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IL CENTRO BIOS DELLA CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA A ROMA PRENOTATE SUBITO UN COLLOQUIO CON LO SPECIALISTA AL CUP BIOS - 06 809641 VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA CLINICO-STRUMENTALE ASSISTENZA POST-OPERATORIA FOLLOW-UP 1, 3, 6, 12 MESI MEDICINA ESTETICA SOLUZIONI FINANZIARIE PERSONALIZZATE VISITE E CONSULTAZIONI: BIOS SPA - VIA D. CHELINI 39, ROMA PRIMO COLLOQUIO GRATUITO www.bioscultura.it Direttore: Pier Luigi Amata

Transcript of  · cambiamento strutturale in corso del nostro Pae-se? Sappiamo che il costo dell’assistenza...

IL CENTRO BIOS DELLA CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA A ROMA

PRENOTATE SUBITO UN COLLOQUIO

CON LO SPECIALISTA AL CUP BIOS - 06 809641

• VALUTAZIONE PRE-OPERATORIACLINICO-STRUMENTALE

• ASSISTENZA POST-OPERATORIAFOLLOW-UP 1, 3, 6, 12 MESI

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Direttore: Pier Luigi Amata

Edizioni bIoS S.p.A.

n. 3 - 2010

Ipereosinofilie: un profilo diagnostico

in citofluorimetria a flusso

PSA, PSA ratio, PCA3

La celiachia

Sistema immunitario e teoria dei sistemi

Una strana difterite da fagiolini...

mal conservati

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DIRETTORE SANITARIO: Dott. Francesco Leone

BIOS S.P.A. - STRUTTURA SANITARIA POLISPECIALISTICA

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CUP - CENTRO UNIFICATO DI PRENOTAZIONE - 06 809641

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Direttore ResponsabileFernando Patrizi

Direzione ScientificaGiuseppe Luzi

Segreteria di RedazioneGloria Maimone

Coordinamento EditorialeLicia Marti

Comitato ScientificoArmando CalzolariCarla CandiaVincenzo Di LellaFrancesco LeoneGiuseppe LuziGilnardo NovellliGiovanni PeruzziAugusto VellucciAnneo Violante

Hanno collaborato a questo numero:Giuseppe Luzi, Augusto Vellucci, Gabriele Rumi, Alessandro Amici,Anna Simonetta Battiato, Alessandro Ciammaichella.

La responsabilità delle affermazionicontenute negli articoli è dei singoli autori.

Direzione, Redazione, AmministrazioneBioS S.p.A. Via D. Chelini, 3900197 Roma Tel. 06 [email protected]

Grafica e ImpaginazioneVinci&Partners srl

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In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A.si dichiara disponibile per regolare eventuali spettanze relative alle immagini delle quali non sia stato possibile reperire la fonte

Pubblicazione in distribuzione gratuita.

Finito di stampare nel mese di luglio 2010

bIoS SpAStruttura Sanitaria PolispecialisticaVia D. Chelini, 39 - 00197 RomaDir. Sanitario: Dott. Francesco LeoneCUP 06.809.641

Un punto di forza per la vostra salute

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N. 3/2010

Bimestrale di informazione e aggiornamento scientifico

L’editoriale 2

Fernando Patrizi

Ipereosinofilie: un profilo diagnostico in citofluorimetria a flusso 3

Gabriele Rumi

PSA, PSA ratio. PCA3 5

Alessandro Amici

La celiachia 6

Anna Simonetta Battiato

Sistema immunitario e teoria dei sistemi 10

Giuseppe Luzi

Una strana difterite da fagiolini... mal conservati 13

Augusto Vellucci

Periodico della bIoS S.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi

L'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelleRegioni Italiane, nato per iniziativa dell'Istitutodi Igiene dell'Università Cattolica del SacroCuore, rappresenta un’istituzione di caratterescientifico sotto forma di Centro di Eccellenzain collaborazione con le istituzioni accademiche,scientifiche e tecnologiche nazionali ed interna-zionali, con particolare riferimento all'EuropeanObservatory on Health Care Systems dal qualemutua i meccanismi istituzionali. è opera meri-toria di questa istituzione produrre documenti ag-giornati sulla “salute nelle regioni italiane” conlo scopo di controllare gli aspetti organizzativi egestionali delle varie strutture sanitarie.

Il recente rapporto riferito al 2009, nella suaestensione completa accessibile su internet, for-nisce un quadro interessante sul tema, tenutoconto che la gestione del Servizio Sanitario Na-zionale avrà un futuro sempre più correlato allestrutture regionali. Molti sono gli elementi cheemergono dal voluminoso lavoro. Nel comuni-cato stampa del 16 marzo 2010 relativo alla pre-sentazione del Rapporto “Osservasalute 2009” silegge: “La crisi morde anche la salute: Nord bene

e soddisfatti, Sud male e rassegnati, soprattuttodonne e anziani”. Le prime note del comunicatoidentificano immediatamente l’essenza della ri-cerca: “La salute degli italiani, ancorché com-plessivamente buona, sta subendo duramente an-che i colpi della crisi economica, i cui effetti siriscontrano su più fronti e tendono a colpire so-prattutto le fasce più deboli di popolazione, an-ziani e donne.

Sotto il peso della scarsa disponibilità eco-nomica si spegne il sorriso degli italiani, infatti ilricorso alle cure odontoiatriche, quasi sempre acarico delle famiglie, è stato un “lusso” che solopoco più di una famiglia su tre (il 39,7%) si è po-tuto permettere”.

Partendo da queste importanti premesse la sa-nità privata e convenzionata come si inserisce nelcambiamento strutturale in corso del nostro Pae-se? Sappiamo che il costo dell’assistenza sanita-ria e delle sue varie articolazioni, per esempio nelLazio, rappresenta la voce fondamentale della spe-

sa regionale. Gran parte del dibattito che ha pre-ceduto le elezioni regionali, pur nella confusio-ne talora generata dalla diversità delle opinioni aconfronto, ha riguardato solo in parte la sanità nel-la nostra regione. Dobbiamo chiederci: si vuoleveramente attivare una collaborazione omogeneatra strutture pubbliche e private? La regione La-zio si trova di fronte a un cambiamento importantedal punto di vista politico.

Negli anni recenti il disagio delle struttureprivate, soprattutto nel settore delle analisi clini-che di laboratorio, si è manifestato secondo variemodalità e molti laboratori hanno chiuso.

La nostra BIOS, malgrado stia subendo dacirca tre anni una consistente riduzione del bud-get assegnato per le analisi di laboratorio in con-venzione con il S.S.N., ha continuato a garantireininterrottamente il servizio alla clientela.

I politici, nel Lazio, regione non certo vir-tuosa per il controllo della spesa sanitaria, sonodi fronte a scelte di programma che non possonopiù eludere. L’assistenza pubblica da sola non cela fa. L’assistenza privata garantita da servizicontrollati e qualificati dalla stessa regione non èun optional funzionale ma fa parte essenziale diquesto settore dell’economia e dell’assistenza.Il territorio, alla luce delle esigenze del singolocittadino, rappresenta una realtà quotidiana dovec’è necessità di riferimenti certi, di fiducia. Il la-boratorio privato è spesso il laboratorio di fidu-cia, quello presente nel territorio, che offre cre-dibilità nel risultato, nei tempi di attesa, nellapossibilità di discutere punti critici.

La BIOS SpA è un importante realtà del ter-ritorio non solo romano ma del Lazio; per questovuole farsi parte attiva per la difesa della propriarealtà aziendale e per offrire un servizio qualifi-cato all’utenza, nella chiarezza del ruolo regio-nale. La regione deve inoltre rispettare i tempi dipagamento e non essere di ostacolo a chi impe-gnandosi con investimenti e rischio imprendito-riale fornisce un supporto essenziale a deficit diassistenza non altrimenti superabili.

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EDItoRIALEFernando Patrizi

Una prospettiva del “fare” nell’ambito dell’iniziativa privata: quale futuro?

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Gli eosinofili sono granulociti che originanodal midollo osseo, dotati di funzioni in diverse pa-tologie ed esplicanti un ruolo chiave nelle fasi tar-dive e croniche delle reazioni infiammatorie e al-lergiche. Le granulazioni dei granulociti eosino-fili furono osservate per la prima volta nel 1846da Wharton, in preparazioni di cellule di sangueperiferico non sottoposte a colorazione. Il termi-ne “eosinofilo” fu introdotto successivamente daPaul Ehrlich (1879) che ne descrisse l’intensa co-lorazione dei granuli indotta dall’eosina.

Il coinvolgimento degli eosinofili è stato di-mostrato in alcune condizioni cliniche come le ma-lattie parassitarie, le malattie allergiche e l’asma,le alterazioni cutanee e alcune malattie neopla-stiche. In condizioni normali il numero degli eo-sinofili è inferiore a 0.4 x 109/l. L’ipereosinofiliasi accompagna a situazioni patologiche nellequali è in atto una risposta correlata a linfociti de-finiti Th2 spesso accompagnata da iper-IgE, an-che se l’ipereosinofilia può manifestarsi isolata.

L’ipereosinofilia è comunque presente in di-verse situazioni patologiche a patogenesi non sem-pre ben definita (malattie dell’apparato digeren-te, malattie del sistema immunitario, malattie reu-

matiche, malattie dell’apparato urinario, malattiecutanee). Gli eosinofili sono in grado di esprimere,“de novo”, particolari recettori dopo prolungatacoltura con alcune citochine. Il ciclo vitale del-l’eosinofilo è ripartito in tre fasi: midollare,ematica e tessutale. Sebbene sia un elemento pie-namente formato nel sangue periferico, l’eosinofiloè una cellula che dimora nei tessuti. Nell’uomoil rapporto tra eosinofili tessutali ed eosinofili delsangue è di circa 100:1. Gli eosinofili risiedonoa livello dei tessuti esposti ad agenti ambientali(intestino e vie respiratorie). La stimolazione “invitro” con varie citochine del sangue periferico in-duce l’espressione del marker precoce di attiva-zione, CD69, dell’α-catena del recettore perl’IL-2 (CD25) e della β2 integrina, CD113. Ne-gli eosinofili presenti nell’espettorato di sogget-ti asmatici si osserva una regolazione verso l’al-to di CD11b, CD11c, CD67, CD69, CD137,HLA-DR. Pertanto, gli eosinofili di individuiasmatici, specialmente quelli derivati dal polmone(BAL), presentano alcuni fenotipi di attivazione,relativi a particolari funzioni biologiche.

Le reazioni di ipersensibilità immediata, cioèquelle che avvengono in tempi molto rapidi, mi-nuti, sono scatenate dall'interazione di un antigenecon anticorpi specifici di classe IgE legati a re-cettori di membrana presenti su mastociti, gra-nulociti basofili e granulociti eosinofili attivati.Mentre la reazione immediata è riferibile all'azionedei mediatori chimici preformati contenuti nei gra-nuli dei mastociti e dei basofili, la reazione ritar-data è dovuta a mediatori mastocitari neosinte-tizzati e alle conseguenze di un processo infiam-matorio sostenuto da linfociti T e da eosinofili cheinfiltrano l'organo bersaglio. L'arruolamento e l'at-tivazione degli eosinofili completa il quadro del-la cosiddetta "flogosi allergica" che, in forma piùo meno marcata, rappresenta il comune deno-

IPEREoSINofILIE:

UN PRofILo DIAGNoStICo

IN CItofLUoRImEtRIA A fLUSSoGabriele Rumi

minatore di tutte le forme cliniche a patogenesiallergica. Gli eosinofili sono direttamente re-sponsabili delle modificazioni strutturali dei tes-suti ove vengono reclutati. Attraverso la liberazionedella proteina basica maggiore (MBP), delleproteasi e di radicali dell'ossigeno i granulociti eo-sinofili inducono vari tipi di danno. Gli eosino-fili sono particolarmente coinvolti nella fagocitosidi complessi antigene-anticorpo. Essi aumentanodurante alcune infezioni parassitarie e in indivi-dui con allergie. Alcune delle sostanze contenu-te nei granuli eosinofilici reagiscono con prodottiprovenienti dai basofili, dalle mastcellule e dailinfociti (l’enzima istaminasi, per esempio, inat-tiva l’istamina). Il netto effetto dei fattori rilasciatidagli eosinofili è un generale decremento nel-l’infiammazione e una riduzione della migrazio-ne granulocitaria nei siti di invasione dei mi-crorganismi. Gli eosinofili hanno la capacità di se-cernere un eccesso di citochine, fattori di cresci-ta e altri mediatori che possono essere coinvolti nel-le interazioni autocrine, paracrine o endocrine chesono in grado di colpire molti altri tipi di cellu-le. Alcuni mediatori sono prodotti costitutivamente,altri sono prodotti solo dopo l’attivazione cellu-lare. Inoltre, essi esprimono numerosi recettori chepermettono loro di rispondere alle citochine.Cambiamenti funzionali sono associati alla sti-molazione degli eosinofili, all’attivazione e allaconversione al fenotipo ipodenso. Cambiamentifenotipici negli eosinofili sono il risultato di at-tivazioni acute o croniche. HLA- DR, CD25, CD54(molecola di adesione cellulare) e CD69 appaiono“de novo”. Altri marker di superficie sono rapi-damente incrementati da gruppi preformati pre-senti nei granuli o rapidamente ridotti come ri-sultato della scissione proteolitica. Molti di que-sti cambiamenti dovuti all’attivazione sono statievidenziati su eosinofili isolati dai siti extrava-scolari dell’infiammazione. Solo la presenza diCD69 e CD25 ha mostrato una correlazione con

l’ipodensità o l’attività della malattia allergica. Stu-di cinetici hanno evidenziato 2 popolazioni condifferenti attività proliferative, una più rapida a di-smissione midollare di circa 10 ore e una secon-da popolazione a dismissione più lenta di circa 80 ore.

Una volta entrato nel sangue l’eosinofilo hauna emivita di 8-18 ore, nei tessuti da 2 a 5 gior-ni. Negli eosinofili la modalità meglio caratte-rizzata di degranulazione è quella anafilattica chesi osserva durante la fase di secrezione cellulare,dove i granuli si fondono perifericamente con lamembrana plasmatica e successivamente avvie-ne l’estrusione della matrice e del “core” del gra-nulo. In alternativa, i granuli possono fondersi alivello intracitoplasmatico in ampie camere di de-granulazione che si aprono all’esterno della cel-lula attraverso pori di degranulazione (esocitosi).

Di osservazione più comune è la cosiddetta de-granulazione piece-meal, in cui le vescicole con-tenenti le proteine granulari si staccano dai gra-nuli secondari determinando il loro gradualesvuotamento. Gli eosinofili hanno la capacità disecernere un certo numero di potenti mediatori rap-presentati da proteine granulari (MBP, ECP,EPO, EDN), lipidi neoformati dalla membrana cel-lulare (leucotrieni, prostaglandine, PAF), citochine(IL3, IL4, IL5, GM-CSF, IL10, IL12, NGF,SCF), varie proteasi (CLC) e prodotti del meta-bolismo ossidativo.

Proprio per l’importanza che hanno assunto

gli eosinofili in diverse condizioni patologiche

ne è derivato un approccio di grande rilievo dia-

gnostico e clinico. In particolare è possibile tra-

mite particolari tecniche citometriche ricono-

scere il fenotipo di membrana e citoplasmati-

co dei granulociti eosinofili (foG method) allo

scopo di mettere in evidenza particolari

markers immunologici e controllare lo stato di

attivazione cellulare notoriamente correlabile

al processo patologico in atto e alla risposta te-

rapeutica.

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Il “test di attivazione dei basofili” (bAt) può essere eseguito, su appuntamento,con un semplice prelievo ematico presso la bIoS S.p.A. di Via D. Chelini n. 39in Roma; informazioni e prenotazioni - INfo CUP tEL. 06 809641

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Il PSA o antigene prostatico specifico è unaproteina prodotta dell'epitelio ghiandolare dellaprostata che viene riversato nel lume dei dottighiandolari al momento dell'eiaculazione. La suafunzione è quella di fluidificare il liquido semi-nale contenente gli spermatozoi nel loro viaggioverso l’apparato femminile della riproduzione.

Il PSA venne identificato nel 1979 nel sieroumano come una glicoproteina appartenente allafamiglia delle callicreine e, da più di trenta anni,grazie a un semplice prelievo di sangue, rappre-senta uno strumento insostituibile nelle mani del-l’urologo sia per la diagnosi precoce di cancrodella prostata sia nel follow-up dei pazienti giàtrattati per cancro prostatico.

Il tumore della prostata è un nemico silen-zioso che dà segno di sé solo negli stadi piùavanzati di malattia. Pertanto, come sempre piùspesso accade, in assenza di segni clinici, il PSA

è l’unico test in grado di indirizzare le decisionidell’urologo e il paziente verso la biopsia pro-statica.

Il PSA viene esclusivamente prodotto dallaprostata, pertanto le modificazioni dei livelli diPSA nel sangue sono da ricondurre a modifica-zioni di questo organo e non di altri. Ecco perchéil PSA è considerato un marcatore “organo spe-cifico” e non “cancro-specifico”: ciò significache un aumento del livello di PSA può essere as-sociato sia alla presenza di un tumore della pro-stata sia a condizioni benigne quali l’ipertrofiaprostatica benigna o un’infiammazione dellaghiandola prostatica.

Pertanto il solo dosaggio del PSA non pre-scinde dalla visita con l’ urologo il quale ha com-pito di discriminare tra un PSA “ pericoloso” o unPSA “tranquillo” attraverso la raccolta dellaanamnesi, un’accurata esplorazione digito-ret-

PSA, PSA RAtIo, PCA3Alessandro Amici

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tale ed eventuali esami strumentali aggiuntivi.L’incidenza di tumore della prostata è dram-

maticamente aumentata negli ultimi venti anni inEuropa, ma con sorpresa la mortalità legata al tu-more della prostata non sembra significativa-mente modificata.

Ciò rende ancora aperto il dibattito sulla ne-cessità di programmi di screening basati sul do-saggio del PSA in grado di ridurre realmente lamortalità cancro-specifica evitando un “over-treatment” di quei pazienti con malattita tumoralenon clinicamente significativa. In un recente stu-dio ( ERSPC) lo screening basato sul PSA dimi-nuirebbe il rischio di morte per tumore alla pro-stata del 20%.

In generale, tutti gli uomini dai 50 anni in sudovrebbero sottoporsi a un dosaggio del PSA euna visita urologica una volta l’anno. Esistononumerosi PSA test in commercio ma ancora ogginon esiste un “cut-off” universalmente accettato.

Ad un livello di PSA inferiore a 1 ng/ml il ri-schio tumore prostatico è molto basso, vicino al2%; un livello di PSA superiore a 4 ng/ml è con-siderato da molti urologi il limite oltre il qualevale la pena considerare il rischio di tumore allaprostata in quanto, per livelli compresi tra 4 e 10ng/ ml, la probabilità di essere affetti da tumoredella prostata è del 26%, cioè circa 1 paziente su4. Per livelli superiori a 10 ng/ml tale rischio ar-riva anche al 57%, cioè 1 paziente su 2.

Occorre altresì dire che, come dimostranonumerosi studi epidemiologici, non è raro il ri-scontro di cancro prostatico per livelli di PSA in-feriori a 4ng/ml.

Come accennato in precedenza, il PSA puòaumentare nel siero anche in corso di patologiebenigne quali l’infiammazione della prostata ol’ipertrofia prostatica benigna (IPB). Al fine dimigliorare la specificità del test PSA per il can-cro della prostata, sono stati proposti negli ultimianni altri test, alcuni dei quali come il PSA velo-

city o il PSA doubling time che non hanno ri-scosso grande successo tra gli urologi, mentre al-tri come il PSA ratio sono di grande utilitànell’assegnazione di un rischio neoplastico adun PSA elevato.

Il “free/ total PSA ratio” o più semplice-mente PSA ratio si ricava dal rapporto tra la parte“free” del PSA, quella che circola libera nel sieronon legata a proteine plasmatiche e il PSA totaledosato. Le linee guida europee attribuiscono alf/T PSA ratio un ruolo importante nella stratifi-cazione del rischio di cancro in quei pazienti conPSA totale compreso tra 4 e 10 ng/ml con esplo-razione digito-rettale negativa: infatti una biopsiaprostatica positiva ovvero la presenza di tumorealla prostata si trova nel 56% dei pazienti con f/TPSA ratio inferiore a 10%, mentre è dell’ 8% inquei pazienti con f/T PSA ratio superiore a 25%.

In altre parole, quando si vuole interpretare la“natura” di un PSA elevato, più è basso il valore

della f/T PSA ratio tanto più si attribuirà un ri-

schio neoplastico a quel PSA elevato. D’altraparte, l’Associazione Europea di Urologia (EAU)giudica clinicamente inutile il calcolo della f/TPSA ratio in pazienti con PSA superiore a 10ng/ml : ciò è da imputare al fatto che questi pa-zienti sono inevitabilmente candidati all’esecu-zione di una biospia prostatica. Occorre infine te-ner conto che alcuni fattori pre-analitici e clinicipossono alterare il calcolo della f/T PSA ratio. Adesempio valori alterati possono derivare da una“cattiva” conservazione dei campioni: il PSAfree risulta infatti instabile sia alla temperatura di4° C sia a temperatura ambiente. Inoltre un valoreerroneamente alto può derivare da un effetto “di-luizione” in concomitanza di IPB con prostate dilargo volume.

La diagnosi di tumore prostatico è istologi-

ca: questo significa che ogni paziente con sospettodi neoplasia prostatica deve sottoporsi a una bio-psia prostatica con prelievo di alcuni frammentidi tessuto che verranno poi analizzati dall’ ana-tomo-patologo.

Purtroppo, non sempre una biopsia prostati-ca porta a un risultato conclusivo, poiché, tranneche in rari casi, i prelievi non sono mirati su unazona sospetta per tumore ma a campione su tut-to l’ambito prostatico .

Molto spesso ci troviamo di fronte ad un pa-ziente che avendo già subito una biopsia prosta-

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tica risultata negativa continua ad avere un PSAelevato. Il dilemma in questi pazienti è se sotto-porli o meno ad una nuova biopsia gravata comenoto da non trascurabili possibili complicanze estress per il paziente.

La PCA3 è un test molecolare di ultima ge-nerazione che risponde all’esigenza degli urologinell’ indirizzare i pazienti verso una nuova bio-psia prostatica o re-biopsia.

Per capire meglio il significato di questonuovo test diagnostico per la diagnosi precoce deltumore della prostata occorre fare un passo in-dietro: l’iter diagnostico per questa malattia,come precedentemente spiegato, si avvale, inprima istanza, del dosaggio del PSA e dell’e-splorazione digito-rettale della prostata.

Qualora sussistano i sospetti della presenza diuna neoplasia prostatica solo una biopsia eco-gui-data con esame istologico del materiale prostaticoprelevato potrà confermare o fugare tali sospetti.

Nella maggioranza dei casi, la biopsia vieneeseguita prelevando frustoli prostatici “a cam-pione” cercando di comprendere durante i pre-lievi tutte le regioni prostatiche.

Pertanto, non si potrà escludere che il risultatonegativo di una biopsia dipenda non dall’assenzadi tumore ma da una sua mancata individua-zione.

Quando ci si trova quindi di fronte a pazientiche esprimono un PSA elevato dopo una biopsiarisultata negativa occorre riconsiderare l’oppor-tunita di una re-biospia.

Nel 1999 alcuni ricercatori olandesi trova-vano che l’ mRNA di un gene chiamato DD3 oPCA3 veniva over-espresso nelle cellule tumoraliprostatiche. Da allora sono stati sviluppati moltitest in grado di misurare l’mRNA del PCA3 sucampioni di urine. Alcuni studi mostrano che la

misura dei livelli di PCA3 nelle urine di pazienticon PSA> 2,5 ng/ ml e precedente biopsia nega-tiva è più accurata del PSA sierico nel predire ilrisultato di una seconda biopsia. In tempi ancorapiù recenti in uno studio prospettico su 463 pa-zienti, i livelli medi di PCA3 risultavano più altiin quei pazienti a cui sarebbe stato diagnosticatoun tumore della prostata.

Nella pratica clinica il test del PCA3 vieneeseguito su un campione di urine (15-20 ml),emesse dopo massaggio prostatico, che viene in-viato in laboratorio per la determinazione delPCA score, calcolato dal rapporto tra le copie diPCA3mRNA e le copie di PSAmRNA: valorisuperiori a 35 si correlano ad una maggiore pro-babilità di biopsia prostatica positiva per adeno-carcinoma.

Valori di PCA3 score o, più semplicemente,PCA3 compresi tra 50-100 indicano un 50% diprobabilità di avere una biopsia positiva.

Positività che supera il 70% in quei casi diPCA3 superiore a 100. Negli ultimi anni, datol’incremento del suo utilizzo, alcuni studi cercanodi ampliare il ruolo della PCA3 non solo nel pre-dire la presenza di tumore prostatico, ma anchedi predirne l’aggressività: sembrerebbe, infatti,che alti valori di PCA3 si correlino a tumori pro-statici con Gleason score più alto (espressione delgrado di differenziazione/aggressività delle cel-lule tumorali) come pure a tumori di stadio piùalto.

I prossimi anni ci consegneranno ulteriori stu-di per definire correttamente il campo di utiliz-zazione del PCA3, ma siamo certi di avere già trale mani uno strumento di grande utilità sia nelladiagnosi precoce di tumore della prostata sia nel-l’evitare inutili biopsie prostatiche ai nostri pa-zienti.

La bios S.p.A di Via Chelini 39 di Roma in collaborazione con l’Istituto Nazionale tumori

Regina Elena esegue il test del PCA 3 su urine raccolte dopo massaggio prostatico. Quest’ultimo

può essere eseguito direttamente dall’urologo del paziente o presso la stessa bios di Via D.

Chelini previo appuntamento.

Per ulteriori informazioni anche sulle modalità di raccolta e conservazione del campione e

prenotazione - INfo CUP tEL 06 809641

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La malattia celiaca (MC) o morbo celiaco è unamalattia cronica di origine autoimmune, checoinvolge l'intestino tenue, caratterizzata da atro-fia dei villi, iperplasia delle cripte della mucosaintestinale e aumento dei linfociti intestinali (cel-lule deputate all'immunità cellulare). Colpisce sog-getti predisposti geneticamente, che esposti al glu-tine sviluppano una intolleranza caratterizzata damalassorbimento.

Cause

La celiachia è dovuta al concorso di tre pro-cessi che portano al danno intestinale:• la predisposizione genetica• i fattori ambientali• l’infiammazione su base immunologica.

Predisposizione genetica

La MC è associata con specifici alleli del com-plesso maggiore di istocompatibilità o HLA (hu-

man leukocyte antigen) di classe II del cromoso-

ma 6; in particolare è stata dimostrata l'associa-zione con i geni che codificano per gli alleli DQ2e DQ8. Il 90% dei celiaci presentano l'allele DQ2,mentre nella maggior parte dei restanti celiaci èpresente l'allele DQ8. Questi stessi alleli sono pre-senti anche nel 25-30% dei parenti sani dei celiaci,il che suggerisce la probabile coesistenza di altrifattori genetici, non ancora ben studiati, che pre-dispongono alla manifestazione della malattia.

fattori ambientali

Il principale fattore ambientale della MC èl'assunzione di glutine. Con il termine di glutinesi comprende una famiglia di proteine vegetali,le prolamine, presenti in diversi cereali:• frumento (gliadine)• orzo (ordeine)• segale (secaine).

Esistono ancora dubbi sulla tossicità delleprolamine contenute nell'avena (avenine), men-tre mais e riso, non contenendo glutine, possono

LA CELIACHIA Anna Simonetta Battiato

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essere utilizzate nell'alimentazione dei celiaci.Le prolamine sono proteine di riserva presenti

nei semi dei cereali, ricche di due aminoacidi,glutamina e prolina, che sono potenti attivatoridella risposta immunitaria del paziente celiaco.

Esistono anche altri fattori come infezioni vi-rali, chirurgia addominale, gravidanza, assun-zione massiccia di glutine, che sembrano avereun ruolo precipitante nella sintomatologia dellamalattia, aumentando la risposta immunologicaal glutine.

fattori immunologici

La MC è una malattia infiammatoria su baseimmunitaria, che induce uno stato infiammatoriocronico dell'intestino tenue, con modificazionistrutturali della mucosa. Si pensa che il processoinfiammatorio sia anche in relazione ad una au-mentata permeabilità della mucosa intestinalealle macromolecole, come le proteine del glutine.

Recenti studi mettono in relazione la com-parsa di diverse malattie autoimmuni, come ildiabete di tipo I e la celiachia, con l’aumentataproduzione a livello della mucosa intestinale diuna molecola, la zonulina, coinvolta nell’immu-nità innata: l’aumentata secrezione di questa so-stanza comporta un incremento della permeabi-lità intestinale.

Il passaggio attraverso la barriera intestinaledi macromolecole esogene, tra cui il glutine, sti-molerebbe, nei soggetti geneticamente predispo-sti, la produzione inappropriata di autoanticorpi.

La risposta infiammatoria al glutine consistenell'aumento e attivazione di diverse linee cellu-lari immunitarie: aumentano, infatti, i T linfoci-ti (risposta immunitaria cellulare), le plasmacel-lule (risposta anticorpale) e i macrofagi, al di sot-to dell'epitelio della mucosa; i T linfociti si tro-vano nello strato superficiale dell'epitelio.

I T linfociti in particolare, producono unaserie di sostanze tossiche come le citochine e ilTNF (Tumor Necrosis Factor), che danneggianole cellule epiteliali della mucosa, causando l'ap-piattimento e perdita dei villi intestinali (fig. 1).Il danno interessa maggiormente l'intestino tenueprossimale; in alcuni casi non tutta la mucosa è

interessata e il danno è presente solo in alcunezone con lunghezza variabile del tratto colpito.

La potente risposta anticorpale presente neiceliaci non a dieta priva di glutine (Gluten Free

Diet: GFD) è dovuta alle plasmacellule presentiin gran numero nella mucosa intestinale.

Queste cellule producono anticorpi IgA, IgG,IgM diretti contro le proteine del glutine (AGA;

anticorpi anti-gliadina) e autoanticorpi diretticontro alcune componenti del tessuto connettivo(EMA: anticorpi anti-endomisio; anti tTG; anti-

corpi anti-transglutaminasi tissutali). Gli anti-corpi tessutali, soprattutto, sono altamente spe-cifici per la malattia celiaca (tab. 1).

Epidemiologia

La MC è una patologia molto diffusa, mapoco diagnosticata. Si stima che nei paesi euro-pei, in particolare in Italia, la percentuale dei pa-zienti affetti da MC sia di 1:100/1:200, con unapopolazione stimata di circa 500.000 individui,contro i circa 50.000 attualmente diagnosticati:l'attuale stato diagnostico della MC viene, quindi,efficacemente descritto con l'immagine di un ice-berg, nel quale solo una piccola porzione dei pa-zienti affetti da questa patologia emerge alla su-perficie grazie ad una corretta diagnosi.

Diagnosi

La diagnosi si basa sui dosaggi sierologicidegli anticorpi anti-gliadina (AGA), degli anti-corpi anti-endomisio (EMA) e degli anticorpianti-transglutaminasi tissutali (anti tTG). In par-ticolare il dosaggio degli anti-tTG è un test moltosensibile per la diagnosi di MC.

Ottenuta la positività dei test sierologici, ècomunque indispensabile per la conferma delladiagnosi, eseguire una biopsia intestinale, cheevidenzi l'atrofia della mucosa.

Sintomatologia

Il tipico quadro clinico della MC, con tutti isintomi riconducibili al malassorbimento, comeperdita di peso, difetto di crescita, steatorrea(presenza di grassi indigeriti nelle feci), gonfiore,flatulenza, irritabilità e varie deficienze nutrizio-

nali (ferro, acido folico,vitamina K, vitamine li-posolubili) è facilmente riconosciuto dal medico.

Però, si è visto che la malattia si presenta ilpiù delle volte con tutta una serie di sintomi nontipici, mimando, spesso, altre patologie o nellaforma silente con sintomi sfumati o del tutto as-senti (tab. 2).

Questi modi atipici possono essere singole ca-renze di micronutrienti (ferro, acido folico, ecc.);disturbi gastrointestinali non specifici come gon-fiore, flatulenza, diarrea, stipsi, dolore addomi-nale, intolleranza al lattosio, disturbi che spessovengono genericamente etichettati come “sin-drome dell'intestino irritabile”; affaticabilità, de-pressione, osteoporosi, anemia sideropenica; ma-lattie del sistema endocrino, come diabete di tipoI, tiroidite autoimmune; ipertransaminasemia;malattie neurologiche, come epilessia, neuropa-tia periferica ecc...

Tra questi sintomi sfumati quelli maggior-mente riportati nell'ambulatorio del medico difamiglia sono anemia, stanchezza cronica e sin-tomi riferibili alla cosiddetta “sindrome dell'in-testino irritabile”.

Per questo motivo molto spesso la diagnosiviene formulata dopo anni dall'inizio della sinto-matologia, aumentando i rischi connessi allamancata diagnosi.

I rischi di una diagnosi non precocemente ef-fettuata sono strettamente legati all'instaurarsi disevere complicanze non reversibili, anche seviene attuata la dieta priva di glutine: diabete ditipo I, infertilità nell'uomo e nella donna, spruecollagenosica, complicanze neurologiche, cirrosiepatica, linfoma intestinale (tab. 2).

terapia

Attualmente l'unica terapia è la dieta priva diglutine; in genere la risposta sintomatologica èmolto rapida, mentre la mucosa intestinale riac-quista la normalità dopo mesi o anni.

La dieta deve essere osservata per tutta la vitae deve essere rigorosa; non è tollerata nemmenola presenza di contaminazioni di glutine, che sca-tenano di nuovo la sintomatologia e il dannodella mucosa.

Peraltro i pazienti celiaci che seguono unadieta priva di glutine, hanno una qualità ed unaaspettativa di vita sovrapponibile a quella dellapopolazione generale, sempre che non siano giàpresenti complicanze non reversibili come il dia-bete di tipo I.

è importante anche valutare attentamente lapresenza di allergie o intolleranze crociate adaltre componenti della dieta, perché spesso il pa-ziente celiaco mostra un quadro clinico com-plesso, sviluppando ipersensibilità nei confrontianche di uova, latte, additivi chimici.

Risulta in questo caso necessaria l'attentaadesione a una dieta con alimenti a basso potereallergizzante.

Con le recenti scoperte sul ruolo patogeneticodella barriera intestinale nella malattia celiaca, siaprono comunque nuove possibilità terapeuticheper il suo trattamento, attraverso l’utilizzo di ce-reali trattati, la degradazione enzimatica del glu-tine, il ripristino della barriera intestinale conun’eventuale terapia farmacologica.

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tab. 1 - tESt SIERoLoGICI

Anticorpi anti-endomisio EmA: sensibilità 85%-98%; specificità 97%-100%

Anticorpi anti-anti-transglutaminasi ttG: sensibilità 93%; specificità 99%

f i g . 1

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tab. 2 - PAtoLoGIE CoRRELAtE

Apparato Gastrointestinale Apparato Renale

Ipertransaminasemia Nefropatia da IgA

Steatosi epatica Apparato Emopoietico

Epatite Anemia

Cirrosi biliare Disordini della coagulazione

Ulcere aftose della bocca Deficit di IgA

Sindrome dell'intestino irritabile Iposplenismo

Ulcera digiunale Linfoma T-cell

Apparato Nervoso Apparato osteoarticolare

Neuropatie periferiche Osteoporosi

Epilessia Osteopenia

Atassia Artralgie - Artrite

Psichiatrici Apparato Cardiovascolare

Depressione Cardiomiopatia

Schizofrenia Genetici

Apparato Endocrino Sindrome di Down

Diabete di tipo I Dentali

Infertilità Ipoplasia dello smalto dentale

Aborti ricorrenti Apparato cutaneo

Tiroidite autoimmune Dermatite erpetiforme

Pigmentazione bruna della faccia e della mucosa orale

La bIoS SpA esegue tutti i test di laboratorio utili ad un corretto inquadramento

della malattia celiaca: anticorpi anti endomisio IgA ed IgG, antitransglutami-

nasi IgA ed IgG, antigliadina IgA ed IgG, HLA di II classe.

INfo CUP. tEL. 06 809641

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Gli sviluppi sostanziali dell’Immunologianel corso della seconda metà del XX secolo han-no fornito un contributo prezioso di conoscenzeesteso non solo all’interpretazione di meccanismipatogenetici causa di alcune malattie ma fonda-mentale per giungere a un efficace inquadramentodelle interazioni chimico-fisiche e cellulari che re-golano la vita.

Ai nostri giorni molti farmaci sono in gradodi interferire sul sistema immunitario, in preva-lenza con azione immunosoppressiva, e da alcunianni molecole ottenute per mezzo delle biotec-nologie (anticorpi monoclonali, farmaci cosìdetti “biologici”) consentono una migliore ge-stione di malattie autoimmuni o disreattive comeaccade per l’artrite reumatoide e altre graviforme morbose. Meno brillante è stato il suc-cesso ottenuto dagli studi immunologici per

quanto riguarda il controllo e il miglioramentodelle sindromi da immunodeficienza (sia informa congenita sia per quanto riguarda le pato-logie acquisite). Il problema è piuttosto com-plesso e ben si comprende che risolvere undifetto congenito dell’immunità significa riuscirea condizionare o sostituire una risposta geneticaincompleta o inesistente.

La complessità del sistema immunitario nonè “inferiore”, se sono lecite graduatorie di questotipo, a quanto si osserva nel sistema nervoso cen-trale.

Nel corso dell’evoluzione un complesso in-tegrato di cellule e molecole si è costituito nonsolo per difendere l’organismo da aggressioniesterne ma per fornire una rete di controllo ingrado di distinguere bersagli differenti, anche in-terni all’organismo, senza danneggiarlo.

SIStEmA ImmUNItARIo

E tEoRIA DEI SIStEmI Giuseppe Luzi

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Nel XIX secolo gli studi che hanno datomaggiore soddisfazione hanno riguardato la sco-perta dei batteri, la colorazione di preparati mi-crobiologici, l’identificazione “operativa” degliantisieri come primi strumenti di difesa (pen-siamo al siero antidifterico). Gli antibiotici, masolo dopo la seconda guerra mondiale, hannoconsentito l’altro salto di qualità, mentre le co-noscenze sul sistema immunitario sono state li-mitate originariamente ad applicazioni tecnichedi laboratorio per finalità esclusivamente dia-gnostiche.

In realtà sin dai primi anni del XX secolo ilpensiero immunologico aveva inquadrato l’es-senza della risposta immunitaria (basti pensareche il Nobel per i loro studi sulla risposta siero-logica e cellulare rispettivamente venne confe-rito a Paul Ehrlich ed Elie Metchnikoff già nel1908).

Quando oggi si parla di neurologia clinica nonsi può fare a meno di pensare a Camillo Golgi ea Santiago Ramon y Cajal. Acerrimi avversari Gol-gi e Cajal hanno comunque costruito le basi sul-le quali è stato possibile interpretare i momenti es-senziali della struttura anatomo-funzionale del si-stema nervoso.

Ma esiste un padre dell’Immunologia? Esi-ste una figura che si impone sulle altre in gradodi delineare un’immagine sintetica delle cono-scenze in quest’area della ricerca biologica?

è assai difficile dare una risposta convinta econvincente perché mai il contributo di studi di-versi è stato così ricco di implicazioni pratiche,sia nel settore diagnostico sia nell’ambito dellaclinica.

Chi ha studiato gli anticorpi tutto sommatoaveva già un compito arduo per definire le lorocaratteristiche strutturali e funzionali, ma poi eranecessario capire come gli anticorpi nascevano,quali segnali e quali proprietà della cellula eranoin grado di operare la sintesi di queste molecolecosì complesse e così variabili. E questo, ovvia-

mente, vale per molti altri aspetti. Chi si occupa di Immunologia in realtà corre

il rischio di studiare, anche se con grandiosi ri-sultati, solo una frazione del sistema. Prima chela meccanica quantistica venisse ad agitare leacque della fisica sembrava che tutto fosse ab-bastanza coerente, ma poi ci si è resi conto chebisognava riesaminare molti punti in prima ap-prossimazione considerati acquisiti. Ecco: oggiforse abbiamo strumenti matematici e informa-tici, una certa esperienza di modellistica di labo-ratorio, che possono aiutarci in modo innovativoa comprendere il sistema immunitario o almenoa interpretare alcune fasi della sua risposta pro-prio come sistema, come una struttura non rigi-damente integrata.

Alcuni autori già parlano di Immunologiacome scienza combinatoriale. Come riporta G.Villani, del CNR di Pisa, in un suo scritto:Monod dopo aver definito gli esseri viventi“macchine chimiche” aggiunge: “Come ognimacchina, ogni organismo, anche il più sem-plice, rappresenta un’unità funzionale coerente eintegrata. è ovvio che la coerenza funzionale diuna macchina chimica tanto complessa, e per dipiù autonoma, esige l’intervento di un sistema ci-

bernetico che controlli in più punti la sua attività”. è probabile che molte delle conoscenze sul

sistema immunitario abbiano un futuro non solostrettamente legato alla sperimentazione clinicae/o di laboratorio ma si basino sull’adozione dimodelli matematici, come del resto già accadeda qualche anno sebbene i cultori di questo mododi trattare il problema siano visti un po’ comepersonaggi eccentrici.

L’interdipendenza delle parti componenti iltutto esprime una realtà diversa da quella dellesingole componenti: questa è la sfida del XXI se-colo, sfida della teoria dei sistemi applicata almondo della Biologia in generale e dell’Immu-nologia in particolare.

Il Servizio di Immunologia Clinica si avvale della collaborazione del prof. Giu-

seppe Luzi, prof. associato - immunologo clinico e della prof.ssa Roberta Di Rosa,

prof. aggregato, specialista in Immunologia Clinica; informazioni e prenotazioni

INfo CUP tEL 06 809641

Giunge al Reparto, nel quale prestavo servi-zio come aiuto di Malattie Infettive, una ragazzaventenne, inviataci dalla Divisione di Oculistica;l’interessata aveva riferito che, appena sveglia,aveva tentato di leggere il giornale, ma non ci erariuscita perché non vedeva più bene da vicino,mentre la visione da lontano rimaneva normale.Si accorgeva anche di un fastidio nel guardaredove c’era molta luce e di un senso di secchezzadel faringe. Unico dato anamnestico di rilievoera quello di una tonsillite acuta con essudato fa-ringeo, episodio del quale la ragazza aveva sof-ferto circa un mese prima. Nell’ ipotesi di unapolinevrite difterica, comparsa a distanza di qual-che settimana dall’impegno faringo-tonsillitico,l’oculista inviava la ragazza nel nostro reparto el’assistente di accettazione, condividendo la dia-gnosi, la ricoverava e decideva di somministrarlecon urgenza il siero antidifterico.

Un attento esame obiettivo della paziente mifaceva confermare il quadro clinico descritto,quello cioè di una incapacità bilaterale all’acco-

modazione nella visione di oggetti vicini, as-

sociata a persistente midriasi (pupille dilatate,che giustificavano il fastidio a guardare in am-bienti molto luminosi), ad un torpido riflesso pu-pillare alla luce con scomparsa dei riflessi alla

convergenza e all’accomodazione, e a un ri-lievo di secchezza del faringe, che si presentavaasciutto e deterso. Non esisteva alcun deficit

motorio, non alterazione nei movimenti deiglobi oculari, non diplopia (visione doppia), nénistagmo (movimenti oculari involontari). Nonvi era febbre né altra sintomatologia rilevabile,salvo una lieve debolezza generalizzata. Rimet-tevo in frigorifero il siero preparato per la som-ministrazione e mi chiedevo se potesse essereaccettabile la diagnosi di polinevrite difterica.

La difterite è una malattia infettiva causata daun Corinebatterio che si moltiplica nel faringe,dove si viene a formare una pseudo-membrana dicolore grigiastro associata a una notevole tume-fazione linfonodale laterocervicale; qui il batte-rio produce una potente esotossina che, entrata incircolo, determina un blocco della sintesi protei-ca di tutte le cellule che colpisce, causandone lamorte. Si verificano effetti dannosi soprattutto acarico delle cellule cardiache, epatiche e renali.

L’impegno delle vie nervose è usualmenteuna complicanza tardiva (dopo alcune settimanedalla faringite). Prima si ha paralisi del palatomolle e del retrofaringe con rigurgito e rinolalia(voce nasale), successivamente compare paralisidi alcuni nervi cranici e, dopo altri giorni, segnidi polinevrite agli arti inferiori, con progressivadebolezza muscolare, fino alla paralisi totale (an-damento discendente).

Nel caso in esame non esisteva nulla di tuttociò. E poi, sapevo bene che nella polinevrite dif-terica non è presente alcun interessamento del si-stema nervoso autonomo, quello che innerva imovimenti dei muscoli dell’occhio che risulta-vano impegnati nella nostra paziente.

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Infatti l’accomodazione visiva è regolata dalpiccolo muscolo ciliare, il quale, contraendosi, fasì che il cristallino accentui la sua curvatura an-teriore, permettendo la messa a fuoco di oggettia distanza sempre più ravvicinata. La paresi delciliare si manifesta perciò con un deficit acco-modativo, dapprima solo per la visione vicina(quella infatti che richiede una completa contra-zione e quindi un maggiore sforzo muscolare) epoi, con l’intensificarsi della sintomatologia, an-che della visione a distanza, fino alla scomparsadel potere di accomodazione. Analogo compor-tamento presenta il piccolo muscolo costrittoredell’iride, la cui azione fa restringere lo sfintereirideo (miosi) e la paralisi lo fa dilatare (la mi-driasi della paziente). I suddetti muscoli ocularisono innervati dal parasimpatico mesencefalico,con fibre colinergiche che decorrono con il 3°paio dei nervi cranici e che, giunte a destina-zione, stimolano i piccoli muscoli, rilasciandouna sostanza (acetilcolina) che ne permette l’ec-citazione. Queste fibre non sono aggredite dallatossina difterica. La diagnosi di difterite nonaveva più diritto di domicilio! Ma l’astenia sistava rapidamente accentuando, cominciando ainteressare i muscoli respiratori, segno evidentedell’inizio dell’ intossicazione anche delle sina-psi colinergiche dei muscoli striati.

bisognava fare presto a chiarire il problema.

Quale tossina poteva essere la causa della pa-tologia della nostra paziente?

Quale tossina è selettivamente dotata di unaazione anticolinergica, inibendo la produzione diquesto mediatore chimico, azione che evidente-mente inizia nelle sedi più delicate, come inquelle oculari, e poi può bloccare il funziona-mento anche dei muscoli scheletrici? Escludendoper varie ragioni la possibilità di un’intossica-zione da tossine con azione atropino-simile,come ad esempio quella da Amanite (la malatanon aveva mai mangiato funghi in vita sua), ladiagnosi non poteva che essere una: botulismo!

Nel botulismo l’avvelenamento è determina-to dalla ingestione di cibo (soprattutto conservedomestiche) contaminato da spore del Clostridium

botulinum in ambiente anaerobico (senza ossi-geno), nel quale le spore germinano, crescono e

producono la tossina; questa è termolabile (vie-ne distrutta dal calore oltre gli 80 gradi e quindinon si ritrova nei cibi bolliti), ma resiste ai suc-chi gastrici. Ingerita con alimenti non sottoposti

a bollitura, la tossina penetra in circolo e attac-ca una proteina della giunzione neuromuscolarea livello delle terminazioni nervose, impedendoil rilascio proprio dell’acetilcolina e determinan-do il quadro clinico da noi osservato.

La diagnosi era fatta!

Iniziava allora una corsa contro il tempo, siaper ottenere con estrema urgenza che ci venisseinviato il siero antibotulinico, che in quel mo-mento non era disponibile presso la nostra far-macia, e sia per trovare ulteriori riscontri alladiagnosi. Telefonai allora all’istituto di suoredove la paziente consumava i pasti, e la superioracandidamente mi riferiva che un’altra ragazza,dalla mattina, aveva disturbi visivi e da poco nonriusciva a respirare bene; ma era noto che sof-friva di asma bronchiale! E che forse una terzaragazza cominciava ad avere gli stessi sintomi.Risposi, forse spaventando un poco la mia inter-locutrice, chiedendo ad alta voce di inviarle am-bedue in ospedale con estrema urgenza.

Dopo poco si ricoveravano le due nuove pa-zienti; la seconda mostrava un quadro clinico an-cora più intenso di quello della prima, consempre più evidente paresi dei muscoli respira-tori (per essa fu necessario un lungo periodo diventilazione assistita). Somministravo immedia-tamente a tutte il siero antibotulinico, appena ar-rivato, e avvertivo l’Ufficio di Igiene per unaimmediata inchiesta presso l’istituto dove le ra-gazze consumavano i pasti. L’indagine, subitoeffettuata, permetteva di individuare l’alimentoincriminato in un grosso barattolo di fagioliniconservati, di produzione familiare, nel quale ve-nivano trovate le spore del Botulino e la tossina,riconosciuta di tipo A.

Il decorso clinico fu per le tre pazienti lungoe impegnativo, ma alla fine guarirono completa-mente. La diagnosi corretta effettuata solo sul ra-gionamento clinico aveva impedito di sommini-strare il siero antitossico sbagliato e aveva per-messo di salvare la vita di tre giovani donne.

IL PIede dIABeTIco

Alessandro ciammaichella

Si tratta di un’entità clinica dovuta a due mo-menti patogenetici fondamentali, quali l’angio-

patia e la neuropatia diabetiche: a seguire, neicasi più complicati, compaiono spesso l’infe-zione e le lesioni ossee distruttive.

La microangiopatia diabetica ne è responsa-bile quale causa diretta dell’ischemia dei tessutie della conseguente gangrena. Ma essa opera an-che tramite la compromissione dei “vasa nervo-rum” che comporta l’altro meccanismo patoge-netico fondamentale, quale la neuropatia.

La neuropatia diabetica coinvolge - oltre al si-stema neurovegetativo o autonomo, con multiformisintomi viscerali - anche il sistema nervoso peri-ferico: i correlati disturbi della sensibilità inte-ressano prevalentemente gli arti inferiori. Si di-stinguono una forma primitiva, di tipo metaboli-co, dovuta soprattutto ai danni arrecati dal sorbi-tolo (le lesioni anatomo-patologiche comprendonola frammentazione della guaina mielinica, la de-generazione walleriana delle fibre nervose e la de-generazione dendritica dei gangli simpatici) e unaforma secondaria alla microangiopatia, per la chiu-sura, come detto, dei “vasa nervorum”.

I sintomi ipertermia, iperidrosi, cianosi ededema sono da riportare a una sindrome di de-

nervazione simpatica. Molto varia la sintomato-logia neurologica: crampi, parestesie e dolori,più spesso di notte; talora dolori folgoranti ditipo pseudotabetico. All’esame obiettivo: ipo-sensibilità profonda con ipo-apallestesia, ipoe-stesia completa o solo termoanalgesica, arefles-sia rotulea. L’elettromiografia confermerà ilsospetto clinico.

Il mal perforante plantare è strettamente con-nesso con la neuropatia diabetica: si caratterizzaper una necrosi tessutale della pianta del piede,soprattutto nei tre punti dove è maggiore la pres-sione del peso corporeo in ortostatismo: prima equinta articolazione metatarso-falangea e calca-gno. Tale pressione può essere bene quantificatacon la baropodometria. L’analgesia diabetica è re-sponsabile della “penetrazione” della necrosi inprofondità in quanto il paziente - non avvertendodolore - non si accorge della necrosi cutanea nésoprattutto del suo approfondimento, che può ar-rivare fino alle ossa, provocando anche unaosteomielite. Caso di osservazione personale:mentre medicavo un mal perforante plantare, in-viatomi da un ortopedico, mi caddero in manoframmenti di ossa (da osteomielite) senza che ilpaziente avvertisse nulla.

Il piede è quasi sempre secco, per perditadell’innervazione neurovegetativa (i piedi connormale sudorazione di rado si ulcerano): la che-ratina secca si rompe e ne consegue ulcerazione.In questi casi pertanto il piede deve essere im-merso in acqua per 10 - 20 minuti e asciugato: siapplicherà poi olio minerale, per prevenire l’e-vaporazione dell’acqua assorbita.

L’infezione - oltre che con un’accurata toilette -va trattata con antibiotici mirati con antibio-gramma, in loco e per via sistemica.

L’osteoartropatia diabetica, oltre al malperforante plantare, è un’altra forma con la qualepuò essere interessato il sistema scheletrico. Essa,secondaria alla neuropatia, colpisce il piede piùspesso rispetto alla caviglia e al ginocchio. Com-pare osteolisi di una o più ossa. Il piede è defor-mato, quasi mai dolente, nonostante la severitàdei danni anatomici, ed edematoso. Compro-messa la motilità.

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Il Servizio di Diabetologia è diretto dalla Dr.ssa Rita Amoretti, già responsabile del Ser-

vizio di Diabetologia dell'ospedale “San Giovanni e Addolorata” di Roma; informa-

zioni e prenotazioni - INfo CUP tel. 06 809641

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Il suo nome scientifico è Aedes albopictus, hadimensioni di pochi millimetri (più o meno comela zanzara comune che ben conosciamo), il suoaspetto cromatico è caratteristico con un corpo neroe una banda bianca che attraversa longitudinal-mente il corpo stesso e linee bianche sulle piccolezampe. I maschi sono più piccoli delle femmine.

è la zanzara tigre che, originaria dell’Asia, ègiunta nel nostro paese più o meno una decina dianni or sono trovando spazio in pneumatici d’im-portazione all’interno dei quali erano state depo-ste le uova.

Nella seconda metà del ventesimo secolo lazanzara si è diffusa in numerosi paesi africani esi trova negli USA, in Australia, in diverse areedel Sud America e nelle isole del Pacifico. In Ita-lia è ormai presente su tutto il territorio nazionaleed è stata individuata anche in diverse nazioni eu-

ropee. Quando punge fa male: si forma una bollacon insorgenza di prurito e dolore. Particolar-mente sensibili alla puntura i bambini. Numerosepunture sono in grado di provocare una reazioneallergica significativa, anche se di solito localiz-zata.

è interessante sapere che la sua attività è diur-na, carattere che la distingue dalla zanzara comune.

Le prede sono cercate di solito al di fuori del-le abitazioni, all’aria aperta, ma non vengono di-sdegnati i comuni appartamenti. Inoltre la zanzaratigre ha una capacità di puntura rapidissima e sfug-ge velocemente alla “cattura”. L’Aedes albopic-

tus si giova di piccole raccolte d’acqua, acqua sta-gnante di pioggia o accumulata con comuni an-naffiature di giardini o balconi. Poiché la sua ca-pacità di adattamento è molto alta praticamentequalunque contenitore, anche piccolo, può rap-presentare un’utile riserva per la riproduzione.

La zanzara tigre depone le sue uova sulla su-perficie dell’acqua. Con l’innalzarsi del livello del-l’acqua le uova deposte vengono completamen-te sommerse: in questo ambiente esse si schiudonoe si possono osservare le larve. In circa una set-timana le larve diventano adulte.

La nostra zanzara ha un raggio d’azione chenon supera di solito i 200 metri e questo fatto cipuò aiutare nel localizzare i luoghi di deposizio-ne delle uova che risultano abbastanza vicini allasede dove vengono individuate le stesse zanzare.

Tuttavia questa osservazione va presa con ilbeneficio di inventario perché osservazioni re-centi dimostrano che la “tigre” si sposta anche ol-tre gli 800 - 1000 metri.

UnA “TIGRe” FASTIdIoSA neLL’eSTATe UMIdA

Giuseppe Luzi

Pneumatici usati “a rischio” di zanzara tigre, nei quali possono trovarsi uova di Aedes albopictus

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L’adattamento climatico non è un problemaperché l’Aedes albopictus, sebbene derivi da zonetropicali e subtropicali, tende a riprodursi consuccesso anche in territori più freddi. In Italia hafatto la sua prima comparsa nella città di Genova.

Sotto il profilo medico dobbiamo tenere pre-sente che la zanzara tigre punge diversi ospiti (an-che gli animali, oltre l’uomo). In particolare puòessere trasmessa la dirofilariasi dal cane al-l’uomo.

Tuttavia vari agenti patogeni possono esseretrasmessi: il virus della febbre del Nilo, della feb-bre gialla, dell’encefalite di St. Louis, del denguee il virus chikungunya (non molto tempo fa, trail 2005 e il 2006, nell’isola francese di Riunione,furono circa 300.000 le persone contagiate e ci fu-rono 248 morti). In Italia un’ epidemia di chikun-gunya è stata segnalata nella zona di Ravenna, nel-l’estate del 2007. Durante questo evento furonocolpite circa 200 persone.

Il chikungunya è causata da un Alphavirusche induce un quadro clinico caratteristico: l’in-cubazione è in media di 2 - 4 giorni ma può arri-vare a dodici. La forma più tipica è una sindromefebbrile acuta, con esordio brusco, febbre elevatae poliartralgie.

Il termine chikungunya, in makonde, significa“ciò che curva” o “induce contorsioni” e fu im-

piegato durante un'epidemia in Tanzania nel1952, a causa delle gravi limitazioni articolari do-vute alle importanti artralgie che caratterizzano lamalattia. La febbre può essere accompagnata dabrividi molto forti. Può essere anche presenteuna linfoadenopatia coinvolgente numerosi di-stretti.

Di particolare rilievo è l’intensità della sinto-matologia dolorosa che si estende ai muscoli,alle spalle e al rachide. La manifestazione cuta-nea è possibile in circa la metà dei casi e si pre-senta con rash cutaneo, con eritema al tronco ealla faccia, associato ad enantema ed eritemapalmare e plantare. In generale l’evoluzione è be-nigna e il ricovero in ambiente ospedaliero nonsembra essere necessario nella maggior parte deicasi. Tuttavia la convalescenza può essere lungacon il persistere dei dolori anche per tre, quattromesi. Forme rare sono un’epatite talora a carat-tere fulminante, una forma di mielo-meningo en-cefalite, la forma di poliradiculoneurite tipo sin-drome di Guillain-Barré, la pericardite conmiocardite.

La lotta all’Aedes si fa bonificando l’am-biente e tenendolo sotto controllo. Bisogna con-siderare la stagione più a rischio, un’estate umida,come spesso è quella romana, ma anche la grandecapacità delle uova che possono sopravvivere informa quiescente durante l’inverno.

Di particolare interesse è il ricorso a nuovetecnologie che utilizzano sistemi satellitari disorveglianza. Infatti ricorrendo al sistema GPSdovrebbe essere possibile monitorizzare l’emer-gere di focolai di uova degli insetti in diverse areetopograficamente distinte, utilizzando quindi unatattica anti-zanzara più efficace e mirata.

Una semplice precauzione consiste sempli-cemente nel non generare pozzanghere, di qual-siasi tipo.

Uova di Aedes albopictus

La Consulenza Infettivologica viene svolta dal prof. Augusto Vellucci, specia-

lista in malattie Infettive, già Primario ospedaliero di malattie infettive; infor-

mazioni e prenotazioni - INfo CUP tEL. 06 809641.

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1) The Lancet, early online Publication

2010 - doi:10.1016/S0140-6736

Global, regional, and national causes of child

mortality in 2008: a systematic analysis

Black R. E. et al.

L’aggiornamento sulle cause di morte in età pe-diatrica nei bambini al di sotto dei cinque anni èstata valutata per il 2008. Di particolare interessei nuovi dati dalla Cina e dall’India.

Sono state prese in esame 193 nazioni. Il nu-mero dei decessi è stato calcolato per nazioni, re-gioni e a livello globale. Sulla stima di 8, 795 mi-lioni di morti in bambini al di sotto dei 5 anni lemalattie infettive hanno provocato circa 6 milio-ni di decessi (68%). Le percentuali più ampie ri-guardano le polmoniti (18%), la diarrea (15%), lamalaria (8%).

Nei neonati le cause di morte includono le com-plicazioni nelle nascite pretermine (asfissia, sepsi,polmoniti). Circa il 50% dei morti (4,294 milio-ni) si collocano in cinque nazioni: India, Nigeria,Repubblica Democratica del Congo, Pakistan eCina.

2) The Lancet 2010; 375: 1704 – 1720

Worldwide mortality in men and women

aged 15-59 years from 1970 to 2010: a sy-

stematic analysis

Rajaratnam J.K. et al.

Molte ricerche studiano le cause di morte nel-l’età infantile e giustamente tendono a definire pa-rametri in grado di formulare ipotesi per miglio-rare l’assistenza sanitaria.

Risulta al contrario che la mortalità degliadulti sia un po’ meno considerata, ovviamente nel-l’ambito dei grandi numeri e delle strategie pla-netarie. In questo lavoro lo scopo degli autori è sta-to quello di calcolare una stima della mortalità ne-gli uomini e nelle donne tra i 15 e 59 anni.

Usando un particolare metodo di analisi stati-stica con lo scopo di evitare errori di interpretazionegrossolani gli autori dello studio hanno identificatoalcuni punti interessanti; per esempio le nazioni chenel 2010 hanno il rischio più basso di mortalità perle donne e per gli uomini, rispettivamente, sonoIslanda e Cipro.

Al contrario il più alto rischio di mortalità pergli uomini si colloca nello Swaziland, nello Zam-bia per il sesso femminile. Nell’arco di un qua-rantennio (1970-2010) un incremento della mor-talità si è osservato fra gli adulti nell’area sub-sahariana, a causa dell’epidemia di AIDS. Crescitadella mortalità fra gli adulti anche nelle aree cor-relate alla vecchia Unione Sovietica.

Al contrario molto forte il declino della mor-talità fra le donne nell’Asia del Sud. Questi dati pos-sono essere considerati talora come aggiornamentipoco significativi, quasi curiosità, nella realtà geo-politica, ma al contrario rappresentano un tenta-tivo di approccio globale al problema.

La prevenzione di morte prematura negliadulti è di grande importanza, non inferiore aquanto si deve fare per la prevenzione nell’età pe-diatrica. Ne deriva una base strategica per l’im-postazione di politiche igienico-sanitarie e perscelte territoriali di intervento in grado di fornireindicatori sull’efficacia delle azioni da intrapren-dere o da evitare.

3) J cell Physiol 2010; 9999:

cancer stem cells: a stride towards cancer

cure?

Sengupta A, Cancelas JA.

Gli sviluppi della ricerca oncologica dimostanoil ruolo importante che possono avere le cellulestaminali nell’evoluzione metastatica.

In sostanza la teoria della cancer stem cell sibasa sull’esistenza di una popolazione di celluleresponsabile dell’evoluzione iniziale del cancro,

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della stabilizzazione evolutiva in grado di accu-mulare mutazioni e pertanto di resistere ai tratta-menti chemioterapici.

Dal postulato iniziale si sono ottenute varie di-mostrazioni che identificano questa rara popola-zione cellulare dotata della capacità di iniziare l’e-voluzione neoplastica. Nella leucemia mieloide idati hanno ricevuto notevoli supporti, mentre menochiaro si presenta il problema quando trattiamo tu-mori solidi (soprattutto ruolo del microambiente,nicchie cellulari, attivazione dell’espansione neo-plastica).

Questa revisione del problema tratta in modoutile e sintetico le evidenze che supportano la teo-ria della cellula staminale cancerosa, mettendo inluce alcune apparenti contraddizioni e la posizionedella comunità scientifica, talora scettica sulla pos-sibilità di ricondurre a questa teoria una visioneunitaria per la genesi dei tumori.

Senza dubbio un argomento per specialisti madalle consistenti ricadute culturali sul tema dellacancerogenesi, ancora ben lungi dall’essere risoltomalgrado ottimismi di maniera.

4) n engl J Med 2007; 357:266-281.

Vitamin d deficiency

Holick, M.F.

Ai nostri giorni “ripescare” un lavoro pub-blicato nel 2007 sembra quasi una sorta di mo-dernariato bibliografico. Errore.

Esistono articoli che conservano un ruolooperativo per lungo tempo, in funzione del mes-saggio che lanciano o dei concetti che vengono

rivisitati. Si pensava di conoscere molto, forsetutto, sulla vitamina D ma le cose stanno cam-biando.Nell’articolo di Holick viene riassunto ilquadro complessivo della fisiopatologia della vit.D e del suo ruolo in diverse condizioni patologiche.

Il contesto si è ravvivato partendo dall’os-servazione che la maggior parte dei tessuti edelle cellule possiedono recettori per la vit. D eche alcuni hanno il complesso pool chimico cheforma il macchinario enzimatico che permette alnostro corpo di convertire la forma circolante divit. D nella variante chimica attiva (1,25-dii-drossivitamina D).

Sembra ormai acquisito il ruolo di questamolecola nel diminuire il rischio di diverse ma-lattie croniche, compreso il cancro e alcuneforme di autoimmunità.

Ma l’estensione del ruolo biologico si ampliasia nell’ambito dell’infettivologia sia in quellodelle malattie cardiovascolari.

Di particolare interesse sembra il ruolo svoltodalla vit. D nella regolazione di alcune fasi dellarisposta immunitaria.

Per esempio grazie ad alcuni recettori chepossono essere attivati da lipopolisaccaridi o incorso di infezione tubercolare coinvolgendo imacrofagi, un’adeguata presenza di vit. D con-sente di modulare la risposta linfocitaria con se-gnali che coinvolgono i linfociti T e la sintesidelle immunoglobuline.

G. L.

Prof. Gabriele Rumi

Unità di Allergologia Complesso Integrato Columbus dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Roma

Prof. Alesssandro Amici

Direttore UOC Urologia - Ospedale FatebenefratelliIsola Tiberina - Roma

Dr.ssa Anna Simonetta Battiato

Medico specialista in Scienza dell'Alimentazione

Prof. Giuseppe Luzi

Immunologo ClinicoProf. associato di Medicina Interna

Prof. Augusto Vellucci

Specialista in Malattie InfettiveMedico Responsabile del Servizio Check-Up BIOS S.p.A.

Prof. Alessandro ciammaichella

già Primario Medico

HANNo CoLLAboRAto IN QUESto NUmERo

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donna su dieci e circa il 25% ha meno di cin-quant’anni di età.

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