Post on 15-Feb-2019
PROF. ALFONSO DE MARCO
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Tecniche analitiche più usate per le sostanze organiche
Le tecniche analitiche strumentali sono un utilissimo strumento per identificare
sostanze incognite (analisi qualitativa), ad esempio per riconoscere tutti i
prodotti ottenuti in un processo di sintesi o per determinare la composizione di
un refluo industriale, o per indagini ambientali. Sono inoltre anche utilizzabili per
l’analisi quantitativa, ossia per dosare le quantità dei vari composti che
costituiscono il campione analizzato, ad esempio per determinazioni di
purezza di un prodotto.
Le principali tecniche analitiche strumentali oggi in uso ricadono per lo più in
una delle tre categorie delle analisi cromatografiche, delle analisi
spettroscopiche e delle analisi elettrochimiche. Tutte queste tecniche si
basano su uno strumento in grado di raccogliere i dati di interesse e su un
computer dotato di un software in grado di elaborare il segnale traducendolo
in un tracciato (spettro) o altro tipo di output che l’operatore possa leggere e
interpretare.
Metodi spettroscopici
La spettroscopia è la misura e l’interpretazione delle radiazioni
elettromagnetiche assorbite, diffratte o emesse da atomi, molecole o altre
sostanze chimiche. L’assorbimento o l’emissione sono associate a
cambiamenti negli stati energetici delle specie chimiche interagenti ,
ciascuna delle quali ha determinati stati energetici caratteristici, in base ai
quali può essere identificata. L’eccitazione di elettroni a stati di più alta
energia, sia per gli atomi che per le molecole, è associata ad assorbimento di
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radiazioni nel campo del vicino UV e del visibile (spettroscopia UV- Vis). Ad
energie di circa un ordine di grandezza inferiori sono invece associati i moti
vibrazionali delle molecole, che danno luogo ad assorbimenti nell’infrarosso
(spettroscopia IR). Vi è poi un tipo di spettroscopia basata sul momento
magnetico dei nuclei atomici e sulla loro interazione con campi magnetici
esterni (spettroscopia NMR). Infine, solidi cristallini possono essere analizzati
mediante diffrazione di raggi X per la determinazione della geometria del
cristallo.
Spettrofotometria UV
La strumentazione si compone di una sorgente di radiazione (lampada al
deuterio, lampada a incandescenza ecc.), un monocromatore, ossia un filtro
che permetta di sottoporre il campione a irraggiamento con luce
monocromatica, così da poter misurare l’intensità dell’assorbimento per ogni
singolo valore di ⎣, un sistema di specchi e fenditure tale da suddividere la
radiazione in due raggi uguali di cui uno colpisca il campione da analizzare e
l’altro il riferimento (di solito lo stesso solvente puro) in modo da azzerare le
sorgenti d’errore sistematico provenienti dal solvente, dalla cella e dallo
strumento.
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In ascissa è riportata la lunghezza d’onda, che può variare tra il vicino UV (200-
400 nm) e il visibile (400-700 nm). In ordinata l’assorbanza A, data da:
A = ∑CL
dove C è la concentrazione dell’analita in soluzione, espressa in mol L-1, L è la
lunghezza della cella in cm e ∑ è il coefficiente di estinzione molare espresso in
L mol-1cm-1. A è adimensionale.
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Spettrofotometria IR
La regione spettrale dell’infrarosso si estende dall’estremità rossa dello spettro
visibile fino alle microonde, cioè da 0,7 a 500⎧m di lunghezza d’onda. La zona
usata più di frequente si trova però a frequenze comprese fra 4000 e 400 cm-1
(⎣ compresa fra 2,5 e 50 ⎧m). La molteplicità di modi vibrazionali che hanno
luogo simultaneamente durante l’eccitazione produce uno spettro di
assorbimento complesso, caratteristico dei diversi gruppi funzionali presenti
nella molecola.
Esempio di spettro infrarosso relativo al m-dietilbenzene.
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Di seguito sono riportate le frequenze di assorbimento infrarosso caratteristiche
dei principali gruppi funzionali.
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Spettrometria NMR
Si tratta di una spettroscopia basata sul fatto che la rotazione dei nuclei
atomici su se stessi, a causa della loro carica elettrica, genera un campo
magnetico il quale, introdotto in un campo magnetico esterno uniforme, si
orienta. I nuclei così orientati, per effetto di una radiofrequenza applicata ad
un angolo opportuno, possono assorbire energia a specifiche frequenze
invertendo il proprio asse di rotazione.
Vi sono tipi di nuclei che non danno luogo a questo effetto, detto di risonanza
(NMR = Nuclear Magnetic Resonance), e altri che invece la presentano,
ciascuno a particolari e specifici valori di frequenza: fra questi vi sono gli isotopi
1H (il comune idrogeno, il più usato), 13C, 19F e altri. Limitandosi alla
spettroscopia 1H-NMR, questa può dare informazioni sul numero, tipo e
posizione degli atomi di idrogeno presenti in una molecola.
Spettrometria di massa
Il principio su cui si basa la spettrometria di massa è la possibilità di separare
una miscela di ioni in funzione del loro rapporto massa/carica generalmente
tramite campi magnetici statici o oscillanti. Tale miscela è ottenuta ionizzando
le molecole del campione, principalmente facendo loro attraversare un fascio
di elettroni ad energia nota. Le molecole così ionizzate sono instabili e si
frammentano in ioni più leggeri secondo schemi tipici in funzione della loro
struttura chimica.
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Il diagramma che riporta l'abbondanza di ogni ione in funzione del rapporto
massa/carica è il cosiddetto spettro di massa, tipico di ogni composto in quanto
direttamente correlato alla sua struttura chimica ed alle condizioni di
ionizzazione cui è stato sottoposto.
Spettrometria di diffrazione di raggi X
Questa tecnica, a seconda dell’apparato strumentale usato, può essere
applicata a cristalli singoli (sostanze organiche o inorganiche di cui è stato fatto
crescere un singolo cristallo, abbastanza grande da essere visibile e trasferibile
sul portacampione, e di cui si può determinare la struttura del reticolo
cristallino – lunghezze e angoli che caratterizzano la cella elementare) o a
materiali policristallini (oggetti solidi come lastrine di metallo, oppure polveri, in
cui numerosissimi microcristalli sono presenti e orientati casualmente in tutte le
direzioni). La tecnica a cristallo singolo è applicata più che altro per motivi di
ricerca, mentre la diffrazione da polveri ha numerose applicazioni industriali: il
diffrattogramma del campione può essere confrontato con quelli presenti in
archivio in modo da identificare per confronto le possibili fasi cristalline
presenti. E’ possibile anche, almeno in una certa misura, quantificare il
rapporto fra le fasi presenti.
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Tecniche cromatografiche
Si tratta di un gruppo di tecniche utili a separare miscele di sostanze organiche
nei loro componenti, per scopi sia analitici (qualitativi e quantitativi) che
preparativi (separazione e recupero dei diversi componenti).
TLC (Thin Layer Chromatography, o Cromatografia su Strato Sottile)
E’ una comune tecnica di laboratorio che consiste nel deporre, su una lastrina
di vetro, metallo o plastica rivestita di uno strato di SiO2, una goccia di
soluzione contenente le sostanze organiche da separare. La base della lastrina
viene poi immersa in una miscela di solventi (eluente) di opportuna polarità,
che salendo lungo la lastra trasportano i componenti della miscela in su, più o
meno velocemente in base alla polarità delle diverse molecole: le molecole
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più polari, più fortemente legate alla silice, saliranno meno o resteranno alla
base mentre le molecole apolari verranno trasportate più in alto. Quando
l’eluente è arrivato quasi in cima, si estrae a lastra e la si fa asciugare. Per
rivelare la posizione dei diversi componenti, qualora non siano in sé colorati e
quindi visibili (da qui il termine “cromatografia”) occorre rivelarli o con luce UV,
se si tratta di sostanze con doppi legami in grado di interagire con queste
radiazioni, oppure per trattamento con un opportuno reagente di sviluppo, in
modo da renderle scure.
Cromatografia su strato sottile (TLC)
Questa tecnica serve a capire, qualitativamente, quanti componenti sono
presenti in una data miscela; deponendo, al fianco della macchia relativa alla
miscela, una goccia di soluzione per ciascuno dei (presunti) componenti puri è
possibile identificare le varie macchie.
A questo punto, volendo procedere all’effettiva separazione dei componenti
della miscela, si può ripetere il procedimento più in grande, e nell’altro senso,
con una cromatografia su colonna.
In un tubo di vetro (colonna) munito di rubinetto e riempito di gel di silice (silice
in forma di polvere molto fine) si fa scendere la miscela di solventi che si vuole
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usare come eluente, finché la silice ne è completamente impregnata e l’aria
è tutta stata espulsa. Poi si deposita in cima alla colonna di silice uno strato,
quanto più possibile sottile, della miscela da separare. Il diametro della
colonna dipende dalla quantità totale di sostanza da separare e la
composizione dell’eluente dev’essere tale da assicurare una buona
separazione delle macchie in TLC. Poi si aggiunge in alto l’eluente e lo si fa
scendere, per gravità o applicando una pressione mediante aria compressa o
azoto (flash chromatography) raccogliendolo in basso in frazioni di opportuno
volume, che si possono poi analizzare per verificare in quale/i delle frazioni sia
contenuto il prodotto che interessa.
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Tecniche cromatografiche strumentali
La cromatografia su colonna può essere realizzata per via strumentale
mediante la tecnica detta HPLC (High Pressure Liquid Chromatography), qui
schematizzata:
Come si vede, i diversi solventi vengono miscelati e spinti lungo la colonna
mediante pompe ad alta pressione, e la miscela da analizzare si inietta e
viene spinta dall’eluente attraverso la colonna, all’interno della quale si trova
un’opportuna fase stazionaria solida. Il rivelatore può essere una lampada UV,
uno spettrometro di massa o altro, comunque i dati in uscita vengono gestiti
da un computer che traccia un cromatogramma, in cui l’altezza dei picchi è
proporzionale alla quantità di sostanza e il tempo di ritenzione dipende dalla
polarità del prodotto. Questa tecnica, a seconda delle dimensioni della
colonna, può essere usata per scopi sia analitici che preparativi.
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E’ possibile anche realizzare la cromatografia in fase gassosa
(gascromatografia), come si vede nello schema seguente:
La miscela da analizzare viene iniettata con una microsiringa nella camera di
iniezione, dove viene volatilizzata e miscelata al gas di trasporto (in genere H2
oppure He, a seconda del rivelatore che si usa) che la trasporta all’interno
della colonna.
Le moderne colonne capillari hanno una lunghezza variabile dai 15 ai 50 metri
ed uno spessore di 0.5 - 0,20 mm. La fase stazionaria liquida ricopre le pareti
interne della colonna con un film di pochi micron di spessore. Tra i rivelatori, i
più usati sono lo spettrometro di massa, il rivelatore a termoconducibilità,
entrambi di uso universale, il rivelatore a cattura di elettroni (ECD), per le
sostanze alogenate, il rilevatore a ionizzazione di fiamma (FID). Anche qui si
ottiene un cromatogramma simile a quello dell’HPLC. Questa è una tecnica
analitica, sia qualitativa che quantitativa.
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Tecniche di analisi termica
La calorimetria differenziale a scansione, nota anche con l’acronimo DSC
(dall’inglese differential scanning calorimetry) è, insieme alla termogravimetria
(TGA), la principale tecnica di analisi termica utilizzabile per caratterizzare molti
tipi di materiali. Il principio di base di queste tecnica consiste nel ricavare
informazioni sul materiale riscaldandolo o raffreddandolo in maniera
controllata. In particolare il DSC si basa sulla misura della differenza di flusso
termico tra il campione in esame e uno di riferimento mentre i due sono
vincolati ad una temperatura variabile definita da un programma prestabilito.
Tracciato di una calorimetria differenziale a scansione
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Le informazioni che si possono ottenere da questa tecnica di analisi vanno dal
calore specifico del materiale studiato, alle temperature a cui si verificano
transizioni di fase (processi fisici, quindi) esotermiche o endotermiche. Il
tracciato qui riportato riporta una temperatura di transizione vetrosa (il calore
specifico al di sopra della Tg è maggiore), un fenomeno di cristallizzazione
(esotermico) e uno di fusione (endotermico).
La termogravimetria è una metodica di analisi nella quale si effettua la
registrazione continua delle variazioni di massa di un campione, in atmosfera
controllata e in funzione della temperatura o del tempo. Questo tipo di analisi
riguarda lo studio dei fenomeni di decomposizione, di ossidazione, di perdita
del solvente di cristallizzazione e altri processi chimici irreversibili. I
termogravigrammi forniscono informazioni sui meccanismi e sulle cinetiche di
decomposizione delle molecole, tanto che possono essere utilizzati per il
riconoscimento delle sostanze.
Il principio di base di queste tecnica consiste nel ricavare informazioni sul materiale riscaldandolo o
raffreddandolo in maniera controllata. In particolare il DSC si basa sulla misura della differenza di
flusso termico tra il campione in esame e uno di riferimento mentre i due sono vincolati ad una
temperatura variabile definita da un programma prestabilito.
Le informazioni che si possono ottenere da questa tecnica di analisi vanno dal calore specifico del
materiale studiato, alle temperature a cui si verificano transizioni di fase (processi fisici, quindi)
esotermiche o endotermiche. Il tracciato qui riportato riporta una temperatura di transizione
vetrosa (il calore specifico al di sopra della Tg è maggiore), un fenomeno di cristallizzazione
(esotermico) e uno di fusione (endotermico).
La termogravimetria è una metodica di analisi nella
quale si effettua la registrazione continua delle
variazioni di massa di un campione, in atmosfera
controllata e in funzione della temperatura o del
tempo. Questo tipo di analisi riguarda lo studio dei
fenomeni di decomposizione, di ossidazione, di
perdita del solvente di cristallizzazione e altri
processi chimici irreversibili. I termogravigrammi
forniscono informazioni sui meccanismi e sulle
cinetiche di decomposizione delle molecole, tanto
che possono essere utilizzati per il riconoscimento
delle sostanze.
Tracciato di una calorimetria differenziale a scansione