L’ombra - Orecchio Acerbo Alla fine incontrarono una povera piccola sguattera in cucina, che...

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orecchio acerbo

disegni diDAVID B.BLUTCH

ANKE FEUCHTENBERGERFRANCESCA GHERMANDI

MARKUS HUBERFRANCO MATTICCHIO

LORENZO MATTOTTIFABIAN NEGRIN

JAVIER OLIVARESSTEFANO RICCI

a cura di HAMELIN

traduzione di BRUNO BERNI

HANS CHRISTIAN ANDERSEN

L’ombra

ealtriracconti

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I FIDANZATI

L’USIGNOLO

L’OMBRA

IL FOLLETTO DAL DROGHIERE

IL PUPAZZO DI NEVE

IL PICCOLO CLAUS E IL GRANDE CLAUS

LE SCARPE ROSSE

LA SIRENETTA

I VESTITI NUOVI DELL’IMPERATORE

LA VECCHIA CASA

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Indice

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© 2005

ORECCHIO ACERBO S.A.S.

VIALE AURELIO SAFFI, 54

00152 ROMA

WWW.ORECCHIOACERBO.COM

PER LA TRADUZIONE

© DONZELLI EDITORE, ROMA

DA: ANDERSEN “FIABE E STORIE”

EDIZIONE INTEGRALE

TRADOTTA E CURATA DA BRUNO BERNI

FINITO DI STAMPARE

NELL’APRILE 2005

DA A.G.S. ARTI GRAFICHE SERVICE

VIA DEL FALEGNAME, 2

LERCHI - CITTÀ DI CASTELLO (PG)

COPERTINA DI DAVID B.

grafica

ORECCHIO ACERBO

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I fidanzati

Il trottolino e la palla stavano in un cassetto insieme ad altri giocattoli, e al-lora il trottolino disse alla palla: «Perché non ci fidanziamo, visto che stiamoinsieme nel cassetto?». Ma la palla, che era di pelle di marocchino e si davadelle arie come una signorina distinta, non volle nemmeno rispondere.Il giorno dopo arrivò il ragazzino cui appartenevano i giocattoli, dipinse iltrottolino di rosso e giallo e vi infilò un chiodo d’ottone; era proprio splen-dido quando girava.«Guardatemi!» disse alla palla. «Cosa dite ora? Non dovremmo fidanzarci?Stiamo così bene insieme, Voi saltate e io ballo! Nessuno potrebbe esserepiù felice di noi due!».«Questo lo credete Voi!» disse la palla. «Forse non sapete che mio padre emia madre erano due pantofole di marocchino, e che ho un tappo alla vita!».«Già, ma io sono di legno di mogano!» disse il trottolino. «E mi ha fatto altornio il sindaco in persona, ha il suo tornio personale e per lui è stato ungrande piacere!».«Chissà se posso fidarmi!» disse la palla.«Che non mi facciano mai più girare se sto dicendo una bugia!» rispose iltrottolino.«Voi parlate bene!» disse la palla. «Ma io non posso, perché sono pratica-mente mezza fidanzata con un rondone! Ogni volta che vado in aria,quello tira fuori la testa dal nido e dice: “Volete?”; ormai dentro di me hodetto sì, e questo vale praticamente un mezzo fidanzamento! Ma promettoche non Vi dimenticherò mai!».«Già, come se servisse a molto!» disse il trottolino, e non si parlarono più.Il giorno dopo la palla fu tirata fuori dal cassetto; il trottolino la vide salirein alto come un uccello, e alla fine non si vedeva più; ogni volta tornava,

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FRANCO MATTICCHIOdisegni di

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ma quando toccava terra faceva un salto in alto; e questo per nostalgia, op-pure perché aveva un tappo in vita. La nona volta la palla scomparve e nontornò più; e il ragazzino cercò e cercò, ma era scomparsa.«Io so bene dov’è!» sospirò il trottolino. «È nel nido del rondone e si èsposata!».Più il trottolino ci pensava, più era innamorato della palla; proprio perchénon poteva averla l’amore cresceva: gli sembrava strano che si fosse presaun altro; e il trottolino danzava in tondo e ronzava, ma pensava semprealla palla che nella sua mente diventava sempre più bella. Così passaronomolti anni, e alla fine era ormai un vecchio amore.E il trottolino non era più giovane! Ma poi un giorno venne dorato com-pletamente, non era mai stato così bello, adesso era un trottolino d’oro esaltava da far venire le vertigini. Sì, era proprio una bella cosa! Ma d’im-provviso saltò troppo in alto e… era scomparso!Cercarono e cercarono, anche giù in cantina, ma non fu possibile trovarlo.…Dov’era?Era saltato nella botte dei rifiuti, dove c’era ogni genere di cose: torsi di ca-volo, spazzatura e ghiaia caduta giù dalla grondaia.«Ora sì che sto bene! Qui perderò presto la doratura! E con che gentagliasono capitato!», e guardò di traverso un lungo torso di cavolo spellato finoin fondo e una cosa strana e tonda che sembrava una mela vecchia; manon era una mela, era una vecchia palla rimasta per tanti anni sulla gron-daia e consunta dall’acqua.«Che Dio sia lodato, almeno c’è qualcuno del mio rango con cui poterparlare!» disse la palla e osservò il trottolino dorato. «Io invero sono di ma-rocchino, cucita da dita virginali, e ho un tappo in vita, ma chi locrederebbe ormai! Stavo per sposarmi con un rondone, ma poi caddi nellagrondaia e sono rimasta lì cinque anni a marcire! È un periodo moltolungo per una signorina, potete credermi!».Ma il trottolino non disse niente, pensava alla sua vecchia innamorata, epiù la sentiva parlare, più gli era chiaro che si trattava di lei.In quella arrivò la serva e stava per rovesciare la botte: «Ehi, ecco il trotto-lino d’oro!» disse.E il trottolino tornò in casa con grandi onori, ma della palla nessuno sentì piùnulla, e lui pure non parlò mai più del suo antico amore: l’amore passa quan-do la fidanzata rimane per cinque anni su una grondaia a marcire, e anzi, aincontrarla nella botte dei rifiuti non si riesce più nemmeno a riconoscerla.

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L’usignolo

Sai bene che in Cina l’imperatore è un cinese, e tutti coloro che lo cir-condano sono cinesi. Ormai sono passati molti anni, ma proprio perquesto vale la pena di ascoltare la storia prima che venga dimenticata!Il castello dell’imperatore era il più sontuoso del mondo, tutto di deli-cata porcellana, così prezioso ma anche così fragile, bisognava stareproprio attenti a toccarlo. Nel giardino si vedevano i fiori più meravi-gliosi, e ai più splendidi erano legate delle campanelle d’argento chesuonavano perché nessuno passasse senza notarli. Già, tutto era inge-gnoso nel giardino dell’imperatore, ed era così grande che nemmeno ilgiardiniere sapeva dove finiva; continuando a camminare si entrava nelbosco più splendido, con alberi alti e laghi profondi. Il bosco scendevadritto fino al mare, che era azzurro e immenso; le grandi navi poteva-no arrivare fin sotto i rami, e sui rami viveva un usignolo che cantavain maniera così divina che persino il povero pescatore, che aveva tantealtre cose da fare, si fermava ad ascoltarlo, quando la notte usciva a ti-rare su le reti e sentiva l’usignolo: «Dio, quanto è bello!» diceva, ma poidoveva badare alle sue faccende e dimenticava l’uccello; ma la nottesuccessiva, quando l’usignolo cantava di nuovo e il pescatore usciva,diceva lo stesso: «Dio, ma quanto è bello!».Da tutti i paesi del mondo giungevano viaggiatori nella città dell’im-peratore, e la ammiravano, ammiravano il castello e il giardino, maquando sentivano l’usignolo dicevano tutti la stessa cosa: «È questa lacosa migliore!».E tornando a casa i viaggiatori lo raccontavano, e i dotti scrivevanomolti libri sulla città, sul castello e sul giardino, ma non dimenticava-

JAVIER OLIVARESdisegni di

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no l’usignolo, che veniva messo in cima a tutto; e quelli che sapevanoscrivere poesie scrivevano le poesie più belle, tutte sull’usignolo nelbosco in riva al mare profondo.Quei libri facevano il giro del mondo e un giorno alcuni giunseroanche all’imperatore. Seduto sulla sua sedia d’oro, leggeva e leggeva,annuiva col capo, perché gli faceva piacere sentire le splendide descri-zioni della città, del castello e del giardino. «Ma l’usignolo è la cosamigliore!» c’era scritto.«Che cosa?» disse l’imperatore. «L’usignolo! Quello non lo conosco af-fatto! C’è un uccello così nel mio impero, e per giunta nel miogiardino! Non ne ho mai sentito parlare! E una cosa del genere devoleggerla in un libro!».E così chiamò il suo cavaliere: era talmente nobile che se qualche infe-riore osava parlargli o fargli domande, lui rispondeva solo «P!», chenon significa niente.«Sembra che ci sia un uccello molto particolare, chiamato usignolo!»disse l’imperatore. «Dicono che sia la cosa migliore del mio granderegno! Perché nessuno me ne ha mai parlato?».«Io non l’ho mai sentito nominare!» disse il cavaliere. «Non è mai statopresentato a corte!».«Voglio che venga qui stasera e canti per me!» disse l’imperatore.«Tutto il mondo sa cosa possiedo e io non lo so!».«Io non l’ho mai sentito nominare!» disse il cavaliere. «Lo cercherò, lotroverò!».Ma dove trovarlo? Il cavaliere corse su e giù per tutte le scale, attraversòle sale e i corridoi, tra tutti quelli che incontrava nessuno aveva sentitoparlare dell’usignolo, e il cavaliere corse di nuovo dall’imperatore e disseche sicuramente doveva essere una favola inventata da quelli che scrive-vano i libri. «Vostra Maestà Imperiale non deve credere a ciò chescrivono! Sono invenzioni, quella che chiamano magia nera!».«Ma il libro in cui l’ho letto» disse l’imperatore, «mi è stato mandatodal potente imperatore del Giappone, e allora non può essere unamenzogna. Voglio sentire l’usignolo! Dev’essere qui stasera! Gode dellamia suprema grazia! E se non verrà, dopo cena tutta la corte sarà pic-chiata sulla pancia».«Tsing-pe!» disse il cavaliere e tornò a correre su e giù per tutte le scale, at-traversò tutte le sale e i corridoi; e metà della corte correva con lui, perché

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non volevano essere picchiati sulla pancia. Era tutto un chiedere dello stra-no usignolo che tutto il mondo conosceva, ma a corte nessuno aveva visto.Alla fine incontrarono una povera piccola sguattera in cucina, chedisse: «Oh Dio, l’usignolo! Lo conosco bene! Sì, come sa cantare! Tuttele sere ho il permesso di portare un po’ di avanzi della tavola alla miapovera madre malata che vive giù sulla spiaggia, e quando torno sonostanca e mi riposo nel bosco, e sento l’usignolo cantare! Mi si inumidi-scono gli occhi a sentirlo, è come se mia madre mi baciasse!».«Piccola sguattera!» disse il cavaliere. «Ti procurerò un posto fisso incucina e il permesso di veder mangiare l’imperatore se ci porterai dal-l’usignolo, perché è convocato per stasera!».E così andarono tutti insieme nel bosco dove di solito l’usignolo can-tava; c’era metà della corte. E proprio mentre camminavano unamucca iniziò a muggire.«Oh!» dissero i nobili di corte. «Eccolo! C’è una forza singolare in unanimaletto così piccolo! Credo proprio di averlo già sentito!».«No, quelle sono le mucche che muggiscono!» disse la piccola sguatte-ra. «Siamo ancora lontani dal posto!».Ora gracidarono le rane nello stagno.«Splendido!» disse il cappellano di corte cinese. «Ora lo sento, sonocome piccole campane di chiesa!».«No, quelle sono le rane!» disse la piccola sguattera. «Ma credo che losentiremo presto!».Poi l’usignolo cominciò a cantare.«Eccolo» disse la ragazza, «sentite, sentite! Ed eccolo lì appollaiato!» eindicò un uccellino grigio sui rami.«È possibile!» disse il cavaliere. «Così non me lo sarei mai immaginato!Che aspetto semplice! Avrà certo perduto il colore nel vedersi circon-dato di tanti nobili!».«Piccolo usignolo!» gridò la sguattera molto forte. «Il nostro graziosoimperatore vorrebbe tanto che tu cantassi per lui!».«Con grandissima gioia!» disse l’usignolo e cantò che era un piacere.«Sembrano campanelle di vetro!» disse il cavaliere. «E guardate la pic-cola gola come si sforza! Strano che non lo abbiamo mai sentito! Faràgran successo a corte!».«Devo cantare ancora una volta per l’imperatore?» chiese l’usignoloche credeva che l’imperatore fosse con loro.

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«Mio eccellente piccolo usignolo!» disse il cavaliere. «Ho la grandegioia di convocarvi questa sera a una festa di corte, dove incantereteSua Grazia Imperiale con il Vostro affascinante canto!».«Fa più effetto in mezzo al verde!» disse l’usignolo, ma li seguì volen-tieri quando sentì che l’imperatore lo desiderava.Al castello avevano lucidato tutto per bene! Pareti e pavimenti, cheerano di porcellana, scintillavano grazie a molte migliaia di lampaded’oro! I fiori più splendidi, quelli che tintinnavano meglio, erano statimessi nei corridoi; il castello era pieno di gente che correva e di cor-renti d’aria, ma così suonavano tutte le campanelle e non si riusciva asentire niente.Al centro della grande sala dove sedeva l’imperatore era stato messo untrespolo d’oro, e su quello doveva stare appollaiato l’usignolo; c’eratutta la corte, e la piccola sguattera aveva ottenuto il permesso di rima-nere dietro la porta, poiché ora aveva il titolo di sguattera di primaclasse. Tutti indossavano i loro abiti migliori, e tutti guardavano l’uc-cellino grigio cui l’imperatore fece un cenno col capo.E l’usignolo cantò così splendidamente che all’imperatore vennero lelacrime agli occhi, gli scesero sulle gote e allora l’usignolo cantò in ma-niera ancora più bella, andava dritto al cuore; e l’imperatore era cosìcontento e disse che l’usignolo avrebbe ricevuto la sua pantofola d’oroda portare al collo. Ma l’usignolo lo ringraziò: la sua ricompensa eragià sufficiente.«Ho visto le lacrime negli occhi dell’imperatore, per me è il tesoro piùricco! Le lacrime di un imperatore hanno un potere singolare! Dio sache sono stato ricompensato!» e poi cantò di nuovo con la sua vocedolce e benedetta.«È la civetteria più adorabile che conosco!» dissero le signore intorno,e si misero dell’acqua in bocca per chiocciare quando qualcuno parlavacon loro: credevano di essere usignoli; e i lacchè e le cameriere feceroannunciare che anche loro erano soddisfatti, e questo vuol dire molto,perché sono i più difficili da accontentare. Sì, l’usignolo fece propriofortuna!Ora dovette rimanere a corte: aveva la sua gabbia e la libertà di uscire afare un giretto due volte al giorno e una di notte. Aveva con sé dodiciservitori, e tutti lo tenevano per un nastro di seta legato alla zampa.Quel giretto non era certo un piacere.

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Tutta la città parlava del bizzarro uccello, e se due si incontravano, unonon diceva che: «Usi!», e l’altro: «Gnolo!». E poi tiravano un sospiro esi comprendevano; anzi, undici figli di droghiere furono chiamati colsuo nome, ma nemmeno uno aveva una nota giusta.Un giorno arrivò un grande pacco per l’imperatore, sopra c’era scritto:Usignolo.«Ecco un altro libro sul nostro famoso uccello!» disse l’imperatore; manon era un libro, era un piccolo congegno dentro una scatola: un usigno-lo meccanico che doveva somigliare a uno vero, ma era tutto incastonatodi diamanti, rubini e zaffiri; non appena gli si dava la carica, l’uccellomeccanico poteva cantare una delle canzoni di quello vero, e la coda an-dava su e giù e scintillava d’oro e d’argento. Intorno alla gola era appesoun piccolo nastro e sopra c’era scritto: «L’usignolo dell’imperatore delGiappone è povero in confronto a quello dell’imperatore della Cina».«È splendido!» dissero tutti, e quello che aveva portato l’uccello mec-canico ebbe subito il titolo di grande portatore imperiale di usignolo.«Ora devono cantare insieme! Che duetto sarà!».E così dovettero cantare insieme, ma non andò tanto bene, perché l’u-signolo vero cantava a modo suo, e quello meccanico si basava sui rulli.«Non ne ha colpa» disse il maestro di musica, «segue totalmente ilritmo, è proprio della mia scuola!». E così l’uccello meccanico dovettecantare da solo. Fece fortuna quanto quello vero, e poi in fondo eramolto più grazioso da vedere: brillava come bracciali e spille.Cantò trentatré volte lo stesso pezzo, eppure non era stanco; la genteavrebbe voluto sentirlo da capo, ma l’imperatore pensava che ora do-vesse cantare un po’ anche l’usignolo vivo… ma dov’era? Nessunoaveva notato che era volato fuori dalla finestra aperta, via verso i suoiboschi verdi.«Ma che significa!» disse l’imperatore; e tutti i cortigiani espressero laloro disapprovazione ritenendo che l’usignolo fosse un animale estre-mamente ingrato. «Ma ci è rimasto l’uccello migliore!» dissero, e cosìl’uccello meccanico dovette cantare di nuovo, ed era la trentaquattresi-ma volta che sentivano lo stesso pezzo, ma non lo conoscevano ancoratutto a memoria, perché era difficile, e il maestro di musica lodò tantol’uccello, anzi assicurò che era meglio dell’usignolo vero, non solo perquel che riguardava l’abbigliamento e i molti splendidi diamanti, maanche per l’interno.

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«Perché vedete, mie signorie, imperatore prima di tutti, dell’usignolovero non si può mai sapere cosa farà, mentre nell’uccello meccanico ètutto definito! Sarà così e non altrimenti! Ci si può rendere conto ditutto, lo si può aprire e mostrare il pensiero umano, come sono messi irulli, come girano e come uno segue l’altro!».«È proprio ciò che penso io!» dissero tutti, e la domenica successiva ilmaestro di musica ebbe il permesso di mostrare l’uccello al popolo;l’imperatore disse che dovevano anche sentirlo cantare; e lo sentirono,e furono così contenti, sembravano ubriachi di tè, perché è così cinese,tutti dicevano «Oh!» e alzavano il dito chiamato «leccapentole» e an-nuivano; ma i poveri pescatori che avevano sentito l’usignolo verodissero: «Suona bene, gli somiglia anche, ma gli manca qualcosa, nonso bene cosa!».L’usignolo vero fu bandito dal paese e dal regno.L’uccello meccanico aveva il suo posto su un cuscino di seta vicino alletto dell’imperatore; tutti i doni che aveva ricevuto, oro e pietre pre-ziose, erano posati intorno, e come titolo era salito a «cantoreimperiale da comodino» di primo grado a sinistra, perché l’imperatoreconsiderava più nobile il lato dove si trovava il cuore, e il cuore sta a si-nistra anche in un imperatore. E il maestro di musica scrisseventicinque volumi sull’uccello meccanico, era un’opera così dotta ecosì lunga, e con le parole cinesi più difficili, cosicché tutti dicevano diaverla letta e capita, perché altrimenti sarebbero stati consideratu stu-pidi e sarebbero stati picchiati sulla pancia.Così passò un intero anno; l’imperatore, la corte e tutti gli altri cinesisapevano a memoria ogni gorgoglio del canto dell’uccello meccanico,ma proprio per questo ora lo apprezzavano di più: sapevano cantarecon lui, e lo facevano. I monelli di strada cantavano «zizizi! klukluklu!»e lo cantava l’imperatore! Sì, era proprio splendido!Ma una sera che l’uccello era nel bel mezzo del canto, e l’imperatorestava a letto e lo ascoltava, si sentì uno «svup!» dentro l’uccello; qual-cosa saltò: «surrrr!», tutti gli ingranaggi girarono e la musica si fermò.L’imperatore saltò subito giù dal letto e fece chiamare il suo archiatra,ma a che serviva! Allora mandarono a chiamare l’orologiaio, che dopomolto parlare e molto guardare sistemò bene o male l’uccello, ma disseche bisognava stare attenti a usarlo, perché aveva i perni molto consu-mati e non era possibile metterne di nuovi con la certezza che la

musica funzionasse. Fu un gran dolore! Avevano il coraggio di far can-tare l’uccello solo una volta l’anno, ed era comunque abbastanzarischioso; ma allora il maestro di musica tenne un breve discorso conparole difficili e disse che tutto andava bene come prima, e così tuttoandò bene come prima.Passarono cinque anni e il paese venne colpito da un dolore davverogrande, perché in fondo tutti volevano bene al loro imperatore; eramalato e non sarebbe vissuto a lungo, si diceva, un nuovo imperatoreera già stato eletto e la gente stava per strada e chiedeva al cavalierecome stava il loro imperatore.«P!» diceva quello e scuoteva la testa.L’imperatore giaceva freddo e pallido nel suo grande, lussuoso letto:tutta la corte lo credeva morto, e ciascuno si affrettava a salutare ilnuovo imperatore; i valletti correvano fuori per parlarne e le camerieretenevano una grande riunione intorno a una tazza di caffè. In giro, pertutte le sale e i corridoi, erano stati posati dei panni perché non si sen-tisse camminare nessuno, e perciò c’era tanto silenzio, tanto silenzio.Ma l’imperatore non era ancora morto; rigido e pallido giaceva nel lus-suoso letto con le grandi tende di velluto e i pesanti fiocchi dorati; inalto c’era una finestra aperta, e la luna entrava illuminando l’imperato-re e l’uccello meccanico.Il povero imperatore non riusciva quasi a respirare, era come se avessequalcosa sul petto; aprì gli occhi e vide la morte che gli sedeva addos-so; si era messa la sua corona d’oro e in una mano teneva la sciabolad’oro dell’imperatore, nell’altra il suo sontuoso vessillo; e tutto intor-no, fra le pieghe delle grandi tende di velluto, facevano capolinosingolari teste, alcune orride, altre di una beata dolcezza: erano le cat-tive e le buone azioni dell’imperatore che lo guardavano ora che lamorte gli sedeva sul cuore.«Ricordi questa?» sussurravano una dopo l’altra. «Ricordi questa?», egli raccontavano tante cose di quelle cose che il sudore gli stillava dallafronte.«Non l’ho mai saputo!» diceva l’imperatore. «Musica, musica, il grandetamburo cinese!» gridava. «Che io non senta tutto ciò che dicono!».E quelle continuavano e la morte annuiva come un cinese a tutto ciòche dicevano.«Musica, musica!» gridava l’imperatore. «Benedetto uccellino d’oro!

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Canta, canta! Ti ho donato oro e oggetti preziosi, io stesso ti ho appe-so al collo la mia pantofola d’oro, canta, canta!».Ma l’uccello taceva: non c’era nessuno a caricarlo e altrimenti non can-tava; ma la morte continuava a guardare l’imperatore con le sue grandiorbite vuote, e c’era tanto silenzio, tanto terribile silenzio.In quel momento si udì, accanto alla finestra, il canto più meraviglio-so: era il piccolo usignolo vero appollaiato sul ramo lì fuori; avevasentito parlare delle cattive condizioni del suo imperatore e perciò eravenuto a cantargli il conforto e la speranza; e mentre cantava, le figuresi facevano sempre più pallide, il sangue scorreva sempre di più nelledeboli membra dell’imperatore, e la morte stessa ascoltava e diceva:«Continua, piccolo usignolo! Continua!».«Se mi darai quella splendida sciabola d’oro! Se mi darai quel ricco ves-sillo! Se mi darai la corona dell’imperatore!».E per ogni canzone la morte gli dava in cambio un gioiello, e l’usignolocontinuava a cantare; e cantava del silenzioso cimitero dove crescono lerose bianche, dove profuma il sambuco e dove l’erba fresca viene innaf-fiata dalle lacrime di chi è rimasto vivo; allora la morte ebbe nostalgiadel suo giardino e come una nebbia fredda e bianca si librò fuori dallafinestra.«Grazie, grazie!» disse l’imperatore. «Celeste uccello, ti riconosco! Tiho scacciato dal mio paese e dal regno! Eppure cantando hai allontana-to cattive visioni dal mio letto, hai fatto uscire la morte dal mio cuore!Come potrò ricompensarti?».«Mi hai già ricompensato!» disse l’usignolo. «Ho avuto le lacrime deituoi occhi la prima volta che ho cantato, non lo dimenticherò! Sonoquelli i gioielli che fanno bene al cuore di un cantore! Ma ora dormi etorna sano e forte! Io canterò per te!».Cantò… e l’imperatore cadde in un dolce sonno, così tenero e risto-ratore.Il sole entrava dalle finestre e lo baciava quando si svegliò forte e sano;nessuno dei servitori era ancora tornato, perché lo credevano morto,ma l’usignolo stava ancora cantando.«Dovrai sempre rimanere con me!» disse l’imperatore. «Canterai soloquando lo vuoi e farò in mille pezzi l’uccello meccanico».«Non farlo!» disse l’usignolo. «Ha fatto il bene che poteva! Tienilocome sempre! Io non posso abitare al castello, ma lasciami venire

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quando ne ho voglia, e allora la sera starò qui sul ramo accanto alla fi-nestra e canterò per te, affinché tu possa essere contento e pensierosoallo stesso tempo! Canterò di chi è felice e di chi soffre! Canterò delbene e del male che ti vengono tenuti nascosti! Il piccolo uccello can-terino vola in giro, va dal povero pescatore, sul tetto del contadino, datutti quelli che sono lontani da te e dalla tua corte! Io amo il tuo cuorepiù della tua corona, eppure la tua corona ha in sé il profumo di qual-cosa di sacro! Verrò, canterò per te! Ma una cosa me la devipromettere!».«Qualunque cosa!» disse l’imperatore, e stava lì in piedi nel suo abitoimperiale che aveva indossato da solo, e teneva sul cuore la pesantesciabola d’oro.«Di una cosa ti prego! Non dire a nessuno che hai un uccellino che tiracconta tutto, e le cose andranno ancora meglio!».E così l’usignolo volò via.I servitori entrarono per vedere il loro imperatore morto… eccolì lì, el’imperatore disse: «Buongiorno!».

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propensione per la terraferma prima ancora dell’innamoramento,

e con la sua ostinazione a voler passare per il dolore di una trasformazione senza ritorno.

Non lo sa l’imperatore che proprio per questo cerca di nascondere la propria insipienza

con sfarzose vesti inesistenti; non lo sa il brav’uomo che è andato ad abitare

la vecchia casa rimettendola a nuovo, ma rischiando così di perdere le proprie radici

e di dimenticare per sempre la propria infanzia, se non fosse per un soldatino di stagno

disseppellito dal giardino. Non lo sa la ragazzina attratta fatalmente dalle scarpe rosse

in barba ai divieti e alle convenzioni, senza pensare che scarpe simili aveva indossato

per la prima volta al funerale della madre; non lo sa l’imperatore cinese

che solo attraverso i libri viene a conoscenza dell’usignolo del suo giardino

e che poi sarà ben lieto di scambiarlo con un usignolo “virtuale”.

Simili considerazioni sono state quelle che hanno portato noi e Orecchio Acerbo

a ideare il progetto di questo libro e ci hanno anche spinto a scegliere gli artisti

che vedete qui pubblicati. L’accostamento di ognuno con una fiaba non è casuale

ma è stato pensato ancora prima del contatto diretto. Il desiderio era quello

di far emergere visivamente la contemporaneità di Andersen per come l’abbiamo vista.

Anzi abbiamo pensato che dovessero essere le immagini le vere chiavi attraverso

cui far passare la nostra interpretazione. Per ogni testo abbiamo cercato di trovare

un artista che per il suo segno e la sua poetica potesse ben dare forma

a quella particolare atmosfera che desideravamo emergesse. Per questo sono presenti

anche artisti che non si erano mai cimentati nell’illustrazione per ragazzi

ma che ci sembravano comunque i più vicini al nostro progetto. Abbiamo così assegnato

a ognuno una fiaba specifica e chiesto loro non semplicemente di illustrarne il testo

ma di interpretare con il loro stile quel senso di attualità che vi avevamo riscontrato.

A tutti vanno i nostri ringraziamenti per la pazienza e l’impegno con cui davvero si sono

confrontati con i testi proposti, interpretandoli a fondo con la forza del loro segno.

La speranza da parte nostra è che dalla combinazione di parole e figure

possa ancor più emergere la complessità del mondo anderseniano,

capace di creare personaggi e situazioni ormai divenuti proverbiali e sulla bocca di tutti,

ma spesso fraintesi o non conosciuti, proprio come il droghiere

che ha in casa tante poesie, ma senza saperlo.

Hamelin Associazione Culturale

La raccolta di storie e immagini che avete appena finito di leggere non vuole essere solo

una nuova antologia anderseniana, edita in occasione del bicentenario della nascita

del grande scrittore danese. All’origine di questo libro è piuttosto il desiderio

di interrogarci sulla contemporaneità di Andersen, ovvero sulla capacità

o non capacità dei suoi racconti di dire ancora oggi qualcosa di noi.

La risposta è stata ovviamente affermativa ma è andata oltre alla considerazione

che vale per ogni classico, che è reso tale –ci ricordava Calvino– proprio

per la sua capacità di parlare ai lettori di ogni epoca. Ci sono, a ben vedere, alcune

fiabe anderseniane che sembrano parlare proprio a noi e solo a noi, che riescono

a interpretare l’atmosfera dei nostri tempi e a rappresentare i nostri stati d’animo

diffusi. Letto in questa chiave, oggi Andersen ci appare soprattutto come grande poeta

dello spaesamento. Non bastano viaggi e trionfi, l’eclatante scalata sociale

di un povero ragazzo figlio di un ciabattino e di una lavandaia nella provinciale Odense,

né la promessa che dietro ogni brutto anatroccolo si nasconde l’elegante volo di un cigno.

Né è sufficiente a rasserenare la sincera fede anderseniana in un ordine divino,

che più di tutto si riflette nella natura, nella sua autenticità, nella sua ostinata vitalità.

Ciò che più rende queste fiabe intense e attuali è la capacità di raccontare

la disarmonia del mondo. Non è più quella eclatante e celebrata dai poeti romantici,

che pure ogni tanto riemerge come nella tragedia de L’ombra;

è piuttosto una disarmonia sottotono, soffusa, nascosta nelle pieghe del quotidiano,

ma non per questo meno dolorosa.

Che dire ad esempio di una vita come quella de Il pupazzo di neve, vera e propria icona

dello spaesamento, creatura che non sa come e perché è venuta al mondo, incapace

di riconoscere il sole e la luna, sbeffeggiato da un cane sapientone che pure

è alle catene. A renderlo struggente e attualissimo è il suo assoluto analfabetismo

sentimentale, quello che lo fa innamorare fatalmente di una stufa.

Il fatto è che il pupazzo di neve non sa cosa ha letteralmente dentro, ovvero non sa

che il suo corpo contiene un raschietto da stufa, vera origine del suo impossibile amore.

La grandezza dei personaggi anderseniani sta proprio in questa loro inconsapevolezza

che si traduce in smarrimento, in sconfitta, a volte in tragedia: nessuno sa davvero

spiegare “cosa ha dentro”. Non lo sa la Sirenetta con la sua incomprensibile

Page 15: L’ombra - Orecchio Acerbo Alla fine incontrarono una povera piccola sguattera in cucina, che disse: «Oh Dio, l’usignolo! Lo conosco bene! Sì, come sa cantare! Tutte le sere ho

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orecchio acerbo Premio Andersen 2004 Miglior produzione editoriale “fatta ad arte”