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Ma che aspettate a batterci le mani 1977 LP ORL8076 durata: 36’05” Lato A: 1. La luna è una lampadina (F. Carpi – D. Fo) 3’47” Ed. Radio Record/SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 2. Ma che aspettate a batterci le mani** (F. Carpi – D. Fo) 2’50” D.R. 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 3. Caino e Abele (monologo) (Dario Fo) 4’43” SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 4. La prima volta (fammi ancora un livido sul femore) (F. Carpi – D. Fo) 2’25” Ed. C.A.M. SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 5. Il mio amico Aldo* (Mogol) 2’19” SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. Lato B: 1. Il foruncolo (F. Carpi – D. Fo – L. Chiosso) 3’12” Ed. Radio Record/SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 2. Pianto dei piantatori di piante (G. Ciccherello – D. Fo) 3’07” SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. 3. Sansone e Dalila (monologo) (D. Fo – F. Carpi) 5’50” SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 4. La brutta città (F. Carpi – D. Fo – L. Chiosso) 2’36” Ed. Radio Record 1962 Dischi Ricordi s.p.a. / 5. Tre storie di gatti* (Mogol) 3’36 SIAE 1962 Dischi Ricordi s.p.a. *Dario Fo e Giorgio Gaber **Dario Fo e Franca Rame 1-2-4 Orchestra diretta da Gigi Ciccherello

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Lato A 1. La luna è una lampadina (F. Carpi – D. Fo) La luna è una lampadina... attaccata sul plafone e le stelle sembrano limoni tirati nell'acqua e io son qui, Lina, sul marciapiede che cammino avanti e indietro e mi fanno male i piedi, Lina!

La luna l'è ona lampadina... taccada in sul plafon e i stell paren limon traa giò in dell'acqua, e mi sont chi, Lina, 'nsul marciapeè che cammini avanti e indré e me fann mal i pee, Lina!

Terzo piano, quarta ringhiera, la luce ancora accesa lo so che sei su, Lina, ma non guardi giù, non mi vedi, non vedi che son qui sul marciapiede che cammino avanti e indietro e mi fanno male i piedi, Lina, oh Lina!

Terz pian, quarta ringhera, la lus l'è anmò pissada e mi sont chi, Lina, 'nsul marciapee che cammini avanti e indrè e me fann mal i pee, Lina, oh Lina!

Lo sanno tutti che sei su con Nino il barbiere perché ha un mucchio di soldi e io son qui che cammino avanti e indietro e mi fanno male i piedi, Lina!

El sann tucc che te set su con Nin el barbee perchè el g'ha un mucc de danee e mi sont chi che cammini avanti e indrè e me fann mal i pee, Lina!

Il 31 inteso come tram è già passato di 28 non c'è n'è più mi tocca andare a casa a piedi, Lina e mi fanno male i piedi. Lina, oh Lina!

El trentun l'è già passa, de vintott g'he n'è pu, me tocca andaa a caa a pee. Lina, e me fann mal i pee, e mi son chi ecc.

Una volta ho visto un gatto, che piangeva come un matto sotto al tuo portone, forse aveva perso il padrone.

Anca mi son come on gatt, son de sotta al to porton che caragni come, on matt e giughetti cui botton, Lina... e mi son chi che cammini avanti e indrè...

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2. Ma che aspettate a batterci le mani (F. Carpi – D. Fo) Ma che aspettate a batterci le mani a metter le bandiere sul balcone? Sono arrivati i re dei ciarlatani i veri guitti sopra il carrozzone. Venite tutti in piazza fra due ore vi riempirete gli occhi di parole la gola di sospiri per amore e il cuor farà tremila capriole. Napoleone primo andava matto per 'sto dramma ed ogni sera con la sua mamma ci veniva ad ascoltar. Napoleon di Francia piange ancora e si dispera da quel dì che verso sera ce ne andammo senza recitar. E pure voi ragazze piangerete se il dramma non vedrete fino in fine dove se state attente imparerete a far l'amore come le regine e non temete se stanotte è scuro abbiamo trenta lune di cartone con dentro le lanterne col carburo da far sembrare la luna un solleone. Ma che aspettate a batterci le mani a metter le bandiere sul balcone sono arrivati i re dei ciarlatani i veri guitti sopra il carrozzone. Vedrete una regina scellerata innamorata cotta del figlioccio far fuori tre mariti e una cognata e dar la colpa al fato del fattaccio. Napoleon francese per vederci da vicino venne apposta sul Ticino contro i crucchi a guerreggiar. Napoleone primo che in prigione stava all'Elba vi scappò un mattino all'alba per venire a batterci le mani. Ma che aspettate a batterci le mani a metter le bandiere sul balcone...

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3. Caino e Abele (F. Carpi – D. Fo) Io vorrei raccontarvi una storia, ma è una storia un po’ difficile, è la storia di Caino e Abele. Ad ogni modo, io comincio subito: “Oh Signore, come sei bravo te che hai fatto venire fuori il sole alla mattina, invece che potevi farlo venire fuori anche al pomeriggio. Oh Signore, come sei stato bravo te che hai fatto venir fuori gli uccelli che volano nel cielo azzurro e invece i pesci nell’acqua, e non ti sei neanche sbagliato. Oh Signore, come sei bravo te”. Tutte le mattine, appena si svegliava, l’Abele veniva di corsa alla finestra e diceva così le preghiere del buon mattino, e tutta la gente che era venuta apposta da tutte le parti del paese ed erano sotto la sua finestra, appena lui aveva terminato, si mettevano a gridare: “Bravo! Bravo!”, e gli facevano un mucchio di applausi, e qualcuno diceva: “Come è bravo l’Abele, che inventiva che ha”. Suo fratello Caino, che era a letto e che sentiva gli applausi che facevano a suo fratello Abele, saltava giù dal letto coi suoi occhietti piccoli e i piedi piatti, veniva subito alla finestra e diceva: “Anch’io! Anch’io! La preghiera del buon mattino!”, e cominciava: “Oh Signore! Oh Signore d’amore acceso, mio caro… mio caro… non mi ricordo più…”. “O ma che stupido quello”, dicevano subito le persone giù, dal basso: “Ma come fa un fratello così intelligente, con gli occhi azzurri e i riccioli d’oro come l’Abele, avere un fratello così brutto, coi piedi piatti e gli occhi piccoli come il Caino?”. Lui sentiva e gli veniva da piangere, povero nano. “Non te la prendere”, diceva subito l’Abele, “Andiamo giù, nella pubblica piazza, dove c’è la gente gentile che appena ci vede ci dice parole gentili ancora di più”, “Andiamo, andiamo nella pubblica piazza”, diceva subito il Caino. Scendeva e, infatti, appena la gente vedeva i due fratelli, subito dicevano: “Come è bello l’Abele coi riccioli d’oro e gli occhi azzurri. Oh, ma come è brutto quello! Ma come fa un fratello con gli occhi azzurri e i riccioli d’oro come l’Abele, avere un fratello così brutto con gli occhi piccoli e piedi piatti come il Caino?”. Lui sentiva, e gli veniva da piangere, povero nano. “Non te la prendere”, diceva subito il fratello Abele, “Senti, andiamo in quel posto dove c’è quel bel pozzo, dove ci sono tanti colombi, noi poi facciamo la voce nel pozzo e viene fuori l’eco gentile. “Andiamo, andiamo, andiamo dover c’è l’eco gentile”, diceva subito il Caino. E andavano là dove c’era il pozzo, l’Abele si affacciava nel pozzo e faceva: “Uhuh!”, e l’co rispondeva “Uhuhuh!”, e tutti i colombi volavano nel cielo pieni di gioia. Come era bravo l’Abele. “Anch’io, anch’io, la voce nel pozzo”, diceva subito il Caino. Si metteva sul pozzo e faceva: “UHUHUH!”, e l’eco rispondeva: “UHUHUH!”, e tutti i colombi, spaventati, scappavano via, e al Caino veniva da piangere, povero nano. “Ma prenderla così”, diceva ancora il fratello Abele, “Andiamo laggiù nel prato, dove ci sono tanti fiori di tanti colori e dal profumo magnifico”, “Andiamo, andiamo, dove ci sono tanti fiori dal profumo magnifico”, diceva subito il Caino. Andavano nel prato, e davvero c’erano tanti fiori. L’Abele si avvicinava a un fiore dove sopra c’era un’ape, e subito diceva: “Ho ape, oh ape apina, come sei carina tu, e le faceva il solletico con il dito, e l’ape apina, volava sulle labbra dell’Abele e gli dava un bacio. Come era bravo l’Abele. “Anch’io, anch’io l’ape apina. Oh ape, oh ape apina, come sei carina tu”, e la toccava col dito. TAC! Una morsicata proprio sul dito: “Porco qui! Porco là!”, gridava subito il Caino, “A chi: porco qui, porco là?”, ha detto subito il Signore venendo fuori da una nuvola, “Ma non prendertela”, ha detto subito l’Abele: “Egli non sa quel che si dice”, “Cosa, cosa non so quel che mi si dice? Guarda, guarda che ditone che ho conciato!”, e ha presso un pezzo di legno che c’era per terra e TAC! Una bastonata sulla testa dell’Abele, che è caduto per terra, morto, e al Caino è venuto tanto da piangere, poer nano.

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4. La prima volta (fammi ancora un livido sul femore) (F. Carpi – D. Fo) M'è bastato vederla alla balera mentre ballava un tango con lo striscio falcata lunga movenze da pantera ballava il liscio con l’occhio un po’ a sghimbescio orco che scossa quando m'ha guardato dal sotto in su lo sguardo imbesuito è stato come m'avesse mitragliato dal sotto in su il cuore in pieno mi colipì. Fammi ancora un livido sul femore, un violetto livido d’amor che voglio ricordare dei baci tuoi l’ardor di quando al primo valzer tu mi slogasti un piede e mi sfasciasti un rene al renversé. Con un fischio al ballo m’hai invitato tutta tremante addosso s’è incollata poi disinvolta un morso m’ha mollato proprio sul lobo, ma poi s’è presentata mi chiamo Vera Ridolfi d’Annunziata e sono già stata tre volte a San Vittore per via d’un furto con tanto di spiata ma la mia forza quella vera è far l’amor. Fammi ancora un livido sul femore voglio un'altra ecchimosi al peron come quel sabato che al colmo di passion tu mi sbattesti il cranio contro la ringhiera e al cerebro mi venne la commozion!

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5. Il mio amico Aldo (Mogol) C’era una volta un bambino che si chiamava Aldo che aveva due fratelli. Uno, il più piccolo, si chiamava Aldo e l’altro Aldo. Questo bambino che si chiamava Aldo era un bravo bambino e giocava sempre con i suoi fratelli e con un suo amico che abitava al piano di sopra, un certo Aldo. Un giorno la mamma gli disse: «Aldo, adesso che hai compiuto sei anni devi andare a scuola. Questa sera vai a letto presto che domani t’accompagno, verrà con noi anche tuo cugino Aldo, che viene anche lui a scuola». Così la mattina dopo Aldo e suo cugino andarono a scuola. Sulla porta della scuola incontrarono un bambino, accompagnato dal suo papà, che andava anche lui a scuola. «Io mi chiamo Aldo», gli disse Aldo che era anche un po’ chiacchierone. «Anch’io mi chiamo Aldo», disse quel bambino «e anche il mio papà si chiama Aldo». Quando entrarono in classe il maestro domando il nome a tutti i bambini: «Io mi chiamo Aldo, e lei signor maestro?» domando quell’impertinente di Aldo, «Mi chiamo Aldo anch’io» disse il maestro. In quel mentre entrò il direttore che disse: «Come si chiama questo bel bambino?» «Si chiama Aldo come me signor maestro», «Oh bella!», fece il direttore, «Mi chiamo Aldo anch’io». A mezzogiorno la mamma venne a prendere Aldo a scuola e gli disse: «Mi raccomando stai composto a tavola, perchè oggi c’è a colazione lo zio» «Chi?» domando Aldo tutto contento «lo zio Aldo» «No», disse la mamma, «lo zio Giovanni». CANTATO: La storia che avete ascoltato è una storia fatta per scherzo ma uno scherzo che è anche un po’ vero e lo sa il mondo intero. Che tutti si chiamino Aldo qualcosa in fondo vuol dire vuol dire che tutti i bambini, son tutti bravi bambini

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Lato B 1. Il foruncolo (F. Carpi – D. Fo – L. Chiosso) Oggi m'è venuto un foruncolo, un foruncolo proprio sotto il lobo sotto il lobo proprio un foruncolo proprio qui, sì qui, qui, sì. Io, io l'ho scoperto questa mattina mentre facevo la barba con un vecchio rasoio elettrico, elettrico d'un vecchio mio zio, e ho detto: « porco cane... cane porco... orco Giuda..., m'è venuto un foruncolo proprio qui, proprio qui... O forse è addirittura un patereccio questo qui, proprio qui! » La mia ragazza non può soffrire né paterecci né foruncoli, né gli orzaioli, così, così per me oggi è finito ogni amore. Ci diremo addio, addio, per un foruncolo, per un foruncolo, o forse addirittura un patereccio, perché la mia ragazza non può soffrire né paterecci né foruncoli, né gli orzaioli, così, così per me oggi è finito ogni amore. Ci diremo addio, addio, per un foruncolo, per un foruncolo... Addio per un foruncolo... per un foruncolo... per un foruncolo... per un foruncolo... per un foruncolo... 2. Il pianto dei piantatori di piante1 (G. Ciccherello – D. Fo) Il piantatore di piante, blues in slang antico

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!1 una canzone senza parole con suoni gutturali e farfugliamenti comici su giro armonico di un blues, n.d.e.

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3. Sansone e Dalila (D. Fo – F. Carpi) Tutte le mattine, quando i pastori se ne andavano sulla montagna, si mettevano a gridare: “Sansone! Sansone!”, veniva fuori un uomo grande e grosso che gridava: “Segh’è?”. Ecco, quello che aveva detto: “Segh’è?”, Sansone. Il Sansone era un uomo grande e grosso, e tutte le mattine, quando si svegliava, andava davanti a uno specchio fatato, che aveva fatto fabbricare proprio per lui da un mago, e diceva a questo specchio: “Oh specchio, specchio delle mie brame, dimmi: chi è il più forte del reame?”, “Sei tu, sei tu Sansone il più forte del rione!”, rispondeva lo specchio. “Felicità, felicità”, diceva il Sansone: “Come sono contento di essere così grande, forte, robusto, così, quando sarò grande, andrò nell’artiglieria alpina e riuscirò a sollevare tutti i cannoni che voglio!”. Il Sansone, oltre che essere forte, suonava un flauto, un piffero dal ‘pirulì pirulì’ gentile. Si metteva in mezzo a un prato, tutte le pecorelle gli andavano intorno e si mettevano sedute, una dietro l’altra, per sentire il suo ‘pirulì pirulì’ gentile. Perfino le bestie feroci, nel sentire quel ‘pirulì pirulì’ gentile, scendevano perché volevano anche loro ascoltare, però stavano lontano. Solo una volta un leone coraggioso, un leone biondo, è sceso e si è messo in mezzo alle pecorelle. Il Sansone non ci faceva caso, ma un giorno se ne è accorto e subito ha detto al leone: “Cosa fai tu qui in mezzo alla pecorelle? Sai che non voglio vedere i leoni in mezzo alle pecorelle!”. Il leone, spaventato, ha tirato su la zampa, come per dire che lui era lì per caso e che non poteva muoversi perche aveva una spina nel piede. Si sa che tutti i leoni, quando sono spaventati, fanno vedere una spina nel piede, ma quel leone era un bugiardo, e il Sansone se ne era subito accorto: “Fammi vedere la spina nel piede”, e visto che la spina non c’era, il Sansone gli ha dato una sberla. Perché al Sansone gli potevi fare tutto quello che volevi, ma dirgli le bugie, diventava una bestia, e… un’altra sberla in faccia al leone. Il povero leone è rimasto lì, morto, poer nano. Il guaio è che il Sansone non s’era accorto che quello era un leone dei filistei, tanto che aveva una medaglietta intorno al collo con su scritto: indirizzo, paternità e infanzia. Perché i filistei, erano gente cattiva, ma ordinata. A ogni leone loro, gli mettevano al collo questa catenella con la medaglietta. “Hanno ammazzato un leone dei filistei!”, gridavano tutti i filistei”, “A morte il Sansone!”. E da quel giorno, tutte le volte che trovavano un leone in mezzo alla strada, morto, davano la colpa al Sansone. “Quel Sansone”, dicevano, “è un bravo ragazzo, ma per la miseria, non si può mandare in giro un leone che subito te lo ammazza. A morte il Sansone!”, e gli andavano subito tutti addosso. E il Sansone si è visto arrivare addosso un mucchio di filistei armati, e allora, ha preso la mascella di un asino che passava di lì e giù butte sulle teste dei filistei. E ha rotto tante di quelle teste, ma tante di quelle teste in quel giorno, che se lo ricordano ancora oggi, a Bergamo. Il fatto è che i filistei erano molto preoccupati, e sono andati dal re, e il re, a un cero punto, ha detto: “Do 100 mila lire a chi prende, vivo o morto, il Sansone”. Pum! Pum! “Chi è?”, “Sono la Dalila col bacio d’amore”, e infatti entrò la Dalila. “Ma cosa vuoi tu? Chi sei tu, donna così bella coi capelli lunghi?”, “Io sono la Dalila col bacio d’amore, l’ho già detto. Io voglio andare a prendere il Sansone”, “Ma sei matta! Quello è un uomo grande e forte”, gli ha detto subito il re, “Uf, uf. Cosa mi importa, io ho il bacio d’amore”, e ha preso un bacio d’amore che aveva lì e è andata dal Sansone. Pum! Pum! “Chi è?”, “Sono la Dalila col bacio d’amore”, “Avanti! piacere Sansone”, ‘pirulì pirulì. E da quel giorno vissero eternamente felici. Il giorno dopo la Dalila ha detto: “Basta, basta eternamente felici, Facciamo un gioco un po’ più divertente. Dimmi: dov’è che hai tu la forza Sansone?”, “Ah ah!”, ha detto subito il Sansone, “Stai fresca che io ti dica che ho la forza nei miei riccioli neri. Indovinalo tu, se sei capace”. La Dalila, che era un po’ un’indovina, ci ha pensato un po’ e poi ha detto: “Tu la forza ce l’hai nei riccioli neri”. “Ma che brava che sei Dalila. Ma com’è che hai indovinato”, e poi il Sansone s’è addormentato. Dalila ha preso una macchinetta per tagliare i capelli e… zac zac zac, glieli ha rasati tutti a zero. Quando s’è svegliato, il Sansone ha sentito cantare così: “Crapa pelada la fà i turtei, ghe ne dà minga ai sò fradei”, erano un mucchio di bambini tutti intorno che lo stavano scherzando. Lui ha cercato di muoversi, macché, era legato a due colonne. “Sansone, Sansone”, ha detto un pellegrino che passava di lì, “Perché fai tanti tortelli e non ne dai mai ai tuoi fratelli?”. “A morte il Sansone!”, gridavano i filistei, “A morte!”. Ma i l Sansone a un certo punto s’è arrabbiato, ha dato uno scrollone terribile alle colonne, che teneva su una casa che poi era un tempio, e… TRAC! Tutto il tempio è crollato, ammazzando anche un mucchio di filistei. “Sansone, sei un esagerato!”, ha detto subito il pellegrino che passava di lì, “Ma è la maniera di rovinare un tempio quasi nuovo?”. Ma il Sansone non gli poteva più rispondere perché era morto, poer nano.

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4. La brutta città (F. Carpi – D. Fo – L. Chiosso) Già sugli ultimi prati incontri dei tubi poi sorpassi i tralicci poi i tubi. E tralicci sorreggono muri truccati da case. Ed un albero solo in mezzo a dei cani che fanno la fila per fare pipì. E' un paese cresciuto in periferia questa brutta città che è la mia. Non esiste pianura più piatta di questa dove il vento ha paura di sporcarsi di nebbia, dove un duomo pazzesco coperto di pizzi è una cava di marmo vestita da sposa. Il Naviglio stà fermo e soffoca i pesci, solo in sogno si muove e triste va via dalla brutta città che è - la mia. - Ma però se i ragazzi ti vengono incontro tutta l'aria si muove e ti pare che sia il vento. Ti tieni il cappello ma il cuore non puoi la domenica insieme si va nella piazza lui mi tiene alla vita e corriam sul sagrato spaventiamo i colombi che volano via sulla brutta città che è la mia.

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5. Tre storie di gatti (Mogol) CANTATO: Tre storie di gatti. Il gatto va. Non aveva mai fortuna era sempre triste e solo senza mai nessun amico era proprio sfortunato era quasi disgraziato. Era un gatto sciagurato, senza mamma né papà PARLATO: Una storia triste. C’era una volta un gatto, che si chiamava Baffo e che aveva molta fame perché erano due giorni che non mangiava. E allora pensò di andare a fare quattro passi per vedere se trovava qualcosa da mangiare. Detto fatto, usci di casa e incominciò a girare per la città guardando da tutte le parti. Quando vedeva un cartoccio andava subito lì con la zampina per vedere se per caso non ci fosse dentro un po’ di pesce fritto, ma purtroppo le carte erano sempre vuote, di pesce non c’era neanche l’odore. E così, il povero Baffo girò tutto il giorno senza trovare niente da mangiare. CANTATO: Il gatto va. Non aveva che fortuna era assai desiderato dagli amici e dalle amiche era proprio fortunato era un gatto molto amato dalla nonna coccolato con la mamma e col papà. PARLATO: Una storia allegra. C’era una volta un gatto, che si chiamava Baffo e che aveva molta fame perché erano due giorni che non mangiava. E allora pensò di andare a fare quattro passi per vedere se trovava qualcosa da mangiare. Detto fatto, usci di casa e incominciò a girare per la città. Non erano passati neanche cinque minuti, che dietro l’angolo di una casa trovò un bel cartoccio. Lo aprì con la zampina e vide che era pieno di pesce appena fritto, che certamente qualcuno aveva lasciato cadere per sbaglio. Tutto contento se lo mangiò gustandolo moltissimo. CANTATO: Il gatto va. Non aveva la pretesa di una vita da signori con gelati e con frappè era un tipo assai normale senza nulla di speciale non aveva la sua mamma ma viveva col papà. PARLATO: Una storia media. C’era una volta un gatto, che si chiamava Baffo che non aveva fame perché aveva appena finito di mangiare un bel piattino di pesce fritto. Siccome non sapeva cosa fare e d era una bella giornata pensò di andare a fare quattro passi. Detto fatto, usci di casa e incominciò a girare per la città. Andò a spasso, così, per un’oretta, di qua e di là, senza trovare niente da mangiare, ma tanto non gliene importava niente perché non aveva fame per niente.

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testo realizzato da text produced by CTFR, Archivio Dario Fo & Franca Rame nell’ambito del progetto within the project ECLAP (European Collected Library of Artistic Performance) - http://www.eclap.eu/ direttore archivio C.T.F.R. e responsabile ECLAP director archive C.T.F.R. and responsible ECLAP Marisa Pizza amministratore web web administrator Giovanni Viganò trascrizione testi text transcription Alessandra Marfoglia editing Alessandra Marfoglia elaborazione grafica graphics processing Alessandra Marfoglia anno year 2011

L’archivio di Dario Fo e Franca Rame è gestito personalmente da Franca Rame. Esso rappresenta globalmente più di 50 anni di teatro insieme: la loro attività artistica,

il loro impegno politico e vita personale, e contiene anche documenti di valore inestimabile raccolti dalla famiglia Rame in centinaia di anni di pratica teatrale.

Dario Fo and Franca Rame Archive is managed personally by Franca Rame.

It comprehensively represents these 50 years of theatre together: their artistic activity, their political commitment and personal life; it also contains invaluable documents

collected by the Rame family of hundreds of years of theatre practice.

http://www.archivio.francarame.it/