Presentazione di PowerPoint - iuav.it · La città contemporanea come forma complessa di natura...

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Guido Borelliguido.borelli@iuav.it

Università IUAV di Venezia - CdL Magistrale in Pianificazione e politiche per la città, il territorio e l’ambiente

Corso di Sociologia dell’ambienteA.A 2015-2016

AVVISOLe diapositive contenute in questo file sono le

stesse (rivedute e ampliate) presentate dal docente nel corso delle lezioni.

Hanno lo scopo di riassumere le principali questioni (non tutte!) trattate durante le lezioni, non sono necessariamente disposte nello stesso ordine con cui sono state presentate a lezione e vanno necessariamente integrate con i testi di riferimento e con gli appunti presi durante le

lezioni.In nessun modo dovranno essere considerate

esaustive del corso di sociologia.

I paradigmi della riflessione

sociologica

I paradigmi della riflessione sociologica

1. paradigma dell’ordine;

2. paradigma del conflitto:

3. paradigma della struttura;

4. paradigma dell’azione;

Cosa tiene insieme la società e come è possibile l’ordine sociale in un’epoca in

cui le trasformazioni economiche, sociali e culturali hanno infranto la credenza nella sacralità della tradizione e della

religione?

1. Paradigma dell’ordine

Il conflitto non è una condizione

patologica della società, ma la sua

condizione normale che può generare

sia ordine, sia mutamento

2. Paradigma del conflitto

La società viene prima degli individui. I fatti sociali possono essere spiegati solo da altri fatti sociali, non si può partire dal comportamento degli

individui, dalle loro motivazioni e dalla loro personalità, per arrivare alla

società.

3. Paradigma della struttura

Per spiegare i fenomeni sociali – di qualsiasi natura essi siano – è sempre necessario ricondurli ad atteggiamenti, credenze e comportamenti individuali e di questi si deve cogliere il significato

che rivestono per l’attore.

4. Paradigma dell’azione(individualismo metodologico)

La sociologiaurbana

(cosa è, di cosa si occupa?)

La sociologia urbana è una linea di ricerca, collocata nel quadro delle discipline sociologiche, e

ha come riferimento quello di interessarsi della città nei suoi aspetti sociali.

Tali aspetti si riferiscono all’agire dei soggetti che compongono la popolazione urbana, alle

relazioni che essi instaurano, alla formazione di gruppi sociali, movimenti, istituzioni

organizzazioni, ai legami di complementarietà o di competizione che esistono tra tutte queste entità,

sino all’interpretazione della città in quanto sistema sociale

(Mela, 2006, pp. 15-16)

Il tratto caratteristico della sociologia urbana è la concentrazione selettiva dell’attenzione

sulla dimensione spazio-temporale di tutti gli aspetti che essa presenta.

La sociologia urbana ha uno specifico oggetto di ricerca: quando si riferisce alla società (o

all’agire sociale, all’interazione, al conflitto, ecc.), si interessa a fenomeni che hanno luogo in punti precisi dello spazio e del tempo, che

sono condizionati dalle risorse e dai vincoli presenti nell’ambiente e che contribuiscono a trasformare continuamente il quadro di tali

risorse e vincoli (Mela, 2006, p.17)

La città: oggetto non ovvio della sociologia

urbana

1. L’analisi sociologica

della città

2. Evoluzione ed

attualità del

fenomeno urbano

3. Economia e società

urbana

4. La città, i conflitti, il

governo

5. Le politiche della

città

6. La città, fenomeno

culturale

7. Il territorio urbano e

l’ambiente

8. Verso una sociologia

spazialista

1. Tra città e sistema

urbano

2. La descrizione

sociologica dei

sistemi urbani

3. Comunità e società

urbana

4. Globalizzazione e

«glocal»

5. Sistemi urbani come

sistemi politici

6. Le nuove politiche

urbane

7. L’agire

architettonico

1. The New Urban Sociology

2. The Origins of Urban Life

3. The Rise of Urban Sociology

4. Contemporary Urban Sociology

5. Urbanization in the United States

6. Suburbanization and the Creation of

the Multicentered Region

7. People and Lifestyles in the

Metropolis

8. Ethnicity and Race in the Metropolis

9. Neighborhoods, the Public

Environment, and Theories of Urban

Life

10. Metropolitan Problems: Poverty,

Racism, Crime. Housing, and Fiscal

Crisis

11. Local Politics: City and Suburban

Government

12. Urbanization in the Developed

Nations: Western and Eastern

Europe and Asia

13. Globalization and Third World

Urbanization

14. Environmental Issues and

1. Città e sistema urbano

2. La città e l’economia

3. La città e le politiche

4. La città e la cultura

1. Urbanism and

Community

2. The Form and Function

of Cities

3. Inequality and Social

Difference

4. Gender and Sexuality

5. Globalization and Urban

Change

6. Culture and the Urban

Economy

7. Urban Exclusion and

Social Resistence

1. La città contemporanea come

forma complessa di natura

politica, economica e

socioculturale

2. La varietà delle scale e delle

sfere territoriali

3. Il progetto urbano tra

accelerazione e rischio,

sconfinamento e incertezza

4. Città e tecnica

5. La città come nodo in una

società di flussi

6. Gli aspetti simbolici e culturali

della città

7. Nuovi modelli: città-regione,

città-rete, città globale

8. I processi di governance

postmetropolitana

9. Le architetture della

globalizzazione

10. Globalizzazione, innovazioni e

politiche urbane

11. La città come capitale sociale

1. Incontro con la città

2. I fondamenti della teoria

urbana: Weber, Simmel,

Benjamin e Lefebvre

3. La città reale: riforme sociali e

tradizione empirica negli studi

urbani classici

4. La città utopica: dalla Garden

City al nuovo urbanesimo

5. Tra sobborgo e ghetto: gli

studi urbani e gli studi di

comunità

6. L’economia urbana: la città

capitalistica

7. Il conflitto urbano: politica,

cittadini e potere

8. Cultura, rappresentazione e

differenza nel contesto urbano

9. Il futuro della città e la nuova

teoria urbana

Teoria e pratica della deriva

Letture di riferimento:

Debord, G. (1956), "Théorie de la dérive", Les Lèvres nues, n. 9, novembre.

«Il carattere

fondamentalmente

urbano della deriva, a

contatto con quei centri

di possibilità e di

significati che sono le

grandi città trasformate

dall’industria,

corrisponde alla frase di

Marx: “Gli uomini non

possono vedere nulla

intorno a sé che non sia

il loro proprio viso: tutto

parla loro di loro stessi.

Anche il loro paesaggio

ha un’anima”».

Guy Debord

Théorie de la dérive, 1958

«La deriva (psicogeografica) è una tecnica di passaggio veloce attraverso

diversi ambienti».

«Una o più persone che praticano la deriva rinunciano – per una durata di

tempo più o meno lunga – alle ragioni di spostarsi e di agire che sono

generalmente abituali, per lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e

agli incontri che vi corrispondono».

La deriva corrisponde a un vagare a caso, o alla pratica della flânerie?

Letture di riferimento:

Baudelaire, C. (1863), Le peintre de la vie moderne.

Benjamin, W. (1924-1940) I passages di Parigi.

botanico dell’asfalto, il vagabondo metropolitano, il passeggiatore

privo di meta, il pedone urbano, l’osservatore impressionistico

della realtà cittadina, il critico del modernismo, il lettore

della città, il guardone cinico, lo spettatore non visto, il follaiolo, il portatore

di sguardo analitico, il sociologo della città semiotica, il privilegiato

osservatore, l’insaziabile curioso, il testimone delle novità, colui che è

privo di biografia famigliare, l’apparente disoccupato,

l’esteta intellettuale, l’esploratore sociale, l’indagatore dello

spettacolo della folla, la figura isolata nella massa, il voyeur inappagato, il

testimone distaccato, il prodotto dell’industrializzazione, il dandy

modernista, l’uomo della folla, il blasé, il predecessore del

turista, il borghese ricettivo ma distaccato dalla realtà urbana, il fotografo di

strada ante litteram, l’investigatore della città moderna, l’esploratore

dei nuovi legami sociali, il fruitore di soddisfazioni, temporanee,

lo sperimentatore dei nuovi rapporti spazio-temporali, il paladino dell’individualità sociale, il

protagonista e prodotto delle nuove realtà urbane

NO!

Praticare la deriva implica resistere alle sollecitazioni che portano verso percorsi

banali.

La deriva è un’attività intenzionale e razionale.

La deriva mira al riconoscimento di unités d’ambiance.

I situazionisti hanno utilizzato il termine ambiance per riferirsi al sentimento o allo

stato d'animo associato a un luogo, al suo carattere, al tono, o alle emozioni

che potrebbe suscitare; ma hanno usato lo stesso termine anche per indicare il luogo stesso, soprattutto piccoli parti di

quartieri della città, che chiamavano unités d'ambiance: parti di città con un

ambiente urbano particolarmente potente.

La pratica della deriva si pone dal punto di vista del passaggio: il suo

osservatore/osservato è il passante.

L’ecologia umana considera la città a partire dagli abitanti, la psicogeografia a

partire dai passanti.

La prima ha come principio basilare il radicamento, la seconda le

frequentazioni di diversi territori

La deriva è – nelle intenzioni di Debord –una critica di tutta la sociologia urbana

dell’epoca.

La pratica della deriva contesta all’ecologia umana l’insistenza nel fissare

la popolazione a una residenza (un habitat) dalla quale esce per il lavoro e

per il loisir, mentre tutto il resto del luogo rimane terra incognita.

Chombart de Lauwe (1952), nel suo studio su Paris et l’agglomération

parisienne, nota come «un quartiere urbano non è determinato

soltanto dai fattori geografici ed economici, ma anche dalla

rappresentazione che ne hanno i suoi abitanti e quelli degli altri quartieri» e mostra «l’angustia

della Parigi reale, nella quale ciascun individuo vive

geograficamente un quadro il cui raggio è estremamente piccolo»

Nello schema il tracciato di tutti i percorsi effettuati in un anno da

una studentessa del XVI arrondissement. Questi percorsi

disegnano un triangolo di dimensioni ridotte, senza

fuoriuscite, i cui tre vertici sono la Scuola di scienze politiche, il

domicilio della ragazza e quello del suo professore di pianoforte.

4 tipi di derive

1. casuale: consigliabile nelle esplorazioni delle terre incognite del territorio;

2. lucida: caratterizzata da un atteggiamento razionale, consigliabile quando la deriva si propone di mappare le

ambiance;

3. statica: consigliabile quando si intenda indagare diacronicamente i luoghi e individuare le unità di tempo inb

cui si manifestavano le ambiance;

4. spaesante: quando si indagano intensivamente territori già largamente esplorati.

La critica di Debord non coglie appieno il punto:

«Il processo di segregazione urbana stabilisce distanze morali che fanno della città un mosaico di piccoli mondi che si toccano

ma non si compenetrano. Ciò rende possibile agli individui di passare con facilità e rapidità da un ambiente morale all’altro e incoraggia l’affascinante ma pericoloso esperimento di vivere

simultaneamente in parecchi diversi mondi contigui, ma nettamente separati. Tutto ciò tende a dare alla città un carattere superficiale e avventizio; tende a complicare le

relazioni sociali e a produrre nuovi e divergenti tipi individuali (R. Park, 1967, tr. it)»

Letture consigliate (facoltative per l’esame):

Sinclair, I. (2008), London Orbital, Il Saggiatore, Milano

Vazquez, D. (2010), Manuale di psicogeografia, Nerosubianco, Roma.

Henri Lefebvre:lo spazio critico e la critica dello

spazio

«Che lo spazio abbia

assunto, nel modo di

produzione attuale e nella

‘società in atto’ una specie di

realtà propria, allo stesso

titolo e con lo stesso processo

globale della merce, del

denaro, del capitale,

anche se in modo diverso, è

un postulato che molti

rifiutano.

Alcuni, di fronte a questo

paradosso, chiederanno

prove; visto che lo spazio così

prodotto serve come

strumento sia di pensiero, sia

di azione, sia come mezzo di

produzione, sia,

contemporaneamente, di

controllo, dunque di dominio e

di potere – ma visto anche

che sfugge parzialmente a

coloro che se ne servono».

(Henri Lefebvre,

La production de l’éspace,

1974)

Oltre la dialettica

spaziale

«Lo spazio sociale potrà venire esplorato nella

sua particolarità quanto più esso smetterà di

essere indistinguibile dallo spazio mentale

(come definito dai filosofi e dai matematici) da

un lato, e dallo spazio fisico (come definito

dall’attività pratico-sensoriale e dalla

percezione della ‘natura’) dall’altro.

Lo spazio sociale non è costituito né da una

collezione di oggetti o da un aggregato di dati

sensoriali, né da un vuoto riempito di vari

contenuti: esso è irriducibile a una ‘forma’

imposta sui fenomeni, sulle cose, sulla

materialità fisica».

Lefebvre ha proposto il superamento

della dialettica spaziale attraverso il

concetto di

dialettica triplice dello spazio

ovvero:

spazi percepiti;

spazi concepiti;

spazi vissuti.

La dialettica triplice dello spazio

Lefebvre ha poi ulteriormente precisato il

concetto di

dialettica triplice dello spazio

in:

pratiche spaziali (éspace perçu);

rappresentazioni spaziali (éspace conçu);

spazi di rappresentazione (éspace veçu).

La dialettica triplice dello spazio

«Ogni società produce, dà forma e utilizza

il proprio spazio, vale a dire ha una propria

pratica spaziale. Le relazioni di produzione

danno poi origine a delle rappresentazioni

dello spazio (ad esempio quelle di

scienziati, urbanisti, ingegneri sociali),

mentre altri codici ancora creano degli

spazi di rappresentazione (ad esempio lo

spazio direttamente vissuto attraverso

immagini e simboli ad esso associati, e

dunque lo spazio degli abitanti e degli

utenti)».

Dominio e controllo dello spazio

Produzione di spazio

proprietà privata della terra; divisioni stati e amministrative dello spazio; comunità e quartieri esclusivi; zonizzazione esclusiva e altre forme di controllo sociale (polizia e sorveglianza)

produzione di infrastrutture fisiche (trasporti e comunicazioni; ambienti edificati; adeguamento del territorio); organizzazione territoriale delle infrastrutture sociali

pratiche spaziali materiali (esperienza)

spazi proibiti; imperativi territoriali; comunità; cultura regionale; nazionalismo; geopolitica; gerarchie

nuovi sistemi di mappatura; rappresentazione visiva; comunicazioni; ‘nuovi discorsi’ artistici e architettonici semiotica

rappresentazione dello spazio (percezione)

assenza di familiarità; spazi di paura; proprietà e possesso; monumentalità e spazi rituali costruiti; barriere simboliche e capitale simbolico; costruzione della tradizione; spazi di repressione

Programmi utopici; paesaggi immaginari; ontologie e spazi fantascientifici; schizzi d’artista; mitologie dello spazio e del luogo; poetica dello spazio; spazi di desiderio

spazi di rappresentazione (immaginazione)

Fonte: Harvey, D. (1990), La crisi della modernità [ispirato a Lefebvre, H. (1974), La production de l’éspace]

Le pratiche spaziali materiali si

riferiscono ai flussi, ai trasferimenti e

alle interazioni di ordine fisico e

materiale che avvengono nello spazio e

attraverso lo spazio in modo da

assicurare la produzione la

riproduzione sociale

ricapitolando:

Le rappresentazioni dello spazio

comprendono tutti i segni e i significati, i

codici e la conoscenza che permettono alle

pratiche materiali di essere discusse e

comprese, sia nei termini del senso

comune, sia nei termini del gergo delle

discipline professionali e accademiche che

si occupano di partiche spaziali

(l’ingegneria, l’architettura, la geografia,

l’ecologia, la sociologia, ecc.)

Gli spazi di rappresentazione sono

invenzioni mentali (codici, discorsi spaziali,

programmi utopistici o probabilistici,

paesaggi immaginari o immaginati,

coistruzioni materiali come spazi simbolici,

specifici ambienti edificati) che

immaginano nuovi significati e nuove

possibilità per le pratiche spaziali

«Ho fatto questi progetti come se

fossero stati proposti a me da

qualcun altro, voglio dire da qualcuno

che si sia spostato dalla traiettoria

permanente dei pensieri involuti sulle

città, avendo pensato che i pensieri

involuti sulle città in fondo non hanno

fatto che tramandare finora, da

qualunque parte si siano cominciati o

si si siano condotti, l’idea folle e

pericolosa, l’idea malata e aggressiva

che gli uomini ‘devono’ vivere soltanto

per lavorare per ‘produrre’ e poi

consumare. Ho progettato

immaginando che qualcuno si sia

spostato con il pensiero e con le

azioni dalla morale dell’uomo

‘lavoratore produttivo’ e si sia avviato

a pensare che gli uomini possono

vivere (se vogliono) per vivere e

possono lavorare, se vogliono –

casomai – per sapere con il corpo,

con la psiche e con il sesso, che

stanno vivendo».

Ettore Sottsass,

Il pianeta come festival, 1973

Lo spazio della vita

quotidiana

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vita quotidiana

Il momento urbano

Per Lefebvre l'urbanizzazione deve essere considerata come un processo sociale

fondato nello spazio nel quale un'ampia varietà di attori con differenti

obiettivi e agende interagiscono attraverso una combinazione di pratiche

spaziali tra loro concatenate.

In una società classista come quella capitalista, queste pratiche spaziali producono dei precisi effetti sociali.

Nella sua opera più importante (La production de l’éspace, 1974), Lefebvre sostiene che con il

ventesimo secolo è iniziato il momento urbano.

Per momento urbano, Lefebvre intende una svolta storica (che possiamo fare coincidere con il manifestarsi della crisi fordista), nella quale la

società industriale capitalista è stata trascesa – in termini dialettici – dalla società urbana.

Nel momento urbano non è più l'industrializzazione a produrre urbanizzazione ad

essa asservita, ma è l'esatto contrario.

In termini strettamente marxiani ciò significa che, nella produzione dello spazio urbano, è il

circuito secondario del capitale – quello che riguarda la produzione di surplus

non più attraverso la produzione, ma attraverso la finanza e la speculazione – a

essere divenuto egemone.

Lo spazio urbano, rappresentato dall'ambiente costruito, non è solo una forza produttiva –una derivata secondaria di più importanti

processi sociali ed economici – ma è diventato un oggetto di consumo.

Per Lefebvre, il capitalismo ha iniziato il proprio declino, ma non nel modo in cui aveva previsto

Marx.

Con il momento urbano si verifica una svolta nella quale le tesi sostenute da Marx ne Il Capitale iniziano ad apparire come degli

artefatti storici.

La visione utopica di Lefebvre non gli impedisce di considerare che l’unico modo per controllare e organizzare lo spazio urbano è rappresentato dalla sua frammentazione in parti liberamente

scambiabili sul mercato.

Poiché la tradizionale concezione di rivoluzione socialista – tutta concentrata sul possesso dei mezzi di produzione e sulla lotta di classe – non avrebbe mai

potuto produrre una nuova era di urbanizzazione, si rendeva allora

necessario un radicale spostamento degli obiettivi, individuando come priorità di

azione le pratiche attraverso le quali la vita umana avrebbe potuto auto-organizzarsi

all’interno di nuovi spazi sociali.

«La teoria della proprietà ‘immobiliare’ (con i suoi tratti caratteristici: rendita del suolo e commercializzazione dello

spazio, investimenti di capitali e occasioni di profitto, ecc.), che ha costituito a lungo un settore secondario, progressivamente integrato al capitalismo, è ancora in corso di elaborazione».

Sostenendo il concetto che gli investimenti nel settore immobiliare spingono le politiche di crescita delle città in modi assai specifici,

Lefebvre suggerisce che il real estate non è (solo) un caso particolare di trasformazione

dello spazio – una derivata del circuito primario – ma un processo di riproduzione nel quale le

attività sociali non riguardano solo le interazioni tra gli individui ma anche tra gli spazi.

Nottola: «Lo so che la città sta là e da

quella parte sta andando perché il piano

regolatore così ha stabilito. Ma è proprio

per questo che noi da là, la dobbiamo fare

arrivare qua».

Compari di Nottola: «E ti pare una cosa

facile? Cambiamo il piano regolatore?»

Nottola: «Non c’è bisogno. La città va in

là? Questa è zona agricola. Quanto la puoi

pagare oggi? 300, 500, 1.000 lire al metro

quadrato?

Ma domani, questa terra, questo stesso

metro quadrato (traccia con un bastone un

quadrato sulla terra),ne può valere 60,

70.000 e pure di più. Tutto dipende da noi:

il 5.000% di profitto.

Eccolo là (indica la città): quello è l’oro

oggi. E chi te lo dà? Il commercio?

L’industria? L’avvenire industriale del

Mezzogiorno?

Investili i tuoi soldi in una fabbrica!

Sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa

malattia... ti fanno venire l’infarto queste

cose. E invece, niente affanni e niente

preoccupazioni. Tutto guadagno e nessun

rischio. Noi dobbiamo solo fare in modo

che il Comune porti qua le strade, le fogne,

l’acqua, il gas, la luce e il telefono».

(F. Rosi, Le mani sulla città,1963)

Nella nozione di diritto alla città, era esplicitamente presente una sollecitazione

alla mobilitazione politica finalizzata a consentire l’accesso agli opposti:

l’individualità e l’associazione; la privacy e l’abitare insieme.

Nella visione deliberatamente utopica di Lefebvre, era presente il concetto di diritto all’opera, inteso come capacitazione della

società urbana di partecipare alla (e di fruire in modo attivo della) costruzione della città.

«Nel quadro urbano, le lotte di fazione, di gruppo, di

classe, rinforzano il senso di appartenenza. Le lotte

politiche tra ‘popolo minuto’e ‘popolo grasso’,

aristocrazia, hanno per terreno e per posta la città. Questi gruppi sono rivali in

amore per la loro città».

H. Lefebvre, Il diritto alla città, 1968

Erving Goffman:la vita

quotidiana come teatro

«Noi siamo sempre

sulla scena anche

quando pensiamo di

essere assolutamente

spontanei e sinceri

nelle nostre reazioni

dinanzi agli altri».

Erving Goffman,

La vita quotidiana come

rappresentazione, 1959

L’approccio

drammaturgico

L’approccio drammaturgico considera le interazioni quotidiane come una recita teatrale. Come in un teatro, esiste un

palcoscenico (la ribalta) e un retroscena.

La ribalta vincola il soggetto a seguire un preciso copione (p. es., mostrarsi sempre

appropriato e decoroso).

Il retroscena, prevede più scioltezza e l’occultazione di quegli aspetti che non

gioverebbero alla rappresentazione del sé.

Non esiste un unico teatro con un’unica ribalta e un unico retroscena perché un individuo agisce in numerosi e differenti

contesti sociali.

Per Goffman gli individui determinano il loro comportamento in relazione al ruolo che occupano in un determinato momento

(«in ‘quel determinato momento’»).

Un individuo può essere

contemporaneamente un datore di lavoro,

un padre/madre di famiglia, un attivista in

un’associazione di volontariato.

Per Goffman, in ciascuno di questi

differenti contesti sociali l’individuo porta

dentro di sé il condensato di tutte le

norme e i valori di riferimento degli altri

ruoli che agisce negli altri contesti.

La ribalta è il luogo dove l’individuo rappresenta tutte quelle situazioni sociali in cui egli deve agire rispettando le norme ed i

valori di riferimento della società, cioè quelle situazioni in cui l’individuo deve dare una risposta positiva alle aspettative che la

società ha in quel momento nei suoi confronti.

Si tratta di aspettative che sono legate strettamente al ruolo che ha (o che intende

dare) in quel momento.

Il retroscena è il luogo dove l’individuo rappresenta tutte quelle situazioni in cui egli riesce a liberarsi dai condizionamenti sociali

imposti dalla ribalta.

Nel retroscena l’individuo si comporta e agisce non in risposta alle aspettative altrui, ma facendo riferimento ai propri bisogni e ai

propri valori di riferimento in quel momento.

Per Goffman la società coincide con la somma dei

comportamenti dei singoli individui

guido.borelli@iuav.it