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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Corso di Laurea in Economia Manageriale
Economia e Tecnica della Comunicazione
A.A. 2011-2012
Lo Storytelling Dispensa ad uso degli studenti
Cagliari, Aprile 2012
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Indice
1. C’era una volta … pag. 3
2. In definitiva … cosa è lo storytelling? “ 4
3. Componenti della narrazione “ 5
3.1. Storia, discorso, narrazione: sinonimi? “ 6
4. Livelli della trasmissione narrativa “ 6
5. Storytelling e impresa “ 8
5.1. Pubblici di riferimento “ 9
5.2. Funzione delle storie “ 11
5.3. Perché realizzare lo Storytelling? “ 13
6. Storia o storie d’impresa? “ 14
7. Semplici regole per uno storytelling efficace “ 16
7.1. Raccolta delle storie “ 17
7.1.1. Scelta dell’organizzazione “ 17
7.1.2. Definizione del programma “ 18
7.1.3. Realizzazione delle interviste “ 19
7.1.4. Raccolta e archiviazione “ 21
7.2. Analisi delle storie “ 21
7.2.1. Trascrizione “ 22
7.2.2. Categorizzazione “ 24
7.3. Interpretazione “ 30
8. Come si racconta … “ 31
8.1. … l’identità d’impresa “ 31
8.2. … la comunicazione “ 34
8.3. … il management delle risorse umane “ 37
9. Osservazioni conclusive “ 39
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Cosa è la narrazione? Quando dico narrazione in-tendo da Omero a Susanna Tamaro, per dire tutti coloro che narrano una storia. La narrazione è co-municazione d’esperienza che allo stesso tempo è anche comunicazione di senso. Ma di quale senso? Il senso della nostra vita.
D’Ambrosio Angelillo, 1998
1. C’era una volta …
L’espressione che costituisce il titolo di questo paragrafo introduttivo, proietta immedia-
tamente all’interno di un mondo familiare ad ogni soggetto umano: il mondo delle storie.
Alcune domande lecite possono essere le seguenti: quale può essere il significato, il
ruolo e l’utilità del “C’era una volta …” nel mondo moderno? Come si concilia il C’era una vol-
ta …” con la complessità, incertezza, dinamicità, turbolenza dell’attuale periodo storico? Qua-
le possibile relazione con il mondo delle organizzazioni e delle imprese?
Non pare inutile richiamare l’attenzione sul fatto che gli eventi significativi e non della
storia dell’umanità per molto tempo sono stati tramandati attraverso la narrazione orale,
prima, e scritta, poi: oggi sono cambiati gli strumenti ma la necessità del trasferimento e
perpetuazione della conoscenza di eventi, aneddoti e altro, attraverso la narrazione non ha
subìto significative modifiche. Non solo, la narrazione – soprattutto dagli anni ’70 e ’80 del
Novecento - ha progressivamente interessato ambiti di studio e applicazione che parevano
estranei a tale fenomeno: le scienze politiche (narrazione quale elemento capace di sviluppa-
re un valido potere persuasivo), le scienze psicologiche (attenzione verso la narrazione-
identità tramite la quale si è giunti ad evidenziare che la personalità è assimilabile ad uno
script delle narrazioni incontrate e assimilate), le scienze economiche (si apre l’era delle eco-
nomie dell’esperienza, del desiderio e dei life-style: i dibattiti e gli studi si orientano sulle
componenti immaginarie e narrative nei prodotti), nelle scienze militari (fine della guerra
fredda ed esigenza di saper gestire la percezione sociale e l’opinione pubblica).
Siete sull’orlo di un attacco isterico perché avete il compito di lanciare un nuovo prodotto nei mercati occidentali o, peggio, persuadere un gruppo di lavoro della bontà di un cambiamen-to problematico? Qualcuno vi ha passato la patata bollente (o, più politically correct: il man-dato) di convincere un collettivo della positività di una nuova policy organizzativa? Più fortu-natamente, siete in procinto di progettare un nuovo videogioco? O, peggio, fate attività poli-tico-diplomatica e l’intelligence del vostro Paese vi immerge nell’impresa di consolidare la democrazia in uno Stato a bassa densità libertaria e civile? Oppure, più banalmente, avete solo (si fa per dire) bisogno di convincere gli amici della (vostra) scelta comune di andare al cinema? Per ognuna di queste attività vi troverete a usare materiali simbolici e a raccontare storie: convincenti, altamente evocative, decisamente motivanti.
Andrea Fontana, Manuale di Storytelling, 2009: preambolo
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Dal periodo sopra riportato trova conferma – a livello esemplificativo - l’ampiezza delle
problematiche che possono trovare supporto attraverso la narrazione o, come altrimenti si
indica, attraverso lo storytelling. Ciò induce a domandarsi: cosa è lo storytelling? È quanto si
cerca di indicare nel punto successivo.
2. In definitiva … cosa è lo storytelling?
“Il futuro è oggi qualcosa che appare problematico,
carico di minacce, e il racconto è un modo semplice
per rispondere all’incertezza del futuro”.
Christian Salmon
Lo storytelling, o arte di raccontare storie, per utilizzare la più usuale definizione di es-
so, in realtà non può essere ricondotto esclusivamente al semplice racconto di storie.
“Stories fill our lives in the way that water fills the lives of fish, stories are so all-
pervasive that we practically cease to be aware of them” (Denning, 2008).
Nel corso del tempo, l’utilizzazione dello storytelling ha assunto una più ampia connota-
zione divenendo (secondo taluni) una disciplina, uno strumento per convincere, influenzare i
pubblici di riferimento, un dispositivo socio-professionale.
Lo storytelling è l’arte di rac-contare storie
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Lo storytelling è quindi una cosa molto seria. È la scienza che traduce e promuove le ‘cose’ (vere o immaginarie che siano) in parole, immagini, suoni, percezioni ‘reali’. E, traducendole in percezioni ‘reali’, le rende ‘vere’: pregne di significati e legittimate a esistere.
Andrea Fontana, Manuale di Storytelling, 2009: 13. La narrazione non è un oggetto ma una attività: attraverso essa si comprende cosa sta
accadendo, cosa è accaduto o cosa potrebbe accadere, come se si fosse protagonisti dei fatti
e non semplici ascoltatori.
I racconti non sono innocenti: hanno sempre un messaggio, il più delle volte così ben nasco-sto che nemmeno il narratore sa quel che sta perseguendo (Bruner, 2002)
3. Componenti della narrazione
La narrazione ha due componenti di base: il prodotto (cosa) e il processo (come). E’ un
“cosa” perché è un atto comunicativo ed è un “come” perché si possono ottenere esiti con
diversa efficacia. Quest’ultima osservazione è strettamente correlata con il fatto che la narra-
zione interagisce con i sensi di ogni soggetto umano e, pertanto, risulta significativa in modi
differenti e, talvolta, in tempi differenti, con ognuno di essi. Ciò è possibile in quanto ogni
soggetto umano ha una propria memoria che può essere considerata un elemento narrativo,
“l’archivio” (o, se si preferisce, il data base) nel quale risiedono gli elementi di riferimento per
la narrazione, cioè i ricordi.
Ogni individuo può facilmente verificare che la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto, il gusto
sono basati sulla memoria, sul ricordo, sul format narrativo, derivante da un’esperienza pre-
cedente. È stato opportunamente osservato che “Non vi sarebbe nessuna narrazione senza
ricordo e non vi sarebbe nessun ricordo senza narrazione” (Fontana, 2009:15).
Risulta particolarmente interessante richiamare l’attenzione sulla memoria autobiografi-
ca (così definita da recenti studi neuroscientifici) quale memoria capace non solo di ricordare
la realtà, ma anche di attribuirle significati ulteriori effettuando una “personalizzazione” del
racconto nell’ambito di un sistema di ricordi.
La memoria autobiografica è allora una sorta di sistema di fiction (complesso e articolato su tre regni: fisico, emotivo e mentale) che ci serve per dare una coerenza agli eventi unici (o meno unici) della nostra vita, in interazione con quella degli altri. Quindi, per meglio dire, la memoria autobiografica è una co-fiction. Per questo la pubblicità contemporanea e l’advertising sfruttano – spesso senza neppure saperlo – dinamiche narrative, perché posso-no entrare in sintonia immediata con la memoria autobiografica. Senza di essa non esiste-remmo come individui che si riconoscono socialmente rispetto agli altri. Se vi chiedo che co-sa vi preparava a merenda la vostra nonna quando eravate bambini, l’effetto – con molta probabilità – è l’attivazione di un ricordo autobiografico che ha senso solo per voi, all’interno di una vostra specifica fiction ricca di sapori, odori, percezioni e affettività (positiva o negati-va) condivisi, in co-fiction – con il vostro sistema infantile parentale e amicale. La narrazione
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è quindi una proprietà insita nei sistemi (umani) viventi (Longo, 2008, in Fontana, 2009:16). Ne abbiamo bisogno per generare descrizioni simboliche all’interno del nostro ambiente. Per vivere, amare e morire. E, cosa non banale, per ricordarci di noi (Maturana e Varela, 1985 in Fontana, 2009: 16).
Il cosa e il come della narrazione
3.1. Storia, discorso, narrazione: sinonimi?
Per una migliore e più corretta comprensione dello storytelling, pare utile richiamare
l’attenzione sui termini storia, discorso, narrazione, che spesso vengono utilizzati quali sino-
nimi: in realtà ogni vocabolo ha uno specifico significato:
- la storia è l’insieme di eventi descritti secondo una successione logica e cronologica, il
contenuto di un certo racconto;
- il racconto è la forma del discorso, dell’enunciato, con il quale una certa storia viene rap-
presentata, una elaborazione di vicende reali o immaginarie;
- la narrazione è l’azione di enunciazione, è l’atto con il quale una certa situazione o storia è
concretamente trasmessa da un attore (che ha un’intenzione retorica) verso un pubblico.
Si ha dunque una storia quando vi sono azioni, che possono considerarsi come situa-
zioni in cui un personaggio ha un ruolo attivo più o meno consapevole, e vi sono avvenimen-
ti, ossia circostanze legate al personaggio. Da ciò emerge chiaramente che in una storia vi
sono i personaggi e l’ambiente nel quale la storia si svolge.
NARRAZIONE
Storia Focus sul
Cosa
Discorso Focus sul
Come
Personaggi
Ambiente
Avvenimenti
Azioni
Manifestazio-ne nei media
Strutture della trasmissione
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4. Livelli della trasmissione narrativa
Un elemento fondamentale per l’efficacia di una storia è come essa viene raccontata.
Se è vero che i contenuti possono avere un qualche rilievo, è la modalità con la quale ven-
gono raccontati che li rende attrattivi, convincenti, efficaci. Fra i vari livelli della trasmissione
narrativa, si richiamano quelli contenuti nello schema inserito più avanti.
Il narratore, soggetto diverso dall’autore, interpreta e modifica alcuni aspetti della sto-
ria per adeguarla ai pubblici ai quali la propone. Se comunque l’autore ha un ruolo insostitui-
bile nella creazione della storia, è il narratore che la trasferisce “filtrandola” attraverso la sua
soggettività. Nella trasmissione narrativa richiedono grande attenzione le scelte relative alle
trame (epica, tragedia, melodramma, commedia) e ai generi (thriller, giallo, romantico, fan-
tasy, ecc.). Il rapporto tra tempo della storia e tempo del discorso assume notevole impor-
tanza: il primo riguarda il reale svolgimento, durata e sequenza dei fatti, il secondo attiene
alla distanza tra i fatti e la narrazione (C’era una volta …) e l’ordine della loro esposizione. La
scelta dei media è strettamente correlata con l’obiettivo che si intende raggiungere (esposi-
zione verbale, cinematografica, ecc.).
È da notare che la storia può essere descritta come una trama che comprende episodi
connessi in modo causale e culminanti in una possibile soluzione di un problema, hanno (gli
episodi) una struttura cronologica chiara, con un inizio e una fine, combinano elementi tradi-
zionali con caratteristiche spontanee e aspetti creativi.
Livelli della trasmissione narrativa
Fonte: Schema tratto, con modificazioni, da A. Fontana, Manuale di Storytelling, 2009.
soggettività del narratore
trame e generi oggetto di narrazione
media fisici scelti e utilizzati
tempi della storia e del discorso
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La narrazione, è differente dal “tema”, dove non vi è trama, ma il cui obiettivo è quello
di mostrare cosa fanno le persone, come agiscono in particolari situazioni, ed è oltremodo
differente dal “serial”, definito come un insieme di episodi collegati, senza l’indicazione di una
possibile soluzione e può continuare all’infinito. La narrazione presenta elementi di difformità
anche rispetto alle cronache. Queste ultime consistono in un elenco di eventi ordinati tempo-
ralmente senza individuazione di legami e influenze reciproche, contrariamente alla narrazio-
ne nella quale si può individuare una trama avente la funzione di trasformare una lista di epi-
sodi in uno schema unitario che mette in luce il contributo di ciascun evento allo sviluppo e
conclusione della vicenda (Cortese, 1999).
5. Storytelling e impresa
A lungo considerato una forma di comunicazione riservata alle ore di svago o analizzata
solo da studi letterari (come la linguistica, la retorica, la narratologia, la grammatica testuale,
ecc.) lo storytelling comincia ad ottenere un successo sorprendente negli Stati Uniti dalla me-
tà degli anni Novanta, imponendosi in tutti gli ambiti della vita associata, incluso quello
dell’impresa.
Lo storytelling è un argomento ampio e articolato, che basandosi sui principi della nar-
razione applicata all'impresa, genera un vasto assortimento di strumenti, cartacei, digitali e
relazionali che possono essere applicati a diverse aree o funzioni dell’impresa, come per
esempio: principi strategici, brand management, comunicazione integrata, advertising, for-
mazione, product design. Attraverso lo storytelling si pone l’impresa al centro del racconto e
conseguentemente per mezzo dello storytelling si ha un riposizionamento comunicativo
dell’impresa nel mercato.
Lo storytelling diviene via via indispensabile per coloro che svolgono un ruolo decisio-
nale in politica, in economia, nell’ambito dello sviluppo e diffusione delle nuove tecnologie
dell’informazione, nell’Università, in diplomazia ... nessun contesto (sociale o economico che
sia) ne è risparmiato. La crescita di diffusione dell’utilizzazione dello storytelling ha determi-
nato l’emergere di interessanti dibattiti sulla sua origine, sul perché del successo in attività
“patrimonio” fino a poco tempo prima solo del pensiero scientifico e razionale, su chi sia lo
storyteller o narratore, quali le forme, e altri simili interrogativi la cui elencazione compiuta è
irrealizzabile.
Peraltro, se si intende utilizzare la narrazione quale strumento utile nelle relazioni e
problematiche interne ed esterne dell’impresa, è necessario chiedersi preliminarmente quale
storia si abbia interesse a raccontare e soprattutto a chi rivolgerla. È il “chi” che una volta in-
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dividuato fornisce la risposta alla prima domanda: quale storia raccontare, quali i personaggi,
i tempi e gli eventi.
Perché lo storytelling è divenuto tanto importante per le organizzazioni e, specifica-
mente, per le imprese? Tutte le organizzazioni – quindi, le imprese - realizzano storie da ri-
volgere, internamente ed esternamente, a vari pubblici di riferimento per orientare i loro
comportamenti e/o abitudini.
L'approccio narrativo appare la soluzione più consona in un'epoca contraddistinta da
mutevolezza, incertezza e complessità in cui le imprese si trovano ad operare.
È agevole riscontrare che in ogni organizzazione è presente ciò che può essere identifi-
cato come memoria autobiografica, cioè il patrimonio condiviso dai soggetti interni che è
espresso da ritualità interne, modi di dire, giochi di parole e di ruoli, modelli operativi di lavo-
ro che diventano elementi residenti nelle memorie fisiche di manager, professional, segreta-
rie, personale di produzione (Morgan, 2008).
Interessante è poi osservare come questa memoria autobiografica diventa narrazione,
azione e percezione aziendale. Ovvero come le persone si raccontano nell’impresa a partire
da quello che l’organizzazione stessa decide di raccontare di sé e delle trame con cui lo fa.
“The narrative pervades organizations because stories have a salience to the lives of
people, help us to make sense of firms: stories and narratives reflect our efforts to under-
stand the often baffling context of the modern organization as it goes through transforma-
tional change” (Mathews & Wacher, 2008: 40).
… un racconto organizza, plasma e definisce la realtà organizzativa. Il cosa si dice e il come lo si dice determinano la percezione del reale.
5.1. Pubblici di riferimento
Si possono definire due macro aree dei pubblici di riferimento alle quali si associano di-
versi obiettivi del racconto: i pubblici interni, ossia i dipendenti, e i pubblici esterni o stake-
holder, cioè clienti, fornitori, finanziatori, pubblica amministrazione, ecc.
Nel primo caso i racconti tendono ad informare, motivare, persuadere relativamente al-
le politiche di lavoro adottate dall’organizzazione, a creare conoscenza e motivazione rispetto
alle strategie adottate. Più specificamente, i racconti risultano utili in ogni situazione che può
generare cambiamenti, talvolta significativi, per l’organizzazione nel suo complesso e, quindi,
nello svolgimento delle attività per ciascun soggetto in essa operante.
Le narrazioni organizzative risultano molto utili per favorire la socializzazione e stimola-
re l’impegno e il coinvolgimento e, in sintesi, far sentire l’individuo partecipe del sistema or-
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ganizzativo. Esse consentono di colmare quel gap informativo e conoscitivo della cosiddetta
“organizzazione non gestita”, che si crea nell’ambito di luoghi e relazioni della “rete compor-
tamentale”. Si può fare riferimento all’interazione fra i soggetti durante le pause caf-
fè/pranzo, gli incontri nei corridoi o ai distributori di bevande: in quei momenti la soggettivi-
tà, l’individualità, prevalgono sugli aspetti formali, sulle regole e nascono … le storie.
Nella seconda fattispecie il racconto viene utilizzato dalle imprese per interagire con i
suoi stakeholder e, in particolare, convincere all’acquisto, coinvolgere nell’esperienza di con-
sumo, ma soprattutto per creare e accrescere la conoscenza e apprezzamento dell’impresa
come entità sociale oltre che economica.
Le macroaree dei pubblici di riferimento
Dipendenti Stakeholder
A motivo della notevole importanza sia per i pubblici interni che esterni, il raccontare
storie è divenuto un aspetto essenziale di molte organizzazioni che il management non può
lasciare al caso: è da considerare un “fattore di successo” specifico dell’attuale era.
L'impresa, i suoi beni, la sua attività, le sue risorse umane diventano in quest'ottica la
trama di un racconto o fiction che aspira a coinvolgere e rendere partecipi gli intelocutori, in-
terni ed esterni, attivando le corde più emotive, sulla falsariga di un "capitalismo delle pas-
sioni”.
Lo storytelling è una tecnica di comunicazione piacevole e accattivante, ma allo stesso
tempo è uno strumento di controllo e di potere (Salmon, 2008). Un esempio di storytelling è
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riscontrabile nel discorso di Steve Jobs ai laureandi dell’Università di Stanford. La sua “narra-
zione”, ricca di pathos, entusiasmo, capace di suscitare una molteplicità di differenti emozio-
ni, che sembra fluire da un discorso lungo quanto la sua stessa vita, non è un discorso spon-
taneo, come potrebbe apparire ad una analisi di prima approssimazione, ma segue le “rego-
le” della realizzazione dello storytelling.
Le organizzazioni manifestano una crescente
È anche per la capacità di “entrare in relazione con i sentimenti” che lo storytelling ma-
nagement è stato adottato da grandi imprese come Disney, McDonalds, Coca-Cola, Microsoft
e altre numerose imprese operanti nel presente periodo storico.
Lo storytelling è un’operazione più complessa di quanto si potrebbe credere attraverso
un’analisi superficiale, non si tratta semplicemente di raccontare storie ai dipendenti o ai
consumatori, di nascondere la realtà con un velo di invenzioni ingannevoli, ma di condividere
un insieme di credenze atte a suscitare l’adesione e di orientare i flussi di emozioni; di creare
insomma un mito collettivo vincolante. L’importanza di questo strumento è tale al punto che
molte imprese, quali Coca Cola, Apple, Nokia, Microsoft, Google, sono definite: storytelling
Pubblici interni
Pubblici esterni
Informare
Motivare
Promuovere
Far percepire
Orientare
Persuadere
Enfatizzare
Convincere
Coinvolgere
Persuadere
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organizations che letteralmente si potrebbe tradurre come imprese che raccontano o imprese
recitanti. Si noti come la Coca Cola company ad esempio abbia iniziato ad utilizzare i metodi
più innovativi dello storytelling già nel 1997 quando venne inaugurato a Las Vegas il World
Coca Cola dove fu istituito un museo della storia della Coca Cola accompagnato
dall’innovativo teatro del digital storytelling che rappresenta il cuore emotivo dell’attrazione.
Il World of Coca-Cola, di Las Vegas è stato progettato per catturare le esperienze particolari
di ogni visitatore con il brand preferito al mondo. Questi ricordi prendono successivamente
vita attraverso varie vignette video di un minuto mostrate nel "Teatro delle narrazioni". Si è
unita la più recente tecnologia alla forma d’arte più antica del mondo, la narrazione.
(The World of Coca-Cola opened on the Las Vegas Strip in the summer of 1997. It
houses a living history museum of Coca-Cola history, a fountain and a digital storytelling
theater which is the emotional heart of the attraction. The theater features live storytellers
presenting stories created by Dana Atchley Productions. There are seven different shows
which run fourteen hours a day. Outside the theater is a place for visitors to tell their own
stories about their relationship with the world's most recognized brand. The World of Coca-
Cola, Las Vegas is designed to capture each visitor's special experiences with the world's fa-
vorite brand. These memories are brought to life through several 2-3 minute video vignettes
shown in the " Storytelling Theater." Twenty-four separate stories are rotated, so each visit
will offer new tales to view. After exiting the theater, visitors can use computers to type in
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their own Coca-Cola memories. Stories are told through a unique process called "Digital Sto-
rytelling," an art form pioneered by multimedia developer Dana Atchley. Atchley has taken
the latest in technology and applied it to the world's oldest art form–storytelling.)
Steve Denning, guru dello storytelling management, ex dirigente della Banca Mondiale, af-
ferma che “la ragione del successo dello storytelling è semplice: a metà degli anni novanta
non funziona più niente altro”.
Nelle organizzazioni nascono e si diffondono molte storie (dal “mito” del fondatore ai
successi più eclatanti, dagli scioperi alle abilità individuali o di gruppo, dagli aneddoti ai con-
flitti): lo storytelling d’impresa è il tentativo di dare forma a questo insieme di “storie” tra-
sformandole in racconti, valorizzandole e proponendole in forme di comunicazione sistema-
tizzate.
5.2. Funzione delle storie
Lo storytelling può svolgere una funzione non secondaria anche per comprendere,
spiegare e confrontare la cultura dell’impresa (Cortese, 1999). Ricordando che le organizza-
zioni, e in particolar modo le imprese, sono entità dinamiche nelle quali le interazioni sociali
tra i soggetti sono la base per la costruzione di norme, valori, ruoli, sarà agevole comprende-
re come lo storytelling organizzativo costituisca un valido mezzo per comprendere e trasmet-
tere la cultura dell’impresa in modo efficace in un processo comunicativo non nuovo ma at-
tualizzato. Basandosi sugli eventi del passato, le storie guidano l’impresa poiché possono agi-
re da memoria di lavoro che stimola, attraverso il recupero dell’esperienza, l’apprendimento
organizzativo. Le narrazioni consentono altresì di riconoscere i gruppi e le coalizioni che si
contrappongono, di verificare il grado di controllo sociale esercitato dal management,
l’intensità delle istanze di allontanamento individuale dalle imposizioni, la resistenza al mana-
gement stesso.
Lo Storytelling è uno dei dispositivi contemporanei adoperati dalla comunicazione
d’impresa per posizionare meglio i prodotti, creare strategie più efficaci di comunicazione in-
tegrata interna ed esterna, per ricostruire in modo più caldo, più innovativo, più vicino ai
pubblici le storie d’impresa. Le organizzazioni hanno delle storie che si concretizzano in pro-
dotti che poi vengono consumate, per cui lo storytelling diventa quella disciplina, scienza,
tecnologia che permette di creare un allineamento discorsivo tra le storie d’impresa, le storie
di prodotti, le storie di consumo che poi i clienti finali comprano.
Si può affermare che “la storia organizzativa è un racconto soggettivo, strutturato in
forma di racconto, relativa ad un evento passato connesso ad una problematica rilevante,
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che consente di pervenire ad una attribuzione di significato” (Cortese, 1999: 55).
I manager più efficaci tendono ad essere particolarmente sensibili all’importanza delle
narrazioni al fine di ottenere il successo delle strategie di governo nonché impegno, entusia-
smo e condivisione da parte dei pubblici interni.
Per comprende le funzioni e le rilevanti potenzialità delle storie organizzative può esse-
re utile riportare uno schema che illustri le connessioni fra i vari aspetti (si veda lo schema).
Funzione delle storie
INDIVIDUO GRUPPO ORGANIZZAZIONE
Recuperare ed esprimere i vissuti personali
Rielaborare l’esperienza di lavoro
Confrontarsi e condividere
Costruire un senso
comune degli eventi
Trasmettere valori, regole
e soluzioni
Far apprendere l’organizzazione
Portare alla luce
un conflitto
Stimolare il cambiamento
Fonte: Schema tratto, con modificazioni, da Cortese, 1999.
Come può facilmente notarsi dallo schema, lo storytelling management consente di re-
cuperare ed esprimere i vissuti personali, rielaborare l’esperienza, confrontarsi e condividere
un evento significativo, costruire un senso comune degli eventi che non sono più solo del
soggetto che racconta ma divengono conoscenza “condivisa”, trasmissione di valori, regole,
soluzioni, capaci di stimolare il cambiamento della intera organizzazione.
Generare la narrazione in una impresa significa per il manager diventare “stratega me-
diatico” capace di favorire la socializzazione delle conoscenze, la governance delle prassi di
lavoro, la percezione dei propri prodotti/servizi, ma vuol dire anche saper affrontare il cam-
biamento e riformulare le attività di costruzione della corporate identity, della conoscenza in-
tegrata, della formazione, del product design e del brand management.
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Come si può notare lo storytelling nell’impresa abbraccia ogni aspetto, da quello sociale
a quello economico, è per questo motivo che non può essere lasciato al caso o trascurato.
Ciò che viene considerato di fondamentale importanza non è tanto lo storytelling in se
e quindi il “parlare dell’organizzazione” quanto a chi rivolgersi, capire e acquisire consapevo-
lezza che per pubblici diversi dovranno essere utilizzati linguaggi differenti, intellegibili, che
tengano ben presenti i fondamenti della comunicazione: per essere efficace e produrre i suoi
effetti è necessario trasmettere un messaggio idoneo ad essere compreso dal ricevente sen-
za stravolgimenti rispetto alle intenzioni del trasmittente. Ciò implica una elevata attenzione,
non solo al contenuto e al mezzo di trasmissione, ma anche ai numerosi “rumori” che posso-
no interferire nel processo comunicativo. Con lo storytelling cambia (in modo sostanziale si
potrebbe dire) la forma e il mezzo ma non l’obiettivo: comunicare efficacemente.
5.3. Perché realizzare lo storytelling?
Le organizzazioni manifestano una crescente necessità di comunicare per sopravvivere
e svilupparsi in mercati sempre più incerti, dinamici o, con una parola, turbolenti. Ciò implica
che per “vincere” non è sufficiente possedere la migliore produzione. Il prodotto più creativo,
il management professionalmente più capace. Ciò che “fa la differenza” è disporre della mi-
gliore autobiografia aziendale (Fontana, 2009).
Il management di un’organizzazione dovrebbe occuparsi o preoccuparsi delle narrazioni
d’impresa per il semplice motivo che tutte le organizzazioni parlano e vendono i loro prodotti
attraverso questo parlare che è in fondo una narrazione. Se la comunicazione è ormai dive-
nuta un asset fondamentale dell’agire delle imprese, poiché permette loro di relazionarsi con
tutti gli interlocutori interni ed esterni, lo storytelling è in grado di potenziarne l’efficacia, in
quanto grazie alla narrazione, la mera diffusione di informazioni viene trasformata in un vero
è proprio racconto fatto di personaggi e situazioni che risultano più memorabili a tutti i sog-
getti che entrano in contatto con l’impresa.
L'autore Salmon parte da un dato di fatto: negli ultimi quindici anni il sistema di comu-
nicazione è passato dal mezzo-brand al mezzo-storia. In altri termini, ciò che viene trasmes-
so non è più un'icona o un brand, ma la trama che sta dietro questi elementi. Invece di ven-
dere il brand Fiat, si vende la storia rassicurante di una famiglia che si è affidata a quest'au-
to. Si può affermare di essere entrati nell’era della narrazione in cui la sfida più grande che le
imprese devono affrontare è il modo di comunicare la loro storia nella maniera più efficace e
credibile possibile, sia all’interno che all’esterno.
In virtù di quanto appena notato, non dimenticando che è il ricevente che regola la
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comunicazione – il “chi” indicato in precedenza – particolare attenzione va dedicata alla scel-
ta delle trame da utilizzare per la (o le) storia. Non è una scelta semplice: qui di seguito si
indicano quelle più utilizzate:
• epica: di norma vi è un eroe che deve superare numerose vicissitudini per portare a
termine la sua missione;
• dramma: di norma si incentra sulle disavventure di “vittime che non si arrendono”, giun-
gendo sempre ad un epilogo che si traduce nel vivere o morire;
• melodramma: è sempre una modalità molto enfatica di raccontare. Si tratta delle avven-
ture (o disavventure) di vittime che diventano eroi, o di eroi che diventano vittime;
• commedia: non vi sono eroi ma individui che con furbizia e/o intelligenza riescono a rag-
giungere i propri obiettivi con comportamenti che non sempre sono trasparenti, cioè non
sono quello che sembrano.
Un altro aspetto interessante è costituito dall’ampiezza di possibilità applicative dello
storytelling. Un elenco di ciò che “si può fare” con lo storytelling in un’impresa è il seguente:
Che cosa si può fare con lo storytelling in un’impresa?
Condividere obiettivi specifici
Dare senso alle azioni dell’agire organizzativo quotidiano in modo da imprimere una spinta motivazionale
Creare un’identità (d’impresa, individuale o di gruppo) che favorisce una maggiore e mi-gliore identificazione
Mantenere la memoria (individuale e collettiva), al fine di realizzare una continuità dei sa-peri e un orientamento dei comportamenti
Orientare l’opinione sociale d’impresa: le storie fanno ridere, fanno piangere, suscitano paura, generano speranza e molti altri sentimenti, attraverso l’identificazione e la proiezione
Costruire e presidiare una cultura, cioè i valori e gli atteggiamenti che si ripercuotono nei fatti quotidiani
Sostenere nella progettazione del futuro con continue ripetizioni dei racconti, sia con ri-ferimento ai soggetti interni che esterni
Fonte: A. Fontana, Manuale di Storytelling, 2009, pag. 47.
6. Storia o storie d’impresa?
L’impresa, in quanto organizzazione, cioè collettività di soggetti umani, può essere
adeguatamente “raccontata” attraverso una o molteplici storie? Trattandosi di un’entità
dinamica e complessa e in relazione con i suoi ambienti, certamente esibisce una molteplicità
di “storie”. La citata molteplicità può trovare espressione in diversi ambiti: individuale,
strategico e del consumo (si veda la figura seguente).
Le storie che esprimono il punto di vista individuale, proprio perché basate
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sull’esperienza dei soggetti sono particolarmente utili per favorire la comunicazione di
specifiche esperienze di lavoro tramite le quali trasmettere la cultura e l’identità
dell’impresa, ma anche per creare un clima organizzativo basato sulla condivisione.
Il livello strategico ha una spiccata proiezione esterna: queste storie nascono
per accrescere o rafforzare la conoscenza dell’impresa, per creare o rafforzare la sua
immagine nell’ambiente.
Le diverse prospettive delle storie d’impresa
Per quanto attiene alle storie relative al consumo, si tratta di una gamma di nar-
razioni per mezzo delle quali orientare lo shopping. La molteplicità di storie che può
essere riferita a un’impresa risulta confermata dal fatto che si possono individuare sia
narrazioni frammentarie che onnicomprensive. Dal grafico di seguito inserito, emerge
chiaramente che ci si trova all’interno di un percorso che può essere realizzato com-
pletamente – dalle osservazioni alle saghe – o fermarsi ai primi stadi.
Le imprese che sono in grado di comunicare un prodotto e i benefici che ne derivano
dal suo utilizzo, attraverso una storia, diventano capaci di comunicare non una merce in
quanto tale ma un costrutto di colori emozioni e sensazioni. Basandosi su tale logica di inter-
pretazione è sicuramente esatto affermare che siano le storie a determinare la nascita dei
brand e non più il contrario. Le storie dei prodotti possono essere nate congiuntamente ad
essi o costruite ad hoc, ma a prescindere dall’origine della storia l’elemento più importante è
che esse siano coerenti con la strategia e vision dell’impresa.
Individuale
Strategico
Consumo
• Prodotti (scritti e orali) per esprimere l'eperienza di lavoro (dalla e-mail al meeting)
• Insieme di storie/discorsi per promuovere l'impresa (con strumenti cartacei, relazionali, digitali)
• Sistema di narrazioni che orientano le esperienze di shopping (visual design, musica, colori, organizza-zione spaziale ecc.)
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Il crescendo narrativo: dalla narrazione frammentaria a quella onnicomprensiva
La possibilità di poter individuare molte storie sottolinea, ancora una volta, che
un’impresa è un mondo complesso determinato dalla combinazione di elementi interni ed
esterni che, come detto, possono dare origine a storie interne ed esterne, ma anche storie
proposte dai clienti che rispecchiano la loro esperienza d’acquisto o di percezione
dell’impresa. Ebbene, la core story dell’impresa è il risultato delle combinazione delle tre tipo-
logie di storie sopra richiamate, sintetizzate visivamente nello schema seguente.
Saghe
Storie
Aneddoti
Osservazioni Rumors
Core story dell'impresa
Storie dai
clienti
Storie esterne
Sorie interne
Epopee Leggende
Novelle
Gossip
Racconti
News
Romanzi
Narrazione frammentaria
Narrazione onnicomprensiva
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7. Semplici regole per uno Storytelling efficace
Nell’affrontare il problema della realizzazione di uno storytelling è indispensabile tenere
presente con chiarezza che non significa raccontare una storia d’impresa (la cronologia dei
fatti aziendali) ma generare una serie di discorsi che partono da particolari materiali narrativi
(i prodotti, i competitor, gli stakeholder, i business partner, il personale, ecc.) che vengono
elaborati e resi idonei a incidere sulla memoria autobiografica dei pubblici a cui è destinato.
In breve: Come si realizza un percorso di storytelling? È riscontrabile una prassi o un
metodo per la sua realizzazione? Quali aspetti devono essere tenuti presenti?
Innanzitutto, come precisato poc’anzi, è fondamentale avere compiute informazioni sul
pubblico al quale ci si vuole rivolgere: conoscere le sue sensazioni del momento, cosa legge,
cosa ascolta. A questa fase preliminare segue la raccolta (attraverso interviste, colloqui, vi-
deo, ecc.), l’analisi e la selezione degli elementi utili per le storie in relazione ai problemi da
affrontare. Infine le storie vanno poi “restituite” ai pubblici attraverso un mix di strumenti
cartacei e/o virtuali. Una sintesi delle principali fasi per la “costruzione” dello storytelling si ri-
cava dallo schema seguente.
Le fasi di “costruzione” dello Storytelling
Fonte: Schema tratto, con modificazioni, da Cortese, 1999.
7.1. Raccolta delle storie
E’ la fase forse più cruciale e critica di tutto lo storytelling perché non solo da essa di-
penderanno i risultati ma soprattutto perché attraverso essa si entra a diretto contatto con
l’organizzazione e con i suoi pubblici di riferimento. Durante la fase della raccolta delle storie
si possono individuare alcuni fondamentali passaggi riportati nel seguente schema:
Raccolta storie
Analisi storie
Interpretazione
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Scelta dell’organizzazione
Definizione del programma Le interviste
Individuare il contesto organizzativo adeguato
Scelta del campione Definizione dei tempi e dei luoghi delle interviste
Definire gli obiettivi Modalità di raccolta
delle storie Individuare le modalità per
far emergere il racconto
Ottenere il sostegno di un referente interno
Definizione del ruolo dell’intervistatore e
dell’intervistato
Raccolta e archiviazione delle interviste
Ciascuno degli elementi contenuti nella tabella viene analizzato nei punti seguenti.
7.1.1. Scelta dell’organizzazione.
I principali fattori che influiscono su questa fase e che richiedono attente scelte vengo-
no di seguito analizzati.
Individuazione del contesto organizzativo
Si tratta dell’organizzazione per la quale realizzare l’individuazione di “storie”,
nell’ambito della quale ci si possa avvalere dell’aiuto di un referente interno e vi sia comun-
que un vertice disposto a dare sinceramente il suo appoggio o, altrettanto sinceramente a ri-
fiutarlo.
Definizione degli obiettivi da perseguire con lo storytelling
Una volta definiti gli obiettivi, andranno presentati al referente interno o alla Direzione
se ne esiste una. I primi contatti sono di solito telefonici e al fine di evitare che si verifichino
situazioni di “pre-concezioni” o manipolazioni della realtà, sarebbe consigliabile fornire solo le
informazioni strettamente necessarie. In questo modo si avrà la possibilità di raccogliere dati
in modo tendenzialmente obiettivo senza correre il rischio che il contatto scelto agisca solo
per compiacimento verso l’intervistatore.
Ottenimento del sostegno di un referente interno
È necessario poter fare riferimento ad una persona (solo una) disposta ad assumersi la
responsabilità del buon andamento del lavoro (la costruzione dello storytelling) dall’inizio alla
conclusione.
7.1.2. Definizione del programma
Le principali fasi da porre in essere nella definizione del programma da attuare, costitui-
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scono l’oggetto specifico di questo punto.
Scelta del campione
È una scelta che richiede molta attenzione in quanto dovrà essere effettuata in modo
da garantire la rappresentazione della configurazione dell’organizzazione sia con riferimento
ai caratteri personali (età, sesso, ecc.) sia ai caratteri organizzativi (posizioni, funzioni, ecc.)
tenendo conto che campioni troppo piccoli non garantiscono un adeguato livello di rappre-
sentatività e campioni troppo grandi potrebbero rendere difficile la raccolta dei dati. Alcuni
autori (Gabriel, 1997) consigliano un campione che vada dalle 10 alle 30 unità (laddove pos-
sibile per numerosità dell’universo).
Il numero di storie da raccogliere per soggetto intervistato potrà essere considerato
buono se compreso tra due e dieci: in questo caso si potrà avere a disposizione un archivio
di circa 100 storie (in un campione di 10 soggetti).
Modalità di raccolta delle storie
Una modalità può essere quella di utilizzare momenti narrativi cosiddetti di gruppo: in
questo modo un insieme di 4 - 8 soggetti, in un percorso prestabilito dall’intervistatore, si
impegnano a narrare le storie. Una tecnica più semplice e di più immediata applicazione è
quella delle interviste vis à vis (intervista narrativa) tra intervistatore e intervistato. Al fine di
suscitare le storie legate a esperienze personali dell’intervistato nell’organizzazione,
l’intervistatore potrà avvalersi anche di immagini rappresentative di organizzazioni, ambienti
di lavoro e di gruppo, da mostrare all’intervistato al fine di suscitare nello stesso la narrazio-
ne di avvenimenti che lo riguardano da vicino.
Un esempio di approccio all’intervista
La nostra intervista, che come le ho anticipato telefonicamente ci impegnerà per circa due
ore, è finalizzata a raccogliere dalla viva voce delle persone che lavorano in (…) il racconto di
episodi, fatti e avvenimenti particolarmente significativi avvenuti nel corso degli ultimi (X)
anni ….. Le chiedo di mettere a fuoco qualcuno tra questi episodi, fatti, avvenimenti, che le
sembra emblematico e significativo, senza preoccuparsi di seguire alcun ordine ma lasciando
fluire liberamente il pensiero …
Definizione del ruolo dell’intervistatore e dell’intervistato
Anche se può essere percepita come una precisazione “banale”, si ritiene importante
sottolineare che nel caso dell’intervista narrativa i due ruoli – dell’intervistato e
dell’intervistatore - devono essere ben chiari in chi effettua l’intervista: egli dovrà definire gli
obiettivi lasciando poi all’intervistato lo spazio per raccontare gli episodi che riterrà più oppor-
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tuni e intervenire per favorire e facilitare (ma solo per questo motivo) la narrazione attraver-
so domande tese ad amplificare i contenuti emersi. È da tenere presente che l’intervista nar-
rativa è un particolare tipo di intervista che coinvolge in un rapporto sociale intervistatore e
intervistato e la storia è, come affermato in precedenza, co-prodotta da entrambi. Di seguito
si indicano, a livello esemplificativo, le azioni che l’intervistatore può compiere al fine di con-
durre l’intervistato nella narrazione (Cortese, 1999):
- porre domande mirate
- amplificare i contenuti emersi e approfondire il punto di vista soggettivo
- inviare feedback
- dimostrare interesse e coinvolgimento emotivo
- offrire sostegno e chiedere chiarimenti
- focalizzare i significati
7.1.3. Realizzazione delle interviste.
Una prima questione che sorge in questo momento è capire se raccogliere le storie che
possono sorgere spontaneamente o suscitare le storie stesse attraverso domande appropria-
te. Entrambe le soluzioni mostrano punti di forza e punti di debolezza:
- lasciare che sia l’intervistato ad esprimersi liberamente se, da un lato, presenta il vantag-
gio di poter raccogliere aspetti emotivi della vicenda, dall’altro lato, presenta
l’inconveniente di poter perdere particolari della storia che sono dati per scontati da chi
parla e spesso, per tale motivo, non vengono riferiti;
- nel porre domande per suscitare le storie vi è il rischio di “pilotare” la narrazione secondo
il verso voluto dall’intervistatore, ma si avrebbe la possibilità di promuovere quella che
potrebbe essere definita la “vena poetica” dell’individuo.
E’ necessario, a motivo dei pro e contro che le due modalità presentano, utilizzarle en-
trambe al fine di avvalersi degli aspetti positivi e diminuire la possibilità di incorrere negli
svantaggi o nei rischi insiti in entrambi i metodi.
La realizzazione dell’intervista costituisce una fase che, similmente alle altre, deve es-
sere preparata con molta attenzione. Pertanto, è necessario, anche in questa fase, seguire
uno schema ben definito.
Definire tempi e luogo dell’intervista
Ogni particolare nella raccolta delle storie ha la sua importanza, anche il luogo
dell’intervista. La buona riuscita di tale fase dipende da molti fattori, non solo dall’intervistato
e dall’intervistatore. L’intervista non dovrebbe protrarsi per un tempo superiore alle due ore
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e, qualora il tempo non fosse sufficiente, sarebbe opportuno prevedere ulteriori incontri al fi-
ne di completare la raccolta dei dati e non affaticare l’intervistato. L’ambiente deve essere ri-
servato (l’intervistato si deve sentire libero di parlare senza condizionamenti) e, laddove pos-
sibile, i telefoni staccati. Questi piccoli accorgimenti, che possono sembrare scontati, spesso
sono sottovaluti e la loro non osservanza può compromettere il risultato dell’intervista;
Individuare le modalità per far emergere il racconto
Questa parte dell’attività si ricollega alla precedente nella quale sono state descritte le
possibili funzioni dell’intervistatore. La difficoltà maggiore in questa fase consiste nella capa-
cità che l’intervistatore deve avere nel condurre l’intervista e allo stesso tempo nell’astenersi
dall’intervenire quando il narratore sta parlando, soprattutto quando non necessario. Davanti
a frasi del tipo “Divertente vero?” oppure “Mi sono spiegato bene?” si dovrà cercare di man-
tenere un atteggiamento neutrale evitando inutili commenti che possano distrarre
l’intervistato dal suo racconto.
Di seguito si presenta una esemplificazione rispetto alla tipologia di domande che pos-
sono essere formulate per aiutare il narratore nel racconto della sua storia:
1. Chi ha partecipato al fatto?
2. Che cosa è successo prima e dopo?
3. Che valore ha avuto il fatto in termini di cambiamento?
4. Chi ha fatto (detto, pensato, lasciato intendere) cosa?
5. Che emozioni ha suscitato il fatto e perché?
6. Quanto è importante il fatto e perché?
7. Chi ne parla ancora?
8. In che termini il racconto si è modificato nel tempo?
9. Chi lo utilizza some situazione esemplare?
10. Potrebbe attribuire un punteggio da 1 a 10 a questo fatto dal punto di vista soggettivo?
Quale è l’importanza per l’organizzazione?
Naturalmente per ogni soggetto e situazione le domande dovranno essere adattate e
riformulate e, ovviamente, sarà opportuno non eccedere con il numero di domande.
7.1.4. Raccolta e archiviazione
La raccolta e archiviazione delle interviste può avvenire con tre strumenti diversi:
b) il nastro magnetico;
c) gli appunti su carta;
d) la memorizzazione.
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Se fino a qualche tempo fa la registrazione su nastro magnetico poteva presentare
qualche problema relativamente ai tempi massimi di registrazione (cambi batterie, cassette,
ecc.) oggi i moderni sistemi consentono registrazioni di diverse ore senza dover intervenire
sullo strumento e interrompere in questo modo la registrazione. Una buona raccolta di storie
dovrà avvalersi di tutti e tre gli strumenti summenzionati: la registrazione dovrà essere auto-
rizzata preventivamente ma è indispensabile comunque prendere appunti che, tra l’altro, de-
terminano sicurezza nell’intervistato che si sente “ascoltato”. Gli appunti possono riguardare
– quale complemento alla registrazione - impressioni, sensazioni, emozioni suscitate
dall’intervista (es. l’intervistato appare agitato, oppure l’intervistato appare molto orgoglioso
di far parte della organizzazione, ecc.). Tali appunti è opportuno che vengano trascritti subito
dopo l’intervista in modo da non scordare particolari importanti.
La memorizzazione è sconsigliata in quanto è difficile e richiede notevole esperienza.
7.2. Analisi delle storie
Terminata la fase di “raccolta delle storie” e specificamente, concluse le interviste, è
necessario procedere all’attuazione di attività che consentano di analizzare il “materiale” rac-
colto. I contenuti delle interviste non possono essere utilizzati così come sono stati raccolti,
ma devono essere elaborati e catalogati al fine di una successiva interpretazione.
Come per la raccolta delle storie anche nell’analisi si possono individuare due passaggi
fondamentali:
Trascrizione delle storie
• Trascrizione delle interviste • Individuazione delle storie • Predisposizione di un archivio informatico
Categorizzazione delle storie
• Definizione delle variabili • Compilazione delle schede • Predisposizione di un quadro di sintesi
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7.2.1. Trascrizione
Trascrizione delle interviste.
Le storie precedentemente registrate dovranno essere trascritte integralmente (sbobi-
nate) senza eliminare segnali paralinguistici (pause e accenti) utilizzando nella trascrizione
puntini e grassetti; errori linguistici; balbettii e suoni lessicali ehm, mhm, bah, ecc.). Ciò con-
sentirà successivamente di poter operare una scelta delle storie nella più ampia neutralità e
senza condizionamenti. Nella trascrizione dell’intervista vanno inserite anche le impressioni,
le sensazioni e gli stati d’animo precedentemente trascritti negli appunti.
Individuazione delle storie.
Non tutto ciò che viene raccolto durante l’intervista rappresenta o costituisce “storie”. È
proprio questo il momento in cui si dovranno isolare le parti dell’intervista che costituiscono
elementi di storie da quelli che non lo sono.
In che modo una storia può essere individuata nell’insieme di informazioni contenute
nell’intervista? Un supporto può derivare dall’analisi delle colonne della seguente tabella.
L’intervista, dopo essere stata trascritta, va “sezionata”, cioè ciascuna parte del testo
deve essere classificata in base al suo contenuto: per es. analisi del contesto, descrizione di
un’azione, ecc. A questo punto, individuate le storie, è opportuno che vengano riportate in
una scheda di raccolta. La scheda risulta particolarmente utile al fine di sistematizzare gli
elementi raccolti e per l’individuazione di eventuali diverse versioni della stessa storia.
Impressione Segnali verbali Descrizione
Sono gli appunti che l’inter-vistatore ha preso durante l’intervista che contengono, appunto, sensazioni, stati d’animo, ecc. Può essere an-che il risultato di domande all’intervistato: per esempio, “Quanto mi ha appena rac-contato mi sembra una sto-ria, le pare? A suo parere esiste un titolo capace di co-glierne il significato?
Sono costituiti da frasi che assumono il carattere di “ini-zio” e “fine” della storia. Per es. una frase simile a “Chiari-rò questo con un esempio”, costituisce un “inizio storia”.
Si tratta di “scenari” o “figu-re” di personaggi che vengo-no indicati quali elementi in-troduttivi della storia e che ne favoriscono una migliore comprensione
La scheda di raccolta si compone essenzialmente di tre parti, oltre all’indicazione del
numero di riconoscimento:
• variabili indipendenti: dati anagrafici e posizione organizzativa dell’intervistato e caratteri-
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stiche dell’organizzazione;
• variabili dipendenti: specificità della storia e dei suoi elementi;
• variabili di interpretazione.
Di seguito si presenta un esempio di scheda di raccolta, corredata da specificazioni per
ciascuna delle voci inserite. Ovviamente questa è una delle possibili configurazioni, è una
scheda-base, che può essere arricchita di ulteriori “finestre” di informazioni che risultano par-
ticolarmente significative per l’organizzazione o la storia specifica.
Un esempio di scheda-base di raccolta
Numero – È l’elemento di riconoscimento della classificazione della storia
Organizzazione – Indica l’entità cui si riferisce la storia
Autore – Denominazione e dati anagrafici essenziali dell’intervistato
Posizione- Contiene elementi quali: funzione dell’intervistato nell’organizzazione, anzianità di servizio e simili informazioni
Tema – Consiste in una sorta di “titolo” capace di riassumere in una riga il contenuto della storia
Testo storia – Versione integrale della storia (da un minimo di 150 parole ad un massimo di 300)
Parole chiave – Individuano i riferimenti più significativi del contenuto della storia. Sono utili per in-dividuare legami tra le varie storie
Personaggi protagonisti – Incluso il narratore, tutti coloro che hanno un ruolo centrale nella sto-ria
Personaggi partecipanti – Coloro che hanno un ruolo secondario (di comparsa) nella storia
Storie simili – In tale punto si indica il numero di riconoscimento di eventuali “versioni parallele” del-la stessa storia
Tipo di narrazione – Si tratta di indicare la tipologia di “trama” (comica, tragica, ecc.)
Morale della storia – In questo punto si individua (come nelle fiabe) un insegnamento per l’individuo e/o per l’organizzazione che viene tenuto in grande considerazione non solo nel presente ma come monito per il futuro. Per capire la morale dalla storia ci si può chiedere “Cosa intende comu-nicare il narratore?” oppure si può interagire direttamente con l’intervistato e chiedergli quali effetti o cosa si è appreso all’interno dell’organizzazione dall’avvenimento narrato.
Qualità della storia – La valutazione, o qualità della storia, è determinata da numerosi fattori quali la ricchezza dei particolari, l’articolazione della trama, la capacità di tenere desta l’attenzione dell’intervistatore
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Predisposizione di un archivio informatico
Per una più adeguata “archiviazione” è opportuno avvalersi di un supporto software,
un data base capace di contenere la “scheda” (di cui al punto precedente) e di poter estra-
polare disgiuntamente le singole informazioni in essa contenute, così come l’estrapolazione di
dati comuni alle diverse schede “archiviate”. Ci si riferisce, per esempio, ad un data base con
caratteristiche simili al software Access.
7.2.2. Categorizzazione
Definizione delle variabili
La scheda di raccolta analizzata nel punto precedente, può presentare qualche proble-
ma con riferimento soprattutto alla variabile “tipo di narrazione”. L’individuazione della “cate-
goria” nell’ambito della quale inserire la storia è di grande importanza per la sua validità ed
efficacia. L’analisi del “tipo di narrazione” si può effettuare sulla base di due livelli:
- distinzione tra storia e non-storia;
- individuazione della tipologia di trama.
In merito al primo livello, si possono individuare storie, semplici descrizioni di fatti, opi-
nioni (non suffragate da esempi e come tali non possono essere considerate storie), pseudo-
storie, ossia storie frammentarie che seppure cariche di pathos sono parziali e andrebbero
esplicitate meglio.
Con riferimento al secondo livello, le storie possono essere inquadrate come comiche,
epiche, tragiche, di oppressione, di traumi, di beffe e scherzi, romanzesche, romantiche.
Compilazione delle schede
Una scheda compilata correttamente consente una successiva elaborazione della storia
più agevole. A livello esemplificativo, si riportano alcune schede compilate (Cortese (1999).
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Esempi di schede compilate - 1
Numero – 78
Organizzazione – …………………..
Autore – ………………………
Posizione - ………………………..
Tema – La convention di Torremolinos come snodo tra passato e presente
Testo storia – Punto cruciale della svolta dell’impresa è stata la convention di Torremolinos, in Spa-gna, che è avvenuta nel mese di gennaio ’95. Punto di svolta perché era ancora organizzata come le convention di fine anni ’80, con grande opulenza e dispendio di mezzi, ma coincise con la presentazio-ne del [nuovo amministratore delegato] ai venditori. Il [vecchio amministratore delegato] prese la pa-rola e disse che se ne andava e che il [nuovo amministratore delegato] prendeva il suo posto. All’annuncio, silenzio glaciale. Ha dovuto dire qualche parola il [nuovo amministratore delegato], ha suggerito di essere positivi, ottimisti, lui era positivo. Dice di essere contento, che ci conosceremo di più. Due parole, clap clap. Il paradosso è che si licenzia uno e poi gli si fa la festa ma non lo si lascia neanche parlare, a parlare è quello che gli prende il posto. Poi gli facciamo un regalo, un bonsai. Era stata una cosa faraonica per motivare i venditori e rilanciare l’impresa, con cena di gala, ballerine, paella, cuscùs e bla-bla. Aveva colpito moltissimo. Era una dimostrazione di forza, esagerata, in un pe-riodo di crisi. Tavole imbandite, ambiente lussuosissimo, grandi discorsi, spettacoli. Non so cosa abbia potuto pensare il [nuovo amministratore delegato] vedendo tutto ciò, forse rideva sotto i baffi e pen-sava ‘godetevela perché tanto sarà l’ultima’.
Parole chiave – Convention 2…..., Cambio al vertice, Opulenza
Personaggi protagonisti Nuovo amministratore delegato Vecchio amministratore delegato
Personaggi partecipanti Venditori
Storie simili – 12, 28, 47, 104, 127
Tipo di narrazione – Tragica/comica
Morale della storia – Il periodo dell’opulenza è finito, oggi regna la parsimonia. Il nuovo ammini-stratore delegato ha saputo eliminare le esagerazioni, dimostrando fin dall’inizio di avere uno stile più “asciutto” del precedente. L’impresa non ha cuore: chi esce viene in fretta dimenticato.
Qualità della storia – 7
29
Esempi di schede compilate - 2
Numero – 27
Organizzazione – …………………..
Autore – ………………………
Posizione - ………………………..
Tema – Un’organizzazione gestita in modo verticistico
Testo storia – Nell’impresa è rimasto famoso l’episodio dei due “Boston”: erano arrivati due ragazzini di una importante società di consulenza che aveva in mano il progetto di riorganizzazione voluto dall’amministratore delegato e dai capi unità operativa. Erano ragazzi molto intelligenti, ma esperienza zero. Al computer facevano dei modelli bellissimi, incredibili. Noi ci aspettavamo un bel progetto di to-tal quality e di piccoli cambiamenti nei processi, lo studio ha invece evidenziato la necessità di tagli al-le spese e ha portato a una ristrutturazione importante dal punto di vista numerico: in poche parole, eravamo in troppi. I consulenti un giorno sono andati dal nostro capo unità operativa con uno schema già definito, senza renderlo partecipe delle scelte. Dicevano che il lavoro dell’unità poteva essere svol-to da 320 persone. Il capo unità operativa ne ha aggiunto 20 di riserva, ma ha eseguito i loro “ordini” e mandato le lettere di informazione agli interessati, senza neanche convocarli presso l’ufficio del per-sonale, come si faceva solitamente. Tutti avremmo saputo fare quello che hanno fatto loro: cancellare alcuni uffici, mettere in mobilità alcune persone e addirittura obbligarne altre a presentare le dimissio-ni sin dal giorno dopo.
Parole chiave – Ristrutturazione, mobilità, licenziamenti
Personaggi protagonisti Giovani consulenti Boston Capo unità operativa
Personaggi partecipanti Amministratore delegato Personale dell’unità Capi unità operativa
Storie simili – 66, 92
Tipo di narrazione – Tragica
Morale della storia – Una vera ristrutturazione non si ferma ai tagli del personale. Per tagliare il personale non era necessario ricorrere a consulenti esterni, che utilizzano modelli organizzativi “pre-confezionati”. Il capo unità operativa ha seguito la linea “dura” che gli ha fatto perdere consenso nell’impresa.
Qualità della storia – 7
30
Esempi di schede compilate - 3
Numero – 78
Organizzazione – …………………..
Autore – ………………………
Posizione - ………………………..
Tema – Un coffee-break con cappuccino e brioche
Testo storia – Era stata fissata una riunione per le 10 del mattino: ci siamo ritrovati tutti intorno al tavolo della sala riunioni ed era presente anche un ragazzo giovane, assunto da poco nell’ufficio rela-zioni esterne. Nessuno lo conosceva, era la prima occasione in cui lo incontravamo. Durante i lavori lui era molto attento e concentrato, parlava poco. Dopo un’oretta di discussione si decide di sospendere per qualche minuto per l’abituale pausa caffè: chiamiamo il bar e tutti ordinano il solito caffè da tran-gugiare velocemente. Era un periodo di super-lavoro e il caffè era per tutti una risorsa importante per mantenere alta l’attenzione nonostante la stanchezza. Il giovane, al suo turno, chiede cappuccino e brioche: “Tanto costa meno di una spremuta!” ha detto. Tutti pensavamo che stesse scherzando: co-me si fa a pensare di mangiare cappuccino e brioche durante una riunione di lavoro? Ci siamo guarda-ti, qualcuno ha fatto finta di niente, altri hanno riso sotto i baffi. Così il neoassunto è diventato famoso nell’impresa come il tipo che fa colazione come si deve, con la dovuta calma, non un caffè veloce co-me gli altri.
Parole chiave – Riunioni di lavoro, Neoassunti
Personaggi protagonisti Giovane neoassunto
Personaggi partecipanti Partecipanti alla riunione
Storie simili – 71
Tipo di narrazione – Storia di beffe e scherzi
Morale della storia – I neoassunti che non hanno ancora interiorizzato la cultura aziendale rischiano di fare delle gaffe. Anche nei coffee break si deve dimostrare di essere pronti e scattanti.
Qualità della storia – 8
31
Esempi di schede compilate - 4
Numero – 98
Organizzazione – …………………..
Autore – ………………………
Posizione - ………………………..
Tema – Licenziamenti effettuati dall’ufficio personale in forme e modi non condivisibili
Testo storia – Come responsabile del personale sono stato costretto a licenziare alcuni venditori. ini-zialmente ho cercato di non farmi coinvolgere troppo e pensavo tra me con freddezza: “Ho 25 persone che mi crescono, le convoco un sabato mattina e dico loro che non fanno più parte dell’impresa”. All’apparenza sembrava facile, ma ero pieno di rabbia perché sapevo che la forza vendita ha lavorato bene e prevedevo che i licenziamenti sarebbero stati vissuti come un tradimento, oltre ai problemi concreti che ciascuno avrebbe dovuto affrontare. Ma non potevo farci assolutamente nulla. Decido di convocare nei locali di un albergo di Como i primi 6 venditori cui comunicare la notizia: “Devo infor-marvi di una decisione presa dall’impresa: sono costretto a licenziare una parte del personale di vendi-ta”. Dal mese prossimo ritenetevi liberi da ogni vincolo nei confronti di questa impresa”. Nessuno se lo aspettava, le reazioni dei venditori sono diverse ma tutte disperate: “Io ho il figlio handicappato”, “Io devo pagare il mutuo”, “Io ho sposato le figlie e ho 30.000,00 euro di debiti”. Un venditore appena li-cenziato poi ha aggiunto prima di andarsene: “Adesso vado a casa e devo dire a mia moglie che dopo tanti anni che sto sul marciapiede, io sto a casa e sul marciapiede deve andarci lei per mantenere la famiglia”. Dopo qualche settimana vengo convocato dall’amministratore delegato: un venditore che avevo licenziato si era lamentato del trattamento ricevuto, dicendo che era stato convocato in una sa-la fredda, che neanche mi ero presentato, che non avevo offerto neanche un caffè … Bella storia: li ho licenziati contro il mio volere e i capi mi rimproverano anche per averlo fatto con poca delicatezza … oltre il danno, anche la beffa.
Parole chiave – Venditori, Ufficio del personale, Licenziamenti
Personaggi protagonisti Narratore Venditori da licenziare
Personaggi partecipanti Amministratore delegato Familiari dei venditori
Storie simili – 99, 101, 103, 120, 121, 125
Emozioni personaggi Rabbia, Compassione, Disperazione
Emozioni narratore Rabbia, Impotenza, Rassegnazione
Tipo di narrazione – Storia di traumi
Morale della storia – La comunicazione dei licenziamenti è un momento critico. Nella gestione dei licenziamenti l’impresa ha dimostrato di non avere stile. L’ufficio del personale non si riconosce in ciò che ha fatto nel periodo dei licenziamenti.
Qualità della storia – 8
32
Esempi di schede compilate - 5
Numero – 39
Organizzazione – …………………..
Autore – ………………………
Posizione - ………………………..
Tema – La presunzione del nuovo amministratore delegato
Testo storia – Era stata convocata una riunione per i dirigenti a Milano, in un bell’albergo. Lo avevo saputo con un certo anticipo, perché era indispensabile essere presenti. Il nuovo direttore vendite, che aveva anche assunto l’incarico di amministratore delegato con la convention di Torremolinos, era arri-vato nell’impresa da qualche settimana e aveva già presentato i suoi progetti per il futuro in un prece-dente incontro, ma voleva ancora mettere in evidenza alcuni punti. Il messaggio era chiaro: “O con me o contro di me; chi mi segue resta, chi non mi segue, va”. Io ero infastidito da questo atteggia-mento di chi si confronta solo con se stesso: a sentire lui sembrava che negli ultimi anni nessuno avesse fatto nulla, che nell’impresa nessuno capisse niente. Eppure le cose, fino ad un certo punto, erano andate bene anche senza di lui. Come tanti colleghi pensavo: “Ma cosa vuoi, sei appena arriva-to: cerca prima di capire come funziona l’impresa, poi parli”. Un uomo proprio arrogante, che non an-novera tra le sue armi la diplomazia. Comunque, se guardo gli utili, tanto di cappello, è bravo. Ha un modo di lavorare un po’ freddo, senza tanti bla-bla, ma i risultati ci sono.
Parole chiave – Presunzione, Arroganza
Personaggi protagonisti Nuovo amministratore delegato
Personaggi partecipanti Narratore Partecipanti alla riunione
Storie simili – 17, 22, 55, 56, 140, 144
Tipo di narrazione – Storia di oppressione
Morale della storia – Presentarsi come presuntuosi rischia di diminuire il consenso. La durezza può servire a ottenere i risultati.
Qualità della storia – 6
Creazione di un quadro di sintesi.
Terminata la compilazione delle schede si può giungere al cuore del processo di sto-
rytelling ossia alla sintesi dei dati/storie raccolte. Se le schede sono state compilate corret-
tamente non sarà difficile, eliminati i dati che si ripetono, creare un unico quadro di riferi-
mento e giungere alla interpretazione dei dati medesimi e allo storytelling.
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7.3. Interpretazione
Cosa significa interpretazione delle storie? È l’attribuzione dello specifico oggetto alla
storia. Per fare un esempio che possa chiarire il concetto si pensi alla ricerca di dati in una
organizzazione che ha subìto o sta subendo delle trasformazioni. I soggetti intervistati po-
trebbero “raccontare” delle loro posizioni prima e dopo i cambiamenti, oppure potrebbero
raccontare di come si viveva prima all’interno dell’organizzazione, ma tutte hanno in comune
uno specifico oggetto: il cambiamento organizzativo.
Si può comprendere ora perché nella raccolta delle storie, nel fare le interviste e addi-
rittura prima, quando si prendono i primi contatti telefonici con l’organizzazione sia importan-
te restare neutrali. Inoltre, l’obiettivo dell’analisi dell’organizzazione è quello di comprendere i
perché di certi mutamenti, è opportuno non rivelare esattamente il fine delle interviste per
non influenzare i racconti. In tal modo, durante un’intervista si potrebbero scoprire nuove
storie, non facenti (al momento) parte dell’oggetto di studio, ma altrettanto importanti per
successivi approfondimenti. Nell’interpretazione delle storie è necessario essere consapevoli
che si tratta di racconti di individui e non di dati statistici o documenti: ciò implica che il valo-
re delle storie non è quello di fornire dati ma esprimere rappresentazioni soggettive, emozio-
ni, esperienze e significati attribuiti ai fatti dai protagonisti, non trascurando la fondatezza dei
fatti narrati. Non è l’ampiezza del racconto a fare la qualità della storia ma i significati attri-
buiti agli avvenimenti da parte di chi narra, alla possibilità di conoscere meglio la realtà orga-
nizzativa e di comunicarla agli altri.
Elementi per l’interpretazione delle storie
Analisi dell'evento
Concatenazione degli
eventi
Impatto soggettivo
Scenari possibili
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Come si ricava anche dallo schema precedente, nell’interpretazione delle storie sono 4
gli elementi da considerare con attenzione:
- l’analisi dell’evento: lo sviluppo del fatto, i personaggi coinvolti, le cause, gli effetti;
- la concatenazione degli eventi: quanto l’evento è ancora vivo nell’organizzazione;
- l’impatto soggettivo: quanto l’evento ha influito sul soggetto narrante (e influisce ancora)
e quanto nell’organizzazione;
- scenari possibili: comprendere, attraverso domande mirate, la possibilità di eventuali svi-
luppi diversi dell’evento o, ancora meglio, quali potrebbero essere al momento
dell’intervista le diverse alternative ipotizzabili.
8. Come si racconta ...
A questo punto, concluso l’esame degli aspetti tecnici dello storytelling risulta più chia-
ra la molteplicità di applicazioni che lo storytelling può avere con riferimento alla varietà in-
terna ed esterna che caratterizza l’impresa.
Le diverse tipologie di storytelling realizzabili possono riguardare, tra gli altri, i seguenti
ambiti dell’impresa:
a) l’identità d’impresa;
b) la comunicazione;
c) il management delle risorse umane.
Per ognuna delle tipologie indicate vengono evidenziati alcuni tra i più importanti
aspetti e metodi per lo storytelling.
8.1. … l’identità d’impresa
Conoscere bene l’impresa è la base di partenza per narrare la sua identità. Raccontare
l’identità di un impresa è indispensabile, oltre che necessario, in quanto le imprese sono co-
stituite da persone e professionisti sempre più esigenti che si aspettano dei discorsi istituzio-
nali, motivanti, coinvolgenti. Tutte le imprese si ritrovano ad un certo punto della loro esi-
stenza a dover raccontare delle storie ai propri dipendenti ogni volta che desiderano motivarli
e indurli verso nuovi obiettivi di business, incentivarli su politiche organizzative differenti,
promuovere nuove visioni d’impresa, introdurre nuove politiche organizzative. La conoscenze
dell’impresa può essere attuata attraverso dati e documenti di ogni tipo che siano in grado di
illustrare all’operatore, colui che poi dovrà costruire uno storytelling, la vita stessa
dell’impresa, possibilmente dalle origini.
Il compito dello storyteller è quello di tradurre in racconto i principi guida dell’impresa,
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la mission e la vision organizzativa, le strategie e le performance.
Per fare ciò potrà avvalersi di quattro livelli di analisi in relazione tra loro:
J le narrazioni che una organizzazione da di se: è il tradurre in racconto quello che
l’organizzazione pensa di essere, rappresentando eventi o situazioni rilevanti;
J le rappresentazioni degli eventi passati: quello che un’organizzazione ricorda di essere,
eventi, fatti, avvenimenti del passato che vengono ricordati come storie e rivitalizzati nel
momento in cui se ne ravvisa la necessità;
J plot narrativi: quello che l’organizzazione crede di essere;
J posizionamento narrativo: per quali aspetti intende farsi ricordare, quale “chiave di lettu-
ra” intende presentare.
Se si riflette sul fatto che l’identità di una impresa è continuamente rimessa in gioco
dalla complessità e dinamicità del mondo moderno, si capisce che costruire una “story”
dell’identità d’impresa non è semplice poiché deve tener conto di molteplici elementi.
L’identità come racconto si costituisce per mezzo di elementi quali (Fontana, 2009: 59):
J la riscoperta e riformulazione degli episodi importanti e dei momenti epici della vita or-
ganizzativa;
J la comprensione di come tempi e luoghi (momenti ufficiali e non, spazi simbolici e reali)
condizionano la vita organizzativa;
J la (re)interpretazione delle trame: cioè la comprensione di come i soggetti individuali è i
gruppi aziendali si auto-percepiscono e di come queste auto-rappresentazioni possono
creare intrecci di senso (storie) che influiscono sui modi di lavorare (da soli e con gli al-
tri) e sui risultati prodotti;
J l’allineamento delle storie interne ed esterne per generare la core story d’impresa (ciò
implica la rielaborazione dei sentimenti e delle credenze degli employee interni e dei
clienti esterni.
“Raccontare l’identità”, significa imprimere all’impresa (o all’organizzazione) un caratte-
re di dinamicità, di continua revisione che non rimane circoscritto alla “definizione
dell’identità” ma si ripercuote sull’intero contesto aziendale che direttamente o indirettamen-
te risulta coinvolto nella continua verifica dell’identità. In tal modo l’impresa ha una più pun-
tuale conoscenza di sé e una maggiore potenzialità per proiettarsi nel futuro.
La progettazione narrativa della corporate identity
L’impresa insieme alla sua identità specifica e alla sua cultura vive, si sviluppa e si consolida
all’interno di storie che è riuscita a far nascere, creando una personalità narrante e narrabile,
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cioè una serie di segni distintivi che contraddistinguono la sua anima e permettono il ricono-
scimento sia interno che esterno al suo valore. Pensare all’organizzazione come racconto in
cambiamento continuo porta quindi a riformulare le attività di costruzione della corporate
identity, della comunicazione integrata, della formazione, del brand management, del pro-
duct design. Attività che non possono chiaramente essere più considerate come discipline
che portano a soluzioni, ma come eventi che generano orizzonti, storie a cui ci si affeziona
per agire.
È possibile individuare un format per la narrazione dell’identità? Quali matrici narrative
utilizzare per raccontare l’identità e per motivare i pubblici interni?
Nel raccontare l’identità dell’impresa il primo passo da compiere è stabilire l’obiettivo
narrativo che si intende raggiungere. Si tratta di comprendere se la finalità della narrazione è
tesa a confermare l’esistente, a favorire il cambiamento dei contesti, delle culture e dei sog-
getti umani, o ancora, a stimolare i soggetti interni all’impresa.
Scelto l’obiettivo seguirà quella delle storie, definendo personaggi, protagonisti, vicen-
de particolari, ecc., basate su tematiche collegate a diversi momenti della vita dell’impresa.
La creazione di un buon storytelling sta proprio nel trovare il giusto mix tra i vari aspetti. A li-
vello esemplificativo, si riportano due tabelle tratte da A. Fontana (2009: 62) relative a:
strumenti di storytelling applicati all’identità dell’impresa e alcune matrici narrative ricorrenti.
Strumenti di storytelling applicati al racconto della corporate identity
Canali cartacei Canali relazionali Canali digitali
3 Autobiografie aziendali di figure simboliche
3 Memoriali d’impresa (tratti dalle figure mitiche)
3 “Agende d’impresa” (con i racconti fondatori)
3 Ri-definizione e ri-scrittura del business plan
! Drama road show mirati (per esempio teatro d’impresa per raccontare i nuovi principi strategici)
" Videoclip narrativi istitu-zionali di figure simboli-che
" Blog degli A.D. che commentano fatti ed esperienze di business
" Documentari e inchieste mirate secondo una logi-ca story-driven (docu-fiction)
" Videomonografie dedica-te a temi/progetti di en-visioning
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Esempi di matrici per una progettazione narrativa della corporate identity: momento biografico d’impresa e alcuni discorsi possibili
Start-up • il sacrificio: che sopporta i limiti imposti dal "destino" (di solito "cattivo" o
"avverso") alla libertà individuale o collettiva • la sfida eroica: che è capace di rinunzie
Consolidamento • la solitudine valorosa: che non è interessata alle emozioni e sopporta i
ritiri, gli eremi, gli esili • il rigore, a volte duro a volte gentile: che sovrasta ogni forma di in-
dulgente bontà • l'umiltà: che si piega fino al disprezzo antinarcisistico di sé (da cui na-
scono i vari miti della squadra e dei team)
Presidio business • l’irriconoscenza come strategia di competizione: che non teme le
rotture (di amicizie, rapporti, relazioni) • la pazienza docile: che sa aspettare e perdersi nell’attesa • il coraggio: che sa battersi e buttarsi nelle avversità
Gestione del presidio (o del declino) • la fedeltà: che rispetta sempre i patti • la passione: che brucia con il suo impeto e si lancia nelle avversità del
business
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8.2. … la comunicazione
La comunicazione delle imprese – sia con riferimento ai pubblici interni che esterni - ha
assunto sempre più un ruolo di grande rilievo: dalle circolari interne alla pubblicità, dalle riu-
nioni e assemblee ai comunicati stampa sempre più particolareggiati.
Con riferimento all’esterno, la comunicazione ha perso il suo carattere informativo per
diventare sempre più una comunicazione basata sulla logica narrativa: si tratta di una comu-
nicazione che può essere definita come finzionale. “Come agiscono le funzioni della comuni-
cazione esterna delle organizzazioni attente alle dinamiche dell’economia finzionale? In modo
tale da rendere il prodotto personaggio e la marca, che lo costruisce, autore di una serie di
storie capaci di intercettare pubblici e generare dinamiche conversazionali di riconoscimento
autobiografico tra individuo che compra e merce prodotta, non più acquistata solo funzio-
nalmente” (Fontana, 2009: 74).
I racconti nella pubblicità devono poter trasmettere identità, multi-riconoscimento so-
ciale, capacità di coinvolgere nell’immaginario collettivo i pubblici di riferimento. In tal modo i
beni acquistano capacità di parola. Sono rivelatori dei comportamenti e delle sensibilità di chi
li acquista e li utilizza.
Un aspetto di rilievo è che la comunicazione deve possedere una forte dimensione nar-
rativa e, nel contempo, uno sviluppo seriale.
Chi - in Italia - non ha visto gli spot della Lavazza, dove reiteratamente Bonolis e Laurenti – all’interno di un serial – presentano il prodotto attraverso vari sketch?
Quanto appena richiamato evidenzia che la comunicazione esterna deve creare favole
e miti da mettere in relazione con il prodotto/servizio per accrescerne il valore e posizionarlo
più adeguatamente nel mercato.
Fino a poco tempo fa si acquistava un prodotto di marca per essere notati, perché era
un fatto di “moda”: si era trascinati dalla corrente. Oggi, in un periodo di grande instabilità
economica, non si segue più la moda, si ha bisogno di qualcosa di diverso, si ha necessità
della fiaba che, paradossalmente, favorisce l’adozione più consapevole dei modi di vivere, di
alcune scelte correlate con i percorsi dell’esistenza.
Questo nuovo “ruolo” che viene assolto dalla storia, ha richiamato l’attenzione del co-
siddetti “sociologi del rischio”, i quali giustificano la citata tendenza con l’elevato livello di in-
certezza esistente. Più specificamente, hanno osservato che le incertezze che affronta oggi la
vita contemporanea possono essere raggruppate in tre macro aree:
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La narrazione nella pubblicità dovrà essere in grado di cogliere quale delle tre incertez-
ze sono affrontate nel contesto nel quale intende inserirsi, tradurla in racconto unendolo al
prodotto che, attraverso il racconto stesso, viene presentato come in grado di alleviare, o ri-
solvere, la situazione di incertezza.
Un esempio degli strumenti di storytelling adeguati per affrontare il racconto della co-
municazione esterna, vengono presentati nello schema di seguito inserito.
Strumenti di storytelling applicati al racconto della comunicazione esterna
Canali cartacei Canali relazionali Canali digitali
3 Rassegna stampa storica con analisi semantica
3 Campagne mirate di con-sumo narrativo: costruire intorno al prodot-to/servizio una narrazione efficace)
3 Definizione di “magalog” (magazine + catalogo)
! Fiction road show (per promuovere il prodot-to/servizio)
! Formazione mirata al personale interno (sulle storytelling skills: dalla vendita alla negoziazione, dalla leadership al public speaking)
! Community dedicata alla raccolta di racconti sul prodotto/servizio
" Blog di commento sul consumo del prodot-to/servizio
" Community di E-pinion " Portali di product gossip " Strategie di advertain-
ment/advergame
Materiale legata alla precarietà economica
Personale legata alle condizioni
psico-fisiche dei soggetti
Esistenziale legata ai valori del
tempo
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Lo storytelling presenta una grande utilità anche per la comunicazione interna a motivo
del fatto che anche i soggetti che operano all’interno delle organizzazioni sono immersi in un
mondo che comunica sempre più con i racconti. Pertanto, la comunicazione interna ha per-
duto il connotato di attività di semplice passaggio di informazioni, di divulgazione delle cono-
scenze, per divenire una funzione di ricerca capace di essere garante delle storie più o meno
istituzionali che accadono all’interno delle’impresa e che devo essere raccontate.
Strumenti di storytelling applicati al racconto della comunicazione interna
Canali cartacei Canali relazionali Canali digitali
3 Collane tematiche dedica-te all’epica aziendale
3 Leaflet testimoniali 3 Booklet e house organ in
logica narrativa 3.Promocard (per la spon-
sorship interna)
! Convention narrative (sotto forma di talk show)
! Sistemi di riunioni che ri-corrono all’analisi di epi-sodi storico-narrativi spe-cifici
! Management meeting che partono da un siste-ma di project storytelling
" Animazione di video-gallery
" Redazione di blog stori-co-informativi
" Costruzione di corporate gossip portal (portali in-terni dedicati alle storie formali e/o informali d’impresa)
Utilizzare lo storytelling nella comunicazione (sia essa interna che esterna) dovrà ba-
sarsi su alcuni fattori fondamentali:
1. gli elementi di base: costituiti da attori, azioni, scopi, scene di riferimento, strumenti per
l’azione;
2. sequenzialità: dare alla narrazione degli eventi un ordine all’interno del processo tempo-
rale;
3. particolarità e concretezza: che ci si rivolga ad un pubblico interno o esterno è essenziale
inserire nella narrazione delle persone (nelle quali poi potersi riconoscere), che siano
protagoniste della trama narrativa singolarmente o inserite all’interno di un gruppo so-
ciale;
4. intenzionalità: gli stati d’animo che i protagonisti delle narrazioni vivono devono essere
condivisibili con gli ascoltatori (ecco perché è basilare, prima di iniziare un processo di
storytelling capire le incertezze del pubblico di riferimento);
5. sospensione dell’incredulità: non è la realtà della storia a fare storytelling ma la sua ve-
rosimiglianza, il potere che la narrazione deve avere di fare entrare l’ascoltare in un
mondo fantastico dove incontrare personaggi reali pur facendogli mantenere contatto
con il mondo in cui vive ma per un momento, per quanto piccolo, sia in grado di dire
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“ammettiamo che questo mondo esista...”;
6. componibilità: come per ogni storia gli eventi che verranno narrati saranno compresi so-
lo in rapporto al generale contesto nel quale sono inseriti, tenendo conto dei punti di vi-
sta di chi narra e di chi ascolta.
7. canonicità: il racconto subisce la complessità contemporanea come l’organizzazione stes-
sa che lo narra. Esso dovrà essere sottoposto dunque a revisioni e controlli continui se
non si vuole che il pubblico di riferimento lo trovi scontato e noioso, magari inserendo
eventi imprevedibili a fianco a quelli canonici, che possano risvegliare l’interesse
dell’audience;
8. incertezza: è un aspetto legato al precedente. Per lo stesso motivo di cui sopra si do-
vranno inserire nella storia elementi di incertezza, di indeterminazione che lascino
all’ascoltare la possibilità di immaginare il finale;
9. appartenenza a un genere: le narrazioni sono storie e come tali rientrano tutte in una
genere che può essere horror, fantasy, giallo, ecc.
8.3. … il management delle risorse umane
I soggetti umani di qualsiasi organizzazione costituiscono la risorsa fondamentale per lo
sviluppo e la perpetuazione della sua esistenza. Sono le competenze, le abilità, le conoscenze
dei soggetti umani che determinano l’emergere di modalità operative e di comportamenti che
creano una tipologia di vantaggio competitivo non imitabile.
Ciò implica che tale “risorsa” debba essere considerata con grande attenzione evitando
conflitti, creando coinvolgimento e operando al fine di responsabilizzare motivare tutti coloro
che, con differenti modalità e responsabilità operano nell’impresa.
Pare utile richiamare l’attenzione sul fatto che nell’attuale Era i soggetti umani devono
acquisire nuove competenze, nuove capacità per interagire con il cambiamento e con la sua
accelerazione, con la complessità e con le mutate esigenze relazionali – interne ed esterne -
sempre più pressanti e indispensabili per la sopravvivenza e sviluppo dell’impresa.
Appare evidente l’esigenza che l’impresa si doti di strumenti capaci di favorire il costan-
te adeguamento dei soggetti in essa operanti alle esigenze del cambiamento.
Nella tabella che segue vengono indicate alcune possibili utilizzazioni dello storytelling
per l’instaurazione di processi narrativi atti a favorire l’apprendimento indispensabile per co-
niugare le esigenze individuali con quelle dell’impresa.
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Management delle risorse umane e storytelling
Attività Applicazione Storytelling
Assistenza professionale e accompagna-mento lavorativo, nella duplice declina-zione del tutoring e del mentoring
Storytelling come racconto di sé
“Tecnologie del sé” e didattiche educati-ve-formative autodiagnostiche
Storytelling usato come metodo di self-management
Studio e analisi dei particolari – nuove, diverse, ecc. – forme del pensiero e del sentimento che il soggetto agisce e/o sperimenta nel contesto relazionale della sua professione
Storytelling come dispositivo per com-prendere e potenziare il proprio sistema di relationship management
Formazione diretta volta ad una migliore performance delle diverse attività del proprio lavoro: progettazione, vendita, relazione
Storytelling come skills da possedere e sviluppare nelle proprie attività di valore
Socializzazione dei saperi taciti professio-nali che – attraverso la narrazione – tro-vano un loro modo di esprimersi e mo-dellizzarsi, soprattutto in riferimento a specifiche comunità professionali
Storytelling come un medium per analiz-zare e leggere meglio le performance delle proprie attività (anche attraverso strumenti di fiction audio-video)
Strumenti di storytelling applicati al management delle risorse umane
Canali cartacei Canali relazionali Canali digitali
3 Diari di bordo e traccia-bilità periodica (anche di-gitalizzati)
3 Agende riflessive da usare sul lavoro o nella valuta-zione interna (ca-pi/collaboratori)
3 Memoriali bibliografici professionali per tenere traccia degli apprendime-nti che possono diventare bilancio di competenze
! Meeting/workshop che a partire dalle narrazioni individuali ricostruiscono temi, processi, soluzioni organizzative o di busi-ness
! Corsi ad hoc da inserire nel catalogo aziendale (“narrative presentation skills”, ecc.)
! Professional storytelling community
" DVD tematici ad ampia ricaduta interna (attra-verso i racconti)
" Costruzione dei sistemi di video-mentoring
" Blog interni di commento sulle attività di training
" Definizione e implemen-tazione di “learning vlog”
" Forum dedicati (su solu-zioni a problemi organiz-zativi)
" Video-cv per il recruiting
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9. Osservazioni conclusive
In conclusione pare opportuno interrogarsi sulla validità dello storytelling come stru-
mento per una maggiore comprensione delle organizzazioni e dell’impresa e per la realizza-
zioni di una più “moderna” e valida comunicazione.
Non è raro che lo storytelling venga associato alla fantasia, alla distorsione della realtà,
alla finzione e alla menzogna. Peraltro, se ci si riferisce ad affermazioni di alcuni studiosi, tra
i quali Denin (1989: 12), si legge che “tutte le storie […] comprendono fatti accaduti e im-
maginati”.
Pertanto, vi è da chiedersi, il fatto che le storie contengano sia fatti reali che alcuni fatti
immaginati o, meglio, “gonfiati” – come può accadere per la storia “eroica” del fondatore –
riducono o annullano il valore delle storie?
Ebbene, da quanto notato nelle pagine precedenti si può rilevare che la validità delle
storie rimane inalterata in quanto le eventuali “immaginazioni” nascono e si diffondono
all’interno dell’impresa e, pertanto, diventano realtà della stessa in quanto parte integrante
del suo patrimonio.
Al fine di avvalorare il ruolo di grande rilievo che sempre più le storie stanno assumen-
do, si può analizzare lo schema inserito di seguito nel quale sono compiutamente presentati i
vari ambiti nei quali si possono riscontrare ricadute positive dall’adozione dello storytelling
con riferimento all’identità, al governo dello stress, ai comportamenti e all’organizzazione del
lavoro.
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Aree nelle quali si riscontrano ricadute positive dall’utilizzazione dello storytelling
Ricadute positive ...
Aggregazione Appartenenza Condivisione
Partecipazione
Tenuta Motivazione
Clima
Interfunzionalità Integrazione Trasversalità
Colllaborazione Cooptazione
Efficienza
Impegno Progettualità
Tensione Delivering results
Responsabilità su
i co
mp
ort
amen
ti
sul g
overn
o d
ello
stress
sull’organizzazione del lavoro
sull’identità