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CORSO DI FORMAZIONE IN PSICOLOGIA GIURIDICA E
PSICPOPATOLOGIA FORENSE
Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in ambito
Civile e Penale, adulti e minorile
Dott.ssa Elisa Ricchiuti | Anno 2015
PSICOPATOLOGIA E CAPACITÀ
GENITORIALE
1
Sommario
Psicopatologia e capacità genitoriale
Definizione e funzioni della genitorialità……………………………………………...2
La valutazione della capacità genitoriale…………………………………………......5
Metodologia per la valutazione della capacità genitoriale…………………………12
La psicopatologia nella valutazione della capacità genitoriale……………………..14
La consulenza tecnica in situazioni di “Alienazione …...…………………………..20
Rischi per il minore……………………………………………………………………24
Riflessioni conclusive …………………………………………………………………27
Bibliografia
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Definizione e funzioni della genitorialità
La genitorialità è un tema che da diversi anni è stato studiato e approfondito, i vari autori,
anche di orientamenti differenti, hanno studiato i molteplici aspetti connessi all’argomento
giungendo a conclusioni che seppur presentando sfumature diverse sono pressoché armoniche.
Bornstein classifica il “parenting” come una competenza articolata su quattro livelli:
1) nurturant caregiving comprende l’accoglimento e la comprensione delle esigenze primarie
(fisiche e alimentari);
2) il material caregiving riguarda invece le modalità con cui i genitori preparano, organizzano
e strutturano il mondo fisico del bambino;
3) il social caregiving include tutti i comportamenti che i genitori attuano per coinvolgere
emotivamente i bambini in scambi interpersonali;
4) il didattic caregiving si riferisce alle strategie che i genitori utilizzano per stimolare il figlio a
comprendere il proprio ambiente.
Visentini individua otto funzioni genitoriali:
1) la funzione protettiva, definita dal concetto di presenza del genitore con il bambino ed è
formato da cinque dimensioni:
a) presenza nella stessa casa;
b) presenza che il bambino osservi e veda;
c) presenza che faciliti l’interazione con l’ambiente;
d) presenza che interagisca con il bambino;
e) presenza per la protezione fisica e la sicurezza;
2) la funzione affettiva, intesa come “sintonizzazione affettiva” o capacità di sintonizzarsi con
la sfera emotiva dell’altro;
3) la funzione regolativa genitoriale, che può essere iperattivata, ipoattivata o inappropriata;
4) la funzione normativa, consistente nella capacità del genitore di porre dei confini flessibili di
regole e di setting che permettano al bambino e all’adolescente di fare esperienza e di creare le
premesse per l’autonomia;
5) la funzione predittiva, che riflette la competenza del genitore nel predire la tappa evolutiva
successiva, in modo da poter cambiare le modalità relazionali con il crescere del bambino;
6) la funzione significante che riguarda le attribuzioni di significato che il genitore dà alle
richieste del bambino;
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7) la funzione rappresentativa e comunicativa, che consiste nella capacità del genitore di saper
“aggiornare” le rappresentazioni del bambino e di saper comunicare con lui attraverso scambi di
messaggi chiari e congrui;
8) la funzione triadica, che riguarda la capacità del genitore di far entrare il bambino nella
relazione genitoriale.
Lichtenberg (2015) definisce la genitorialità come l’attività di “colui che si prende cura”,
ovvero che agisce in risposta ad un’altra persona che in quel momento si trova in una posizione
di dipendenza. Pertanto, così intesa, la genitorialità non si riferisce esclusivamente ai genitori
ma coinvolge molte altre persone : nonni, fratelli, altri membri della famiglia, insegnanti etc.
Passando in rassegna l’ampia ricerca sul primo anno di vita ha individuato quattro linee guida
per la genitorialità:
1. essere sensibili all’iniziativa del bambino piuttosto che trascurare, ignorare e non tener
conto delle intenzioni e degli obiettivi del bambino (ciò non significa seguirla o
accettarla);
2. non lasciare che le rotture durino troppo a lungo prima che avvenga la riparazione della
comunicazione e il ripristino della connessione;
3. distinguere fra le azioni e la persona;
4. essere capaci di giocare e incoraggiare la giocosità, l’umorismo e l’immaginazione: “lo
spazio transizionale della creatività”.
Ha precisato, inoltre, che il “Senso di Sé” emerge dall’esperienza dei bambini piccoli con i
genitori di essere “coloro che fanno qualcosa”, acquisiscono grande rilevanza dunque gli scambi
relazionali in cui sono presenti le dinamiche di “agire e rispondere”, “iniziare e accogliere”, con
gli altri e con se stessi. La presenza o l’assenza della “ricettività mutua” nelle esperienze
relazionali precoci stabilisce la disposizione all’essere responsivo con gli altri e all’essere
genitore.
Le situazioni a rischio nell’ambito della genitorialità fanno riferimento a tutte le
condizioni in cui la funzione genitoriale, nelle sue componenti di cura e protezione dei figli, è
fortemente disturbata e influisce profondamente sulla qualità della relazione genitore-bambino.
Quest’ultima rappresenta un’esperienza importante che influenza la personalità del bambino, la
struttura delle sue difese e anche le rappresentazioni che il bambino si costruisce riguardo a ciò
che è possibile aspettarsi dalle relazioni con gli altri (Ammaniti, 2001).
Se si affronta il tema della genitorialità a partire dalla descrizione di ciò che la caratterizza, si
registra un notevole consenso nel ritenere che essa sia la risultante delle seguenti funzioni di cura
che un adulto, sia esso genitore biologico o meno, rivolge a colui di cui si occupa:
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capacità dell’individuo di provvedere all’altro;
di conoscerne l’aspetto e il funzionamento corporeo e mentale in cambiamento;
di esplorarne via via le emozioni;
di garantire protezione attraverso la costruzione di pattern interattivo-relazionali legati
all’adeguatezza dell’accudimento e centrati sulla risposta al bisogno di protezione fisica e
sicurezza;
di entrare in risonanza affettiva con l’altro (senza esserne inglobato);
di garantire regolazione (utilizzare i tempi della comunicazione, gli spazi e i contenuti
della relazione);
di dare dei limiti, una struttura di riferimento, un’impalcatura (format);
di prevedere il raggiungimento di tappe evolutive dell’altro;
di garantire una funzione transgenerazionale (Bastianoni, 2009).
Tali diverse funzioni di cura si traducono in comportamenti verbali e non, gestualità ed
espressioni affettive che rappresentano le modalità di attuazione della cura e che, non solo
variano da persona a persona, ma registrano grandi variazioni anche nelle singole relazioni di
cura che una persona stabilisce con figli diversi o con lo stesso figlio in tempi diversi.
Le manifestazioni delle relazioni di cura traggono le basi e l’origine dalle rappresentazioni
interne delle primarie relazioni di cura, le relazioni genitoriali, che ogni individuo sviluppa
precocemente a partire dalla sua esperienza di figlio e che gli consentono, già alla fine del primo
anno di vita, di possedere una rappresentazione interna di sé, dell’altro
significativo/genitore/caregiver e della relazione che con l’altro si stabilisce sul contenuto e sulla
qualità delle cure.
Questo primo “nucleo rappresentazionale” della relazione di cura coincide inevitabilmente
con la rappresentazione della relazione genitoriale in quanto la cura è l’oggetto specifico della
relazione primaria tra genitore e figlio. In questo senso la genitorialità va intesa non solo come
manifestazioni di atteggiamenti, comportamenti e sentimenti di cura ma, principalmente, come
una dimensione interna simbolica che si origina all’esordio della vita relazionale a partire dalla
propria esperienza di figli e che si riattiva ripetutamente nell’arco della vita ogni qualvolta
l’individuo è coinvolto in specifiche e rilevanti interazione di cura.
L’interiorizzazione e i vissuti relativi all’esperienza di cura e quindi all’esperienza della
genitorialità, cominciano a strutturarsi in una fase precocissima della storia soggettiva, una fase
arcaica, antica, preverbale, e che, in quanto tale, trova come proprio organizzatore e contenitore
il corpo (nelle sue componenti spazio-temporali e percettivo-motorie) e le emozioni registrate nel
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corpo stesso. Corpo come superficie simbolica in cui l’esperienza relazionale strutturante segna
tracce mnestiche indelebili che divengono nuclei imprescindibili di fondanti vissuti della
genitorialità che successivamente andranno a determinare rappresentazioni e sistemi di credenza,
consapevoli e non, sempre presenti e riattivabili nella complessità del mondo interno soggettivo,
anche in parziale o totale assenza della cognizione (Bastianoni, 2009).
La genesi della genitorialità nel bambino piccolo e il mondo rappresentazionale in
evoluzione che si riattiva e si rinnova nell’adulto, in procinto di esercitare le funzioni genitoriali
o già genitore, sono da considerarsi come processi complessi e motivanti il comportamento di
cura, dai quali non è possibile prescindere per comprendere le storie più o meno riuscite e quelle
più o meno fallite di incontri/scontri, accoglienza/ rifiuto, rispetto/sopruso di quell’iniziale
modalità di “stare con”, di “essere con”, di “essere per”, che struttura ogni esperienza personale e
in quanto tale ogni narrativa su se stessi e inevitabilmente sulla genitorialità. Se, dunque, la
genitorialità deve essere considerata come un sistema che include le rappresentazioni di sé,
dell’altro e della relazione, è possibile vedere che la genitorialità stessa è una condizione
fondamentale della persona umana che interagisce in maniera estremamente attiva con le altre
funzioni dell’individuo (coniugalità, psicopatologie specifiche, adattamenti/disadattamenti
lavorativi etc), per realizzare complessivamente il suo benessere, la sua integrità e il suo
funzionamento psichico.
Le conseguenze teoriche, operative e cliniche di questa affermazione sono molteplici perché
obbligano a confrontarsi con la complessità della valutazione dell’intera persona umana e con la
necessità di evitare facili riduzionismi rispetto a ciò che è buono e funziona sempre.
La valutazione della capacità genitoriale
La valutazione della “genitorialità” costituisce un’area di ricerca multidisciplinare che
valorizza i contributi della psicologia clinica, sociale, giuridica, dello sviluppo, della famiglia,
della neuropsichiatria infantile, della psichiatria forense ecc. e risulta particolarmente feconda
per le potenziali applicazioni operative che ne possono derivare a diversi livelli dell’intervento
psico-sociale riguardanti:
1) le competenze del Tribunale per i minorenni per la valutazione delle condizioni di rischio e di
pregiudizio per la tutela del minore;
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2) le competenze del Tribunale Ordinario per la decisione delle migliori condizioni di affido dei
minori in caso di separazione e di divorzio.
A tal proposito, in questi anni vi sono stati importanti cambiamenti normativi a livello
nazionale (L.149 del 2001, L.54 del 2006) ed europeo (R.E. del 1.3.2005) che hanno dato rilievo
alla valutazione e alla promozione delle competenze genitoriali e le responsabilità del ruolo
genitoriale, quali prerogative per l’interesse e la tutela del minore.
I criteri presenti in letteratura per la valutazione della genitorialità in senso generale
riguardano parametri individuali e relazionali relativi ai concetti di “parenting” e di “funzione
genitoriale”, trattati ampiamente nella letteratura italiana e internazionale, che riguardano lo
studio delle abilità cognitive, emotive e relazionali, del ruolo e delle funzioni genitoriali.
La “capacità genitoriale” corrisponde ad un costrutto complesso, non riducibile
esclusivamente alle qualità personali del singolo genitore, ma che comprende anche un’adeguata
competenza relazionale e sociale.
In letteratura sono state rilevate quattro componenti correlate ad uno stile parentale
comprensivo e “responsivo” quali:
1) la capacità di rispondere alle richieste;
2) la capacità di mantenere un’attenzione focalizzata;
3) la ricchezza del linguaggio;
4) il calore affettivo.
È fondamentale approfondire il concetto di “capacità genitoriale” al fine di poter valutare
correttamente le situazioni in cui un genitore possa non agire direttamente a favore del figlio e
procurargli difficoltà, problemi che possano condizionare lo sviluppo armonico producendo
l’insorgenza di disturbi di natura psicopatologica a carico dell’Io.
Lo sviluppo evolutivo del bambino, cognitivo, affettivo e sociale, secondo la letteratura
specialistica e, in particolare, secondo gli studi dell’Infant Reserch, può essere influenzato dalla
relazione con le figure di accudimento. Tali figure significative, che nella maggior parte dei casi
sono rappresentate dalla madre e dal padre, e le relazioni che si istaurano all’interno del nucleo
familiare hanno un ruolo importante per lo sviluppo e l’organizzazione della personalità del
bambino. Tale sviluppo se caratterizzato dalla presenza e ripetizione di traumi che provocano nel
bambino uno stato elevato di insicurezza e di angoscia, può orientarsi in modo disarmonico e
compromettere il funzionamento dell’Io. Secondo Lanotte (2008), infatti, “le necessità infantili
(libero slancio, cura, tenerezza, sicurezza) possono essere accolte, rifiutate, inibite, a seconda
del funzionamento del sistema familiare d’appartenenza e, soprattutto, del livello di
organizzazione e strutturazione dell’Io dei membri del suddetto sistema”.
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Ciò implica un’attenta e scrupolosa indagine psicologica delle capacità genitoriali al fine di
rilevare gli elementi necessari per le esigenze emotive dei figli.
Tre sono le ipotesi graduate in relazione alla gravità della situazione in cui si tratta di
determinare la capacità dei genitori.
a) La prima (artt. 2-5 legge 4 maggio 1983 n. 184) si riferisce ai casi riguardanti un minore
temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, quando i genitori o gli altri familiari
interessati siano in grado di collaborare con i servizi socio sanitari. In tale ipotesi il Servizio
sociosanitario predispone un progetto di aiuto che contempla talvolta anche il collocamento del
minore presso una famiglia in grado di accogliere il bambino e di provvedere temporaneamente
al suo mantenimento, alla sua educazione ed istruzione. In questo caso, dunque, le capacità
genitoriali sono valutate come potenzialmente adeguate e in ogni modo recuperabili anche grazie
ad un intervento psicosociale di riabilitazione. Dunque la reversibilità della situazione di
pregiudizio del minore e di carenza delle capacità di assistenza materiale e educativa della sua
famiglia costituisce il carattere precipuo di questa prima ipotesi, che prevede una risposta
assistenziale che non incide sul regime giuridico delle responsabilità degli adulti nei confronti
del minore affidato all’iniziativa ed alla responsabilità del servizio sociale locale.
b) La seconda situazione è quella “estrema” del minore in stato di abbandono, vale a dire privo
di assistenza morale e materiale anche da parte dei membri della famiglia estesa (artt. 8-21 legge
n. 184/1983). Riconosciuto il principio giuridico che attribuisce un carattere prioritario al
diritto del minore di crescere nella famiglia di origine (art. 1 legge n. 184/1983), occorre valutare
l’incapacità genitoriale sulla base della reale obiettiva situazione esistente in atto. Vanno perciò
individuate e rigorosamente accertate e provate le gravi ragioni che, impedendo ai genitori ed ai
parenti di assicurare irreversibilmente (rispetto ai tempi evolutivi) una normale crescita ed
adeguati riferimenti educativi al minore, impongono la sua sottrazione alla famiglia di origine
per garantire il suo diritto a crescere e ad essere educato nell’ambito di un’altra famiglia. Tale
indagine riguarda la condizione psico-fisica, educativa e familiare del bambino, lo stretto
rapporto di questa con la mancanza di capacità e risorse, e la gravità delle condizioni contestuali
che devono essere tali da non consentire lo sviluppo della personalità neppure al minimo.
c) La terza situazione considerata è per così dire intermedia, pur essendo importante.
Essa si verifica quando uno o entrambi i genitori violano più o meno gravemente i doveri
parentali o tengono una condotta comunque pregiudizievole per il minore (artt. 330-333 c.c.).
La condotta del genitore, anche se turba lo sviluppo personale e educativo del figlio, non deve
però compromettere in modo irreversibile il suo diritto di crescere ed essere educato nell’ambito
della propria famiglia. Si tratta di una situazione che, proprio per il suo carattere intermedio,
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comporta sia una risposta giudiziaria – sul piano del regime giuridico delle responsabilità
parentali nei confronti del minore – sia una risposta assistenziale da parte dei Servizi.
La legge sull’affidamento condiviso n° 54 dell’8 Febbraio 2006 ha introdotto nel diritto
di famiglia un modello generale di disciplina dei rapporti dei genitori con i figli minorenni
quando la crisi della coppia sfocia nella cessazione della convivenza, anche nei procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati.
La legge esprime la necessità di allargare la prospettiva di frequentazione e il rapporto del
minore con entrambi i gruppi familiari1. Riconosce il diritto del figlio minorenne di mantenere
anche in caso di separazione dei genitori un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di
loro (diritto alla bigenitorialità), in modo da ricevere da entrambi cura, educazione, ed istruzione,
e quello di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo
genitoriale.
In particolare l’affido condiviso comporta che entrambi i genitori, a prescindere dalla
collocazione del bambino, provvedano, anche direttamente ed in misura potenzialmente paritaria,
al mantenimento, alla cura ed all’educazione dei figli.
La nuova disciplina dei rapporti e delle responsabilità dei genitori con i figli minori in
occasione della rottura dell’unità familiare comporta importanti novità anche per le valutazioni
psicogiuridiche dell’esperto chiamato dal giudice (e dalle parti) a fornire un contributo tecnico
utile per le decisioni previste dalla legge.
Il compito dell’esperto chiamato dal giudice a compiere accertamenti e valutazioni
dunque è divenuto più complesso, poiché la decisione giudiziaria non si limita più a stabilire
discrezionalmente con esclusivo riferimento all’interesse del minore “a quale dei coniugi i figli
sono affidati”, come previsto dal testo precedente dell’art. 155 c.c., ma è diretta a garantire il
soddisfacimento e l’esercizio dei diritti dei soggetti coinvolti, genitori, figli in età minore, ed
eventualmente ascendenti e parenti di ciascun ramo genitoriale interessati alla regolazione dei
rapporti personali e patrimoniali nella nuova situazione esistenziale.
Le valutazioni dell’esperto non possono prescindere dal regime giuridico stabilito dal
legislatore per soddisfare il diritto del minore alla “bigenitorialità” ed il dovere diritto dei
genitori ad assolvere i loro compiti.
1 E' l'articolo 155 del c.c. che ha indirizzato la riforma di legge: “anche in caso di separazione personale dei
genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di
ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i
parenti di ciascun ramo genitoriale”.
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Non si tratta solo di valutare le capacità potenziali di ciascun genitore rispetto agli
specifici bisogni del figlio, quanto di accertare in concreto anche:
- la capacità di assolvere i compiti parentali nei confronti di quel bambino/adolescente
nelle condizioni di vita determinate dalla rottura della coppia;
- di disegnare conseguentemente il progetto dell’affido condiviso, che comprenderà il
collocamento ripartito o principale del figlio, ed in tal ultimo caso i tempi e le modalità (e le
occasioni) della sua presenza presso ciascun genitore e la misura ed il modo con cui ciascuno di
loro deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione, ed all’educazione della prole.
Le scelte specifiche naturalmente saranno modulate con esclusivo riferimento all’interesse
morale e materiale del minore.
La stessa legge afferma la necessità dell’affidamento esclusivo allorché “Il giudice può
disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento
motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore” (art 155-bis).
Dunque, in caso di richiesta d’affidamento esclusivo da parte di un genitore le valutazioni della
genitorialità potranno pervenire alla conclusione che il regime condiviso sarà contrario
all’interesse del minore, e dovranno fornire al giudice argomenti specifici per motivare la sua
eventuale decisione al riguardo.
Gulotta, esaminando i criteri per le migliori condizioni di affidamento considera
opportuno, nel lavoro del consulente tecnico, l’accertamento degli aspetti fisici relativi
all’ambiente fisico di vita dei genitori e del bambino, i livelli di cura dei bisogni quotidiani del
minore, gli aspetti ambientali relativi all’organizzazione del contesto familiare, gli aspetti
emozionali e sociali relativi alla cura psicologica dei figli, gli aspetti intellettuali relativi alle
interazioni genitori-figli.
Camerini, inoltre, ha proposto di utilizzare:
1) il criterio dell’accesso all’altro genitore, individuando gli elementi di cooperazione e
disponibilità, o viceversa, le difficoltà sostanziali rispetto al diritto/dovere dell’altro genitore a
partecipare alla crescita e all’educazione dei figli;
2) la competenza genitoriale dei due coniugi nei termini della qualità della relazione di
attaccamento in base al concetto di “genitore psicologico”;
3) l’attenzione ai bisogni reali dei figli;
4) la capacità da parte di ciascuno dei genitori di attivare riflessioni e di elaborare
significati relativi sia agli stati mentali dei figli ed alle loro esigenze evolutive in base alla così
detta “funzione riflessiva”.
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Camerini e Volterra (2008) hanno individuato uno schema generale per la valutazione
delle capacità genitoriali dove evidenziano i seguenti temi da prendere in considerazione:
- l’adattamento al ruolo di genitore: il genitore provvede adeguatamente alle cure fisiche
essenziali? A fornire le cure emotive appropriate all’età del figlio? Favorisce lo sviluppo delle
dinamiche di attaccamento? Qual è il suo atteggiamento verso i compiti che gli competono?
Accetta la responsabilità connessa al suo comportamento? Vi è l’aspettativa che i figli si sentano
responsabili della propria protezione? Nel caso vi siano problemi, i genitori li riconoscono?
- La relazione con i figli: quali sono i sentimenti verso i figli? I genitori provano empatia
nei loro riguardi? I figli sono considerati come persone separate e distinte? I bisogni primari dei
figli sono tenuti in maggior conto rispetto ai desideri dei genitori?
- Le influenze della famiglia: quale livello di consapevolezza e quali atteggiamenti hanno
i genitori rispetto alle esperienze di accudimento della propria infanzia? Il genitore è capace di
mantenere una relazione di sostegno reciproco con il partner? Il bambino è coinvolto
eccessivamente nelle discordie familiari? Qual è il livello di sensibilità della famiglia rispetto
allo stress relazionale? Quel è il significato del bambino per i genitori? Qual è il contributo del
bambino alla relazione di cura e di accudimento? Qual è l’atteggiamento del bambino verso le
figure che si prendono cura di lui?
- L’interazione con il mondo esterno: sono disponibili delle reti sociali di sostegno?
Quale forma ha assunto la relazione tra i genitori e gli operatori socio-sanitari?
- Le potenzialità di cambiamento: quali probabilità vi sono che un aiuto terapeutico possa
essere utile? Quali reazioni vi sono state ai precedenti tentativi di aiuto?
A partire da questi presupposti, è evidente che le funzioni genitoriali comprendono il sostegno, la
protezione e la socializzazione. Per svolgere questi compiti in maniera soddisfacente, occorre
che il genitore sia provvisto di alcune fondamentali caratteristiche:
- capacità cognitive: sufficiente conoscenza dello sviluppo del bambino e dei suoi
bisogni di base, consapevolezza delle situazioni in cui si rende necessaria la ricerca di un aiuto
esterno alla famiglia;
- affidabilità e capacità organizzativa: individuazione delle strutture esterne alla famiglia
necessarie per l’equilibrio adattivo del bambino, partecipazione del bambino ad attività della vita
quotidiana in ambito scolastico ed extrascolastico, capacità di fornire al bambino un adeguato
sentimento di sicurezza ed un supporto nel suo funzionamento sociale;
- apertura al supporto sociale: connessione con l’ambiente esterno e con le risorse della
comunità sociale; flessibilità nella gestione delle responsabilità riguardanti la cura, la guida, i
trasferimenti e la mobilità del bambino;
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- calore ed empatia: funzionamento emotivo in grado di comunicare sentimenti di
accettazione e di accogliere e contenere le richieste emotive del bambino, identificandosi nei
suoi bisogni; stabilità emotiva per trasmettere entusiasmo, altruismo e capacità di tollerare gli
stress e le frustrazioni, contribuendo allo sviluppo emotivo del bambino.
Ciascuna di queste funzioni e capacità deve essere ovviamente valutata tenendo in
considerazione le diverse fasi di sviluppo in cui i figli si trovano, poiché unna condotta da parte
di un genitore può risultare appropriata verso un figlio in una certa fase evolutiva e inadeguata
invece in un’altra.
La legge 54/2006 (art. 155) definisce che “qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice,
sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui
all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per
raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale
dei figli”.
La Mediazione Familiare, dunque, “è un percorso rivolto alle coppie, di fatto o coniugate,
in via di separazione, separate o divorziate per promuovere e sostenere la genitorialità favorendo
la ripresa del dialogo e la ricerca di accordi condivisi. La mediazione svolge un ruolo centrale
nella sensibilizzazione dei genitori al fine di limitare situazioni distruttive che si possono
ripercuotere su di loro ed i loro figli. Essa si propone di offrire un intervento finalizzato a riaprire
o facilitare il dialogo fra genitori perché possano giungere ad elaborare in prima persona accordi
di separazione soddisfacenti per se stessi e per i loro figli, con l’aiuto di un terzo “neutrale”, il
mediatore familiare.
La Mediazione Familiare intende promuovere e diffondere una diversa cultura della
separazione; prevede modalità di composizione dei conflitti, alternative, ma integrate, rispetto
alla procedura giudiziaria, perseguendo il comune obiettivo dell’esclusivo interesse dei figli,
ovvero della promozione del loro benessere.
Non può esservi contemporaneità tra lo svolgimento di una Consulenza Tecnica d’Ufficio
e l’avvio o la prosecuzione di una Mediazione Familiare. Obiettivi, significato, modalità
operative dei due interventi sono, infatti, antitetici e incompatibili. La Consulenza Tecnica
d’Ufficio viene attivata su richiesta del Tribunale, mentre la Mediazione Familiare su richiesta
volontaria dei genitori. La volontarietà è, infatti, una caratteristica irrinunciabile per l’avvio del
percorso mediativo.
Qualora al termine della Consulenza Tecnica d’Ufficio, il Consulente Tecnico d’Ufficio
valutasse che i genitori possano avvalersi di un percorso di Mediazione Familiare, fornisce
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informazioni chiare ed esaustive a riguardo. Inoltre potrebbe ipotizzare, solo ed esclusivamente
concordandolo con entrambi i genitori, l’avvio di un possibile percorso di Mediazione Familiare.
Le situazioni che precludono la mediazione familiare, che sono:
- episodi di grave violenza o maltrattamento, dichiarati o dimostrati;
- denunce penali in atto perseguibili d'ufficio;
- episodi di abuso nei confronti dei figli, dichiarati o dimostrati;
- presenza di patologie e/o dipendenze in uno o in entrambi i genitori, che inficino
l'esercizio della capacità genitoriale e la possibilità di instaurare relazioni interpersonali.
La mediazione, dunque, nei casi in cui è realizzabile, svolge un ruolo centrale nella
sensibilizzazione dei genitori al fine di limitare situazioni distruttive che si possono ripercuotere
su di loro e sui loro figli.
Metodologia per la valutazione della capacità genitoriale
Le Linee Guida Deontologiche dello Psicologo Forense all’articolo 6 riportano
“Nell'espletamento delle sue funzioni lo psicologo forense utilizza metodologie scientificamente
affidabili. Nei processi per la custodia dei figli la tecnica peritale è improntata quanto più
possibile al rilevamento di elementi provenienti sia dai soggetti stessi sia dall'osservazione
dell'interazione dei soggetti tra di loro”. Ciò denota la necessita di utilizzare per la valutazione
della capacità genitoriale una metodologia corretta e condivisa.
Capri2 (2007) sintetizza la prassi metodologica consolidata per la valutazione della
capacità genitoriale attraverso le seguenti fasi:
“1) Studio del caso attraverso la lettura e l'analisi del fascicolo processuale, per valutare
la presenza di eventuali diagnosi psicopatologiche.
2) Stabilire un programma peritale con i consulenti di parte, se presenti (per es. date,
informazioni su come si intende procedere nelle valutazioni).
3) Acquisizione di notizie tramite i consulenti di parte, se presenti.
2 Paolo Capri “Affidamento condiviso, bigenitorialità e valutazione delle capacità genitoriali” di - AIPG Newsletter
n° 30 Luglio –Settembre 2007
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4) Incontri individuali (anamnesi e colloquio clinico) con i due genitori con lo scopo di:
esplorare le motivazioni all’azione legale; esplorare le motivazioni alla richiesta di affidamento;
valutare lo psichismo del soggetto, il suo vissuto verso l'altro genitore e verso il figlio.
5) Incontri congiunti con la coppia genitoriale con lo scopo di: analizzare le loro
dinamiche di relazione e le interazioni che intercorrono; eventuali anticipazioni delle
conclusioni raggiunte.
6) Incontri individuali con il minore con lo scopo di: valutare il grado e il livello di
maturazione e di sviluppo cognitivo e affettivo; analizzare i vissuti del minore nei riguardi delle
figure di riferimento; valutare la disponibilità verso entrambi i genitori; analizzare i perché di
una eventuale scelta rispetto al tipo di affidamento.
7) Incontri genitore (entrambi individualmente)- figlio, con l'obiettivo di analizzare e
valutare le dinamiche della loro relazione e le modalità comportamentali-reattive del minore,
ma anche per valutare l'approccio psicologico del genitore verso il figlio.
8) Test individuali di personalità e proiettivi ai genitori e al minore, per valutare negli
adulti la personalità, le relazioni oggettuali e le capacità affettive, nei minori lo sviluppo dell'Io
e l'evoluzione della personalità.
9) Incontro con genitori e figlio, se possibile, con lo scopo di analizzare e valutare le loro
dinamiche di relazione e il posizionamento affettivo e comportamentale del minore. Tale
osservazione con il nucleo familiare originario al completo, utile per un'osservazione finale il
più esaustiva possibile, può essere effettuata soltanto in casi di bassa conflittualità, rari peraltro
in questi contesti.
10) Visite domiciliari presso le abitazioni dei genitori, alla presenza di tutte le persone
che vivono nella casa, con lo scopo di osservare e valutare l'ambiente di vita, il contesto sociale
e culturale, ma anche analizzare e valutare la disposizione della casa, osservare la stanza del
minore, i suoi spazi fisici e psicologici, l’eventuale presenza di giochi, analizzare le dinamiche
che intercorrono tra le persone che la abitano.
11) Incontri con altre figure significative per il minore (nonni, zii, sorelle e fratelli
maggiorenni, fratellastri, nuovi partner dei genitori, collaboratori familiari, ecc.), con eventuale
raccolta anamnestica, effettuazione di colloqui clinici e somministrazione di test psicologici”.
Nel processo di valutazione delle capacità genitoriali, inoltre, è utile prestare attenzione alle
eventuali risorse familiari e dei singoli componenti e alle caratteristiche specifiche di ogni
situazione al fine di individuare privilegiare sempre l’interesse esclusivo del minore.
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La psicopatologia nella valutazione della capacità genitoriale
Paolo Capri (2007) evidenzia i seguenti tratti che incidono negativamente sulla valutazione della
capacità genitoriale:
a) presenza di psicopatologia;
b) incidenza dell’eventuale psicopatologia sugli aspetti emotivo-affettivi della relazione
genitore-figlio;
c) presenza di comportamenti devianti o criminali (alcolismo, tossicomanie, ecc.), con
coinvolgimento anche parziale e ridotto del minore;
d) inadeguato "stile di vita", con messaggi ed esempi legati a valori negativi;
e) compensazioni adottate inadeguate;
f) vissuti negativi nei confronti del figlio;
g) vissuti di ostilità nei riguardi dell'altro genitore, con eventuali rancori
espressi o inespressi;
h) indisponibilità di un genitore verso l'altro e, soprattutto la trasmissione di
un’immagine negativa dell’altro genitore al figlio, non favorendone i rapporti.
Un problema particolare, dunque, che si intende approfondire nel presente elaborato
riguarda quei casi dove occorre procedere a decisioni inerenti l’affidamento dei figli in presenza
di un genitore affetto da disturbi mentali di entità rilevante.
Si tratta di una questione complessa ed ampiamente dibattuta, dove spesso si scontrano
due opposti punti di vista: da un lato, sussiste talvolta l’indicazione, sostenuta dagli specialisti
che hanno in carico il paziente adulto, di mantenere il contatto tra il genitore ed i suoi figli, allo
scopo di stimolare positivamente le risorse e le necessità affettive del loro paziente; dall’altro, è
considerato più appropriato un approccio rivolto a privilegiare l’interesse del minore, fondato
sulla possibilità che il disturbo mentale del genitore possa compromettere, in qualche misura, le
funzioni e le capacità genitoriali.
Sotto questo profilo, si possono distinguere alcune diverse situazioni.
In primo luogo esistono condizioni croniche e stabili di natura psicopatologica che
rappresentano, di per sé, un rischio ed un pregiudizio per la salute psicofisica dei figli:
– le condizioni di Ritardo Mentale le quali, relativamente al grado di gravità del deficit
cognitivo, compromettono la capacità di comprendere i bisogni evolutivi dei figli e di
organizzare le attività scolastiche e sociali. In queste situazioni, oltre all’elevato rischio di
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comorbidità rispetto ad altri disturbi mentali, si rende comunque necessario, nella maggior parte
dei casi, un sostegno esterno (attraverso interventi psicosociali mirati) alle funzioni genitoriali,
specie rispetto agli aspetti organizzativi della vita quotidiana;
– un disturbo psicotico nell’ambito dello “spettro” schizofrenico (Schizofrenia, Disturbi di
Personalità Schizoide, Schitotipico, Paranoide). In questi casi, sussiste un alto rischio di
scompensi acuti che possono costituire un diretto pregiudizio per i figli. È necessario un costante
monitoraggio, in senso preventivo, delle condizioni cliniche del genitore, tenendo presente che
nei periodi di compenso le funzioni genitoriali possono restare conservate.
Una diversa fattispecie sussiste per quei disturbi che, pur non presentando
necessariamente caratteristiche di cronicità, vanno incontro a frequenti recidive oppure tendono a
prolungarsi per un periodo consistente:
– i Disturbi dell’umore (ed in particolare la Depressione) che compromettono funzioni
importanti come la volontà, l’investimento emotivo delle attività quotidiane, le motivazioni ad
agire etc., con periodi di acuzie, e che presentano il rischio di atti autolesivi o eterolesivi.
Notevoli inconvenienti si propongono anche nel corso di Episodi Maniacali, in grado di
indebolire l’esame di realtà e di indurre una perdita di controllo legata ai sentimenti di
onnipotenza, all’agitazione psicomotoria, all’eccessivo coinvolgimento in attività pericolose per
sé e per gli altri. I Disturbi dell’Umore richiedono un controllo clinico in senso preventivo sia per
prevenire gli episodi acuti, sia per garantire una tempestiva presa in carico qualora essi si
manifestino in una forma tale da inficiare la capacità del genitore di farsi carico delle necessità
dei figli. Un caso a parte è costituito dalla Depressione del puerperio, durante la quale una
madre, distaccandosi emotivamente dal figlio, può giungere a non garantire al neonato quelle
cure e quell’attenzione di cui egli necessita, sino al possibile rischio, nei casi più gravi, di
sintomi francamente psicotici. Si rende allora indispensabile una valutazione clinica delle
condizioni della madre, provvedendo in caso a vicariarne le funzioni attraverso l’affidamento del
figlio ad altre figure;
– Abuso di sostanze: l’assunzione ripetuta ed abituale di sostanze psicoattive (specie alcool,
oppiacei, cocaina) si associa di frequente a condotte antisociali ed a Disturbi di Personalità del
Gruppo B (Narcisistico, Borderline, Antisociale), con compromissione del funzionamento
sociale e lavorativo, e può facilitare la messa in atto di comportamenti instabili, impulsivi ed
aggressivi, con possibili ricadute sui figli nei confronti dei quali si riscontra un aumentato rischio
di atti di abuso fisico o sessuale. Le condizioni di tossicodipendenza assumono un carattere
cronico e sono assimilabili, per quanto riguarda il loro impatto sui figli, ai problemi legati al
ritardo mentale ed alle gravi depressioni. In molti casi, specie allorquando si renda necessario
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l’alloggio presso una comunità terapeutica, o qualora sussistano problemi con la Giustizia,
diviene inevitabile il ricorso all’affidamento extrafamiliare della prole.
Un quarto gruppo corrisponde a quei soggetti i quali, in seguito all’esposizione a condizioni
ambientali e familiari avverse durante la loro infanzia, presentano assetti di personalità tali da
ridurre considerevolmente le loro capacità genitoriali. Si tratta evidentemente di una popolazione
assai eterogenea, che presenta tuttavia alcune caratteristiche comuni. Come le varie ricerche
hanno dimostrato, non esiste una trasmissione intergenerazionale in termini diretti e lineari
dell’abuso: le esperienze di trascuratezza, di abuso fisico, sessuale, psicologico durante l’infanzia
si connettono, secondo un modello interpretativo legato alla Psicopatologia dello Sviluppo, a
specifici pattern di attaccamento, favorendo e determinando un attaccamento insicuro (ansioso o,
più spesso, evitante), o disorganizzato. Sono proprio questi pattern che esercitano una profonda
influenza sulle future capacità genitoriali, attraverso l’influenza su due importanti funzioni
mentali e comunicative.
Da un lato, relazioni di attaccamento non soddisfacenti facilitano la costruzione di “modelli
operativi interni” (ovvero rappresentazioni del sé e del mondo esterno) secondo modalità scisse,
attraverso l’influenza che le esperienze traumatiche e stressanti esercitano sulla memoria
procedurale. Avviene allora che le comunicazioni con gli altri (compresi i figli) si realizzano in
maniera contraddittoria, secondo schemi interattivi (inaccessibili alla consapevolezza) influenzati
dalla percezione dell’altro come “cattivo”, con conseguente tendenza al rifiuto.
D’altro canto, i soggetti maltrattati non riescono spesso a trovare le proprie intenzioni e le
proprie necessità riflesse nella mente del caregiver, incontrando così difficoltà nello sviluppo del
processo di mentalizzazione e della funzione riflessiva. Modelli operativi interni “non riflessivi”
determinano allora una specifica difficoltà a “leggere” la mente degli altri in termini di
intenzioni, desideri, stati d’animo, con conseguente impossibilità di identificarsi nei bisogni
evolutivi dei propri figli e di saperli interpretare in maniera sufficientemente appropriata e con il
rischio di mettere in atto condotte abusanti.
Sembrerebbe, dunque, possibile affermare che la presenza di psicopatologia soprattutto
quanto grave incide negativamente sulla capacità genitoriale, ma la situazione è molto complessa
e vasta, infatti Adamo, Liverani e Tomeo (2001) riscontrano che “esiste una discordanza tra gli
autori sulla convinzione che non esista una relazione univoca causa-effetto tra malattia mentale
del genitore e disturbi del figlio. Winnicott afferma che la psicosi genitoriale non produce
necessariamente una psicosi nel bambino ("la madre psicotica è in grado di sviluppare una
preoccupazione materna primaria", Winnicott, 1969), né il riconoscimento di un rischio più
elevato per questi bambini (Lebovici, 1973). Altrettanto divergenti risultano le valutazioni sul
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tipo di patologia che più facilmente producono disturbo nel minore, viene dato maggior rilievo
per le forme di depressione, specie materna, e di psicosi del carattere”.
Lanotte3, inoltre, afferma che “quando non sono presenti catatonie o allucinazioni o
deliri, quindi gravi disturbi dell’umore, delle senso-percezioni o del pensiero, è difficile
configurare la sintomatologia affettiva in sindromi specifiche e ben differenziate. Inoltre,
l’unicità e la peculiarità delle dinamiche psichiche di ciascun individuo difficilmente possono
essere inserite in un inquadramento nosografico statico”.
Può essere molto utile, dunque, nell’indagine psicopatologica differenziare tra
sintomatologia “di stato” e sintomatologia “di tratto”.
Nella psicopatologia “di stato” i sintomi sono “egodistonici” poiché creano disagio e vengono
riconosciuti come estranei e irrazionali, nella maggior parte dei casi insorgono in seguito ad
eventi stressanti, traumatici, malattie.
La psicopatologia “di tratto” fa riferimento a fattori costituzionali e caratteriali che influenzano
la vita interiore e di relazione. Questi tratti sono percepiti come “egosintonici”, quindi il
soggetto li percepisce come facenti parte del suo Sé e in quanto tali giusti e appropriati. Tale
sintomatologia caratterizza i Disturbi di Personalità si tratta, dunque, di tipologie, di “modi di
essere” rigidi e strutturati attraverso l’uso massiccio di meccanismi di difesa primitivi.
Lanotte (2008) evidenzia che “Se il genitore o il sistema genitoriale organizzato in modo
patologico riesce ad avere un minimo di consapevolezza e collaborare intraprendendo un
percorso terapeutico utile a mobilitare i processi identificativi rendendoli più fluidi al fine di
accogliere “l’altro diverso da sé”, allora è possibile portare avanti un progetto in cui l’esercizio
della genitorialità può essere espresso da genitori affettivi oltre che biologici e giuridici. Se la
consapevolezza di patologia è assente e se il figlio deve diventare uno strumento del narcisismo
individuale o di coppia, allora il progetto dovrà necessariamente considerare altri riferimenti
affettivi che possano subentrare al genitore biologico per lo meno in quella che è la dimensione
dell’esercizio della genitorialità”.
Dall’approfondimento della letteratura emerge come non è possibile estrapolare una
griglia univoca, da applicare in ogni situazione e contesto in grado di discernere a priori quali
siano i disturbi psichiatrici dei genitori che inficiano la loro capacità educativa o che
interferiscono nei processi maturativi dei figli bloccandoli o alterandoli.
La definizione di salute mentale, proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità,
come uno "stato di benessere fisico-psichico sociale", è estremamente utile perché sottolinea il
3 Anita Lanotte, Incidenza della psicopatologia sul ruolo genitoriale. Personalità Borderline e capacità genitoriale.
CEIPA Newsletter n° 9 Settembre 2008
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coinvolgimento di più fattori e non sufficiente la semplice assenza di patologia. Pertanto, il
Giudice richiede al Consulente Tecnico non semplicemente una diagnosi ma l’accertamento di
un quadro psicoaffettivo e psicopatologico con l’obiettivo di indagare se la specifica situazione
riscontrata interferisce sulle funzioni genitoriali.
È fondamentale esaminare il contesto in cui si inerisce la specifica situazione poiché il
bambino non vive con il genitore un rapporto duale, ma si trova inserito in un sistema relazionale
di cui fanno parte il genitore psichicamente disturbato, l'altro genitore, i fratelli e,
frequentemente, altri membri delle famiglie d'origine. In assenza di una famiglia coesa e
strutturalmente sana, è necessario condurre un'analisi del rischio, che tenga conto di numerosi
fattori:
tipo del disturbo mentale del genitore;
sesso ed età del minore, in quanto l'età precoce e il sesso analogo a quello del genitore
disturbato costituiscono fattori sfavorevoli;
struttura relazionale familiare;
presenza e validità di figure sostitutive;
elementi contestuali di tipo sociale, quali socioeconomiche, relazioni del paziente e del
gruppo familiare con le strutture terapeutiche.
L'affidamento della prole quando uno o entrambi i genitori siano affetti da disturbi mentali,
prevede in primo luogo l'accertamento del tipo di disturbo mentale e la sua gravità.
L'unico strumento di cui dispone il giudice per diagnosticare il disturbo mentale è la Consulenza
Tecnica che viene espletata sia quando dal colloquio con i coniugi il magistrato riesce a rendersi
conto della presenza in uno o in entrambi di anomalie nell'organizzazione mentale più o meno
gravi, sia su richiesta di uno dei genitori, che adduca il disturbo mentale dell'altro sia come causa
del fallimento del rapporto coniugale, sia come motivo per avere l'affidamento della prole.
L'obiettivo della Consulenza sarà dunque quello di valutare la natura e la gravità del
disturbo (nevrosi, psicosi, disturbi di personalità, ecc.) e le eventuali capacità genitoriali; inoltre
il Consulente offre al Giudice tutte quelle ulteriori notizie ed informazioni utili al fine di
costruire la personalità dei genitori e l'ambiente familiare precisandone, eventualmente, in quale
misura il disturbo mentale riscontrato influisce sulle capacità educative, suggerendo le soluzioni
più adeguate ai fini dell'affidamento della prole.
In base al quadro psicologico delineato dal Consulente, il Giudice può adottare vari
provvedimenti di affidamento della prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e
materiale di essa.
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Di fronte ad un disturbo mentale grave, ad esempio, che limiti o escluda fortemente la capacità
educativa di uno dei genitori, l'affidamento del minore all'altro si impone come scelta obbligata.
Laddove sia presente un disturbo lieve, che non incida sulla capacità genitoriale di crescere ed
educare il figlio, lo stesso non rappresenta una controindicazione all'affidamento.
Una nevrosi lieve, ad esempio, insorta come temporanea risposta ad uno stress, con una prognosi
di breve risoluzione, non può rappresentare un ostacolo all'affidamento.
Le possibilità date al genitore disturbato di incontrarsi con il figlio, saranno sempre rapportate
alla natura e alla gravità del disturbo. Anche in questo caso il giudice valuta le indicazioni
emerse dalla consulenza psicologica disposta per emettere i provvedimenti adeguati alla
situazione concreta, potrà, ad esempio, escludere ogni rapporto tra genitore - figlio nei casi gravi
di malattia mentale, come potrà, nei casi meno gravi, consentire tali incontri autorizzandoli alla
presenza dell'altro genitore o di operatori sociosanitari, per ragioni di cautela. Nell'adozione di
questi provvedimenti, il giudice tiene conto di due variabili fondamentali: l'età e il sesso
dell'affidato.
L'educazione della prole manifesta esigenze diverse in ragione dell'età e del sesso della
stessa, potendo in determinati momenti dell'età evolutiva essere inopportuna o pericolosa la
convivenza del fanciullo con il genitore disturbato. Nella prima infanzia il minore non è in grado
di valutare il disturbo mentale del genitore, però è proprio il disturbo di quest'ultimo che
potrebbe fargli assimilare dei modelli non idonei ed errati. Successivamente, crescendo, il
ragazzo potrà sviluppare un atteggiamento conflittuale con il genitore, essendo, in quella fase, in
grado di valutare e giudicare il comportamento di quest'ultimo e tali situazioni di conflitto
possono essere a loro volta elementi di disturbo per un equilibrato sviluppo del minore.
Il vero problema, però, può sorgere dopo la conclusione del procedimento in cui sono
stati adottati provvedimenti nell'interesse del minore (affido per un periodo breve o prestabilito,
affido a tempo determinato, affido per una parte della giornata o della settimana), poiché
appaiono scarse le possibilità di un controllo sull'evoluzione della situazione dopo le decisioni
prese dal giudice. Può, quindi, risultare utile che il giudice affidi il caso al Servizio Sociale nella
gestione della crisi psicologica collegata alla presenza del genitore disturbato che, come detto,
può determinare gravi ripercussioni nella personalità del minore.
La consulenza tecnica in situazioni di “Alienazione Genitoriale”
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Nella valutazione della capacità genitoriale è importante considerare come il genitore
possa condizionare la vita del figlio in vista del raggiungimento di uno scopo personale, come ad
esempio nell’annullamento dell’altro genitore nelle sue funzioni.
Tale processo è stato definito da Gardner Sindrome da Alienazione Parentale (PAS), si
tratta di un disturbo che si manifesta quasi esclusivamente nelle contese per l’affidamento dei
figli e costituisce una delle possibili conseguenze di una separazione non solo conflittuale, ma
anche fortemente patologica e violenta. Consiste in una persistente denigrazione dell’altro
genitore al fine di raggiungere l’affidamento esclusivo del figlio.
La Sindrome di Alienazione Parentale definisce le situazioni in cui un genitore suggestiona i
figli, così che il rapporto fra i figli stessi e l'altro genitore si degrada e, talvolta, si interrompe.
Nella PAS, i figli finiscono per mostrare un astio e un disprezzo ingiustificato e continuo verso
un genitore; astio e disprezzo non dovuti a mancanze, trascuratezze o addirittura violenze di
questo genitore, ma prodotto da un'alleanza crudele che un genitore impone ai figli.
Usando le parole di Gardner, la PAS è: “Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel
contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore)
attiva un programma di denigrazione contro l'altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa
non è una semplice questione di “lavaggio del cervello”, o “programmazione”, poiché il
bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa
combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o
trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile”.
La PAS è caratterizzata da otto sintomi primari e da quattro criteri aggiuntivi, nonché da tre
livelli di intensità della sindrome (lieve, medio e grave), espressi dai figli come prodotto di una
programmazione (o lavaggio del cervello) da parte di un genitore.
La programmazione tende a limitare, o impedire, una relazione piena e soddisfacente fra i figli e
l'altro genitore, spingendo i bambini a rifiutare quest'ultimo.
Si tratta di una combinazione tra l’indottrinamento effettuato dal genitore programmatore
e il contributo personale del bambino nel gettare discredito sull’altro genitore.
Il genitore alienante induce il figlio a partecipare alla “campagna di denigrazione” a
discapito dell’altro genitore. L’indottrinamento è in genere intenzionale e non si esclude che il
bambino possa più o meno coscientemente accettare il ruolo assegnatogli dal genitore alienante
per ottenere vantaggi personali diretti o indiretti.
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E' identificato come sano il comportamento di quei figli che temporaneamente si alleano col
genitore che sentono più simile a se, cioè quello che pensano sia vittima della separazione.
Vogliono prendersene cura e aiutarlo a superare la crisi e, a meno che non siano risposte estreme
o prolungate, sono da considerarsi risposte normative positive.
I figli più sani e meglio adattati tuttavia finiscono col dimostrare uno spiccato desiderio di essere
giusti ed equilibrati con entrambi i genitori, si dissociano dalla lite coniugale e a volte da
entrambi i genitori, se sono adolescenti o giovani adulti accelerano il processo di distacco dai
genitori e trascorreranno molto più tempo fuori casa.
Sono invece i figli più fragili che iniziano progressivamente ad alienare il genitore con cui non si
sono alleati e che possono rientrare nella normalità solo se la separazione verrà gestita bene dai
genitori.
Questi bambini subiscono una violenza emotiva che crea loro un danno enorme, fino a
conseguenze psicopatologiche.
Le conseguenze di questa violenza, secondo Gardner sono, infatti:
- esame di realtà alterato
- conformazione narcisistica dell'Io
-distacco emotivo con indebolimento della capacità di provare simpatia ed empatia
- mancanza di rispetto per l'autorità
Dal punto di vista della psicologia giuridica, la PAS si sviluppa attraverso alcune fasi, definite
criteri aggiuntivi rispetto agli otto sintomi primari4:
1) difficoltà del minore nel periodo di transizione da un genitore all'altro. Il minore, in
questa fase, non desidera incontrare il genitore, con scuse varie, tipo altri impegni o altro. Sono
spesso presenti anche somatizzazioni che impediscono il contatto e la frequentazione.
2) Il comportamento del minore durante la permanenza a casa del genitore alienato
appare provocatorio, con l'obiettivo di determinare la reazione del genitore alienato,
confermandone la negatività.
3) Il legame del minore con il genitore alienante è caratterizzato da un rapporto esclusivo
e invischiante, con la ricerca continua di approvazione. Nei casi più gravi il legame è simbiotico-
patologico.
4 Che sono: denigrazione, razionalizzazioni deboli e superficiali, mancanza di ambivalenza, affermazione di
pensiero indipendente, sostegno al genitore alienante nel conflitto genitoriale, assenza di senso di colpa, scenari
presi a prestito, estensione del conflitto alla famiglia allargata.
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4) Il legame del minore con il genitore alienato prima della separazione o, in ogni caso,
dell'alienazione era un rapporto positivo dal punto di vista qualitativo; pertanto, risulterà
ingiustificato il cambiamento di comportamento.
La valutazione dello status del rapporto precedente con il genitore alienato è, dunque, il punto
focale da cui partire per poter capire se è plausibile o meno parlare di Sindrome di Alienazione
Parentale in riferimento al comportamento del minore.
La PAS è caratterizzata da tre livelli di intensità:
1) Livello lieve, con manifestazioni attenuate degli otto sintomi, presenza non
contemporanea degli otto sintomi, non particolari difficoltà del minore nella fase di transizione
da un genitore all'altro, comportamento non particolarmente “ostile” del minore durante la
permanenza presso il genitore non collocatario.
In questo caso, i provvedimenti necessari, clinici e giuridici, possono essere la modifica del
collocamento, ma non del regime di affidamento, che può in questo caso rimanere condiviso. È
necessario, però, il monitoraggio del personale competente per evitare che ci possa essere lo
scivolamento dalla forma lieve alla forma media.
2) Livello medio, con presenza degli otto sintomi della PAS che si manifestano attraverso
una maggiore intensità rispetto alla forma lieve; le visite al genitore alienato risultano
problematiche, con rifiuti iniziali. In presenza di entrambi i genitori il bambino mostrerà la sua
avversione ad andare dal genitore alienato, mentre, nel momento in cui riuscirà a restare solo con
lui, l'avversione scompare e può subentrare empatia e desiderio di rimanere.
I provvedimenti necessari, clinici e giuridici, possono essere l'affidamento ai Servizi sociali o
l'affidamento esclusivo al genitore alienato, con collocamento presso quest'ultimo. Risultano
necessari incontri figlio/genitore alienato e figlio/genitore alienante in spazio neutro con
psicoterapeuti, ma anche sostegno alla genitorialità individuale per entrambi i genitori.
3) Livello grave, in cui emerge un rapporto simbiotico e dunque patologico grave fra il
minore e il genitore alienante, con condivisione delle fantasie paranoiche del genitore alienante
nei confronti dell'altro genitore. Il genitore alienato viene vissuto come un pericolo per il minore,
quindi da non frequentare. Vi è presenza delle otto manifestazioni sintomatiche della PAS e delle
quattro aggiuntive, in modo forte e intenso, con rifiuto del minore di incontrare anche
brevemente, da solo, il genitore alienato. Emergono reazioni comportamentali psicopatologiche
del minore se a contatto con il genitore alienato, nonché rifiuto, da parte del minore, di incontrare
anche brevemente i familiari del genitore alienato.
I provvedimenti necessari, clinici e giuridici, possono essere l'affidamento ai Servizi sociali con
collocamento in casa famiglia o in altra struttura idonea, incontri figlio/genitore alienato e
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figlio/genitore alienante in spazio neutro con psicoterapeuti, progetto psicoterapeutico per il
minore, sostegno alla genitorialità individuale effettuata attraverso un percorso psicoterapeutico
per entrambi i genitori.
Va rilevato come la PAS è al centro di un intenso dibattito scientifico che evidenzia come non
corrisponda in realtà ad una “sindrome” clinica, ovvero ad un “disturbo” specifico di rilevo
nosografico in senso psicopatologico. Essa rappresenta piuttosto l’esito di un grave
disfunzionamento del sistema familiare e allo stesso tempo, sul piano giuridico, una
compromissione dei diritti relazionali del bambino.
La Alienazione Genitoriale si pone come un importante fattore di rischio per lo sviluppo
affettivo-relazionale e per l’equilibrio adattivo del bambino. Quando un genitore presenta l’altro
come una persona cattiva, pericolosa, equivoca, disturbata e forma un’alleanza con il bambino
che inizia ad ostentare i medesimi giudizi nel tentativo di garantirsi l’affetto di almeno uno dei
genitori, è messo in pericolo lo sviluppo delle dinamiche di identificazione del bambino stesso,
nella misura in cui egli diviene un passivo contenitore delle proiezioni e delle
strumentalizzazioni da parte del genitore “alienante”. Viene, infatti, danneggiata l’immagine
interna di entrambi i genitori e sono messi in atto meccanismi difensivi che portano con sé gravi
conseguenze per la sua salute psichica.
24
Rischi per il minore
L'osservazione clinica e numerosi studi hanno rilevato un rapporto causale tra eventi di
vita e l'insorgenza di alcune sindromi psicopatologiche e i cambiamenti della personalità; inoltre,
numerosi studi hanno indagato le componenti biologico/encefaliche, sociali e contestuali nella
risposta allo stress, ma ciò che accade dentro la psiche è unico e irripetibile per ogni persona.
Ogni individuo reagisce in maniera diversa ai vari eventi con i quali è costretto ad interagire, e
gli eventuali traumi causati da eventi esterni non necessariamente configurano lo stesso livello di
problematicità: infatti, la risposta patologica dipende da numerosi fattori, tra cui, oltre alle
condizioni mentali della persona al momento del verificarsi dell'evento, il modo del tutto
personale di spiegarsi l'evento all'interno della storia della propria vita e il significato personale
che la persona stessa attribuisce all'evento.
Una separazione altamente conflittuale potrebbe incidere in modo significativo sullo
sviluppo di personalità del minore, con conseguenze ipotizzabili nell'ambito di identificazioni
psicopatologiche con le figure genitoriali che, invece, dovrebbero rappresentare i modelli a cui
fare riferimento. Ricordiamo che la relazione con la figura materna viene vista, nella teoria
classica “materna” — quella di D. Winnicott, M. Klein, R. Spitz, Bowlby, A. Freud — come
determinante in assoluto per il resto della vita, in grado o meno di trasmettere affetto e
comprensione, ma anche sentimenti di colpa, dipendenze e capacità o meno di svincolo e
autonomia.
La mancanza della figura materna, intesa anche come rapporti inadeguati e privi di
equilibrio, potrebbe determinare nel bambino vissuti abbandonici, con sentimenti di vuoto,
distacco e dipendenza emotivo-affettiva, che andranno a configurare le classiche conformazioni
nevrotiche dell'Io.
Inciderà, quindi, sulla formazione della personalità, così come la figura paterna, che
rappresenta, invece, per la teoria junghiana lo “spirito generatore” vicino al principio spirituale,
ma anche il modello di Persona per il figlio, ovvero l'“archetipo sociale” che comprende i vari
compromessi necessari al vivere in comunità, e che garantisce al figlio l'adattamento cosciente e
collettivo, proprio per il ruolo che Jung assegna alla Persona nella teoria della struttura psichica,
di mediatrice fra l'Io e il mondo esterno.
Il rapporto con il padre dovrebbe, dunque, servire al bambino per mediare con l'esterno,
con le immagini della propria psiche e dell'inconscio in relazione al vivere con gli altri, quindi, in
25
ultimo, a capire di non essere onnipotente, di essere vincolato a regole che deve rispettare, per
liberarsi dall'ansia di un ruolo senza confini e senza regole.
La mancanza della figura paterna, introiettata, può determinare reazioni depressive, o
gravi aspetti regressivi, con uno scivolamento verso una totale disorganizzazione psicofisica.
L'ansia, quindi, determinata nel bambino dall'assenza di confini, regole e autorevolezza (che
dovrebbe essere garantita dalla figura paterna), può sfociare, tra l'altro e non solo, in un
comportamento alterato definito come Sindrome ADHD, “Disordine di Attenzione per
Iperattività” (Attention Deficit Hyperactivity Disorder).
Vanno anche ricordate le dinamiche dell'aggressività, ovvero quei comportamenti
devianti o antisociali di bambini e adolescenti, conseguenza spesso dell'assenza paterna, proprio
per il ruolo che il padre dovrebbe svolgere nei confronti del figlio, di guida in riferimento alla
autorità nella sua funzione di tramite con la società. Il ragazzo in questi casi può sviluppare
sentimenti di onnipotenza come reazione controfobica alla debolezza paterna, sentendosi così in
grado di poter fare tutto, utilizzando la strada diretta e semplificata dell'aggressività.
Ma l'assenza, o la debolezza, della figura paterna appare grave anche in considerazione di
una interessante teoria di D. Winnicott : “Di tanto in tanto il bambino odia qualcuno (dei
genitori) e se non può sfogarsi contro il padre, perché non lo ha (assente o troppo debole),
odierà sua madre; questo però lo sconvolge, perché la madre è la persona che ama di più”.
L'impossibilità, quindi, del figlio di proiettare la sua aggressività sul padre può
determinare, secondo la teoria di Winnicott, il rivolgere l'aggressività contro sé stesso
(tossicodipendenza, autolesionismo, masochismo, ecc.) o contro l'esterno, attraverso
comportamenti devianti o antisociali, in quanto incapace nello stesso tempo di rivolgere l'odio
verso la figura materna, troppo amata per fungere da sponda.
Le conseguenze di rapporti alterati psicologicamente con le figure genitoriali
rappresentano per i bambini fattori traumatici. Freud (1985) scriveva che “qualsiasi esperienza
che susciti una situazione penosa — quale la paura, l'ansia, la vergogna o il dolore fisico —
può agire da trauma”, e definì i traumi: “eventi in grado di provocare una eccitazione psichica
tale da superare la capacità del soggetto di sostenerla o elaborarla”. Il trauma, dunque, è
“un'esperienza che nei limiti di un breve lasso di tempo apporta alla vita psichica un incremento
di stimoli talmente forte che la sua liquidazione o elaborazione nel modo usuale non riesce,
donde è giocoforza che ne discendano disturbi permanenti nell'economia energetica della
psiche”.
Da un punto di vista della vita psichica i traumi causano angoscia, paure immotivate e
destabilizzanti, ripiegamento e chiusura emotiva, fino ad arrivare a vissuti di rovina e morte. In
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queste situazioni l'Io, per far fronte a situazioni così cariche di angoscia, può mettere in atto
meccanismi difensivi che possono determinare sintomi nevrotici (in casi estremi anche psicotici)
che andrebbero poi a configurarsi come un vero e proprio disturbo dell'Io e della personalità.
I traumi, da separazione o da abbandono, si configurano come un lutto simbolico, tra ciò
che era prima e ciò che è ora; l'evento separativo altamente conflittuale e patologico, inoltre, si
caratterizza per il bambino come una ferita, una lacerazione, o una frattura fra l'individuo e il
mondo in cui le persone devono affrontare un percorso di vita lungo e difficile, che prevede una
elaborazione psichica per affrontare la sofferenza; si tratta di percorsi che le persone-bambino
non hanno scelto e in cui sono state costrette a “sacrificare” la loro vita. Ci si trova, dunque, nel
sacrificio senza scelta, subìto dal destino nella forma dell'altro-genitore, che impersona
d'improvviso il trauma.
La separazione patologica, in quanto causa di un lutto simbolico, implica un lavoro
intrapsichico in cui l'Io è “costretto, per così dire, a decidere se vuol condividere quel destino
(dell'oggetto perduto), pensa ai soddisfacimenti narcisistici che offre ancora la vita e si risolve a
troncare il suo legame con l'oggetto scomparso”.
Affinché si compia questo distacco e siano consentiti finalmente dei nuovi investimenti, è
necessario un lavoro psichico: “Ciascuno dei ricordi, ciascuna delle attese con cui la libido era
legata all'oggetto sono rievocati e superinvestiti e su ciascuno si compie il distacco della libido”.
La perdita dell'oggetto-genitore, reale o simbolico, incide direttamente sulla qualità della vita,
sull'equilibrio emotivo-affettivo, sulle funzioni mentali primarie di pensiero, sui meccanismi di
difesa e sui vissuti interni del soggetto che ha subìto il trauma, con conseguenze legate a
sensazioni di dolore, angoscia e smarrimento che inficiano direttamente e qualitativamente la
normale vita di relazione, con un'alterazione soprattutto qualitativa dello stile di vita.
Inoltre, il fallimento delle funzioni mentali integratrici (coscienza, memoria, schema corporeo,
metacognizione, costruzione di “sintesi” di significato, ecc.) può produrre un'alterazione alla
struttura e sovrastruttura dell'Io con ripercussioni e modificazioni permanenti della personalità.
Dunque, come abbiamo visto, le esigenze dei minori si limitano a far si che anche una
separazione fortemente conflittuale non divenga fonte di trauma, come invece spesso avviene,
proprio per la pericolosità che tali conflitti possono avere sul futuro sviluppo psichico e di
personalità del bambino.
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Riflessioni conclusive
La consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione
genitoriale ha l’obiettivo di “riportare al giudice la condizione psicologica e relazionale che
connota gli individui che compongono la famiglia, la coppia e il sistema nel suo complesso,
evidenziando punti di debolezza, punti di forza, aree di criticità e risorse utili per attuare
cambiamenti evolutivi di segno positivo. Particolare attenzione dovrà essere posta agli aspetti
"prognostici" della situazione famigliare (le risorse disponibili, le eventuali potenzialità al
cambiamento dell'intero nucleo familiare, etc.) al fine di programmare e prevedere degli
interventi opportuni” (Protocollo di Milano 17 Marzo 2012).
Ciò definisce l’importanza di prendere in considerazione le diverse variabili e
caratteristiche di un sistema familiare. È fondamentale valutare come gli elementi rilevati non
assumono una connotazione universale ma un significato specifico a seconda del sistema in cui
si esprimono.
Pertanto, il quadro da esaminare è complesso, nel senso che si tratta di capire come gli
elementi agiscono e interagiscono e considerare la funzionalità o meno di tali dinamiche.
È importante contestualizzare sempre i dati emersi senza lasciarsi andare a facili
generalizzazioni perché ogni situazione presenta delle specificità.
La presenza di psicopatologia da parte di uno dei genitori è un fattore rilevante che
necessita approfondimenti al fine di valutare quali sono le ripercussioni che può avere sullo
sviluppo del minore. Quindi è opportuno effettuare una diagnosi che non si limiti ad un
inquadramento nosografico ma che faccia emergere il funzionamento della personalità del
soggetto e che metta in evidenza le aree compromesse e quelle funzionali.
Il criterio prioritario, che bisogna sempre tener presente in tutte le fasi della consulenza
tecnica è salvaguardare l’interesse del minore.
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