Il Giubileo Paolino

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RS Servire 02-2009

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Il giubileo paolino

PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI

I.R.

20092

copertina 02-2009:copertina 04-2004 05/05/09 09:11 Pagina 2

S O M M A R I O

Il giubileo paolino

Questo numero Giancarlo Lombardi pag. 1

1. Biografia di san Paolo Benedetto XVI pag. 3

2. Giustificati per la fede e non per le opere della legge Rinaldo Fabris pag. 7

3. San Paolo costruttore di comunità Giuseppe Grampa pag. 11

4. San Paolo: un annuncio per il nostro tempo Gian Maria Zanoni pag. 15

5. Storia del cammino: dalla notte verso il giorno Roberto Cociancich pag. 18

6. Itinerario di catechesi paolina a cura di Davide Brasca

Leggere e meditare san Paolo in branca R/S pag. 23

Meditazioni paoline per rover e scolte pag. 25

San Paolo e il capo R/S pag. 39

Sulle tracce di san Paolo pag. 41

7. San Paolo: un uomo che fa parlare di sé Laura Galimberti pag. 46

copertina 02-2009:copertina 04-2004 05/05/09 09:11 Pagina 3

a Chiesa ha celebrato nel 2008 l’“annoPaolino” ipotizzando, secondo quantoargomenta anche il Santo Padre nell’in-tervento che pubblichiamo sulla biogra-fia di San Paolo, che San Paolo sia nato a

Tarso nell’anno 8, perciò 2000 anni fa.Questa ricorrenza ci ha consigliato, in accordo con la bran-ca R/S e con il Comitato centrale, di dedicare a san Pao-lo un numero di Servire.San Paolo è d’altra parte il protettore della branca R/S eper tanti motivi, che sono ampiamente illustrati negli arti-coli di questo numero, è particolarmente vicino allo spiri-to scout.San Paolo è un uomo forte e autentico, animato da gran-de passione e da dedizione assoluta a ciò che gli sembraveramente importante.Per queste ragioni essendo egli un ebreo educato fin dabambino, a Gerusalemme ai piedi di Rabbi Gamaliele ilVecchio, secondo le più rigide norme del fariseismo eavendo acquisito un grande zelo per la Torah mosaica per-seguitò i primi cristiani vedendo in loro una minaccia perla vera ortodossia dei padri. Ma quando Gesù, sulla stradadi Damasco, lo interpellò per farne un suo discepolo, eglirispose con la stessa passione e con lo stesso zelo diven-tando l’“apostolo delle genti”.È abbastanza impressionante seguire la vita apostolica di

san Paolo in cui convivono un eccezionale impegno mis-sionario e pastorale, realizzato con viaggi pericolosi e fati-cosissimi, e l’elaborazione intellettuale, teologica e filoso-fica che ha rappresentato, e ancora oggi rappresenta, unfondamento essenziale per la vita della Chiesa.In questo numero di Servire abbiamo cercato di tenerepresenti queste due dimensioni illustrando sia l’importan-za di san Paolo per il suo contributo di pensiero, sia l’im-portanza della sua azione apostolica, esemplare anche ainostri giorni, e dedicando uno spazio non irrilevante allacatechesi in branca R/S, proprio utilizzando la testimo-nianza paolina.Ne è uscito un quaderno di Servire impegnativo che spe-riamo i lettori affrontino con il giusto atteggiamento cheè quello, come dice il Papa, di vedere in san Paolo l’impe-gno di un’anima affascinata dal Vangelo, innamorata di Cri-sto, sostenuta dalla convinzione profonda che è necessarioportare al mondo la luce di Cristo.Preghiamo, come dice il Papa, affinché il Signore che hafatto vedere la sua luce a Paolo e ha toccato il suo cuoreintimamente, faccia vedere anche a noi la sua luce perchéanche il nostro cuore sia toccato dalla sua Parola e possia-mo anche noi testimoniare al mondo la luce del Vangelo ela Verità di Cristo.

Giancarlo Lombardi

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Q U E S T O N U M E R O

L

Cari fratelli e sorelle, nell’ultima catechesi prima delle va-canze – due mesi fa, ai primi di luglio– avevo iniziato una nuova serie di te-matiche in occasione dell’anno paoli-no, considerando il mondo in cui vis-se san Paolo. Vorrei oggi riprendere econtinuare la riflessione sull’Apostolodelle genti, proponendo una sua bre-ve biografia. Poiché dedicheremo ilprossimo mercoledì all’evento straor-dinario che si verificò sulla strada diDamasco, la conversione di Paolo,svolta fondamentale della sua esisten-za a seguito dell’incontro con Cristo,oggi ci soffermiamo brevemente sul-l’insieme della sua vita. Gli estremibiografici di Paolo li abbiamo rispet-tivamente nella Lettera a Filemone, nel-la quale egli si dichiara “vecchio” (Fm9: presbýtes) e negli Atti degli Apostoli,che al momento della lapidazione di

Stefano lo qualificano “giovane”(7,58: neanías). Le due designazioni so-no evidentemente generiche, ma, se-condo i computi antichi, “giovane”era qualificato l’uomo sui trent’anni,mentre “vecchio” era detto quandogiungeva sulla sessantina. In terminiassoluti, la data della nascita di Paolodipende in gran parte dalla datazionedella Lettera a Filemone. Tradizional-mente la sua redazione è posta duran-te la prigionia romana, a metà deglianni 60. Paolo sarebbe nato l’anno 8,quindi avrebbe avuto più o meno ses-sant’anni, mentre al momento della la-pidazione di Stefano ne aveva 30. Do-vrebbe essere questa la cronologia giu-sta. E la celebrazione dell’anno paoli-no che facciamo segue proprio questacronologia. È stato scelto il 2008 pen-sando a una nascita più o meno nel-l’anno 8. In ogni caso, egli nacque a

Tarso in Cilicia (cfr At 22,3). La cittàera capoluogo amministrativo della re-gione e nel 51 a.C. aveva avuto comeProconsole nientemeno che MarcoTullio Cicerone, mentre dieci annidopo, nel 41, Tarso era stato il luogodel primo incontro tra Marco Antonioe Cleopatra. Ebreo della diaspora, egliparlava greco pur avendo un nome diorigine latina, peraltro derivato per as-sonanza dall’originario ebraicoSaul/Saulos, ed era insignito della cit-tadinanza romana (cfr At 22,25-28).Paolo appare quindi collocato sullafrontiera di tre culture diverse — ro-mana, greca, ebraica — e forse ancheper questo era disponibile a fecondeaperture universalistiche, a una media-zione tra le culture, a una vera univer-salità. Egli apprese anche un lavoromanuale, forse derivato dal padre,consistente nel mestiere di “fabbrica-tore di tende” (cfr At 18,3: skenopoiòs),da intendersi probabilmente come la-voratore della lana ruvida di capra odelle fibre di lino per farne stuoie otende (cfr At 20,33-35). Verso i 12-13anni, l’età in cui il ragazzo ebreo di-venta bar mitzvà (“figlio del precet-to”), Paolo lasciò Tarso e si trasferì aGerusalemme per essere educato aipiedi di Rabbì Gamaliele il Vecchio,nipote del grande Rabbì Hillèl, se-condo le più rigide norme del farisei-smo e acquisendo un grande zelo perla Toràh mosaica (cfr Gal 1,14; Fil 3,5-

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I L G I U B I L E O P A O L I N O

San PaoloBiografia di san Paolo tracciata da Papa Benedetto XVI

durante l’Udienza Generale di mercoledì 27 agosto 2008

nell’aula Paolo VI

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tutte le promesse. Dopo questo avve-nimento decisivo, Paolo si separò daBarnaba, scelse Sila e iniziò il secon-do viaggio missionario (cfr At 15,36-18,22). Oltrepassata la Siria e la Cili-cia, rivide la città di Listra, dove ac-colse con sé Timoteo (figura moltoimportante della Chiesa nascente, fi-glio di un’ebrea e di un pagano), e lofece circoncidere, attraversò l’Anato-lia centrale e raggiunse la città diTroade sulla costa settentrionale delMar Egeo. E qui si ebbe di nuovo unavvenimento importante: in sogno vi-de un macedone dall’altra parte delmare, cioè in Europa, che diceva,“Vieni e aiutaci!”. Era l’Europa futu-ra che chiedeva l’aiuto e la luce delVangelo. Sulla spinta di questa visioneentrò in Europa. Di qui salpò per laMacedonia entrando così in Europa.Sbarcato a Neapoli, arrivò a Filippi,ove fondò una bella comunità, poipassò a Tessalonica, e, partito di quiper difficoltà procurategli dai Giudei,passò per Berea, giunse ad Atene. Inquesta capitale dell’antica cultura gre-ca predicò, prima nell’Agorà e poinell’Areòpago, ai pagani e ai greci. Eil discorso dell’Areòpago, riferito ne-gli Atti degli Apostoli, è modello dicome tradurre il Vangelo in culturagreca, di come far capire ai greci chequesto Dio dei cristiani, degli ebrei,non era un Dio straniero alla loro cul-tura ma il Dio sconosciuto aspettato

chia sull’Oronte, inviati da quellaChiesa (cfr At 13,1-3), e, dopo esseresalpati dal porto di Seleucia sulla costasiriana, attraversarono l’isola di Ciproda Salamina a Pafo; di qui giunsero al-le coste meridionali dell’Anatolia, og-gi Turchia, e toccarono le città di At-talìa, Perge di Panfilia, Antiochia di Pi-sidia, Iconio, Listra e Derbe, da cui ri-tornarono al punto di partenza. Eracosì nata la Chiesa dei popoli, la Chie-sa dei pagani. E nel frattempo, soprat-tutto a Gerusalemme, era nata una di-scussione dura fino a quale punto que-sti cristiani provenienti dal paganesi-mo fossero obbligati ad entrare anchenella vita e nella legge di Israele (varieosservanze e prescrizioni che separanoIsraele dal resto del mondo) per esse-re partecipi realmente delle promessedei profeti e per entrare effettivamen-te nell’eredità di Israele. Per risolverequesto problema fondamentale per lanascita della Chiesa futura si riunì aGerusalemme il cosiddetto Conciliodegli Apostoli, per decidere su questoproblema dal quale dipendeva la effet-tiva nascita di una Chiesa universale. Efu deciso di non imporre ai paganiconvertiti l’osservanza della legge mo-saica (cfr At 15,6-30): non erano cioèobbligati alle norme del giudaismo;l’unica necessità era essere di Cristo, divivere con Cristo e secondo le sue pa-role. Così, essendo di Cristo, erano an-che di Abramo, di Dio e partecipi di

6; At 22,3; 23,6; 26,5). Sulla base di questa ortodossia profon-da che aveva imparato alla scuola diHillèl, in Gerusalemme, intravide nelnuovo movimento che si richiamava aGesù di Nazaret un rischio, una mi-naccia per l’identità giudaica, per lavera ortodossia dei padri. Ciò spiega ilfatto che egli abbia fieramente “perse-guitato la Chiesa di Dio”, come pertre volte ammetterà nelle sue Lettere(1 Cor 15,9; Gal 1,13; Fil 3,6). Anchese non è facile immaginarsi concreta-mente in che cosa consistesse questapersecuzione, il suo fu comunque unatteggiamento di intolleranza. È quiche si colloca l’evento di Damasco, sucui torneremo nella prossima cateche-si. Certo è che, da quel momento inpoi, la sua vita cambiò ed egli diventòun apostolo instancabile del Vangelo.Di fatto, Paolo passò alla storia più perquanto fece da cristiano, anzi da apo-stolo, che non da fariseo. Tradizional-mente si suddivide la sua attività apo-stolica sulla base dei tre viaggi missio-nari, a cui si aggiunse il quarto del-l’andata a Roma come prigioniero.Tutti sono raccontati da Luca negliAtti. A proposito dei tre viaggi missio-nari, però, bisogna distinguere il pri-mo dagli altri due. Del primo, infatti (cfr At 13-14), Pao-lo non ebbe la diretta responsabilità,che fu affidata invece al cipriota Bar-naba. Insieme essi partirono da Antio-

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romano di guardia all’area del Tempio(cfr At 21,27-36); ciò si verificò men-tre in Giudea era Procuratore impe-riale Antonio Felice. Passato un perio-do di carcerazione (la cui durata è di-scussa), ed essendosi Paolo, come cit-tadino romano, appellato a Cesare(che allora era Nerone), il successivoProcuratore Porcio Festo lo inviò aRoma sotto custodia militare. Il viaggio verso Roma toccò le isolemediterranee di Creta e Malta, e poile città di Siracusa, Reggio Calabria ePozzuoli. I cristiani di Roma gli anda-rono incontro sulla Via Appia fino alForo di Appio (ca. 70 km a sud dellacapitale) e altri fino alle Tre Taverne(ca. 40 km). A Roma incontrò i dele-gati della comunità ebraica, a cui con-fidò che era per “la speranza d’Israele”che portava le sue catene (cfr At28,20). Ma il racconto di Luca termi-na sulla menzione di due anni passatia Roma sotto una blanda custodia mi-litare, senza accennare né a una sen-tenza di Cesare (Nerone) né tantomeno alla morte dell’accusato. Tradi-zioni successive parlano di una sua li-berazione, che avrebbe favorito sia unviaggio missionario in Spagna, sia unasuccessiva puntata in Oriente e speci-ficamente a Creta, a Efeso e a Nico-poli in Epiro. Sempre su base ipoteti-ca, si congettura di un nuovo arresto euna seconda prigionia a Roma (da cuiavrebbe scritto le tre Lettere cosiddet-

puntò dritto su Efeso, capitale dellaprovincia d’Asia, dove soggiornò perdue anni, svolgendo un ministero cheebbe delle feconde ricadute sulla re-gione. Da Efeso Paolo scrisse le lette-re ai Tessalonicesi e ai Corinzi. La po-polazione della città però fu sobillatacontro di lui dagli argentieri locali,che vedevano diminuire le loro entra-te per la riduzione del culto di Arte-mide (il tempio a lei dedicato a Efeso,l’Artemysion, era una delle sette mera-viglie del mondo antico); perciò eglidovette fuggire verso il nord. Riattra-versata la Macedonia, scese di nuovoin Grecia, probabilmente a Corinto,rimanendovi tre mesi e scrivendo lacelebre Lettera ai Romani. Di qui tornò sui suoi passi: ripassò perla Macedonia, per nave raggiunseTroade e poi, toccando appena le iso-le di Mitilene, Chio, Samo, giunse aMileto dove tenne un importante di-scorso agli Anziani della Chiesa diEfeso, dando un ritratto del pastorevero della Chiesa, cfr At 20. Di qui ri-partì facendo vela verso Tiro, di doveraggiunse Cesarea Marittima per sali-re ancora una volta a Gerusalemme.Qui fu arrestato in base a un malinte-so: alcuni Giudei avevano scambiatoper pagani altri Giudei di origine gre-ca, introdotti da Paolo nell’area tem-plare riservata soltanto agli Israeliti. Laprevista condanna a morte gli fu ri-sparmiata per l’intervento del tribuno

da loro, la vera risposta alle piùprofonde domande della loro cultura.Poi da Atene arrivò a Corinto, dove sifermò un anno e mezzo. E qui abbia-mo un evento cronologicamentemolto sicuro, il più sicuro di tutta lasua biografia, perché durante questoprimo soggiorno a Corinto egli do-vette comparire davanti al Governa-tore della provincia senatoriale diAcaia, il Proconsole Gallione, accusa-to di un culto illegittimo. Su questoGallione e sul suo tempo a Corintoesiste un’antica iscrizione trovata aDelfi, dove è detto che era Proconso-le a Corinto tra gli anni 51 e 53.Quindi qui abbiamo una data assolu-tamente sicura. Il soggiorno di Paoloa Corinto si svolse in quegli anni. Per-tanto possiamo supporre che sia arri-vato più o meno nel 50 e sia rimastofino al 52. Da Corinto, poi, passandoper Cencre, porto orientale dellacittà, si diresse verso la Palestina rag-giungendo Cesarea Marittima, di do-ve salì a Gerusalemme per tornare poiad Antiochia sull’Oronte. Il terzo viaggio missionario (cfr At18,23-21,16) ebbe inizio come sem-pre ad Antiochia, che era divenuta ilpunto di origine della Chiesa dei pa-gani, della missione ai pagani, ed eraanche il luogo dove nacque il termi-ne «cristiani». Qui per la prima volta,ci dice San Luca, i seguaci di Gesù fu-rono chiamati «cristiani». Da lì Paolo

te Pastorali, cioè le due a Timoteo equella a Tito) con un secondo proces-so, che gli sarebbe risultato sfavorevo-le. Tuttavia, una serie di motivi inducemolti studiosi di san Paolo a termina-re la biografia dell‘Apostolo con il rac-conto lucano degli Atti. Sul suo martirio torneremo più avantinel ciclo di queste nostre catechesi. Perora, in questo breve elenco dei viaggidi Paolo, è sufficiente prendere atto dicome egli si sia dedicato all’annunciodel Vangelo senza risparmio di energie,affrontando una serie di prove gravose,

di cui ci ha lasciato l’elenco nella se-conda Lettera ai Corinzi (cfr 11,21-28). Del resto, è lui che scrive: “Tuttofaccio per il Vangelo” (1 Cor 9,23), eser-citando con assoluta generosità quellache egli chiama “preoccupazione pertutte le Chiese” (2 Cor 11,28). Vediamoun impegno che si spiega soltanto conun’anima realmente affascinata dalla lu-ce del Vangelo, innamorata di Cristo,un’anima sostenuta da una convinzio-ne profonda: è necessario portare almondo la luce di Cristo, annunciare ilVangelo a tutti. Questo mi sembra sia

quanto rimane da questa breve rassegnadei viaggi di san Paolo: vedere la suapassione per il Vangelo, intuire così lagrandezza, la bellezza, anzi la necessitàprofonda del Vangelo per noi tutti. Pre-ghiamo affinché il Signore, che ha fat-to vedere la sua luce a Paolo, gli ha fat-to sentire la sua Parola, ha toccato il suocuore intimamente, faccia vedere anchea noi la sua luce, perché anche il nostrocuore sia toccato dalla sua Parola e pos-siamo così anche noi dare al mondo dioggi, che ne ha sete, la luce del Vange-lo e la verità di Cristo.

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Verso la fine degli anni cinquanta Pao-lo scrive una lettera alla Chiesa di Ro-ma per predisporla ad un prossimo in-contro e coinvolgerla nella missioneche egli intende aprire in Spagna. Egliinfatti pensa di avere portato a termi-ne il progetto di evangelizzazione nel-le regioni orientali dell’impero e nongli resta che presentare a Gerusalem-me la raccolta di fondi per i poveri diquella Chiesa (Rm 1,8-15; 15,14-33). Nello scritto inviato alla Chiesa dellacapitale, Paolo fa un bilancio del“Vangelo di Dio”, che chiama anche“Vangelo di Gesù Cristo” e ”il mioVangelo”. La Lettera ai Romani è il

vertice del pensiero dell’apostolo Pao-lo, il suo testamento teologico. I desti-natari sono cristiani di origine ebrai-ca, che costituiscono il nucleo origi-nario, ancora molto consistente dellaChiesa romana, ma dove vanno au-mentando i cristiani di origine nonebraica. Si tratta dunque di una Chie-sa composita, con tensioni tra i giu-deo-cristiani e gli etnico-cristiani (cf.Rm 14,1-15,13).Nei primi undici capitoli della Lette-ra Paolo tratta il tema della giustifica-zione e della salvezza, dono di Dio perchiunque crede. Negli altri capitolipropone l’attuazione della libertà, do-

nata da Dio in Cristo Gesù suo Figlio,per mezzo dello Spirito santo, in unimpegno di vita cristiana caratterizza-ta dall’amore.

1. “Il Vangelo, potenza di Dio perla salvezza di tutti i credenti”Fin dall’inizio della Lettera, subito do-po l’intestazione e l’esordio, Paolo an-nuncia il tema della Lettera: «Io infat-ti non mi vergogno del Vangelo, per-ché è potenza di Dio per la salvezza dichiunque crede, del Giudeo, prima,come del Greco. In esso infatti si rive-la la giustizia di Dio, da fede a fede,come sta scritto: Il giusto per fede vivrà»(Rm 1,16-17; cf. 3,21-31; 5,1-5; 8,1-2). Anche se nel Vangelo si annuncia lamorte di Gesù crocifisso, Paolo di-chiara che egli non si vergogna diquesto annuncio, perché nella debo-lezza della morte di croce appare lapotenza di Dio per la salvezza dichiunque crede, senza distinzione traGiudei e Greci. In Gesù Cristo crocifisso si rivela e sirende presenta la “giustizia” o la fe-deltà di Dio. L’unica condizione ri-chiesta per avere la salvezza o la vita èla fede, cioè la libera accoglienza del-l’iniziativa gratuita di Dio. Solo permezzo della fede in Gesù Cristo ogniessere umano entra nel giusto rappor-to con Dio. Chi accoglie l’amore Dio,che si rivela in Gesù Cristo, è sottrat-to al giudizio di condanna (morte) e

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Giustificati per la fede enon per le opere della legge

La Lettera ai Romani rappresenta il cuore del messaggio

paolino. L’articolo di Rinaldo Fabris, biblista legato alla storia

dei campi Bibbia dell’Agesci, ci svela l’essenza di questo

messaggio e ricorda a noi credenti la forza salvifica della fede.

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creatura al posto del creatore. Questamenzogna dell’idolatria sta all’originedella perversione etica di quelli che,«pur conoscendo il giudizio di Dio,che cioè chi fa il male merita la mor-te, non solo continuano a farlo, ma an-che approvano chi lo fa» (cf. Rm1,32).Quanti compiono il male sono con-dannati come peccatori. Infatti, il giu-dizio di Dio è “giusto”, in quanto ren-de a ciascuno secondo le sue opere:«La vita eterna a coloro che perseve-rando nelle opere di bene cercanogloria, onore e incorruttibilità; ira esdegno contro coloro che, per ribel-lione, disobbediscono alla verità e ob-bediscono all’ingiustizia» (Rm 2,7-8).Questo principio del giusto giudiziodi Dio elimina ogni privilegio da par-te dei Giudei che sono giudicati allapari degli altri in base alle opere: «Tri-bolazione e angoscia su ogni uomoche opera il male, sul Giudeo prima,come sul Greco; gloria invece, onoree pace per chi opera il bene, per ilGiudeo prima e poi per il Greco. Dioinfatti non fa preferenze di persone»(Rm 2,9-11). Alla luce di questo principio Paolo af-fronta la posizione del “Giudeo” che siconsidera al riparo dal giudizio di Dio,perché, per mezzo della legge, egli co-nosce la sua volontà. “Non basta ave-re la legge di Dio - dice Paolo - persentirsi sicuri davanti al giudizio di

lui che ha risuscitato dai morti Gesùnostro Signore, il quale è stato conse-gnato a morte a causa delle nostre col-pe ed è stato risuscitato per la nostragiustificazione” (Rm 4,25). Tra la di-chiarazione programmatica iniziale equesta formula di fede, Paolo sviluppala sua argomentazione per mostrareche solo nel Vangelo di Dio, cioè inGesù Cristo morto e risorto, si rivelal’amore fedele e salvante di Dio, a fa-vore di ogni essere umano che lo ri-conosce e l’accoglie nella fede.

2. “In base alle opere della leggenessun vivente sarà giustificato”Paolo dichiara che al di fuori del Van-gelo di Dio, accolto nella fede, si rive-la il giudizio di Dio che condanna ilpeccato degli esseri umani (Rm 1,18).Per parlare del “giudizio di Dio” egliricorre all’espressione biblica “ira diDio”. È la reazione di Dio di fronte alpeccato chiamato “empietà e ingiusti-zia”. Con queste due categorie si de-finisce il peccato umano nella sua du-plice dimensione religiosa ed etica. In-fatti, il giusto rapporto con Dio, co-nosciuto sulla base della realtà creata,è stravolto dal peccato. Questo è il ca-so dei Greci, che si considerano sa-pienti. Essi, pur avendo conosciuto larealtà invisibile di Dio, a partire dallariflessione sulle cose visibili, di fattonon hanno stabilito un giusto rappor-to con lui. Invece hanno venerato la

raggiunge la salvezza definitiva o lapienezza di vita. Paolo trova una con-ferma di questa logica dell’agire diDio nella parola del profeta Abacuc,dove Dio promette la vita al giustosulla base della fede (Ab 2,4). Dunquela “giustizia” di Dio e la “fede” del-l’uomo sono le due coordinate delVangelo della salvezza.Il “Vangelo” non è un elenco di pro-posizioni dottrinali o di principi etici.Per Paolo il vangelo è Gesù Cristo, ilMessia crocifisso, risuscitato da Dio. Inlui si rivelano la potenza e la giustiziadi Dio per la “salvezza” di ogni essereumano. Nel capitolo quarto della Let-tera ai Romani, con una meditazionesulla storia biblica di Abramo, Paoloconferma la tesi iniziale che il Vange-lo è una potenza di Dio che salvachiunque crede. Qui egli esplicita il ri-ferimento alle sacre Scritture, dove siannuncia profeticamente la “giustizia”di Dio, rivelata e attuata in Gesù Cri-sto e proposta nell’annuncio del Van-gelo. Nel libro della Genesi Abramo èchiamato “giusto” perché crede in Dioche gli promette la discendenza e labenedizione, estesa a tutti i popoli del-la terra. L’impegno gratuito di Dio co-stituisce Abramo erede della promessache si trasmette ai suoi discendenti. Alla fine della sua meditazione suAbramo, “giusto per la fede”, Paoloriassume il contenuto della fede cri-stiana dicendo: “Noi crediamo in co-

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dichiarazione solenne: «Noi riteniamoinfatti che l’uomo è giustificato per lafede, indipendentemente dalle operedella legge» (Rm 3,28). Con l’espres-sione “opere della Legge” Paolo indi-ca tutto quello che una persona com-pie come osservanza della Legge diDio. La fede invece non è una presta-zione umana, tale da essere computa-ta come un diritto davanti a Dio, maè la libera accoglienza della sua inizia-tiva gratuita. Paolo porta il suo inter-locutore sul terreno della fede, in cuisi riconosce che c’è un solo Dio. In ta-le contesto egli può affermare che nonc’è più nessuna distinzione tra Giudeie Greci «poiché unico è Dio, che giu-stificherà i circoncisi in virtù della fe-de e anche i non circoncisi per mez-zo della fede» (Rm 3,30). Con questadichiarazione Paolo non intende ar-chiviare la questione. Se è vero che ilgiusto rapporto con Dio, per tutti,Giudei e greci, passa attraverso la fede,resta comunque aperto l’interrogativocirca il ruolo della Legge data da Dio.Per ora egli enuncia il tema che svi-lupperà in seguito: per mezzo della fe-de non si toglie valore alla legge, ma lasi conferma! (cf. Rm 3,31).Per presentare l’aspetto positivo dellasua tesi che solo nel Vangelo si rivelala giustizia di Dio per la salvezza dichiunque crede, Paolo fa ricorso aduna sintesi della professione di fede,dove predomina il lessico della fede e

al giudizio di Dio. Ma la parola di Dio,conservata nella Scrittura, vale in parti-colare per i Giudei che “sono sotto laLegge”. Alla fine Paolo riprende la fra-se del Salmo 143,2: «Nessun viventesarò giustificato davanti a Dio», aggiun-gendovi «in base alle opere della Legge»(Rm 3,20a). Come aveva già fatto nel-la Lettera ai Galati, egli applica questadichiarazione al dibattito circa il ruolodella Legge nel processo di giustifica-zione, precisando qual è la sua funzio-ne: «per mezzo della Legge si ha cono-scenza del peccato» (Rm 3,20b). In al-tri termini la Legge, che Dio ha dato adIsraele per mezzo di Mosè, non dà laforza di compiere quello che essa co-manda, ma fa prendere coscienza, a chila trasgredisce, di essere sotto il dominiodel peccato. In tal modo Paolo confer-ma la sua dichiarazione programmaticainiziale: solo per mezzo della fede inGesù Cristo ogni essere umano entranel giusto rapporto con Dio. Egli infat-ti si rivela “giusto” perché comunica lasua giustizia ai credenti per mezzo del-la fede in Gesù Cristo.

3. “Giustificati per la fede, senza le opere della legge”Paolo incalza il suo ipotetico interlo-cutore con una serie di domande chetendono a estromettere la Legge dalprocesso che va dalla condizione dipeccato a quella di giusto rapportocon Dio. Alla fine conclude con una

Dio, bisogna osservarla”. Anche la cir-concisione, che è segno di appartenen-za al popolo di Israele, è inutile se nonsi osserva la legge, sulla quale si fondal’alleanza con Dio. Paolo utilizza le ca-tegorie bibliche – la “circoncisione nelcuore” e la “legge dello Spirito”, con-trapposta alla “Lettera” (legge esterna) -per mostrare che solo la pratica dellavolontà di Dio, espressa nella legge, sot-trae l’essere umano al giudizio di con-danna e lo apre alla giustizia di Dio, cheperdona e salva. Il Giudeo ritiene di essere sottratto persempre al giudizio di Dio in quanto èdestinatario delle sue promesse. Eglipensa che paradossalmente la sua ingiu-stizia o infedeltà alla legge non fanno al-tro che mettere ancora più in risalto lagiustizia o la fedeltà assoluta di Dio.Paolo tiene presenti due aspetti dellagiustizia di Dio, che sembrano contrad-dittori: da una parte la fedeltà di Dio,che perdona, e dall’altra il giusto giudi-zio di Dio che condanna il peccato. Inogni caso il peccatore non può appel-larsi alla fedeltà di Dio – perdono - persottrarsi al suo giudizio (cf. Rm 3,18).Di fronte alla posizione assurda di chi siappella alla giustizia di Dio per sottrar-si al suo giudizio di condanna, Paolo faricorso alla testimonianza della Scrittu-ra. Con un montaggio di frasi prese daiSalmi egli mostra che tutti gli esseriumani, senza esclusione, sono sotto ildominio del peccato e dunque esposti

della grazia. Il termine fede fa da pon-te tra la giustizia di Dio e la giustifi-cazione. Ma la direzione del percorsoè indicata dalla terminologia della gra-zia: «Tutti hanno peccato e sono prividella gloria di Dio, ma sono giustifica-ti gratuitamente per la sua grazia, permezzo della redenzione che è in Cri-sto Gesù» (Rm 3,23-24). Negli scrittidel Nuovo Testamento il termine gre-co cháris, “grazia”, è concentrato nel-l’epistolario paolino, dove designa l’a-zione libera, gratuita ed efficace diDio, rivelata e attuata in Gesù Cristo,suo Figlio, solidale con la condizioneumana, segnata dal peccato e dallamorte (cf. Rm 8,2-4).Con vocabolo “redenzione” Paolo in-troduce una frase che ha per soggettoDio, dove precisa il processo della giu-stificazione: «È lui (Gesù Cristo) cheDio ha stabilito apertamente comestrumento di espiazione, per mezzodella fede, nel suo sangue, a manifesta-zione della sua giustizia per la remis-sione dei peccati passati mediante laclemenza di Dio, al fine di manifesta-re la sua giustizia nel tempo presente,così da risultare lui giusto e renderegiusto colui che si basa sulla fede inGesù» (Rm 3,25-26).L’espressione “strumento di espiazio-ne” traduce il vocabolo greco hilastê-rion, che nella versione greca dei Set-tanta – fatta dagli Ebrei di Alessandrianel III a.C. - traduce l’ebraico kappó-

ret. Con questo vocabolo si indica ilcoperchio dell’arca, sede della presen-za di Dio, sul quale viene asperso ilsangue nel giorno dell’espiazione (Es25,17-22; Lv 16,1-15; cf. Eb 9,5). Pao-lo utilizza il simbolismo del ritualedell’espiazione per sottolineare l’effi-cacia redentrice della morte di Gesù.Questa efficacia da una parte dipendedall’iniziativa gratuita di Dio – “che loha stabilito” - e dall’altra dalla fede dichi l’accoglie. L’espiazione avviene nelsangue di Cristo Gesù. Sia il terminehilastêrion, sia il riferimento al sangue,richiamano il rituale del yôm hakkip-purîm, “giorno delle espiazioni”, di cuisi parla nel libro del Levitico. La fun-zione espiatrice è attribuita al sanguein quanto principio vitale. Il valore simbolico del sangue per l’e-spiazione è esplicitato nel testo di Lv17,11: «La vita della carne è nel san-gue. Perciò vi ho concesso di porlosull’altare in espiazione delle vostre vi-te; perché il sangue espia in quanto èla vita». Il verbo ebraico kippér, comel’accadico kuppúru, significa: “copri-re”, “eliminare” (il peccato). Il sangueposto sull’altare ha una funzione puri-ficatrice in quanto è un segno visibiledel perdono di Dio. Il soggetto dell’e-spiazione è sempre e solo Dio che do-na il suo perdono attraverso il rito delsangue. L’essere umano, attraverso ilsegno sangue, entra in sintonia conDio. In altre parole nel rituale dell’e-

spiazione il verbo kippér, “espiare”,equivale a “perdonare”. Presentando la morte di Gesù Cristomediante il linguaggio del rituale del-l’espiazione, Paolo sottolinea la suaforza di redenzione a favore di chil’accoglie nella fede. Realmente nellamorte di Gesù Cristo, come atto estre-mo di amore solidale con la condizio-ne peccatrice del genere umano, Diorivela il suo impegno irreversibile perliberare ogni essere umano oppressodal peccato e dalla morte. In breve lagrazia di Dio si rivela e rende presen-te nella morte redentrice di CristoGesù. Tutta la storia biblica preceden-te, dove si parla della giustizia di Dioe dei peccati, è un’anticipazione pro-fetica del perdono definitivo che eglicomunica a tutti per mezzo della fedein Gesù Cristo.

Nella Lettera ai Romani Paolo espo-ne la riflessione più matura sull’espe-rienza cristiana, a partire dalla suachiamata sulla via di Damasco. Nellarivelazione del volto di Dio in GesùCristo, suo Figlio, Paolo fa l’esperien-za dell’iniziativa gratuita di Dio. Eglioffre a tutti gli esseri umani, che l’ac-colgono nella fede, la possibilità di in-contrarlo come colui che li libera dal-la condizione di peccato-morte, perintrodurli nella vita piena e definitiva.

Rinaldo Fabris

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Ha scritto Simone Weil: “Amo Dio, ilCristo, la fede cattolica...ma non honessun amore per la Chiesa. Ciò che mifa paura è la Chiesa in quanto cosa so-ciale. Non solo a causa delle sue sozzu-re, ma per il semplice fatto che essa è,tra le altre caratteristiche, una cosa so-ciale” (1942). Sappiamo che questadonna, ebrea, davvero innamorata diGesù, non ha voluto ricevere il battesi-mo per non sottrarsi alla sorte del suopopolo sterminato nei giorni dellaShoah. Spesso si sente dire: Dio sì, Cri-sto sì, la Chiesa, il Papa e i preti no. Il contesto culturale odierno segnatoda vistose forme di individualismorende ancora più difficile l’esperienza

della chiesa. La crisi delle ideologienon favorisce progetti a dimensionecollettiva ma invita piuttosto a con-centrarsi sul proprio io, sulla sfera pri-vata, sulle risorse individuali.Eppure l’esperienza della chiesa non èfacoltativa. Perché?La fede ci è stata donata, l’abbiamo ri-cevuta, ci è stata trasmessa. C’è unaanalogia con la vita: possiamo toglier-ci la vita, trasmetterla ad altri, ma nondarla a noi stessi. Così è anche per lafede. All’origine della nostra fede c’èl’incontro tra i discepoli impauriti edesitanti e il Crocifisso risorto, vivo:“Guardate le mie mani e i miei pie-di... sono proprio io, toccatemi...

(Lc24,39; Gv 20,27). È grazie a que-sto incontro che nasce il coraggio del-la fede. La Chiesa nasce di qui: “Sonoio, non temete...come il Padre hamandato me così io mando voi” (Gv20,21). E infatti così Giovanni raccon-ta la trasmissione della fede: “La vita siè manifestata e noi l’abbiamo veduta,l’abbiamo udita, l’abbiamo vista con inostri occhi, l’abbiamo toccata con lenostre mani, siamo i suoi testimoni eperciò ve ne parliamo” (1Gv 1,1-2). EPaolo insiste, soprattutto nelle ultimelettere, quando avverte l’avvicinarsidella sua fine, perché i suoi più cari di-scepoli Timoteo e Tito continuino latrasmissione della fede. L’Apostolo as-sume con Timoteo toni accorati: “Tiscongiuro davanti a Dio e a CristoGesù….annuncia la parola, insisti almomento opportuno e non opportu-no, ammonisci, rimprovera, esorta conogni magnanimità e insegnamento”(2Tim 4,1ss.). E ancora: “Prendi comemodello le sane parole che hai uditoda me…custodisci il buon deposi-to…” (2Tim 1,13). “Tu però rimanisaldo in quello che hai imparato e dicui sei convinto, sapendo da chi l’haiappreso e che fin dall’infanzia conoscile Sacre Scritture…” (3,14). E semprea Timoteo Paolo raccomanda: “Ricor-dati che Gesù Cristo, della stirpe diDavide, è risuscitato dai morti, secon-do il mio vangelo, a causa del quale iosoffro fino a portare le catene come un

San Paolo costruttore di comunità

La Chiesa nasce dal progetto di Dio di fare unità

e comunione tra gli uomini in Cristo.

La predicazione di Paolo insiste sulla necessità

della trasmissione della fede attraverso la Chiesa.

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te lo servisse” (Lumen Gentium n. 9).Ogni forma di individualismo religioso,l’allergia per la preghiera comunitaria,per la corresponsabilità, per il dialogocontraddice la natura della chiesa. È importante tener viva la consapevo-lezza che la chiesa è nel tempo segno,manifestazione della Trinità, cioè frut-to dell’amore libero e universale diDio per ogni uomo. In altre parole: lachiesa non nasce, come avviene perogni altro raggruppamento umano,‘dal basso’, ovvero dalla nostra inizia-tiva, dalle nostre convergenze, da co-muni interessi. I nostri raggruppa-menti sono per lo più il frutto di unaconvergenza tra persone uguali o ac-comunate da problemi, interessi co-muni. Così sono i partiti, i sindacati, iclub ricreativi, culturali, sportivi: costi-tuiti su un comune interesse o perpromuovere un comune interesse. LaChiesa invece nasce ‘dall’alto’, ovverodal progetto di Dio di fare unità e co-munione tra gli uomini in Cristo.L’Alleanza crea quindi unità tra i di-versi e i lontani, istituisce la prossimitàanzi la comunione. Per questo il respi-ro ecclesiale deve essere grande, uni-versale; ridurre la chiesa ad un ghetto,ad un partito vuol dire smentire la suanatura di icona della Trinità.Sottolineare questa dimensione dellachiesa vuol dire evitare di immagina-re la chiesa sul modello di altre società,quasi ricopiando modi d’essere che

pensiero del suo tempo per trovare inesse quella verità di cui era assetato.Con risultati deludenti che gli aveva-no seminato in cuore lo scetticismo, lasfiducia di poter incontrare la verità.Arriva a Milano come professore e lìincontra una chiesa viva stretta attornoal suo pastore, Ambrogio. È proprio daquesto incontro che nasce in Agostinola fede. Riceverà dalle mani di Ambro-gio il battesimo e a lungo ricorderà icanti imparati nella chiesa di Milano.Solo l’incontro con una comunità vivadi credenti può essere il luogo del no-stro venire alla fede. Solo facendo dellenostre comunità luoghi di viva e affa-scinante esperienza della fede noi aiu-teremo a incontrare la fede.Per questo non possiamo considerare laChiesa come un ostacolo, quasi un pe-sante diaframma tra noi e Dio. Quanti,magari in buona fede, aspirano ad unrapporto religioso immediato, appuntonon mediato dalla Chiesa, dai suoi ge-sti sacramentali, dal suo spessore umano,negano il fatto cristiano nella sua carat-teristica più specifica e cioè l’Incarna-zione. La Rivelazione di Dio all’uma-nità è attraverso lo spessore della storiaumana, attraverso la mediazione di uo-mini e donne, di testimoni, di un po-polo. Nessuno si salva da solo: “Dio vol-le santificare e salvare gli uomini nonindividualmente e senza un legame traloro, ma volle costituire un popolo chelo riconoscesse nella verità e fedelmen-

malfattore, ma la Parola di Dio non èincatenata” (“Tim 2,8) E a Tito: “Tuperò insegna quello che è conforme al-la sana dottrina…” (Tt2,1s.). Paolo èconsapevole d’aver ricevuto da altri, dacoloro che hanno visto e ascoltato il Si-gnore, le parole della fede ed è preoc-cupato perché queste ‘sane parole’, que-sto ‘buon deposito’ non vada perduto.Possiamo dire che proprio in questo ge-sto dell’affidare ad altri quanto si è rice-vuto, questo gesto si chiama tradizione,(dal latino tradere, cioè affidare a…) eproprio in questo gesto nasce la Chiesacome comunità che accoglie, custodiscee trasmette la Parola. Dal Cristo chetende la sua mano ferita ai discepoli, aPaolo, a Timoteo e Tito suoi discepoli,per generazioni e generazioni fino anoi: anche noi possiamo entrare in que-sta catena ininterrotta di mani. Possiamocredere perchè siamo portati sulle brac-cia della Chiesa.

Nessuno si salva da soloCerto, il credere deve essere atto libe-ro, consapevole, cosciente, ma tale at-to è possibile solo appartenendo al po-polo di coloro che prima di me han-no creduto e mi hanno trasmesso lafede. Senza tale trasmissione come sa-rei venuto alla fede?Suggestiva è la vicenda di sant’Agosti-no. Quest’uomo, curioso intellettualee inquieto cercatore si era accostatoalle più diverse e rinomate scuole di

sono caratteristici di altre assembleedemocratiche. Se la chiesa è l’iconadella Trinità, in essa devono valerequei rapporti di comunione che costi-tuiscono la vita trinitaria. Ma proprio perchè siamo membridella chiesa in forza della grazia batte-simale che ci fa appunto tempio dellaTrinità, il nostro stare nella chiesa co-me pietre vive di essa non è frutto diuna concessione o di un clima oggipiù sensibile alla democrazia e alla par-tecipazione. Il nostro stare come pie-tre vive della chiesa nasce appuntodall’essere investiti dalla grazia che ilPadre, il Figlio e lo Spirito Santo nelBattesimo ci elargiscono. Come ognisingolo credente è una vera e propriadimora della Trinità, analogamente laChiesa è dimora, tempio, Regno del-la Trinità. Ogni nostro servizio per lacostruzione della comunità ha la suaradice appunto nella grazia battesima-le. Costruire comunità ecclesiali chesiano davvero icona della Trinità è ilservizio primo e principale che pos-siamo offrire al nostro tempo. Signifi-ca infatti aprire nelle nostre societàammalate di individualismo luoghi diautentica comunità; significa porre nelnostro tempo segnato da pericoloseforme di razzismo, di intolleranza, dighettizzazione luoghi capaci di acco-glienza; significa dare ai nostri giorniassediati da criteri utilitaristici, di tor-naconto, di guadagno il respiro dei ge-

sti gratuiti mossi solo dal valore asso-luto della persona. Stare dentro il re-spiro grande della chiesa è condizioneper educare una coscienza non chiusain se stessa, autosufficiente.

I carismi delle comunitàPaolo è stato instancabile costruttoredi comunità. Le sue Lettere sono sta-te indirizzate a comunità da Lui fon-date o che avevano relazione con lui.Esse attestano il legame intenso equalche volta duro, esigente dell’Apo-stolo con quelle comunità che avevagenerato: “Potreste infatti avere anchediecimila pedagoghi in Cristo, ma noncerto molti padri, sono io che vi hogenerato in Cristo Gesù mediante ilVangelo. Vi prego, dunque, diventatemiei imitatori” (1Cor 4,15): così per lachiesa di Corinto. Analogamente perdiverse Chiese nel territorio della Ga-lazia, per Efeso, per Filippi, la primacittà in Europa, per Colosse una chie-sa fondata da Epafra discepolo di Pao-lo, per Tessalonica dove una comunitàsorge grazie alla predicazione di Pao-lo nel corso di tre sabati (At 17). Lacura di Paolo per le chiese appare an-che dalle raccomandazioni che rivol-ge a Timoteo che a Efeso continueràla sua opera e a Tito per l’isola di Cre-ta. L’apostolo che, come sappiamo,concentra il suo annuncio sul prima-to della grazia e cioè dell’iniziativa li-bera e gratuita di Dio non si sottrae al

compito di raccogliere comunità,istruirle, ammonirle, in una parola edi-ficarle. In Paolo carisma e istituzionenon sono contrapposti, in lui il prin-cipio interiore, spirituale, carismaticoe quello istituzionale, storico, organiz-zativo sono congiunti. Una conse-guenza è la ricchezza, la varietà deidoni dei carismi (dal greco karis—grazia—dono). Proprio perché lo Spi-rito è ricco non può che manifestarsiin un arcobaleno di doni. Una comu-nità grigia, uniforme che non fa spa-zio alle diversità è una comunità chenon accoglie l’arcobaleno dello Spiri-to, i suoi molteplici colori-doni.Ma perché la varietà dei doni sia ope-ra dello Spirito occorre che siano ri-spettate tre condizioni.Prima condizione è la fede che trovail suo nucleo nell’affermazione: Gesùè il Signore (1Cor 12,3). E tale affer-mazione comporta riconoscere Gesùdi Nazareth, il Crocifisso, risorto èpresente nella comunità.Seconda condizione è riconoscere ilprimato della carità: il carisma miglio-re (1Cor 12,31-13,1ss.). È singolarecome tutte le volte che Paolo parla deicarismi, questi sono inseriti in un con-testo agapico. Anche in Rom 12, 4-10la descrizione dei molteplici carismi èin una cornice di carità reciproca: pri-ma si dice della comunità come cor-po dalle molte membra, poi si descri-vono i diversi carismi e infine ritorna

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l’appello alla carità: “La carità non ab-bia finzioni… amatevi gli uni gli altricon affetto fraterno, gareggiate nellostimarvi a vicenda”.Terza condizione è concepire il carismacome servizio, non come dignità pro-pria. Il carisma non fonda una dignità,una grandezza da far valere, ma uncompito da svolgere, un servizio per glialtri. Questo è il senso della metaforadel corpo e delle molte membra. Uncarisma che venisse concepito come di-gnità per se stessi, da usare a vantaggioproprio, cesserebbe di essere carismache viene dallo Spirito. A questo puntocomprendiamo perché Paolo veda neicarismi più seducenti ed eclatanti che icristiani di Corinto appunto esaltavano,una presenza solo provvisoria dello Spi-rito. La sua vera e definitiva presenza ènella carità e nei carismi a servizio del-l’edificazione comune. È chiara la ten-denza di Paolo a mostrare, contro l’opi-nione di coloro che cercano se stessi eil proprio prestigio, che l’essenziale deicarismi non è la straordinarietà-ecce-zionalità che può nascondere una affer-mazione di sé e distrarre dall’edificazio-ne, ma il servizio e l’amore. In fondo èancora una volta la logica della croce:Dio si manifesta nell’amore e nel donoincondizionato di sé, non nell’afferma-zione di sé. È questo il criterio per di-scernere lo Spirito.

Giuseppe Grampa

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Paolo: un annuncio per il nostro tempo

La libertà dell’uomo è la naturale conclusione del messaggio

paolino e ne qualifica in modo eccellente l’attualità e lo

spessore. “Cristo ci ha liberati per la libertà!”

simbolica sull’annuncio della Salvezza;hanno nascosto, fino a farlo dimenti-care, il tesoro della fede ed hanno reso“accettabile”, “sensato”, “tollerabile”lo scandalo di un dio-uomo crocifissoe risorto.Ma le parole di Paolo non possono es-sere “addomesticate”, esse riportano alcuore dell’annuncio, al centro dellaRedenzione ed illuminano, da lì, lasconvolgente portata e l’autentico si-gnificato della fede nel Risorto.

La corporeitàAssumendo, in perfetta continuità, laconcezione dell’uomo del Vecchio Te-stamento, Paolo concepisce l’individuocome unità indissolubile. La divisio-ne ed il contrasto tra anima e corponon gli appartengono ed anzi egli èben consapevole che l’erronea svalu-tazione della dimensione fisica con-duce all’incomprensione dell’interadinamica della salvezza. “Il calice del-la benedizione che noi benediciamo,non è forse comunione con il sanguedi Cristo? E il pane che noi spezziamonon è forse comunione con il corpo diCristo?”(1Cor10,16).La “fisicità” dell’annuncio cristiano èuno sfondo dal quale è impossibileprescindere. Dio si è fatto uomo ed haabitato in mezzo a noi, “scandalo peri Giudei e stoltezza per i pagani”(1Cor 1,23). La dimensione sacra-mentale, quest’intima, indissolubile

Nessuno, però, pensa di poterla real-mente sconfiggere.Metaforicamente si attribuisce questodono alla Fama: ”All’ombra dei ci-pressi e dentro l’urne confortate dipianto...”1 oppure alla diffusione ed almiglioramento delle terapie, alla pre-venzione, all’efficacia delle azioni di-plomatiche sui teatri di guerra, matutti sanno che il “rinvio”, trattato co-me una “vittoria”, è solo un’iperbole,un’esagerazione consolatoria.Solo la fede cristiana offre la concre-ta, reale possibilità di sconfiggere lamorte e san Paolo ne è un chiaro e ri-goroso annunciatore.Secoli di “prudenza”, di “paternepreoccupazioni”, d’immaturità laicalehanno steso una patina moralistica e

Tutti camminiamo sulla strada incertadel significato dell’esistenza.Nella disperazione, nell’indifferenza, nel-la fiducia ci avviamo verso la fine, versoil gran salto nel vuoto della nostra mor-te. Gli espedienti si moltiplicano, le stra-tegie si accavallano, ma la grande proces-sione non si ferma. Le soste o le devia-zioni sono impossibili. Alcuni rallentano,altri si affrettano, ma il gran baratro siavvicina, per tutti, inesorabilmente.Le religioni e le filosofie sono nate perquesto, anche le discoteche e gli ou-tlet, come le imprese industriali e leattività finanziarie, la ricerca scientifi-ca e l’astrologia. Il problema è “drib-blare” la morte, allontanarla di qualchegiorno, di qualche anno, oppure di-menticarla, o nasconderla.

compresenza di materialità e grazia,segna in modo inequivocabile la con-cretezza dell’esperienza cristiana. Ge-sù Cristo non è una metafora, la suaCroce non è un fatto iconografico, lasua morte non è una parvenza, la suaresurrezione non è un auspicio. Perquesto la vicenda cristiana ha una por-tata esistenziale, modifica la realtà enoi con essa.

La resurrezione dai morti e la giustificazione“E se lo Spirito di Dio, che ha risusci-tato Gesù dai morti, abita in voi, coluiche ha risuscitato Cristo dai morti daràla vita anche ai vostri corpi mortali permezzo del suo spirito che abita in voi”(Rm 8,11). Questa è la condizione nel-la quale ci troviamo, una condizione dioggettiva salvezza. “Siete stati lavati,siete stati santificati, siete stati giustifi-cati nel nome del Signore Gesù Cristoe nello spirito del nostro Dio.” La gioia,la serenità e la fiducia che accompa-gnano questa condizione sono conti-nuamente testimoniate dalla comunitàapostolica e da Paolo. È comprensibile,facilmente comprensibile che la condi-zione di santità, cioè, in primo luogo,la condizione di amicizia con Dio e dipartecipazione alla sua natura divina,ottenga questi effetti, benché possa ap-parire incredibile. “E che voi siate figlilo prova il fatto che Dio mandò nei vo-stri cuori lo Spirito del suo Figlio, il

quale grida: “Abbà! Padre!” (ma la tra-duzione potrebbe essere “Babbo!Papà!”) (Gal. 4,6). Ma il dono gratuito,assolutamente impensabile, che ci vie-ne dal Padre - figliolanza e redenzione- non porta solo intimità con Dio, masomiglianza, cioè partecipazione allasua natura divina, divinizzazione.Questo è il buon annuncio - il Vange-lo - che ogni credente e che tutta laChiesa non dovrebbero stancarsi di ri-petere. Noi viviamo “nel giorno in cuiil Cristo ha vinto la morte e ci ha resipartecipi della sua vita immortale”.Questa è la parola di salvezza che Pao-lo ripete agli uomini di oggi, a tutto ilnostro tempo. È un messaggio prezio-so, fondamentale, perché l’ansia prome-teica della tecnica e della politica, ilpullulare di maldestri tentativi di divi-nizzazione, di “autoreferenzialità”, diautoaffermazione, sono accompagnatida un tragico senso di smarrimento ed’impotenza. L’uomo si scopre limita-to, benché non tolleri questo limite, as-setato di trascendimento, ma incapacedi ottenerlo. La bontà delle intenzionisi scontra sempre con l’equivocità deirisultati. Il desiderio struggente di esse-re come dio, che spinse Adamo ed Evaa rincorrere le lusinghe del serpente eda prostituirsi a lui, trova, nell’offerta so-vrabbondante e gratuita di Dio in Ge-sù Cristo, una soddisfazione completa,sorprendente, ma soprattutto reale. Perottenere questo tesoro, per ottenere

l’immortalità e la “giustificazione”,l’uomo può rivolgersi a se stesso o adaltri, può rivolgersi, con Adamo e conl’infinita schiera dei non credenti, a chinon solo non può darla, ma la renderàimpossibile. Agli occhi della fede l’uo-mo appare insensatamente e tragica-mente velleitario, forse ridicolo. Eglicerca affannosamente e disperatamenteciò che già possiede, come chi, avendogli occhiali sul naso, si affanna a cercar-li. In questa incredulità, in questa ricer-ca vana, perché miope, velleitaria, per-ché scioccamente superba, colpevole,perché assurdamente ingrata consiste ilpeccato, l’unico vero peccato. E Paolonon si stanca di ripeterlo nel modo piùchiaro e stringente possibile.“In base alle opere della Legge nes-sun vivente sarà giustificato davantia Dio” (Rm 3,20). “Non avete più nul-la a che fare con Cristo voi che cer-cate la giustificazione nella Legge;siete decaduti dalla grazia.” (Gal 5,4)Paolo, irreprensibile osservante dellaLegge prima dell’incontro con Cristosulla via di Damasco, sa di cosa sta par-lando e illumina il cuore del proble-ma. Il problema è il moralismo: la pre-sunzione di chi crede di potersi con-quistare il diritto alla salvezza con ipropri meriti e non per quelli di Cri-sto, l’illusione di chi pensa di poterraggiungere la salvezza con una con-dotta irreprensibile, puntigliosamenteattaccata alla Legge, approfondita nei

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ne intrinsecamente nuova, dotata diuna purezza che non nasce da lui, madal sangue di chi lo ha salvato. Libera-to dalla miopia della legge, l’uomo difede può agire secondo lo Spirito dicarità, senza equivoci, in perfetta li-bertà, in perfetta dedizione. “Che dun-que? Ci metteremo a peccare perchénon siamo sotto la Legge, ma sotto lagrazia? È assurdo!” (Rm 6,15) “Tuttomi è lecito! Sì, ma non mi lascerò do-minare da nulla.” (1Cor 6,12). La di-stinzione tra ciò che è essenziale (la fe-de) e ciò che dall’essenziale deriva (leopere) consente una grande libertà diascolto, di comprensione, di tolleran-za. Le soluzioni pratiche si cercanocon chiunque, i giudizi si confrontanoin assoluta libertà ed umiltà, perchèuna grande fiducia, una grande gioia euna grande tranquillità accompagnanoil cammino di chi nella vera fede haposto il radicamento della propria sal-vezza. “Questo è essenziale: l’etica cri-stiana non nasce da un sistema di co-mandamenti, ma è conseguenza dellanostra amicizia con Cristo.”2

Gian Maria Zanoni

1 Foscolo, U. Sepolcri2 Benedetto XVI, La dottrina della giusti-

ficazione: dalla fede alle opere, Udienzagenerale,Aula Paolo VI, Mercoledì, 26novembre 2008

dibattiti applicativi, difesa senza transi-gere. Costui finge di non sapere che laLegge è un “pedagogo”, che deve ri-cordare a tutti l’impossibilità di unacondotta irreprensibile e la sua naturaidolatrica.

La fede e la libertàIl terreno dell’impegno, l’ambito del-le scelte ineludibili e delle rispostequalificanti è ben diverso. “In CristoGesù non è la circoncisione che valeo la non circoncisione, ma la fede chesi rende operosa per mezzo della ca-rità”(Rm 1,17). Abramo, per fede, alzòla mano sul proprio figlio, pronto a sa-crificarlo, contro ogni legge morale,contro ogni irreprensibile comporta-mento umano, e questo “gli fu accre-ditato come giustizia” (Rm 4,3). Pao-lo ripete con forza agli efesini ed anoi: “Per grazia siete stati salvati me-diante la fede, e ciò non viene da voi,ma è dono di Dio; né viene dalle ope-re, perché nessuno possa vantarsene”(Ef 2,8) Per questo “Il giusto per fe-de vivrà” (Rm 1,17) e vivrà libero.La libertà dell’uomo è la naturale con-clusione del messaggio paolino e nequalifica in modo eccellente l’attualitàe lo spessore. “Cristo ci ha liberati perla libertà!”(Gal 5,1) Il credente, coluiche si abbandona fiducioso all’amoredi Dio in Cristo Gesù, è liberato dalpeccato, è reso santo, diviene fratello diCristo ed ha una possibilità di azio-

Pietre.Il mio nome è Quinto Giulio, per na-scita cittadino romano, centurione del-la “Legio X Fretensis”. Eravamo dislo-cati a Gerusalemme con il compito diprevenire gli scontri tra le diverse fazio-ni locali. Quante erano? Chi può dirlo:zeloti, sadducei, esseni, farisei… La cittànascondeva molteplici segreti: fuori dal-le rotte commerciali eppure così pienadi vita; priva di valore strategico eppu-re così contesa… Quando ero libero dalturno di guardia amavo andare a pas-seggiare dalle parti del Tempio: qui siriunivano i sacerdoti del Sinedrio, poli-ticanti locali più o meno corrotti chenon osavano contrastare noi Romani.

Certo ci odiavano… Ma rispettavanol’autorità di Cesare e pagavano i tribu-ti. In cambio noi permettevamo loro difare quasi tutto quel che volevano. Il te-pore della primavera scaldava le collineed io mi inebriavo del profumo degliulivi, del luccicare delle mie armi, deisorrisi delle ragazze. Ero felice ma nonlo sapevo.Ricordo bene quella mattina. L’aria erapesante, il sole grigio. Gerusalemme ap-pariva lenta, sospesa, irreale. Pochi imercanti per le strade, perlopiù stranie-ri. Sentii il rumore di finestre che sichiudevano e di porte che venivanosprangate. Qualcosa stava per succedere.Udii un fischio. Vidi giovani donne ir-

rigidirsi nei mantelli. Improvvisamente:grida e abbaiare furioso di cani. Pieni dieccitazione e di ira salivano correndogiovani zeloti vestiti di nero. Cercavanoqualcuno. Urlavano e imprecavano.Avevano mazze e bastoni. Raggiunserola casa all’angolo della piazza. In quattrosi misero agli angoli, pronti a tagliareogni via di fuga. Uno di loro, Saulo, sfondò a calci la por-ta. Si precipitarono dentro, salirono lescale. Due donne urlavano e singhioz-zavano; nei ricci capelli il loro terrore.Li vidi uscire. Un vecchio tremava e te-neva per la mano un ragazzino. Affian-co ad essi un giovane dall’aspetto co-raggioso. Seppi più tardi che si chiama-va Stefano. Saulo si avvicinò al vecchioe gli sferrò uno schiaffo tremendo.Quello cadde e si mise a piagnucolare.Strisciando si inginocchiò ai suoi piedie, baciando l’orlo della veste, lo implo-rava di non farlo morire. Tra le risa deicompagni, Saulo lo fece portare via. Siavvicinò quindi a Stefano. Senza maiguardarlo negli occhi gli gridò che eraun rinnegato, un traditore, un bestem-miatore del nome santo di Jahvè. Aqueste parole anche gli altri si misero agridare e si fecero sotto, urlando comedegli ossessi, sputando e allungando lemani per strappargli i capelli. Stefanoera pallido, quasi bianco eppure nonsembrava che avesse paura: restava in si-lenzio, senza difendersi. Anzi, sorridevaStefano e il suo sguardo sembrava ri-

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Storia del cammino, dalla notte verso il giorno

Roberto Cociancich prova a immaginare, con gli occhi di un

testimone, alcuni dei passaggi cruciali della vita di san

Paolo: ne esce un racconto avvincente e denso di domande

sulla portata universale della spiritualità paolina.

volto a qualcuno che solo lui poteva ve-dere. Saulo, fremente, estrasse dalla tuni-ca una pergamena che recava il sigillodel Sommo Sacerdote. Spiegò chequella carta dava a lui e a suoi camera-ti il potere, anzi il compito, di difende-re la vera religione dai suoi nemici. Chequell’uomo era stato riconosciuto damolti testimoni come un eversore, uncontestatore della Legge, un complicedi un famigerato criminale, un certoGesù, già condannato e giustiziato. Lagente urlava: “ a morte, a morte!” Ordi-nai ai miei uomini di tenersi pronti adintervenire. La piazza si era riempita or-mai di una folla sempre più eccitata einferocita. Mi resi conto che era diffici-le poter riprendere il controllo della si-tuazione. Non so se fu prudenza o sem-plicemente codardia ma riposi la miaspada nel fodero. Stefano taceva pur continuando a sor-ridere. Un uomo gli mise una manosul volto, come se volesse strappargli ilnaso e ficcare le sue unghie negli oc-chi. Lo spinsero a terra e si misero aprenderlo a calci. In ginocchio, Stefa-no cominciò a pregare. Quelli comin-ciarono a prendere delle pietre e a ti-rargliele addosso. Saulo era bianco perla tensione. Non partecipava al lancioma urlava incitando gli altri a scagliarei loro sassi. Lo colpirono all’anca checominciò a sanguinare, poi alla testa, alvolto. Sotto i colpi intensificava la suapreghiera. Poi guardò ancora una vol-

ta verso Saulo e lo fissò negli occhi. Fuuno sguardo che non potrò mai di-menticare. Sembrava dire: io non pos-so continuare, lascio a te il testimone.Per la prima volta anche Saulo lo fissòe ne sembrò sconvolto. Urlò ancoraqualche insulto verso Stefano ma la suavoce appariva incrinata. Una pietra piùgrande sfondò il cranio di Stefano euna nuvola oscura avvolse la piazza.

Acqua.Lo ritrovai solo molti anni più tardi.Avevo combattuto a Gamala, a Qumrane a Masada sotto il comando di SestoLucilio Basso. Ero quindi stato ammes-so nella coorte Augusta, tra le truppescelte dell’esercito imperiale. Navigava-mo ora lentamente verso Creta, e ave-vo l’incarico di portare un centinaio diprigionieri a Roma. Scrutavo le stelle evi cercavo i segni del mio destino. Unastrologo egiziano mi aveva iniziato aimisteri di Sothis, dell’Oroscopo e delloZodiaco. Ma quella notte le stelle era-no mute e sentivo un’inquietudine agi-tarsi in me come un mostro scuro cherisale dagli abissi del mare. Mi diressiverso poppa, dove stavano in catene iprigionieri. Li osservai dietro le sbarre.Alcuni si lamentavano, altri giacevanosdraiati alla ricerca di un sonno che tar-dava ad arrivare. Poco distante un grup-po di uomini si era raccolto in cerchiointorno ad una lampada. Un uomo par-lava e gli altri lo ascoltavano in un si-

lenzio pieno di venerazione. Mi avvici-nai incuriosito. Aveva una voce calda eprofonda, la barba folta e i pochi capel-li erano d’argento. Dalle rughe del visosi capiva che aveva vissuto molto. Eracertamente lui il prigioniero speciale af-fidatomi dal Governatore Festo. Rac-contava in modo appassionato di lunghiviaggi, di genti il cui nome mi era sco-nosciuto. Lo sentì narrare di fughe, dimarce nel deserto, di notti all’addiaccio,di incontri coi lupi. I suoi compagni loascoltavano assorti, seguivano gli ampigesti delle sue mani con le quali dise-gnava nell’aria la forma delle pianure,dei fiumi, delle vette dei monti che ave-va attraversato. Col cuore partecipavanoalle sue avventure, trasalivano davanti al-l’apparire di un brigante, ridevano sol-levati quando fuggiva da una prigionecalandosi con una cesta dalla finestra. Ad un tratto si fece serio: riferì di esse-re era stato un giovane ebreo che cer-cava la giustizia e la rettitudine nel ri-spetto della Torah. Di come aveva per-seguitato e gettato in carcere coloroche, a causa di nuove idee e stili di vita,ne avevano messo in discussione l’inte-grità. Narrò (e qui la voce si fece piùcupa) di quando, spinto dal suo stessofanatismo, aveva sostenuto la pubblicalapidazione di uno di essi (e fu solo al-lora che, con sorpresa e sgomento, lo ri-conobbi) e di come il pensiero dellamorte di quell’uomo giusto lo avessetormentato a lungo. Spiegò che il dolo-

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re inferto agli altri lo aveva ghermito fi-no al punto da fargli provare disgusto dise stesso. Che era diventato cieco e qua-si pazzo e dovunque andasse una vocelo inseguiva chiedendogli conto del suoagire. Egli sosteneva che quella voce ve-nisse direttamente da quel Gesù che di-ceva di essere il figlio di Dio (ma io chenon credevo già più a nulla, preferii,quella notte, non considerare quellaspiegazione). Infine che solo il perdonodi quelli che aveva perseguitato lo ave-va riconciliato con se stesso e con la vi-ta. Aveva cambiato il suo nome in Pao-lo (“piccolo”) e aveva abbracciato sen-za riserve proprio quella nuova dottri-na che fino a poco tempo prima avevacombattuto.Profondamente turbato da quel rac-conto mi allontanai. La sera dopo tor-nai ad ascoltare di nascosto quell’uo-mo e lo stesso feci anche le notti suc-cessive. Era affascinante, lo ammetto.Aveva una visione globale dei proble-mi e della complessità del mondo.Aveva parole di incoraggiamento pertutti, di fiducia (la chiamava “fede”), disperanza. Ecco sì, speranza, questa pa-rola la ripeteva spesso. Sosteneva chetutti erano destinati ad essere liberi,senza distinzioni tra ebrei e greci, trauomo e donna, tra schiavi e uomini li-beri. Perché la vera libertà stava nell’a-mare il prossimo come se stessi e chequella libertà era stata conquistata perprimo da Gesù Cristo che aveva ama-

to gli altri fino a dare spontaneamen-te la vita per loro. Udire quelle parole assurde fu comeuno schiaffo e ne rimasi inorridito. Co-me può un Dio morire per quegli ani-mali immondi che sono gli uomini?Troppe le atrocità, troppi i tradimenti, lemenzogne, il sangue. Quel sangue di al-tri uomini che io stesso ho versato suicampi di battaglia. Amore, carità? Chediritto abbiamo di pronunciare quelleparole in questo tempo di violenza?Non aveva visto quell’uomo, che dice-va di conoscere il mondo, i villaggi bru-ciati, le donne stuprate, i bambini passa-ti a fil di spada? Gli Dei, se esistono, so-no immortali, perfetti, siderali nelle lo-ro virtù: Marte, la forza. Venere, la bel-lezza, Minerva la saggezza. Essi non cer-cano la vicinanza con i mortali, se nonper divertirsi a scompigliarne il destino.Come i gatti quando giocano coi topi.E quando non ci sono i gatti i topi sisbranano fra di loro. Eppure, nonostante lo scandalo diquelle parole e il sentimento di folliache agitavano in me, sentivo un inte-resse crescente per quelle idee radica-li e inaudite. La vita di quell’uomo, lasofferenza che aveva provato, le suestesse contraddizioni me le rendevanocredibili. E si apriva alla mia immagi-nazione la percezione che era possibi-le un mondo diverso. Dopo averlo tanto cercato giunse infi-ne il vento. Il mare ingrossava le onde e

una pioggia battente sferzava il ponte.Fu presto una tempesta. Il fasciame del-la nave era messo a dura prova. Il pilotanon riusciva a governare e la nave an-dava alla deriva. Restammo così, in ba-lia delle onde, senza mai vedere né il so-le né le stelle, per due settimane. Si dif-fuse il panico a bordo. Per errori, per in-competenza, per disperato egoismo an-darono perdute le attrezzature di soc-corso. Una scialuppa cadde in mare,vennero abbandonate persino le anco-re. La nave girava su stessa, sbattuta conviolenza dalle onde che la coprivano dischiuma. La tempesta era sempre piùforte e i passeggeri, convinti che la na-ve sarebbe colata a picco, avevano ab-bandonato ogni speranza. Ci fu un ten-tativo di ammutinamento da parte di treufficiali. Rigai loro la schiena con loscudiscio. Compresi però che questonon sarebbe bastato a sedare una secon-da rivolta e decisi di tentare ciò che maiavrei immaginato. Chiamai sul ponte ilprigioniero, quel Paolo di Tarso la cuilingua poteva essere più efficace dellamia frusta. Gli chiesi di riportare l’ordi-ne sulla nave lasciandogli intendere cheavrei potuto liberarlo. Contrariamente aciò che mi aspettavo egli non minacciònessuno, non promise punizioni a chi sirivoltava, né castighi per chi disobbedi-va. Semplicemente si disse certo chetutti sarebbero sopravvissuti. Raccontòdi una promessa del suo Dio ricevuta insogno: che neppure una vita sarebbe an-

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data perduta. Tutti gli credettero. Seppesuscitare in ciascuno di noi la speranzae la fede di poter vivere ancora. Dove-vamo restare uniti. Sostenerci come fra-telli. Il suo Dio ci avrebbe aiutati. Ed infine facemmo naufragio. Quellanotte la nave si arenò contro una secca.L’isola sembrava non lontana. La pruaperò era immobilizzata e la poppa si sfa-sciava sotto i colpi delle onde. I milizia-ni, prima di abbandonare la nave, michiesero l’autorizzazione di uccidere iprigionieri, come era consuetudine, perevitare che fuggissero. Con loro (conmia) sorpresa rifiutai sdegnato e ordinaidi aprire le celle. Poi ci trovammo inmare a lottare con le braccia, contro leonde. La corazza che tante volte mi ave-va protetto mi trascinava verso l’abissoe sentivo le forze venirmi meno. Co-minciai a bere e a gridare ma nessunopoteva udirmi perché i tuoni della tem-pesta sovrastavano ogni cosa. Rividi perun istante mia madre, la casa di quandoero ragazzo, il primo bacio, tutte le miebattaglie, le vittorie e le sconfitte. Stavocedendo al richiamo dell’abisso quandoguardai ancora una volta verso l’alto. Vi-di un uomo che nuotava non lontanoaggrappato ad una zattera. Era lui, Pao-lo, ne fui subito certo. Con le ultimeforze lo chiamai, lo fissai disperatamen-te in volto. Il mio sguardo diceva: ti sup-plico, salvami, non ce la faccio più. An-che Paolo mi guardò e fu un istante chedurò per sempre. Lo sentii sbuffare e di-

rigersi verso di me. Sentii il suo braccioforte issarmi sulla zattera. Poi non ri-cordo più nulla se non il fuoco caldosulla spiaggia quando mi risvegliai.

Fuoco.Molti anni sono trascorsi e molte migliaho percorso. Sono solo un soldato mauna cosa mi è ormai chiara: l’Impero èmalato. Lotte, vizi, congiure. Il nemiconon è più alle frontiere ma dentro dinoi. E poi dappertutto queste nuovedottrine, queste sette, questi cristiani…sono annidati ovunque, persino nell’e-sercito.Nerone lo ha compreso: essi corrodonocome tarli le fondamenta dell’impero.Scavano cunicoli, gallerie, catacombe.Fanno propaganda. Seducono anche leclassi più agiate. Persino Seneca, chedell’Imperatore è stato il maestro, ne hasubìto il fascino. Nerone lo ha dovutosopprimere. Suicidio, dissero, ma sappia-mo bene come vanno queste cose... Epoi il grande incendio purificatore. Ne-rone lo ha voluto, anche se negherà persempre. Il fuoco dappertutto. Bruciati ipalazzi, i mercati, le piazze. L’Urbe è so-lo devastazione. L’aria è densa di fumoe un odore nauseabondo si leva in ognidove. Non è solo una questione di ca-daveri: come vi ho detto è l’Impero chesta marcendo. Nella mia veste di uffi-ciale della polizia imperiale mi è statoaffidato il compito di rimuovere la can-crena. I miei pretoriani passano di casa

in casa a stanare gli incendiari. Neronelo ha stabilito: sono stati i cristiani. In-cendiari… Sì, anch’io lo penso, ma è unincendio diverso il loro. È fatto di idee.Non credo basterà la repressione. I mieiuomini li flagellano, li danno in pasto aileoni, li appendono alle croci. Eppure ilterrore non basta. La morte li rafforza. Ho speso la vita combattendo per l’Im-pero. Sono stato un soldato leale. Nonho mai disertato e ho cercato di viveresecondo l’insegnamento dei nostri avi.Grazie alla mia generazione mai Romafu più forte nel mondo. Eppure io ve-do quanto nella sua forza sia grande lasua debolezza. Io stesso non mi sentoimmune da questa malattia. Né per me,né per Roma ho più sogni o speranze.Sento scendere l’inverno sulla mia vitae tutto mi dà noia e disgusto. Forse hovissuto troppo e non attendo più uncambiamento.Sfila davanti a me una colonna di con-dannati. Alcuni chiedono pietà. Mapietà è una parola che non posso, nonvoglio più intendere. Non c’è più spa-zio per l’umanità. Sono diventato an-ch’io parte di un ingranaggio. Il miocompito è sopprimerli. Se non lo faces-si la macchina imperiale sopprimereb-be anche me. Nella fila di prigionieri scorgo un vol-to. Mi pare noto. Cerco nella memoriail ricordo di un giorno di primavera incui ero stato felice. Ritrovo l’immaginedi una tempesta e di un naufragio. Pao-

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lo è davanti a me. Vecchio ma diritto. Incatene ma non domito. Il cuore mi bat-te all’impazzata. Vorrei essere lontanomille miglia. In Lidia, in Tessaglia, persi-no in Tracia. Ma non qui, non qui! Nonqui davanti a quest’uomo debole, chenella sua debolezza trova tutta la sua for-za. Cosa ho commesso perché gli deiabbiano voluto giocare in questo modocon il mio destino? Perché io? Paolo viene fatto inginocchiare dinanzia me che rappresento l’autorità imperia-le. Il mio attendente gli ordina di con-fessare i suoi crimini prima di morire edi giurare fedeltà a Nerone. Paolo tace emi fissa in volto. Ordino al mio atten-dente di allontanarsi e di lasciarci soli. Di-co soltanto: “ Tu sai che stai per morire?”Paolo risponde: “Io sono certo che né vita némorte, né alcuna creatura potrà mai separarcidall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Si-gnore”. Poi aggiunge: “Ho completato la miacorsa, ho mantenuto la mia fede”. Il suosguardo limpido mi penetra. Compren-do che mi sta offrendo il testimone. Al-zo la spada ed egli mi sorride. Sento inme morire un vecchio. Chiudo gli occhie colpisco sul collo con tutta la forza chetrovo. La terra si tinge di rosso.

* * *Può la morte preparare la vita?Può la notte annunciare il giorno?O Signore, so di non esserne degno, madì soltanto una parola e io sarò salvato.

Roberto Cociancich

NOTA: Pur trattandosi di un racconto immaginario il testo riporta tre episodi della vita di San Pao-lo descritti rispettivamente nei capitoli 7 (versetti 54 e seguenti) e 27 degli Atti degli Apostoli e nellaprima lettera di Clemente Romano ai Corinti (capitolo 5). Il centurione Giulio compare soltanto al ca-pitolo 27 degli Atti.

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1. La vita di san Paolo• Il primo passo per accostare san

Paolo è la conoscenza della sua vita.Una intelligente lettura degli Attidegli apostoli dal capitolo 8 al capi-tolo 29 offre molti spunti per cono-scere le origini del cristianesimo ol-tre alla vita dell’apostolo. Dall’usodella Bibbia di Gerusalemme si risa-lirà facilmente ai paralleli utili nellelettere autobiografiche di Paolo.

• Il centro della sua vita – l’incontrocon Cristo a Damasco – dovrà diven-tare un testo assoluto di riferimentoper vita dei clan e dei rover e scolte.

• Un testo utilissimo per una letturateologica e meditativa della vita diPaolo è: Carlo Maria Martini, Leconfessioni di Paolo, Ancora, Milano,1981.

• La conoscenza e meditazione dellavita di Paolo è particolarmenteadatta per il noviziato.

2. Il Natale secondo san Paolo• Il mistero dell’incarnazione è colto

da Paolo secondo tre direttrici:m Cristo è veramente uomo: “nato

da donna, nato secondo la carne”;“nato dalla stirpe di Davide”.

m Per Gesù Cristo l’incarnazione èrinuncia alla uguaglianza con Dio,è svuotamento della sua divinità(kenosi)

m Nell’incarnazione Gesù “da riccoche era si è fatto povero per ar-ricchirci con la sua povertà”.

• Rileggere l’incarnazione con san Pao-lo può essere l’occasione per una rifles-sione sul valore della povertà cristiana.

• I testi paolini: m 1 Corinzi 13, 1-3; m 2 Corinzi 8, 1-14; m Filippesi 2, 1- 11;

• Alcuni testi di riferimento:m A. Rizzi, Scandalo e beatitudine del-la povertà, Cittadella editrice, Assi-si, 1987.

m G. Moioli, Beati i poveri, EdizioniViboldone, 1987.

3. Quaresima: l’uomo vecchioe l’uomo nuovo• Secondo san Paolo la dinamica del-

le vita cristiana è il passaggio dal-l’uomo vecchio all’uomo nuovo.L’uomo vecchio è l’uomo dell’ira,dell’idolatria, dell’avidità, dell’assur-dità di pensiero, del cuore indurito;l’uomo nuovo è l’uomo dell’amore!In mezzo la lotta interiore con le ar-mi della fede

• Alcuni testi paolini di riferimento:Colossesi 3,1-17. Efesini 4, 17,24. Efe-sini 4, 25-32. Efesini 5, 1-20. Efesini6,10-20. 1 Tessalonicesi 1,3. 1 Corin-zi 13. Galati cap. 5.• Commenti;

m R. Fabris, Le lettere di Paolo, Borla,Roma,1990, 2a ed, vol. 3, p.123-

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Itinerario di catechesi paolinaa cura di Davide Brasca, A.E regionale lombardo di branca R/S

Il percorso di lettura e meditazione di san Paolo prevede unasuddivisione in temi del ricco epistolario e della ricchissima teologiapaolina. I temi toccati e i testi a cui ci si è riferiti possono essere utilianche fuori dall’evento ‘Anno paolino’.

Leggere e meditare san Paolo in branca R/S

129, p. 262-266; p. 267-271; p.273-281.

m C. M. Martini, Ritrovare se stessi,Piemme, Casale Monferrato,1996, pp.178-185.

m B. Maggioni, Il Dio di Paolo, Edi-zioni Paoline, Alba, 1996, pp.169-175; pp.188-200; pp. 221-217.

4. La Pasqua in san Paolo• Giovedì Santo: l’eucarestia

m Paolo critica la comunità di Co-rinto perché tradisce il senso del-l’eucarestia. L’eucarestia infatti è ilcorpo e il sangue del Signore peruna comunità di fratelli. Se il mo-do di celebrare e di vivere dellacomunità non corrisponde al sen-so di fraternità che l’eucarestiavuole dire, esso contraddice il cor-po e il sangue del Signore. Chimangia il corpo e beve il sanguedel Signore (che è comunionecon Dio in Cristo) e non costrui-sce veri rapporti di comunionecon i fratelli mangia e beve la pro-pria condanna.

m Testo paolino 1 Corinzi 11, 17-34m Commento: Giuseppe Barbaglio,Lettere di Paolo, Borla, Roma,1990, 2a ed, Vol. 1, pp.443 – 457

• Venerdì Santo: il crocifisso

m Alla sapienza dei greci che cerca ilprincipio filosofico di tutte le co-se e all’idea di un Dio dei mira-coli, della forza, Paolo oppone ilcrocifisso, cioè il Dio che si mo-stra nella forma della debolezza.Ma la debolezza di Dio è sapien-za che confonde i sapienti e de-bolezza che confonde i forti. Essaè salvezza per chi vi sa intravede-re qualcosa di inedito: la Grazia.

m Testo paolino: 1 Corinzi 1,17 -2,8m Commento: B. Maggioni, Il Dio diPaolo, Edizioni Paoline, Alba,1996, pp. 133-148

• Pasqua: la risurrezionem Nella risurrezione è reso manife-

sto ciò che nella croce era nasco-sto: cioè che l’amore debole diGesù è vita, principio di vita, ri-surrezione. Se Cristo non fosse ri-sorto vana sarebbe la nostra fede!

m Tesato paolino: 1 Corinzi 15, 1 – 58m Giuseppe Barbaglio, Lettere di Pao-lo, Borla, Roma, 1990, 2a ed., vol.1, pp. 517 - 541

5. Il servizio in san Paolo• Paolo servo di Gesù Cristo: Romani

1,1: l’identità di Paolo è tutta nell’es-sere legato da un rapporto di adesio-ne totale e forte a Cristo. Paolo si de-

finisce schiavo/servo di Gesù.• L’amore fondamento del servizio:

Romani 12,1-18. 13,8-10. Nonconformarsi alla mentalità di questomondo, non fingere nella carità,amarsi gli uno gli altri, vincere ilmale con il bene, essere premurosinell’ospitalità; questi atteggiamenticostituiscono il fondamento cristia-no del servizio.

• Servitori per amore di Cristo: 2 Co-rinzi 4, 5; Efesini 5,2. Cristo ci haamati per primo; amati e serviti daCristo possiamo amare e servire ifratelli.

6. La comunità secondo san Paolo• La comunità è il luogo dei doni ri-

cevuti, dei carismi dati dallo Spirito.Ogni carisma si esercita però secon-do tre criteri: l’esempio di Cristo,l’utilità comune, il suo essere servi-zio e non proprietà.

• Testo paolino di riferimento: 1 Co-rinzi cap 12-14.

• Commento: B. Maggioni, Il Dio diPaolo, Edizioni Paoline, Alba, 1996,pp. 176 -187.

Nota: i testi indicati si possono ritro-vare sul sito della regione Lombardiaalla sezione branca R/S.

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I L G I U B I L E O P A O L I N O

“Camminate nel Signore Gesù”La fede non è una abitudine né qualcosache ha segnato momenti di vita ormai su-perati, né una raccolta di frasi o di senti-menti sporadici.È un “cammino”, cioè muoversi, rispon-dere a Dio che ci ha chiamati (la fede èsempre un dono!) e come Abramo, usci-re da dove siamo già e raggiungere altremete, scoprire nuovi paesaggi dello spiri-to, scoprire la perenne novità di Dio chesi rivela nella sua parola e nella sua pre-senza viva.È un cammino su una strada certa e con-creta, “radicati e fondati in Gesù Cri-sto”: la fede esige di natura sua di “radi-carsi” di approfondire le radici scoprendoe meditando la parola di Dio approfon-dendo l’insegnamento ricevuto, chiaren-do dubbi e oscurità che salgono dai no-stri orizzonti, accettando che Dio ci con-duca su strade diverse dai nostri piccolisentieri. Questo cammino offre ogni giorno“nuovi cieli e nuova terra” che Dio apreai suoi figli, perché nella nuova luce sco-prano la ricchezza inesauribile che Dio haseminato in ciascuno, e trovino i modi persvilupparla e realizzarla.Questo porta anche ad “abbondare nel-

la azione di grazia”, cioè a rinnovare in-cessantemente il nostro ringraziamentonella gioia di sapersi amati da Dio e diavere un compito importante nella storiadel mondo. Si scoprono i doni di Dio nonmeritati, la fortuna di un dono di fede chesempre illumina il cammino quotidiano erivela la possibilità di non fermarsi difronte ai propri difetti, perché sempre ac-compagnati da Gesù che cammina connoi. Il ringraziamento è una dimensionefondamentale del cristiano.

“Nessuno vi inganni.. secondo gli ele-menti del mondo”Vivere è scegliere, accettare o rifiutare, ap-provare o condannare, seguendo quelle li-nee che sembrano le più importanti. Difatto, abbiamo paura di essere diversi, e cilasciamo ingannare da quanto dicono efanno gli altri: così non siamo più liberi enon seguiamo quelle linee e quei deside-ri che nei momenti più veri ci affascina-no e vorremmo realizzare. Anche gli idea-li scaut che abbiamo conosciuto e vissu-to, facilmente vengono abbandonati co-me sogni impossibili o rimangono solo inqualche canzone o nelle frasi ripetute neimomenti solenni. Si preferisce essere co-me tutti, fare come fanno tutti.

Di fatto, anche se ci si definisce “cristia-ni” e si mantiene quella “C” nella defi-nizione della nostra associazione, non sisegue Gesù Cristo e la sua parola, non sicammina con lui risorto e vivo, ma ci siaccontenta di gesti e cerimonie svuota-te dal loro senso autentico. Ne nasce unmiscuglio confuso che non genera nul-la di vivo e pesa sul cuore come un inu-tile peso.

“Voi site stati riempiti di Cristo: in luiabita la pienezza della divinità”La storia di ciascuno di noi ci ha porta-to a un rapporto vivo con Gesù. Siamostati battezzati, cioè immersi in lui eriempiti della sua stessa vita, abbiamomangiato il suo corpo e bevuto il suosangue nella Eucaristia, siamo stati inva-si dal suo Spirito nella Cresima, abbia-mo letto e meditato il suo insegnamen-to e abbiamo anche provato momenti divera gioia realizzando alcune scelte co-raggiose proposte da lui, e ci siamo ac-corti che Gesù ha ragione! In molte occasioni, Gesù ci è apparsovivo, maestro di vita, amico paziente efedele nonostante nostri tradimenti enostre fughe da lui, abbiamo speri-mentato l’amore continuo e infinitoche ha per ciascuno di noi. La nostrafede cristiana, pur nei momenti didubbio e di debolezza è ancora pre-sente in noi come ideale, come nostal-gia, come un disegno che ci attira evorremmo realizzare.

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Meditazioni paoline per R/SMeditazione su: Colossesi 2, 6 – 13di Don Giorgio Basadonna

“In Cristo siete stati risuscitati per lapotenza di Dio”L’esperienza cristiana è una esperienza ot-timista, non perché tutto diventa roseo, fa-cile e già pronto, ma perché si è sempre in-seguiti dalla potenza di Dio che in Gesùattua una redenzione, una salvezza che èresurrezione, superamento di ogni debo-lezza e guarigione da ogni caduta. Così ilconcetto stesso di Dio e di rapporto conlui si colora della realtà concreta del suoamore, senza eccezioni, senza esclusioni, econ una perenne volontà di miglioramen-to, di “conversione”, cioè sempre certi divenire perdonati e richiamati alla veritàdella nostra grandezza di figli di Dio.

“Noi morti per le nostre trasgressioni,Dio ha richiamato in vita”Essere cristiani, allora, è poter sempre con-tare sull’amore gratuito di Dio, sapendoche si è fatto uomo per essere sempre vi-cino a noi, e mostrarci il disegno autenti-co della nostra umanità. È rimasto con noiper accompagnarci nel nostro cammino esostenerci nella quotidiana fatica di realiz-zare la nostra verità non sempre facile masempre sorgente di gioia...Vivere la fede cristiana in tutta la sua ric-chezza non è seguire una ideologia mora-le, un “cristianesimo” ricavato dai Vangeli eridotto alle misure del buon senso: è il co-raggio di voler seguire Gesù, una personareale, viva e forte, e gestire la propria vitacome una perenne resurrezione, un conti-nuo e gioioso passaggio dalla morte, dalla

debolezza, dalla perenne incoerenza, allanovità di un ideale realizzato al massimo.

N. B. La vita scout in tutte le sue espres-sioni richiama e rivive, anche se non sem-pre in modo esplicito, l’avventura di Ge-sù, la propone negli articoli della Legge enelle più varie iniziative di Branca, la co-munica nell’impegno di servizio comerealizzazione del suo Regno di fratellanzauniversale, di giustizia e di pace, la rendeconcreta e vissuta nella preghiera, nel con-dividere la sua Ultima Cena ogni voltarinnovata nella Eucaristia. Ecco il perché e la ricchezza delle rifles-sioni sul Vangelo, i capitoli sulle fonda-mentali verità della fede, la presenza nellaChiesa particolare dove abitiamo, e le oc-casioni di incontri entusiasmanti con per-

sone che nella Chiesa e per la Chiesaspendono la vita.Ecco il valore del Patto Associativo, dellaCarta di Clan-Fuoco, i momenti di “deser-to” per mettersi di fronte a se stessi e sco-prire l’immensa grandezza seminata dentrodi noi da Dio nel segreto del suo amore.In questa linea, la “scelta di fede” propostadal Patto Associativo è la “scelta dell’io”,cioè l’impegno a realizzare se stessi nellapienezza della propria realtà di creature, equindi di un rapporto con Dio scoperto eaccettato nella sua decisione di incarnarsie di fare dell’uomo un suo “figlio”, parte-cipe della sua stessa natura. La fede cristia-na è un continuo richiamo alla grandezzadella dignità umana senza eccezioni, sen-za quella mediocrità che annulla la veritàdel proprio essere.

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Meditazione su: 1 Corinzi 11, 23 – 29di Padre Giacomo Grasso o.p.

A cena, con Gesù.Pranzo e cena sono in genere momentigioiosi. Tanto più lo sono quando si è incammino. La route è stata organizzata conrigore. Le tappe si susseguono alle tappe ecosì si raggiunge sempre la meta prefissa-ta. Non è un andare a zonzo. È un cammi-nare impegnativo. È allora che le soste peril pranzo e per la cena diventano anchemomento di riposo. E nel riposo, la gioia. La vita dell’uomo è stata paragonata aduna strada. Anche quella del cristiano,

del discepolo di Gesù. Anche quella dichi si pone tanti punti interrogativi chepossono riassumersi in questa frase: “Hasenso, per me, cercare di essere cristia-no?”. In ogni caso si tratta di “far stra-da”, non di girovagare. Chi aderisce a Gesù, o si interroga sul-l’essere cristiano, sa che “la strada è Gesùstesso”. Racconta il vangelo secondoGiovanni che Gesù ha detto di sé: “Io so-no la strada” (Gv 14, 6). In quella strada che è Gesù cammina tut-

ta la Chiesa. È un viaggio come quellodell’Esodo, dalla schiavitù dell’Egitto finoalla Terra Promessa. Il viaggio di tutto unpopolo. Ben diverso, dunque, dal viaggiodello scaltro Ulisse. Lui parte, con tantiamici, da Itaca, la sua isola, per tornare, tut-to solo, ad Itaca.Tanti sono gli aspetti del camminare, inGesù. Uno di questi si può individuarenella cena eucaristica che ci viene raccon-tata anche in 1 Corinzi, 11, 23-29. Unracconto simile ha il vangelo di Luca.Racconti leggermente diversi ci propon-gono i vangeli di Matteo e di Marco. Èuna cena, dunque momento di gioia, unasosta nel cammino. La Chiesa, ovunque sitrovi, la compie, in memoria del Signore. Paolo, nel luogo citato, non si limita a ri-cordare quel che fece Gesù la notte in cuivenne tradito. Ci tiene anzitutto a direche trasmette ai discepoli di Corinto, eanche a noi, quanto ha “ricevuto dal Si-gnore”. La Chiesa che nel suo camminosi ferma per la cena eucaristica (familiar-mente noi diciamo: “la messa”), lo fa per-ché dà importanza a quello che Gesù hatrasmesso a Paolo, e Paolo a noi. Poi Paolo racconta quanto Gesù ha fattoe detto. Ha preso il pane. Ha detto: “Que-sto è il mio corpo…”. Ha preso il calice.Ha detto: “Questo calice è la nuova al-leanza nel mio sangue…”. E per due vol-te, verso il pane e verso il calice, ha ripe-tuto: “Fate questo in memoria di me”.Così che noi possiamo annunziare “lamorte del Signore finché egli venga”.

Infine Paolo, con molta chiarezza, chiedea tutti di interrogarsi sulla propria situa-zione, per non essere indegni di quel pa-ne e di quel calice. Sarebbe come man-giare e bere la propria condanna. Ritorniamo per un momento sui trepunti. Per riflettere.La Chiesa non inventa i contenuti del-la fede. Li ha ricevuti e li propone.Con fedeltà, nei secoli. È importanteche ognuno di noi cerchi di cono-scerli. Chiediamoci: “Cosa sto facendoper conoscere quello che ha insegna-

to Gesù, e la Chiesa mi propone?”.La cena eucaristica è momento di gioiaperché con essa si ha tra noi, corpo e san-gue, Gesù, nostra salvezza. Come vivo lasua celebrazione?Già Paolo chiede a tutti di interrogarsi, pernon essere indegni. Ci interroghiamo suquel che è bene e quel che è male? Sap-piamo con semplicità celebrare il sacra-mento della riconciliazione? “Confessare ilpeccato”, nel pentimento, appartiene almio quotidiano? Prego il Padre nostro perchiedere il perdono, disposto a perdonare?

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Meditazione su: 1 Corinzi 15, 1 – 22di Don Andrea Lotterio

Corpo corruttibile. Così l’apostolo Pao-lo descrive la nostra esperienza umananella prima lettera ai Corinzi. Siamocorpo corruttibile, corpo fatto di carne,corpo segnato irrimediabilmente dallamorte. Forse queste espressioni ci pos-sono sembrare esagerate, o quantomenole possiamo sentire lontane dalla nostrasensibilità. Perché spesso questo nostrocorpo fatto di carne è pure un corpobello, un corpo pieno di salute, un cor-po comunque carico di desideri e di at-tese. Tutti gustiamo le gioie del nostrocorpo: e tuttavia rimane vero che ognigiorno ne sperimentiamo pure l’invin-cibile debolezza.Basta poco, un dolore appena più inten-so, un po’ di fame o un po’ di sete, un

po’ di stanchezza o un po’ di sonno, ba-sta davvero poco, e il nostro corpo diven-ta un peso, una sofferenza, una fatica. Eanche quando siamo in piena salute ci ac-corgiamo di quanto sia fragile il corpo:perché le intenzioni, i desideri, gli amoridella nostra vita appassiscono in brevetempo, al punto che ci accade un giornodi essere pieni di entusiasmo e di energie,e magari il giorno dopo di essere depres-si, stanchi e delusi; ci accorgiamo così diquanto sia fragile ed ambiguo il nostrocorpo, sempre in bilico fra il cielo e l’a-bisso, sempre instabile ed inquieto.Chi guarirà questo nostro corpo corrut-tibile? Risponde Paolo: «Se a causa di unuomo venne la morte, a causa di un uo-mo verrà anche la risurrezione dei mor-

ti; e come tutti muoiono in Adamo, cosìtutti riceveranno la vita in Cristo» (I Cor15,21). Dunque saremo liberati da que-sto corpo votato alla morte. Saremo libe-rati, ma non nel senso di essere sciolti dalcorpo: in fondo, senza di esso noi nonpossiamo esistere, né ora, né nell’eternità.Saremo liberati piuttosto nel senso diraggiungere la perfetta trasparenza dellanostra carne, la sua piena corrispondenzaallo spirito, la sua completa realizzazione.Saremo liberati nel senso di raggiungerequella libertà vera del corpo che non èpiù in balia del dolore o del tempo, ma ècapace di abitare pienamente il dolore eil tempo. Paolo non cerca parole nuove odotte per convincere. Ha una storia danarrare: la Pasqua di Gesù. Solo chi è sta-to con Cristo, chi ha pianto la sua mor-te, può sentire tutta la novità, l’impreve-dibilità e la certezza della risurrezione. «Iovoglio sapere se Cristo è mai stato cre-duto, se l’evento è reale e presente, se èvenuto, e viene e verrà o sia appenaun’invenzione per un irreale giorno delSignore di contro al cupo giorno del-l’uomo» (David Maria Turoldo). Doman-da decisiva di ogni tempo.Questo brano, dunque, è l’ultima que-stione di grande rilievo teologico af-frontata da Paolo di fronte all’esperien-za cristiana della comunità di Corinto:la resurrezione dai morti, possibilitàinaudita aperta per tutti i credenti dal-l’evento pasquale, dalla resurrezione diGesù, «primizia di quelli che sono mor-

ti» (I Cor 15,20). Partendo proprio dal-la realtà della morte possiamo qui ac-cennare una riflessione che consenta dicomprendere in che senso la resurrezio-ne di Gesù è l’evento determinante del-la fede cristiana. Nell’Antico Testamen-to la morte è il segno per eccellenza del-la fragilità umana. Ogni uomo portadentro di sé l’ansia di eternità, e tuttaviaè costretto a constatare l’inesorabilepresenza della morte come ciò che con-trasta fortemente la sua vita. Noi trovia-mo senso nella misura in cui sappiamovivere dei gesti che restano nel tempo:ma se tutto passa, se tutto finisce con lamorte, che senso ha la nostra esistenza?Tutti gli esseri umani percepiscono chela realtà indegna della morte per eccel-lenza è l’amore; quando infatti arrivia-mo a dire a qualcuno: «Ti amo», ciòequivale ad affermare: «Io voglio che tuviva per sempre». Può sembrare banaleripeterlo e tuttavia resta vero: la nostravita trova senso solo nell’esperienza del-l’amare e dell’essere amati, e tutti siamoalla ricerca di un amore che abbia i trat-ti dell’eternità. Quel passaggio del Can-tico dei Cantici, che abbiamo ascoltatonella celebrazione di tanti matrimoni,afferma che amore e morte sono i duenemici per eccellenza: non la vita e lamorte, ma l’amore e la morte, «forte co-me la morte è l’amore» (Ct 8,6)! Lamorte, che tutto divora, che vince anchela vita, trova nell’amore un nemico ca-pace di resisterle, fino a sconfiggerla.

L’Antico Testamento non ha paginechiare sulla resurrezione dai morti; ma alsuo cuore sta la consapevolezza che l’a-more può combattere la morte. Perché,allora, è così decisivo credere che Gesùè risorto da morte? Una lettura di tuttoil Nuovo Testamento ci porta a conclu-dere che egli è risorto perché la sua vi-ta è stata amore vissuto per gli uomini eper Dio fino all’estremo: «avendo ama-to i suoi che erano nel mondo, li amòfino alla fine» (Gv 13,1). Gesù è stato ri-suscitato da Dio in risposta alla vita cheaveva vissuto, al suo modo di vivere nel-l’amore fino all’estremo: potremmo direche è stato il suo amore più forte dellamorte a causare la decisione del Padre dirichiamarlo dalla morte alla vita piena. Inaltre parole, se Gesù è stato l’amore, co-me poteva essere contenuto nella tomba?Eccoci così tornati a noi, noi discepoli diGesù ma anche noi uomini tutti: l’unicoprezzo che il cristianesimo ci richiede peressere vissuto e compreso in profondità èquello dell’amore. Siamo cioè chiamati aimmergerci nell’amore di Dio, quell’a-more di cui regola e forma è l’amore diCristo, che ha speso giorno dopo la gior-no la vita per i fratelli: allora la nostra vi-ta potrà avere un senso, una direzione, unsapore… Ecco perché quando siamo in-capaci di sperare nella resurrezione, è per-ché in verità non crediamo che l’amorepossa avere l’ultima parola: credere e spe-rare la resurrezione è una questione d’a-more, perché solo l’amore ha provocato

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la resurrezione di Gesù. Forte come lamorte è solo l’amore, più forte della mor-te è stato l’amore vissuto da Gesù Cristo:è questo che noi cristiani possiamo an-nunciare, con umiltà e discrezione, a tut-ti gli uomini. Affermare semplicementeche «Gesù è risorto» è un bella notizia,ma troppo breve per essere davvero Van-gelo per tutti gli uomini: come questanotizia potrebbe riguardarli? Forse inve-ce anche i non credenti sono interessati a

percorrere un cammino nel quale si par-ta dal presupposto che l’amore è in gra-do di combattere la morte, fino a vincer-la: ecco il senso profondo della resurre-zione di Cristo, ecco come questo even-to può parlare a tutti gli uomini, nostrifratelli. «Cristianesimo: irrompere dell’as-soluta novità. Dio è morto e risorto nel-la carne perché l’uomo sia risuscitato.Credo nella risurrezione della carne»(Olivier Clement).

sti e di malvagi, ma in genere di una di-sposizione al bene e al male, come unacondizione che ci vede tutti protagoni-sti. Nessuna presunzione di sentirsi giu-sti perché si appartiene ad una chiesa, aduna cultura, ad una bella associazionecome l’Agesci.Il bene e il male sono di fronte, comeesito di una scelta, come bersaglio pos-sibile per le nostre decisioni, con gli esi-ti che ogni circostanza prevede. Nel ber-saglio che corrisponde al modo di esse-re e di presentarsi di Gesù ai suoi amicipossiamo identificare le nostre scelte, inostri percorsi di crescita e di vita. Ge-sù sembra che riproponga il “Io ci so-no” con cui Mosè interpretò l’essere diYahwè, un modo di essere che insistenel presentare come “amare”. Paolonella sua lettera elenca il modo con cuisi declina l’amare e le necessarie carat-teristiche anche psicologiche e moraliche permettono di costruire un mondocorrispondente. La sincerità, la frater-nità, la stima reciproca, l’energia, il fer-vore, la perseveranza sono tutte condi-zioni che permettono di centrare il ber-saglio in uno spirito creativo e di atten-zione alle situazioni in cui si vive. Ancora viene sottolineata l’accoglienzae l’ospitalità, la semplicità e quell’umiltàche attribuisce valore a ciò che si è, conle qualità proprie di ciascuno, senza pre-sumere o farsi superiori agli altri. Rico-noscere le proprie qualità è il punto dipartenza anche per la progressione per-

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Meditazione su: Romani 12, 9 – 21di Padre Fabrizio Valletti s.i.

Quando le prime comunità cristiane sisviluppavano all’interno di situazioniambientali e culturali tanto diverse, ve-niva messa spesso a dura prova la lorocapacità di convivere con abitudini,comportamenti, pregiudizi e anche reli-gioni tanto differenti. C’erano le primepersecuzioni e lo stesso Paolo, fondato-re di varie comunità ed autore delle let-tere che spedisce ai cristiani di regionianche lontane, fin dalle prime battutedel proprio apostolato aveva provato ilcarcere, le percosse, la frusta e tante ca-lunnie. Dalla lettera ai Romani traspa-re il clima di fondo che vivono i cristia-ni, a cui viene incoraggiato di risponde-re con un modo di essere che sa tantodi novità, “la buona notizia”. Nello scorrere il testo di Paolo possiamotrarre per noi scout una traccia di stile

di vita che, almeno nei principi ispira-tori, ci trova già molto sensibili ma an-che impegnati in un esercizio di con-fronto che possa farci approfondire lemotivazioni delle nostre scelte di fede, dicrescita umana e morale. Come per i primi cristiani si trattava dicostruire una novità di vita personale ecomunitaria rispetto alla realtà circo-stante, così per noi oggi vale l’impegnoa ricercare i segni della possibile realiz-zazione del “regno nuovo”, che stavacosì a cuore a Gesù quando faceva stra-da con i suoi discepoli. A Paolo sta acuore che i suoi lettori partano da lorostessi, dal loro modo di intendere e divivere il conflitto evidente fra il bene eil male. A differenza di tante immaginiche ci vengono dall’Antico Testamentonon si parla di buoni e di cattivi, di giu-

sonale dello scout, per il rover e la scol-ta della partenza, che intendono mette-re al servizio degli altri le proprie ri-sorse. Dall’orizzonte del proprio essere edel proprio modo di sentire, fino ai com-portamenti più abituali, elementari, diogni giorno. Sorprende come le parole diPaolo leggano il cuore di ciascuno nelconfronto con se stesso per poi porre l’at-tenzione sul rapporto e sulle relazioni dacostruire con gli altri. Essere sicuri in sestessi e sul proprio cammino ci rende ca-paci di metterci a disposizione degli altri,senza complessi di inferiorità o di supe-riorità. Essere veri con noi stessi vuol di-re amare noi stessi per amare gli altri efarci amare dagli altri. Nelle parole che stiamo leggendo dellalettera ai Romani Paolo mostra quale èla vera novità dell’essere discepoli diGesù. Portare nel proprio essere lo Spi-rito del Cristo risorto, vuol dire goderedella sua forza e della capacità di porta-re la pace, perché si è tutt’uno con ilsuo Spirito, con il suo amare. Il bersagliodella pace è l’effetto di tale unione chesi traduce in unione con gli altri. La no-vità è proprio nel cercare la pace ad ognicosto, senza spirito di rivalsa, di compe-tizione, di concorrenza, di conflitto davincere o da perdere. La novità, che è at-tuale anche per i nostri giorni, è scopri-re che la prima pace la realizziamo innoi stessi, quando siamo a posto con lanostra coscienza e non ci lasciamo sor-prendere dallo scoraggiamento o dalla

paura. Il confronto con gli altri, che ri-teniamo buoni o cattivi, può sempremetterci in crisi, mentre un atteggia-mento di ascolto, di comprensione, diaccoglienza, di apertura al dialogo, ci di-spone a scoprire nell’altro anche ciò cheè nascosto. E c’è sempre anche un bri-ciolo di bene. È lo stesso ideale proce-dere nei confronti di noi stessi nella ri-cerca dei segni dello Spirito che posso-no animare o rianimare le nostre sceltemigliori. La verifica che siamo nella di-rezione giusta, che cogliamo il bersaglioè quando verifichiamo una pace profon-da, non una autogiustificazione o ilcompromesso. È modo di vivere la spi-ritualità scout.Altra novità, che supera la mentalità de-gli stessi giudei fra cui viveva ancoraPaolo e la continua tentazione ancheper i primi cristiani, è l’universalità del-la spinta al bene verso gli altri. “Nonsolo ai nostri ma a tutti”, risuona il ri-chiamo dell’apostolo, coraggiosa av-ventura di un modo di procedere chemette certamente a rischio la reputa-zione e il buon senso di chiunque.Un orizzonte nuovo che oggi appareancora molto distante per le coscienze,per le famiglie abituate ai confini del be-nessere borghese e fatto in casa, delle lo-giche degli “amici degli amici”, delleconsorterie, fino ai meccanismi perver-si dei gruppi di potere e di favore. Quando il rover e la scolta della parten-za si immaginano il loro futuro nelle

scelte affettive, nelle scelte di lavoro, diabitazione, di ambiente, quale orizzontedisegnano con la fantasia creatrice delloro avvenire? È la scommessa da gioca-re per lasciare il mondo un po’ miglio-re, per far pulizia delle varie mafie, del-la varie sotterranee reti di interessi chetendono ad escludere i diversi, i più de-boli, quelli che non fanno comodo. Il paradossale ascolto delle necessità de-gli altri deve condurre alla spericolatadisponibilità di godere con chi gode epiangere con chi piange, fino a farsiprossimo di chi consideriamo nemico. Èla sfida ad ogni logica di deterrenza, diguerra preventiva, di diffidenza del di-verso culturalmente e religiosamente,dell’oppositore … fino a semplici que-stioni di punti di vista. Se prendiamo sul serio la propostascout, il vivere la comunità di clan nelladimensione del servizio alla società enell’impegno a scelte politiche respon-sabili, ci troviamo vicini alla novità de-lineata da Paolo e vissuta da Gesù con isuoi primi discepoli. Non possiamo es-sere ingenui o superficiali nel conside-rare ciò che questa prospettiva significa.Per fare strada nei sentieri della pace edella giustizia, della fraternità e dellacondivisione con gli ultimi, bisogna es-sere forti, attrezzarci anche alla sconfit-ta, al fallimento, per scoprire nella spe-ranza la vera luce e nella gioia, anchenelle difficoltà, la pienezza di una pro-messa che facciamo con l’aiuto di Dio.

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La comunità di Colossi Le lettere che Paolo invia alle comunitàcristiane e che troviamo nel Nuovo Testa-mento nascono e si sviluppano all’internodi un rapporto vivo tra Paolo e le comu-nità. Si tratta di un completamento dellapredicazione orale dei missionari e di Pao-lo stesso, della risposta a quesiti, dell’af-frontare la vita pratica delle comunità.La comunità di Colossi (in Frigia, l’odier-na Turchia) è una piccola comunità cri-stiana che ha ricevuto il primo annunciocristiano non da Paolo, ma da un suo ami-co e collaboratore, originario di Colossi:Epafra. Geograficamente, la comunità si trovava inun punto strategico, sulle grandi vie dipassaggio e di comunicazione dell’epoca,era “sulla strada” da un punto di vista fisi-co e culturale e questo permetteva ai suoiabitanti di venire in contatto con diversimovimenti intellettuali e religiosi del tem-po. La lettera scritta da Paolo affronta al-cune questioni in cui si dibatteva la co-munità di Colossi, idee che poteva oscu-rare la loro fede, l’esperienza di Cristo. Lacomunità era attraversata da uno stranoculto legato agli angeli, mentre alcuni pre-dicavano la necessità di osservare tempi sa-cri, e particolari norme riguardo il cibo ele bevande. Un complicato miscuglio d’e-lementi che rischiava di trasformare la fe-

de in Gesù in superstizione. Paolo propone ai Colossesi una riflessioneapprofondita sulla persona e sul ruolo diCristo, Capo degli uomini, Signore dellacreazione, unico Salvatore del mondo.Paolo fa riferimento continuamente al«mistero di Cristo» che non piove dal cie-lo e non si acquista con pratiche strampa-late; è il battesimo che inserisce il creden-te in Gesù e questa dimensione porta consé frutti nella vita quotidiana. La lettera èdivisa in due parte una dottrinale e una le-gata a indicazioni pratiche per la vita deicredenti e della comunità cristiana. Il no-stro brano si trova in questa seconda parte.La vita nuova in CristoI nostri due versetti sono da leggere nel-lo sfondo più ampio che si occupa del-l’agire dei credenti (Col 3,1-4,1) e inmodo particolare della vita nuova inCristo (Col 3,1-18).Pilastro della riflessione è nel versetto 1del capitolo 3: «Se dunque siete stati re-suscitati con Cristo cercate le cose dilassù, dove Cristo è assiso alla destra diDio!» (Col 3,1).Alla base c’è l’esperienza del battesimo, in-teso come l’essere nuovi in Cristo. PerPaolo il battesimo non è una simpatica ecoreografica cerimonia, ma un mistero(inteso non come insegnamento o qual-cosa da scoprire ma come esperienza del

divino che fatica a lasciarsi esprimere solorazionalmente; il mistero non è da spiega-re ma da abitare). Un mistero, il battesimo, che qualifica lavita del credente, l’avvenimento più im-portante della vita del credente. Il credente è colui che nel battesimo, neldono del battesimo assunto con consape-volezza, risorge in Cristo (uno sguardo aquanto dice Paolo nella lettera ai Roma-ni - Rm 6,1-11 - può aiutarci a chiarire ilconcetto).L’essere resusciti con il Cristo, essere crea-tura nuova, definisce l’orizzonte del cre-dente. Ecco perché è necessario rivestircidell’uomo nuovo (Col 3,12-17) e depor-re atteggiamenti dell’uomo vecchio (Col3, 5-9).L’uomo nuovo, il credente, il battezzatoin Cristo è uomo di misericordia ebontà, pronto al perdono, uomo di ca-rità, uomo del servizio, della pace e del-la riconoscenza.La parola di Cristo dimori …v. 16Cristo è la parola che si è fatta carne; è Dioche ha «posto la sua tenda in mezzo a noi»(Gv 1,14) anche se, ci ricorda il vangelo,«venne tra la sua gente, mai suoi nonl’hanno accolto. A quanti però l’hanno ac-colto ha dato il potere di diventare figli diDio: i quali non da sangue, nè da volere dicarne, né da volere di uomo, ma da Diosono stati generati» (Gv 1,12-13).È lo stesso Gesù, parola di vita, che devedimorare in noi, nelle nostre comunità. Paolo in questo versetto richiama a tre di-

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Meditazione su: Colossesi 3, 16 – 17di Padre Stefano Gorla

mensioni che costituiscono la vita del cre-dente, dell’uomo nuovo, della comunitàdei credenti. La parola di Cristo per Paolo s’identificanon solo con la parola predicata da Cristoe riportata nel vangelo ma con Cristo stes-so. È lui che deve abitare “con abbondan-za” nella nostra comunità. È Cristo che prende la forma dell’insegna-mento, dell’esortazione, della preghiera.Insegnamento: è parola di vita che co-munica, che è azione efficace. Così comeogni parola ha il potere di provocare gioiao dolore, amicizia o ostilità, costruire o di-struggere la parola di Dio è forza che co-struisce, che anima, che crea e ricrea. Creare: «Dio disse: “Sia la luce!” E la lucefu… Dio disse: “Sia il firmamento in mez-zo alle acque per separare le acque dalleacque”… E così avvenne. Dio disse: “Leacque che sono sotto il cielo, si raccolga-no in un solo luogo e appaia l’asciutto”. Ecosì avvenne… Dio disse ci siano luci nelfirmamento del cielo, per distinguere ilgiorno dalla notte… E così avvenne…(Gn 1,3 ss).Liberare: «Nella sinagoga c’era un uomocon un demonio immondo e cominciò agridare forte… Gesù gli intimò: “Taci, escida costui!”. E il demonio gettatolo a terrain mezzo alla gente, uscì da lui, senza far-gli alcun male. Tutti furono presi dallapaura e si dicevano l’un l’altro: “Che pa-rola è mai questa, che comanda con au-torità e potenza agli spiriti immondi edessi se ne vanno?”. E si diffondeva la fa-

ma di lui in tutta la regione» (Lc 4,33 ss).Purificare: «Come potrà un giovane man-tenere pura la sua via? Custodendo le tueparole» (Sal 119,9).Salvare: «Perciò chiunque ascolta questemie parole e le mette in pratica è simile aun uomo saggio che ha costruito la suacasa sulla roccia. Cadde la pioggia, strari-parono i fiumi, soffiarono i venti e si ab-batterono su quella casa, ed essa non cad-de, perché era fondata sopra la roccia.Chiunque ascolta queste mie parole e nonle mette in pratica è simile ad un uomostolto che ha costruito la sua casa sulla sab-bia.. Cadde la pioggia, strariparono i fiu-mi, soffiarono i venti e si abbatterono suquella casa, ed essa cadde e la sua rovina fugrande». (Mt 7,24-27)Esortazione: la parola nella comunità, trabattezzati e battezzati, la parola della cor-rezione fraterna.Preghiera: la parola dei battezzati a Dio;invocazione, ringraziamento, intercessio-ne, lode, richiesta di perdono.Paolo non intende parlare dell’annunciodel vangelo ad altri, dell’essere missionariin senso stretto. Paolo ci ricorda che comecredenti, come cristiani dobbiamo ripren-dere il vangelo nella formula dell’insegna-mento, della preghiera, dell’esortazionenella nostra comunità e riformulare il van-gelo per gli altri, per i fratelli della comu-nità, della fede. Questo ci permetterà dicrescere nella conoscenza di Dio e dellasua volontà su di ognuno di noi.La Parola è vitale. Non è un fatto del pas-

sato, ma continua a agire nella comunità,a farla crescerla, oggi, nel nostro presente.Naturalmente non tutte le parole nella co-munità sono necessariamente animate daCristo: infatti, Paolo ricorda che insegna-mento ed esortazione devono farsi «conogni sapienza». La Parola fa vivere la co-munità quando i battezzati la praticanonella forma dell’insegnamento, dell’esorta-zione reciproca, della preghiera a Dio persé e per gli altri.Preghiera che si esprime in diverse moda-lità nella consapevolezza di riconoscere idoni di Dio per il singolo e la comunitàguardando, con un misto di meraviglia edi consapevolezza, all’azione di Dio cheporta a cantare un canto di lode.Fate tutto nel nome del Signore… v. 17Paolo chiude la sua esortazione appellan-dosi a un principio che richiama alla cen-tralità del Signore Gesù: «tutto quello chefate…»; ogni parola e ogni azione del cri-stiano sia fatta nel nome del Signore Gesù.La vita del credente si muove in questaprospettiva: fare della propria quotidianità,della propria esistenza un atto di ricono-scenza dell’azione di Dio, una risposta aDio per mezzo dell’agire del cristiano, cheè l’agire in Cristo. In questa prospettiva la vita diventa euca-ristia, cioè azione di grazia.Per mezzo di Cristo, il credente e la co-munità cristiana riconoscono Dio comepadre, come amore che agisce, comepunto di riferimento e a lui ci rivolgia-mo rendendo grazie.

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Fare strada imparando l’obbedienza alla vitaEssere persone che camminano “sullastrada” significa aver dato alla propria vi-ta un orientamento tutto speciale. Chi haimparato a camminare sul serio ha unmodo tutto diverso di comprendere edi affrontare la vita. Ma questo non losi capisce subito. Dapprima lo si speri-menta, camminando durante la Route epoi – magari dopo alcune di queste espe-rienze – si capisce che il camminare ci ha“scavato dentro”, ci ha fatto diventare unpo’ alla volta delle persone nuove, cheguardano alla propria vita, alla propriapersona e anche ai fratelli in modo total-mente diverso rispetto a prima.È normale che sia così. Camminare è unadelle cose che facciamo abitualmente,senza dare a questo gesto particolari si-gnificati. Ma camminare insieme, su unsentiero di montagna, immersi nella natu-ra, condividendo con altre persone lagioia e la fatica di scoprire nuovi paesag-gi ci insegna lentamente a scoprire quelpaesaggio che ciascuno di noi porta den-tro, che ci caratterizza come singole per-sone e come doni meravigliosi l’uno perl’altro.Camminare ci insegna anche l’obbe-dienza. Può sembrare strano, ma inveceè proprio così. Impariamo ad obbedire

al ritmo del nostro corpo, alle leggi del-la natura che ci circonda, alla stanchez-za che ci opprime e ci segnala il nostrolimite, alle leggi della fraternità e dellacondivisione che ci impongono di tenerconto non solo delle nostre forze, maanche di quelle di chi cammina al no-stro fianco. La strada, se vissuta con stilee profondità, è una grande scuola di ob-bedienza alla realtà e alla vita con-creta, al di là di tante teorie e di tantiidealismi.Per questo chi cammina può compren-dere questa parola che il Signore ci ri-volge per bocca dell’apostolo Paolo. Neltesto di Ef. 6 egli ci esorta ad “obbedireai genitori”, ad onorarli, ad avere un at-teggiamento accondiscendente con co-loro che sono i nostri superiori, come sipuò comprendere dall’esempio che egliadotta, rivolgendosi agli schiavi. Sonoparole che forse facciamo fatica a com-prendere: ci sembra che la libertà sia ilvalore più importante… e la nostra cul-tura di oggi si scontra decisamente conuna proposta come quella di Paolo. Per-ché non ribellarsi di fronte all’ingiusti-zia? Perché non affermare il non sensodella schiavitù, invece di sentirsi dire:“obbedite ai vostri padroni…”?Quando Paolo scrive questo testo non hain mente di legittimare semplicemente la

situazione del suo tempo. La schiavitù eraun modello di vita legato a quell’epoca…e fortunatamente è stato superato. Ma inquel contesto, in quella situazione socialee culturale – con i suoi pregi e i suoi li-miti – Paolo fa risuonare la Parola diDio. Gli viene alla mente l’esempio diGesù, che è stato obbediente alla volontàdel Padre, che ha realizzato in ogni mo-mento lo spirito del servizio e dell’acco-glienza, che si è fatto piccolo per andareincontro all’altro e alle sue necessità. Que-sto è lo stile del cristiano: non ricerca-re il potere e l’autosufficienza umana,ma disporsi al servizio, a farsi piccolo,a farsi obbediente, perché la vita del-l’altro possa fiorire e giungere a pie-nezza. E scoprire in questo atteggiamen-to interiore un passo verso la pienezza,verso la piena adesione a Cristo e al suomessaggio, un modo per vivere come Co-lui che “è venuto non per essere servito, maper servire e dare la vita” (Mt. 20,28).

Servire ed essere veriCerto, quella del servire facendosi ob-bediente all’altro e alle sue necessità èuna strada in salita! Non ci appare cosìfacile a prima vista e richiede un certoimpegno e una certa disciplina. Anzitut-to richiede autenticità, richiede di fug-gire da ogni doppiezza e falsità. Sceglie-re di servire richiede che ciò sia fatto inmodo vero, autentico, trasparente, conmotivazioni il più possibile ricche eprofonde. Un servizio vissuto solo come

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Meditazione su: Efesini 6, 1 – 20di Don Francesco Marconato

ricerca di se stessi e della propria grati-ficazione un po’ alla volta mostra il fian-co e ci appare in tutta la sua sterilità. Perquesto Paolo ci ricorda che è necessarioservire “non per essere visti”, ma “come ser-vi di Cristo, compiendo la volontà di Dio dicuore”. Anche in questo la strada e la vi-ta di comunità ci sono maestre: chi fati-ca sotto il peso dello zaino ha imparatoa conoscersi e sa quali sono i suoi limi-ti. Chi cammina insieme ai fratelli sullepolverose strade della vita… ha impara-to a non raccontare frottole, ma a vive-re relazioni vere, che partono dallacondivisione di quanto si è vissuto, nel-la semplicità e nella verità. Servizio etrasparenza, quindi, sono due aspettidella vita cristiana molto legati e fannoparte dell’esperienza dello scautismo, nesono un elemento costitutivo.

Attingere forza dal SignoreChi ha compreso queste cose sa che nonè così semplice realizzarle giorno pergiorno. Rimanere fedeli alle proprie idee,cercare di vivere in profondità e di man-tenere viva una relazione autentica con ilSignore, disporsi a servire con gratuità efedeltà… sono impegni che chiedono unallenamento costante e che ci fannorendere conto anche dei nostri limiti. Lastanchezza a volte prende il sopravventoe siamo tentati di buttare tutto all’aria, innome di una vita più comoda e apparen-temente più piacevole e gratificante. Per questo san Paolo ci spiega – ancora

una volta con il linguaggio del suo tem-po e della sua cultura – che è necessariodisporsi ad una sorta di “combattimen-to spirituale”, ad uno stile di vita, cioè,che prevede di conquistare giorno pergiorno gli atteggiamenti fondamentaliper vivere secondo la fede e per trovarela felicità autentica per la propria vita. Èun “combattimento” che ha per avversari“gli spiriti del male” e cioè tutte quei mo-di di essere e di pensare che ci allonta-nano da Dio e che ci illudono di trova-re gioia e felicità a basso prezzo. Sono lanostra pigrizia, la nostra poca voglia diandare a fondo ai problemi, la fatica chefacciamo in certe giornate a dare spes-sore al nostro agire e a rinnovare l’im-pegno che abbiamo assunto con il no-stro Battesimo e poi con la nostra pro-messa scout: scegliere il bene, rifiutandoil male, scegliere di mettere in gioco tut-te le nostre forze per lasciare il mondomigliore di come lo abbiamo trovato. Èuno stile di vita sicuramente appassio-nante, ma richiede una forza che puòvenire solo dall’aiuto di Dio, che siimpara ad invocare nella preghiera, per-ché ci sostenga nel cammino intrapresoe sia la forza che ci consente di com-piere il viaggio della nostra vita. Verità,giustizia, passione per il vangelo del-la pace, fede, ascolto della Parola diDio… sono gli atteggiamenti che Paoloci suggerisce e che diventano quindil’oggetto della nostra preghiera. Sonol’invocazione che rivolgiamo a Dio per-

ché non ci faccia mancare ciò che è ne-cessario per il nostro cammino, perchépossiamo giungere alla mèta della nostrafelicità e diventare in questo modo unsegno di speranza anche per i nostricompagni di viaggio.

Per la riflessione personale:1. Che cosa mi ha insegnato la mia espe-rienza di “strada”? Quali sono le coseche ho imparato a conoscere di me edella mia vita? Quali scoperte ho fattosu di me, sulle mie potenzialità, sui do-ni che mi rendono una persona unica almondo? E quali sono i limiti che ho im-parato a riconoscere, senza nasconderli?2. Quali sono le motivazioni che mi spin-gono a servire? Mi sembrano sufficiente-mente corrette o sto ancora ricercandoun servizio “per essere visto dagli altri”?So mantenermi fedele alla scelta del ser-vizio anche nei momenti difficili, quandomi sembra di perdere tempo o di non ve-dere risultati?3. Quali sono le dimensioni della miavita in cui sento di dover crescere ulte-riormente? La trasparenza, la ricerca del-la verità, la fede autentica, il desiderio digiustizia…?4. Quale preghiera sento nascere nelmio cuore? Quali aspetti della mia vitadesidero affidare al Signore perché pos-sa custodirmi e sostenermi nel cammi-no? Quali sono i doni di Dio che oggisento maggiormente necessari per ilmio cammino?

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«Rallegratevi nel Signore, sempre; ve loripeto ancora, rallegratevi». Nel leggerequeste parole dell’apostolo Paolo nonposso non pensare alla Legge scout quan-do ci invita a sorridere e cantare anchenelle difficoltà. Così come non posso nonpensare a tutti coloro che con il loroesempio mostrano con i fatti che è possi-bile vivere con gioia anche nelle più gra-vi difficoltà della vita. Senza queste per-sone, infatti, gl’ideali proposti dalla Leggeresterebbero pura teoria, una totale astra-zione. È l’esempio di chi modella i suoicomportamenti quotidiani secondo laLegge scout a presentare gl’ideali da essaproposti come stile di vita possibile. La stessa cosa vale per l’invito rivolto daPaolo ai cristiani della comunità di Filip-pi. È perché l’invito ad essere sempre nel-la gioia viene da uno come Paolo che i Fi-lippesi possono considerarlo come possi-bile. Infatti, se ad invitarli ad essere sempregioiosi fosse qualcuno che ha vissuto sen-za conoscere le difficoltà, allora l’invito sa-rebbe poco credibile: «parli bene tu chenon hai avuto problemi!». Noi sappiamo,però, che Paolo ha sperimentato difficoltàe persecuzioni, basta leggere ad esempioalcune righe di quanto egli scrive ai Co-rinzi: «Cinque volte dai Giudei ho rice-vuto i trentanove colpi; tre volte sono sta-to battuto con le verghe, una volta sono

stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio,ho trascorso un giorno e una notte inbalìa delle onde» (2 Cor 11, 24-25). L’e-lenco degli ostacoli affrontati continua, masono sufficienti questi a farci capire chePaolo conosce le difficoltà. Difficoltà cheriguardano non soltanto il suo passato, maanche il momento che egli sta vivendomentre si rivolge ai Filippesi, perché la let-tera alla comunità di Filippi è scritta men-tre Paolo è in prigione, incatenato a cau-sa del suo essere discepolo di Gesù Cristo.L’esempio di chi vive secondo la LeggeScout ci insegna e ci incoraggia a vivereda scout e guide, mostrandoci che è pos-sibile e sensato farlo. L’esempio di Paoloche vive alla sequela di Gesù Cristo fa al-trettanto: mostra ai Filippesi, e a tutti i di-scepoli di Gesù, che vivere la gioia di Dioè sempre possibile, anche nelle difficoltà enelle persecuzioni. Al centro del nostro essere scout cristianic’è sempre, quindi, l’esempio di qualcuno.Innanzitutto l’esempio che abbiamo rice-vuto e riceviamo da altri e poi l’esempioche a nostra volta possiamo essere per co-loro con i quali veniamo in contatto.Perché questo? Perché la posta in gioconon è soltanto il comportarsi bene, maanche e soprattutto il farlo con gioia e pa-ce! Non si tratta tanto di rispettare delleregole, siano quelle derivanti dalla Legge

scout o quelle ispirate dai comandamen-ti di Dio. Si tratta invece di vivere in pie-nezza la propria vita e, allora, non bastal’osservanza delle regole. Infatti le regolesi possono osservare anche per paura, vi-vendo pieni di tristezza e sensi di colpa.Quando però noi vediamo un’altra per-sona che, vivendo da scout cristiano, rie-sce ad essere piena di gioia, ci accorgiamonei fatti e non a parole che comportarsisecondo la Legge scout e l’insegnamentodi Gesù permette di vivere per gli altri edessere felici. Altrettanto succede a coloroche vedono noi, quando siamo nellagioia, mettendo in pratica ciò in cui cre-diamo. Essi vengono incoraggiati a crede-re che sia sensato e possibile vivere con-dividendo i nostri valori. Così, Paolo non dice ai cristiani di Filippidi mettere in pratica «tutto quello che èvero, nobile, giusto, puro, amabile, onora-to, quello che è virtù e merita lode». Tut-te queste cose sono importanti; sono, po-tremmo dire, il contenuto delle “regole”morali. Esse, scrive Paolo, siano «oggettodei vostri pensieri», certo, ma quando eglideve indicare ai Filippesi cosa devono fa-re, come devono comportarsi, pone altroal centro della loro attenzione. La cosa de-terminante è vivere come egli ha vissuto,e così invita i Filippesi non ad un generi-co rispetto delle regole, ma a seguire il suoesempio, scrivendo loro: «ciò che aveteimparato e ricevuto e ascoltato e cono-sciuto in me, è quello che dovete fare». I Filippesi sono invitati non ad essere

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Meditazione su: Filippesi 4, 4 – 9di Padre Roberto Del Riccio s.i.

preoccupati di custodire delle regole o deivalori ideali, contentandosi di fare il pro-prio dovere, preferendo magari non com-piere del bene per paura di sbagliare e pernon correre rischi. L’invito rivolto ai cri-stiani di Filippi è, invece, quello di anda-re oltre la lettera della regola per donarela vita a favore degli altri, sperimentando

in ciò la gioia e la pace che Dio dona. IFilippesi hanno visto nell’esempio diPaolo che questa non è teoria, ma unapossibilità concreta. Che questo è possibi-le, noi non lo abbiamo visto in Paolo, ma,certamente, in tanti che hanno fatto co-me lui, dimostrandoci nei fatti che il Diodella pace è con noi!

idea; è a causa dell’amore traboccante diDio, è per dar voce alla misericordia diLui, è mosso dalla Grazia del Padre cheegli parla. Nelle parole di Paolo è l’amo-re di Dio che ci esorta.

…ad offrire i vostri corpi come sa-crificio vivente, santo e gradito a Dio.Cosa significa “offrite i vostri corpi”?Ricorriamo ancora al significato delverbo offrire nella lingua greca. Offrirevuol dire porre innanzi o far stare in-nanzi agli occhi; riferito al soggetto si-gnifica: porsi d’innanzi, mettersi davantiagli occhi o più precisamente mettersi adisposizione. Ecco cosa chiede Paolocome prima cosa ai cristiani di Roma:mettetevi a disposizione. Di chi? Paoloqui non lo dice; lo dice altrove: di Dio edei fratelli. Qui Paolo è preoccupato didire come mettersi a disposizione, cioècon la vita concreta e fisica. Offrite i vo-stri corpi: mettete a disposizione deglialtri e di Dio la vostra vita concreta, voistessi nella vostra rude e vera corporeità.Paolo sembra sapere che se ci si mette adisposizione degli altri e di Dio anche ilcorpo ne resterà segnato: si dormirà me-no, meno spazio allo svago, meno tem-po per fare le proprie cose, meno esi-genze. Gesù aveva detto: chi non rinne-ga se stesso non può seguirmi; Paolovolge in positivo – mettetevi a disposi-zione -, ma resta identica l’esigenza dinon dar troppo credito a noi stessi e alnostro io.

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Meditazione su: Romani 12, 1 – 2di Padre Davide Brasca

Con il capitolo 12 inizia la seconda par-te della Lettera a i Romani. Nella primaparte Paolo presenta i grandi temi dellarivelazione cristiana: la fede, la legge, ilpeccato, il disegno del Padre, la salvezzaoperata da Gesù, il dono dello Spirito, ilBattesimo,…Nella seconda parte Paolosposta la sua attenzione sulla concretez-za della vita cristiana. Possiamo dire chela prima parte ha come tema che cosacredere per essere discepoli di Gesù,mentre la seconda si concentra su comebisogna vivere per essere cristiani’. I no-stri due versetti costituiscono l’esordiodella seconda parte e contengono iprincipi generali della vita cristiana:• offrite i vostri corpi;• non conformatevi a questo secolo;• rinnovate il vostro pensare.

Vi esorto, dunque, fratelli mediante lamisericordia di Dio,…Paolo esorta. La parola greca che si tradu-

ce con esortare ha molti significati: am-monire, esortare, invitare, convocare, chia-mare, invocare, gridare, consolare, consi-gliare, chiedere, predicare, ordinare, inco-raggiare. Dunque: Paolo invita, Paoloconsiglia, Paolo ammonisce, Paolo inco-raggia,… In tutti i significati è però con-tenuto qualcosa di comune; si tratta di uncoinvolgimento profondo di colui cheparla nelle cosa che sono dette. Paoloesorta, chiede, incoraggia,… dal profondodella sua esistenza; le cose che sta per di-re gli sono care, vengono dalla vita vissu-ta e dalla fede sperimentata. Sono sintesidi una vita messa a disposizione dei fra-telli nella fede. Ed è così che noi le acco-gliamo: sono le parole di Paolo dette conil cuore a noi scolte e rover che guardia-mo a lui come ad un maestro che ci in-troduce al mistero di Dio. È con trepida-zione che le accogliamo. Paolo però sa bene che ciò che sta per di-re non è cosa sua, un suo pensiero, una sua

Per noi scolte e rover questa prima esor-tazione assume la forma dell’imperativo:servire, il nostro motto. Servire sempre,in ogni stagione della vita, in ogni con-testo. Non solo quando si fa servizio, manella intera vita della comunità di clan edi noviziato e nell’intera vita di ogni ro-ver e scolta. Questo modo di vivere facendo della vi-ta un dono, cioè un sacrificio, è cosa gran-de agli occhi di Dio; è cosa che salva unavita; è cosa viva, santa e gradita a Dio.

Questo è il vostro culto nello spiritoPer gli antichi la massima espressionedella religione era il culto, cioè l’insie-me dei riti e delle cerimonie. Paolocambia totalmente prospettiva: la massi-ma espressione dell’esperienza cristianaè mettersi a disposizione degli altri e diDio nella vita concreta. È la vita, la vitaspesa come dono, il luogo della veritàdella fede in Gesù. Durante la S. Messa, nel momento dellaconsacrazione, il sacerdote ripete le pa-role di Gesù: “questo è il mio corpo of-ferto per voi”. Gesù, dunque, ha offertoil suo corpo. Noi siamo chiamati dallamisericordia di Dio attraverso Paolo afare altrettanto. E ogni volta che cele-briamo l’Eucaristia impariamo da Gesùa offrire la nostra vita.

E non conformatevi a questo secolo…Il primo invito di Paolo è a offrire i vo-stri corpi, il secondo è a non confor-marsi e a non adattarsi a questo secolo.Ci sono modi di pensare dominanti inogni secolo della storia rispetto ai quali– dice Paolo - il cristiano rifiuta di adat-tarsi e dice “no”. C’è un no da dire amolte cose per essere discepoli di Gesù.Le logiche del potere, della ricchezza,della violenza, del narcisismo individua-lismo, dell’apparire, sono incompatibilicon l’essere cristiano. E in concreto: cisono stili di vita – uso del denaro, deltempo, di se stessi, - che sono manife-stamente lontani dal Vangelo. A questinon ci si conforma e basta! Non ci puòessere mediazione. Cosa serve a noi rover e scolte tanto ser-vizio e tanta strada se non per allenarciad una logica di vita diversa da quella diquesto secolo? Ad abituarci a dire no?Non si tratta di mettere un po’ di servi-zio, un po’ di altruismo e un po’ di stra-da in vite accomodate nel tepore deibenpensanti, ma di rovesciare le nostrevite e mettere per primo l’evangelo.

…e rinnovate il vostro pensiero,…Dopo il no, Paolo indica il primo passodella vita non conformata: rinnovare ilpensiero. Ci si poteva aspettare: non

conformatevi, ma rinnovate questomondo; invece Paolo dice: cambia il tuomodo di pensare. Da lì comincia il cam-biamento. Nessuna cambiamento delmondo (lasciate il mondo un po’ miglio-re di come lo avete trovato – B.-P. -) puòessere realizzato senza che a suo fonda-mento vi sia il cambiamento del propriomodo di pensare e di comportarsi. Laforma greca del verbo rinnovare sugge-risce anche l’idea del continuo rinnova-mento; non si tratta di un rinnovamentoche avviene una volta per tutte, ma di unprocesso che sempre e di nuovo vedel’uomo impegnato. Paolo qui non dice inche cosa consiste il pensare rinnovato; lopossiamo però ricavare in modo emble-matico dall’inno alla carità di 1 Corinzi13. Pensare secondo la carità, leggere lastoria con la categoria dell’amore, ecco ilmodo di pensare nuovo.

…affinché possiate esaminare e deci-dere che cosa sia la volontà di Dio,ciò che è bene e gradito e perfetto.Il no a questo secolo e il pensiero rin-novato secondo l’amore consentono alcristiano di entrare nel mistero della vo-lontà di Dio, di capire cosa Dio chiedea ciascuno. A questo riguardo non si puòche balbettare. Si dischiude il misterodella vocazione: cosa Dio vuole da me?

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Gemma, Cecilia, Marco, Andrea, Ambra,Maria, Giulia, sono i rover e le scolte delclan Monza I che insieme ai loro capi Lu-cia e Matteo e al clan del Monza IV han-no realizzato una mostra su San Paolo.Come è nata l’idea?Mi spiegano che il percorso di fede del-la route estiva scorsa era incentrato sullafigura di San Paolo, di cui hanno studia-to la vita attraverso la lettura degli atti.Sono soddisfatti del metodo che hannousato che è stato quello di suddividereil testo in parti, leggerlo e appunto stu-diarlo.Durante la route hanno anche trasportato,a turno, come in un pellegrinaggio un’i-cona in pietra raffigurante San Paolo chehanno poi affisso, insieme alla preghieradel rover e della scolta, sul muro di colmodi uno dei passi attraversati.Insomma il percorso di fede, l’icona, il lo-ro studio, hanno dato vita, una volta tor-nati a Monza, alla mostra.Dieci pannelli che raccontano in modosemplice e immediato la vita di questo“ebreo cittadino del mondo”, dalla giovi-nezza al martirio passando attraverso laconversione.L’elaborazione dei testi, mi dicono che èstata difficile perché era importante essereessenziali nello scrivere ma sono stati faci-

litati dal metodo di studio intrapreso.Le immagini usate passano dal famosoquadro di Caravaggio “la conversione diSaulo” a un San Paolo disegnato da Fran-cesca, giovane capo, studentessa dell’acca-demia di Brera, che ha cercato di indaga-re la psicologia del santo nelle varie fasidella sua vita, da quando assiste al martiriodi Stefano a quando ormai anziano si af-fida a Dio nell’ultima preghiera. Sono contenti del risultato ottenuto e so-prattutto sono riusciti a capire perché Pao-lo è il patrono dei rover e delle scolte.“Paolo è un pellegrino, un viaggiatore, co-me noi“ e aggiungono “è uno determina-to, non un buonista, uno che una voltaconvertito, ha capito la sua missione, haprovato il senso della fatica, è riuscito acambiare il suo stile di vita.”Sentono Paolo come un santo vicino,umano perché anche lui sperimenta lasconfitta e sul suo cammino è presente siail fallimento che la passione nel promuo-vere istanze giuste.Ammirano la sua determinazione, ma sca-vando nei frammenti della sua vita, hannopercepito che la caduta di Saulo è statanelle tenebre dello smarrimento in segui-to ad una complessa e progressiva autori-velazione di Cristo nella sua vita; è da que-sto evento che Saulo torna a vedere, pren-

dendo coscienza di chi era Colui che loaveva chiamato. Lo smarrimento provato da Paolo è ac-colto come un qualcosa di molto umanoe affine al proprio modo di essere.In un modo quasi liberatorio mi dicono”èstato fatto santo, ma all’inizio non lo era!”. Mi fanno capire che si sentono fortuna-ti ad avere come patrono San Paolo e seil patrono è come un intermediario cheintercede per noi presso Dio è “il mas-simo che si può avere”.Per questi ragazzi Paolo è anche quelbusto di pietra che campeggia sopra ilportale del convento dei Padri Barnabi-ti, in cui trovano spazio le sedi del grup-po, raffigurante il santo con il braccio al-zato, che sporgendosi sembra spronare ipassanti a stare nel mondo con determi-nazione, volontà e decisione.Alla fine di questa bella chiacchierata lilascio alla loro riunione che proseguecon il definire il capitolo di clan sul-l’immigrazione, forse anche in questaoccasione Paolo “l’apostolo delle genti”abituato ad incontrare uomini di etnie etradizioni religiose diverse potrà essereun esempio da seguire sulla via del dia-logo e dell’identità cristiana.

Saula Sironi

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Un ebreo cittadino del mondo: una mostra su San Paolo

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Alla formazione della spiritualità e del-l’interiorità del capo scout contribui-scono a nostro avviso alcuni filoni di ri-flessione ed alcune persone. Il primoproviene dallo stesso Baden-Powell e siraccoglie attorno a tre immagini: l’edu-catore scout è per ciascun ragazzo unfratello maggiore; l’educatore scout èper il gruppo un capo; l’educatore scoutha nell’esempio il punto di forza essen-ziale della propria azione educativa. Ilriferimento a queste immagini per da-re senso all’interiorità dell’educatorescout è imprescindibile. Un secondo fi-lone è quello che si riferisce alla figuradi Don Milani, figura di credente ededucatore che ha colpito in modostraordinariamente significativo i capidell’Agesci. E qui l’immagine di riferi-mento è quella di un capo scout capa-ce di instaurare relazioni educative for-ti e insieme di coinvolgere in un pro-cesso costruito insieme. Sul versante piùpropriamente spirituale e cristiano for-se le immagini più rilevanti sono quel-le del capo scout come un ottimista diDio, capace di sostenere il camminoascetico dei suoi ragazzi dietro a Cristoe di aiutare il giovane a trovare Diodentro il proprio cuore (Don AndreaGhetti e Don Giorgio Basadonna).Più recentemente, con diffusione più o

meno ampia, si sono aggiunte le rifles-sioni e l’esempio di alcuni maestri. Amodo di esempio: Don Tonino Bello eil card. Martini.Ci domandiamo: qual è il contributodella teologia e dell’esperienza di sanPaolo alla formazione della spiritualitàe dell’interiorità del capo scout R/S?Il primo tratto spirituale paolino a cuiil capo scout R/S cattolico dovrebbeattingere per dare sostanza cristiana alproprio servizio educativo è l’ansia peril vangelo. ”Tutto io faccio per il van-gelo” dice Paolo nella prima lettera aiCorinzi (1Cor 9,23); e nel versetto 1,1della lettera ai Romani egli afferma diessere “servo di Gesù Cristo, apostoloper vocazione, segregato per annun-ciare il Vangelo di Dio”. Dio dunquegli ha “affidato il vangelo” (Gal 1,15ss) ed egli si sente ministro di questovangelo (Col 1, 23); di più: “non è perme un vanto predicare il vangelo; è undovere per me: guai a me se non pre-dicassi il vangelo” (1Cor 9, 16). E que-sto vangelo gli è affidato per i pagani:“...si compiacque di rivelare a me suoFiglio perché lo annunciassi in mezzoai pagani” (Gal 1, 16). Anche solo daquesti allusivi richiami all’epistolariopaolino può certamente dire che Pao-lo interpreta e vive la sua vita sotto il

segno dell’ ‘ansia per il vangelo’.In ambito scout si parla di vocazionedel capo. Ma come si deve intenderequesta espressione? Certamente appar-tengono alla chiamata ad essere caposcout le fatiche del servizio educativofatte di freddo, sudore, tensioni, temporubato a cose sentite più proprie, impe-gno, irriconoscenza... e molto altro an-cora. In modo proprio, però, la chiama-ta ad essere capo scout, e capo R/S inmodo particolare, ha come contenutospecifico l’invio del Signore Gesù ad an-nunciare il vangelo ai novizi/e e ro-ver/scolte. Il capo scout R/S è un in-viato da Cristo ad annunciare il vange-lo ai giovani – che non di rado e so-prattutto oggi sono paganeggianti -. EPaolo è per lui il tipo cristiano dell’an-nunciatore del vangelo. Ma che cosa è il vangelo da annuncia-re per il quale si è in ansia, noi comePaolo? Certo molte riflessioni ed espe-rienze appartengono al mondo della fe-de cristiana, ma il capo scout R/S sache una sola è la cosa che conta; e lo sada S. Paolo: “Fratelli, quando venni davoi non mi presentai ad annunciarvi latestimonianza di Dio con sublimità dilinguaggio o di sapienza. Di fatto nonvolli sapere in mezzo a voi altro che ilCristo e questi crocifisso” (1 Cor 1,1-2). Cristo, e lui crocifisso, è il vangelo daannunciare. Sappiamo bene che questoè scandalo per i giudei e stoltezza per igreci,...e incomprensibile ai nostri gio-

San Paolo e il capo R/Sdi padre Davide Brasca

vani, ma Lui, e proprio Lui, è salvezza epotenza di Dio. Il capo scout R/S hanelle sue corde spirituali il Cristo cro-cifisso e risorto (“se Cristo non è risor-to è vana la vostra fede”, 1 Cor 15,16),di Lui ha fatto esperienza come amoreche vince ogni male (dov’è o morte iltuo pungiglione). Lui l’ha incontratosulla via di Damasco. E ognuno ha la suaDamasco! Un secondo tratto spirituale che legaPaolo e il capo scout R/S è la cura perla qualità evangelica della vita della co-munità. Paolo rivendica un rapporto particola-re con le proprie comunità: “Quant’an-che voi aveste diecimila pedagoghi inCristo, non avreste tuttavia molti padri,perché io vi ho generato in Cristo Ge-sù mediante il vangelo” (1 Cor 4, 15).Molti i predicatori itineranti, molte lepersone piene di qualità spirituali, mol-ti i profeti che vivono in esse, ma pochii Padri, anzi uno solo, Paolo. C’è un le-game generativo fra Paolo e le sue co-munità; lui le ha introdotte nel vangelopassando dal cibo liquido a quello soli-do, le ha aiutate a capire come celebra-re l’eucaristia, le ha incoraggiate nelledifficoltà e le ha rimproverate nelle lo-ro superbie. Basta leggere la prima par-te della prima lettera ai Corinzi. Il caposcout R/S ha con i suoi novizi/e e ro-ver/scolte un rapporto spirituale gene-rativo. In molti casi è proprio negli an-ni di branca R/S che un giovane arri-

va alla fede; quasi sempre in questi annii giovani compiono un significativopasso in avanti; per alcuni è il momen-to in cui ci si allontana da Gesù. Versotutti il capo scout R/S ha una attitudi-ne paterna e generativa: soffre da padreper un figlio che non riconosce Gesùcome Signore, sa far vedere ai suoi fi-glioli le meraviglia che Dio ha compiu-to nella loro vita, non spegne le traccedi bene – poco o tanto che siano - nelloro cuore, sa indicare le vie di una se-quela di Gesù più radicale e forte,...Certo è abbastanza umile per far in-contrare ai suoi figlioli uomini di fedepiù grandi di lui, ma il capo scout R/Snon si dimette dalla sua paternità spiri-tuale, ma la assume e la esprime con l’e-sempio, la parola, la vicinanza sulla stra-da e nella vita.Negli Atti degli apostoli si legge: “Ve-gliate ricordandovi che per tre anni nonho mai cessato, giorno e notte, di esor-tare con lacrime ciascuno di voi” (At20,31). È il discorso di addio ai presbi-teri di Efeso. Le parole sono commo-venti: notte e giorno, senza sosta, con la-crime Paolo li ha esortati. Così è il ca-po scout R/S per i suoi novizi/e e peri suoi rover/scolte. Senza stancarsi -...espesso si è stanchi!-, notte e giorno - at-torno al fuoco e sulla strada -, con la-crime - con il cuore caldo – il caposcout R/S esorta – cioè consola e spro-na – la sua comunità: il noviziato e ilclan. E questo non vale solo nelle im-

magini poetiche della route, ma di piùnelle fatiche del vivere quotidiano fattedi scuola, lavoro, famiglie, amori, sogni,difficoltà,... il capo R/S è lì!E qual è il contenuto di fede di questapaternità e di questa esortazione acco-rata? Paolo lo descrive così: “Seguite lavia dell’amore, sull’esempio di Cristo,che vi ha amati e ha dato se stesso pernoi” (Ef 5,2). “Il Signore poi vi facciaabbondare nell’amore vicendevole everso tutti, come anche noi lo siamo pervoi.” (1 Tes 4,6). Ovvero: Cristo ci haamati, noi ci amiamo reciprocamente einsieme amiamo tutti, anche quelli chenon amano. Il capo scout R/S presidiala sua comunità richiamandola all’amo-re. Primo: che la fonte dell’amore è Cri-sto che ci ha amati per primo; secondo:che tra noi l’unico vincolo vero è l’a-more; terzo: che l’amore versato abbon-dantemente nei nostri cuori e nella no-stra esperienza deve espandersi fattiva-mente fino a raggiungere i luoghi piùlontani dall’amore.Una terza dimensione che vede la comu-nanza spirituale fra il capo scout R/S e sanPaolo è la preoccupazione per tutti.Il punto di partenza è ancora il miste-ro di Dio: “Dio che opera tutto in tut-ti” (1 Cor 12, 6), “Cristo è morto pertutti” (2 Cor5,15), “Cristo è tutto intutti” (Col 3, 11). È lo slancio di Dio inCristo a raggiungere tutti, salvare tutti,raccogliere tutti. Paolo, che ben hacompreso questo di Dio e del Cristo,

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interpreta la sua vita nella stessa dire-zione e dice di sé: “Mi sono fatto debolecon i deboli, per guadagnare i deboli, misono fatto tutto a tutti, per salvare adogni costo qualcuno. Tutto io faccio peril vangelo, per diventarne partecipe conloro” (1Cor 9, 29.23). Il capo scout R/Sè un po’ più limitato. Ha davanti un pic-colo gruppo; questo gli è stato affidatodal Signore perché ad esso sia annun-ciata la Grazia del vangelo. Però nelcuore ha la preoccupazione paolina pertutti. Essa si manifesta in due atteggia-menti concreti. Il primo è il contrastodurissimo quando la comunità di clan odi noviziato si vuole chiudere nelleomogeneità culturali, ambientali, diclasse, di abitudini, di denaro,... Il peri-colo è grande perché egli stesso appar-tiene al medesimo ambiente e la sorve-glianza culturale e spirituale deve esse-re altissima. Il secondo è un profondosenso del proprio limite. Il capo scoutR/S ringrazia il suo Signore perché al-tri uomini e altre donne, con un altrofazzolettone, senza la sua uniforme, constili diversi, in altri luoghi, in situazionipiù difficili e non di rado in modo piùgeneroso e aperto di lui annunciano ilvangelo della Grazia e dell’amore. E in-segna ai suoi novizi/e e ai suorover/scolte a fare altrettanto. L’ultima parola del capo scout R/S èquella di Paolo ai presbiteri di Efeso, pa-rola a lui insegnata dal Signore Gesù: c’èpiù gioia nel dare che nel ricevere.

Accostare PaoloL’accostamento diretto alla persona-lità, alla vita e al pensiero di Paolo diTarso è certamente un momento for-te per la vita di un credente, sia dalpunto di vista esistenziale che intellet-tuale. Paolo, già come ebreo zelante(della tribù di Beniamino, circoncisol’ottavo giorno, fariseo zelante) e benpiù come apostolo di Cristo Gesùchiamato per grazia e non in virtùdelle opere, rifiuterebbe già in parten-za la distinzione tra vita e attività in-tellettuale, quasi che siano due mondiche si combattono o peggio si esclu-dono a vicenda: vita e pensiero, azio-ne e contemplazione, successi e falli-menti, viaggi e soste prolungate… lot-ta e pace, lavoro e preghiera, amore esdegno, passione e razionalità, verità eamore, tutto in Paolo si mescola e sisintetizza in un modo caratteristico. Ci troviamo di fronte ad una persona-lità ricca ma non indecifrabile, com-plessa ma non caotica. La conoscenzadiretta di Dio in Gesù Cristo Signoreè il principio di unità della vita e delpensiero di Paolo. Capire questo è im-portante e rende Paolo particolar-mente stimolante per i capi scout, peri clan della nostra associazione. Di fat-

to Paolo è un capo che si dice servo,servo in Cristo Gesù. Salvando le differenze e le debite pro-porzioni B.-P. proponeva una cono-scenza di Dio che si traducesse in unaesperienza di vita. Diceva questo inpolemica con quello che egli conside-rava l’astrattismo della dottrina e dellaliturgia della Church of England. Manel caso di Paolo e del pensiero bibli-co B.-P. sfondava una porta aperta. B.-P., figlio di un teologo non è a sua vol-ta un teologo.

Non esagerareDel resto è facile considerare Paolocome un personaggio davvero singo-lare, unico nel suo genere. Ciò spiegasolo in parte alcune esagerazioni chenon siamo disposti condividere; c’èinfatti chi lo definisce come il verofondatore del cristianesimo, come co-lui che avrebbe trasformato il messag-gio semplice ed universale di Gesù inuna realtà complessa e strutturata co-me la Chiesa. La teologia di Paolo sa-rebbe dunque un’altra cosa rispetto al-la vita e al messaggio di Cristo, sareb-be cioè una sovrapposizione della cul-tura religiosa ebraica, ispirata dal con-cetto di peccato e sacrificio, con la sua

Sulle tracce di PaoloIntroduzione a san Paolo di don Mario Neva

tensione verso la fine del mondo, sul-la figura del nazareno. Questa è deci-samente una cattiva interpretazionedella Rivelazione, molto diffusa, se-condo cui una cosa è Gesù e un’altrae il cristianesimo storico con la suadottrina e la sua liturgia.Addirittura c’è chi considera Paolocome il primo vero credente comel’unico che sarebbe stato capace di de-terminare e illustrare la realtà del cre-dere. Infine c’è chi lo considera una perso-nalità complessa al punto da conside-rarlo inafferrabile, indecifrabile, sog-getto al più a valutazioni soggettive,poco riducibile ad un dato universalee oggettivamente condivisibile. A giu-stificazione di questa ultima tesi sta-rebbe il fatto che Paolo ha ispirato indiversi modi figure storiche eminentie tra loro in parte contrastanti, comeAgostino, Lutero, Giansenio, Teresa diLisieux…per citarne solo alcuni.

Niente di tutto questoConsigliamo perciò chi accosta Paolodi mantenere la calma, di non averefretta e per dirla alla scout, di metter-si in cammino con lui. Abbiamo infat-ti notizie sufficienti per tenere le di-stanze da tutti gli eccessi o difetti in-terpretativi e lasciare così che il perso-naggio ci raggiunga e ci parli in tuttala sua verità di uomo, ebreo di origi-ne, afferrato definitivamente da Gesù

Cristo Signore. Siamo in grado di af-fermare con molta semplicità chePaolo non è tra i primi che furonochiamati da Gesù, non è affatto l’uni-co e singolare esponente della Chiesaprimitiva. Indubbiamente il suo ruolonella costruzione del pensiero cristia-no è decisivo, ma prima di Lui c’è laparola di Gesù, la testimonianza deidiscepoli. Prima di lui e con lui sonoMaria, Giuseppe e gli apostoli primotra tutti Pietro. Nella considerazionedella Chiesa primitiva Paolo condivi-de cin Giovanni, autore dei vangeli edell’Apocalisse e di tre lettere, la pal-ma di teologo delle origini. Si tratta dicapirsi sul significato autentico dellateologia. Nel caso dell’apostolo l’espe-rienza diretta di Gesù, come colui chemanifesta pienamente il mistero e l’a-zione di Dio Padre, nella potenza del-lo Spirito, genera una nuova attività dipensiero, una visione di Dio, del mon-do e della vita illuminata dalla verità,che si traduce in un messaggio. Sequesto comporta il superamento del-l’ebraismo ma anche la sua sua defini-tiva assimilazione.Detto questo dobbiamo riconoscereche Paolo ha lasciato un segno impor-tante e per certi aspetti decisivo nellaprimissima comunità cristiana e ancorpiù nei secoli successivi fino ai nostrigiorni. Il suo ruolo nella formazionedella dottrina cristiana, nella stessascrittura dei Vangeli, è stato eminente

sebbene non unico come si è detto asufficienza, allo stesso tempo è statodecisivo il suo impulso per l’evange-lizzazione e la diffusione della vita cri-stiana nelle nuove comunità, per i giu-dei prima e per i pagani dopo.

Come accostare PaoloL’accostamento a Paolo non presentadunque particolari difficoltà, egli in-fatti tra i personaggi dell’antichità èforse quello che ha lasciato di sé latraccia più consistente attraverso duefonti contenute nel Nuovo Testamen-to e tra loro sostanzialmente concor-danti: Gli Atti degli Apostoli e le tre-dici lettere attribuite, non senza viva-ci discussioni tra gli interpreti, allostesso Paolo. Non si tratta di due fon-ti esaustive ma comunque esse ci al-lontanano decisamente dal terrenodelle semplici ipotesi e supposizioniche caratterizzano gran parte dellebiografie antiche, delineando chiara-mente la singolare fisionomia umana espirituale del nostro personaggio.

Gli Atti degli apostoliPaolo appare nella narrazione degliAtti come il giovane che approva ilmartirio di Stefano, subito dopo, conun salto indecifrabile di tempo, appa-re come zelante e acceso persecutoredei primi credenti. Nel capitolo 9l’autore degli Atti, quasi certamente ilfedele amico medico carissimo Luca,

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racconta la conversione di Paolo sullavia diritta di Damasco, facendolo di-ventare il protagonista principale del-la narrazione insieme a Pietro e ad al-tri personaggi della prima Chiesa. Laconversione ad opera dello stesso Ge-sù Signore, misterioso e risorto, è rac-contata nello spirito delle teofanie, ecioè le manifestazioni divine dell’An-tico testamento. Gesù risorto è lo stes-so Dio che ha chiamato Abramo eMosè, Elia e i profeti; il Signore inter-viene direttamente provocando inPaolo un passaggio brusco e violentoda una situazione spirituale ad un’al-tra. La conversione coincide con ilBattesimo e con la sua missione diApostolo. Dimenticarlo significhereb-be non capire la vita e il pensiero diPaolo Il riferimento alla conversione ècostante in paolo, il fatto è narrato al-tre due volte in prima persona dallostesso Paolo. Luca parla con simpatia eammirazione di Paolo. Lo consideraun leader indiscutibile, un uomo ener-gico e coraggioso, mosso dalla graziadello <spirito. Lo considera come co-lui che ha il compito, sebbene nonesclusivo, di portare a tutti il messag-gio del vangelo della salvezza e disvincolare il messaggio di Cristo dallestrettoie giudaiche. In questo apparefacilitato dalla sua cultura cosmopoli-ta, dalla sua facilità di parlare le lingue.Sebbene ebreo di formazione, cresciu-to a Gerusalemme nella scuola di Ga-

maliele, Paolo dimostra una singolarecapacità di capire le situazione e di ca-pire le mentalità con cui viene a con-tatto nei suoi viaggi.Dopo un momento iniziale di esitazio-ne e di vita di meditazione e contem-plazione lo descrive in azione attraver-so la narrazione di quattro viaggi tra ilquarantanove e il 63 circa. L’ultimoviaggio lo porta a Roma dove ha ap-pellato a cesare e fuggire così al lin-ciaggio degli ebrei di Gerusalemme.

Le lettereLa Chiesa attribuisce oggi a Paolo tre-dici lettere (Romani, Corinti 1-2, Ga-lati,Tessalonicesi 1-2, Filippesi, Colos-sesi, Efesini, Timoteo 1-2, Tito, File-mone). Per quanto gli interpreti e glistudiosi abbiano avanzato riserve sul-l’autenticità di tutto il corpus delle let-tere paoline non ci sono motivi seriper dubitare del loro grande valore.Una lettura attenta e continuata rivelache si tratta di scritti il più delle volteoccasionali, legati cioè a situazionicontingenti e ad eventi che caratteriz-zano la vita di diverse comunità; nontutte dunque rispondono alle stesseesigenze. Si va dal trattato teologicodella lettera ai Romani agli scritti con-fidenziali di Timoteo e Filemone. Inogni caso Paolo esprime una comples-sa e coerente visione della vita. Tantonegli Atti quanto nelle lettere appaio-no innumerevoli collaboratori dell’A-

postolo, uomini e donne impegnatinella diffusione del Vangelo e nella edi-ficazione della prima Chiesa. Nonmancano menzioni a quanti scrivono itesti sotto dettatura di Paolo.

Una sobria biografiaPaolo o Saulo può essere nato circaotto dieci anni dopo Gesù; pare certoche Egli non abbia conosciuto Gesùse non al momento della conversioneavvenuta circa nell’anno trentasei sul-la via di Damasco, dopo il martirio diStefano. Originario di Tarso Paolo na-sce da una famiglia di ebrei osservan-ti della diaspora, appartenenti alla tribùdi Beniamino. Da qui deriva il primonome ebraico Saulo. Paolo dunque ènato in una città di cultura ellenistica,città romana, nella quale Cicerone visvolse il ruolo di Governatore e dovesi racconta dello storico incontro traAntonio e Cleopatra. A Tarso si prati-cava nelle scuole la cultura greca oltreche quella latina. A circa quattordici an-ni Paolo è inviato a Gerusalemme do-ve studia ai piedi di Gamaliele, maestrorinomato e famoso per la sua tolleran-za. Diviene fariseo zelante; la sua atti-tudine alla predicazione, alla discussio-ne, allo studio, alla preghiera e al lavo-ro manuale abilitano a pensare chePaolo fosse diventato un rabbino, capa-ce di insegnare sulla cattedra di Mosè. L’attività di persecutore da quanto siricava leggendo le fonti fu dura e vio-

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lenta. Dopo la conversione Paolo èminacciato e disprezzato dai correli-gionari e sospettato da alcuni fratellicristiani, pare fino al termine della suavita. Questo fatto unito ad una carat-teristica ipersensibilità lo porta spessoa polemizzare con chi mette in di-scussione la sua autorità di apostolo,costretto a vantarsi e a parlare di se nelSignore. Paolo rifiuta radicalmente laviolenza e si sente costretto più voltea rimarcare il fatto che pur non essen-do uno dei dodici il Signore ha fattodi Lui un vero apostolo o per usareuna formula caratteristica, ripresa daDante, un vaso di elezione. Paolo in-traprende con altri collaboratori treviaggi missionari dal 49 circa al 63.Nella lettera ai Romani scritta quasicertamente nel 57 da Corinto, palesail desiderio di raggiungere sia Romache la Spagna. Tornato a Gerusalemme,minacciato dai giudei, Paolo appella aCesare; dopo alterne peripezie vienecondotto a Roma, non senza avere sal-vato tutti i passeggeri della nave da unnaufragio presso Malta e dopo essereapprodato a Pozzuoli. La tradizioneracconta che Paolo fu martirizzato aRoma durante la persecuzione di Ne-rone del 67 insieme a Pietro e ai primimartiri. Incerta anche se probabile lasua frequentazione con Seneca, fratellodi Gallione, che Paolo incontra certa-mente a Corinto, e forse un contattodiretto con l’imperatore.

Cosa pensa PaoloPaolo è uno di rari esseri umani checambia mentalità e, pur rimanendoancorato alle sue radici ebraiche, egliassapora la novità e la pienezza che sirivelano in Gesù Cristo considerandoCristo adatto a tutti i popoli e a tuttele culture,Possiamo considerare l’irradiazionedel suo pensiero e della sua vita comecerchi concentrici che si dipartono vi-gorosi a partire dalla conversione, e inseguito strettamente collegati l’unocon l’altro.

Primo cerchioPaolo scopre Gesù come Colui che ènecessario per salvarsi. Paolo dunquecontrasta con l’idea caratteristica deifarisei secondo cui è l’osservanza del-la legge a salvare l’uomo. A maggiorragione Paolo non considera la sa-pienza dei filosofi o i riti sacrificali deitempli pagani capaci di salvare l’uomo.La salvezza è un dono di Dio che di-venta nostro attraverso l’ obbedienzadella fede. L’obbedienza piena è dovu-ta solo a Dio che si manifesta in Cri-sto che è la pienezza. Paolo, con qual-che esagerazione, descrive soprattuttoin Galati e Romani l’illusione degliebrei e dei pagani di salvarsi e di vive-re con le proprie forze. Non cono-scendo e non riconoscendo Dio gliuomini si corrompono ed entrano neldisordine e nell’anarchia sessuale.

Secondo cerchioPaolo scopre che in Cristo nasce unaumanità nuova che ha come Capo eSignore lo stesso Gesù: l’orizzonte intal modo si dilata dagli individui allaChiesa. L’unione con Cristo avvieneinfallibilmente con il Battesimo chesoppianta la Circoncisione. La Cir-concisione è un segno fisico, maschi-le, un segno di appartenenza chiusonella cerchia degli ebrei e dei simpa-tizzanti dell’ebraismo, segno che ri-manda a Mosè ed alla osservanza del-la legge. Il Battesimo è un segno spi-rituale per tutti, uomini e donne, nonlascia segni di appartenenza fisica, èdunque segno di universalità e ci col-lega con la grazia di Cristo che salva.Chi vive in Cristo è dunque una crea-tura nuova nella Chiesa. L’appartenen-za comune a Cristo risplende soprat-tutto nella Cena del Signore dove simangia un solo pane e si beve ad unsolo calice, per cui noi pur essendomolti diventiamo un corpo solo. Pao-lo sviluppa altresì la dottrina dei cari-smi, dei doni cioè che Dio fa ai cre-denti per l’edificazione della Chiesa.

Terzo cerchioLa pienezza di Gesù raggiunge tutta larealtà creata e rivela il progetto miste-rioso di Dio di ricapitolare in Cristotutte le cose. La dimensione storica èinghiottita in una visione cosmica euniversale. Paolo non concede facil-

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mente al male di diventare bene ed aSatana di redimersi, quanto piuttostoafferma il principio che tutto coope-ra al bene di coloro che Dio ama. Inquesto modo egli sancisce l’idea cheDio predestina alla salvezza e conducela salvezza in modo infallibile secondoun progetto cosmico, dal quale nessunelemento del mondo viene escluso. Inpratica la storia degli uomini e del-l’Universo accade in un Dio perfettoche non abbandona l’umanità al male.Il principio è che dove abbonda ilpeccato sovrabbonda la grazia. La di-mensione che si impone infine nelpensiero di Paolo è quello della mise-ricordia infinita di Dio che si rivelanell’opera di Gesù risorto e dello Spi-rito effuso nei nostri cuori; lo spiritogrida dentro di noi che Dio è Padre.

Quarto cerchioLa teologia paolina è una dottrinadella conoscenza progressiva di Dioin Gesù Cristo che coincide con unaprogressiva partecipazione alla suagrazia. Rimane fortemente presentenella sua visione la dimensione asce-tica, la necessità cioè di lottare con-tro il male e di purificarsi, ma questadimensione è vinta e inghiottita dal-la intensità di relazione con Cristo e

con i fratelli. A partire dal dono del-la fede, si cresce di fede in fede finoad approdare alla visione di Dio, fac-cia a faccia. In questo senso fede è si-nonimo di speranza intesa come lacertezza di ciò che deve avvenire se-condo la promessa divina, come espe-rienza della caparra dello Spirito ri-versato nei nostri cuori. La fedecoincide inoltre con la carità intesacome comunione con Dio e con gliuomini, come esperienza dell’amoreche ci trasforma.

Quinto cerchioTutto il modo di essere di Paolo, il suomodo di agire e di parlare e scrivere èattraversato da una costante tensioneverso l’alto inteso come presa di co-scienza della presenza di Dio. Dio si èumiliato e svuotato per farsi conosce-re, ma questo svuotarsi e annichilirsi èun dono di amore totale e incalcola-bile. Il discepolo prende esempio daCristo che si è fatto povero per arric-chirci per mezzo della sua povertà. Daquesto svuotamento, che è partecipa-zione alla croce, nasce il riconosci-mento della gloria di Dio Onnipoten-te che in Cristo e nello Spirito vieneinvocato e lodato come Padre. In que-sto senso Paolo parla di teologia della

croce: mentre i giudei vogliono mira-coli e potenza e i greci cercano i di-scorsi della sapienza, Paolo considerala Croce il luogo nel quale Dio rivelail suo volto d’amore e la sa misericor-dia infinita, soprattutto rivela la suavolontà di salvare l’uomo.

Sesto cerchioAlla luce di questi principi e non sen-za momenti polemici e rigurgiti diebraismo l’apostolo professa il prima-to della carità nelle relazioni umane.La finale delle sue lettere è general-mente una esortazione a vivere nellacarità secondo l’uomo nuovo creatoin Cristo. Non manca il riferimento acomportamenti umani specifici e aduna casistica abbastanza sviluppata an-che attraverso contrapposizioni edelenchi che rivelano un alto livello dirielaborazione del pensiero teologico.

Settimo cerchioNon mancano negli scritti paolini af-flati mistici e poetici verso Dio e ver-so la sua bontà infinita. Per quantoPaolo rifletta sempre uno stato d’ani-mo personale e soggettivo, è uno diquei rati esseri umani che, quandoparlano di sé, generalmente parlanoper tutti.

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Il primo uomo a scrivere il cristianesimoe a riflettere sulla vita del credente è Sau-lo di Tarso. Tutti i Vangeli sono posteriorialle Lettere di questo uomo che non haconosciuto Gesù in vita, ma è il solo del-la sua generazione (tra il 30 e il 60 d.C.)a prendere la penna in mano per scrive-re, o meglio dettare a uno scriba, la sua fe-de. Una figura controversa, difficile da av-vicinare, come teologo e uomo di pensie-ro. La maggior parte dei cristiani si conso-lano rivolgendosi ai Vangeli, più facili daleggere e più semplici nel contenuto nar-rativo. Ma se non vogliamo accontentarcidi una fede superficiale e un po’ infantile,non possiamo evitare le Lettere di Paolo.Su di lui si sono spesi fiumi di inchiostroe la sua personalità accompagna tutta lastoria del cristianesimo. Soprattutto con ilRinascimento e la Riforma acquista unruolo centrale, punto di riferimento per

Martin Lutero e Giovanni Calvino. Unuomo amato e criticato (ha corrotto la“religione del cuore” di Gesù dicono al-cuni): lo conosciamo davvero? Difficile oggi districarsi tra le centinaia dipubblicazioni. Vorrei provare a suggerirequalche titolo interessante e un po’ furboper avvicinarsi al personaggio. Anche seavete poco tempo e non siete teologi. Cominciare dalla vita è la maniera piùsemplice per accedere anche un po’ allavolta anche al pensiero. E d’altra partebiografia e teologia sono strettamente in-trecciate nella figura dell’Apostolo. In li-breria troverete molta scelta e senz’altrobuoni consigli. Io ho letto un piccolo li-bro di uno storico francese, EtienneTrocmé, “San Paolo” (scritto in france-se, pubblicato postumo nel 2003 e poitradotto in Italia nel 2005, ed. Querinia-na, Brescia, pagg. 127) è scientifico e in-

sieme appassionante. Trocmé interroga itesti, ripercorrendo l’itinerario di Paolo eraccontandoci la storia di un uomo, l’e-breo Saulo, la cui vita è stata un per certiversi un fallimento e il cui destino postu-mo è stato invece straordinario. Ne riper-corre gli inizi “Paolo in persona afferma diessere nato da genitori ebrei che dicevano di di-scendere dalla tribù di Beniamino, di essere sta-to circonciso all’età di otto giorni e di essere ap-partenuto, come suo padre al movimento pieti-sta dei farisei. Ma non accenna mai al suo luo-go di nascita.” e poi la rottura con Gerusa-lemme, la missione, la leadership delle chie-se locali, ma anche il pensiero e l’eredità.Trocmè è stato professore alla Facoltà pro-testante di Strasburgo e forse per questo lalettura del libretto ha un pizzico di inte-resse in più: ci ricorda che proprio l’im-patto con la Lettera ai Romani, nell’annoaccademico 1515-1516, segna la svoltateologica della riforma di Lutero e l’esege-si paolina ha comunque ispirato tutta lateologia e la spiritualità protestante.Per una conoscenza ben documentata,con mappe delle regioni attraversate daPaolo e riproduzioni di iscrizioni e ico-nografie, suggerisco senz’altro l’agile vo-lumetto di Rinaldo Fabris1 “Per leggerePaolo” (ed. Borla, Roma, 2006, pagg.124). Ci parla della storia, ma anche delprofilo umano di Saulo, dei viaggi e del-le lettere. Dell’esegesi nella tradizionecristiana, fino all’attualità. Un inquadra-mento completo che può essere utiliz-zato “a pezzi” (per es. per una veglia sui

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Paolo: un uomo che fa parlare di sé

Piccola guida bibliografica per approfondire

la conoscenza di san Paolo

viaggi e le comunità incontrate da SanPaolo), ma di cui può essere goduta lelettura per intero, come un’avvincenteavventura. “Si possono contestare o noncondividere alcune concezioni o prese di po-sizione di Paolo… Ma quello che affascinachi si accosta senza pregiudizi e con un piz-zico di simpatia a questo cristiano della pri-ma generazione, è la sua capacità di sinto-nizzarsi con i grandi problemi dell’essereumano e di comunicarne la risonanza perso-nale con immediatezza.” Ogni capitolocontiene poi riferimenti bibliograficiorganizzati per temi e soprattutto sulleLettere può essere un utile punto di par-tenza per la lettura guidata. Anche le in-terpretazioni della teologia modernasono chiarite, in particolare “due teologihanno dato un contributo originale per l’in-terpretazione del messaggio di Paolo, K.Barth e R. Bultmann. Il primo con il suooriginale commento alla Lettera ai Romani,il secondo con diversi studi su Paolo e la “teo-logia del NT”. K. Barth pubblica la primaedizione della sua Lettera ai Romani nel1919; qui c’è già in embrione la l’imposta-zione della sua ricerca teologica futura incen-trata sulla totale alterità di Dio e la novitàdel suo regno rispetto a tutte le ricerche e af-fermazioni dell’uomo. Nella seconda edizio-ne del 1922 Barth precisa il rapporto tra Re-gno di Dio e responsabilità dell’uomo. “Senza soffermarsi sulla biografia, DanielMarguerat, professore all’Università diLosanna, si concentra invece sui temicruciali del dibattito su Paolo: quali so-

no stati i suoi rapporti con Gesù, di cuiparla così poco? Cosa vuol dire “con-versione” per un ebro praticante? Senzadi lui il cristianesimo sarebbe rimastouna setta dell’ebraismo? È lui il respon-sabile della frattura tra ebrei e cristiani?Cosa ha detto questo apostolo alle don-ne? Fu un conservatore o un progressi-sta? Paolo parla all’uomo del I secolocome all’uomo di oggi: “In un mondo incui la questione del senso della vita e della di-gnità umana resta dolorosamente centrale, lasua scoperta di un Dio che accoglie a pre-scindere dai meriti acquista straordinaria at-tualità”. Il libro è piccolo, ma illuminan-te “Paolo di Tarso – Un uomo alle pre-se con Dio” (ed. Claudiana, Torino,2008, pagg. 95), utilizza un linguaggiosemplice, anche quando parla di temicomplessi e vi si legge la passione del-l’autore per la figura di Paolo: “In cam-mino per Damasco Paolo è caduto dall’alto.Non dall’alto del suo cavallo, bensì dall’altodelle sue convinzioni. Egli dovrà ricomporle,ricostruirle. Valutare in maniera diversa. Pao-lo ormai parlerà di Dio in un modo che nonsi rifà a quello di altri, ma appartiene solo alui.” Anche Marguerat nasce in ambitoprotestante (pastore della chiesa evange-lica riformata), e da una piccola sferzataai cristiani tiepidi: “è sufficiente meditare trerighe di Paolo per convincersi che Dio non ècome l’acqua fresca.”Un altro approccio alla lettura, che con-siglio sia per la riflessione personale, siaper la vita di clan o di comunità capi, è

poi quello che, partendo dalle parole diPaolo, ne attualizza il messaggio: cosa di-ce al mondo oggi un apostolo così lon-tano? E soprattutto cosa dice a me chelo leggo? Suggerisco senz’altro un auto-re che amo molto, il cardinale CarloMaria Martini, già vescovo di Milano,che ha scritto di San Paolo in diversi te-sti e di cui l’editore ha riunito oggi no-ve meditazioni in un piccolo libro daltitolo “Il vangelo di Paolo” (Editrice An-cora, Milano, 2007 pagg. 125). I temidella conversione e della passione sonotrattati in riferimento a Paolo, ma anchein riferimento a personaggi storici e so-prattutto a noi che leggiamo (“Dove eriquando la Parola ti ha raggiunto?”). Belli iriferimenti e i paralleli con vite di San-ti e di credenti nella storia. Paolo eraebreo e “bisogna aver conosciuto gli ebrei persentire con quanta intensità anche oggi dico-no di essere ebrei… Il caso più tipico è quel-lo di Simon Weil. Ella ha... scritto delle pa-gine forse tra le più belle sulla vita cristia-na…ma non è mai giunta al Battesimo “per rinunciare Paolo al suo essere ebreo,cosa gli è stato rivelato? perché parla dirivelazione prima che di conversione?Quando parla della passione di Paolo,Martini non può evitare di avvicinarla aquella di Gesù: quali sono le diversità? Ecos’è la passione per il cristiano? Ci par-la di Teresa di Lisieux e ci spiega “comela vita dei santi può aiutarci a penetrare me-glio la passio Christi e la passio Pauli”.Brani della lettera agli Efesini, ai Corin-

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I L G I U B I L E O P A O L I N O

zi e ai Tessalonicesi sono oggetto di unavera e propria lectio divina: prima cer-cando di capirne il senso nel contestopaolino e poi con la meditazio cercandodi stimolare e interrogare il lettore, in-dagando le contraddizioni e le profon-dità della fede “Noi intuiamo da una par-te che Dio è trascendente, inafferrabile, indi-sponibile… dall’altra intuiamo che Dio èimmanente e si fa presente, pur in forme di-screte, invitanti, ma dolci e non matematica-mente cogenti”. La riflessione tocca temicruciali della vita dell’uomo: la sofferen-za e la consolazione, il mistero del malee dell’iniquità. La meditatio si apre al mi-stero “su questi temi mi accorgo di esserebalbettante come di fronte all’assurdo e visuggerisco brevemente dei punti che forse viaiuteranno nella riflessione personale, che cia-scuno provvederà ad arricchire”.Aperto all’attualizzazione storica, mapiù rivolto ai temi sociali e collettivi,che alla meditazione personale è inveceil brevissimo “Paolo, sulle strade del-l’impero proclamando il Dio della vita”(EMI, Bologna, 2008, pagg. 45) di AlexZanotelli per il quale “Paolo, missionariodel Risorto, sulle strade dell’impero romano,diventa per noi di un’attualità bruciante,chiamati ad annunciare la buona novella nelcuore dell’impero del denaro, i un momentocosì grave per l’umanità e il pianeta”.Come i tempi di Paolo siano straordi-nariamente somiglianti ai nostri, vienesottolineato anche da Andrea Riccardi,nel suo sintetico Paolo uomo dell’incon-

tro (Ed. Paoline, Alba, 2008, pagg. 72).Parliamo di società multiculturali, glo-balizzate, a più voci, dove il pluralismoreligioso genera relativismo o il suocontrario, l’estremismo, con il rischiodell’intolleranza. L’incontro tra le cultu-re può però diventare un’opportunità:Paolo sceglie questa strada ed «entra, conil suo messaggio, nei mondi culturali e lin-guistici del proprio tempo, non li subisce, liriabilita con la fede cristiana».Avrei voglia di continuare con i sugge-rimenti, soprattutto a comprendere ilvastissimo terreno delle esegesi delleLettere, ma scriverei un intero volume.Mi limito perciò a segnalare due contri-buti di autori un po’ scout: il primo è“Le catene della speranza. Riflessionisulle lettere di Paolo dalla prigionia”(San Paolo edizioni, Torino, 2008, pagg.208) di mons.Diego Coletti, già assi-stente generale dell’Agesci, oggi Vesco-vo di Como. In ogni pagina del librotroviamo un frammento delle lettere diPaolo, accompagnato da un breve com-mento, che introduce e commenta laparola dell’Apostolo. Il secondo è unquaderno scritto da un gruppo di Assi-stenti ecclesiastici del Piemonte nel2005 ed edito da Fiordaliso (Roma,pagg. 96) nella collana Tracce, “Primalettera di Paolo ai Corinzi”, per i capiche vogliono proporre in comunità ca-pi (ma forse anche in clan) la letturastrutturata di una lettera di San Paolo,con piste di riflessione, suggerimenti di

attività e un percorso di preghiera.E per chi vuole organizzare un’attivitàcon i ragazzi in reparto o anche in bran-co? Le librerie specializzate sono benfornite anche di sussidi e racconti rivol-ti ai più giovani. Tra i tanti titoli sugge-risco il libretto “Priority mail. San Pao-lo scrive a noi. Campo scuola. Sussidioper i ragazzi”, Edizioni Dehoniane Bo-logna, 2008. In 64 pagine invita i ragaz-zi a identificarsi con i “postini” che por-tano le lettere di san Paolo attraversol’impero romano. Ogni giornata analiz-za una lettera e un tema ad esso colle-gato: Corinti (l’amore); Romani (la fe-de); Galati (la libertà); Filippesi (l’amici-zia); Efesini (l’unità); Timoteo (la perse-veranza); infine il martirio di Paolo e ilsuo mandato. Che continua fino a noi.

Laura Galimberti

1 Mons Rinaldo Fabris, biblista e teologoitaliano, di cui questo numero di Servireospita un articolo, ha scritto in realtà mol-tissimo su San Paolo e volumi ben più ap-profonditi sugli aspetti teologici ed esege-tici di quello segnalato. Se volete ap-profondire la lettura non avete di questoautore che l’imbarazzo della scelta, il vo-lume più importante è forse “Paolo, l’A-postolo delle genti” (Edizioni Paoline, Al-ba, 1997, pagg. 624), ma diversi sono an-che i commenti alle Epistole (es. “Primalettera ai Corinzi”, Edizioni Paoline, Alba1999, pagg. 294).

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Collaboratori: Maria Luisa Ferrario, p. Giacomo Grassoo.p., Cristina Loglio, Giovanna Pongiglione, p. RemoSartori s.i.

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I.R.

1. Nel tempo della cristianità un patrono o un fondatore

era uno stendardo, una confraternita, una devozione,

insomma qualcosa per specificare, articolare, dilatare. Il

modo di specificare la sequela di Cristo.

2. Nel tempo dell’evangelizzazione un patrono ci serve

per sintetizzare il messaggio evangelico. È il modo per

andare a Cristo.

3. Un patrono ingombrante perché ha scritto molto, il

vangelo di Paolo, e perché egli stesso appartiene alla

rivelazione cristiana.

4. 6 nodi sintetici paolini per la Branca R/S

• La conversione: cifra sintetica della vita cristiana in

tempo di minoranza: non è un vago credere, ma

cambiare modo di pensare e di vivere concretamente.

Tra scelta e conversione meglio conversione. Questo

si chiede a chi vuole essere cristiano: cambiare vita.

La strada: cammino di conversione.

• L’uomo vecchio e l’uomo nuovo: la tensione di

vita. L’uomo della carità. La strada dell’uomo

nuovo: dal vecchio al nuovo. L’uomo/donna della

partenza: l’uomo nuovo secondo la carità.

• Cristo crocifisso, scandalo e stoltezza, ma potenza

di Dio. È l’amore che da la vita. Questo si crede,

questo salva. Con-morire e con-vivere. Da ricco

che era s i spogliò. Questo si crede con

obbedienza

• Se Cristo non è risorto vana è la nostra fede. La

vita nuova ed eterna, la risurrezione, la speranza,

questo si crede con obbedienza

• Dio ha preso ciò che nel mondo è povero e

disprezzato e ne ha fatto segno della sua potenza:

la chiesa.

• La missione: annunciare il poco o il tanto che

Dio ti ha fatto.

San Paolo patrono della branca Rover e ScoltePerché un patrono? Cosa ci serve in questo tempo?

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