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N. 00100/2010 REG.SEN. N. 00870/2008 REG.RIC. N. 00955/2009 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 870 del 2008, integrato da motivi aggiunti,
proposto da:
Comune di Pergola, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Bedetti, con
domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;
contro
- Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata
e difesa dall'avv. Aldo Valentini, con domicilio eletto presso l’Avv. Domenico
D'Alessio, in Ancona, via Giannelli, 36;
- Provincia Pesaro e Urbino, in persona del Dirigente Area Urbanistica-Territorio-
Ambiente-Agricoltura, Servizio 4.2, non costituita;
- Regione Marche, non costituita;
- A.R.P.A.M. Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche, non
costituita;
- Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ministero dell'Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliati per legge
presso la sede della stessa, in Ancona, piazza Cavour, 29;
- A.S.U.R. Marche Zona Territoriale n. 3 di Fano, rappresentata e difesa dall'avv.
Marisa Barattini, con domicilio eletto presso Ufficio Legale A.S.U.R. in Ancona,
via Caduti del Lavoro, 40;
nei confronti di
F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Bruno Brusciotti
e Gaia Brusciotti, con domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Ronconi, in Ancona, via
Tiraboschi, 36/G;
e con l'intervento di
ad adiuvandum
Italia Nostra Onlus, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Raffaela Mazzi, con
domicilio eletto presso l’avv. Alberto Cucchieri, in Ancona, corso Mazzini, 148;
Sul ricorso numero di registro generale 955 del 2009, proposto da:
Comune di Pergola, rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Felici Bedetti, con
domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via della Loggia, 24;
contro
- Provincia di Pesaro e Urbino, rappresentata e difesa dall'avv. Aldo Valentini, con
domicilio eletto presso l’Avv. Domenico D'Alessio, in Ancona, via Giannelli, 36;
- Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Dirigente Area Urbanistica-
Territorio-Ambiente-Agricoltura, Servizio 4.2, non costituita;
- Regione Marche, non costituita;
- Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Ministero dell'Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
non costituiti;
- Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPAM) - Marche, Azienda Sanitaria
Unica Regionale – A.S.U.R. Marche, A.S.U.R. - Zona Territoriale n. 3 di Fano, non
costituiti;
nei confronti di
F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Bruno Brusciotti
e Gaia Brusciotti, con domicilio eletto presso Paolo Ronconi Avv. in Ancona, via
Tiraboschi, 36/G;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
quanto al ricorso n. 870 del 2008:
del provvedimento prot. n. 52016 del 25/7/2008, recante valutazione di impatto
ambientale con valenza di autorizzazione paesaggistica sul progetto di coltivazione
di una cava presentato dalla ditta Guiducci e Pierantoni, nonché di ogni altro atto
presupposto, connesso e/o consequenziale;
quanto ai motivi aggiunti del 23/4/2009,
delle note della Provincia di Pesaro prot. n. 3886 in data 22/1/2009, prot. n. 4746
in data 27/1/2009 e prot. n. 69527 in data 23/10/2008;
quanto ai motivi aggiunti del 25/5/2009,
della nota prot. n. DDS/2009/02354 in data 5/3/2009 del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nonché di ogni altro atto
presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi inclusa la deliberazione di Giunta
Regionale n. 938/2004;
quanto al ricorso n. 955 del 2009:
dei seguenti atti amministrativi:
- prot. n. 50507 in data 31/7/2009, della Provincia di Pesaro e Urbino, avente ad
oggetto:"Ditta F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c. - 'Progetto di coltivazione Cava del
Bifolco in Località Bellisio Solfare, Comune di Pergola - Polo estrattivo MAI003 -
UMI n.1'. Art. 13, comma 2, L.R. n. 71/1997 - Richiesta di invio delle valutazioni
motivate circa la realizzazione dell'attività estrattiva nel proprio territorio
comunale. Comunicazione in riscontro a Vs. nota prot. n. 5941 dei 15/7/2009 (ns.
prot. n. 47330 del 21/7/2009)", giunta presso il Comune di Pergola in data
4/8/2009; 2) Prot. n. 55298 in data 26/8/2009, della Provincia di Pesaro e Urbino,
avente ad oggetto:"Ditta F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c., L.R. 71/1997 art. 13 –
L. n. 241/1990, art. 8 - 'Progetto di coltivazione Cava del Bifolco in Località
Bellisio Solfare, Comune di Pergola - Polo estrattivo MAIO03-UMI n.1' -
Comunicazione avvio del procedimento", giunto al Comune di Pergola in data
28/8/2009; 3) Prot. n. 62570 in data 29/9/2009, della Provincia di Pesaro e
Urbino, avente ad oggetto:"Ditta F.lli Guiducci e Pierantoni S.n.c. - art. 13, comma
3, L.R. n. 71/1997 – “Progetto di coltivazione cava del Bifolco in Località Bellisio
Solfare, Comune di Pergola. Polo Estrattivo MAIO03-UMI n. l”. Trasmissione
parere della conferenza dei servizi dei giorno 21/9/2009", giunto al Comune di
Pergola il 2/10/2009; 4) Prot. n. 62566 del 29/9/2009, della Provincia di Pesaro e
Urbino, avente ad oggetto:"Parere della conferenza dei servizi istruttoria dei
21/9/2009 - art. 13 comma 3, L.R. n. 71/1997"; 5) verbale della conferenza dei
servizi istruttoria del 21/9/2009; si opus, 6) Regolamento Attuativo dei P.P.A.E. e
della Conferenza di Servizi dell'Amministrazione Provinciale di Pesaro e Urbino di
cui all'art.13, comma 4, della L.R. n. 71/1997 approvato con deliberazione del
Consiglio Provinciale n. 21 del 22/3/2004, così come modificato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.74 del 25/10/2004, in parte qua, ovvero,
in particolare, in riferimento alla violazione dell'art.4, comma 3; si opus, 7)
Programma Esecutivo di cui all'art. 10 delle N.T.A. del P.P.A.E. approvato con
deliberazione del Consiglio Provinciale di Pesaro e Urbino n. 20 del 22/3/2004, in
parte qua; 8) tutti gli atti preparatori strumentali di quelli sopra impugnati, tutti
quelli funzionalmente collegati e/o connessi, tutti quelli in ognuno di essi
richiamati, anche se non espressamente elencati, purché effettivamente lesivi dei
diritti e degli interessi del Comune ricorrente, nonché tutti quelli meramente
consequenziali, come per legge.
Visti i ricorsi ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pesaro e Urbino, della
ditta F.lli Guiducci & Pierantoni S.n.c. e, solo nel ricorso n. 870/2008, del
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, del Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, dell’A.S.U.R. Zona Territoriale n. 3 di Fano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2010 il dott. Tommaso
Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I ricorsi indicati in epigrafe sono stati proposti dal Comune di Pergola avverso
gli atti e i provvedimenti con cui dapprima la Provincia di Pesaro e Urbino ha
espresso parere favorevole, anche con valenza di autorizzazione paesaggistica, in
sede di valutazione di impatto ambientale sul progetto di coltivazione di una cava
presentato dalla ditta Guiducci & Pierantoni, e poi la Conferenza di Servizi
convocata dalla stessa Provincia ai sensi della L.R. Marche n. 71/1997 ha valutato
positivamente il progetto medesimo. E’ stato altresì impugnato, con i motivi
aggiunti del 25/5/2009, il provvedimento con cui il Ministero dell’Ambiente ha
ritenuto di non dover annullare il parere favorevole reso dalla Provincia in sede di
V.I.A.
Il Comune di Pergola, nel cui territorio è prevista la coltivazione della cava,
contesta i provvedimenti summenzionati per svariati motivi, riconducibili
sostanzialmente ai seguenti profili:
a) illegittima previsione, da parte del Piano Provinciale delle Attività Estrattive
(PPAE), del sito di Bellisio Solfare quale bacino estrattivo della maiolica, visto che
tale bacino non era previsto nel vigente Piano Regionale delle Attività Estrattive
(PRAE), né ricorrono i presupposti per applicare le esenzioni di cui all’art. 60 delle
N.T.A. del PRAE. In ogni caso, l’eventuale applicazione del regime di esenzione
dovrebbe essere statuita dalla stessa autorità che ha approvato il PRAE, ossia la
Regione;
b) incompetenza della Provincia a rilasciare il parere di compatibilità ambientale, ai
sensi della L.R. n. 7/2004 e s.m.i.;
c) omesso coinvolgimento, in sede di procedura di V.I.A., dell’autorità statale
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico (ossia la Soprintendenza per i Beni
Culturali e il Paesaggio di Ancona);
d) nel merito, difetto di istruttoria circa l’impatto che la cava avrà sui valori
naturalistici oggetto di specifica tutela nel sito prescelto dalla ditta Guiducci &
Pierantoni (sorgenti, bosco, e così via) e violazione della L.R. n. 6/2005;
e) illegittimità del provvedimento con il quale il Ministero dell’Ambiente ha
ritenuto di non dover annullare il parere favorevole e la connessa autorizzazione
paesaggistica rilasciati dalla Provincia (per non avere il Ministero proceduto ad
un’attenta valutazione dell’impatto della cava sull’ambiente, limitandosi a recepire
acriticamente l’operato della Provincia);
f) illegittima composizione della Conferenza di Servizi che ha valutato la
conformità del progetto in argomento con la normativa regionale di riferimento e
incompetenza della Provincia ad esercitare il potere sostitutivo dei confronti del
Comune;
g) difetto di istruttoria e omesso coinvolgimento di alcune delle autorità compenti
a valutare tale conformità (A.S.U.R. Marche, ARPAM, Soprintendenza per i Beni
Culturali e il Paesaggio);
h) straripamento di potere, nella parte in cui la Provincia vuole in pratica
costringere il Comune di Pergola a rilasciare alla ditta controinteressata
l’autorizzazione alla coltivazione della cava.
2. Nel ricorso n. 870/2008 si sono costituiti i Ministeri intimati, la Provincia di
Pesaro-Urbino, l’A.S.U.R. Marche, la ditta Guiducci & Pierantoni, mentre ha
spiegato intervento ad adiuvandum l’associazione Italia Nostra Onlus.
Nel ricorso n. 955/2009 si sono costituiti solo la Provincia di Pesaro-Urbino e la
ditta controinteressata.
3. Nelle camere di consiglio fissate per l’esame delle domande cautelari il Comune
ricorrente, vista la complessità delle questioni sottoposte all’esame del Tribunale,
ha ritenuto di abbinare la fase cautelare al merito, per il che è stata fissata l’udienza
pubblica del 13 gennaio 2010, all’esito della quale entrambi i ricorsi sono stati
trattenuti per la decisione.
DIRITTO
1. I ricorsi in epigrafe, che vanno riuniti ai sensi dell’art. 52 R.D. n. 642/1907, in
ragione della loro connessione oggettiva e, in parte, soggettiva, sono in parte
inammissibili e in parte infondati.
2. Al fine di mettere ordine nelle numerose questioni sollevate dal Comune di
Pergola e di rendere più agevole la trattazione delle stesse, è utile suddividere i
motivi di ricorso in alcuni gruppi.
2.1. Il primo gruppo comprende le censure rivolte nei riguardi del PPAE di
Pesaro-Urbino, nella parte in cui la Provincia ha individuato nella località di
Bellisio Solfare un bacino estrattivo della maiolica. Il Comune, come detto, ritiene
tale decisione illegittima per due ordini di ragioni:
- in primo luogo perché le Province non possono modificare il PRAE;
- in secondo luogo perché, nel caso di specie, non sussistono i presupposti per
applicare il regime delle esenzioni di cui all’art. 60 delle N.T.A. del PRAE.
Come si vede, le censure sollevate (anche alla luce degli specifici motivi addotti,
quale ad esempio quello che evidenzia la presenza in loco di una cava dismessa
oppure quello in cui si rileva la presenza nella cartografia del PRAE di uno
specifico divieto di esenzione, contrassegnato con il codice 46bis) muovono dal
presupposto che nel territorio di Pergola, ed in particolare a Bellisio Solfare,
nessuna cava può essere aperta.
Ma se così è, ne consegue che in parte qua il ricorso n. 870/2008 è inammissibile
per tardività, atteso che le censure avverso il PPAE avrebbero dovuto essere
sollevate nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della deliberazione del
Consiglio Provinciale n. 109/2003, che ha approvato a suo tempo il Piano
attuativo (ossia, entro 60 giorni dal 5/11/2003, come evidenziato dalla
controinteressata nei propri scritti difensivi). Questo perché ovviamente il PPAE è
un atto generale a valenza pianificatoria, che non deve essere notificato
personalmente ad alcun soggetto o ente pubblico e che acquista efficacia con la
pubblicazione. Tra l’altro, dagli atti del giudizio emerge che il Comune di Pergola
ha partecipato al procedimento di approvazione del Piano, per cui non potrebbe
nemmeno invocare la mancata conoscenza del provvedimento. Va poi aggiunto
che il PPAE, nella parte in cui prevedeva nuovi bacini estrattivi, è stato sottoposto
a verifica di compatibilità da parte della Giunta Regionale ai sensi del PRAE: tale
verifica, come si evince dalla deliberazione di G.R. n. 938/2004, è stata accurata,
tanto che non tutti i siti proposti dalla Provincia hanno avuto il placet della Regione
(il sito in argomento è stato invece ritenuto compatibile).
Ad analoghe conclusioni si deve pervenire anche per quanto riguarda il secondo
ricorso, nella misura in cui anche con tale gravame il Comune di Pergola abbia
inteso censurare le scelte pianificatorie della Provincia.
L’Amministrazione ricorrente ha replicato alle eccezioni formulate al riguardo dalla
Provincia e dalla ditta controinteressata richiamando il noto orientamento
giurisprudenziale, formatosi per la verità più che altro nella materia degli appalti
pubblici, secondo cui gli atti di pianificazione non sono immediatamente
impugnabili (salvo che non contengano previsioni di per sé lesive), essendo
possibile sollevare le censure afferenti i principi informatori dei piani in occasione
dell’impugnazione degli atti applicativi.
Peraltro, il principio giurisprudenziale dianzi richiamato non trova applicazione in
presenza di clausole immediatamente lesive, le quali debbono essere
immediatamente impugnate; e così, ad esempio, deve essere oggetto di tempestiva
impugnazione la determinazione stessa con cui un’amministrazione pubblica
decida di affidare un appalto a seguito di procedura di gara laddove il ricorrente
ritenga di avere diritto ad un rinnovo contrattuale, oppure le clausole del bando
che impediscano ad un’impresa la partecipazione alla gara (imponendo “clausole di
sbarramento” eccessivamente ed inutilmente gravose in relazione alla capacità
tecnico-finanziaria).
Nella specie, per il tenore delle censure sollevate dal Comune in parte qua, si è in
presenza proprio di un’ipotesi di tal genere, anche perché, a differenza di quello
che accade nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia, nel caso delle attività per cui
è causa all’individuazione di un bacino estrattivo segue inevitabilmente la
presentazione di progetti di coltivazione di cave, visto che i siti dove allocare cave
sono ormai estremamente rari e che gli operatori del settore sono quindi
naturalmente interessati a presentare i progetti di coltivazione non appena gli atti di
pianificazione lo consentono.
Ma l’onere di tempestiva impugnazione del Piano obbedisce anche all’esigenza di
evitare agli operatori economici la predisposizione di costosi progetti (e
all’amministrazione competente l’esame degli stessi) in un momento in cui sia
ancora in dubbio l’astratta assentibilità dell’iniziativa a cui si riferisce il progetto.
Del resto, tale conclusione è in linea con la giurisprudenza del Tribunale in subiecta
materia, come si evince ad esempio dalla sentenza n. 1242/2009, con la quale il
TAR, accogliendo proprio un ricorso di “Italia Nostra”, ha annullato il PPAE della
Provincia di Ancona, nella parte in cui individuava un bacino estrattivo per la
maiolica nel sito di Monte Sant’Angelo di Arcevia.
E’ evidente che, se fosse vero quanto sostiene il Comune in replica all’eccezione di
tardività, nella vicenda decisa con la sentenza n. 1242/2009 il ricorso avrebbe
dovuto essere dichiarato inammissibile per carenza di un interesse attuale, essendo
lo stesso diretto contro le previsioni del PPAE e non contro atti consequenziali.
2.2. Il ricorso n. 870/2008 può invece essere esaminato nella parte in cui il
Comune contesta il merito del progetto presentato dalla ditta Guiducci e
Pierantoni, nonché il modus operandi con cui la Provincia ha condotto la procedura
di V.I.A.
Partendo da quest’ultimo aspetto, la difesa del Comune ha lungamente insistito
(spesso facendo confusione fra le competenze e l’organizzazione del Ministero
dell’Ambiente e quelle del Ministero dei Beni Culturali) sul fatto che la Provincia
avrebbe omesso di coinvolgere nel procedimento la Soprintendenza per i Beni
Culturali e il Paesaggio di Ancona, avendo richiesto un parere solo alla
Soprintendenza ai Beni Archeologici (la quale non è però preposta alla tutela di
tutti i beni coinvolti nella presente vicenda).
Premesso che le Soprintendenze sono articolazioni periferiche del Ministero dei
Beni Culturali e non del Ministero dell’Ambiente (vedasi ad esempio pagina 12 dei
motivi aggiunti del 23/4/2009 al ricorso n. 870/2008) e che l’art. 17, comma 3, let.
n.) del DPR n. 233/2007 (recante le norme di organizzazione del Ministero per i
Beni Culturali) stabilisce che, laddove un procedimento coinvolga le competenze
di due o più Soprintendenze, il potere di esprimere la volontà del Ministero
compete alla Direzione Regionale per i Beni Culturali (il che avrebbe dovuto
indurre la Direzione Regionale a informare dell’esistenza del procedimento anche
la Soprintendenza per i Beni Culturali, visto che si tratta di articolazioni periferiche
dello stesso Ministero) va per un verso rilevato che la L.R. Marche n. 7/2004 non
prevede che il procedimento di V.I.A. si articoli in una conferenza di servizi (e
questo perché il Comune ricorrente in più passi del ricorso e dei motivi aggiunti -
vedasi ad esempio sempre la citata pagina 12 dei motivi aggiunti del 23/4/2009 -
lamenta il fatto che alcune autorità preposte alla tutela dei beni coinvolti non sono
state invitate a partecipare alla conferenza di servizi), mentre per altro verso che il
Comune muove da un’errata interpretazione della normativa, contenuta nel D.Lgs.
n. 42/2004 e s.m.i., applicabile al caso di specie.
In effetti, il ricorrente sostiene che l’art. 146 del Codice dei beni culturali era già
pienamente operativo nel periodo di tempo in cui la procedura di V.I.A. è stata
avviata e conclusa dalla Provincia, il che viene desunto da una serie di pronunce
del Consiglio di Stato emesse in sede consultiva.
Tuttavia, questa tesi è da respingere, per quanto si dirà infra.
Va però evidenziato preliminarmente che, come è noto, il profilo distintivo fra la
disposizione dell’art. 146 e quella dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 sta nel diverso
momento in cui la competente Soprintendenza interviene nel procedimento
finalizzato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. In effetti, ai sensi dell’art.
146 (che modifica il tradizionale riparto di competenze in subiecta materia fra
autorità locale preposta alla tutela del vincolo paesaggistico – alla quale era affidato
il potere di rilasciare l’autorizzazione – e l’autorità statale che esercita il controllo –
la quale poteva solo annullare le autorizzazioni rilasciate – introducendo in pratica
un meccanismo di “co-gestione” del vincolo), la Soprintendenza deve rilasciare il
parere prima che l’autorità competente adotti il provvedimento terminale (il che
ovviamente, pur se il parere, a regime, viene qualificato dal Legislatore
“obbligatorio non vincolante”, rafforza di molto la posizione dell’amministrazione
statale, la quale viene in pratica a svolgere un esame di merito del progetto
sottoposto a V.I.A. o a semplice valutazione di compatibilità paesaggistica), per
cui, se la norma fosse stata davvero operativa nel periodo in cui si è svolto il
procedimento per cui è causa, il ricorso n. 870/2008 dovrebbe essere accolto già
solo per questo motivo, non essendovi alcun dubbio sul fatto che la Provincia di
Pesaro-Urbino ha omesso di comunicare alla Soprintendenza per i Beni Culturali e
il Paesaggio di Ancona l’avvio del procedimento ed ha adottato il provvedimento
terminale senza acquisirne il parere.
L’art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 – che disciplina il periodo transitorio – stabilisce
invece che la Soprintendenza può intervenire unicamente ex post, annullando
eventualmente l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità competente, ma
solo per motivi di legittimità, ivi incluso ovviamente l’eccesso di potere (per cui,
attraverso le c.d. figure sintomatiche, la Soprintendenza ha la possibilità di
riesaminare accuratamente l’istruttoria svolta nelle fasi precedenti della procedura).
Nella specie trovava applicazione proprio l’art. 159, il che è desumibile facilmente
dal testo della disposizione, la quale, come è noto, è stata rimaneggiata più volte dai
cc.dd. decreti correttivi (sul punto vedasi le consonanti asserzioni del TAR
Umbria, 18/1/2010, n. 8, la quale sentenza, seppure relativa al tipo di sindacato
che la Soprintendenza può svolgere sulle autorizzazione paesaggistiche rilasciate,
riafferma il principio per cui nel periodo transitorio il Ministero dei Beni Culturali
può intervenire solo ex post). Ai fini che qui rilevano, la versione da prendere in
esame è quella vigente al momento dell’adozione del provvedimento n.
52016/2008, ossia quella risultante dal D.Lgs. n. n. 63/2008.
Ebbene, la disposizione in esame stabilisce che “La disciplina dettata al Capo IV si
applica anche ai procedimenti di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica che alla data del 31
dicembre 2008 non si siano ancora conclusi con l’emanazione della relativa autorizzazione o
approvazione [nel caso in esame il procedimento si era concluso a luglio 2008]
…Resta salvo, in via transitoria, il potere del soprintendente di annullare, entro il termine di
sessanta giorni dalla ricezione dei relativi atti, le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate prima
della entrata in vigore delle presenti disposizioni”. Prima ancora, ossia nel vigore della
norma modificata dal D.Lgs. n. 157/2006, il periodo transitorio era determinato
con riferimento alla scadenza del termine previsto dall’art. 156 o, se anteriore,
all’approvazione o adeguamento dei piani paesistici regionali alle norme del Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio, mentre, a seguito dell’emanazione del D.L. n.
97/2008, il termine del periodo transitorio veniva fissato al 31/12/2009. Tra
l’altro, il comma 9 dell’art. 159, come modificato dal D.L. n. 97/2008, stabilisce
che le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n.
63/2008 e prima dell’entrata in vigore dello stesso D.L. (o meglio della legge di
conversione, la n. 129/2008, visto che la norma in commento non era contenuta
nel decreto legge) – fra le quali anche quella oggetto del presente ricorso, risalente
al 25 luglio 2008 – avrebbero potuto essere annullate dalla competente
Soprintendenza entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione,
e ciò anche laddove l’Ufficio fosse decaduto dal potere di annullamento previsto
dal D.Lgs. n. 63/2008.
Come si vede (facendo anche applicazione del noto broccardo in claris non fit
interpretatio), in base alle varie versioni dell’art. 159 che si sono succedute nell’arco
temporale che qui interessa, la vicenda per cui è causa è ricompresa nel periodo
transitorio, con le conseguenze che si sono dette in precedenza.
Di talché, la Soprintendenza per i Beni Culturali e il Paesaggio aveva tutta la
possibilità di annullare l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Provincia, ma
tale omesso esercizio del potere non è stato mai censurato dal Comune di Pergola,
il quale si è attardato a censurare l’errata applicazione di una norma (l’art. 146) che
invece non trovava applicazione nella specie.
Pertanto, anche in parte qua il ricorso n. 870/2008 va respinto.
3. Il ricorso n. 870/2008 va anche respinto nella parte in cui si sostiene che il
progetto de quo andava sottoposto a V.A.S.; in effetti, l’art. 5, let. a), del D.Lgs. n.
152/2006 stabilisce chiaramente che la Valutazione Ambientale Strategica riguarda
solo i piani e i programmi e non i singoli progetti.
Da ciò consegue anche l’infondatezza del motivo di ricorso con cui si deduce la
mancata redazione da parte della controinteressata del rapporto ambientale, e ciò
in quanto tale elaborato, giusta l’art. 13 del D.Lgs. n. 152/2006, deve essere
predisposto solo nell’ambito della procedura di V.A.S.
4. Passando invece al merito delle valutazioni compiute dalla Provincia sul
progetto della ditta Guiducci & Pierantoni, si deve anzitutto precisare che, in parte
qua, il sindacato del giudice amministrativo non può che fermarsi alla verifica della
correttezza dell’istruttoria e della non manifesta illogicità delle valutazioni
formulate dai tecnici intervenuti nel procedimento.
Ciò però non equivale a supina accettazione del giudizio della Provincia, ben
potendo parte ricorrente addurre elementi di valutazione tali da incrinare le
certezze del Tribunale e indurlo a disporre una verificazione o una consulenza
tecnica.
Ma al riguardo le allegazioni del Comune non sono tali da superare le acquisizioni
istruttorie in base alle quali la Provincia ha formulato il positivo giudizio di
compatibilità ambientale e paesaggistica (a tale ultimo riguardo va sottolineato che
si tratta di due profili distinti, seppure strettamente collegati, con la conseguenza
che la Soprintendenza per i Beni Culturali e il Paesaggio avrebbe potuto intervenire
solo sul profilo paesaggistico).
In questo senso militano già alcune considerazioni discendenti da fatti
processualmente inoppugnabili.
Giova infatti evidenziare che:
- il Ministero dell’Ambiente, ossia l’organo statale preposto per legge alla tutela dei
beni che il Comune teme saranno messi in pericolo dalla cava, non ha ritenuto di
dover annullare la V.I.A. rilasciata dalla Provincia;
- nemmeno l’altro organismo statale intervenuto nel procedimento in quanto
preposto alla tutela di uno dei beni con cui la cava interferisce (il Corpo Forestale
dello Stato, competente ad esprimere il parere per quanto riguarda il bosco) ha
manifestato una contrarietà radicale al progetto;
- il Ministero dell’Ambiente, prima di esprimersi definitivamente, ha richiesto alla
Provincia numerosi chiarimenti, a ciò sollecitato dall’esposto presentato da un
comitato di cittadini contrario alla cava (in particolare, per quanto riguarda il
possibile interessamento delle sorgenti esistenti in zona);
- il procedimento ha avuto una durata notevole, risalendo al 2005 il primo progetto
presentato dalla ditta ed avendo la Provincia e gli altri enti intervenuti richiesto
numerosissime modifiche progettuali attraverso specifiche prescrizioni;
- lo stesso Comune (come risulta dai certificati di destinazione urbanistica
depositati in atti in data 23/12/2009 dal ricorrente) ha a suo tempo attestato
l’assenza di vincoli di p.r.g. sulle aree in questione. In effetti, il certificato del
22/4/2006, rilasciato proprio in favore della ditta Guiducci & Pierantoni, indica
che:
a) l’intervento ricade all’interno di zone vincolate ai sensi del Codice dei Beni
Culturali e del Paesaggio;
b) la competenza a rilasciare la V.I.A. è in capo alla Provincia (mentre nel ricorso si
sostiene erroneamente che tale potere è in capo alla Regione, con ciò obliterando il
chiaro disposto dell’allegato B2, punto 6, let. h) alla L.R. n. 7/2004, che affidava sì
la competenza alla Regione, ma fino alla prima approvazione dei Piani provinciali.
Una volta approvati i PPAE, la competenza è delle Province marchigiane);
c) il sito, dal punto di vista urbanistico, ricade nel campo di applicazione degli artt.
9.1., 9.2., 9.3. e 9.4. delle NTA del P.R.G. (che disciplinano gli interventi lato sensu
edilizi ammessi nelle zone agricole), mentre nel ricorso si afferma che l’area ricade
sotto la disciplina degli artt. 8.1., 8.7., 8.8., 8.9., 8.10., 8.11., 8.12. e 8.13. delle NTA
e che la ditta controinteressata, maliziosamente, si sarebbe limitata a riportare le
norme valide per la zona omogenea “E”. Ma la ditta Guiducci & Pierantoni non
poteva che riportare nel progetto il contenuto del certificato di destinazione
urbanistica rilasciato dallo stesso Comune.
Tutti questi elementi privano di pregio la tesi di parte ricorrente secondo cui
l’esame del progetto si sarebbe connotato per la superficialità e per l’accettazione
supina delle soluzioni ipotizzate dai tecnici di fiducia della ditta controinteressata.
Va poi rilevato che:
- la dizione “unità minima di intervento” (U.M.I.) non si riferisce a giacimenti di
piccola entità, come si afferma a pagina 13 del ricorso introduttivo n. 870/2008
(essendo fra l’altro un controsenso ritenere ammissibili deroghe al PRAE per
giacimenti di non rilevante entità, essendo al contrario le deroghe giustificate solo
in presenza di giacimenti significativi). Tale denominazione si riferisce invece alla
ripartizione di un bacino unitario fra le cave coltivabili all’interno dello stesso (nel
caso di specie, nel bacino in questione il PPAE ha individuato una sola U.M.I.);
- il limite di 150.000 metri cubi di materiale estraibile era previsto dalla
disposizione transitoria di cui all’art. 6 della L.R. n. 33/1999, valida fino
all’approvazione del PRAE e dei PPAE. Una volta approvato il Piano regionale (e
poi quelli provinciali), la disposizione transitoria ha cessato di avere efficacia, per
cui essa non si applica al caso di specie.
5. Scendendo poi all’esame dei vari profili di possibile incompatibilità ambientale
del progetto, si deve anzitutto chiarire che nessuno ha mai messo in dubbio il fatto
che la cava sorgerà in una zona boscosa (essendo del tutto evidente che le cave,
per loro stessa natura, sorgono necessariamente in luoghi dove non sono presenti
insediamenti umani, ed in particolare in zone collinari o pedemontane). Non a caso
la legislazione regionale, e specificamente quella recata dalla L.R. n. 6/2005,
stabilisce il principio secondo cui il bosco può essere sacrificato all’attività
estrattiva in presenza di talune circostanze ed a certe condizioni: in caso contrario,
davvero non si vede in quali siti le cave potrebbero essere allocate.
L’art. 10 della citata L.R. - emanata in epoca successiva al D.Lgs. n. 42/2004 -
stabilisce che “Salvo quanto disposto all’articolo 12, è vietata la riduzione di superficie dei
boschi esistenti…..”, mentre l’art. 12 stabilisce che “Fermo restando quanto stabilito
dall’articolo 6 della L.R. 1° dicembre 1997, n. 71 (Disciplina delle attività estrattive), la
riduzione di superficie del bosco e la trasformazione dei boschi in altra qualità di coltura sono
autorizzate dalla Provincia,…., esclusivamente nei seguenti casi: a) realizzazione di opere
pubbliche o di pubblica utilità;
b) la realizzazione di strade e piste forestali connesse all’attività selvicolturale, alla protezione dei
boschi dagli incendi e alla realizzazione di opere pubbliche.
La riduzione di superficie boscata è soggetta a misure di compensazione ambientale, consistenti in
rimboschimenti compensativi su terreni nudi, di accertata disponibilità, da realizzarsi
prioritariamente con specie autoctone, sulla base di uno specifico progetto esecutivo e per una
superficie calcolata secondo quanto disposto dall’articolo 6, comma 4, e dall’allegato A della L.R.
n. 71/1997. I terreni da destinare a rimboschimento compensativo devono essere individuati
prioritariamente all’interno del medesimo bacino idrografico nel quale ricadono le superfici boscate
da compensare”.
Infine, l’art. 6 della L.R. n. 71/1997 e s.m.i. stabilisce che:
- l’attività di cava è vietata radicalmente in presenza di determinate emergenze
geologiche, ambientali, paesaggistiche e culturali (comma 3, lettere a), b), c), d), e),
f), g), h), i), nessuna delle quali interessa direttamente il sito in argomento;
- in particolare, il divieto riguarda i boschi di alto fusto originari e quelli con
prevalenza superiore al 50% di faggio e castagno e con l’80% di leccio;
- la coltivazione di cave è invece possibile in tutti i boschi governati a ceduo o in
quelli costituiti da essenze non autoctone, a condizione che siano previsti
interventi di compensazione ambientale (ossia il rimboschimento con essenze
autoctone – che in parte può essere anche “monetizzato”, ma ciò non si è
verificato nel caso di specie – di terreni aventi superficie uguale o maggiore a quella
“sacrificata”).
Come è agevole comprendere, la normativa regionale pone dei principi che
appaiono rispettosi dell’esigenza di realizzare un equo contemperamento fra
esigenze contrapposte, ferma restando la valutazione sulla compatibilità del singolo
intervento. Bisogna infatti evidenziare in primo luogo che non esiste un divieto
assoluto di riduzione delle superfici boscate (altrimenti non si spiegherebbe l’inciso
dell’art. 10 e la norma dell’art. 12 della L.R. n. 6/2005, nonché la disposizione di
cui all’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 227/2001) e che la disciplina delle attività
estrattive presenta aspetti peculiari, tali da giustificare una deroga al principio
generale secondo cui è vietata la riduzione dei boschi esistenti. Questo però non
vuol dire che i boschi debbono essere necessariamente sacrificati alle attività di
cava, in primo luogo perché i bacini estrattivi possono essere individuati solo dove
esistono litotipi pregiati in quantità tali da giustificare il dispendio di risorse
finanziarie necessarie per la coltivazione di una cava, in secondo luogo perché
molto spesso esistono altre emergenze ambientali e/o paesaggistiche che,
unitamente alla presenza del bosco, ostano all’apertura di una cava.
Nella vicenda per cui è causa, come emerge dalla relazione del Corpo Forestale
dello Stato (riportata nella memoria di costituzione del Ministero per le Politiche
Agricole, Alimentari e Forestali del 16/3/2009), il sito in argomento non è in
primo luogo compresa in alcuna area floristica individuata dalla Regione o in area
protetta o in un Sito di Importanza Comunitaria (S.I.C.) o Zona di Protezione
Speciale (Z.P.S.).
Inoltre, il bosco che interessa la zona non rientra fra quelli nei quali l’art. 6, comma
3, vieta l’esercizio di attività estrattive, bensì fra quelli di cui al successivo comma
4.
Al riguardo, sembra abbastanza inverosimile che il Corpo Forestale dello Stato non
si sia reso conto che il bosco in cui è prevista la coltivazione della cava ha le
caratteristiche di cui all’art. 6, comma 3, let. e), della L.R. n. 71/1997. In realtà,
come eccepito dalla difesa della Provincia nella memoria di costituzione, il bosco
in questione, in cui non sono presenti né il castagno né il faggio e in cui la presenza
di leccio è ben al di sotto della percentuale indicata dall’art. 6 L.R. n. 71/1997, è
anche governato a ceduo.
Al riguardo (e con questo si esamina anche uno dei motivi sollevati con il ricorso
n. 955/2009), va evidenziato che il Corpo Forestale dello Stato ha esaminato il
progetto della ditta Guiducci & Pierantoni, ritenendolo compatibile con la vigente
normativa, per cui, in sede di V.I.A., ha semplicemente dichiarato di non avere
osservazioni particolari da formulare, riservandosi l’imposizione di prescrizioni
specifiche in sede di conferenza di servizi. In questa sede, poi, ha ritenuto di non
dover dettare alcuna prescrizione particolare, per cui ha fatto rimando al parere
espresso in sede di V.I.A.: così ricostruita la vicenda, non si comprende sotto quale
profilo il Comune ricorrente contesti l’operato del Corpo Forestale dello Stato.
Infine, non è in discussione il fatto che la ditta Guiducci & Pierantoni, a fronte del
disboscamento di circa 3 ettari di bosco nel sito della cava, si è impegnata a
provvedere al rimboschimento di circa 22 ettari di superficie, sia pure nel
confinante Comune di Cagli, come prevede la normativa regionale.
6. Per quanto concerne le acque, si è già detto che sul punto la Provincia ha svolto
numerosi approfondimenti, anche al fine di evadere la puntuale richiesta del
Ministero dell’Ambiente.
In effetti, a parte il fatto che l’ARPAM (ossia l’organo tecnico preposto per legge
alla tutela dell’ambiente) aveva rilevato l’assenza nel raggio di 200 metri dall’area di
cava di captazioni o derivazioni di acqua ad uso idropotabile (il limite di 200 metri
è previsto dall’art. 94, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006), la Provincia - vedasi nota
del 22/1/2009, prot. n. 3886, diretta al Ministero dell’Ambiente - ha dato conto in
maniera dettagliata dei termini della questione e dei risultati degli approfondimenti
istruttori eseguiti.
Per contro, il Comune, sin dalle perizie fatte svolgere da un tecnico di fiducia nel
2007, ha sempre espresso la propria contrarietà in maniera dubbiosa, limitandosi
ad ipotizzare la presenza di acque nel sito, ma senza dimostrare tale asserzione con
prove scientifiche. E tra l’altro, un estratto della citata perizia di parte, in una con la
nota del 22/1/2009, è stata inviata al Ministero dell’Ambiente, che non l’ha
evidentemente ritenuta tale da mettere in dubbio gli esiti dell’istruttoria posta in
essere dalla Provincia.
Né è stata provata l’interferenza con il sito in cui la Provincia ha autorizzato nel
recente passato la ricerca di acque minerali e termali.
7. Le parti intimate, ed in particolare la Provincia e la ditta Guiducci & Pierantoni,
hanno depositato in atti documentazione fotografica ed elaborati grafici (vedasi in
particolare la relazione dell’ing. Ferranti, depositata in data 23/12/2009) da cui
emerge che, in base al profilo altimetrico dei luoghi, la cava non interferisce
visivamente con il santuario della Madonna del Sasso. Ma del resto anche nel
provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo (pagina 2 di 26, alla voce
“Descrizione dell’intervento”) è specificato che il bacino estrattivo denominato
Fosso del Bifolco insiste sull’anticlinale della Madonna del Sasso.
8. Alle pagina 3 e 11 del provvedimento n. 52016 è specificato chiaramente che
l’intervento presuppone la realizzazione di un nuovo tratto di strada di circa 200
metri, collegante l’area di cava con la strada vicinale del Bifolco, per cui non
sussiste alcuna “reticenza” sul punto. Il Comune sostiene infatti che il parere
favorevole è in parte qua contradditorio, perché da un lato si dice che sarà sfruttata
la viabilità esistente e dall’altro si prevede la realizzazione di una nuova strada.
In realtà nessuna contraddizione è dato ravvisare, visto che nel provvedimento
impugnato si dà atto della necessità di realizzare un nuovo tratto di strada.
Per quanto riguarda l’impatto che tale strada avrà sull’ambiente, la questione è stata
oggetto di specifico esame da parte del responsabile della P.O. Pianificazione
Territoriale – VIA – Beni Paesistici e Ambientali della Provincia, il quale, nella
relazione istruttoria 22/7/2008 (posta a base dell’autorizzazione paesaggistica), ha
evidenziato che il nuovo tratto di strada di metri 200 presuppone quasi
esclusivamente l’esecuzione di lavori di sterro per una profondità massima di 4
metri e uno sbancamento di circa 1400 metri cubi di materiale (quindi non un
quantitativo rilevante). I lavori in argomento, che interessano una strada vicinale
quasi interamente ricoperta da arbusti e cespugli (vedasi documentazione
fotografica depositata in giudizio da “Italia Nostra”), non coinvolgeranno in alcun
modo il Fosso del Bifolco e consentiranno ai mezzi a servizio della cava di non
attraversare il centro abitato di Bellisio Solfare, come richiesto a suo tempo dal
Comune e dagli altri enti che hanno preso parte al procedimento.
Sul punto, il ricorso e i motivi aggiunti, come anche l’atto di intervento, si limitano
ad evidenziare genericamente l’invasività della nuova strada e la mancata
valutazione del suo impatto sull’ambiente, ma senza addurre specifici elementi a
sostegno delle doglianze.
9. Per quanto riguarda la fauna, nel ricorso n. 870/2008 si evidenzia l’illogicità del
parere impugnato, nella parte in cui viene esclusa categoricamente la presenza in
loco di specie animali oggetto di tutela, affermando che persino in qualsiasi
giardino o parco pubblico cittadino esistono tane o nidi di mammiferi e uccelli.
A tal proposito, il Collegio evidenzia che:
- in primo luogo, nel parere si afferma che dai rilievi effettuati non sono state
rinvenute tane di animali terrestri o nidi o cove e che la fauna presente potrà
trovare ricetto nelle immediate vicinanze dell’area di scavo;
- le affermazioni del Comune non sono supportate da elementi probatori (non
essendo stata allegata documentazione fotografica che evidenzi la presenza di tane
o nidi), ma da un mero sillogismo;
- ma anche a voler condividere l’argomento, si deve tuttavia evidenziare che la
presenza sporadica di animali terrestri o di volatili non può modificare il giudizio,
fino a che non si dimostri (magari a seguito di indagini approfondite compiute dal
Corpo Forestale o da altri soggetti specializzati) che una certa zona è diventata
stabile dimora di specie animali. In effetti, può accadere che talune specie, a causa
di fenomeni endogeni o esogeni, modifichino le proprie abitudini di vita e trovino
rifugio in siti che in precedenza non registravano significative presenze; questo può
portare all’istituzione di un’area protetta o ad altri accorgimenti similari, tesi a
salvaguardare l’insediamento. In generale, però, non si può escludere che un
limitato numero di esemplari possa insediarsi in un sito, così come non si può
escludere che questa presenza cessi in maniera anche repentina. Ai fini
procedimentali però bisogna tenere conto del momento in cui viene effettuato lo
studio di impatto ambientale (tempus regit actum), pena la durata indeterminata della
procedura.
10. Infine, anche per quanto concerne le polveri e i rumori, l’ARPAM (pagine 4-6
del provvedimento impugnato) ha impartito specifiche prescrizioni, fermo
restando ovviamente che il rispetto di tali prescrizioni da parte della ditta potrà
essere oggetto di verifica solo dopo che il progetto di coltivazione della cava sarà
stato avviato.
11. Ugualmente da respingere sono i motivi di ricorso che si indirizzano avverso il
provvedimento con cui il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto di non dover
annullare il parere favorevole in sede di V.I.A. che è oggetto del presente giudizio.
Al riguardo, senza voler acriticamente richiamare il principio giurisprudenziale
secondo cui il provvedimento con cui una pubblica amministrazione esamina con
esito favorevole un atto proprio (ad esempio, in sede di autotutela) o di un’altra
amministrazione (ad esempio, in sede di controllo) non necessita di particolare
motivazione, si deve nuovamente evidenziare come il Dicastero dell’Ambiente,
prima di pronunciarsi, ha esaminato l’esposto del Comune di Pergola e del
comitato di cittadini ed ha chiesto chiarimenti alla Provincia, il che vuol dire che la
motivazione del provvedimento di controllo è desumibile per relationem, oltre che
dalla documentazione allegata al parere favorevole in sede di V.I.A., anche agli
elementi addotti dai soggetti che hanno sollecitato l’annullamento del predetto
parere e delle controdeduzioni della Provincia.
Dalla lettura del ricorso sembra di poter evincere che il Comune rimprovera al
Ministero di non aver compreso che la cava interferisce con l’ambiente circostante;
ma se così è, bisogna ricordare che lo spirito della V.I.A. non è quello di vietare
tout court interventi che incidano sull’ambiente (essendo all’uopo sufficiente
l’apposizione di vincoli inderogabili che vietino, ad esempio, l’edificazione o altre
attività similari), bensì quello di valutare la “sostenibilità” di interventi che
sicuramente interferiscono con l’ambiente. Del resto, l’art. 146 del D.Lgs. n.
42/2004, dopo aver posto al primo comma la regola generale secondo cui i
proprietari di beni sottoposti a tutela secondo le norme dello stesso Testo Unico
e/o dei piani paesistici non possono distruggerli o modificarli in modo da alterarne
l’identità, al secondo comma stabilisce che i soggetti summenzionati debbono
sottoporre alle autorità competenti i progetti di opere che intendano realizzare sui
beni tutelati, e ciò ai fini della valutazione della compatibilità paesaggistica (il che
vuol dire che non è vietato in assoluto intervenire su questi beni). Analogo
discorso è a farsi per gli aspetti – spesso sovrapposti con quelli paesaggistici –
concernenti la compatibilità ambientale.
Peraltro, come già detto, in materia di cave non sono possibili interventi
“indolori”, visto che l’attività estrattiva implica ex se la consumazione di porzioni
del territorio, la quale è mitigata dagli interventi di recupero e ricomposizione
ambientale che debbono essere imposti alle imprese operanti nel settore (nel caso
di specie, come si evince dal verbale della conferenza di servizi impugnato con il
ricorso n. 955/2009, la Provincia ha imposto alla ditta Guiducci & Pierantoni di
realizzare tali interventi contestualmente alla coltivazione, in modo che all’inizio
dell’escavazione del secondo settore corrisponda l’inizio del recupero del primo
settore, e così via).
La V.I.A. ha esito negativo quando il costo ambientale dell’intervento è superiore
ai benefici che se ne possono ricavare.
Se un intervento non incide in alcun modo con l’ambiente non c’è ovviamente
bisogno della V.I.A.
In conclusione, il ricorso n. 870/2008 va in parte dichiarato inammissibile (anche
in relazione ai motivi aggiunti del 23/4/2009, con cui sono state impugnate note
non aventi carattere provvedimentale) e in parte respinto.
12. Analoga sorte merita il ricorso n. 955/2009.
Come detto, le doglianze del Comune si appuntano sul procedimento che ha
portato la Conferenza di Servizi istituita dalla Provincia ai sensi dell’art. 13 della
L.R. n. 71/1997 a licenziare favorevolmente il progetto della ditta Guiducci &
Pierantoni.
Anche in questo caso le censure possono essere suddivise in due gruppi: quelle
relative a presunti vizi procedurali e quelli inerenti il merito delle valutazioni
espresse dalla Conferenza.
13. Per quanto riguarda le prime, il Collegio evidenzia che:
- nella specie, la Provincia non ha esercitato alcun potere sostitutivo nei confronti
del Comune di Pergola, atteso che l’art. 13, comma 3, della L.R. n. 71/1997
stabilisce che spetta alla Provincia il potere di convocare la Conferenza di Servizi.
Il Comune ricorrente ha inteso come invasivo delle proprie competenze il sollecito
inoltrato dalla Provincia con la nota del 31/7/2009, ma questa sensazione
prescinde completamente dal dettato normativo. Fra l’altro, una volta rilasciato il
parere favorevole in sede di V.I.A., il procedimento previsto dalla L.R. n. 71/1997
non poteva arrestarsi solo perché il Comune aveva proposto il ricorso n.
870/2008, dovendosi tutelare anche l’interesse della ditta Guiducci & Pierantoni ad
una celere definizione della vicenda;
- con decisione n. 7216/2006, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulle questioni
relative alla composizione soggettiva e numerica della Conferenza istituita ai sensi
della citata L.R. n. 71/1997 ed alla prevalenza del voto del presidente in caso di
parità dei voti, pervenendo alla conclusione che la L.R. n. 71/1997 autorizza le
Province ad adottare il regolamento sul funzionamento della Conferenza di Servizi
(il che, nel caso della Provincia di Pesaro-Urbino, è avvenuto all’esito di un
procedimento che ha visto l’apporto consultivo degli enti locali interessati – vedasi
documentazione versata in atti dalla Provincia in data 1/12/2009) e che la regola
sulla prevalenza del voto del presidente è frutto di un’autolimitazione consensuale
degli enti che prendono parte alla Conferenza e non appare irragionevole, visto
che nella Regione Marche la provincia è l’ente che dispone della maggior parte
delle competenze in materia di attività estrattive. Il Tribunale non ritiene nella
specie di doversi discostare dalle argomentazioni del giudice di secondo grado;
- nella conferenza di servizi (per il cui funzionamento si applicano in generale le
disposizioni di cui alla L. n. 241/1990 e s.m.i., come affermato dal Consiglio di
Stato nella citata decisione n. 7216/2006) non è richiesta, ai fini della validità della
deliberazione finale, la presenza di tutti i soggetti che debbono prendervi parte,
avendo la legge previsto la possibilità di inviare per iscritto il parere (purché lo
stesso pervenga in tempo utile al responsabile del procedimento) ed avendo
sanzionato con la nullità l’eventuale parere contrario che sia rilasciato
successivamente. Né è prevista l’unanimità dei consensi;
- neppure è imposto che la conferenza si articoli necessariamente in più sedute,
essendo questo aspetto rimesso alla valutazione dei partecipanti e/o alla necessità
di effettuate ulteriori approfondimenti istruttori. Nella specie, non poteva non
rilevare la circostanza che il progetto della ditta Guiducci & Pierantoni era stato già
ampiamente esaminato in sede di V.I.A. dagli stessi enti che hanno preso parte alla
conferenza, ad iniziare dalla Provincia resistente. Peraltro, la conferenza di servizi
non è uno strumento inutile, atteso che, seppure la valutazione di impatto
ambientale rappresenta nel caso delle cave il momento centrale del procedimento
autorizzatorio, il progetto potrebbe non essere in linea con altre disposizioni
inderogabili (senza dimenticare che potrebbero verificarsi casi in cui non è richiesta
la V.I.A., per cui la conferenza di servizi diventa il momento più importante del
procedimento).
Si deve inoltre evidenziare che:
- non rileva, ai fini della valida costituzione e deliberazione della conferenza di
servizi, il fatto che il Comune avesse già da tempo manifestato la propria
contrarietà al progetto della cava e che avesse chiesto il rinvio della seduta in attesa
della decisione del ricorso n. 870/2008;
- si deve infatti ribadire (senza con questo scomodare concetti dottrinali risalenti,
quale ad esempio la c.d. presunzione di legittimità del provvedimento
amministrativo) che, in assenza di validi motivi, la Provincia non aveva l’obbligo
(semmai la facoltà, il cui mancato esercizio non rende però illegittimo il
provvedimento finale) di rinviare la seduta;
- né rileva, ai fini che qui interessano, il fatto che la Provincia sapesse già che il
Comune avrebbe espresso parere contrario, visto che la sede ufficiale in cui tale
contrarietà doveva essere manifestata era proprio la conferenza di servizi. Da ciò
discende l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune, secondo cui la
Provincia avrebbe dovuto impugnare tempestivamente la nota del luglio 2009 con
cui era stata ribadita per l’ennesima volta da parte del Comune la contrarietà al
progetto. A parte il fatto che si tratta di un atto endoprocedimentale, bisogna
altresì considerare che la Provincia non era legittimata ad impugnarlo, visto che
essa non è titolare di alcun interesse specifico alla favorevole conclusione del
procedimento (tale interesse essendo semmai in capo alla ditta Guiducci &
Pierantoni, l’unico soggetto che riceverebbe un pregiudizio laddove il progetto in
questione fosse “bocciato”).
Ma in realtà, alla base di queste censure vi è una sorta di “complesso di
persecuzione”, che porta l’Amministrazione ricorrente a leggere qualsiasi atto della
Provincia come una indebita prevaricazione della sfera di autonomia decisionale
del Comune ed a sospettare che alla base dell’operato della Provincia vi siano
inconfessabili interessi.
In realtà, una volta eliminate dal discorso implicazioni lato sensu politiche o
“emozionali” (legate in qualche modo anche alla c.d. sindrome NIMBY), la
vicenda all’esame del TAR è giuridicamente lineare:
- la Provincia (facendo uso - non importa se corretto o scorretto, visto che questo
deve essere accertato dal Tribunale - del potere conferitogli dalle LL.RR. n.
71/1997 e n. 7/2004) ha espresso un parere favorevole in sede di V.I.A., con
valenza anche di autorizzazione paesaggistica;
- il provvedimento è stato sottoposto al controllo del Ministero dell’Ambiente, che
non lo ha ritenuto passibile di annullamento. Nemmeno il Ministero dei Beni
Culturali, dal canto suo, ha ritenuto di avvalersi del potere di cui all’art. 159 D.Lgs.
n. 42/2004;
- non sono intervenuti provvedimenti cautelari o di merito del Tribunale che
abbiano inciso sull’efficacia del parere di compatibilità ambientale e paesaggistica;
- il procedimento doveva quindi proseguire, secondo la tempistica dell’art. 13 della
L.R. n. 71/1997 (potendo un ritardo ingiustificato esporre la Provincia ad eventuali
pretese risarcitorie da parte della ditta controinteressata);
- nessuno ha mai messo in dubbio il fatto che la “parola finale” in subiecta materia
compete al Comune di Pergola, il quale è preposto al rilascio dell’autorizzazione
all’apertura della cava. A questo riguardo, non rilevano dal punto di vista giuridico
eventuali “pressioni” che la ditta o altri soggetti interessati possano porre in essere
nei riguardi del Comune, così come non rilevano “pressioni” in senso opposto,
atteso che il civico ente dovrà procedere unicamente in base alla legge ed ai
principi di diritto affermati nella presente sentenza (la quale potrà essere
ovviamente impugnata laddove non si condividano le conclusioni a cui il Collegio
ritiene di dover approdare).
Questi sono i principi a cui è informato il nostro ordinamento giuridico,
relativamente all’agere delle amministrazioni pubbliche.
14. Nel merito, e premesso che molti dei motivi di ricorso ripetono pressoché
integralmente le doglianze formulate nel ricorso n. 870/2008 (per cui valgono le
considerazioni di cui ai paragrafi precedenti), il Tribunale osserva che:
- l’ARPAM, pur non essendo componente di diritto della conferenza di servizi (il
che effettivamente non appare molto razionale, per cui in parte qua il regolamento
approvato a suo tempo dalla Provincia dovrebbe forse essere modificato. Peraltro,
in questa sede ciò non rileva, visto che legittimata a censurare la disposizione
regolamentare dovrebbe essere la stessa Agenzia), ha comunque attivamente
partecipato al procedimento, sia in sede di V.I.A., sia ribadendo il parere già
espresso in quella sede, di cui la conferenza ha preso atto. Questo, tenuto anche
conto del fatto che in sede di conferenza solo il Comune ha espresso parere
negativo sul progetto, determina la carenza di interesse sullo specifico motivo di
ricorso, e ciò in base alla c.d. prova di resistenza. Tra l’altro, il ruolo dell’ARPAM
non si è certo esaurito, visto che l’Agenzia, oltre a rilasciare il nulla osta sul
progetto di gestione dei rifiuti che la ditta dovrà presentare prima del rilascio
dell’autorizzazione comunale, potrà sempre effettuare verifiche e sopralluoghi in
costanza dell’attività estrattiva, al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni
imposte alla ditta (stesso discorso può farsi per quanto riguarda l’omessa
partecipazione alla conferenza dell’A.S.U.R. Marche);
- poiché la conferenza, per espressa previsione legislativa, deve valutare la
compatibilità del progetto con la normativa regionale e provinciale, non possono
essere componenti di diritto dell’organo amministrazioni statali, le quali sono
invece coinvolte nelle fasi antecedenti della procedura;
- peraltro, la Soprintendenza per i Beni Culturali (la cui partecipazione al
procedimento è stata lungamente invocata dal Comune), una volta che ha avuto la
possibilità di esprimere il proprio avviso, ha fondato la propria contrarietà (ma
forse sarebbe preferibile parlare di perplessità) al progetto su tre argomenti. Il
primo relativo alla presenza di aree boscate, il secondo inerente i problemi di
intervisibilità fra il sito e la chiesa della Madonna del Sasso, il terzo su
considerazioni afferenti il bilanciamento degli interessi, il tutto senza un particolare
supporto documentale o motivazionale. Questo non può che implicare una
considerazione perfino banale, che scaturisce da alcune delle asserzioni che il
Comune ha posto a base dei motivi aggiunti del 25/5/2009: in quella sede,
l’Amministrazione ricorrente ha censurato l’operato del Ministero dell’Ambiente
sostenendo che il giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica deve essere
fondato su analitiche motivazioni relative agli effetti che un intervento dell’uomo
provoca sui singoli beni sottoposti a tutela e sull’ambiente nel suo complesso (nel
mentre il Dicastero si sarebbe limitato a recepire acriticamente il parere favorevole
della Provincia). Ma se così è, analogo discorso è a farsi quando un’autorità
esprime un parere contrario o, addirittura, annulli un’autorizzazione paesaggistica.
Nella specie, a parte la questione relativa alla pretesa interferenza visuale con la
chiesa della Madonna del Sasso e con il borgo di Bellisio Solfare (circostanza che le
parti intimate hanno smentito avvalendosi di perizie di parte), gli altri profili
evidenziati dalla Soprintendenza sono stato oggetto specifico della procedura di
V.I.A., nell’ambito della quale il competente ufficio della Provincia ha espresso
anche il parere di compatibilità paesaggistica. La messa in discussione in parte qua
del parere favorevole della Provincia avrebbe necessitato di argomenti ben più
consistenti rispetto alle generiche affermazioni rassegnate dalla Soprintendenza in
sede di conferenza di servizi.
15. In conclusione, i ricorsi in epigrafe vanno in parte dichiarati inammissibili e in
parte respinti.
Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra le
parti costituite, legati alla complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche in parte dichiara inammissibili
e in parte respinge i ricorsi in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2010 con
l'intervento dei Magistrati:
Luigi Passanisi, Presidente
Giuseppe Daniele, Consigliere
Tommaso Capitanio, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO