Post on 06-Aug-2015
description
Treblinka
Dei tre campi costruiti nell'ambito dell'Operazione Reinhardt, Treblinka è
sicuramente quello che suona più famigliare. Molti lo avranno incontrato sfogliando
i libri di storia, altri ne avranno semplicemente sentito parlare. La sua notorietà
deriva però purtroppo dal fatto che oltre 900.000 persone vi furono uccise,
facendone il campo di sterminio che ha mietuto più vittime dopo Auschwitz. I campi
Reinhardt erano metodi primitivi ma efficaci di condurre il genocidio. Sotto
l'ispettorato di Christian Wirth, Belzec, il primo ad essere costruito, fu il banco di
prova per gli altri campi, dove vennero sperimentate le procedure per la gestione,
l'omicidio e lo smaltimento dei corpi di migliaia di persone al giorno. Poco dopo,
Sobibor ne divenne un perfezionamento, ma è con Treblinka, che i campi dell’est
divvennero un efficiente nastro trasportatore per la trasformazione di migliaia di
persone innocenti in cenere.
Su di essi i nazisti furono sempre molto accorti a nascondere le loro vere intenzioni
al popolo tedesco ed al mondo intero, tanto che nei documenti ufficiali e nella
corrispondenza interna non compare mai il minino accenno alle procedure di
sterminio di massa che erano state minuziosamente programmate. Ad esse si
faceva cenno solamente come ad una “Endlösung der Judenfrage”, soluzione finale”
del problema ebraico tramite la deportazione di tutti gli ebrei d’Europa vero i nuovi
territori conquistati ad est utilizzando appositi Durchgangslager, dei campi di
transito dove veniva riservato loro un Sonderbehandlung (a volte abbreviato SB),
un trattamento speciale, pseudonimo con cui ufficialmente indicavano la morte
nelle camere a gas.
Esteso su una superficie di 17 ettari, fu il terzo campo ad essere realizzato in
territorio polacco per la “soluzione finale” e prese il nome dal villaggio presso il
quale venne costruito, in una zona scarsamente popolata vicino a Małkinia Górna,
una sessantina di chilometri a nord-est di Varsavia, lungo la linea ferroviaria
Ostrów Mazowiecki – Siedlce che costituisce una diramazione dell’asse principale
Varsavia-Bialystok.
Sul posto, come in molti altri casi, già esisteva un campo di lavoro. Nel novembre
1941 venne infatti costruito, nei pressi di una grande cava di ghiaia, l’Arbeitslager
Treblinka, meglio conosciuto come Treblinka I, destinato per la maggior parte ai
prigionieri politici polacchi da impiegare nella costruzione di fossati anticarro e
nell’estrazione di materiali da costruzione. Vi erano segregati mediamente dai 1000
ai 1200 prigionieri, detenuti in un regime di autentico terrore e schiavitù, tanto che
delle oltre 20000 persone che vi transitarono, più della metà morì di frame, si
stenti o per le violenze subite. Le razioni giornaliere di cibo si limitavano a meno di
200 grammi di pane e ad un litro di brodaglia spacciata per minestra. Chi non
rispettava le quote di produzione nella cava veniva ucciso senza pietà, per non
parlare poi delle uccisioni effettuate per puro divertimento. Dalle testimonianze dei
prigionieri rilasciati o fuggiti dal campo si è venuto a sapere di prigionieri
scaraventati giù dalle torrette di guardia o di come durante la notte gli aguzzini
ubriachi prelevassero dieci o quindici prigionieri da una baracca per vedere se era
più divertente ammazzarli con un colpo in bocca piuttosto che in un occhio o alla
nuca. Oppure delle orge sfrenate a cui si abbandonavano i tedeschi con le
prigioniere del campo prima di ucciderle. A cominciare dal loro capo, il capitano
delle SS Theodor van Eupen, comandante del campo per tutto in tempo che rimase
in funzione (a differenza dei comandanti di Treblinka II, non dipendeva però dalle
autorità dell’Aktion Reinhard ma bensì al capo delle SS e della polizia di Varsavia),
definito un assassino insaziabile. Tre gli altri, molti ricordano il giovane SS Stumfe,
soprannominato “la morte che ride” perché veniva colto da irrefrenabili risate ogni
qualvolta ammazzava qualcuno o vedeva qualche prigioniero morire. L’orbo
Sviderskij, Voksdeutsche (così erano chiamati i cittadini di razza germanica che
vivevano oltre i confini del Reich) di Odessa, considerato il virtuoso del martello e
delle uccisioni all’arma bianca, che uccise a martellate in pochi minuti quindici
bambini considerati inabili al lavoro. Il vecchio SS Preussi, che scacciava la
malinconia piazzandosi nella discarica del lager per cogliere sul fatto i prigionieri
che di nascosto andavano a cercare qualche buccia di patata, costringendoli ad
aprire la bocca dentro la quale infilava la sua pistola e poi sparava. Le SS Schwarz
e Loedecke, assassini di professione che la sera si divertivano a sparare ai
prigionieri che tornavano dal lavoro, uccidendone sino a trenta o quaranta alla
volta. Al campo di lavoro si finiva anche con condanne brevi,dai 4 ai 6 mesi, per
violazioni spesso di poco conto alle leggi del Governatorato Generale: dilazioni,
calunnie, battute casuali per strada, consegne non rispettate, favori rifiutati ai
tedeschi, l’audacia di molte ragazze nel negarsi alle avances di qualche SS, sospetti
di sabotaggio in fabbrica.
Il campo restò in attività sino alla fine del luglio 1944, quando venne liberato
dall’armata rossa dei sovietici in avanzata. Sebbene non sia stato completamente
smantellato come il vicino campo di sterminio, di Treblinka I rimangono ormai solo
poche tracce. La grande fossa di ghiaia destinata al lavoro forzato è ancora bel
visibile, ma dei vari edifici non rimangono che le fondazioni in calcestruzzo sparse
in un’area completamente sommersa dall’erba.
A poche centinaia di metri dal campo, quello che era il luogo delle esecuzioni è
stato trasformato in un cimitero disseminato di croci con un grande monumento in
pietra in memoria delle vittime.
la cava di ghiaia
Ma i prigionieri del campo di lavoro sapevano bene che qualcosa di molto più
orrendo stava accadendo a circa tre chilometri da loro. Prima dell'avvio dell’
Aktion Reinhard, l'operazione di eliminazione di due milioni di ebrei concentrati nel
Governatorato Generale Polacco, più di un milione di ebrei era già stato ucciso
dalle Einsatzgruppen, unità mobili delle SS che avevano come compito quello di
sterminare gli ebrei nei territori conquistati dall'esercito tedesco. Diventò ben
presto evidente però che tali squadre non erano in grado di occuparsi dei milioni di
ebrei che i nazisti avevano concentrato nei ghetti delle città polacche. Per una più
rapida eliminazione degli ebrei dei ghetti venne così realizzato l’anno successivo
Treblinka II, che assieme agli altri campi dell'Operazione Reinhard avrebbe
accelerato notevolmente il processo di eliminazione. Per la costruzione, realizzata
da ditte rigorosamente tedesche di proprietà delle SS, si utilizzarono
prevalentemente ebrei portati lì in camion dai villaggi vicini (come Wegrów e
Stoczek Wegrowski) ed i prigionieri, soprattutto polacchi, del campo di lavoro
Treblinka I.. Il lavoro durò circa due settimane e venne completato il 15 giugno
1942. La sua esistenza, così aveva deciso Himmler, doveva restare assolutamente
segreta. Nessuno doveva uscirne vivo e nessuno vi ci si poteva avvicinare. Si
sparava senza preavviso a chiunque capitasse nelle vicinanze e vigeva il divieto
assoluto di sorvolare l’area anche per gli aerei tedeschi in missione nella zona. I
soldati di scorta dei convogli in arrivo non venivano ammessi oltre la recinzione più
esterna del campo e la stessa locomotiva che portava i vagoni alla banchina
interna li spingeva da dietro fermandosi prima del filo spinato in modo che neppure
il macchinista ed il fuochista potessero mettervi piede.
Il campo, disegnato e progettato da Richard Thomalla, ricalca gli altri due campi
gemelli di Sobibor e Belzec: rettangolare, piccolo (400 metri per 600) ed
unicamente destinato allo sterminio di massa (Vernichtungslager). Per
l'osservatore casuale il campo presentava un aspetto piuttosto innocuo e dava
l'impressione di un normale campo di lavoro. Completamente circondato da una
doppia linea di reticolato elettrificato, intrecciato con rami d’albero in modo da
impedire qualsiasi vista del campo dall'esterno, e da diverse torrette di otto metri
sorvegliate da guardie armate, il campo era diviso sostanzialmente in tre aree
separate ma comunicanti, di dimensioni pressoché identiche.
Mappa del campo
La prima, in prossimità dei binari provenienti dalla vicina stazione ferroviaria, si
trovava nella zona sud-ovest del campo ed era destinata all'accoglienza dei
deportati che venivano fatti scendere dai treni, alla loro svestizione ed al sequestro
dei loro beni di valore. Una rampa di circa 200 metri accoglieva i vagoni in arrivo.
Dei due edifici situati vicino ai binari, impiegati per immagazzinare gli effetti
personali dei prigionieri, uno era stato abilmente camuffato da stazione per
evitare che i deportati si rendessero conto della reale destinazione cui erano
arrivai. Una struttura con tanto di biglietteria, capostazione, orari e specifiche
indicazioni che illustravano la direzione da seguire per i collegamenti con Varsavia,
Bialystok -e Wolkowysk. Su di essa, un finto orologio di legno segnava in modo
permanente la stessa ora, le 06:00 ed un grosso cartello ricordava ai deportati che
erano arrivati in una stazione di chiamata “Obermajdan”. Di fronte, un grande
piazzale denominato “Entkleidungsplat” accoglieva i nuovi arrivati separando gli
uomini dalle donne e dai bambini. I primi venivano invitati a spogliarsi direttamente
sul piazzale, mentre le donne venivano avviate verso una apposita baracca dove
venivano rasate per poi rivendere i loro capelli come materia prima. I malati, i
vecchi, i feriti ed i bambini non accompagnati venivano invece dirottati verso una
piccola baracca bianca con una croce rossa, ufficialmente chiamata infermeria,
dove venivano portati sull'orlo di una fossa in cui ardevano continuamente corpi,
spogliati, uccisi con un colpo di arma da fuoco in testa e quindi spinti nella buca.
Disegno e ricostruzione della zona 1
Una seconda area (Totenlager) nella parte sudorientale del campo (noto come
campo 2 o campo superiore perché situato diversi metri più in alto), era destinata
allo sterminio vero e proprio: uno spazio sorprendentemente piccolo, poco più di
200 metri per 250, completamente chiuso dal filo spinato e separato anche
visivamente dal resto del campo, nel quale erano state costruite inizialmente tre
camere a gas simili a quelle di Sobibor, di dimensioni piuttosto piccole (circa 5
metri per 5 per 2,6 di altezza), ermeticamente sigillate e chiuse dall'esterno e
abilmente camuffate in modo da dare l'illusione che si trattasse di normalissimi
locali per le docce, con pareti piastrellate, soffioni e tubazioni lungo tutto il soffitto.
Vi si accedeva tramite uno stretto passaggio fiancheggiato da filo spinato
proveniente dall’area di smistamento, cinicamente denominato dalle SS
“Himmelstraße” (strada al paradiso), ma meglio conosciuto come “il tubo”.
mappa schematica del campo secondo le ricostruzioni dei testimoni
Nelle camere a gas, in cui potevano essere uccise un migliaio di persone alla volta,
venivano condotti tutti i prigionieri arrivati, ad eccezione di alcuni che venivano
scelti per i lavori di mantenimento del campo. Per l’uccisione veniva utilizzato il
monossido di carbonio dei gas di scarico di due motori di carri armati sovietici
collocati in una stanza adiacente alle camere a gas, pompato dentro di esse
attraverso dei tubi che portavano a rubinetti per doccia. Dietro le camere a gas, a
circa 150 metri, grandi fosse lunghe circa 50 metri e larghe 25 realizzate con due
grandi escavatori servivano per lo smaltimento dei cadaveri e, successivamente,
per la loro crematura, effettuata accatastandoli su enormi graticole fatte con resti
di binari ferroviari. Dai calcoli effettuati nel corso delle inchieste del dopoguerra,
risultò che la dimensione di tali fosse era più che sufficiente per ospitare circa un
milione di corpi ed il fatto che vi fossero ben due macchine destinate al movimento
terra in azione nel campo, di cui esiste una abbondante testimonianza fotografica,
costituisce la prova più evidente di quello che doveva essere la portata
dell’operazione. La loro presenza si giustifica infatti solo con la necessità di
spostare velocemente enormi quantità di terra. Ogni buca di quelle dimensioni
corrispondeva pressappoco ad un volume di 8500 metri cubi di materiale da
spostare che, se effettuato manualmente, pur in abbondanza di mano d’opera
avrebbe richiesto mesi di lavoro. Utilizzando invece macchine dotate di vongole
Menck che potevano spostare circa 8 metri cubi alla volta, per completare quelle
grandi fosse sarebbero bastate un paio di settimane, il che rende l’idea di quella
che era la dimensione del programma di sterminio.
Escavatore e resti fosse comuni
Che in effetti andò sempre in crescendo, facilitato dalla costruzione di nuove e più
spaziose camere a gas che superavano di gran lunga in quanto a capacità di carico
quelle degli altri campi dell’Aktion Reinhardt.
L’area era completamente isolata dal resto del campo e vennero prese tutte le
precauzioni affinché nessuno potesse entrare o uscirne. Gli ebrei del
Sonderkommando addetti al recupero dei corpi e, successivamente, alla loro
cremazione non avevano contatti con gli altri prigionieri e venivano alloggiati in
due baracche collocate nelle vicinanze della camere a gas, costantemente
sorvegliati da una torretta di guardia eretta nel centro della zona di sterminio.
ricostruzione aerea del campo
Infine una terza area del campo (campo 1, noto anche come campo inferiore) era
destinata a quella che si può definire la sezione amministrativa, comprendente la
sede del comando, un panificio, dei magazzini e diversi baraccamenti destinati ai
pochi ebrei da lavoro impiegati nel campo (Arbeitsjuden). Treblinka era un campo
progettato per lo sterminio degli ebrei e non per il loro sfruttamento come forza
lavoro pertanto tutti i deportati venivano uccisi immediatamente dopo il loro arrivo.
Per quelli che rimanevano in vita perché considerati momentaneamente di una
certa utilità non si trattava certo di una villeggiatura. Per soffocare all’origine
qualsiasi velleità di ribellione o di fuga, la disciplina nel campo 1 era molto severa
ed i prigionieri costretti a lavorare sotto la continua minaccia della frusta. E, come
se non bastasse, erano costretti a soddisfare tutte le più ridicole e macabre
richieste dei loro aguzzini. Non avendo altro di cui preoccuparsi, ad un certo punto
il personale tedesco pensò, ad esempio, di soddisfare il proprio bisogno di svago e
divertimento obbligando i prigionieri ad allietare i loro pasti con spettacoli musicali
e teatrali nel cortile davanti alla mensa. I prigionieri erano alloggiati in una grande
baracca a forma di U, situata poco più a nord della reception di smistamento. Per
praticità, visto che il loro compito principale era, oltre alla manutenzione delle
strutture del campo, quello di “smaltire” i carichi dei nuovi deportati in arrivo.
Davanti alla baracca, un ampio spazio fungeva da "appelplatz", ovvero da piazzale
per l’appello.
resti del forno del pane e della la torre in pietra
Per meglio mascherare la vera funzione del campo e nello stesso tempo rendere
meno opprimente la routine quotidiana dei suoi aguzzini, in questa parte del campo
Stangl fece costruire all’inizio del 1943 anche una zona di svago, un specie di
piccolo zoo delimitato da una decorativa recinzione di betulle con al centro un
grazioso edificio pieno di rustici divani. Quale sia stata la sua vera funzione, tale
area si è però dimostrata fondamentale per una postuma corretta ricostruzione del
campo, essendo una delle poche strutture di cui esistano fotografie riprese da terra
(custodite in un album fotografico ritrovato nell’abitazione dell’ultimo comandante
Kurt Franz) che consentano di determinare accuratamente il posizionamento degli
altri edifici. Stesso discorso vale per la torre in pietra affacciata sul lato nord
occidentale del campo. Al di là della sua funzione pratica, legata alla necessità di
rimediare ad una debolezza nella sicurezza del campo in quel punto, è probabile
che abbia avuto più che altro uno scopo decorativo.
Zoo (fotografie tratte dall’album di Kurt Franz)
Il personale nazista era costituito da circa 30 SS delle Waffen-SS, in uniforme
grigia, che avevano, per la maggior parte, maturato esperienza nell’ambito del
piano di eutanasia sviluppato in Germania per l'eliminazione dei disabili fisici e
mentali e degli incurabili. Uomini come
Franz, Kuttner, Miete, Mentz, Hirtreiter
e Matthes erano già brutali assassini di
massa. A questi si aggiungevano circa
120 guardie ucraine in uniforme nere,
ex prigionieri di guerra sovietici
addestrati a Trawniki in una struttura
speciale delle SS di Lublino per essere
avviati a compiti di sorveglianza dei
prigionieri. Erano costantemente ubriachi
e vendevano tutto ciò che riuscivano a rubare nei campi per ottenere più soldi da
spendere nel bere. Dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, si guardavano intorno
Treblinka SS Bredow, Mentz, Möller e Hirtreiter
per altri divertimenti che di solito consistevano nel scegliere delle ragazze da
trascinare nella loro caserma per violentarle prima di consegnarle alle camere a
gas. Primo comandante del campo fu l'austriaco SS-Obersturmführer (tenente)
dottor Irmfried Eberl, proveniente dal centro di eutanasia di Bernburg. Psichiatra di
professione, è stato l’unico medico a comandare un campo di sterminio. Dotato
però di scarse capacità organizzative, non si dimostrò all’altezza del compito.
Nell'agosto 1942 venne infatti sollevato dal comando da Odilo Globocnik (capo
della polizia SS di Lublino e della Aktion Reinhard) dopo che una visita al campo di
Christian Wirth (da Globocnik nominato ispettore di tutti i
campi della Aktion Reinhard) aveva riscontrato un andamento
troppo caotico nella gestione del processo di sterminio. Come
testimonierà lui stesso al suo processo, al suo arrivo il 19
agosto, 1942 tutto era in uno stato di collasso, il campo era
saturo ed al di fuori del campo un treno di deportati ed era
fermo in stazione perché non poteva essere scaricato per
mancanza di spazio. Centinaia di corpi erano sparsi
dappertutto, assieme a mucchi di pacchi, valige e vestiti, con
guardie che sparavano alla cieca sulla folla per mantenere
l’ordine tra i deportati che ovviamente avevano ben intuito la sorte a cui andavano
incontro. Il fetore dei corpi in decomposizione era insopportabile e l’odore arrivava
fino a 10 km di distanza nei vicini villaggi, destando non pochi sospetti tra la gente
del posto. Esattamente il contrario di come avrebbe dovuto essere, dato che
l’operazione doveva essere condotta nella massima
segretezza. Eberl aveva infatti accettato più trasporti di
quanti Treblinka fosse in grado di gestire e ciò creò non
pochi problemi: troppo ambizioso, voleva assolutamente
superare numericamente tutti gli altri campi e
dimostrare così la sua efficienza. Per la sua
incompetenza, alla fine di agosto venne quindi sostituito
dal capitano Franz Stangl, ex comandante del campo di
sterminio di Sobibor, che aveva la reputazione di un
amministratore molto competente e responsabile. A
risolvere temporaneamente la situazione, venne invece
chiamato lo stesso Wirth, che portò con sé diversi
esperti provenienti dal campo di Belzec, tra cui come
Franz e Hackenholt. Tutti i trasporti da Varsavia
vennero temporaneamente sospesi finchè non si fosse
ritenuto che l’attività potesse riprendere regolarmente. I trasporti ripresero il 3
settembre 1942, con deportati provenienti dal ghetto di Varsavia: sulla rampa, ad
Dr. Irmfried Eberl
Franz Stangl
attenderli, c’erano tutte le massime autorità del campo, compresi Wirth e Stangl,
ansiosi di verificare che tutto andasse finalmente come previsto.
Ristabilito l'ordine, il nuovo comandante decise che il campo, doveva avere un
aspetto più attraente in modo da mimetizzarsi meglio e meglio nascondere le
atrocità che si compivano al suo interno. Ordinò quindi che le vie venissero
lastricate e che venissero piantati fiori lungo i lati del “Seidel”, la via principale.
Decise inoltre che le attività di sterminio andavano accelerate e razionalizzate e
per attuare i propri piani iniziò a selezionare gli ebrei deportati con maggiore
accuratezza, in modo da trasformare il campo in una vera e propria catena di
montaggio: barbieri per tagliare i capelli delle donne, orafi in grado di fondere e
lavorare l'oro sequestrato, sarti, cuochi, carpentieri, elettricisti e così via. Una
meticolosa divisione del lavoro svolto da gruppi specializzati quasi mai in contatto
con il resto del campo. I prigionieri che arrivavano venivano fatti spogliare e i
vestiti venivano raccolti e suddivisi per tipo da un gruppo di prigionieri, un altro
gruppo si occupava dei beni preziosi, un altro recuperava i corpi dalle camere a
gas ed estraeva dai cadaveri i denti d'oro, un altro ancora si occupava di
trasportare i morti alle fosse. Per i pochi prigionieri selezionati per il lavoro fu
decisamente una grande fortuna: prima di allora la tregua si riduceva a pochi
giorni, poi anche a loro toccava la stessa sorte di tutti gli altri. Stangl, da buon
amministratore, conosceva il valore di una forza lavoro ben addestrata e preparata
e ne allungò pertanto la possibilità di rimanere in vita anche di parecchi mesi.
Quelli che lavoravano presso la rampa che riceveva i
trasporti erano conosciuti come “i blu", per via dei
bracciali blu che indossavano. Quelli del commando
addetto alla spogliazione dei detenuti erano conosciuti
invece come “i rossi", per via della loro fascia rossa al
braccio. A Stangl piaceva indossare una divisa bianca
e portare una frusta, e per queste sue abitudini fu
soprannominato dai prigionieri "la morte bianca".
Tuttavia, nonostante fosse il diretto responsabile di
tutte le operazioni del campo, il suo contatto con i
prigionieri fu alquanto limitato. Ma solo raramente
interferiva con gli atti particolarmente crudeli
perpetrati dai suoi subordinati e ciò fu più che
sufficiente per garantirgli la condanna all’ergastolo
che ricevette nel dopoguerra. La sua responsabilità
nell’accaduto era più che evidente e fu lui stessa ad ammetterla affermando che in
fondo si trattava solo di lavoro. Secondo lui, infatti, la sua dedizione non aveva
nulla a che fare con l'ideologia o odio per gli ebrei. Accettato come un dato di fatto
deportati in partenza da Siedlce
che lo sterminio degli ebrei andava eseguito, per lui i prigionieri non erano esseri
umani ma solo un "carico" che deve essere distrutto nel modo più efficiente
possibile.
Il programma di sterminio di massa iniziò effettivamente il 23 luglio 1942, quando
giunse il primo trasporto con 6.500 deportati provenienti dal ghetto di Varsavia.
Sino al settembre 1942 arrivarono a Treblinka 366.000 deportati, per la maggior
parte dall'area di Varsavia, ad un ritmo di 6.000-7.000 al giorno. Successivamente
giunsero altri 337.000 ebrei dal distretto di Radom e 107.000 da quello di
Bialystok. Complessivamente dal Governatorato Generale giunsero attorno alle
738.000 persone, ma Treblinka fu luogo di morte anche per molti ebrei provenienti
da altri Paesi: 7.000 dalla Slovacchia; 8.000, per la maggior parte tedeschi,
provenienti dal campo di Theresienstadt vicino a Praga; 4.000 dalla Grecia, 2.800
dalla città di Salonicco; 7.000 dalla Macedonia. A questi vanno aggiunti inoltre gli
oltre 2000 zingari provenienti dai paesi balcanici.
Lo sterminio programmato continuò fino all’aprile del 1943, dopo di che arrivarono
solo più un paio di carichi isolati, tra cui i sopravvissuti della rivolta del ghetto di
Varsavia. Ricorda Franciszek Zabecki, capostazione nel villaggio di Treblinka (e
membro della resistenza polacca inviato appositamente in quel posto per riferire
sui movimenti di truppe e attrezzature tedesche) che grande fu lo stupore nel
ricevere il 22 luglio 1942 un telegramma dove si segnalava l’avvio di un servizio
navetta da Varsavia verso Treblinka con treni merci composti da 60 carri coperti
pieni di coloni "da scaricare per poi rimandare indietro il treno vuoto. Che tipo di
coloni potevano mai essere quelli, dove stavano andando a vivere e, per fare cosa?
Quando il giorno successivo il primo treno arrivò, lo stupore trovò piena conferma
nella realtà cui il capostazione s trovò di fronte. C'erano anziani, giovani, uomini,
donne, bambini e neonati stipati come bestie in carri sigillati dove erano costretti a
stare in piedi senza accesso ai servizi igienici. Le uniche prese d’aria era chiuse da
un reticolo di filo spinato. Diversi uomini delle SS, con armi automatiche, erano
pronti a sparare lungo i marciapiedi su entrambi i lati dei treni e dai tetti. Non fu
difficile intuire ciò che stava accadendo: quando mai dei coloni sono stati trasferiti
sotto una simile sorveglianza, come fossero pericolosi criminali? Treni simili
iniziarono ad arrivare ogni giorno ed ogni giorno non mancava di dover assistere a
scene raccapriccianti. Durante la sua testimonianza ai processi del dopoguerra
Zabecki ne racconta parecchi di questi episodi. Come ad esempio di quando vide
una madre gettare il proprio bambino avvolto in un cuscino dalla feritoia del carro
assieme ad un po’ di soldi, pregando le guardie di prendersene cura; un SS vista la
scena ci precipitò sul posto, scartò il cucino, afferrò il bambino peri i piedi e gli
fracassò la testa contro una ruota del carro.
Deportazione verso Treblinka
La stazione con Franciszek Zabecki al lavoro
La tecnica di eliminazione degli ebrei a Treblinka era sostanzialmente la stessa
degli altri due campi gemelli: Belzec e Sobibor. I treni in arrivo, composti
generalmente da 50-60 carri bestiame contenenti 6-7000 persone, giungevano,
dopo aver attraversato il fiume Bug, alla stazione del villaggio dove venivano
scomposti in sezioni e condotti venti vagoni alla volta, spinti da una locomotiva,
guidata da Emmerich e Klinzmann, all'interno del campo per essere scaricati. Agli
ebrei veniva detto che si trovavano in un campo di transito dal quale sarebbero
ripartiti in direzione di un campo di lavoro più ad Est. Veniva poi annunciato che
prima di procedere verso i luoghi di lavoro avrebbero dovuto sottoporsi ad una
disinfestazione e quindi invitati a
consegnare i propri oggetti di
valore che avrebbero potuto
ritirare nuovamente al momento
della ripartenza. Dalla lunga e
stretta rampa che costeggiava il
binario, i deportati venivano infine
condotti nella grande piazza del
campo per essere divisi uomini da
una parte e donne e bambini
dall’altra, spogliati e avviati alle
camere a gas per l’eliminazione.
L'abbigliamento tolto dalle vittime, dopo essere stato accatastato ed ordinato,
veniva inviato a Lublino al campo di Majdanek con il primo treno vuoto disponibile,
per essere disinfettato e quindi spedito Germania per essere distribuito (o venduto)
ai civili. Tutto ciò che non serviva, perché troppo vecchio, usurato o privo di
valore, veniva bruciato. Per le donne era previsto anche il taglio dei capelli, poi
ammucchiati e suddivisi per colore e caratteristiche, disinfettati e quindi
confezionati in sacchi per essere spediti in Germania. Per quale scopo non si sa
con certezza, anche se molte fonti si azzardano a riferire che venissero utilizzati
dalla marina militare per riempire i materassi o per realizzare gomene per i
sommergibili. Nel frattempo, il piazzale dove erano arrivati veniva ripulito in gran
fretta per essere pronto ad accogliere un nuovo lotto di condannati.
Come a Belzec e Sobibor , ben presto i tedeschi si resero conto che era la
capienza limitata delle camere a gas ad impedire l'aumento delle capacità di
sterminio. Così tra la fine dell'agosto 1942 e il settembre dello steso anno Wirth e
Stangl presero la decisione di costruire altre dieci camere a gas, passando da una
superficie complessiva di 75 mq delle 3 vecchie camere a complessivi 560 mq. Il
nuovo edificio era suddiviso in due parti, attraversato in tutta la sua lunghezza da
un corridoio centrale, con 5 camere a gas su entrambi i lati del corridoio. Le nuove
camere, più capienti, erano quadrate e misuravano circa 50 mq con un’altezza di
appena 1,90 metri, più bassa di circa 60 cm rispetto a quelle vecchie per renderle
più efficienti e ridurre la quantità di gas necessario alo sterminio. Ogni camera
aveva due porte parallele: una, rivolta verso il corridoio, fungeva da entrata; l'altra,
I nuovi arrivati vengono spogliati e inviati verso le camere a gas
nel muro opposto. dava verso il campo e la vicina fossa comune ed era usata per la
rimozione dei cadaveri,. Le porte d'ingresso e di rimozione dei corpi erano
sostanzialmente identiche alle precedenti, ovvero in ferro a tenuta stagna ed un
piccolo pannello in vetro nel muro di ogni camera consentiva alle SS ed alle
guardie ucraine di controllare l'interno per verificare il corretto svolgimento
dell’operazione. Verso l’esterno le porte si aprivano su apposite piattaforme
realizzate su entrambi i lati della costruzione, accanto alle quali vennero
predisposti dei binari a scartamento ridotto per un più rapido trasporto dei
cadaveri con appositi carrelli verso le fosse di seppellimento, dove due grandi
escavatori lavoravano giorno e notte per creare nuovi spazi necessari ad
accogliere un numero sempre crescente di corpi. Per facilitare il lavoro di scarico
di ogni camera, il pavimento venne realizzato in discesa. All’esterno l’edificio non
si presentava però come un luogo di morte. Visto dal campo aveva l’aspetto di una
grande sinagoga, con una enorme stella di David sul tetto ed una ampia gradinata
all’ingresso decorata con ciotole di fiori su entrambi i lati. Anche l’interno era
abilmente camuffato. L'ingresso al corridoio era nascosto da una grossa tenda
cerimoniale ebraica rosso scuro recuperata da una vera sinagoga, con su scritto,
molto ironicamente data la situazione, parole in ebraico che recitavano: "questa è
l’entrata verso Dio, gli uomini giusti passano attraverso di essa”. Per la
costruzione, durata cinque settimane utilizzando il lavoro di oltre 600 prigionieri,
vennero usati i mattoni di un vecchio camino della fabbrica di vetro di Malkinia,
appositamente demolito. Ad occuparsi del montaggio arrivò un esperto con una
squadra di specialisti: Lorenz Hackenholt, che aveva già provveduto a costruire ed
attivare le camere a gas di Belzec e Sobibor.
ricostruzione grafica di come si pensa fossero le camere a gas secondo le indicazioni fornite dai testimoni
L’accelerazione del processo di sterminio fu impressionante. Dalla capacità
massima di 600 persone delle vecchie camere a gas, rimaste in funzione durante
tutto il periodo di costruzione delle nuove, si passò a quasi 6.000, ovvero dieci
volte tanto. Sotto la direzione di Heinrich Matthes (direttore del campo superiore)
e dei suoi assistenti Rum, Potzinger, Munzberger, Horn e Floss l’eliminazione degli
ebrei raggiunse l’impressionante cifra di oltre trentamila persone al giorno nei
periodi di massima attività e di diecimila in quelli in cui l’attività di sterminio era
meno intensa. Alle camere a gas i prigionieri giungevano affrettatamente,
spintonandosi a vicenda per poter entrare e sfuggire così alle percosse delle
guardie ed ai morsi dei cani che li seviziavano durante il loro breve cammino verso
la morte. Uno dei tedeschi, un uomo di nome Zepf, era una bestia vile e feroce che
provava un piacere speciale nel
torturare i bambini. Non era raro che
strappasse i bambini dalle braccia della
madre ed afferrarlo per le gambe per
poi a metà o afferrarlo per le gambe
spaccargli la testa contro un muro e
lanciare via il corpo. All’interno, la
morte era lenta e terrificante. L’agonia
durava quando tutto andava bene poco
meno di mezz’ora, dopo di che la stanza si
trasformava in un ammasso di cadaveri in
piedi che si sostenevano a vicenda perché non vi era un solo centimetro di spazio
libero. Ma spesso molti morivano soffocati semplicemente per il sovraffollamento.
Quando poi il motore che pompava il gas nella stanza era difettoso, le vittime
impotenti dovevano soffrire per ore e ore prima di morire I genitori tenevano i
loro figli in braccio, nella vana speranza che questo li avrebbe salvati dalla morte.
Non era raro che alla riapertura delle
camere si incontrasse qualcuno ancora
vivo, che veniva finito con il calcio del
fucile o peggio ancora gettato ancora vivo
nella fossa comune. Un gruppo di uomini
armati di pinze dentali provvedeva poi ad
estrarre tutto il platino e l’oro dalle bocche
delle persone uccise, ordinando
successivamente i denti in base al valore
per confezionarli in scatole e spedirli in
Germania. I cadaveri venivano infine caricati sui carrelli e spinti lungo i binari a
scartamento ridotto verso lunghe fosse comuni, dove venivano disposti in file. La
sadicità dei carnefici raggiungeva poi la massima soddisfazione quando arrivavano
i trasporti contenenti i prigionieri provenienti da paesi stranieri. Per timore che
sorgessero sospetti su ciò che li aspettava, al contrario degli ebrei polacchi
venivano trasportati su treni passeggeri con tanto di biglietto per Ober-Majdan
(nome in codice per indicare Treblinka) ed il permesso di portare con sé tutto ciò
verso le camere a gas
I cadaveri vengono spinti su carrelli verso le fosse comuni
di cui avevano bisogno. I treni dall’Europa arrivavano senza scorta, con il
personale ferroviario d’ordinanza. Durante il viaggio, su una apposita carrozza,
funzionava addirittura un servizio ristorante. Ma al loro arrivo a Treblinka
anch’essi si trovavano improvvisamente di fronte alla cruda realtà. Scesi dalle loro
comode carrozze, venivano sottoposti alla stessa procedura di tutti gli altri.
Solitamente erano persone ben vestite, che portavano con sé notevoli quantità di
cibo e di vestiario e questo non faceva che alimentare ancora di più il sadismo
delle guardie, ben felici di poter razziare le nuove ricchezze in arrivo. Dal momento
che tutti pensavamo che li stessero semplicemente trasferendo per essere
reinsediati in un luogo sconosciuto dell’est, i deportati avevano infatti portato con
sé i loro beni più preziosi oltre alle cose essenziali. Su di loro l’accanimento dei
carnefici fu ancora maggiore. Forse per invidia del loro aspetto ben nutrito, i boia
si divertirono a tormentarli ancora di più. Dopo averli ben seviziati e torturati, a
loro veniva erogata solo piccole quantità di gas in modo che l’agonia durasse tutta
la notte.
Ovviamente si tratta di informazioni desunte dalle testimonianze dei sopravvissuti
(in particolare da quelle di Yankel Wiernik, che come esperto falegname partecipò
alla loro costruzione) raccolte in fase istruttoria nel corso degli interrogatori dei
carnefici imputati nei processi del dopoguerra. Esiste tuttavia, caso unico per
quanto riguarda campi di sterminio, anche una preziosa fotografia scattata da Kurt
Franz (vice comandante del campo) che, seppur molto parzialmente, ne conferma
l’esistenza sullo sfondo dell’escavatore usato per scavare le fosse comuni.
Fotografie di Kurt Franz con visibili sullo sfondo le camere a gas
Dello stesso periodo è anche la costruzione del “Lazarett", una apposita area
pensata per poter rapidamente sgomberare quegli ebrei che risultavano troppo
deboli, anziani o malati per raggiungere da soli le camere a gas. Una volta separati
dal resto del gruppo questi ebrei venivano trasportati verso uno stabile sul quale
sventolava una bandiera della Croce Rossa, all’interno del quale però le guardie
ucraine e le SS mitragliavano le vittime.
Himmler visitò il campo tra il febbraio ed il marzo 1943 e ordinò che le tracce dello
sterminio venissero cancellate. In quel periodo nel mondo si parlava molto di
Katyn, la strage di ufficiali placchi perpetrata dei russi dopo la spartizione della
Polonia avvenuta in seguito al patto russo-tedesco. I tedeschi la usarono
abilmente a scopo propagandistico antisovietico, ma si resero conto che la stessa
cosa sarebbe potuta accadere a loro e
pertanto, dopo che la sconfitta di
Stalingrado nell'inverno del 1942-43 li
rese ben consapevoli che presto o tardi le
armate russe sarebbe giunte sul posto,
decisero che era meglio occultare ogni
prova dei crimini perpetrati nei campi di
sterminio. Sotto la guida dell’SS-
Scharführer Floss le grandi fosse comuni
vennero quindi riaperte ed i cadaveri
esumati e bruciati su apposite enormi
graticole costruite con resti di binari. Le
testimonianze rese in proposito da Yankel Wiernik (1889-1972) nel suo opuscolo
clandestino “un anno a Treblinka” pubblicato nel 1944, sono agghiaccianti. Unico
trai pochi sopravvissuti ad aver lavorato nei Sonderkommando incaricato dello
smaltimento dei cadaveri provenienti dalle camere a gas, come esperto falegname
godeva di una certa temporanea immunità e di una certa libertà di movimento
all’interno del campo, cosa rigorosamente esclusa per chiunque si trovasse a
dover lavorare anche solo temporaneamente nel campo superiore, ma non certo di
un trattamento di favore se non quello di
non essere immediatamente ucciso perché
utile. Stando a quel che ha raccontato, si
scoprì ben presto che i corpi delle donne
bruciavano più facilmente di quelli degli
uomini e di conseguenza venivano usati
per accendere i fuochi. Nelle donne in
gravidanza, la pancia bruciando si apriva
mostrando il feto che bruciava nel grembo
della madre. Scene orribili a cui i
prigionieri addetti alla crematura erano
costretti ad assistere ogni giorno ma che non destavano la minima emozione nelle
guardie e nelle SS che al contrario stavano a guardare compiaciuti. Stavano in piedi
resti fosse comuni
cumuli di cenere
vicino alle ceneri, irradiando una satanica soddisfazione, brindando alla scena con il
brandy e con i più raffinati liquori e facendo baldoria scaldandosi attorno al fuoco.
Ma non sempre le cose andavano come avrebbero
sperato. Il lavoro si mostrava più lungo e arduo
del previsto. Occorrevano notevoli quantità di
benzina per alimentare il fuoco e ciò comportava
notevoli spese con risultati non sempre adeguati.
Ogni volta che un aereo veniva avvistato, tutto il
lavoro veniva interrotto ed i cadaveri ricoperti di
fogliame per camuffarli contro le ricognizioni
aeree, aumentando costi e ritardi. A risolvere il
problema venne fatto arrivare dalla Germania un
altro esperto: lo Scharfurher Herbert Floss, un
uomo tarchiato di circa cinquant’anni (la macchina
della morte nazista era così meticolosa da riuscire
a partorire esperti in ogni possibile ramo del
settore: esperi nell’uccidere bambini, esperti di
camere a gas, esperti di impiccagioni e perché no,
anche esperti in esumazione e incenerimento di
cadaveri). Fu lui ad introdurre le necessarie
innovazioni per rendere la macchina distruttiva di
prove molto più efficiente. A differenza degli altri
campi di sterminio (Auschwitz-Birkenau,
Majdanek), quelli della Aktion Reinhardt non contemplavano la presenza di appositi
forni crematori per lo smaltimento dei cadaveri. La decisione di bruciare i corpi
delle vittime, inizialmente sotterrate in enormi fosse comuni, venne infatti stata
presa solo molto tempo dopo che i campi erano in funzione. Ma quanto riuscì a
ideare Floss a Trablinka supera di gran lunga
quanto il più grande crematorio al mondo
sarebbe mai stato in grado di incenerire in un
lasso di tempo così breve. Per riesumare i
cadaveri venne messo in funzione un altro
enorme escavatore, in aggiunta agli altri due
già usati per scavare le fosse e venne
costruita un’altra enorme fossa lunga più di
250 metri, larga 25 e profonda sei da
utilizzare come immenso forno-rogo in grado di smaltire sino a 4.000 cadaveri alla
volta. Sul fondo della fossa furono posate tre file equidistanti di piloni in cemento
armato di un metro d’altezza quale basi per le travi d’acciaio su cui appoggiare le
griglie per i roghi (costituite da intrecci di tronconi di binario) su cui ammassare i
cadaveri. Per accelerare il processo di cremazione, venne costruita anche una
apposita monorotaia di collegamento con le fosse di sepoltura. Inizialmente I corpi
riesumati venivano ammucchiati sul piazzale e da lì spostati dagli ebrei del
Sonderkommando con una barella verso le graticole di cremazione, ma il
procedimento si dimostrò, nonostante vi fossero impegnati centinaia di prigionieri,
troppo lento. Ma ancora non bastava. I tedeschi avevano fretta: c’erano più di
mezzo milione di morti da smaltire ed ai vecchi cadaveri riesumati si aggiungevano
nel frattempo anche quelli di tutti i nuovi arrivati, non più seppelliti nelle fosse ma
cremati immediatamente dopo la gassazione. Così se ne costruirono altre due, in
modo da riuscire a incenerire non meno di 10.000 cadaveri per volta, che
lavorando giorno e notte in un paio di mesi avrebbero consentito di risolvere
definitivamente la questione.
riaperuta fosse comuni e cumuli di cenere (fotografie di Kurt Franz
Tutto ciò presupponeva la disponibilità di enormi quantità di legna da ardere, che in
una zona così boscosa non mancavano di certo. Confrontando le fotografie delle
ricognizioni aeree postume con quelle scattate da Franz Kurt si desume però che i
primi alberi ad essere abbattuti furono quelli all’interno del campo stesso e poi man
mano quelli del campo stesso e poi man mano quelli più facilmente a portata di
mano, introdotti attraverso una apposita strada di servizio. Le ceneri, setacciate
per rintracciare qualsiasi residuo di ossa da frantumare a mano o rigettare nel
fuoco, secondo le direttive di Himmler dovevano essere portate fuori dal lager e
sparse nei campi o lungo le strade. In pratica servirono a fertilizzare il terreno su
cui avrebbe dovuto sorgere la fattoria una volta smantellato il campo. Secondo la
loro cinica visione, in questo modo gli ebrei avrebbero avuto una loro utilità per il
regime anche da morti. Oltre che dalle fotografie recuperate nell’album di Franz
Kurt, la presenza dei tre escavatori è documentata anche nelle lettere di vettura
dei carri inviati da Treblinka dopo la liquidazione del campo, che li menzionano
esplicitamente. Uno di loro risulta spedito il 29 giugno 1943 ad una ditta di
Berlino, la Adamo Lamczak in Willy Waltherstrasse 30-3 Tr
Pur isolati e stremati dalle atroci condizioni di vita, i prigionieri di Treblinka
vennero a sapere della rivolta del ghetto di Varsavia e vollero tentare un'azione
analoga. Verso l'aprile del 1943 si formò un gruppo di resistenza formato da circa
settantina di persone capeggiato dal dottor Julian
Chorazycki, un ex poliziotto polacco, l’ingegnere
Marceli Galewski, Zelo Bloch, Zvi Kurland, il dottor
Leichert e da altri capi delle squadre di lavoro. Il
gruppo elaborò un progetto di fuga di massa, che
consisteva nell'assalire le guardie, sottrarre loro le
armi, distruggere gli impianti di morte e fuggire nei
boschi circostanti il campo Quando la cremazione dei
cadaveri era pressoché terminata fu chiaro ai membri
della resistenza che il campo sarebbe stato chiuso e che
i sopravvissuti sarebbero stati uccisi. Occorreva quindi
agire subito e così il 2 agosto 1943 dettero inizio alla
rivolta. I prigionieri riuscirono ad impossessarsi delle
chiavi dell'armeria e vennero distribuite le armi. Una SS,
Kurt Küttner, si accorse però che stava accadendo qualcosa e cercò di dare
l'allarme. I resistenti furono costretti a sparargli uccidendolo ed il colpo mise in
allarme le guardie. Il piano di impadronirsi del campo venne abbandonato e si
decise di tentare la fuga prendendo letteralmente d’assalto il portone principale. La
maggior parte dei prigionieri in fuga venne falciata dalle mitragliatrici poste sulle
torrette e quelli che riuscirono ad uscire dal campo vennero attaccati da altre unità
SS arrivate di rinforzo dal vicino campo di lavoro Treblinka I e dalla polizia locale. I
più decisi tra i prigionieri ingaggiarono uno scontro a fuoco con le SS del campo e,
prima di allontanarsi, diedero fuoco alle baracche. Nel campo al momento della
rivolta vi erano circa 840 prigionieri tra uomini e donne. Circa un centinaio non
parteciparono alla rivolta e dei rimanenti 740 soltanto 60 riuscirono a salvarsi e
sopravvivere sino alla fine della guerra. Tra i prigionieri che sono rimasti nel
campo dopo la rivolta, alcuni sono stati uccisi sul posto, mentre gli altri sono stati
costretti a demolire le strutture rimanenti e cancellare tutte le tracce delle attività
omicide del campo. Solo le camere a gas continuarono a funzionare, gassando il
21 agosto 1943 le ultime vittime provenienti da Bialystok. In seguito alla rivolta, il
campo fu gravemente danneggiato dagli incendi. L’eliminazione degli ebrei
polacchi, grazie anche al lavoro degli altri campi dell’Aktion Reinhardt disseminati
sul territorio, era stata ormai largamente completata e pertanto invece di
Incendio durante la rivolta
ricostruirlo si preferì cessare ogni operazione e smantellarlo utilizzando i
prigionieri rimasti in vita. L'opera di demolizione andò avanti sino all'autunno. Il 20
ottobre 1943 gli ultimi ebrei furono caricati su cinque vagoni ed inviati a Sobibor
dove vennero sterminati. Il campo venne letteralmente raso al suolo ed in sua
sostituzione impiantate attività agricole per nascondere le atrocità commesse,
insediandovi una guardia ucraina di nome Streibel con la sua famiglia al fine di
proteggere il sito dal saccheggio da parte della popolazione
locale. A lavoro ultimato, anche gli ultimi trenta ebrei lasciati
a Treblinka per terminare i lavori di mascheramento del
campo furono fucilati. Di lì a poco la stessa sorte toccherà
anche agli altri campi. A gestire lo smantellamento del campo,
in sostituzione del comandante Stangl trasferito a Trieste
insieme al suo superiore Odilo Globocnik, venne chiamato il
suo vice, il sottotenente SS Kurt Hubert Franz. Trasferito a
Treblinka nell’agosto del 1942 per ricoprire l’incarico di
responsabile delle guardie ucraine (ruolo che aveva già
ricoperto con particolare efferatezza a Bełżec, da cui
proveniva), Franz Kurt raggiunse rapidamente i vertici della
gerarchia di Treblinka, divenendo in poco tempo di fatto l'aiutante del comandante
Franz Stangl. Soprannominato dai deportati “Lalke” (termine yiddish che significa
bambola) per via della sua avvenenza e dei lineamenti infantili del viso, era
conosciuto come uno dei più sadici e crudeli membri delle SS del campo,
temutissimo dai prigionieri per la sua bestialità e la tendenza alle uccisioni
arbitrarie. Il 21 giugno 1943 venne promosso ufficiale, probabilmente per meriti sul
campo, ottenendo il grado di SS-Untersturmführer (sottotenente). A novembre,
terminato lo smantellamento del campo, anche lui, come buona parte del
personale dell'Operazione Reinhard, per la sua provata esperienza venne inviato a
Trieste per gestire il campo di concentramento della Risiera di San Sabba, dove si
distinse nuovamente per la brutalità nella lotta antipartigiana e nelle deportazioni
degli ebrei sloveni ed italiani.
la fattoria impiantanta dopo la demolizione del campo con relativi contadini
Kurt Hubert Fraz
All'arrivo dei sovietici, il contadino addetto alla conduzione della fattoria costruita
sul campo di sterminio negò un precedente utilizzo differente del terreno
circostante, ma quando Streibel e la sua famiglia lasciarono il sito, la popolazione
locale scese nell'ex campo alla ricerca di oro e altri oggetti di valore portando alla
luce molte parti di corpi decomposti in quella che era stata l'immensa fossa
comune. Quando la commissione polacca per i crimini di guerra commessi nel
Paese indagò sull’area nel 1945, incontrò non poche difficoltà a ricostruire
l’accaduto avvalendosi delle testimonianze dei pochi sopravvissuti. Vi erano non
poche discrepanze tra le varie dichiarazioni e non poteva che essere così, data la
particolare natura e conformazione del campo. Era infatti materialmente
impossibile vedere da una sezione all’altra del campo, poiché la maggior parte delle
recinzioni era camuffata ed impediva la vista. Inoltre il campo fu intenzionalmente
collocato su una collinetta tra i resti di una zona boscosa, il che rendeva
praticamente impossibile stabilirne con certezza sia le dimensioni che la forma (
che era in effetti un trapezio irregolare). Infine il campo passò attraverso diversi
stadi di costruzione, aggiungendovi strutture e modificando la disposizione delle
recinzioni. Ciò non impedì però di disegnarne delle mappe più o meno
corrispondenti alla realtà, ed il fatto che sia il comandante del campo che il suo
vice abbiano confermato l’esattezza di tali mappe nei processi a loro carico le
rende senza dubbio abbastanza attendibili.
Grazie alle testimonianze dei pochi sopravvissuti, molti di coloro che prestarono
servizio nel campo vennero arrestati e processati nel corso degli anni successivi
alla fine della guerra. Il processo principale si tenne a Düsseldorf tra il 12 ottobre
1964 e il 24 agosto 1965. Tra gli imputati, Kurt Hubert Franz, ultimo comandante
di Treblinka, condannato all’ergastolo. Al momento del suo arresto, durante una
perquisizione, venne ritrovato nella sua abitazione un album di fotografie scattate
nel campo di Treblinka, cosa del tutto inaspettata visto che le SS hanno fatto di
tutto per cancellare ogni prova e non lasciare tracce dei crimini commessi. Una
scoperta che verrà custodita con molta cura dagli inquirenti, trattandosi dell’unica
preziosa testimonianza visiva di quanto accaduto,
seppur solo dell’ultimo periodo quando ormai il campo
era in via di smantellamento. Le fotografie nei campi
erano state espressamente vietato dalle direttive SS,
tuttavia Franz le ignorò e fece scattare numerose
fotografie alle strutture ed alle attività nel campo,
evitando però accuratamente di riprendere quelle più
compromettenti e comunque sempre in un modo molto
discreto che non rendesse facilmente riconoscibili
nessuna delle strutture esistenti. Nonostante ciò gli
indizi presenti in tali fotografie, confrontate con quelle
aeree scattate dalla Luftwaffe dopo la demolizione del
campo tra maggio e ottobre del 1944 quando ancora la
zona era in mano tedesca, si sono rilevati utilissimi per
localizzare e posizionare correttamente le varie strutture del campo. Arrestato
dalle forze americane al termine del conflitto, riuscì a fuggire e tornare a
Düsseldorf, dove iniziò a esercitare liberamente la sua professione di cuoco.
Arrestato nuovamente nel 1959 mentre lavorava nel ristorante Schmoller, fu
processato e condannato al carcere a vita per l'omicidio di almeno 139 internati e
per la complicità nello sterminio di almeno 300.000 ebrei. La sentenza causò in
Germania e nel mondo grande scandalo, perché considerata troppo mite. Rilasciato
a causa dell'età avanzata e per problemi di salute a metà del 1993, morì il 4 luglio
1998 in una casa di riposo per anziani a Wuppertal in Germania.
Ma già ben prima la macchina della giustizia si era messa in moto. L’SS Josef
Hirtreiter fu il primo ad essere sottoposto a processo per crimini
di guerra. Innterrogato nel luglio 1945 a Francoforte sul Meno sul
programma di eutanasia al sanatorio Hadamar, venne rilasciato
per mancanza di prove. Arrestato nuovamente, il 3 marzo 1951, al
processo di Francoforte fu riconosciuto da Sawek Warszawski,
sopravvissuto agli orrori di Treblinka, giudicato colpevole di di
aver ucciso i bambini a Treblinka, durante lo scarico dei treni,
tenendole per i piedi e fracassare la testa contro i vagoni e
condannato all'ergastolo.
Kurt Hubert Franz
Un secondo processo si tenne, sempre a Düsseldorf, nel mese di luglio del 1970
per portare sul banco degli imputati Franz Stangl, il secondo comandante del
campo. Imprigionato dagli Alleati dopo la guerra, è stato
rilasciato dopo due anni senza essere stato mai messo sotto
processo. Dopo il suo rilascio, si recò in Italia, da cui, con
l’aiuto dal Vaticano, riuscì a fuggire in Siria dove visse con la
propria famiglia per tre anni prima di trasferirsi
definitivamente, nel 1951, in Brasile. Stangl era nativo
dell’Austria e per anni le autorità austriache si rifiutarono di
consegnarlo alla giustizia per l'assassinio di migliaia di ebrei a
Treblinka, finchè nel 1961, non acconsentirono a spiccare su
di lui un nuovo mandato di cattura. Sarà il famoso cacciatore di
nazisti, Simon Wiesenthal a scovarlo sei anni dopo in Brasile dove lavorava in una
fabbrica di Volkswagen a San Paolo usando tranquillamente il proprio nome.
Arrestato il 28 febbraio 1967, fu estradato in Germania, processato e quindi
condannato all’ergastolo per la sua evidente responsabilità nella morte di quasi
900.000 persone durante il suo mandato come comandante di Treblinka. Ma non
scontò mai la pena: morì di un attacco di cuore in carcere il 28 giugno 1971 prima
ancora di conoscere i risultati della sentenza di appello.
Delle numerose guardie ucraine, Fedor Fedorenko, estradato nel 1984 in Unione
Sovietica Stati Uniti dove era emigrato, è'stato condannato a
morte con un processo pubblico nel giugno 1986. John (Ivan)
Demjanjuk, diventato cittadino americano, venne espulso nel
1986 dagliStati Uniti ed estradato in Israele con l’accusa di
essere il famigerato "Ivan il Terribile" di Treblinka. Giudicato
colpevole sulla base
delle testimonianze di
cinque sopravvissuti,
fu condannato a
morte il 25 Aprile 1988. Ricorso in appello,
è stato rilasciato in quanto non vi erano
prove inconfutabili volte a dimostrare che
Demjanjuk fosse davvero la spietata
guardia di Treblinka, che altre ricerche
individuavano in un uomo di nome Ivan
Marchenko, ucciso con una pala nel corso della rivolta dei prigionieri a Treblinka
nel 1943
Franz Stangl in carcere
Fedor Fedorenko
John (Ivan) Demjanjuk
La catena di comando della Aktion Reinhard
Treblinka OGGI
Oggi l’intera area dove sorgevano i due campi è considerata monumento nazionale.
Nel febbraio del 1960, il Consiglio regionale di Varsavia decise di affidare allo
scultore Franciszek Duszenko ed all’architetto Adam Haupt la progettazione di un
memoriale da realizzare nel sito dove si trovava il campo di sterminio, inaugurato
nel 1964. In una grande area circolare circondata da alberi venne realizzato una
specie di cimitero simbolico, costituito da 17.000 pietre di varie dimensioni fissate
nel calcestruzzo, delle quali 700 portano i nomi delle città da cui sono state
deportate le vittime. Al centro, un enorme obelisco in pietra alto 8 metri con scritto
“mai più” in varie lingue nella parte superiore. L’opuscolo informativo distribuito
all’ingresso del memoriale non spiega però a cosa si debba esattamente la scelta di
tale numero. Alcuni affermano che corrisponda al più alto numero di ebrei uccisi in
un solo giorno quando il campo era in funzione; altri dicono che rappresenti il
numero di comunità ebraiche distrutte durante l'Olocausto. Il memoriale non è però
solamente un monumento alla memoria del popolo ebraico. La sua creazione è
infatti avvenuta nel contesto di una percezione nazionale del dramma che lì è stato
vissuto da centinaia di migliaia di persone, vittime di un martirio che tutta la
nazione polacca ha subito durante la guerra.
Arrivando all'ingresso del sito si ha l’impressione di trovarsi in una vecchia strada
di taglialegna attraverso il bosco. Poi uno stretto parcheggio ed un piccolo edificio
che funge da ufficio informazioni avverte che si è giunti alle porte del campo,
raggiungibile, superata una grande lapide in pietra, seguendo una ben curata strada
acciottolata. Là dove c’era l’ingresso vero e proprio, due grossi blocchi di pietra
sono stati disposti ad angolo in modo da formare un cancello, superato il quale si
prosegue costeggiando una sulla destra lunga fila di traversine in cemento là dove
un tempo correva il binario che entrava nel campo, smantellato dai tedeschi
assieme a tutto il resto alla fine del 1943. Accanto ad essa, una serie di marcatori
in pietra delineano quello che era il confine nord originario del campo.
Al fondo della linea ferroviaria, un basamento sulla sinistra indica il punto dove si
trovava la piattaforma di arrivo dei deportati dietro la quale era collocata la finta
stazione ferroviaria. Nelle immediate vicinanze, una fila di lapidi commemorative
ricorda i 10 diversi Paesi da cui provenivano. Poco più avanti, un cartello invita a
deviare verso est, verso il dolce pendio dove si trovava l’area dedicata allo
sterminio vero e proprio.
E’’ su questa collinetta che è stato realizzato il cimitero simbolico composto da
17000 pietre di varie dimensioni e colori con indicati su alcune di esse i nomi delle
città da cui provenivano i deportati. Le dimensioni dipendono probabilmente dal
tributo in vittime che ciascuna città versò all’olocausto di Treblika. Non per nulla la
più grande è dedicata a Varsavia, che da sola contribuì per oltre la metà al numero
complessivo di ebrei sterminati nel campo. Al centro, dove si suppone fossero
ubicatele camere a gas, un grande monumento in granito, progettato per
assomigliare ad una lapide ebraica.
Poco oltre, verso est, sul luogo dove erano situate le fosse con le grandi graticole
per la cremazione, una enorme distesa di basalto fuso
Dal cimitero virtuale, proseguendo per una comoda stradina sterrata in mezzo ai
boschi, in una decina di minuti si arriva al campo di lavoro passando sul bordo della
ex cava di ghiaia.
Il piccolo museo all’entrata del Memoriale è aperto tutti i giorni: dal 1 aprile al 31
ottobre dalle ore 9.00 alle 18.30 e dal 1 novembre al 31 marzo dalle 9.00 alle -
16.00, ad eccezione dei giorni di Natale e Pasqua.
Per raggiungere il sito, da Varsavia percorrere per circa 60 km la statale N.8 verso
Bialystok lungo un percorso completamente pianeggiante costeggiato da campi e
fattorie che pian piano si addentra nelle foreste di quello che viene definito il
“selvaggio est!” della Polonia. Quindi svoltare a destra sulla 694 verso Malkinia
Gorna senza però raggiungerla poiché è molto probabile che il ponte su fiume Bug
che si deve attraversare per arrivare a Treblinka sia tuttora non percorribile dai
mezzi motorizzati. Giunti a Brok, svoltare invece nuovamente a destra sulla
provinciale 50 che devia a sud e dopo un paio di chilometri a sinistra per
immettersi in una tortuosa e stretta strada locale che dopo una decina di chilometri
si ricollega con quella che era la strada principale proveniente da Malkinia Gorna
Proseguire quindi verso la minuscola frazione di Poniatowa, il centro abitato più
vicino al Memoriale e cercare le indicazioni per il campo. Il villaggio di Treblinka è
ormai completamente disabitato e composto da pochi edifici in rovina.
BLIOGRAFIA
http://www.olokaustos.org/bionazi/index.htm
http://www.deathcamps.org/treblinka/treblinka_it.html
http://www.zchor.org/treblink/wiernik.htm
http://www.holocaustresearchproject.net/ar/treblinka.html
http://www.scrapbookpages.com/Poland/Treblinka/introduction.html
http://www.ihr.org/jhr/v12/v12p133_Allen.html
http://dl.dropbox.com/u/47875651/TheHellOfTreblinka.html
http://www.shoah-treblinka.com/TreblinkaIndex.html
http://www.answers.com/topic/franz-stangl#ixzz2DQqsJeOa
Vasilij Grossman: l’inferno di Treblinka
Jean-François Steiner : Treblinka la rivolta di un campo di sterminio
NOTE DELL’AUTORE:
Il presente lavoro viene pubblicato esclusivamente per finalità divulgative al fine di mantenere viva nelle
nuove generazioni la memoria delle atrocità perpetrate nei campi di concentramento e di sterminio
nazisti ed in nessun caso potrà mai essere utilizzato a scopi commerciali. Tulle le informazioni contenute
in questo articolo sono desunte dai siti e dalle pubblicazioni citati nella bibliografia e dalle didascalie dei
pannelli espositivi del memoriale visitato dall’autore nel 2006. Tutte le immagini e le fotografie
provengono dai siti sopracitati o da altre pagine web facilmente individuabili tramite i principali motori
di ricerca. Le fotografie più recenti provengono tutte dal mio archivio personale. Qualora i proprietari
detentori dei diritti delle fotografie utilizzate ritengano che esse debbano essere tolte o che si debba
aggiungere una dettagliata citazione della fonte da cui sono tratte, sono pregati di contattarmi affinché
possa celermente provvedere in merito.
AUTORE: FRANCO BORGIS - mail: francoborgis@tiscali.it