LA LETTERATURA DELLA MIGRAZIONE IN ITALIA · • lo straniero, colui che reca con sé qualcosa di...

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LA LETTERATURA DELLA MIGRAZIONE IN ITALIA

CORSO DI LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA Cecilia Gibellini UNIVERSITÀ DI VERONA, A.A. 2015/2016

LETTERATURA DELLA MIGRAZIONE: L’incontro con l’ “altro”

• La questione dell’ “altro”: l’imagologia • La letteratura di viaggio (odeporica) • Gli studi transculturali e postcoloniali

Caratteri multiculturali delle società contemporanee

Cambiamenti radicali hanno investito il mondo negli ultimi decenni: • Globalizzazione dei mercati economici • Evoluzione delle vie telematiche • Mobilità e migrazioni Concetto di interculturalità (conoscenza, scambio, dialogo tra culture diverse) che si contrappone all’idea dell’incompatibilità tra le diverse culture (su cui si basano le posizioni di intolleranza, discriminazione e razzismo)

Le frontiere? Esistono eccome. Nei miei viaggi ne ho incontrate molte e stanno tutte nella mente degli uomini.

Thor Heyerdal (1914-2002)

L’io, l’altro

«Qualsiasi immagine procede da una presa di coscienza [...] da un Io in rapporto a un Altro, da un Qui in rapporto a un Altrove» (Daniel-Henri Pageaux, Images)

L’incontro con l’altro, l’immagine dell’altro «Se ciascuna delle nazioni moderne volesse appagarsi delle ricchezze sue proprie, sarebbe ognor povera e il commercio dei pensieri è quello che ha più sicuro profitto. […] Gli intelletti della bella Italia […] rivolgano spesso l’attenzione di là dall’Alpi, non dico per vestire le fogge straniere, ma per conoscerle» Madame de Staël, Sulla maniera e la utilità delle traduzioni, in «Biblioteca Italiana», gennaio 1816

I caratteri nazionali, la psicologia dei popoli (Völkerpsychologie ) A lungo le nazioni hanno cercato il loro “genio”, “inventando” la

propria identità: «Chiamo genio di una nazione gli usi e il carattere dello spirito di popoli diversi, determinati dall’influenza della stessa corte e della stessa capitale» (Montesquieu, Caractères ethniques) «Un Inglese, un Francese, un Italiano: tre esprits» (Montesquieu) Per molti secoli ogni nazione ha osservato le altre, cercando di inquadrarne veri o presunti “caratteri antropologici”: «French courteous. Spanish lordly. Italian amorous. German clownish» (Jean Gailhard, Compleat Gentleman, 1678)

Lo studio delle immagini (Imagologie)

• Non è tanto importante quale sia il carattere, vero o presunto, dell’una o dell’altra nazione, ma come i popoli si vedono reciprocamente;

•  Il dialogo che nasce dall’incontro non può mai essere veramente reciproco, è sempre asimmetrico;

• Ciò che conta non è tanto l’incontro in sé, quanto piuttosto il modo in cui una cultura ne “immagina” un’altra;

• L’immagine dell’altro ci dice molto dell’immagine del sé.

L’“altro mondo”, il mondo degli “altri”, il mondo “altro” •  “Altro” è tutto ciò che non appartiene al sé, all’identità di

una nazione o di un gruppo: •  lo straniero, colui che reca con sé qualcosa di “esterno”,

di “strano”; •  il barbaro, colui che non parla o balbetta o non intende la

lingua del luogo (e che si presuppone di una cultura inferiore);

•  il selvaggio, colui che appartiene a una civiltà inferiore (da bonificare culturalmente, da “colonizzare”).

Colonialismo e decolonizzazione •  «Ciò che è universalismo per l’Occidente è spesso

imperialismo per gli altri»; •  La “civilizzazione” occidentale, con l’idea del primato,

economico, religioso, culturale o linguistico che fosse, spesso ha provocato la “decivilizzazione” del resto del mondo;

• Occorre «estirpare il colono che è in noi» (Jean-Paul Sartre, introduzione a I dannati della terra).

L’immagine dell’“altro” •  L’Imagologia si occupa delle immagini, degli stereotipi,

dei pregiudizi che la letteratura veicola: •  «I Romani, quanto a bruttura di abitudini e fogge esteriori,

sono i più fetidi di tutti» (Dante, De vulgari eloquentia); •  «In Toscana la campagna somiglia ad un giardino, ed è

così ben curata da ricordare le scene campestri che si vedono nei nostri teatri; anche gli abitanti facevano pensare a quelle comparse dai vestiti multicolori che ci divertono sulla scena cantando, ballando e ridendo. Non si vede mai una faccia da filisteo. Ed anche se ce ne fossero sarebbero filistei-aranci italiani e non goffi filistei-patate tedeschi» (Heinrich Heine, Reisebilder - Impressioni di viaggio)

Immagine di sé e immagine dell’altro •  La nazione è una «comunità immaginata». Molti sono le

immagini, i simboli, i miti, le costruzioni, le “invenzioni”, e le rimozioni, che servono a legittimare, consolidandola, questa “comunità”.

• Nella costituzione dell’identità nazionale di uno stato, l’impulso che viene da “fuori” è fondamentale (Max Weber).

• L’immagine dell’altro è spesso negazione dell’altro, è estensione dei territori dell’io su quelli dell’altro. A volte è del tutto priva di fondamento (mirage).

Stereotipi e pregiudizi • L’immagine spesso si nutre del pregiudizio, che

preseleziona i fatti della realtà; • Cristallizzandosi, l’immagine diventa stereotipo

(basandosi per esempio sulle abitudini alimentari o sociali: gli Italiani sono «macaronì», per i Francesi; i Francesi «froggies», cioè mangiatori di rane, per gli Inglesi; i Norditaliani «polentoni», per gli Italiani del Sud…)

• Nascono così gli eterostereotipi negativi, che spesso vengono a opporsi più o meno apertamente ad autostereotipi positivi (specie alle soglie dei conflitti bellici).

Lo stereotipo •  Lo stereotipo è monosemico: è un segnale, non un

segno, poiché ha una sola possibilità di interpretazione; •  Lo stereotipo opera confusione tra due ordini: natura e

cultura (nel senso che ricorre alla natura, per esempio ai tratti somatici, per spiegare la cultura dell’altro).

«Né la mia fisionomia, né il mio modo di fare, né il mio idioma rivelavano che sono ebreo. Il mio naso è diritto, e io sono riservato e taciturno. Ciò può sembrare un argomento molto primitivo, ma chi non ha fatto queste esperienze non può rendersi conto di quanto primitivi siano i non ebrei nella valutazione di ciò che è ebreo o di ciò che essi ritengono tale. Quando non s’imbattono nella figura caricaturale dell’ebreo, il loro istinto li tradisce. Io ho sempre riscontrato che l’odio razziale è alimentato prevalentemente dagli aspetti esterni più grossolani»

Jakob Wassermann (1873-1934)

Gli studi imagologici nel Novecento •  «Il confronto con l’altro trasforma» (Paul Hazard, 1935); • Attraverso il confronto con l’altro, si evita di ridurre la

differenza a un modello universale e si percepisce il particolare, ciò che non può essere arbitrariamente assimilato;

•  La letteratura è un deposito di immagini (images e mirages), e in questo senso è uno strumento di conoscenza dell’uomo e della sua storia.

L’odeporica e le sue storie «Noi siamo i nostri cammini, non i nostri luoghi» (Eric J. Leed); Il viaggio è uno dei nodi centrali dell’esistenza e del pensiero dell’uomo

• Oggi viaggiare significa il più delle volte diventare turisti, divertirsi dando sfogo al proprio piacere e lasciandosi guidare dagli esperti di marketing;

• Per molto tempo questo “allontanarsi” ha avuto implicazioni differenti. Il viaggio è sofferenza (travel, viaggio come “travaglio”; partire, “separarsi”); ma, insieme, è nutrimento (nel latino medievale viaticum è il cibo che il viandante porta con sé).

Viaggio e identità •  Il viaggio ha valore iniziatico: viaggiando l’uomo

riformula la propria identità; • A Roma Michel de Montaigne si fa chiamare «romano»;

nell’atto di attraversare le Alpi Henri Beyle sceglie di chiamarsi Stendhal, dicendosi insieme «milanese».

Mondo antico •  L’origine del viaggio si perde nella notte dei tempi. • Odissea di Omero: Ulisse, o Odisseo, è colui «che ha

molto viaggiato»; • Già nell’antica Grecia c’è chi viaggia per conoscere e per

descrivere: Erodoto, che descrive l’Egitto, la Russia, la Persia; Pausania (II secolo d.C.), autore di un trattato storico-geografico (la Periegesi della Grecia); Plinio il Vecchio, celebre autore della Naturalis Historia, morto nell’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei.

Medioevo: il viaggio come pellegrinaggio • Nel Medioevo, l’Italia diventa «l’ombelico del

Mediterraneo»; • Sono soprattutto i pellegrini a mettersi per strada: per

recarsi a Roma caput mundi, in Terra Santa o a Santiago de Compostela. La loro lunga peregrinatio è intesa come purificazione; più tardi, con le Crociate, diventerà anche pellegrinaggio armato.

I viaggi dei mercanti •  Nel Medioevo le strade cominciano poi a popolarsi di studenti, di soldati e

soprattutto di mercanti, che salpano per l’Oriente alla ricerca di spezie. •  Marco Polo, mercante veneziano, parte nel 1271 con il padre e lo zio per la

corte di Cublai Can, e torna nel 1295. Il suo racconto di viaggio (Le livre de messer Marco Polo, citoyen de Venise, appelé Milion, ou sont décrites les Merveilles du monde), chiamato anche il Milione o Divisament dou monde, dice di raccontare cose «vedute» e altre apprese «per udita»: distanze, informazioni etnografiche (lingue, amministrazione, politica, religione), sicurezza dei trasporti, prodotti locali, merci, moneta…

The Travels of Sir John Mandeville (seconda metà del XIV secolo), opera fortunatissima (diffusa in francese, poi in inglese, latino, italiano e altre lingue). Nel Settecento Mandeville viene ancora definito «il più grande esploratore dell’Asia che il mondo abbia mai avuto»;

Si scoprirà più tardi che il fantomatico viaggiatore, forse un monaco forse un erudito, quasi certamente non si è mai mosso dalla sua biblioteca: un «voyageur libresque».

Racconti di “meraviglie” •  Tanto il Livre des Merveilles di Marco Polo quanto il libro

di Mandeville aprono le porte al meraviglioso: accanto a cose verosimili, Marco Polo narra di laghi senza pesci che tuttavia compaiono durante la Quaresima, delle tombe che conservano i corpi intatti dei Re Magi e di incantatori che, quando mangia il Gran Can, spostano i bicchieri senza toccarli («e questo», aggiunge, «è vero senza menzogna»); e ancora di grifoni, nel Madagascar, capaci di catturare gli elefanti e di portarli in volo.

• Non meno sorprendente è il repertorio di Mandeville, dai fiumi che scorrono all’insù, ai mari dove le piume affondano e il ferro galleggia, ai serpenti che mordono soltanto i figli illegittimi; per non dire di cinocefali, ciclopi e centauri.

Una categoria particolare di viaggiatori: gli umanisti •  I cultori degli studia humanitatis, che ammirano la civiltà latina

e greca, percorrono le strade dell’Europa spinti da una passione di tipo culturale, filologica: Erasmo parte per l’Italia, gli umanisti italiani (Petrarca, Boccaccio, Poggio Bracciolini) vanno in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Germania, per trovare nuovi manoscritti.

•  C’è una notevole differenza tra il modo di intendere il viaggio da parte di Marco Polo, o di Mandeville, e da parte degli umanisti. I primi scoprono l’Oriente incontrando civiltà diverse dalla loro; per loro il “diverso” è il mondo di altri continenti, l’Asia, l’Africa: terre interessanti anche dal punto di vista commerciale, paesi di civiltà che solleticano la fantasia. Petrarca e gli umanisti intendono invece cercare nel presente (europeo) un passato illustre (il loro) che non c’è più.

Le grandi navigazioni •  Aumentano i viaggi verso l’Africa e l’Oriente, e la ricerca di

nuove rotte sui mari, e soprattutto della «via delle Indie» •  Le Repubbliche marinare, prima, e poi la Spagna e il Porto-

gallo – grazie all’ausilio di un’imbarcazione molto agile, la caravella, e di navigatori italiani molto esperti – navigano sempre più spesso, anche per ovviare agli ostacoli frapposti dall’impero turco, verso il Mediterraneo occidentale e poi oltre i suoi confini. Il Portogallo conquista il Marocco, e poi il monopolio della navigazione verso le Indie. La Spagna si orienta verso altri tragitti avviando una storia epica e tragica che comincia con la scoperta del «Mondo Nuovo» da parte di Cristoforo Colombo e termina con la circumnavigazione del globo terrestre da parte di Magellano.

I diari di viaggio di Colombo •  Colombo fa quattro viaggi (dal 1492 al 1504), ricchi di illuminanti

scoperte e di cocenti delusioni, di trionfi e di amarezze. Ottimo gestore della propria immagine (è un viaggiatore-mentitore: bara sulle distanze percorse, racconta ciò che vuole, tacendo gli aspetti negativi del viaggio), pensa all’inizio di essere arrivato a «Cipango» (cioè in Giappone), e nel secondo viaggio al «Cathaio», cioè in Cina: nei luoghi già noti a Marco Polo. E morirà senza nemmeno sapere di avere scoperto un nuovo continente.

•  Documentati da scritti di vario genere, alcuni autografi e altri apocrifi, i suoi viaggi sono fatti di continue osservazioni e di interpretazioni di “segni” (di terra, durante la navigazione: uccelli, erbe, crostacei, l’acqua meno salata, l’aria più dolce, il cielo più buio).

•  I suoi scritti recano i germi di una visione fondata sullo scandalo (per la nudità, la promiscuità, le “perversioni”) e sull’ideologia dell’inferiorità: quella visione “europea” che porterà altri conquistadores a macchiarsi poi di inenarrabili genocidi nei confronti delle civiltà precolombiane.

Le origini del colonialismo •  Il possesso (o per meglio dire l’impossessarsi selvaggio e

disordinato, ma sistematico) dell’otro mundo passa attraverso i rituali giuridico-religiosi della dichiarazione formale, della simbologia (la croce, la bandiera), dei nomi-simbolo della cristianità: così, nelle spedizioni colombiane, Guanahanì diventa San Salvador, e altre isole vengono denominate Santa María de la Concepción, Navidad, Fernandina, Isabela, Española.

• Due idee fisse percorrono gli scritti di Colombo: il miraggio dell’oro, che servirà a portare ricchezze in Europa e a finanziare nuove crociate contro gli “infedeli” in Terra Santa (cui si aggiunge la ricerca affannata di merce commerciabile: spezie, cotone, mastice, aloe, legno, metalli preziosi), e il sogno di convertire gli «indiani».

Il confronto con gli altri mondi e le nuove dimensioni dell’alterità

•  Il confronto con il “nuovo mondo” porta a relativizzare antiche certezze (se l’indiano d’America non è figlio di Sem, o di Cam, o di Jafet, chi mai sarà allora? e come sarà scampato al Diluvio universale?);

•  La coscienza europea si trova a dover assimilare altre realtà, e si sviluppano nuove dimensioni dell’alterità.

Il Grand Tour • Nel Settecento, si istituzionalizza il viaggio in Europa

come imprescindibile percorso di iniziazione per i giovani aristocratici (e anche le giovani, per cui rappresenta una forma di emancipazione).

• Spesso accompagnato da un tutor, il giovane aristocratico percorre l’Europa to be a Gentleman. Va in Francia per educarsi ai costumi della buona società e va in Italia per affinare e trasformare la propria cultura.

•  Il Grand Tour dura diversi mesi, a volte anche degli anni. •  «Tutti devono fare una volta il grande viaggio», prescrive

l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Perché il viaggio è scuola di vita: «Così lo scopo principale che ci si deve prefiggere nei propri viaggi è senza ombra di dubbio quello di esaminare le abitudini, i costumi, il genio delle altre nazioni, il loro gusto dominante, le loro arti, le loro scienze, le loro manifatture e i loro commerci».

• Si viaggia e si riflette: il viaggiatore “filosofico” e il viaggiatore “sentimentale”, che si appassiona al paesaggio e al bello.

La nascita del turismo •  Il turismo è legato alla nascita di una borghesia che

fonda i propri ideali sul mito della “modernità”, e che grazie alla meccanizzazione e allo sviluppo, grazie al vapore e all’elettricità, di navi, di treni, di tram e di funivie (con la conseguente metamorfosi dei paesaggi e con il cambiamento del rapporto viaggio-velocità), sviluppa un’idea “dinamica” del tempo libero.

•  Il viaggio assume funzioni etiche, terapeutiche e sociali. • Più tardi, con la nascita del “non-lavoro” e delle “vacanze”,

si pongono le premesse per lo sviluppo del turismo di massa.

• Prime agenzie turistiche (quella di Thomas Cook, in Inghilterra, celebre per l’escursione in treno organizzata nel 1841);

•  Le guide Baedeker; • Mete del turismo: la campagna, il mare (dapprima per i

bagni freddi e nella stagione invernale, alla ricerca di un clima mite); poi le stazioni balneari, come prescrive la climatoterapia medica, i luoghi di cura, i bagni termali e la montagna, alla ricerca del fresco.

• Nel corso del Novecento il viaggio si democratizza; con il secondo dopo-guerra i turisti viaggiano ormai in auto prima che in treno;

• Arriva così il turismo industriale, guidato dai tour operators, spesso privo di finalità culturali: un turismo standardizzato ed eteroguidato, senza più sorprese, dove l’avventura è solo un’illusione, che non rimette in discussione le certezze del viaggiatore.

I non-luoghi (Marc Augé) •  Il viaggio post-moderno si fa sempre più spesso in «non-

luoghi»: autostrade, aeroporti, enormi hotels globalizzati e omologati, parchi di divertimento, malls, outlets sotterranei e via di séguito, costruiti per scopi particolari: commercio, tempo libero, svago, insomma: per il consumo.

•  Al viaggiatore, ormai trasformato in utente, vengono offerti luoghi reali e luoghi “ricostruiti” (alberghi accuratamente preservati da ogni prossimità sociale indesiderata, parchi africani dove i leoni compaiono a orari prefissati, isole tropicali nelle città, la Venice di Las Vegas con i finti gondolieri che cantano in italiano).

•  È un turismo che non sa più distinguere tra realtà e finzione. «Forse uno dei nostri compiti più urgenti consiste nell’imparare di nuovo a viaggiare, eventualmente nelle nostre immediate vicinanze, per imparare di nuovo a vedere».

Qualche considerazione conclusiva •  Il viaggiare costringe ad aprirsi, a confrontarsi, a mettersi

in discussione. E la scoperta dell’altro ha delle conseguenze sull’io. Chi viaggia, poi, lascia un po’ della propria identità e, attraverso l’alterità, riesce a definire meglio tanto l’identità individuale che quella nazionale.

•  L’odeporica e l’imagologia, aiutando a vincere o a relativizzare l’eurocentrismo culturale, senza comunque negare le diversità, invita a rivedere radicalmente vecchi schemi superbamente gerarchici, le idee di influenza e di subalternità, di continuità e di “primato”. Invita insomma a superare le barriere culturali.