medico a carattere “contrattuale di fatto”, quindi: • prescrizione decennale, come per l’Ente; • inversione dell’onere della prova: è il medico che deve provare di non avere colpe; • obbligazione di mezzi, non di risultato. Il professionista è responsabile dei danni cagionati al paziente nella sola ipotesi di colpa grave (art. 2236 c.c.), se il caso, in concreto affidatogli, trascenda i limiti della preparazione e dell’abilità normalmente occorrente per l’esercizio della professione sanitaria, trattandosi di un caso eccezionale e straordinario, per non essere stato ancora adeguatamente studiato nella scienza e sperimentato nella pratica. Tanto più alta è la specializzazione del medico, tanto più bassa è la protezione fornita dall’art. 2236 c.c. L‘equipe Esistono vari orientamenti in materia, ma tende a prevalere questo : • si ritengono responsabili sia il chirurgo, principale esecutore dell’intervento, sia il suo assistente, poiché quest’ultimo, nella sua qualità di collaboratore e potenziale continuatore dell’operazione, ha il compito di vigilare sulla sua intera esecuzione (Cass. Civ. 7006/1982). Gli infermieri Quella dell’infermiere, dopo l’abrogazione del mansionario, è una professione sanitaria dell’area delle scienze infermieristiche, pertanto essendo responsabile dell’assistenza infermieristica generale, preventiva, curativa e riabilitativa, ha una:

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• responsabilità specifica professionale delineata dal Profilo Professionale, dal Codice Deontologico e dall’Ordinamento didattico della laurea in Scienze infermieristiche;

• responsabilità professionale integrata nei risultati, come richiesto dal processo di aziendalizzazione e dall’evoluzione del rapporto cliente/professionista/SSN/PA;

• e’ rilevante notare che la Cassazione Penale (9368/2000) ha stabilito che gli infermieri sono “portatori di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti loro affidati” allo stessa stregua dei medici.

È dovuto il risarcimento per le seguenti categorie di danni: • patrimoniali (perdite economiche documentate), • danni biologici, • danni esistenziali, • del c.d. danno morale. 10. Ruolo del coordinatore nella gestione del rischio clinico Competenze specifiche del ruolo: a) Esercitare leadership efficace b) Gestire risorse umane e relazioni c) Organizzare servizi d) Gestire / governare processi, progetti, valutazioni e) Gestire risorse materiali e budget f) Sviluppare cultura della comunicazione g) Gestire percorsi di miglioramento di qualità e di ricerca h) Gestire efficacemente la conoscenza. Nell’ambito delle varie funzioni del ruolo del coordinatore si definiscono ora quelle maggiormente attinenti all’ambito del governo clinico. a) Esercitare leadership efficace • Collaborare a definire e diffondere mission e vision del servizio. • Utilizzare gli strumenti per l’empowerment del personale. • Guidare e motivare al cambiamento. b) Gestire Risorse Umane e Relazioni • Analizzare i profili di competenza del personale di cui è responsabile. • Pianificare, gestire e sviluppare le competenze del personale. • Promuovere l’empowerment dei singoli, dei gruppi e dell’organizzazione. • Pianificare e promuovere lo sviluppo professionale e favorire il senso di responsabilizzazione in base a

ruolo e competenza. • Analizzare i fabbisogni di personale in relazione ai bisogni e agli standards di assistenza che il servizio

deve garantire. • Utilizzare metodi e strumenti per la valutazione del personale. • Promuovere la cultura dell’integrazione intra, inter professionale e organizzativa. • Promuovere il lavoro di gruppo e il gruppo di lavoro quale strumenti fondamentali per raggiungere gli

obiettivi. • Gestire il gruppo di lavoro. c) Organizzare servizi • Analizzare le caratteristiche del sistema organizzativo di riferimento a livello macro, meso e micro e

collaborare a definire gli obiettivi del servizio gestito. • Organizzare il sistema in funzione delle attese del cittadino, dei fabbisogni organizzativi e della

soddisfazione del personale. • Progettare e implementare i servizi in base all’analisi effettuata e in relazione agli standards predefiniti. • Monitorare costantemente le modalità di erogazione dei servizi, con attenzione alle non conformità e con

eventuale riprogettazione o azioni correttive. • Gestire il cambiamento organizzativo. • Gestire i meccanismi di integrazione organizzativa.

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d) Gestire /governare processi, progetti, valutazioni • Analizzare e gestire i processi del sistema organizzativo. • Utilizzare l’approccio metodologico per fasi del project management. • Analizzare, progettare e implementare sistemi di valutazione di persone, processi, progetti ecc. • Conoscere il clinical governance e il clinical risk management per implementare processi di

miglioramento continuo. e) Gestire le risorse materiali e il budget • Gestire le risorse tecnologiche e materiali secondo criteri economici e principi etici. • Collaborare al corretto e ottimale uso delle risorse assegnate al servizio sulla base degli obiettivi stabiliti,

anche con un orientamento al contenimento dei costi e azzeramento degli sprechi, contribuendo a definire criteri di efficienza ed efficacia.

• Monitorare la congruenza fra risorse assegnate e obiettivi stabiliti. • Ottimizzare l’uso delle risorse in coerenza con le norme di riferimento, le strategie aziendali, i valori e

principi etici della professione, i principi ed elementi di un sistema qualità. f) Sviluppare cultura della comunicazione • Elaborare un efficace sistema informativo e monitorarlo. • Identificare il fabbisogno di informazione dei vari attori del sistema. • Identificare il fabbisogno formativo nell’ambito della comunicazione e proporre percorsi formativi

adeguati. • Identificare meccanismi e strumenti volti alla continuità assistenziale. • Definire strategie e strumenti comunicativi in relazione ai diversi target interni ed esterni al sistema. • Utilizzare strumenti informatici per l’acquisizione e diffusione di informazioni, conoscenze ed

esperienze. g) Gestire percorsi di miglioramento della qualità e ricerca • Promuovere il miglioramento continuo di qualità e pianificare le attività secondo questo approccio. • Coinvolgere e responsabilizzare il personale nei processi di miglioramento continuo della qualità. • Utilizzare sistemi per la misurazione della qualità, in particolare attraverso il sistema degli indicatori di

struttura, processo, esito. • Utilizzare sistemi per la misurazione del clima interno e della soddisfazione degli operatori. • Utilizzare sistemi per la misurazione della performance di professionisti, neo assunti, studenti ecc. • Individuare problemi di qualità e progettare ricerche in campo assistenziale e organizzativo. • Elaborare o ri-elaborare strumenti di integrazione organizzativa (linee guida, procedure, protocolli) sulla

base di evidenze scientifiche. h) Gestire efficacemente la conoscenza • Individuare le conoscenze professionali strategiche per il buon funzionamento del gruppo di lavoro

all’interno del sistema organizzativo. • Elaborare e attuare progetti di formazione necessari all’implementazione dei servizi. • Creare opportunità di apprendimento e auto apprendimento. • Creare opportunità di condivisione delle conoscenze ed esperienze all’interno del contesto lavorativo. • Progettare e collaborare alla formazione continua del personale e degli studenti. • Progettare e realizzare la propria formazione continua. • Utilizzare i dati emergenti dal confronto con altre realtà come stimolo alla revisione dei processi e al

miglioramento continuo (13). 11. Le fonti di rischio all’interno dell’ospedale Il controllo degli eventi avversi non solo rappresenta una forma di assunzione di responsabilità nei confronti degli assistiti, ma costituisce una garanzia di tutela degli operatori, di contenimento delle controversie legali e di riduzione dei costi, a partire da quelli assicurativi. Gli ospedali, per la concentrazione delle procedure invasive e l’elevata intensità delle cure, rappresentano l’area di produzione dei servizi sanitari maggiormente associata al rischio clinico e per la quale è più urgente affrontare questo problema. Le principali fonti di rischio in ambiente intraospedaliero sono:

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• i processi di prescrizione e somministrazione della terapia, • le attività di sala operatoria, • l’identificazione e la rintracciabilità dei pazienti e delle prestazioni, • l’igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro, • la gestione delle tecnologie biomediche, • la sicurezza impiantistica e strutturale, • la comunicazione verbale e scritta. Questi aspetti indicano la necessità di accorgimenti e soluzioni tecniche e giuridiche adeguate e più confacenti alle esigenze delle strutture sanitarie e dei pazienti e/o utenti rappresentate essenzialmente da:

Assicurazioni sanitarie Risk management Sistema qualità

Il risk management non deve essere inteso solamente come un sistema per diminuire le controversie legali ma

come strategia per ridurre l’incidenza dei danni provocati ai pazienti e per migliorare la qualità delle cure prestate, impararando dall’errore

opportunità di miglioramento. Il Risk Management è quindi un’attività sanitaria a carattere gestionale il cui obiettivo principale è quello di evitare che dall’attività si generino danni effettivi ai pazienti attraverso la riduzione o l’eliminazione della possibilità che si verifichino o si ripetano eventi prevedibili. Alcuni dati sull’incidenza degli eventi avversi:

ricoveri/anno 2.000.000 danni/anno 320.000 n° cause pendenti 12.000 valore richiesta danni € 2.500 mil. raccolta premi assicurativi € 175 mil. liquidazione sinistri € 413 mil.

I danni: In Italia su 8 milioni di Pazienti ricoverati ogni anno circa 320.000 (4%) subirebbero danni che

potrebbero essere evitati. Tra le 30 e le 35.000 persone morirebbero a causa di errori, cioè il 6% delle morti in Italia nel 2000

sarebbero attribuibili a complicanze mediche (Rischio Sanità 2001). Il numero di morti in Italia causate da un errore in medicina è maggiore di quello provocato da sinistri

stradali, cancro del polmone e AIDS (14). 12. Definizioni del Risk Management

Rischio: eventualità che da un comportamento si generino conseguenze negative. Evento: accadimento che dà o ha la potenzialità di dare origine ad un incidente. Incidente: evento imprevisto e sfavorevole, causativo un danno per il l’utente/cittadino/paziente o per

l’operatore sanitario. Quasi-errore: evento inaspettato o non pianificato nella cura del paziente che non determina danno nel

paziente. Errore: azione che ha esito diverso da quanto voluto o pianificato, piano errato per raggiungere uno

scopo. Errore del sistema: un difetto, un’interruzione, una disfunzione nei metodi operativi

dell’organizzazione, nel processo o nell’infrastruttura; non è il risultato di un’azione individuale, ma il risultato di una serie di azioni e fattori.

sondaggio MAKNO-ASI; aprile 2002

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• Errore latente: errore nella progettazione, nell’organizzazione, nella formazione o nel mantenimento che porta agli errori degli operatori in prima linea e i cui effetti tipicamente rimangono silenti nel sistema per lunghi periodi.

• Evento avverso: danno non intenzionale o complicanza nelle cure che causi disabilità, decesso o prolungamento della degenza ed è causato dalle cure piuttosto che dalla malattia del paziente. Un evento avverso è per sua natura indesiderabile non intenzionale e dannoso per il malato.

• Evento sentinella: un evento inaspettato che ha causato la morte o un serio danno fisico o psicologico, o solamente il rischio dello stesso. Questi eventi sono detti "sentinella" poiché costituiscono il segnale della necessità di una immediata indagine e di una risposta.

• Malpractice: atti od omissioni da parte di un fornitore di assistenza sanitaria che fanno ricadere la prestazione al di sotto dello standard riconosciuto di accettabile pratica professionale in determinate circostanze.

IL RISCHIO CLINICO

si definisce quindi come la probabilità che un Paziente sia vittima di un evento avverso e subisca un danno o un disagio imputabili, anche se in modo involontario, ad un trattamento sanitario prestato durante la

degenza, capace di causare un prolungamento della stessa, un peggioramento dello stato di salute o la morte.

13. L’errore nelle organizzazioni L’approccio all’errore fino ad oggi è sempre stato ricondotto alla ricerca della responsabilità individuale. Tale atteggiamento prevede un preciso modello di genesi e di gestione dell’errore, alla base del quale esiste sempre il fattore individuale che può essere determinato da negligenza, superficialità, inosservanza di regole o protocolli dimenticanze disattenzione o demotivazione, fino all’incompetenza professionale con la conseguenza diretta che se l’operatore sbaglia la Direzione interviene con strumenti sanzionatori. Attualmente i nuovi orientamenti, assunto che l’errore è inevitabile, sposta l’attenzione dalla ricerca dell’errore attivo (quello dell’ultimo operatore che di fatto lo mette in pratica) alla ricerca dell’errore latente, ovvero della carenza del sistema che di fatto lo ha reso possibile. Ciò sposta anche il livello di responsabilità coinvolgendo anche il gestore del sistema che costruisce l’ambiente operativo.

Gli uomini sono fallaci ed errori si verificano anche nelle migliori organizzazioni. Non possiamo cambiare la condizione umana, ma possiamo cambiare le condizioni in cui gli uomini

lavorano. Approccio alle persone Approccio al sistema

Da questa visione sistemica nasce l’idea che il verificarsi di un incidente sia frutto di una concatenazione di eventi che hanno superato tutte le difese messe in atto.

Gli errori attivi sono quelli riconducibili alle persone, ovvero derivanti da:

imperizia imprudenza negligenza demotivazione stress/stanchezza

Gli errori latenti sono quelli insiti nell’organizzazione del lavoro (le lacune del sistema che favoriscono l’insorgenza di errori):

• processi non pianificati o non presidiati • attribuzione irrazionale di compiti e responsabilità • turni e carichi di lavoro illogici • ambienti e tecnologie non adeguate.

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La priorità diventa quindi intervenire sull’organizzazione per diffondere una cultura di gestione del rischio ed

eliminare alla radice quelle situazioni che favoriscono l’insorgenza di errori.

Le condizioni culturali che favoriscono gli errori o assenza di una cultura della sicurezza, o conflitti tra management e staff, o morale basso, o scarsa supervisione e controllo, o norme di gruppo che condonano le violazioni, o scarso interesse del management, o scarsa motivazione nel lavoro, o cultura che incoraggia il rischio, o convinzione che gli errori non avvengono, o bassa autostima, o diffuso disprezzo delle regole. Classificazione degli eventi Gli eventi possono essere classificati nelle seguenti categorie:

Inesattezza/inadeguatezza Omissione Ritardo Altro

Inesattezza/Inadeguatezza

Si intendono tutte le deviazioni rispetto all’adeguata esecuzione di una procedura o di un trattamento: • Di lato/sede • Di paziente • Di procedura diagnostica • Di procedura chirurgica/terapeutica • Di farmaco (tipo, dosaggio, via di somministrazione) • Di prestazione assistenziale

Omissione Si intende la mancata esecuzione di un trattamento previsto o comunque necessario: • Di procedura diagnostica • Di procedura chirurgica/terapeutica • Di somministrazione di farmaco • Di prestazione assistenziale

Ritardo Si intende sia il ritardo di un trattamento rispetto al momento previsto, sia il ritardo rispetto al momento ottimale dell’esecuzione: • Di procedura diagnostica • Di procedura chirurgica/terapeutica • Di somministrazione di farmaco • Di prestazione assistenziale

Altri tipi di eventi • Infezione ospedaliera

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• Caduta degli assistiti • Lesioni da pressione • Malfunzionamento di dispositivi/apparecchiature • Reazioni avverse da farmaco • Eteroaggressività (comportamenti aggressivi del paziente) • Altri eventi specifici per le UO Tre componenti strategiche dei sistemi che gestiscono gli errori I sistemi devono: 1. prevenire gli errori (presidio dei fattori istituzionali, attenzione ai fattori organizzativi, ambiente di

lavoro, team di assistenza, preparazione dei membri del team, attribuzione compiti, caratteristiche del paziente);

2. rendere gli errori visibili (istituire maggiori livelli di controllo, educare il paziente alla collaborazione con il professionista per la tutela della sua salute);

3. mitigare gli effetti derivanti dagli errori (istituire e gestire procedure di emergenza, anche sulla scorta delle esperienze passate).

Cinque tattiche per gestire i potenziali errori Le tattiche da adottare già in fase di progettazione e/o pianificazione del lavoro (responsabilità del cordinamento) sono: a) riduzione della complessità b) ottimizzazione del flusso informativo c) larga automazione d) impiego di vincoli e) riduzione degli effetti indesiderati del cambiamento a) Riduzione della complessità Misure del grado di complessità: 1. numero di fasi 2. range di opzioni da scegliere 3. durata di esecuzione 4. contenuto delle informazioni 5. riconfigurazioni (cambiamenti) in corso 6. compiti che distraggono Tutte queste misure vanno ridotte nei limiti del possibile perché sono inevitabilmente fonte di errore. b) Ottimizzazione del flusso informativo La produzione e il passaggio dell’informazione sono momenti cruciali dei processi diagnostici e terapeutici, pertanto è doveroso: 1. incrementare la comprensione immediata, 2. ridurre l’affidamento alla memoria, 3. sfruttare la memoria di breve periodo per i compiti per cui è necessaria. Questo si può ottenere con check list, protocolli e promemoria (non solo per gli operatori, ma anche per i pazienti). c) Larga automazione L’automazione va implementata nello spirito di: 1. tenere l’enfasi sullo scopo di migliorare il sistema piuttosto che di automatizzare tutto quello che lo

consente tecnologicamente; 2. usare l’automazione per supportare gli operatori, non per soppiantarli; 3. ridurre al minimo, in fase di progettazione dell’automazione, le possibilità di scelta opzionale o che

lasciano troppa libertà alla tecnologia. d) Impiego di vincoli Tutti i vincoli pensati per prevenire l’accadere di errori sono assolutamente da applicare, tra questi:

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1. Fisici: da impiegare preferibilmente per la configurazione e l’impiego delle apparecchiature, per es. definizione a priori della dose massima di soluzione impostabile nella pompa a infusione;

2. Procedurali: impediscono agli operatori di compiere scelte “stravaganti” e non autorizzate (per es. nel momento in cui si devono variare terapie o ordinare dispositivi bisogna definire una procedura che definisca l’iter di autorizzazione);

3. Culturali: definizione tacita o esplicita dei comportamenti considerati accettabili o premianti e, di contro, di quelli considerati censurabili. Questi vincoli giocano un ruolo fondamentale in settori ad alta intensità di lavoro per fare affermare una vera cultura della sicurezza (per es. impiego di acronimi non usuali che costringono gli operatori a chiedere spiegazioni supplementari).

e) Riduzione degli effetti indesiderati del cambiamento I cambiamenti portano inevitabilmente con sé un incremento della probabilità del manifestarsi di errori (effetti indesiderati). Per minimizzare i necessari “scotti” che si pagano alla discesa lungo la curva di esperienza si può: 1. stabilire con procedure organizzative il processo di introduzione di nuove tecnologie o modalità di lavoro, 2. effettuare prima test su piccola scala, 3. raccogliere tempestivamente dati per monitorare gli effetti dei cambiamenti. 14. Il Sistema di Incident reporting E’ lo strumento operativo del Risk Management maggiormente utilizzato. Si tratta di un’analisi reattiva che prevede uno studio ad incidente avvenuto e che mira a individuare le cause che ne hanno permesso il verificarsi. E’ una metodologia che consente raccolta delle informazioni relative ad eventi significativi per la sicurezza dei pazienti (eventi avversi, eventi senza danni, near miss), che ha l’obiettivo di individuare “aree di criticità” su cui è possibile predisporre strategie ed azioni di miglioramento.

Contesto normativo E’ doveroso a questo punto citare il contesto normativo che regolamenta nel nostro Paese la

comunicazione e la diffusione delle informazioni in occasione di evento avverso, contesto che impedisce di fatto lo sviluppo di una cultura di apprendimento dagli errori. L'omissione di referto è il reato previsto e punito dall'art. 365 C.P. (chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio (cpp 502), omette o ritarda di riferirne all'Autorità indicata nell'art. 361, è punito con la multa fino ad euro 516,00. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (384)). L'articolo appena trascritto si rivolge a "chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza...". Per esso, lo Stato intende assicurare alla giustizia gli autori dei più gravi crimini, cioè dei delitti perseguibili d'ufficio. Il referto fa parte del novero delle notitiae criminis, così come la denuncia e la querela; è l'atto con il quale si porta a conoscenza dell'Autorità Giudiziaria di un delitto commesso da altri e di cui si abbia ragionevole certezza. L'obbligo del referto sussiste (e ne è punita l'omissione o il ritardo) solo laddove possa ipotizzarsi un delitto procedibile d'ufficio; ed ecco che, allora, sarà bene conoscere il codice penale o averlo a disposizione, in quanto in quel testo sono ben distinte le ipotesi delittuose procedibili d'ufficio da quelle procedibili a querela. Qualche particolare problema è posto dall'ultimo comma dell'articolo 365 c.p. laddove è detto che la disciplina sanzionatoria non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Il sistema di incident reporting, mantenendo l’anonimato delle segnalazioni, bypassa questo scoglio normativo.

Incident reporting: sistema di segnalazione spontanea di evento

• rileva quanto succede nel momento in cui succede (non retrospettivamente),

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• è utile alla gestione immediata del “caso”, oltre che alla individuazione del rischio, • rileva fenomeni nuovi o aree problematiche, • permette di individuare i near-miss prima che procurino danni al paziente, • si basa sul contributo attivo degli operatori. E’ un’analisi reattiva, che prevede uno studio a posteriori degli incidenti ed è mirata ad individuare le cause che hanno permesso il loro verificarsi.

Obiettivi del sistema di Incident Reporting 1. Introduzione di un sistema di segnalazione di eventi (incidenti e quasi-incidenti). 2. Costruzione di una banca dati empirica utilizzabile ai fini del processo di gestione del rischio:

o Identificazione o Analisi o Trattamento o Monitoraggio

Condizioni di efficacia del sistema di Incident reporting • La confidenzialità delle informazioni e la non punibilità del segnalatore deve essere garantita. • Feed-back informativo a chi segnala (report, incontri periodici, ecc …). • Le segnalazioni devono essere utilizzate esclusivamente per migliorare l’organizzazione. • I cambiamenti devono essere visibili da coloro che segnalano (restituzione dei risultati elaborati).

Che cosa è successo?

Dove è successo?

Quando è successo?

Come è successo?

Perché è successo?

Quali azioni sono state intraprese o proposte?

Che impatto/conseguenza ha avuto l’evento?

Quali fattori hanno/avrebbero potuto limitare tale impatto?

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Alla base di tale metodologia risiede l’idea che sia possibile prevenire gli errori attraverso una valutazione del rischio organizzativo nei processi di cura suddivisa in 4 fasi. Fase 1: Analisi dei processi e delle attività Descrizione sistematica dello svolgimento delle principali attività dei processi di cura (per strutture operanti in qualità tale fase è spesso già realizzata). Fase 2: Identificazione delle situazioni pericolose e dei modi di errore possibili • Analisi delle singole attività. • Identificazione delle situazioni pericolose fonte di possibili errori. • Identificazione dei modi di errore associati a ciascuna situazione pericolosa evidenziata, sulla base di una

classificazione standardizzata dei tipi di errore. Fase 3: stima della probabilità di accadimento del danno e gravità del danno Occorre stimare la probabilità di accadimento del singolo tipo di errore ad una specifica situazione pericolosa individuata lungo il processo, ad esempio utilizzando la seguente tabella:

Matrice di valutazione del rischio Rischio accettabile Rischio basso Rischio medio Rischio

elevato Fase 4: Valutazione A questo punto le stime così determinate si collocano in una matrice di rischio che deter-mina la priorità di intervento sui singoli tipi di errore, o su specifiche situazioni pericolose, o su porzioni di processo. Matrice di valutazione frequenza-danno: scala per la stima della severità del danno

Nessuno: l’errore non comporta alcun danno oppure rende necessario un maggior monitoraggio del paziente.

Lieve: l’errore causa un danno temporaneo al paziente e rende necessari trattamenti o interventi supplementari, oppure comporta un prolungamento della degenza al di sopra del valore medio del DRG.

Medio: l’errore causa un danno temporaneo al paziente (invalidità temporanea) e rende necessario un inizio o un prolungamento della degenza.

Grave: l’errore causa un danno permanente al paziente (invalidità permanete) oppure comporta un evento prossimo alla morte (shock anafilattico, arresto cardiaco).

Morte: decesso del paziente. 15. L’incident reporting in azienda

Esperienza di Incident Reporting nei Dipartimenti di Medicina dei due Presidi Ospedalieri aziendali.

Nei due Presidi Ospedalieri aziendali, Gorizia e Monfalcone, è stato avviato un sistema di Incident Reporting (unico esempio in Regione). Il progetto, partito a metà settembre 2005 nei due Dipartimenti di Medicina, con la partecipazione straordinaria e sporadica del Dipartimento Materno Infantile, ha portato alla raccolta di 36 schede di segnalazione spontanea degli errori e ad un primo step di analisi del contesto.

Nessun danno

Danni lievi Danni medi Danni gravi Morte

Frequente Probabile Occasionale Remoto

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Gli eventi sono stati raggruppati per sede, turno, giornata (feriale o festivo), per categoria (distrazione, procedura, comunicazione, conoscenza, attrezzature, altro), tipo e gravità del danno, operatore responsabile e descrizione della causa (somministrazione errata di farmaci, identificazione errata dei pazienti, cause organizzative, assistenziali). I dati sono in fase di elaborazione relativamente alla fase di riorganizzazione operativa mirata al tentativo di eliminazione/ridimensionamento delle cause.

Le cadute accidentali dei pazienti (16) Questa tipologia di evento avverso viene sottoposta a sorveglianza in modo distinto nei due P.O. aziendali. A Gorizia le cadute accidentali sono sotto sorveglianza dal 1998. Gli eventi vengono suddivisi per U.O., anno di insorgenza, e sono poi posti in relazione alle giornate di degenza, per correlare la probabilità di cade con la durata della degenza. Viene poi stilato un report finale che evidenzia la realtà in correlazione tra le varie U.O. Siamo nel campo della sorveglianza epidemiologica quindi, non si tratta di un sistema di Incident reporting. A Monfalcone viene elaborato un numero maggiore di dati:

N° di cadute per U.O. Cadute sul totale dei degenti Fasce orarie in cui si verificano le cadute ANNO 2005 ( 7-14, 15 –21, 22-6). Circostanze in cui avvengono le cadute ANNO 2005 (Cade dal letto, cade dal letto con spondine, cade

dalla poltrona, andando/ritornando dal bagno, deambulando). Esiti, conseguenti alla caduta ANNO 2005 (Nessuna lesione, trauma contusivo, trauma con ferita, trauma

con frattura) Distanza della caduta dal giorno del ricovero ANNO 2005 Analisi delle cadute negli anni 2003, 2004, 2005 Percentuale delle cadute nelle diverse unità operative nei diversi anni (dal 2002 al 2005). Prevalenza delle cadute nei diversi anni. Prevalenza in percentuale di cadute all’interno del P.O. rispetto al numero totale di degenti

Proposta per l’anno 2006: introdurre una nuova scheda di denuncia per: migliorare la raccolta dati ( inserendone nuovi ed eliminando quelli inutili) inserire nella scheda una sezione a compilazione infermieristica uniformare la scheda tra i due presidi ospedalieri possibilità di elaborare un programma di risk management utilizzando i dati raccolti.

Le infezioni ospedaliere (17)

Le infezioni ospedaliere rappresentano il gruppo di eventi avversi più onerosi per la gestione aziendale, sia dal punto di vista risarcitorio che come outcome di salute. Esse sono sottoposte a sorveglianza da parte della Direzione Sanitaria che segue diversi progetti di monitoraggio: a) infezioni delle basse vie aeree nei pazienti con ventilazione in terapia intensiva (progetto regionale);

Si tratta di un corposo progetto di raccolta dati avviato nelle terapie intensive degli ospedali regionali che distingue le infezioni per: ospedale, motivo di ingresso in terapia intensiva, tempo di insorgenza, incidenza/1000 gg. di terapia intensiva, dati su antibioticoterapia, microrganismi isolati e sensibilità agli antibiotici, esito dell’infezione ed esito del ricovero. Manca del tutto l’analisi relativa all’assistenza ventilatoria ed all’ambiente.

b) Infezioni del sito chirurgico per i seguenti interventi: ernioplastica, mastectomia, protesi anca, taglio cesareo (progetto regionale). Numero di interventi totale e per ospedale, tassi di incidenza per tipo di intervento, incidenza percentuale per ISC e per anno (dal 1997 al 2004), incidenza specifica di ISC per ospedale e per intervento, indice di rischio (da 0 a 3), estensione ISC, correlazione con la tricotomia e con l’esecuzione della profilassi antibiotica pre-operatoria, follow up sono i dati rilevati. Vale anche in questo caso la stessa considerazione fatta al punto precedente: la gestione del sito chirurgico comprende delle variabili assistenziali ed ambientali che sono del tutto ignorate.

c) Infezioni urinarie nelle due RSA aziendali, distinte tra infezioni pre-ammissione e infezioni insorte durante la degenza in RSA, tuttora in fase di raccolta dati.

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d) Infezioni del Catetere Venoso Centrale: si tratta di una raccolta dati effettuata nel 2005 nelle terapie intensive dei due presidi ospedalieri aziendali e nella chirurgia di Monfalcone che ha portato all’evidenza l’incidenza annuale delle infezioni, le problematiche relative alla gestione del CVC e alla possibilità di interagire con il Servizio di Farmacia Interna per l’approvvigionamento dei presidi ritenuti più idonei. Uno strumento di Risk Management, dunque.

Le lesioni da decubito (18)

La sorveglianza epidemiologica delle lesioni da decubito è un altro progetto regionale cui aderisce la nostra azienda, seguito dal Servizio Infermieristico. Il progetto nasce nel 1996 ed interessava inizialmente solo le strutture ospedaliere, andando poi ad includere anche le due RSA ed i due Distretti. Il primo impegno richiesto dalla regione fu quello di costruire un protocollo che all’epoca era misto: terapeutico e preventivo. Dal 1998, con l’entrata nello studio delle RSA viene commissionato dalla Regione lo studio di prevalenza. I successivi step imposti dalla Regione sono stati l’avvio di progetti formativi, l’integrazione con i MMG, la somministrazione di questionari (i dati vengono gestiti con il database EpInfo), uno studio di incidenza e la revisione del protocollo: è stato elaborato un protocollo unico regionale grazie al lavoro di due sottogruppi (uno per il trattamento ed uno per la prevenzione) sulla base di evidenze scientifiche, sottoposto a valutazione interna ed esterna e utilizzando il supporto di esperti (P. Di Giulio, centro evidenze Sant’Orsola di Bologna). Questo percorso ha trovato un primo riconoscimento lo scorso 7 febbraio, con la pubblicazione del Protocollo a livello regionale. La gestione di un evento avverso Alcune indicazioni per gestire adeguatamente il rapporto con un paziente che ha subito un serio evento avverso: 1. aggiornare adeguatamente la cartella clinica segnalando “obiettivamente” l’evento, ma non apportare

alterazioni di alcun genere (correzioni o annotazioni pre-datate); 2. discutere immediatamente con il Responsabile e con gli altri Operatori interessati cosa è successo per

ricostruire correttamente l’accaduto; 3. informare tempestivamente la Direzione Sanitaria compilando i rapporti-relazioni previste; 4. decidere quali informazioni fornire al paziente e/o alla famiglia e chi dovrà comunicarle; 5. manifestare sincero interesse per il caso e disponibilità per domande o richieste di chiarimenti; 6. nel caso in cui nell’evento sia coinvolto un dispositivo medico, segregarlo imme-diatamente e metterlo a

disposizione per future indagini.

16. Strumenti operativi per il Risk Management indirizzati al team di lavoro a) Pianificazione e controllo dei processi b) Monitoraggio dei fattori organizzativi critici

a) Pianificazione e Controllo dei processi Il coordinatore di U.O. ha un ruolo specifico nel garantire e contribuire allo sviluppo di: 1. leadership e cultura organizzativa orientate alla sicurezza; 2. definizione di livelli di qualità delle prestazioni in collaborazione con i professionisti della propria U.O.

(standard assistenziali); 3. definizione di una struttura organizzativa coerente e razionale attribuzione delle responsabilità (es.:

identificazione di team leader di riferimento, primary nurse, precisa definizione della gestione del personale di supporto);

4. disponibilità di politiche, linee guida, procedure e protocolli (impostazione dei percorsi diagnostico-terapeutici);

5. definizione del fabbisogno formativo sul governo clinico e collaborazione con il sistema formativo aziendale per lo sviluppo del piano di formazione per i propri collaboratori;

6. sistemi di validazione delle competenze in collaborazione con il gruppo dei coordinatori aziendali o di dipartimento;

7. partecipazione alla definizione di un sistema premiante basato sulla valorizzazione della competenza.

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8. definizione di indicatori e analisi dei dati sulle prestazioni dei processi; 9. presidio delle risorse tecnologiche e infrastrutturali; 10. presidio della comunicazione scritta e verbale; 11. pianificazione di misure per gestire la crisi. b) Monitoraggio dei fattori organizzativi critici Il coordinatore deve presidiare i seguenti fattori:

o Case mix: • quadro diagnostico • storia del paziente • cure pregresse • questioni personali • relazioni tra staff e paziente.

o Team di lavoro

• comunicazione verbale e scritta • supervisione e ricerca d’aiuto da parte del team • coesione e coerenza interna • leadership e responsabilità • disponibilità e accuratezza dei risultati dei test • disponibilità e utilizzo di linee guida e protocolli • disponibilità di sistemi informativi affidabili

o Professionisti

• stanchezza fisica e mentale: predisporre turni di lavoro equi, nel rispetto dei diritti contrattuali dei collaboratori; sostenere e/o lanciare una cultura organizzativa basata sulla solidarietà ed il rispetto.

• Sviluppare la competenza specifica 17. La competenza Il concetto di competenza (19) Nella letteratura socio-psicologica e manageriale sono state contate più di 160 definizioni diverse di competenza, ma una di queste può essere definita come la madre di tutte le definizioni, perché è stata quella più ripresa e citata in letteratura. Essa, proposta inizialmente da Klemp nel 1980, è stata ripresa due anni dopo da Boyatzis nel libro The Competent Manager e ha trovato poi in Lyle M. Spencer e Signe M. Spencer una formulazione più compiuta. Questa definizione individua la competenza come:

“una caratteristica intrinseca di un individuo, causalmente collegata ad una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito” e

aggiunge “si compone di motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali. conoscenze e abilità”. La competenza come caratteristica intrinseca: stabilità vs possibilità di sviluppo e tratto individuale vs conoscenza collettiva Il primo concetto chiave da approfondire è quello di competenza come caratteristica intrinseca. Essa include “i modi di comportarsi o pensare che si ripetono nelle loro grandi linee nelle diverse situazioni e durano per un periodo ragionevolmente lungo” (Guion 1991, p. 335, in Levati e Saraò 1998, p. 15). Caratteristiche della competenza sono quindi la ripetitività della performance e la stabilità della sua qualità, caratteristiche che permettono una previsione del comportamento in un’ampia gamma di situazioni e compiti di lavoro. Una sola performance, sebbene superiore, non può essere considerata indice di competenza.

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Si evidenzia quindi una prima contrapposizione tra la stabilità delle competenze, indispensabile per produrre performance ripetibili e qualitativamente uniformi, in opposizione ad una loro possibilità di acquisizione e sviluppo. Spencer & Spencer affrontano il problema sviluppando il “modello iceberg”: essi ritengono che vi siano 5 componenti della competenza: o le motivazioni: gli schemi mentali, i bisogni o le spinte interiori che normalmente inducono una persona

ad agire (es.: motivazione al risultato); o i tratti: le caratteristiche fisiche e la generale disposizione a comportarsi o reagire in un determinato modo

ad una situazione o ad un’informazione (es.: tempi di reazione, spirito di iniziativa); o l’immagine di sé: gli atteggiamenti, i valori ed il concetto di sé (es.: la fiducia in sé); o la conoscenza di discipline o argomenti specifici; o le skill: la capacità di eseguire un determinato compito intellettivo o fisico, le abilità tecniche. Skill e conoscenze vengono paragonate dagli Autori alla parte visibile dell’iceberg in quanto caratteristiche osservabili e relativamente superficiali. Sono le più facili da sviluppare, soprattutto attraverso un sistema efficace di formazione professionale. Tratti e motivazioni sono invece la parte nascosta dell’iceberg, sono più difficili da sviluppare e, quindi, gli Autori ritengono che per la loro acquisizione all’interno di un’azienda sia più efficace un processo di selezione, rispetto uno di formazione. L’immagine di sé non viene classificata in nessuno dei due tipi perché considerata una via di mezzo: può essere modificata da training, psicoterapia o esperienze positive di sviluppo, ma molto difficilmente e con un grosso impiego di tempo. Anche Levati e Saraò ritengono la competenza un insieme articolato di elementi: o la capacità, definita come la dotazione personale che permette di eseguire con successo una determinata

prestazione. E’ ritenuta espressione di un’attitudine (substrato costituzionale della capacità), che ha trovato condizioni esterne (contestuali) ed interne (motivazionali) favorevoli al suo manifestarsi in comportamenti e prestazioni. La capacità rappresenta quindi la caratteristica intrinseca, mentre nell’attitudine è insito un elemento di plasticità dato dal fatto che essa si manifesta compiutamente, trasformandosi in capacità, solo a determinate condizioni di esercizio.

Vale a dire che, su una dotazione attitudinale di fondo ipoteticamente identica, le sollecitazioni ambientali agiscono come elemento maieutico e possono favorire o deprimere il suo sviluppo.

o Le conoscenze. o Le esperienze finalizzate, strettamente legate alle conoscenze, in quanto conferiscono loro la specificità

tipica della comunità di appartenenza. Tra conoscenze ed esperienze vi è un nesso forte: sono le esperienze che fanno maturare le conoscenze, conferiscono loro la specificità tipica della comunità professionale di appartenenza e le arricchiscono di abilità tecniche. In questo senso si parla di esperienze finalizzate, proprio a sottolineare la pertinenza che le deve carat-terizzare rispetto al patrimonio conoscitivo. Al binomio conoscenze/esperienze va fatto risalire il concetto di padronanza che è così strettamente connesso al concetto di competenza. Anche in questo modello vi è la differenziazione fra elementi di stabilità, dati dalle capacità, che garantiscono la stabilità di riuscita ed elementi di sviluppo (conoscenze ed esperienze finalizzate) che trovano nel contesto sia il loro limite che la loro possibilità di attuazione. Quanto alla dimensione della situazione, gli Autori concordano nel ritenere che ciò che influisce non è il contesto oggettivamente dato, ma la percezione ed il significato attribuito ad esso dal soggetto. Hamel e Prahalad, agli inizi degli anni 2000 hanno sostenuto che le competenze strategiche (core competences) distinguono non tanto la singola persona, quanto l’intera azienda (20). Essi hanno definito le competenze strategiche come l’integrazione di conoscenze e capacità applicate ai processi aziendali e possedute dall’organizzazione per mantenere il vantaggio competitivo, aprendo così il dibattito sulla definizione della competenza come tratto individuale o conoscenza collettiva. Questa dialettica si ricollega direttamente a quella più generale tra:

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o prospettiva individuale, che implica un’attenzione selettiva alle caratteristiche individuali, all’identificazione e alla classificazione delle dimensioni che costituiscono la competenza, per farne oggetto di intervento “personalizzato”;

o prospettiva sociale/contestuale, che rivolge l’attenzione al contesto, agli attori, alle pratiche lavorative e alla loro ricostruzione collettiva, ai valori ed alla cultura della comunità professionale e di riferimento.

I due approcci non vengono ritenuti in contraddizione fra di loro, ma sono considerati complementari, in quanto analizzano lo stesso fenomeno a livelli diversi. Nella duplicità del significato di competenza (individuale e organizzativa) può avvenire, infatti, la saldatura tra le centralità della persona e la tensione verso nuovi modelli organizzativi, ossia tra due strade che, fino a tempi recenti, sono state certamente sinergiche, ma parallele ed hanno proceduto insieme, senza intersecarsi. Questa intersezione potrebbe permettere il passaggio dal modello tradizionale delle 3 P (posizione, prestazione, potenziale) ad un secondo triangolo definito delle 3 C (competenze richieste, comportamenti osservati e crescita individuale). Il collegamento causale: comportamento vs. caratteristica intrinseca Il secondo concetto che fonda la definizione di competenza è il rapporto causale tra competenza e performance. Spencer e Spencer stabiliscono uno schema lineare secondo il quale le caratteristiche personali (motivazioni, tratti, visione personale e conoscenze) predicono i comportamenti, che, a loro volta, determinano il rendimento nella mansione. Vi è cioè una sequenza lineare tra intenzione, azione e risultato: un comportamento non intenzionale non può quindi definire una competenza. Le prestazioni esplicite possono quindi essere definite come condizione necessaria ma non sufficiente per descrivere la competenza. Gli approcci alla competenza centrati sulle prestazioni finali offrono un vantaggio in termini di osservabilità e misurabilità degli esiti, ma presentano dei limiti insuperabili: o ignorano i contenuti di conoscenza e gli elementi di personalità connessi alle abilità pratiche; o sono scarsamente applicabili alle dimensioni meno operative-esecutive del lavoro, fattore di rilevanza

notevole nella professione infermieristica per la specificità dell’ambito relazionale; o assumono come identici per chiunque i processi di acquisizione delle competenze; o sono centrati prevalentemente su performance immediate e non trasferibili. Specificità della mansione in cui la competenza si esprime: specificità vs. trasversalità della competenza La letteratura propone due interpretazioni contrapposte rispetto alla specificità della mansione: o alcuni considerano la competenza talmente legata alla mansione da identificarla come la best

performance in essa; o altri, all’opposto, considerano caratteristica peculiare della competenza l’essere indipendente dalle

situazioni particolari in cui si esprime, per cui essa viene definita come la capacità di dominare il contesto di riferimento, come caratteristica meta-situazionale.

La prima ipotesi lega la competenza alla specificità della mansione, impedendo qualsiasi visione del futuro e qualsiasi pianificazione, essendo questo un approccio basato sullo status quo che non permetterebbe una gestione del cambiamento. La seconda ipotesi, coerente col significato intuitivo di competenza, non conferisce alla stessa significatività pragmatica e non ne permette quindi la rilevazione. Levati e Saraò propongono come soluzione una distinzione tra:

l’elemento aspecifico della competenza: la mansione. Essa viene definita come l’insieme dei compiti prescritti e delle responsabilità attribuite a ogni lavoratore ed è considerata l’elemento aspecifico della competenza perché circoscrive le conoscenze, le esperienze e la maggior parte delle attività ad essa collegate. In questo senso la mansione è distinta dal ruolo, inteso come “l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo che occupa una determinata posizione in un sistema sociale”.

L’elemento specifico della competenza: la cultura aziendale. La specificità viene legata all’aspetto culturale e si sottolinea l’importanza del contesto nel determinare l’efficacia, nell’orientare il manifestarsi e nell’indirizzare l’operatività di una competenza, la cui efficacia ed il cui rilievo sono relativi ad un dato tempo e luogo.

Il concetto di competenza si fonda quindi sulla consapevolezza della possibilità di controllo sull’ambiente

esterno, di cui la cultura sintetizza le sollecitazioni e le richieste.

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I fattori costitutivi Qualsiasi modello si prenda a riferimento la competenza risulta essere sempre composta da elementi nell’ordine di : • “sapere che cosa” (know-what), ciò che la scienza cognitiva chiama “conoscenza dichiarativa”, cioè il

bagaglio individuale di conoscenze relative al proprio lavoro, ai compiti da svolgere e ai metodi utilizzati, al proprio ruolo, all’organizzazione, al contesto, ecc.;

• “sapere come” (know-how) o conoscenza procedurale, cioè il bagaglio di conoscenze sulle procedure di utilizzo e sulle regole d’uso delle proprie conoscenze dichiarative;

• “disposizioni individuali” cioè un insieme di elementi particolarmente profondi e, quindi, stabili, anche se non del tutto immodificabili (cultura e valori, motivazioni, atteggiamenti).

Sia il fattore contesto, sia il fattore motivazione, agiscono come catalizzatori nei passaggi cruciali tra attitudine e capacità e tra l’insieme costituito da capacità, conoscenze, esperienze finalizzate, assumendo un ruolo particolarmente importante nella configurazione della competenza.

18. Il dibattito internazionale sulla competenza Per analizzare lo stato delle conoscenze sulla tematica dello sviluppo delle competenze ho effettuato una ricerca bibliografica utilizzando il database di PubMed. Il quesito ipotizzato è: che ricaduta hanno lo sviluppo e la definizione delle competenze infermieristiche sui risultati di salute? Dal quesito indicato ho estratto il PIO relativo, idoneo alla ricerca in PubMed: P: popolazione infermieristica, I: competenze, O: risultati di salute. I MeSH Terms utilizzati sono: “Nurses” OR “Nurses/organization and administration” AND “Professional Competence/ standards” OR “Professional Competence/statistics and numerical data” AND “Outcome Assessment (Health care)”. Da questa ricerca sono emersi 19 articoli, di cui 9 pertinenti, fra i dei quali ho potuto estrarre il contenuto di 5 articoli grazie all’aiuto della Biblioteca Universitaria di Trieste. Fra questi 5 articoli si illustrano i seguenti 2 trials clinici: 1. A Randomised Controlled Trial to compare a nurse pratictioner to medical staff in the preparation of

patients for diagnostic cardiac catheterisation: the study of nursing intervention in practice (21). In questo articolo viene descritto un RCT emerso dalla ricerca bibliografica relativo alla comparazione tra i risultati di salute di una popolazione di pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco e preparati, rispettivamente da infermieri e dallo Junior Medical Staff (JMS).

Metodo: studio prospettico, randomizzato e controllato, approvato dal Comitato Etico locale prima dell’inizio.

Selezione dei pazienti: i soggetti venivano inclusi se necessitavano di cateterismo cardiaco diagnostico elettivo, in day hospital, dopo aver firmato un consenso informato sotto la guida di un consulente.

I soggetti venivano esclusi se necessitavano, oltre al cateterismo cardiaco, anche di TEE, CVE, biopsia miocardica, e se vi erano barriere linguistiche.

JMS e NP (nurse pratictioner) hanno ricevuto lo stesso training ed erano sotto la supervisione di un consulente cardiologo partecipante allo studio.

Randomizzazione: i pazienti eleggibili e consenzienti sono stati randomizzati in eguale proporzione mediante un sistema gestito dal manager della unità operativa.

Preparazione dei pazienti per il cateterismo cardiaco: sia gli NP che lo JMS hanno effettuato la stessa valutazione iniziale che includeva la raccolta della storia clinica, l’esame obiettivo, la prescrizione dei tests, la revisione della terapia, la preparazione psicologica ed il consenso del paziente. Dopo la valutazione iniziale, entro 10 giorni i pazienti venivano richiamati per l’effettuazione dell’esame.

Indicatori di risultato: il report degli eventi clinici avversi iniziava con la randomizzazione e terminava con la dimissione

dall’ospedale dopo il cateterismo cardiaco. I dati venivano registrati in un data base comprendente la definizione degli eventi.

L’indicatore principale era la frequenza degli eventi avversi maggiori intraospedalieri. Gli eventi maggiori includevano: morte, IMA, cardiochirurgia o PTCA d’urgenza, ictus o eventi vascolari.

Gli indicatori secondari includevano eventi avversi clinici minori (complicanze vascolari richiedenti emotrasfusioni o infusioni di plasma expanders, complicanze vascolari che richiedevano la

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contropulsazione aortica, pacing temporaneo o permanente, reazioni allergiche o anafilattiche, aritmie che richiedevano terapia, scompenso ventricolare sinistro acuto, agitazione, confusione o altri disturbi psicologici acuti trattati con farmaci), la valutazione del cardiologo senior responsabile del cateterismo, la soddisfazione del paziente, la durata del pre-ricovero.

La valutazione dell’operatore era centrata su: la preparazione del paziente, la presen-tazione della storia clinica, sui rilievi da esame obiettivo, sul report e sulla capacità interpretativa dei dati a disposizione.

Alla fine della procedura ai pazienti veniva chiesto di compilare un questionario sulla soddisfazione relativa alla fase di pre-ammissione.

La durata della valutazione è stata definita come il tempo totale in minuti di permanenza del paziente in clinica.

Presupposto: lo studio è durato un anno intero presso il Department of Cardiac Medicine, John Radcliffe Hospital, Oxford. L’ipotesi principale si basava sulla convinzione che la preparazione effettuata dalle NP non esitava in un aumento nella frequenza degli eventi avversi maggiori o minori.

Pazienti: dei 345 pazienti disponibili per il reclutamento, 336 sono stati randomizzati. Conclusioni: si è evidenziato che un NP appropriatamente addestrata all’interno del team medico è in

grado di preparare i pazienti in modo altrettanto sicuro ed efficace dei JMS. La soddisfazione dei pazienti era più elevata nel gruppo delle NP e questo può essere correlato alle abilità comunicative infermieristiche, alla durata del tempo di relazione ed alle aspettative dei pazienti stessi.

La proporzione elevata dei pazienti randomizzati (97%) rispetto i potenziali eleggibili, suggerisce che i risultati possono essere generalizzati ad altre popolazioni che si sottopongono a cateterismo cardiaco e che i pazienti sono favorevoli a sottostare a cure tradizionalmente mediche fatte da altri professionisti della salute.

E’ stato registrato un tempo complessivo minore nel gruppo infermieristico dovuto ad una maggiore efficienza nella gestione del caso (i JMS avevano peraltro la responsabilità dei pazienti di tutto il reparto mentre le NP inserite nello studio erano focalizzate nella preparazione dei pazienti per il cateterismo cardiaco).

2. Care of minor injuries by emergency nurse pratictioner or junior doctors: a randomised controlled trial (22). Analoghi risultati si sono evidenziati in questo ulteriore articolo, che presenta un RCT effettuato allo scopo di valutare la cura ed i risultati di salute dei pazienti affetti da eventi minori gestiti da una NP o da un JMS in un Dipartimento di Emergenza. NP e JMS hanno rispettivamente effettuato errori clinici nel 9,2% e nel 10,7% dei casi (differenza non significativa). Le NP sono state migliori dei medici nella registrazione della storia clinica e un numero minore di pazienti seguiti dalle NP ha ricevuto un follow up non pianificato, rispetto i pazienti seguiti dallo JMS. Non sono state registrate differenze significative tra i due gruppi relativamente nell’accuratezza dell’esame clinico, del trattamento, della pianificazione del follow up, o per la richiesta e l’interpretazione di radiografie. In conclusione le NP appropriatamente addestrate e che lavorano all’interno di linee guida provvedono all’erogazione di cure nei pazienti con eventi clinici minori uguali e in qualche caso migliori da quelle erogate dagli JMS. Questi 2 studi evidenziano come un training adeguato renda il personale infermieristico competente in performance tradizionalmente assegnate ad altre professionalità. Ho approfondito poi un secondo ambito di ricerca relativo al seguente quesito clinico: “quale incidenza hanno le competenze infermieristiche sulla sicurezza del paziente?” I MeSH utilizzati sono stati i seguenti: “Professional Competence/standards” AND “Nurses” AND “Safety Management”. La ricerca ha fatto emergere 2 articoli, di cui in seguito si illustra il contenuto. 1. Competence assessment and competency assurance of health care professionals (23). Traduzione: Recenti articoli in questo giornale sono stati indirizzati verso il tema problematico della certificazione delle nurse cliniche specializzate. Lo scopo di questo articolo è di fare una revisione del vasto contesto della regolamentazione e della validazione delle competenze dei professionisti della salute, nell’ambito di stabilire ulteriori sforzi nello sviluppo dei meccanismi per la certificazione dei professionisti.

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Cure sicure e di qualità: lo scopo della regolamentazione dei professionisti Glazer argomenta, in un articolo sulle linee di indirizzo e sulle politiche per una competenza continua, che il nursing, in tale ambito, ha bisogno di linee guida prestabilite e, poiché gli infermieri operano in ambienti complessi, dove la tecnologia e la pratica sono in continuo cambiamento, i cittadini americani premiano gli infermieri con adeguate conoscenze ed abilità per un’assistenza sicura e di qualità. Glazer puntualizza che la competenza iniziale ed in divenire è la più importante componente nell’assicurazione di una performance di salute. Certificare ed assicurare la competenza dei professionisti della salute, sempre secondo l’Autrice, è un argomento che ha interessato diversi stakeholders come ad esempio l’American Nurses Association, l’American Nurses Credentialing Center – organismo di certificazione infermieristica, La Pew Health Professions Commission, ecc. Proprio dal lavoro svolto da quest’ultima organizzazione ha ripreso slancio il dibattito sulla regolamentazione della competenza continua dei professionisti della salute. Essendo relativo a tutti i professionisti della salute, il rapporto, datato 1998, ha identificato i punti salienti relativamente alla sicurezza degli assistiti, alla qualità delle cure ed alla competenza dei professionisti per l’erogazione di cure di qualità: la competenza diminuisce dopo il ciclo di formazione di base ed inoltre le ore di aggiornamento per l’educazione continua non garantiscono quella competenza che, oltre ad essere garantita per l’ingresso nel mondo del lavoro, dovrebbe essere dimostrata attraverso l’intera carriera. Sempre sullo stesso argomento, Lyon e Boland hanno riportato che le associazioni infermieristiche sono d’accordo con la premessa di base che la competenza continua dei professionisti è un fattore critico per un sistema sanitario di qualità ma è necessario e urgente che la documentazione della competenza sia deferita alle associazioni professionali. Gli Autori identificano i domini della competenza nella conoscenza, nella competenza tecnica, culturale e nella competenza relazionale Nel 2004, Judith Oulton, il manager esecutivo dell’International Council of Nurses (ICN) ha sottolineato l’importanza che tutti gli infermieri siano interessati alla regolamentazione delle competenze; sulla base del lavoro dell’ICN, l’Autrice ha definito gli obiettivi della regolamentazione: • definire la professione e gli scopi pratici della professione; • definire standards educativi, etici e di competenza, • stabilire sistemi di “accountability” e processi di accreditamento. Il Citizen Advocacy Center (CAC) ha iniziato a focalizzare l’attenzione sulla competenza continua dei professionisti della salute dai primi anni ’90 e, nel 2000, ha tenuto una conferenza per analizzare lo stato dell’arte della valutazione e della assicurazione della competenza continua. Le barriere identificate sono state definite come: “core barriers” (bisogno di accordo su termini e definizioni, bisogno di ricerca per valicare metodologie ed approcci, bisogno di collaborazione), barriere di fattibilità amministrativa, di credibilità pubblica, di accettazione professionale, legali e di fattibilità economica. Per ogni barriera sono state sviluppate delle strategie. Nel 2004 il CAC ha prodotto un rapporto dal titolo: “Manteining and Improving Health Professional Competence: the CAC Road Map to Continuing Competency Assurance”. Una road map è un piano d’azione disegnato per raggiungere l’istituzionalizzazione di una significativa e periodica valutazione della competenza continua. Tale processo è strutturato in 5 passi: 1. valutazione periodica di routine; 2. sviluppo do un piano personale; 3. implementazione del piano personale; 4. documentazione, e 5. dimostrazione della competenza analizzata. Lo scopo di questo modello è di mettere in grado i professionisti della sanità di praticare un’assistenza sicura e di qualità e di supportare gli sforzi di apprendimento attraverso tutta la vita lavorativa, non quello di punire o di essere un peso per i professionisti. Si tratta quindi di un modello che si rifà al portfolio. Un rapporto del 1998 della Pew Health Profession Commissions Taskforce on Health Care Workforce Regulation intitolato “Strenghtening Consumer Protection: Priority for Health Care Workforce Regulation”, ha identificato i potenziali strumenti di misura per la valutazione delle competenze, che includono: • esami standardizzati, • ripetizione degli esami nella specialità prescelta, • simulazioni al computer, • piani di assistenza standardizzati,

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• esami obiettivi clinici strutturati, • revisione delle registrazioni, • valutazioni pratiche, • completamento con successo di training riconosciuti, • autovalutazione della competenza continua, identificazione dei punti di debolezza, corsi di educazione

continua fatti “su misura” con relativi esami, • rapporti di soddisfazione degli assistiti. In modo similare, nella dichiarazione del National Association of Clinical Nurse Specialists (NACS) sul Clinical Nurse Specialist Practice and Education si afferma che “ gli scopi della pratica dei CNS dovrebbero essere esplicitati in una regolamentazione che preveda il loro riconoscimento, che definisca la responsabilità del nursing ad un livello avanzato, che renda esplicite le esperienze acquisite nelle specialità. Il riconoscimento e la richiesta delle evidenze degli esami psicoattitudinali, del portfolio, dell’educazione continua, dovrebbero essere ottenuti dalle organizzazioni professionali e dovrebbero essere disponibili, pubblici, legalmente difendibili e logicamente correlati alla specialità pratica ove il professionista è impiegato”. Lyon e Boland descrivono l’opzione del portfolio come uno strumento “attraente” per la dimostrazione delle competenze. Il portfolio è servito da base per il recente lavoro collaborativi tra NACNS e ANCC (Americans Nurses Credentialing Center) ed è supportato dall’American Nurse Association. Nel 1999 un articolo sul portfolio in The American Nurse, ANA Nurse Practice Counsel Windy Carson, ha posto l’attenzione sull’uso potenziale del portfolio nei procedimenti disciplinari nei quali l’autovalutazione errata o errori nelle aree di debolezza possono portare a delle condanne. Altre potenziali preoccupazioni sui modelli di portfolio sono relative a come l’autovalutazione può essere affidabile per la misurazione e l’assicurazione della competenza e su cosa misurare. Conclusioni La valutazione e l’assicurazione delle competenze dei professionisti della salute sono antiche preoccupazioni con una nuova urgenza. La sicurezza dei pazienti e la prevenzione degli errori mettono in evidenza la competenza degli operatori. È necessaria la ricerca per comparare le metodologie ed identificarne l’impatto sui pazienti. In questo contesto, il NACNS sta lavorando per lo sviluppo del portfolio come un significativo, cost-effective e legalmente difendibile strumento per la validazione delle competenze degli infermieri. Art. 2 Woods A.: Patient safety: not a question of competence (24). Traduzione e sintesi: L’Autrice, direttore clinico della rivista, esce dal coro e affronta la problematica della sicurezza del paziente dal punto di vista delle responsabilità del management infermieristico: come managers il dovere è duplice, da un lato come “avvocato” dei pazienti e dall’altro come “avvocato” degli infermieri. Considerando i più comuni errori riportati nella somministrazione dei farmaci (farmaci errati, dosaggi o tempi di somministrazione errati, errori nel riconoscimento delle interazioni tra farmaci, mancato monitoraggio degli eventi avversi e inadeguata comunicazione) non bisogna dimenticare che la sicurezza inizia dai provvedimenti manageriali a partire dalla scelta dei migliori presidi e dei migliori processi organizzativi. La ricerca dimostra chiaramente che i sistemi computerizzati di ordine e gestione mediante lettore ottico diminuiscono sensibilmente la frequenza di errore. Bisogna inoltre valutare fattori tipo numero di personale che prepara e dispensa i farmaci dal servizio di farmacia, numero di infermieri che somministrano farmaci in sicurezza, accessibilità e standardizzazione dei formulari e dei manuali delle procedure. Gli standards di cura e gli equipaggiamenti cambiano continuamente: è responsabilità del manager non solo di iniziare il cambiamento me anche di assicurarne la compliance con il sistema. Questo articolo è molto significativo in quanto rimanda alla necessità di una cultura organizzativa basata sulla ricerca sistematica di condizioni operative finalizzate alla sicurezza degli assistiti, come evidenziato e descritto al capitolo precedente. 19. Lo sviluppo delle competenze per la sicurezza degli assistiti. Partendo dal presupposto che il vertice strategico aziendale riconosca come necessaria una vision focalizzata sulla sicurezza per le persone destinatarie del servizio prodotto, diventa evidente che l’impianto organizzativo

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sovradescritto, necessita, per una sua reale implementazione, della diffusione di una nuova cultura organizzativa, basata sulla responsabilizzazione dei professionisti e sulla creazione di valore aggiunto per i risultati conseguiti. Vi è quindi la necessità di una formazione specifica degli operatori per costituire un corpus di nuove conoscenze da applicare in un nuovo contesto operativo, strutturato e inge-gnerizzato ad hoc. La prima dimensione culturale da approfondire da parte dei professionisti è, naturalmente, quella etica. 20. Il codice deontologico e la sicurezza degli assistiti Il Codice Deontologico degli Infermieri, già citato, tratta la qualità dell’assistenza e la sicurezza delle persone assistite in diversi articoli e punti. Art. 2. Principi etici della professione 2.6. Nell’agire professionale, l’infermiere si impegna a non nuocere, orienta la sua azione all’autonomia e al bene dell’assistito, di cui attiva le risorse anche quando questi si trova in condizioni di disabilità o svantaggio. 2.7. L’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche attraverso l’uso ottimale delle risorse. In carenza delle stesse, individua le priorità sulla base di criteri condivisi dalla comunità professionale. Art. 3. Norme generali 3.1. L’infermiere aggiorna le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua competenza. L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da garantire alla persona le cure e l’assistenza più efficaci. L’infermiere partecipa alla formazione professionale, promuove ed attiva la ricerca, cura la diffusione dei risultati, al fine di migliorare l’assistenza infermieristica. 3.3. L’infermiere riconosce i limiti delle proprie conoscenze e competenze e declina la responsabilità quando ritenga di non poter agire con sicurezza. Ha il diritto ed il dovere di richiedere formazione e/o supervisione per pratiche nuove o sulle quali non ha esperienza; si astiene dal ricorrere a sperimentazioni prive di guida che possono costituire rischio per la persona. Art. 4. Rapporti con la persona assistita 4.9. L’infermiere promuove in ogni contesto assistenziale le migliori condizioni possibili di sicurezza psicofisica dell’assistito e dei familiari. Art. 6. Rapporti con le istituzioni 6.4. L’infermiere riferisce a persona competente e all’autorità professionale qualsiasi circostanza che possa pregiudicare l’assistenza infermieristica o la qualità delle cure, con particolare riguardo agli effetti sulla persona.

Le norme etiche rientrano (dovrebbero rientrare) nella parte sommersa dell’iceberg della competenza, nell’immagine di sé, cioè nel livello più profondo e difficilmente modificabile della competenza, che potremmo anche definire come un pre-requisito della competenza stessa. Le norme etiche, tuttavia, rientrano anche fra le cogenze normative, grazie al novero della L. 42/1999 e pertanto emergono dal livello “0” acquisendo forma e sostanza di conoscenze di base del professionista infermiere, conoscenze cioè obbligatorie. 21. Il progetto formativo Lo sviluppo delle competenze nel campo specifico della sicurezza per gli assistiti richiede però anche l’implementazione di un progetto formativo ad hoc, di cui, come suesposto, il coordinatore è sia parte attiva in quanto responsabile per la parte relativa al personale che coordina, che parte passiva nella veste di figura da formare all’interno di un progetto che, ripeto, deve (dovrebbe) coinvolgere l’azienda nella sua globalità. Non bisogna nascondere la difficoltà che incontra nelle organizzazioni la cultura della qualità, che non è realmente sentita, partecipata, agita emotivamente. Troppo spesso capita di imbattersi in azioni formative che, pur reggendo sul piano dell’astrattezza metodologica, nella loro essenza non costituiscono la soluzione di problemi reali per diversi motivi: i problemi sono troppo complessi da affrontare, il processo diagnostico e quello progettuale vengono sopraffatti dai desideri interni degli attori, molto spesso le soluzioni proposte svolgono una funzione autoreferenziale, ovvero non servono tanto per risolvere problemi reali, quanto piuttosto per permettere la sopravvivenza del sistema che le propone (25).

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Si può migliorare la qualità dei processi formativi, così come di quelli lavorativi, se si pone al centro di ogni processo l’individuo e le sue relazioni col mondo (e quindi anche con il lavoro), se si migliora pertanto anche l’idea del lavoro. Il lavoro, nella maggioranza delle culture organizzative, al di là delle dichiarazioni di facciata, è però stato ridotto ad un comportamento coatto, un obbligo a cui si deve assolvere, senza particolari tensioni partecipative. Di fronte a questa complessità la formazione ha la facoltà di decidere di concorrere alla fondazione di un vero e proprio dominio professionale e scientifico dell’azione formativa, sostenuto da un sistema di sperimentazione realmente monitorato e documentato.

Una tale evoluzione si ottiene con un cambiamento significativo delle strutture, delle procedure ma anche della logica e dei comportamenti di lavoro. In questa nuova visione la formazione passa da una logica di costo ad una logica di investimento: sia l’utente finale che il committente istituzionale sono associati al formatore nell’impegno di realizzare gli obiettivi attesi del progetto formativo, cioè di mettere in atto le competenze individuate come necessarie per dare vita ad una nuova prestazione o migliorare una carente. L’utente della formazione è un attore determinante per la qualità della progettazione, dell’apprendimento e delle competenze che ne sono il risultato. L’altro imprescindibile attore contrattuale è il committente del progetto, vale a dire il o i soggetti che hanno responsabilità gerarchica diretta o indiretta sugli utenti finali (26). Il coordinatore presidia le condizioni organizzative nelle quali si lavora e si trova quindi all’origine della domanda di formazione: solo il coordinatore conosce lo stato delle sue risorse, i relativi vincoli e potenzialità. La sua partnership nel progetto formativo, pertanto, è indispensabile per collegare i bisogni agli obiettivi di apprendimento e questi alla qualità delle competenze messe in atto nel lavoro. Senza le decisioni del management, qualunque progetto formativo non è un progetto di cambiamento/miglioramento, ma un episodio di cui si può perdere il significato specifico. Mandato Regionale

Come già evidenziato nel capitolo del “contesto”, dalle Linee per la gestione del Servizio Sanitario Regionale 2005, si evince che il SSR ritiene strategica la formazione/aggiornamento del personale, che rappresenta il vero know-how delle Aziende. …“E’ necessario avviare il sistema di Educazione Continua in Medicina nella Regione Friuli Venezia Giulia secondo le previsioni di cui al d.lgs. 502/92 e successive modificazioni ed integrazioni e quanto già indicato con Deliberazione della Giunta Regionale n. 1091 del 17 aprile 2003 “Istituzione del Sistema per l’Educazione Continua in Medicina, Piani Formativi del SSR – Osservatorio delle Professionalità”... L’attribuzione alla Regione della competenza a promuovere sul proprio territorio il sistema della formazione continua comporta la necessità di definire l’assetto organizzativo ed operativo del quale dotarsi e, in particolare, di costituire la consulta regionale per la Formazione in Sanità composta da rappresentanti degli Ordini, dei Collegi e dalle Associazioni professionali più rappresentative, e della Commissione Regionale per l’Educazione Continua in Medicina composta da esperti in materia di sanità e di formazione. Nel 2005 tale organismo ha provveduto all’accreditamento degli eventi formativi che si svolgeranno sul territorio regionale, alla verifica e valutazione di tali eventi ed a recepire ed applicare i criteri per l’accreditamento dei providers, previsti a livello nazionale. Particolare riguardo è stato posto nei confronti delle attività di Formazione A Distanza e di Formazione Sul Campo finalizzate a promuovere iniziative di partecipazione attiva dei professionisti del ruolo sanitario in programmi condivisi tra la rete ospedaliera e quella territoriale”. La Formazione Sul Campo risulta essere l’asso nella manica di un eventuale progetto volto allo sviluppo delle competenze professionali nell’ambito del governo clinico e del risk management: quale miglior strumento, inoltre, per ottemperare all’art. 20 del CCNL per il quadriennio 2002/2005 che prevede l’obbligo delle aziende di provvedere a colmare il debito formativo per tutti gli interessati in orario di servizio (un compito immane sia in quanto nell’ambito delle P.A. la formazione sconta la scarsità di risorse destinate allo scopo, sia per la carenza di organico infermieristico che rende improponibile l’allontanamento di personale per un così elevato numero di ore lavorative) e, al contempo, per costruire una learning organization, cioè un’organizzazione che apprende?

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22. La learning organization Le organizzazioni appendono quando i singoli ed i gruppi acquisiscono nuove competenze e concretizzano, nei risultati, azioni visibili che derivano dall’apprendimento; per realizzare apprendimento nelle organizzazioni occorre quindi sviluppare capacità e conoscenze che devono essere condivise: si devono creare le condizioni favorevoli per realizzare un collegamento organico e non casuale fra apprendimento individuale e trasferimento al gruppo ed all’organizzazione (27). La fase di trasferimento e applicazione di ciò che si è imparato nella situazione di lavoro reale è la effettiva fase di conclusione del progetto formativo. L’assimilazione/riorganizzazione dello schema di conoscenze, abilità e comportamenti degli ex partecipanti alla formazione può essere messa in atto nella situazione lavorativa se esistono o vengono predisposti e curati alcuni importanti fattori agevolanti, che si possono ricondurre ad un gruppo omogeneo di condizioni organizzative della formazione. La prima condizione, determinante per realizzare una buona qualità di trasferimento, è il ruolo del responsabile gerarchico diretto degli utenti diretti della formazione: un comportamento agevolante, che si traduce ad es. in una richiesta di feed back strutturato sui risultati dl programma tramite una riunione o un report agli altri colleghi, o, meglio ancora, l’incarico di trasmettere ad essi le nozioni e la abilità apprese in un’attività concreta, sono elementi altamente positivi. Nella stessa linea devono essere predisposte, sempre a cura del coordinatore le condizioni concrete per praticare l’apprendimento, condizioni che devono essere coltivate con iniziative che partano dagli stessi collaboratori. Un altro elemento importante è il cosiddetto clima interno: chi apporta il nuovo apprendimento deve essere accolto come un contributore, non come un corpo estraneo. Infine, bisogna stabilire un sistema di valutazione a distanza di tempo dalla formazione, che dia valore ad una logica di miglioramento continuo. Riconoscere ai partecipanti alla formazione la capacità di trasferire l’apprendimento nel proprio lavoro e magari anche agli altri colleghi porta alla creazione ad ella circolazione del capitale intellettuale dell’organizzazione. 23. Il modello di audit della formazione. Nella check list seguente vengono elencati i principali indicatori che possono essere presi a riferimento per attuare il trasferimento e che costituiscono il modello di audit della formazione. 1. Ruolo agevolante del management diretto Il responsabile diretto gioca un ruolo importante per indurre il suo collaboratore ad applicare nella situazione lavorativa ciò che ha imparato. Indicatori:

a) esistenza di un incontro/riunione post formazione con il responsabile diretto; b) esistenza di piani di applicazione/sviluppo dell’apprendimento; c) presenza di questi elementi nella valutazione del coordinatore e dei collaboratori; d) esistenza di feed back dei coordinatori verso il servizio formazione.

2. Adeguamento delle condizioni organizzative Indicatori:

a) Grado di pertinenza della situazione lavorativa, dei mezzi e delle condizioni, ad es. esistenza delle situazioni concrete (in quantità sufficiente) che consentono di mettere in pratica ciò che si è inparato;

b) confronto con le condizioni di riuscita definite nel capitolato del progetto formativo (che contiene le specifiche);

c) esistenza di una rete interna che agevola l’applicazione e di una buona cooperazione a questo fine. 3. Contesto positivo Indicatori:

a) grado di motivazione dei partecipanti ad applicare quanto appreso nella situazione lavorativa; b) grado di cooperazione interna al settore di appartenenza dei partecipanti; c) esistenza di un clima positivo e di un atteggiamento disposto a mettere in pratica all’interno del

gruppo di lavoro.

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4. Valutazione dopo la formazione e miglioramento continuo: esiste un sistema di valutazione post-formazione diversificato a seconda dell’importanza e della natura della formazione realizzata, viene in ogni caso valutato il grado di soddisfazione dei partecipanti e dei diretti responsabili. Per la formazione “strategica”, ad es. sul governo clinico, viene valutato in modo specifico e distinto l’efetto della formazione su un campione di partecipanti (per misurare l’applicazione delle nuove competenze) e l’impatto organizzativo. I risultati delle valutazioni vengono utilizzati per migliorare il sistema in una logica di “progresso continuo”.

Indicatori per la formazione standard: a) risultati positivi in termini di soddisfazione dei responsabili diretti entro 3 mesi dal compimento

dell’attività; b) è previsto un report finale a cura del coordinatore, in una logica di miglioramento continuo.

Indicatori per le attività strategiche (oltre ai precedenti): c) un sistema di valutazione dei risultati della formazione in situazione lavorativa, sul versante dei

comportamenti professionali, a livello individuale; d) un sistema di valutazione dei risultati della formazione attraverso indicatori di impatto organizzativo

(numero di infezioni ospedaliere, numero di cadute accidentali dei pazienti, corrispondenza agli standard assistenziali, ecc.) ed in termini di soddisfazione dei capi;

e) è prevista la formazione dei formatori all’impiego del sistema di valutazione; f) uso di strumenti di assistenza post-formazione che agevolino l’applicazione e la manutenzione delle

competenze degli ex-partecipanti alle attività; grado di efficienza dei progetti formativi: rapporto tra efficacia formativa valutata con i punti precedenti ed i mezzi impiegati.

In quest’ottica la valutazione può essere considerata per il suo valore strategico di contributo allo sviluppo organizzativo, attraverso l’affinamento, il consolidamento, l’innalzamento degli standard attesi in termini di qualità della risorsa o in termini di competenze. Nasce, di conseguenza, l’esigenza di determinare precisamente il ritorno di tale investimento, il suo bilancio come rapporto tra costi sostenuti e benefici conseguiti, vale a dire la redditività della formazione. Il ruolo del coordinatore in questo ambito risiede nella collaborazione per una messa a punto di un corretto sistema di rilevazione dei dati, nella impostazione di un’assistenza per obiettivi, nella definizione del fabbisogno formativo e nella valutazione dei risultati. Ci devono comunque essere le condizioni favorevoli (valori diffusi, politiche, sistema premiante, strumentazione adeguata, ecc.) per realizzare un collegamento organico e non casuale fra apprendimento individuale, trasferimento al gruppo e all’organizzazione e miglioramento continuo e innovazione. 24. Il Knowledge Management Il knowledge management da una parte mira a creare, trattenere, organizzare e rendere disponibile il capitale conoscitivo dell’azienda e per l’azienda, dall’altra sostiene le attività di apprendimento valutando costantemente “lo stato dell’arte”, ponendo obiettivi di miglioramento e creando le condizioni organizzative per attuarli attraverso interventi e uso di strumenti appropriati e coerenti, raggruppabili esemplificativamente in: • interventi sulla cultura aziendale: sviluppo e formazione, leadership appropriate, sistema incentivante e

premiante, ecc.; • interventi sull’organizzazione: ridisegno dei processi aziendali (es.: percorsi diagnostico-terapeutici),

alleanze, adeguamento dei sistemi di controllo; • sviluppo e utilizzo delle tecnologie dell’informazione: sistemi informativi, telematica, intranet, ecc. In questo aspetto la conoscenza viene gestita dai manager come uno dei vari aspetti del lavoro quotidiano. Anche per il knowledge management non esiste un unico approccio: le politiche e le tecniche usate si differenziano tra azienda ed azienda in funzione dei vari obiettivi. L’aspetto unificante è, in linea di massima, dato comunque dalla considerazione che la conoscenza e la qualità delle competenze sono considerate strategiche e quindi determinanti per la sopravvivenza ed il successo dell’organizzazione.

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Diventa pertanto componente organica dell’azione manageriale il perseguire l’acquisizione di nuove competenze e la distribuzione delle stesse a chi ne ha bisogno, il rendere la conoscenza accessibile a tutta l’organizzazione e disponibile per il futuro ed infine il facilitare l’integrazione e lo scambio delle conoscenze fra le varie aree dell’organizzazione. Il questo quadro, l’attenzione allo sviluppo di un ruolo dei coordinatori orientato anche al coaching diventa obiettivo e strumento specifico di questo particolare tipo gestionale. 25. Il coaching Una gestione del personale che assume le competenze come elemento portante richiede di perseguire un’organizzazione basata sui processi di delega e valorizzazione delle persone fondata sull’empowerment. Questi processi includono una più ampia responsabilizzazione delle persone nel guidare e sostenere i rispettivi processi di apprendimento in modo più autonomo, una più intensa correlazione tra delega di poteri e responsabilità più precisa nell’autoformazione. Per facilitare e realizzare nella operatività quotidiana una costante attenzione alle competenze, diventa utile implementare un nuovo approccio al ruolo dei capi, il coaching. Si tratta di uno strumento per sviluppare supporto e apprendimento sul posto di lavoro in cui si intrecciano nuove e più definite responsabilità e competenze comunicazionali dei coordinatori con nuovi obiettivi di formazione e di sviluppo delle persone. Coach, nel contesto sportivo, “è colui che allena l’atleta, imposta e segue il suo apprendimento, sostiene il suo miglioramento”. Trasferito il concetto nel mondo del lavoro, il compito del capo-allenatore è quello di assistere la persona affinché realizzi le sue potenzialità e acquisisca le conoscenze, capacità, atteggiamenti necessari per migliorare i propri risultati. Il coaching può quindi essere considerato come una forma di assistenza individuale teorico-pratica, un punto di incontro tra formazione, sviluppo e consulenza individuale, in cui domina la comunicazione, intesa nella sua accezione più autentica di scambio, di relazione attiva ed influente. Il capo-allenatore può essere di grande utilità per: • sviluppare nel collaboratore una migliore capacità di esprimersi nel proprio ruolo; • sostenere un programma di sviluppo professionale; • fare realizzare una migliore comprensione di sé e del contesto in cui si opera; • far acquisire una maggiore consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza. L’applicazione del modello del coaching richiede specifiche doti di personalità, una solida preparazione del capo-allenatore ed un contesto aziendale evoluto: un sistema di sviluppo centrato sulle competenze, se realizzato in termini trasparenti e coerenti con le sue intrinseche finalità, richiede una gestione del personale aperta, non centrata deterministicamente sui bisogni e sui vincoli della struttura e maggiormente focalizzata sulle caratteristiche e le aspettative dei soggetti che vi operano. 26. Conclusioni Attualmente si perseguono obiettivi che possono apparire fra loro contraddittori: più specializzazione ma anche più integrazione, più autonomia ma anche più gioco di squadra, più personalizzazione dell’assistenza ma anche più efficienza, rapidità e finalizzazione agli obiettivi. Due strumenti possono sostituire i tradizionali sistemi di coordinamento e controllo gerarchico e di integrazione fra le diverse funzioni aziendali. • Un primo strumento è l’utilizzo estensivo dei gruppi di lavoro, a tutti i livelli dell’organizzazione, come

sistemi di delega, integrazione, innovazione e gestione dei processi. Il gruppo di lavoro emerge infatti come modalità chiave per un nuovo modo di operare che arricchisce e supera le potenzialità del lavoro individuale, attraverso regole operative fondate in particolare sulla delega, sul demando, sulla cooperazione e sull’interdisciplinarietà professionale, che caratterizzano in genere la composizione dei gruppi.

• Un secondo “strumento” è dato dai cosiddetti “ruoli professionali aperti”. Essi implicano una trasformazione degli specialisti e dei “capi tradizionali” (tra cui possiamo inserire il coordinatore) in figure di “professionisti d’azienda”, dotati di elevate competenze tecniche e scientifiche, ma anche di una visione ampia dei problemi dell’azienda e delle sue unità.

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Le professioni aziendali e le famiglie professionali vengono a costituire il “forum formativo, sociale e produttivo”, entro cui i professionisti possono collocare il proprio impegno, la comunità che sostiene le persone, mettendole in rapporto con il resto dell’impresa e con la più ampia comunità professionale esterna. All’interno di queste comunità la presenza di ruoli a maggiore contenuto professionale e incarichi ed esperienze con maggiore contenuto manageriale assicureranno nel tempo la crescita di capacità manageriali e di integrazione. La visibilità dei percorsi di sviluppo professionale può offrire alle persone un grosso supporto per orientare le proprie energie ed i propri apprendimenti: la gestione delle risorse umane, in ultima analisi, dovrebbe quindi essere inserita in un’ottica ad ampio spettro, avente come focus di prospettiva la costruzione di un’organizzazione orientata finalmente al cambiamento ed al cliente.

Per la stesura di questa tesi i contributi fondamentali sono stati quelli apportati dalle illuminanti e disarmanti lezioni sulla qualità nelle aziende sanitarie del prof. A. Gardini (una sorta di chiamata alle armi) e dalle concrete, complete e stimolanti lezioni sul governo clinico ed il risk management del dr. G. Bagni (generoso e scaltro tutor, quanto preciso e rigoroso dirigente). Ringrazio entrambi per la collaborazione e la guida fornita. Ringrazio inoltre il mio relatore, E. M. Fedel, e G. Graceffa, coordinatori del Corso di Laurea della sede decentrata di Monfalcone, per la irripetibile opportunità di crescita professionale che mi hanno concesso, il gruppo complessivo dei docenti, il Dr. F. Calducci (esempio umano di condivisione delle conoscenze), le AS L. Sandrin e T. Spessot, la Dr.ssa G. Cei, la Dr.ssa F. Ceresi e, last but not least, i miei compagni di corso per la condivisione delle ansie, delle aspettative, dei sogni e dei progetti durante il percorso del master e per aver creato insieme le basi per un nuovo nucleo di pressione culturale. Che la forza sia con noi (28).

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sanitaria. Centro Scientifico Editore, Torino 2004 2. Vuori H.. Verifica e revisione della qualità dei servizi sanitari. Concetti e Metodologia. Edimedica 2, 1985 3. Beccastrini S., Gardini A., Tonelli S.: Piccolo Dizionario della Qualità. Centro scientifico Editore, Torino, 2001 4. Codice Deontologico degli Infermieri, IPASVI, 1999 5. Vuori H. Quality Assurance in Health Care. EURO WHO, 1982 6. Donabedian A. Lecture outline and illustrative materials prepared by Avedis Donabedian for a seminar on quality

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Reggio Emilia, 2005 9. Santullo A. L’infermiere e le innovazioni in sanità, Mc Graw-Hill. Milano, 2004. 10. World Health Assembly Resolution 55.18. 11. European Society for Quality Assurance: Stakeholders’ Position. Paper on Patient Safety. 2005 12. Luxembourg Declaration on Patient Safety, 2005 13. Bagni G. Appunti dalle lezioni al master di I° livello in management infermieristico per le funzioni di

coordinamento, Università degli Studi di Trieste, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Corso di laurea in Infermieristica. Trieste, 2005.

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