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La Piccionaia I Carrarateatro stabile di innovazione

LA VILLA ED IL TEATROpercorsi di lavoro

a cura di Carlo Presotto E Paola Rossi

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INTRODUZIONE

Questo secondo quaderno completa idealmente un armamentario di stru-menti utilizzabili dagli insegnanti per sviluppare l’esperienza della visita alla mostra sulla villa veneta attraverso una serie di attività “quotidiane”.

Se è infatti è fondamentale il ruolo dell’eccezionalità rappresentata dall’u-scita scolastica, dall’interazione dal vivo con i personaggi usciti dai dipinti dell’epoca, dalla possibilità di mettere in gioco mani ed immaginario rico-struendosi la “propria” villa veneta con la grammatica di Andrea Palladio, è altrettanto importante che questa esperienza contagi la quotidianità del ri-torno in classe.

Viene per questo esemplificato un possibile ventaglio di proposte didattiche di interazione con la grande ricchezza del giacimento di racconti, di vite e di stimoli rappresentato dal “sistema villa”.

Di grande importanza è il concepire l’edificio monumentale come uno degli elementi che costituiscono il microcosmo di questa civiltà che ancora oggi funziona da “falsariga” su cui si innesta lo sviluppo territoriale, imprendito-riale e culturale contemporaneo.

Ma queste pagine testimoniano anche la ricchezza delle esperienze che sono germogliate dallo straordinario laboratorio teatrale diffuso a partire da Palazzo Barbaran Da Porto e che ha coinvolto durante tutto il 2005 classi e scuole di tutta la regione e di tutti i gradi scolastici.

Questo a sottolineare la funzione del teatro non certo come luogo di pura evasione e divertimento, ma come insostituibile crocevia di storie, arti ed esperienze di vita.

L’occasione offerta dalle celebrazioni realizzate dal CISA Andrea Palladio ha rappresentato per il teatro Stabile di innovazione La Picconaia I Carrara una importante tappa per mettere ulteriormente a fuoco il proprio obiettivo culturale nella dedica alle giovani generazioni.

Ed i risultati ottenuti ai due capi dell’altalena, dalla parte degli spettacoli di qualità visti a teatro e da quella su cui si muovono i laboratori teatrali in cui mettersi in gioco in prima persona, testimoniano la significativa riuscita di questa iniziativa.

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DAL TEATRO ALLA VILLAa cura di Paola Rossi

La rassegna di Teatro Scuola propone quest’anno la possibilità di percorrere un itinerario che collega il teatro Astra a uno dei monumenti più suggestivi del nostro territorio: villa Valmarana ai Nani. Le classi partecipanti alla rassegna di Teatro Scuola, sono infatti invitate a effettuare, nel giorno stesso della rappresentazione, la visita alla villa, agli affreschi realizzati da Giam-battista e Giandomenico Tiepolo nel 1757, e allo splendido giardino affacciato sulla Valletta del Silenzio e sui colli Berici. L’esperienza del teatro é per i bambini molto più complessa della semplice visione dello spettacolo: inizia fin dalla partenza da scuola e comprende il viaggio in pullman con il paesaggio intravisto dai finestrini, o la strada percorsa a piedi, l’arrivo a teatro, la scoperta dell’edificio teatrale, lo stare con gli altri, l’osservazione di mille particolari, dagli arredi del teatro all’apparato tecnico, e poi l’incontro con gli attori, la merenda, etc. etc., fino al rientro a scuola. E allora perché non prolungare il tragitto verso la Riviera Berica per arrivare, carichi delle emozioni dello spettacolo, a un luogo denso di immagini e di storie come villa Valmarana?L’invito a questa semplice iniziativa che trasforma la mattinata a teatro in una sorta di piccola gita, é rivolto a tutti.

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Il viaggio nel fantastico inizia al teatro Astra, quando le luci si spengono, si apre il sipario e prende il via lo spettacolo; e dopo la visione della storia a teatro i ragazzi potranno immergersi nell’intatto clima settecentesco di villa Valmarana ai Nani.La palazzina risale al 1669, mentre la foresteria e la scuderia furono erette, a partire dal 1720, ad opera di Francesco Muttoni. Nel 1757 Giustino Valmarana chiamò ad affrescarla Giambatti-sta e Giandomenico Tiepolo. Il ciclo di affreschi rappresenta l’elemento di eccezionalità della villa, unico luogo dove é possibile ammirare e apprezzare nelle reciproche affinità e differenze di gusto e di stile, l’opera dei due artisti: il padre Giambattista, ormai pittore affermato, ha affrescato le sale della palazzina con i temi epici e mitologici a lui congeniali, mentre il figlio Giandomenico, alle soglie della maturità artistica, ha decorato le stanze della foresteria con scene bucoliche e ispirate alla realtà del quotidiano con stile più leggero e realistico. Ma una stanza della foresteria é affrescata dal padre e la mano del figlio compare sulle pareti della villa, in un gioco di rimandi che invita a scoprire le reciproche influenze e le differenze fra i due artisti.Con le sue pareti affrescate, il giardino, il muro di cinta decorato da enigmatici nani, la villa si presenta come uno scrigno di storie.A cominciare dal nome, villa dei Nani, che trae origine da una leggenda:una principessa nana fu reclusa dal padre nel preesistente castello con i servi, tutti nani, per-ché non si accorgesse della sua deformità. Ma un bellissimo principe entrò un giorno nel miste-rioso giardino, la principessa lo vide, se ne innamorò e per il dispiacere si gettò dalla torre. I nani negligenti, per punizione, furono pietrificati e collocati sul muro di cinta della villa.Nella realtà origine e datazione dei nani sono incerte; una recente ipotesi sostiene che fossero in realtà disposti in ordine preciso nel giardino, con una funzione narrativa.All’interno della palazzina Giambattista Tiepolo ha dipinto nelle 5 sale scene dall’Ifigenia di Euripide, dall’Iliade di Omero, dall’Orlando Furioso di Ariosto, dall’Eneide di Virgilio, dalla ge-rusalemme Liberata del Tasso.Dopo l’esperienza dello spettacolo a teatro dove una storia é stata raccontata dal vivo con pa-role, musica e azioni dagli attori sul palcoscenico, i ragazzi affrontano ora una esperienza di fruizione diversa, ma altrettanto emozionante, immergendosi nelle storie illustrate a 360 gradi sulle pareti della villa.Nelle stanze della foresteria, in gran parte affrescate da Giandomenico, i ragazzi incontrano poi scene di vita quotidiana o rappresentative della cultura del secolo, che non rimandano quindi a narrazioni preesistenti, ma grazie al realismo e alla vivacità delle rappresentazioni invitano il visitatore a immaginare situazioni e relazioni tra i personaggi dipinti.Ecco quindi la stanza delle cineserie, quella delle scene campestri, la stanza gotica o della vil-leggiatura, la stanza degli dei dell’Olimpo, e la stanza del carnevale.La visita alla villa é influenzata dalla recente visione dello spettacolo; la memoria dello spetta-colo si confonde con le suggestioni della villa, in un rapporto di contaminazioni reciproche che contribuisce a creare un’esperienza globale.Per la visita alla villa verrà consegnata agli insegnanti una breve guida realizzata appositamen-te per le scuole; l’esperienza, inoltre, si presta a una vasta serie di approfondimenti in classe, condotti dai rispettivi insegnanti, che possono coprire diverse aree tematiche.

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VILLA VALMARANA “AI NANI”

L’avvocato Gian Maria Bertolo nel 1669 fece costruire l’attuale Palazzina. Giustino Valmarana l’acquistò nel 1720 e chiese al famoso architetto del tempo, Francesco Muttoni, di affiancarvi la Foresteria e la Scuderia (che quindi sono più “giovani” di circa 50 anni) e di abbellire la Pa-lazzina. Nel 1757 Giustino Valmarana chiamò ad affrescarla Giambattista e Giandomenico Tiepolo, che avevano appena finito di dipingere Wurzburg, in Germania, dove, con i loro affreschi, avevano celebrato le nozze di Federico Barbarossa con Margherita di Borgogna.La Villa quindi non è palladiana (Palladio aveva lavorato circa un secolo prima), ma è molto importante per i suoi affreschi, in cui molto chiaramente i Tiepolo, padre e figlio, mostrano la loro arte e le loro differenze di gusto e stile. La Villa prende il nome da una leggenda. Una principessa nana fu reclusa nel preesistente ca-stello con i servi, tutti nani, perché non si accorgesse della sua deformità. Ma un bellissimo principe entrò con il suo cavallo nel mi-sterioso giardino e fu visto dalla prin-cipessa che, per il dispiacere, si gettò dalla torre. I nani negligenti, per pu-nizione, furono pietrificati e collo-cati sul muro di cinta della villa.

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LA PALAZZINA

SALONE CENTRALE (I)Vi è illustrato il sacrificio di Ifigenia, dalla famosa tragedia di Euripide: al centro il sacerdote Calcante sta per uccidere la giovane Ifigenia. Tutti i presenti alzano lo sguardo, perché mira-colosamente, sopra una nuvola vaporosa, due amorini trasportano una cerva, che verrà immo-lata al posto della fanciulla. Sulla destra Agamennone si copre il volto per non vedere l’uccisio-ne della figlia. Su un lato del soffitto Diana, con le sue ninfe, invia la cerva salvatrice. Sull’al-tro lato Eolo, dio dei venti, soffia un alito, perché la flotta possa salpare. Infatti bandiere e vessilli sono già in movimento, perché il vento ora spira.Sull’altra parete si stanno preparando i viveri e le armi per la spedizione e la partenza alla volta di Troia. Dall’inquadratura risalta un protagonista (forse Giustino Valmarana) che, com-mosso, segue il dramma che si svolge sull’altare del sacrificio. Sulle sovrapporte le personificazioni dei quattro fiumi più importanti della terra noti nel Sette-cento.

STANZA DELL’"ILIADE" DI OMERO (II)Gli affreschi rappresentano la vicenda che fa da fulcro al primo canto dell'Iliade. Achille, preso dall’ira per la risoluzione di Agamennone di impossessarsi della sua schiava Briseide, si scaglia contro Agamennone, ma viene trattenuto per i capelli da Minerva, dea della guerra e della sapienza, scesa dal cielo; Briseide, schiava di Achille, viene quindi tolta di forza dalla sua ten-da, per essere accompagnata dal suo nuovo padrone; Achille, rattristato, viene consolato dalla madre Teti, dea del mare, che al suo pianto emerge dai flutti marini, accompagnata da una Nereide. Sul soffitto è rappresentata Minerva. A Giandomenico è attribuito il paesaggio campestre dell’ultima parete.

STANZA DELL’"ORLANDO FURIOSO" DI LUDOVICO ARIOSTO (III)Angelica, principessa del Catai, è legata ad uno scoglio dai pirati, per essere divorata da un’or-ca marina; il cavaliere Ruggero, a cavallo di un ippogrifo, scende a liberarla. Questo episodio è narrato nel X canto dell'"Orlando furioso"; mentre le vicende successive si trovano nel canto XIX del poema, dove Angelica incontra il soldato saraceno Medoro e ne cura la ferita: nasce fra i due un amore ma, poveri come sono, devono essere accolti in casa da due contadini; nell’ac-comiatarsi li ringraziano, regalando loro l’anello che Orlando aveva donato ad Angelica come pegno del suo amore (le figure dei due contadini sono opera di Giandomenico). Nell’ultima parete Angelica incide il suo nome sull’albero; nel soffitto é rappresentato Cupido bendato alla guida di un carro tra le nuvole.

STANZA DELL’"ENEIDE" DI VIRGILIO (IV)Gli affreschi si riferiscono alla storia d'amore tra Enea, fuggito da Troia in fiamme insieme al figlio Julo, e la regina Didone. Nel I canto dell'"Eneide", Venere, dea dell’amore, appare al figlio Enea e al suo compagno Aca-te, sbarcati dopo una tempesta sulle coste africane. Cupido si incorpora in Julo che, insieme al padre, è accolto regalmente da Didone: tra i due nasce l’amore. Sull’altra parete è affrescato invece un episodio del canto IV: Mercurio, messaggero degli dei dai piedi alati, si presenta ad Enea, ordinandogli di lasciare Cartagine e di proseguire il viaggio verso il Lazio. Da Julo, che sposerà Lavinia, discenderà la “gens iulia”(Giulio Cesare ed il pronipote Augusto). Così i Romani discenderanno dai Troiani e la loro stirpe avrà origini reali e divine. In chiaro-scuro è dipinto Vulcano, dio del fuoco, che nella sua fucina sovrintende al lavoro dei suoi fabbri, che stanno forgiando le armi per Enea, alla presenza di Venere. Sul soffitto, andato parzialmente distrutto a seguito di un bombardamento sulla città nel 1944, è rappresentato il trionfo di Venere.

STANZA DELLA "GERUSALEMME LIBERATA" DI TORQUATO TASSO (V)Nel Rinascimento la fantasia fervida, la magia che usufruiva di filtri e pozioni, erano cose co-muni. L’argomento rievoca episodi del XIV e XV episodio della "Gerusalemme liberata", ambien-tata ai tempi della prima crociata. Rinaldo ne è protagonista. La maga Armida, che protegge i Saraceni, cerca di ostacolare l’avanzata dei Cristiani. Con un canto melodioso fa addormentare Rinaldo e lo rapisce, trascinandolo su un cocchio, prima in un castello e poi nelle Isole Fortuna-

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te (le attuali Canarie). In quel luogo lussureggiante di vegetazione, con l’aiuto di uno specchio incantato, lo ammalia ed il guerriero, completamente soggiogato dalle arti della maga, perde la sua dignità. Goffredo di Buglione, comandante in capo dell’esercito cristiano, manda due soldati a cercarlo; questi, dopo averlo ritrovato, gli mostrano uno scudo nel quale egli vede riflesso l’episodio della magia che ha subito; allora si vergogna e decide di ritornare al proprio dovere di crociato. La maga tenta ancora di sedurlo, ma la ragione prevale in Rinaldo. Sul sof-fitto un’allegoria rappresenta la vittoria della virtù sul vizio, della luce sulle tenebre, del bene sul male.

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FORESTERIA

L’edificio aveva la funzione, come dice il nome, di alloggio per i forestieri. In origine i sette archi, sorretti da pilastri, si aprivano su un ampio portico, su cui si affacciavano le stanze per gli ospiti. Con l’apertura di grandi finestre rettangolari l’ampio portico è diventato un grande salone interno.Nelle sette stanze affrescate di questo edificio Giambattista Tiepolo, ad eccezione della sala dell’Olimpo, passa la mano al figlio. Dai poemi epici e cavallereschi si passa a scene di vita più ordinaria o legate alla fantasia; assieme al mondo dei nobili, appare quello del popolo, fatto tante volte da figure di nani, giocatori e ciarlatani che entrano in scena, si inchinano, chiedono un applauso.

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STANZA DELLE CINESERIE (I)Le immagini alle pareti sono una stravagante evocazione della Cina in auge a Venezia con la “Turandot” di Carlo Gozzi. L’adora-zione di una divinità lunare, l’acquisto di spezie e di stoffe pre-ziose sono semplici pretesti per mostrarci quelle mercanzie che, fin dai tempi di Marco Polo, giungevano a Venezia. L’artista rap-presenta la Cina come un paese straordinario, dove vivono animali stranissimi, insetti di incredibile grandezza, ortaggi impensabili, ecc.Particolare suggestione è data dal pino marittimo che, uscendo dai limiti della parete, sembra entrare nella stanza, creando un effetto tridimensionale.

STANZA DELLE SCENE CAMPESTRI (II)Giandomenico ci racconta il mondo dei contadini veneti: sono scene di un’afosa giornata di sole, che fa scolorire le chiome degli alberi.

Su una parete una famigliola consuma un rustico pasto: un’enorme polenta domina la tovaglia bianca, il padre mangia tenendo il figlio in braccio, mentre una donna consuma il suo pasto appoggiando il piatto sul ventre. Sulla parete di fronte altri contadini si concedono una siesta sotto gli alberi: gli uomini seduti chiacchierano, mentre una donna sta filando e tiene il fuso in mano. Sulla parete accanto due donne e una bimba vanno al mercato: sono vestite a festa, non hanno le ciabatte da lavoro, ma le scarpe coi tacchi, il cappello in testa, e da una cesta spunta la testa di una gallina. Dall’altra parte della stessa parete una vecchia, che ora si sta riposando all’ombra di un albero, va in città a vendere le uova. Finché riprende le forze recita il rosario.

STANZA GOTICA O DELLA VILLEGGIATURA (III)In questo ambiente è rappresentata l’altra faccia della vita in campagna. Protagonista questa volta non è più il lavoro dei contadini nell’epoca delle servitù feudali, ma i signori proprietari della campagna. La sala è detta gotica per le decorazioni architettoniche. In queste cornici neogotiche le donnine passeggiano ammirando il paesaggio, talvolta in compagnia di un cici-sbeo; passeggiano d’estate e d’inverno, sempre in abito sfarzoso e con tono sempre svagato e annoiato.

STANZA DEGLI DEI DELL’OLIMPO (IV)Qui riprende il pennello il padre Giambattista con i suoi soggetti mitologici. Su una parete Gio-ve seduto sulle nuvole, come su un trono, tiene le saette e lo scettro in mano, ed ai suoi piedi un’aquila.

STANZA DEL CARNEVALE (V)Su una parete è affrescato un moro che scende da una scala per servire della cioccolata. La scena ha ispirato Antonio Fogazzaro che nel suo romanzo “Piccolo mondo moderno” chiama la sala “la Darwiniana”. Nelle altre pareti tre scene del carnevale veneziano eseguite dal figlio e riprese successivamente nella villa di Zianigo di proprietà dei Tiepolo e ora a Cà Rezzonico. Le scene propongono aspetti ludici: il Ciarlatano, il Mondo nuovo e il Minuetto di Pantalone e Co-lombina: il tutto è colto con spirito lucido e disincantato, con precisione di particolari, risolti con tocco rapido ed incisivo.

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SCUOLA PRIMARIA

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PER COMPRENDERE MEGLIO

IFIGENIA era figlia del greco Agamennone e di Clitemnestra. Il padre accettò di sacrificarla ad Artemide affinchè ai Greci andasse bene il viaggio verso Troia; ma la stessa dea Artemide sosti-tuì Ifigenia con una cerva e la trasportò in Tauride.

ILIADE, da Ilio (Troia), opera di Omero, racconta le vicende del decimo anno della guerra di Troia, scoppiata perchè Elena (la greca moglie di Menelao) era stata rapita dal Troiano Paride. Nel primo canto si narra il contrasto tra Achille e Agamennone (greci) per il possesso della schiava Briseide.

La GERUSALEMME LIBERATA è un poema cavalleresco nel quale l'autore, Torquato Tasso, che visse nel 1600, narra le imprese sostenute dai Crociati (Cristiani) per la conquista del Santo Sepolcro di Cristo (di cui si erano impossessati i Turchi e Musulmani), avvenuta nel 1099.

L'ORLANDO FURIOSO è un poema cavalleresco nel quale l'autore, Ludovico Ariosto, narra le lotte tra i Cristiani e i Pagani. Tra le vicende ricordiamo quella del paladino Astolfo che, in groppa all'Ippogrifo (cavallo alato) va sulla luna per riprendere il senno di Orlando, impazzito d'amore per Angelica, sposa di Medoro.

ENEIDE i primi 6 libri del poema scritto da Virgilio narrano i viaggi del troiano Enea da Troia, distrutta, fino alle foci del Tevere; gli altri 6 libri cantano le guerre sostenute da Enea contro i Latini per trovare stabile rifugio agli dei di Troia nella terra laziale.

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I TIEPOLO

Giambattista Tiepolo nacque a Venezia nel 1696 e morì a Madrid nel 1770.A vent'anni, dopo aver frequentato la bottega di Gregorio Lazzarini, appariva già nella corpora-zione dei pittori veneziani.Affrescò ville, chiese e palazzi a Udine, Bergamo, Milano, Wurzburg, Vicenza e Venezia. Fu chiamato anche a Madrid, dove lavorò al Palazzo Reale con l'aiuto del figlio Giandomenico. Predilisse soggetti letterari, storici e mitologici e divenne famoso come pittore di cieli e di angeli.Nei dintorni di Vicenza dipinse Villa Valmarana ai Nani v illa Cordellina a Montecchio Maggiore e villa Loschi Zileri a Biron di Monteviale.Giandomenico, figlio di Giambattista e di Cecilia Guardi, fu allievo e collaboratore del padre. Iniziò ad affermare un proprio stile personale nei dipinti della Residenza del Principe di Wurzburg e successivamente di villa Valmarana.Dopo la morte del padre a Madrid, Giandomenico tornò in Italia, ed ebbe numerosi incarichi ufficiali a Venezia, ma espresse la sua più felice vena narrativa negli affreschi eseguiti nella villa di famiglia a Zianigo presso Mestre, popolati di figure grottesche, cantastorie, pagliacci e pulcinella.

Le caratteristiche pittoriche dei Tiepolo sono:i colori violenti con forti effetti di chiaroscurol'effetto della prospettivala rappresentazione di soggetti storici, mitologici e metaforiciil ritratto dei soggetti in movimento

Giandomenico si distingue dal padre per:ricerca di maggiore realismo pittoricomaggiore delicatezza nel tratto e nella scelta dei coloripredilezione per la rappresentazione di temi di vita quotidiana, paesaggi

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SCUOLA SECONDARIA

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ITINERARI PER APPROFONDIRE IN CLASSE

La visita a villa Valmarana "Ai Nani" può rappresentare un’esperienza compiuta; per chi volesse invece approfondire in classe, forniamo alcuni possibili spunti di lavoro. La sensibilità, la pre-parazione, la personale linea didattica dei singoli insegnanti potranno senz’altro suggerire ulte-riori percorsi.

LETTERATURA La villa é una sorta di meraviglioso “scrigno di storie”, prime fra tutte le grandi opere “illustra-te” sulle pareti della palazzina: l’"Iliade" di Omero, l’"Eneide" di Virgilio, l’"Orlando Furioso" di Ariosto, la "Gerusalemme Liberata" di Tasso, l’"Ifigenia" di Euripide.Nella Stanza dell'"Iliade" Giambattista Tiepolo ha dipinto alcuni episodi tratti dal primo canto del poema di Omero, quando nasce la contesa tra Achille e Agamennone per il possesso della schiava Briseide, col conseguente intervento degli dei.Nella stanza dell'"Orlando Furioso" appare un episodio del canto X, quando Angelica, incatenata ad uno scoglio per essere divorata dall'Orca, viene liberata da Ruggiero; mentre sulle altre pa-reti sono affrescate le vicende narrate nel canto XIX, dove Angelica incontra Medoro e se ne innamora.Nella stanza dell'"Eneide" troviamo rappresentati alcuni momenti del primo e quarto canto del poema di Virgilio legati alla storia d'amore tra Enea e la regina Didone. La stanza della "Gerusalemme Liberata" é dedicata alla vicenda di Rinaldo, narrata nel XIV e XV episodio del poema: Rinaldo, imprigionato dalla maga Armida sulla sua isola viene successiva-mente liberato grazie all'intervento di Goffredo di Buglione.La storia di Ifigenia fa parte di quel nutrito corpo di racconti che hanno come argomento i pre-parativi per la guerra di Troia: negli affreschi di Tiepolo vediamo la figlia di Agamennone con-dotta al sacrificio che dovrà propiziare la partenza delle navi, sostituita all'ultimo momento da una cerva mandata dalla dea Diana. IL TEATRO DEL SETTECENTONella “stanza gotica” della Foresteria, cosiddetta per lo stile della decorazione, Giandomenico Tiepolo ha dipinto eleganti gentildonne che passeggiano per la campagna. Gli affreschi sembra-no echeggiare la goldoniana “Trilogia della villeggiatura” (1761), ma in generale questa stanza, così come la “stanza del Carnevale”, con le sue maschere e i suoi personaggi tipicamente ve-neziani, si può abbinare a tutta l’opera di Goldoni, che appartiene alla stessa epoca e alla stes-sa cultura degli affreschi. A un’opera del grande rivale di Goldoni, la “Turandot” di Carlo Gozzi, sembra invece ispirata la stanza “cinese” della Foresteria, che si inserisce nella moda delle “cineserie” che pervase l’Eu-ropa settecentesca. La fiaba originale, di origine persiana, si può leggere in una delle sue mol-teplici versioni.

STORIA E GEOGRAFIA: I VIAGGI DEI TIEPOLOSulle tracce dei Tiepolo é possibile approfondire la conoscenza dell’Europa del Settecento dal punto di vista geografico e stori-co. Giambattista e Giandomenico percorsero l’Europa richiamati dalla fama della loro arte. Giambattista fu molto attivo nella sua città natale, Venezia, e nel Veneto, ma ricevette numerose commissioni nel nord Italia: lavorò a Udine, a Milano, a Berga-mo. Nel 1750 fu chiamato ad affrescare la residenza del princi-pe vescovo a Wurzburg, dove si fermò per tre anni, affiancato dal figlio Giandomenico. Nel 1762 i due partirono insieme per Madrid e proprio nel palazzo del re di Spagna Giambattista di-pinse le sue ultime grandi composizioni. Alla morte del padre nel 1770, Giandomenico tornò in Italia e si dedicò a importanti imprese decorative a Brescia, Genova e Venezia.

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DISEGNO E STORIA DELL’ARTELa visita alla villa può rappresentare una tappa di un percorso più approfondito sull’opera dei Tiepolo.

Esistono numerose pubblicazioni al proposito, ma una ricerca sul campo si può svolgere anche nei dintorni di Vicenza, con una visita a villa Loschi Zileri a Biron di Monteviale, dipinta da

Giambattista con una serie di soggetti allegorici; o alla villa Cordellina di Montecchio Maggiore, decorata nel 1743 con scene di solenne argomento storico.Un’altra meta suggestiva é la villa Pisani di Strà, dove Giam-

battista realizzò uno dei suoi cieli più famosi.A Venezia si trovano opere di Giambatti-sta nella Chiesa dei Carmelitani Scalzi, nella Chiesa di S. Maria dei Gesuati, dei Carmini, di S.Polo. Un importan-te ciclo di affreschi si trova a Palazzo Labia; mentre a Ca’ Rezzonico si possono ammirare due soffit-ti realizzati da Giambattista e gli affreschi staccati dalla villa di fami-glia di Zianigo ese-guiti da Giandome-nico.

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I TIEPOLO

GIAMBATTISTAIl pittore nacque a Venezia nel 1696 e scomparve a Madrid nel 1770. Fu uno dei massimi deco-ratori, disegnatori e incisori del Settecento.Nel 1724-25 decorò palazzo Sandi-Porto a Venezia e quindi a Udine eseguì gli affreschi nella cattedrale e nel palazzo vescovile. Famoso oltre i confini dello Stato veneziano ricevette commissioni a Milano e in Lombardia, quali i cicli decorativi per i palazzi milanesi Archinto costruito nel 1731 e distrutto nel 1943, Dugnani nel 1731, Clerici nel 1740, con la fantastica "Corsa del carro del Sole", e per la cappel-la Colleoni a Bergamo nel 1732-33.Le opere di decorazione, le pale d'altare, le tele mitologiche storiche si susseguirono senza in-terruzione in questi anni in cui la creatività dell'artista appare inesauribile: il soffitto per S. Maria dei Gesuati a Venezia nel 1737-39, i dipinti per la scuola dei Carmini nel 1740-44, quelli per palazzo Labia con "Storie di Antonio e Cleopatra" nel 1747-50, ne costituiscono altrettante tappe. Nel 1750 Tiepolo si recò a Wurzburg con i figli Giandomenico e Lorenzo, che ormai lo affiancano nella realizzazione delle sue grandi opere, per attendere alla decorazione della Kaisersaal e dello scalone d'onore della residenza del principe-vescovo Carl Philipp von Greiffenklan con affreschi celebranti le imprese dell'imperatore Federico Barbarossa. Al ritorno da Wurzburg risalgono la decorazione della villa Valmarana "Ai Nani" presso Vicenza, la "Gloria della famiglia Pisani" nella villa di Stra e il ciclo decorativo per palazzo Rezzonico a Venezia. Nel 1762, sempre accompagnato dai due figli, Tiepolo partì per Madrid mettendosi al servizio del re Carlo III che l'aveva invitato a decorare tre sale del Palazzo Reale; da qui la realizzazione della "Gloria della Spagna" nella sala del trono, delle scene del "Trionfo della monarchia spa-gnola" e dell’"Apoteosi di Enea" terminati nel 1766. L’anno dopo gli venne affidato l’incarico di dipingere le pale destinate a sette altari della chiesa reale di Aranjuez, che terminerà nel 1770 e che costituiscono la sua opera estrema.

GIANDOMENICOIl pittore, figlio di Giambattista e di Cecilia Guardi (sorella dei noti pittori Antonio e Francesco) nacque a Venezia nel 1727, dove morì nel1804.Allievo del padre Giambattista, collaborò alla realizzazione dei suoi più grandi affreschi. Gian-domenico però non si limitò all'attività di cooproduzione col padre, ma coltivò anche un'arte propria. Suoi sono infatti gli affreschi della foresteria della Villa Valmarana (1757), nonché al-cune opere nel Palazzo Ducale di Genova (1783).Svolse anche un'intensa attività incisoria, il cui capolavoro è la "Fuga in Egitto", eseguito a Würzburg nel 1753. La sua opera più importante, in cui manifesta il meglio della propria perso-nalità, rimane però senza dubbio il complesso degli affreschi della Villa di Zianigo (1791-93) in cui ritrae con spietata ironia la società veneziana del suo tempo.

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MOZART E IL SETTECENTOa cura di Paola Rossi

La rassegna di Teatro Scuola propone quest’an-no la possibilità di percorrere un itinerario che collega il teatro Astra a uno dei monumenti più suggestivi del nostro territorio: villa Valmarana ai Nani. Le classi partecipanti alla rassegna di Teatro Scuola, sono infatti invitate a effettua-re, nel giorno stesso della rappresentazione, la visita alla villa, agli affreschi realizzati da Giambattista e Giandomenico Tiepolo nel 1757, e allo splendido giardino affacciato sulla Vallet-ta del Silenzio e sui colli Berici. L’esperienza del teatro é per i bambini molto più complessa della semplice visione dello spettacolo: inizia fin dalla partenza da scuola e comprende il viaggio in pullman con il paesaggio intravisto dai finestrini, o la strada percorsa a piedi, l’ar-rivo a teatro, la scoperta dell’edificio teatrale, llo stare con gli altri, l’osservazione di mille particolari, dagli arredi del teatro all’apparato tecnico, e poi l’incontro con gli attori, la me-renda, etc. etc., fino al rientro a scuola. E allo-ra perché non prolungare il tragitto verso la Riviera Berica per arrivare, carichi delle emo-zioni dello spettacolo a un luogo denso di im-magini e di storie come villa Valmarana?

L’invito é rivolto a tutti, ma all’interno di que-sta semplice iniziativa che trasforma la mattinata a teatro in una sorta di piccola gita, si colloca un progetto speciale legato allo spettacolo “Wolfi bambino prodigio”, presentato dal Teatro Litta di Milano il 21 e 22 marzo al teatro Astra. Alle classi che vorranno partecipare si propone la visione dello spettacolo e la visita alla villa, corredata da un insieme di schede e materiali che potranno costituire lo spunto per alcuni percorsi di approfondimento in classe, a cura dei rispettivi insegnanti.Il tema portante del progetto è il Settecento. Lo straordinario viaggio nel tempo inizia a teatro, quando le luci si spengono e si apre il sipario: un pianista e una soprano stanno per dare il via a un concerto in ricordo di Mozart, ma ecco irrompere sul palcoscenico il grande musicista in persona, ritornato in vita per evocare, con l’aiuto dei due artisti, la sua storia a partire dagli esordi di bambino prodigio. La memoria di Amadeus é un po’ arrugginita e i ricordi non seguono un ordine cronologico, ma appaiono vividi e ancora densi di emo-zioni. La musica accompagna tutto il percorso, trasportandoci in un’epoca passata, eppure ancora così umanamente vicina. Finché Wolfi, da gran viaggiatore come é sempre stato, non cercherà di varcare la soglia del palcoscenico per uscire a vedere come é cambiato il mondo.Dopo la visione dello spettacolo, con ancora nelle orecchie le musiche di Mozart, saranno i ragazzi a compiere un viaggio nel tempo a ritroso, immergendosi nell’intatto clima settecentesco della villa Valmarana ai Nani.Ma oltre all’esperienza artistica ed emozionale, il progetto non perde di vista l’obiettivo didattico.Lo spettacolo Wolfi è ricco di cenni biografici e di dati e informazioni su Mozart e verrà corredato di schede relative alla vita e all’opera del grande musicista; mentre per la visita alla villa verrà conse-gnata agli insegnanti una breve guida realizzata appositamente per le scuole.Il progetto, inoltre, si presta a una vasta serie di approfondimenti in classe, condotti dai rispettivi insegnanti, che possono coprire diverse aree tematiche.

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WOLFIBambino prodigio

Produzione Teatro Littadi Roberto Corona, Claudio Raimondocon Roberto Corona, Massimo Cottica al pianoforte, Gabriella Locatelli sopranoregia Roberto Corona

Un evento eccezionale scuote la platea e forse il mondo intero: Mozart, il grande genio, è tornato.I due primi testimoni di questo clamoroso ritorno, il maestro di musica e la cantante, non credono ai loro occhi. Il previsto concerto in suo ricordo passa in second’ordine e la curiosità si fa spazio. Il tempo, oltre ad arrugginire le sue giunture, ha rimosso la memoria della sua vita. Sarà la musica a guidare il ricordo dei momenti più importanti e di quelli meno noti della sua breve esistenza. Mae-stro e cantante vorrebbero seguire un ordine cronologico di tali eventi, ma la curiosità ancora infan-tile di Wolfi, il suo cercare nelle emozioni, più che nel tempo, ci porta in un’atmosfera sospesa tra estremi opposti, colorati di musica e visioni. Viaggi e incontri eccezionali ci immergono in un'epoca passata, ma ancora così umanamente vicina.L’atmosfera leggera, l’ascolto dal vivo di alcuni brani del genio, così profondamente emotivi, diventano una fonte di grande ispirazione per giocare e im-provvisare con la fantasia. Trovare qualcosa di sé in quelle atmosfere, forse le grandi aspirazioni che aiutano a crescere, un senso leggero che attraversa l’anima, una passione che deve essere difesa e coltivata con tenacia.Ed è quello che forse ha fatto Mozart, il bambino prodigio, che all’età di soli sei anni ha composto la sua prima opera e ci ha donato alcune delle più belle pagine della musica classica, apprezzate anche da chi, di questa materia, è completamente digiuno. Una vita particolare quella di Mozart. La sua genialità, la sua complessità sublime, ma soprattutto le sue emozioni con-flittuali e la sua contraddittoria umanità ci mettono davanti a un personaggio eccezionale, e allo stesso tempo umano e comune.Wolfi, dunque, è tornato, e da gran viaggiatore, quale è sempre stato, vuole uscire per vedere come è cambiato il mondo…Un modo per avvicinarsi al mondo della grande musica con leggerezza e divertimento, nel 250° an-niversario della nascita di Mozart.

NOTE DI REGIAMettere in scena “Wolfi bambino prodigio” è stata un’enorme sfida. Da una parte per l’interesse per l’argomento e per la grandezza del personaggio. Dall’altra perché si voleva parlare di Mozart ad un pubblico di ragazzi, per i quali - si sa - la musica classica, e in particolare la lirica, possono risultare “noiosi”, e, quindi, argomento particolarmente a rischio. La ricerca si è così rivolta, in particolare, verso gli aspetti vivaci, vivi, giocosi, emotivi della vita di Mozart.La musica in questo ha, naturalmente, un ruolo fondamentale. La produzione di Mozart è stata im-mensa e qualitativamente straordinaria, e non poneva problemi di scelte. Il problema semmai era “come” mettere in scena la musica di Mozart per un pubblico di ragazzi. Ne è venuta subito fuori l’idea del terzetto: un pianista, un soprano e un attore.In tutto questo processo, il testo è cambiato numerose volte: da una prima stesura di carattere di-dattico, in cui si cercava di riprendere la biografia di Mozart attraverso la figura di un attore che riviveva le sue stesse passioni da bambino, si è arrivati ad una stesura più interessante nella quale, invece, risaltano soprattutto le emozioni, il sentimento, la passione, e dove si è deciso di mettere in scena proprio lui, l’enfant prodige, il genio.La passione è diventata il filo conduttore della vicenda.La figura di Mozart che ne è venuta fuori è geniale, ma anche semplice e ingenua. Sono stati scelti momenti della vita di Mozart che più si potessero avvicinare al sentire dei ragazzi del pubblico. E' emerso il personaggio del padre Leopold, che riconosce il talento del figlio e lo indiriz-za, che lo porta in giro per le corti d’Europa come un enfant prodige, col doppio significato che può assumere questo termine di genio, ma anche di “scimmietta ammaestrata”, come lo canzonano i bambini di corte di Londra.Per coltivare la sua passione, Mozart romperà con il padre, si ridurrà in miseria, ma comporrà le opere immortali.

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WOLFGANG AMADEUS MOZART

Wolfgang Amadeus Mozart nacque a Salisburgo il 27 gennaio 1756. Il padre Leopold si occupò della sua educazione musicale e fece di lui una sorta di bambino prodigio in grado, a soli sei anni, di suo-nare, comporre e improvvisare.Fu così che Wolfgang iniziò giovanissimo a viaggiare, esibendosi nelle maggiori città europee: Mona-co, Vienna, Francoforte, Bruxelles, Parigi, Amsterdam e successivamente le principali città italiane.Questi faticosi viaggi di lavoro furono contemporaneamente per il giovane Mozart viaggi di istruzio-ne, durante i quali ebbe modo di entrare in contatto con grandi e piccoli compositori dell'epoca.Precoce autore di sonate e sinfonie Mozart compose le prime opere (La finta semplice, Bastiano e Bastiana) a Vienna nel 1768; quindi in Italia tentò la vera e propria carriera del musicista teatrale col Mitridate e Lucio Silla (Milano, 1770 e 1772).Negli anni successivi compose principalmente Divertimenti e Serenate e tre Messe nel 1776.Il nuovo viaggio a Parigi del 1777 - 78 segnò una svolta nella vita e nella carriera artistica di Mozart: il dolore per la morte della madre e la pena dell'amore non corrisposto per Aloysia Weber traspaiono nelle composizioni di questo periodo che mostrano un approfondimento espressivo ancora assente nelle precedenti composizioni.Ritornato a Salisburgo diede prova di questa maturazione in alcune sinfonie e nell'opera seria Ido-meneo.Fra un viaggio e l'altro Mozart rivestiva nella corte arcivescovile di Salisburgo il ruolo di organista del duomo, ruolo che si rivelò sempre più stretto per il suo spirito indipendente fino alla definitiva rottura del 1781, anno in cui decise di stabilirsi definitivamente a Vienna e dedicarsi alla libera professione, vendendo la sua musica direttamente al pubblico della grande città.L'anno successivo si sposò con Costanza Weber, sorella di Aloysia. Professionalmente sulle prime la fortuna sembrò arridergli: incaricato dall'imperatore della compo-sizione di un'opera, realizzò il Ratto dal serraglio.Godette anche di una grande popolarità come esecutore di pianoforte, e produsse una serie di mira-bili Concerti; si dedicò inoltre alla musica da camera componendo mirabili Quartetti e Quintetti.Per quanto riguarda il teatro musicale, sua principale aspirazione, fondamentale fu l'incontro con il librettista italiano Lorenzo Da Ponte: dalla loro fortuna collaborazione nacque nel 1786 Le nozze di Figaro, tratto dalla commedia di Beaumarchais.La parziale perdita del favore del pubblico, intrighi e ostilità di rivali invidiosi e la morte del padre avvenuta nel 1787 condussero Mozart a una nuova evoluzione interiore, che si riflette nella produ-zione delle sue più intense sinfonie.Nel 1787 debuttò a Praga il Don Giovanni, realizzata in collaborazione col librettista Dal Ponte, ope-ra in cui convivono elementi di comicità ed elementi tragici, patetici e dolorosi.Gli ultimi anni della breve vita di Mozart trascorsero in mezzo a ristrettezze economiche e umilia-zioni professionali, che non condizionarono la purezza della sua arte. Risalgono agli ultimi anni ope-re strumentali come la Piccola serenata notturna o la Jupiter-Symphonie e opere teatrali quali Così fan tutte (1790) , La clemenza di Tito (1791) e il Flauto magico (1791); e per ultima composizione un Requiem lasciato incompiuto e avvolto di tragiche leggende.

BIBLIOGRAFIAMassimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi 1977.Giorgio Pestelli, L'età di Mozart e di Beethoven, in Storia della Musica, a cura della Società Italiana di Musicologia, Torino, E.D.T. 1979.Michel Parouty Mozart Electa-GallimardWolfgang Hildesheimer Mozart. Superbur SaggiStendhal Vita di Mozart Tascabili NewtonAlessandro Baricco L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin GarzantiLE GRANDI FIABE IN MUSICA narrate da Giovanni Cavizel – ed. DVE JUNIOR

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ITINERARI PER APPROFONDIRE IN CLASSE

La visione dello spettacolo "Wolfi" e la visita a villa Valmarana "Ai Nani" possono rappresentare un’esperienza compiuta; per chi volesse invece approfondire in classe, forniamo alcuni possibili spunti di lavoro. La sensibilità, la preparazione, la personale linea didattica dei singoli insegnanti potranno senz’altro suggerire ulteriori percorsi.

Letteratura La villa, abbiamo detto, é una sorta di meraviglioso “scrigno di storie”, prime fra tutte le grandi opere “illustrate” sulle pareti della palazzina: l’"Iliade" di Omero, l’"Eneide" di Virgilio, l’"Orlando Furioso" di Ariosto, la "Gerusalemme Liberata" di Torquato Tasso, l’"Ifigenia" di Euripide.

Nella stanza dell'"Iliade" Giambattista Tiepolo ha dipinto alcuni episodi tratti dal primo canto del poema di Omero, quando nasce la contesa tra Achille e Agamennone per il possesso della schiava Briseide, col conseguente intervento degli dei.Nella stanza dell'"Orlando Furioso" appare un episodio del canto X, quando Angelica, incatenata ad uno scoglio per essere divorata dall'Orca, viene liberata da Ruggiero; mentre sulle altre pareti sono affrescate le vicende narrate nel canto XIX, dove Angelica incontra Medoro e se ne innamora.Nella stanza dell'"Eneide" troviamo rappresentati alcuni momenti del primo e quarto canto del poe-ma di Virgilio legati alla storia d'amore tra Enea e la regina Didone. La stanza della "Gerusalemme Liberata" é dedicata alla vicenda di Rinaldo, narrata nel XIV e XV episodio del poema: Rinaldo, imprigionato dalla maga Armida sulla sua isola viene successivamente

libe-rato g r a-z i e a l-l ' i n-t e r-ven-to di Gof-f r e-d o d i B u-glio-ne.L a s t o-r i a d i I f i-g e-n i a f a p a r-te di quel n u-trito c o r-po di

racconti che hanno come argomento i preparativi per la guerra di Troia: negli affreschi di Tiepolo vediamo la figlia di Agamennone condotta al sacrificio che dovrà propiziare la partenza delle navi, sostituita all'ultimo momento da una cerva mandata dalla dea Diana.

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Il teatro del SettecentoNella “stanza gotica” della Foresteria, cosiddetta per lo stile della decorazione, Giandomenico Tie-polo ha dipinto eleganti gentildonne che passeggiano per la campagna. Gli affreschi sembrano echeggiare la goldoniana “Trilogia della villeggiatura” (1761), ma in generale questa stanza, così come la “stanza del Carnevale”, con le sue maschere e i suoi personaggi tipicamente veneziani, si può abbinare a tutta l’opera di Goldoni, che appartiene alla stessa epoca e alla stessa cultura degli affreschi. A un’opera del grande rivale di Goldoni, la “Turandot” di Carlo Gozzi, sembra invece ispirata la stanza “cinese” della Foresteria, che si inserisce nella moda delle “cineserie” che pervase l’Europa settecentesca. La fiaba originale, di origine persiana, si può leggere in una delle sue molteplici ver-sioni.

Il teatro musicaleE’ possibile affrontare la lettura di alcuni libretti di opere mozartiane, come “Così fan tutte” o “Don Giovanni”, di Lorenzo Da Ponte.

Storia e Geografia: i viaggiSulle tracce di Mozart e dei Tiepolo é possibile approfondire la conoscenza dell’Europa del Settecen-to dal punto di vista geografico e storico. Il viaggio rappresenta una delle esperienze fondamentali dei primi anni di vita di Mozart. Il padre decise di promuovere le prodigiose qualità musicali del figlio facendo conoscere al mondo quel bambino che a sei anni sapeva suonare, improvvisare e comporre. Le prime uscite, verso Monaco e Vienna, sono del 1762. Segue a partire dal 1763 un viaggio di tre anni per l’Europa nord - occiden-tale: Augusta, Treviri, Magonza, Francoforte, Bonn Bruxelles, Parigi, Londra, Amsterdam, L’Aia. Al 1769 risale il primo dei tre viaggi in Italia, segnato da onori e riconoscimenti, a Verona, Mantova, Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Torino, Venezia; mentre il secondo e il terzo viaggio (1771, 1772) faranno capo a Milano.Negli anni successivi, terminata la carriera di “fanciullo prodigio” e intrapresa quella di musicista,, punti di riferimento per la vita del grande artista saranno soprattutto Vienna, Monaco, Praga e Fran-coforte.Anche Giambattista e Giandomenico Tiepolo percorsero l’Europa richiamati dalla fama della loro arte. Giambattista fu molto attivo nella sua città natale, Venezia, e nel Veneto, ma ricevette nume-rose commissioni nel nord Italia: lavorò a Udine, a Milano, a Bergamo. Nel 1750 fu chiamato ad af-frescare la residenza del principe vescovo a Wurzburg, dove si fermò per tre anni, affiancato dal figlio Giandomenico. Nel 1762 i due partirono insieme per Madrid e proprio nel palazzo del re di Spagna Giambattista dipinse le sue ultime grandi composizioni. Alla morte del padre 1770, Giando-menico tornò in Italia e si dedicò a importanti imprese decorative a Brescia, Genova e Venezia.

Disegno e Storia dell’ArteLa visita alla villa può rappre-sentare una tappa di un percorso più approfondito sull’opera dei Tiepolo.Esistono numerose pubblicazioni al proposito, ma una ricerca sul campo si può svolgere anche nei dintorni di Vicenza, con una visita a villa Loschi Zileri a Biron di Monteviale, dipinta da Giam-battista con una serie di soggetti allegorici; o alla villa Cordellina di Montecchio Maggiore, decora-ta nel 1743 con scene di solenne argomento storico.Un’altra meta suggestiva é la villa Pisani di Strà, dove Giam-battista realizzò uno dei suoi

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cieli più famosi.A Venezia si trovano opere di Giambattista nella Chiesa dei Carmelitani Scalzi, nella Chiesa di S. Maria dei Gesuati, dei Carmini, di S.Polo. Un importante ciclo di affreschi si trova a Palazzo Labia; mentre a Ca’ Rezzonico si possono ammirare due soffitti realizzati da Giambattista e gli affreschi staccati dalla villa di famiglia di Zianigo eseguiti da Giandomenico.

Visione di film“Amadeus” capolavoro di Milos Forman, tratto dall’omonimo lavoro teatrale di Peter Shaffer, girato nel 1984 e vincitore di 8 Oscar, racconta attraverso il ricordo e la voce del compositore di corte Antonio Salieri la folgorante carriera di Wolfgang Amadeus Mozart, genio e sregolatezza per antono-masia.“Don Giovanni” di Joseph Losey (1979), in gran parte girato a Vicenza, é la trasposizione cinemato-grafica integrale dell’opera di Mozart, ambientata in edifici palladiani: il teatro Olimpico, la Basili-ca, villa Caldogno, la Rotonda, villa Emo e villa Poiana. Alcune scene sono state realizzate anche a Villa Valmarana. Il film rappresenta un interessante connubio fra musica di Mozart, architettura e paesaggio veneto.

MusicaE' difficile scegliere dei brani di Mozart che riassumano il suo genio musicale. Ecco alcuni pezzi più o meno noti scelti prendendo in parte in considerazione gli strumenti più suonati nelle scuole ad indi-rizzo musicale. Proponiamo inoltre una divertente musica del padre di Mozart, che fu il primo inse-gnante di musica di Wolfi e lo avviò alla carriera di “bambino prodigio”.

LEOPOLD MOZART: La sinfonia dei giocattoli

W.A.MOZART:Concerto per pianoforte e orchestra K 488 Sinfonia K 504 "Praga"Concerto per clarinetto e orchestra K 622 Sinfonia K 550 in sol minoreConcerto per flauto, arpa e orchestra K 299 Sinfonia K 551 JupiterConcerto per violino e orchestra K219Piccola serenata notturna K525

brani da:Don Giovanni , Il flauto magico, Le nozze di Figaro, Così fan tutte

Si possono inoltre ascoltare in classe i brani musicali eseguiti nel corso dello spettacolo “Wolfi”: brani vocaliVoi che sapete e Non so più cosa son, cosa faccio da Le nozze di Figaro K492Abendempfindung Lied per canto e pianoforte K523 Aria della Regina della Notte e Duetto di Papagena e Papageno da Il flauto magico K620

brani pianistici:Minuetto in Sol K1Marcia alla Turca, dalla Sonata in La maggiore K331 Fantasia in Do Minore K475Allegro assai, dalla Sonata in Fa K332Danze tedesche K 509

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ESERCIZI SULLA TAVOLA

DI MENDELEEV1. Armamentari drammaturgici di un gruppo creativo (Carlo Presotto - Titino Carrara - Mauro Zocchetta)

A cura di Carlo Presotto

Esercizi su!a tavola di Mendeleev

Il titolo di questo studio evoca uno spettacolo del 1984 di Fiat Teatro Settimo, un gruppo tea-trale che ha segnato in modo estremamente significativo una ricerca sulla drammaturgia negli ultimi venti anni del 900.Si trattava di uno spettacolo visivo, come un grande set cinematografico all'aperto, senza sto-ria, senza personaggi, più che attori si trattava di danzatori, figuranti.L'anno dopo sarebbe venuto "Elementi di struttura del sentimento" uno spettacolo che avrebbe contribuito a riaprire la questione della parola, del raccontare, delle lingue sulla scena.

La tavola de!a storiaProprio in quegli anni, a Vicenza, il mio incontro con Titino Carrara e Mauro Zocchetta porta-va alla nascita di un gruppo di creazione artistica che avrebbe prodotto una fortunata serie di spettacoli, tutti caratterizzati da una particolare ricerca drammaturgica, formale e visiva.Fin da subito mi sono posto il problema di coordinare un lavoro di progettazione artistica che fosse in grado di intrecciare all'interno di un linguaggio comune l'esperienza di un grande ere-de del mestiere teatrale e dell'arte dell'attore come Titino Carrara, di uno sconcertante e ta-gliente scenografo come Mauro Zocchetta, e del mio punto di vista di drammaturgo atte

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nto alle tecniche della narrazione orale.E' nato così, per approssimazioni successive, un metodo di lavoro che chiamo spesso la Tavo-la della Storia, un sistema di indagine che da un soggetto si spinge nel dettaglio ad esplorare e delineare l'universo fantastico di una narrazione.Come ognuno degli infiniti metodi di creazione, delle infinite poetiche, il suo utilizzo e la sua coerenza valgono solo in quanto permette di afferrare qualcosa che va oltre. E' come un pro-lungamento del corpo e del pensiero, come il bastone che serve a raggiungere il ramo su cui sta il frutto che si tenta di cogliere.Avendo accompagnato il mio percorso di creazione artistica per molti anni, ho avuto occasio-ne di riferire ad esso studi ed approfondimenti incontrati lungo il percorso, dalla tecnica di improvvisazione della commedia dell'arte alle scuole di sceneggiatura e di Storyboarding sta-tunitensi, dalla Poetica di Aristotele agli studi sull'intelligenza emotiva.Senza pretendere di districarne i crediti provo a raccontarne il funzionamento, per condividire gli strumenti di un mestiere fattosi via via sempre più sicuro con tutti quelli che avranno vo-glia di elaborarlo, riutilizzarlo, smontarlo e tradirlo, per continuare la tradizione di un'arte se-greta come è quella del teatro.

La tavola di MendeleevMi piace ricordare Mendeleev perchè la sua teoria mi aveva affascinato in modo incredibile a scuola, grazie anche forse alla simpatia ed alla bravura della insegnante che ce la raccontava.

Dmitrij Ivanovič Mendeleev (7 febbraio 1834 - 20 gennaio 1907), chimico russo. Nato in Si-beria da una famiglia numerosa (forse quattordici figli), Dmitrij Mendeleev (1834-1907) è stato il chimico che ha aperto la strada ai nuovi modelli atomici.Nel 1869 Mendeleev iniziò a scrivere il suo libro, Principi di chimica. Il suo progetto preve-deva la sistematizzazione di tutte le informazioni dei 63 elementi chimici allora noti. Lo scienziato russo preparò 63 carte, una per ciascun elemento, sulle quali dettagliò le caratteri-stiche di ciascun elemento. Ordinando le carte, secondo il peso atomico crescente, si accorse che le proprietà chimiche degli elementi si ripetevano periodicamente. Sistemò i 63 elementi conosciuti nella sua tavola e lasciò tre spazi vuoti per gli elementi ancora s

conosciuti.Il grande scienziato russo non solo previde l'esistenza di altri elementi, ma ne descrisse pure le proprietà. L'importanza della tavola periodica e delle previsioni di Mendeleev furono rico-nosciute pochi anni dopo, in seguito alla scoperta degli elementi scandio, gallio e germanio, che andarono ad occupare alcuni posti lasciati vuoti nella tavola e possedevano le proprietà fisiche prevista dalla loro posizione in essa.

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Cosa può avere a che fare con il teatro uno scienziato la cui intuizione, nella sua complessità di significati e nella sua razionalità, individua l'essenza stessa della chimica moderna? per comprenderlo dobbiamo saltare qualche steccato, recuperando un paio di nomi da quel fervido ambiente di sperimentazioni artistiche e pedagogiche che furono gli anni '70 del 900, ed in particolare Gianni Rodari, che scriveva una "grammatica della fantasia" e Bruno Muna-ri, che sempre alla fantasia dedicava un celebre saggio nel 1977.

Bruno Munari e la Fantasia Per Munari Il prodotto della fantasia, come quello della creatività e della invenzione, nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce . E' evidente che non può far relazioni tra ciò che non conosce, e nemmeno tra ciò che conosce e ciò che non conosce.

Da Fantasia di Bruno Munari

“ Non si possono stabilire relazioni tra una lastra di vetro e il pfzws.Si può invece stabilire relazioni tra una lastra di vetro e un foglio di gomma, per esempio. Sempre ammesso che l'individuo conosca sia il vetro che la gomma. Che cosa può nascere nel pensiero da una simile relazione? si può pensare ad un vetro elastico o a una gomma traspa-rente. Questo è un pensiero fantastico, proprio perché non mi pare che ci sia oggi un vetro elastico come la gomma. L'immaginazione si mette in moto di conseguenza e mi pare di vederlo questo vetro elastico... che cosa succede se lo tiro? niente? sarà come uno strato d'acqua limpida? L'immaginazione comincia ad immaginarlo, a vederlo. La creatività può pensare a qualche uso proprio giusto per lui. L'invenzione può pensare alla formula chimica per produrlo.La fantasia quindi sarà più o meno fervida se l'individuo avrà più o meno poss

ibilità di fare relazioni. Un individuo di cultura molto limitata non può avere una grande fan-tasia, dovrà sempre usare i mezzi che ha, quello che conosce, e se conosce poche cose tuttal-più potrà immaginare una pecora coperta di foglie invece che di pelo. è già molto, sotto l'aspetto della suggestione. Ma, invece che continuare a fare altre relazioni con altre cose, si dovrà ad un certo punto, fermare.Per cercare di capire come funziona la fantasia, o la creatività o l'invenzione, dovremo vedere se è possibile individuare le operazioni che vengono fatte nella memoria mettendo in relazio-ne i dati noti.

• Pare che il più elementare atto di fantasia sia quello di rovesciare una situazione, pensa-re al contrario, all'opposto, come si dice: il mondo alla rovescia.

• Come secondo caso possiamo pensare alla ripetizione, senza mutazioni, di qualcosa. Tanti invece di uno. Tutti uguali o con variazioni.

• Ci sono poi relazioni tra affinità visive o funzionali: gamba del tavolo = gamba di ani-male.

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• Poi c'è tutto un gruppo di relazioni che potremo mettere assieme sotto la definizione di cambio o sostituzione di qualcosa: cambio di colore, di peso, di materia, di luogo, di funzione, di dimensione, di movimento...

• C'è poi il mettere in relazione più cose diverse, farne una cosa unica, rappresentabile nelle arti visive, nel disegno, nella pittura, nella scultura, nel cinema... come i mo-stri ecc.

• Alla fine c'è la relazione fra le relazioni: una cosa che è il contrario di un'altra ma è in un posto non suo cambiando di materia e di colore..."

(Munari B., Fantasia, 1977, Bari Laterza)

Un sasso ne!o stagnoLa creatività è memoria dilatata e ricomposta, scriveva G.B. Vico. Ma è Gianni Rodari che da poeta rappresenta con una metafora questa complessa intuizione, della quale ancora di recente si continuano a scoprire nuovi aspetti (vedi Damasio A., L'errore di Cartesio, 1995, Milano Adelphi).

Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la bar-chetta di carta e il galleggiante del pescatore.

Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro.

Al

tri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso preci-pita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenti-cati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia.

Innumerevoli eventi, o microeventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse nemmeno ad aver tempo e voglia si potrebbero registrare tutti senza omissioni.

“ Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suo-ni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni in un movimento che interessa l'esperien-za e la memoria, la fantasia e l'inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respin-gere, collegare e censurare, costruire e distruggere.”

(Rodari G., Grammatica della Fantasia, 1973, Torino, Einaudi)

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Una geografia de!’immaginario

Ricordo che la prima volta che decisi di scrivere un testo teatrale preparai un bel quaderno, presi la penna, mi sedetti al tavolo e con molta buona volontà, fiducia e ignoranza cominciai a scrivere i dialoghi dalla prima scena.In qualche modo pensavo al processo di scrittura dal punto di vista dello spettatore, come un processo lineare che dalla prima scena si svolgeva con continuità fino all'ultima.

Mi ci volle un po' per capire che scrivere i dialoghi è uno degli ultimi compiti del drammatur-go, come mettere gli infissi e dare le tinte ad una casa. Prima bisogna scegliere il luogo adatto, scavare le fondamenta, erigere i muri maestri, coronarli con un solido tetto, poi dividere le stanze interne, realizzare gli impianti invisibili che collegano le varie stanze ed i vari piani portando acqua e luce dappertutto, coprire tutto con un intonaco e dei pavimenti resistenti.

Per coordinare il lavoro di tutte le persone che realizzeranno i vari compiti necessari c'è biso-gno del progetto di un architetto, di una idea che prende forma sulla carta per indicare la dire-zione del lavoro.Tanto più è preciso il progetto, tanto più si sarà in grado di modificarlo durante l'opera per adattarsi al mutare delle condizioni o per accogliere soluzioni inaspettate che si presentano sul campo e che il progettista non aveva

previsto.Ecco che all'immagine dell'architetto possiamo affiancare quella del navigatore antico, che si avvale di mappe realizzate dai navigatori che lo hanno preceduto, ma che continua ad aggior-narle e arricchirle con informazioni reali o fantastiche che raccoglie durante il viaggio.Il primo lavoro di un drammaturgo è quello di farsi una idea della geografia dei luoghi in cui vuole avventurarsi.Presupponiamo l'idea che il drammaturgo stia scrivendo per uno spettatore e non per stesso (cosa non sempre vera se Paul Valery affermava che la poesia è una attività puramente solipsi-stica che gli abili praticano per amore dell'arte, lasciando gli sciocchi alla loro illusione di comunicare con qualcuno).

Si tratta di crearsi una rappresentazione del soggetto di cui vuole narrare: la trama, i perso-naggi, le loro azioni e reazioni, l'ambiente in cui si svolgono i fatti.Una rappresentazione caratterizzata da tre qualità principali:

• la coerenza, • l'essere dotata di relazioni temporali e causali, (le relazioni di tipo causale sono le più

forti nell'assegnare coerenza e per questo motivo rendono il ricordo più stabile)• l'essere caratterizzata da una organizzazione gerarchica che assegna maggiore impor-

tanza ai contenuti principali.

Una rappresentazione che sia condivisibile con uno spettatore attraverso l'opera, nel nostro caso performativa.

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La memoria de!o spettatore e il mondo de!a storia

Nell'atto di ascoltare, (o leggere o vedere) una narrazione lo spettatore si muove mettendo i piedi nelle orme lasciate dall'autore, ripercorrendo a ritroso la strada che dal soggetto ha por-tato all'opera, costruendosi una rappresentazione semantica del mondo della narrazione.

Nella capacità dello spettatore di costruire questa rappresentazione gioca un ruolo determi-nante il bagaglio di conoscenze del mondo costruite attraverso tutte le esperienze precedenti, sia di tipo reale che simbolico (come altre narrazioni, letture, sequenze visive, film, musiche).

Conoscenze che si organizzano attraverso una serie complessa di meccanismi, sui quali è an-cora in corso lo studio.

Tra questi è interessante la teoria degli script: si tratta di attività che vengono compiute in modo routinario, e anche se nella narrazione non tutti gli elementi dello script sono esplicitati, lo spettatore sarà in grado di ricostruire l'intera sequenza grazie alla sua conoscenza della si-tuazione.

La definizione "Il Re parte per la guerra" può non avere bisogno di illustrare tutti i passaggi: situazione di tensione, scambio di ambasciatori, consulto tra il re ed i suoi ministri, prepara-zione dell'esercito, arruolamento e raccolta dei soldati, raccolta dei viveri e degli equipaggia-menti necessari, addestramento delle truppe, nomina dei comandanti, incidenti che provocano l'escalation, eventuali tentativi di fermarla, invio di esploratori in zona nemica, raccolta delle informazioni necessarie alla scelta del percorso, annuncio alle truppe dell'imminente partenza, ultima notte di festa o di preoccupazione, vestizione del Re, discorso ai soldati, partenza men-tre le ultime stelle stanno impallidendo, pianti dei famigliari che salutano i loro cari, canti dei soldati, rumore delle armi, nitriti dei cavalli, etc etc..Può esserci una situazione, come nel caso dell'Enrico V di Shakespeare, in cui proprio questo è l'argomento, la geografia del racconto.Ma nel caso dell'Uccellin Belverde, per il punto di vista scelto dalla narrazione, è sufficiente una frase.

E nella Commedia dell'Arte la sola entrata di Pantalone evocava negli spettatori una serie di informazioni ed emozioni legate al personaggio, senza bisogno di ulteriori presentazioni.

Una sola frase che getta nella memoria dello spettatore un sasso, come nello stagno di cui rac-conta Rodari, e che a seconda delle sue conoscenze mette in moto una maggior o minore mole di significati.Una narrazione che cita troppi script senza svilupparne nessuno corre il rischio di rimanere in superficie.Una narrazione che sviluppi tutti gli script (come in certa cinematografia o letteratura mini-malista) deve creare un meccanismo forte di coinvolgimento del pubblico, un motivo estetico o etico per cui lo spettatore sta al gioco, pena l'abbandono.

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Ma attenzione: ciò che per una cultura può essere una successione abitudinaria di gesti per uno spettatore straniero può rivestire un enorme interesse, come ci ricorda Roland Barthes nelle sue memorabili pagine dedicate al gioco giapponese del Pachinko ne L'impero dei segni.

A fianco della teoria degli script c'è quella della grammatica delle storie, secondo cui esiste una struttura primaria che individua una narrazione attraverso una successione di categorie. Le storie che no

n rispettano questa struttura, cioè che presentano le categorie con un ordine diverso, tendono a venir ricordate meno bene e spesso vengono riorganizzate dal lettore in modo da rispondere ad essa.Questa struttura prevede:

• ambientazione, • evento iniziale• risposta interna (del protagonista)• tentativi• conseguenze• reazione finale del protagonista

Diverse osservazioni indicano come vengano compresi meglio i contenuti riguardo ai quali il lettore o lo spettatore dispongono di conoscenze di base, della possibilità di accedere a scripts, o comunque di una coerenza per quanto riguarda lo schema della storia.

Ed allora ecco una scommessa per l'autore: individuare un territorio di esperienze "in comu-ne" con il proprio spettatore. Ma non basta: per non diventare "noiosi" si tratta di alternare panorami familiari a territori inesplorati con il giusto dosaggio, in modo da mantenere attivo l'interesse ed il piacere dello spettatore, ma nello stesso tempo aprendo finestre attraverso le quali si scoprono nuovi paesaggi da esplorare.

Questa operazione selettiva, che condensa alcune routine di azioni e ne dilata altre, è ciò che dona vividezza all'azione sul palcoscenico, come sostiene il regista inglese Peter Brook.

Si va a teatro per trovare la vita, ma se non c'è differenza fra la vita fuori dal teatro e quella al suo interno, allora il teatro non ha senso. Non c'è nessuna ragione di farlo. Ma se accettiamo il fatto che la vita nel teatro è più visibile, più vivida che all'esterno, allora riusciamo a capire come sia contemporaneamente la stessa cosa e qualcosa di diverso.

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Le domande giuste

Quante volte ci siamo ripetuti che per realizzare uno spettacolo che comunichi veramente con gli spettatori il problema è quello di individuare con chiarezza le domande giuste.Perché il lavoro di cui stiamo parlando, la condivisione di un territorio immaginario tra artista e spettatore, prenda corpo in una relazione che trasforma entrambi, è necessario che queste domande nascano da una urgenza creativa dell’artista e incontrino una necessità dello spetta-tore. Questo richiede un forte lavoro in due direzioni:

- Da una parte bisogna affinare la qualità dell’ascolto di tutti quei brividi che corrono sotto la pelle di una comunità. Bisogna muoversi lungo le linee di faglia, come le chiamerebbero i geologi, tutti quei territori in cui le tensioni del vivere sociale producono energia. Lì dove scorrono i desideri e le paure, dove nascono le voci e le leggende contemporanee, dove le persone, “che prendono il tram” come direbbe Zavattini, possono riconoscere i temi che le interrogano quotidianamente anche se a volta in modo inconsapevole.

- Dall’altra bisogna avere il coraggio e la tenacia di porre a se stessi, personalmente e come gruppo di lavoro, quelle stesse domande. Quanto più si riesce ad andare in fondo, a non

sottrarsi a questo coinvolgimento, quanto più le risposte, o la loro assenza, provengono da una elaborazione che coinvolge il pensiero, l’emozione ed il corpo dell’artista, tanto più la forma

che assumerà l’opera sarà in grado di trasformare i suoi spettatori.

Riempire gli spazi vuoti lasciati dal racconto

E' praticamente impossibile che lo spettatore giunga ad una rappresentazione semantica iden-tica a quella dell'autore, dato che l'informazione necessaria non viene tutta esplicitata, e il let-tore deve compiere dei processi inferenziali per colmare le lacune.

Diversi studiosi si sono occupati dei meccanismi attraverso i quali avviene il riempimento di questi spazi vuoti lasciati dal racconto. (Levorato 2000). Tra essi possiamo segnalare

• Le inferenze causali, ovvero i rapporti di causa ed effetto tra azioni interne al racconto, alcune esplicite, (Serenella non ascolta i richiami di Uccellin Belverde e non si vol-ta, quindi supera la prova e riesce a farlo suo schiavo), altre più nascoste (I confini dell'isola ormai vanno stretti a due ragazzi quindi quando trovano notizia dell'acqua che balla, dell'albero che suona e dell'uccel belverde non posso che desiderare di ottenerli con tutte le loro forze)

• Le inferenze emotive, che includono nella rappresentazione semantica lo stato affettivo-emotivo dei personaggi e contribuiscono alla comprensione completa del racconto

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(la noia del quotidiano conosciuto che anima i giochi dei ragazzi, l'affetto per la nutrice, l'orgoglio di essere riconosciuti dal padre)

• Le inferenze indotte dallo

"scopo" dello spettatore, il motivo per cui si assiste ad uno spettacolo o del racconto, che possono spaziare dal cercare di interpretare la trama di un giallo, all'inserire una narrazione sulla memoria all'interno del proprio panorama di ricordi, dal collocare una orazione civile in un contesto etico, o gli atteggiamenti di un comico televisivo in una aspettativa di divertimento

L'atto di assistere ad uno spettacolo non si limita a cogliere i significati espliciti, o quasi espli-citi, ma produce senso, e dunque interpretazione, fa intervenire vari sistemi di valori e di cre-denze presenti e contemplati nella cultura in cui la creazione narrativa è stata prodotta e viene recepita.

Il pensiero narrativo

Secondo un approccio psicologico (Levorato 2000) il discorso narrativo è l'espressione di una forma di pensiero che riguarda l'esperienza soggettiva, e che ha lo scopo di condividere espe-rienze rilevanti e attraverso queste indurre nel destinatario stati affettivo-emotivi.

Secondo Paul Ricoeur Il pensiero narrativo si sviluppa a partire dall'esigenza fondamentale di sostenere le proprie azioni nel mondo per mezzo di un principio organizzatore, per dare senso all'esperienza, mettere in relazione il passato con il presente, proiettare il presente sul futuro, percepire gli individui come soggettività dotate di scopi, valori e legami. Esso è dunque go-vernato e sorretto da un interesse fondamentale per la condizione umana.Poichè non esiste una cultura, o anche più semplicemente una relazione tra individui, in cui sia assente la produzione di narrative, si può pensare che la narrativa risulti da una tendenza universale a trasmettere agli altri la propria esperienza della realtà, a comunicare i significati che cogliamo in essa.

Uno degli scopi di un narratore che produce un racconto è quello di ricostruire, spesso in for-ma dialogica, con il proprio interlocutore un evento per scoprire dei significati che a lui stesso sfuggono.

Se qualche volta scrivo è perchè certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro. Nell’atto di scriverle esse penetrano in me per sempre - attraverso la pen-na e la mano - come per osmosi. Il modo che ha un poeta di ricavare dal suo lavoro passato nuove illuminazioni per la sua coscienza, somiglia a quello con cui Munchhausen raggiunge-va la luna: tagliando la corda sotto di sé per allungarla di sopra.(Cristina Campo “Gli Imperdonabili”)

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Straniamento

Per fare questo c’è bisogno di prendere distanza, di assumere una posizione di straniamento (ostranenje): una tesi sostenuta dal formalista russo Victor Schlowsky nel 1917.L'idea è che gli atti abituali tendano a diventare automatici, e che tutte le abitudini procedano dalla sfera dell'inconscio e dell'automatismo.Analizzare i processi di apprendimento, o anche solo la sensazione di quando abbiamo per la prima volta preso in mano una penna, confrontandola con quella provata al

la millesima ripetizione dello stesso atto, rendono evidente questo meccanismo di presa di possesso della realtà.Ma per resuscitare la nostra percezione della vita, per rendere sensibili le cose, "per fare della pietra una pietra", esiste ciò che chiamiamo arte. Il fine dell'arte e dare una sensazione del suo oggetto, una sensazione che deve essere visione e non solo riconoscimento.

Il regista e drammaturgo Bertolt Brecht nota come lo sforzo di creare un distacco fra il pub-blico e gli avvenimenti rappresentati si riscontri già in uno stadio primitivo, nelle recite teatra-li e pittoriche delle vecchie fiere popolari. Il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere usato nei baracconi da fiera esercitano una azione di straniamento.

Dopo l'incontro con l'attore cinese Mei Lanfang, Brecht individua nella tecnica teatrale orien-tale una serie di caratteristiche che ispireranno il suo lavoro di drammaturgo:- l'assenza della cosiddetta quarta parete cara al teatro naturalista, anzi la sottolineatura della consapevolezza dell'attore di essere visto- la scelta consapevole delle posizioni del corpo più efficaci per la visibilità del pubblico, allo stesso modo degli acrobati- il dialogo muto con lo spettatore, cui l'attore ogni tanto si rivolge direttamente come per di-re: non è così?- Il dialogo con se stesso, con le proprie parti del corpo, di cui mostra di essere cosciente in termini non causali.Grazie a quest’arte, le cose della vita quotidiana si elevano al di sopra del piano dell’ovvietà. L'artista cinese non si trova in stato di trance. Ad ogni momento può essere interrotto, ma non per questo perderà il filo: dopo l’interruzione riprenderà a recitare dal punto dove si è interrot-to.

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Ho dipinto quadri sbagliati. Così non va più. Bisogna dipingere in tutt’altro modo. Ho soltan-to rappresentato tutto con esattezza matematica - le forme della terra, la vegetazione, le figure umane, esattamente dal vero, per renderle riconoscibili. Noi non vediamo il mondo come un botanico che contemporaneamente è architetto, medico, geologo e capitano. La conoscenza non è come la vista, non vanno neppure troppo d’accordo, e spesso non è un buon metodo per stabilire quello che c’è. Un pittore non deve conoscere, ma vedere - Che cosa dipinge allora un pittore? Conosce senz’altro molte cose. L’ignoto, o per lo meno l’ignoto all’interno di ciò che è familiare.(S. Nadolny, La scoperta della lentezza, )

Paradosso sul drammaturgoChi immagina una storia diventa autore quando opera su di essa un processo di trasformazio-ne simbolica, ovvero la traduce in racconto per mezzo di strumenti simbolici.Il nostro percorso è partito da Mendeleev, uno scienziato che dopo aver individuato una serie di regole che determinavano la collocazione reciproca degli elementi ha avuto il coraggio di lasciare delle caselle vuote, sapendo che lì "avrebbe dovuto esserci" qualcosa.Abbiamo incontrato l'idea di fantasia di Bruno Munari, l'idea che gli elementi che raccoglia-mo nella nostra memoria possono essere ricomposti tra di loro secondo meccanismi semplici creando nuove forme e nuove idee.Abbiamo nuotato con Gianni Rodari nello stagno della memoria osservando i cerchi disegnati dal lancio di un sasso parola nella mente del lettore spettatore.Ci siamo interrogati sulla forma di questo stagno e sulle modalità con cui si propagano queste onde, seguendo le tracce dell'indagine psicologica.Abbiamo verificato come l'immaginazione si alimenta degli spazi vuoti lasciati dal racconto, andando a pescare nella memoria tutto il materiale per riempirli.Abbiamo visto come sia necessario perchè ciò succeda che la narrazione assuma una certa distanza dalla realtà e siamo tornati al teatro spiando un drammaturgo tedesco la cui immagi-nazione si scatena assistendo allo spettacolo

di un attore cinese specializzato in ruoli femminili.

Ora siamo pronti a definire un possibile metodo di lavoro, a raccontare la tecnica della Tavola della storia, uno strumento per affrontare il passaggio dalla storia al racconto scenico che ci permette di postulare l'esistenza di azioni anche dove non le abbiamo ancora inventate, di rac-cogliere elementi della memoria dei nostri cinque sensi e delle nostre emozioni e metterli in risonanza con il racconto, di scegliere quanti spazi vuoti lasciare nel narrare, nel prendere e determinare la distanza dalla realtà.Come una rete la Tavola della storia dovrà avere maglie strette e nodi ben saldi.

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"...un pescatore prepara una rete. Mentre lavora attenzione e significato sono presenti in ogni scatto del dito. Tira il filo,lega i nodi, circondando il vuoto di forme le cui esatte fogge corrispondono a delle funzioni precise. Poi la rete è gettata in acqua, trascinata avanti e indietro, con la corrente, controcor-rente, secondo schemi numerosi e complessi. Viene catturato un pesce, un pesce non commestibile oppure un pesce buono da cucinare forse un pesce dal mille colori, o un pesce raro, o un pesce velenoso o, nei momenti di grazia, un pesce d'oro.Esiste tuttavia una sottile distinzione fra il teatro e la pesca, che va sottolineata. Nel caso della rete ben fatta, dipende dalla fortuna del pescatore se viene catturato un pesce buono o meno. In teatro, quelli che legano i nodi sono anche responsabili della qualità del momento che rimane prigioniero nella loro rete. E' incredibile - il "pescatore" che con l'azione di legare i nodi influisce sulla qualità del pesce che finirà nella rete!"

(Brook P., La porta aperta, 1994, Milano, Anabasi)

Il telaio

Apriamo lo scrigno della poetica di un gruppo di lavoro. Indaghiamo le modalità con cui lego il mio lavoro a quello di Titino Carrara e Mauro Zocchetta nella creazione di una serie di spet-tacoli dal 1986 (la Tempesta di Shakespeare). Descriviamo le costanti di questo metodo di l

avoro, che nel tempo ha subito (e subirà in futuro) numerose trasformazioni adattandosi al mutare dei contesti all'interno dei quali si trova applicato.

- La tavola della storia è una raffigurazione grafica che colloca la narrazione all'interno di una griglia individuata da una serie di scene collocate su tre linee.- ad ogni scena corrisponde una "unità scenica" con un inizio ad una fine.- durante ogni scena si prepara, per continuità o stacco, la successiva

- la prima linea contiene le informazioni di base per entrare nella storia (ambientazione, evento iniziale)- la seconda linea contiene l'intreccio di questi elementi (tentativi, conseguenze)- la terza linea scioglie questo intreccio

- la prima e l'ultima scena richiedono un surplus di energia, per gestire la cerniera tra mondo della storia e mondo realeQuesto surplus può essere affidato

• a una formula rituale (C'era una volta... - Buio/sipario)• ad una azione "sopra le righe" (litigio, fuga, naufragio scontro)• ad uno scarto comico verbale o fisico

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• ad un momento di "stupore", una emozione forte.

- di particolare importanza sono gli snodi tra le linee. • Al termine della prima linea c'è un evento che provoca una reazione, una discontinuità,

l'intervento su di uno stato di cose esistente• al termine della seconda linea il culmine di un conflitto, la lotta con l'antagonista, ciò

che avvia lo scioglimento della trama.- la quantità delle unità di azione per ogni linea è variabile- il numero di unità è determinato in partenza, secondo la complessità che si vuole dare alla narrazione, ad esempio:

• 12 unità (3 linee di 4 unità) rappresentano lo schema più semplice utilizzato in gran par-te degli allestimenti di teatro ragazzi

• 16 unità (prima linea 5 unità, seconda 8, terza 3) per uno schema proporzionale più complesso, caratterizzato da una accelerazione finale

Come annodare i fili

Solitamente parto proponendo ad un gruppo di lavoro composto da futuri spettatori un gioco:

0. discuto con il gruppo su quali tematiche sentiamo la necessità di confrontarci con il no-stro pubblico.

0.1. cerco una storia attinente alla situazione del gruppo (quanti siamo? di che età? da quanto tempo condividiamo un percorso? che rete di relazioni ci lega? in che direzione siamo incamminati? etc.

) 0.2. che mi permetta di affrontare le necessità individuate.non mi riferisco solo a testi teatrali, ma includo la narrativa, il cinema, le memorie orali 1. racconto il soggetto di partenza in forma di storia. nel narrare il testo si “di-spiega”2. chiedo di restituirmi tre momenti: quello più simpatico, quello più antipatico e quello

più importante. A seconda del tipo di gruppo posso utilizzare una conversazione, la scrittura di testi, la realizzazione di immagini; o fare interagire tra di loro le varie attività.

3. chiedo di indicare quale personaggio vorrebbero essere e perchè4. parto da queste valutazioni soggettive per elencare delle domande che mi pone la storia.

Le metto da parte per richiamarle ogni volta che ce n’è bisogno.5. Trascrivo sulla lavagna i vari momenti collocandoli con l'aiuto degli ascoltatori in una

sequenza temporale.

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6. riunisco tra di loro i vari momenti proposti, colmo le lacune, in modo da identificare un numero di unità di azione pertinente al tipo di comunicazione scelta, sempre attra-verso la condivisione del lavoro di gruppo.

7. trascrivo le varie unità di azione su altrettante Carte della Storia che contengono:7.1. titolo 7.2. descrizione dell'azione attraverso una serie di frasi soggetto/verbo/oggetto7.3. il colore che ci evoca7.4. l'animale che ci ricorda7.5. il fenomeno naturale che ci fa immaginare7.6. una forma geometrica semplice aperta o chiusa

8. discuto con il gruppo una scelta condivisa dei momenti simpatico/anti

patico/importante del racconto e riporto l'indicazione sulle carte della storia9. sperimento varie possibilità di combinare le unità di azione fino a definire:

9.1. da dove inizia il racconto e dove finisce9.2. le scene che appartengono alla prima linea (informazioni necessarie)9.3. le scene che appartengono alla seconda linea (intreccio, tentativi, prove)9.4. le scene che appartengono alla terza linea (prova e scioglimento)

A questo punto posso abbinare ad ogni scena:- Uno spazio di lavoro- degli oggetti da utilizzare- una musica di riferimento- una luce dominanteSviluppando un progetto di messa in scena che serve da terreno comune di confronto tra i di-versi ruoli creativi che condividono il percorso: - scrittore dei dialoghi- architetto dello spazio- progettista dei suoni- progettista delle immagini- progettista delle luci- regista delle azioni degli attori

Se le mutazioni della struttura di base devono essere condivise tra tutti gli artisti coinvolti, ognuno ha grande libertà creativa nello sviluppare il proprio percorso con una buona sicurez-za che le interazioni siano in grado, via via che si sviluppano, di moltiplicare emozioni e si-gnificati.

Di qui in poi, è un’altra storia.

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LA PICCIONAIA I CARRARA

TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE

2005