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Lettera per il Giubileo della Misericordia

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Carissime consacrate e carissimi consacrati,

1. Nel 1997 san Giovanni Paolo II istituì la “Giornata mondiale della Vita Consacrata”, che viene celebrata il 2 febbraio. Per l’occasione, permettete a me - che con voi condivido l’impegno solenne di praticare, con l’aiuto del Dio Misericordioso e paterno, i voti di povertà, obbedienza e castità -, di scrivervi rivolgendomi al vostro cuore vorrei invitarvi a meditare con me sul senso della nostra consacrazione, particolarmente a conclusione dell’anno speciale che la Chiesa ha voluto dedicare alla vita consacrata che, proprio il 2 febbraio 2016, si chiude in Vaticano con un grande evento, iniziato il 28 gennaio, dal titolo: Vita consacrata in comunione. Il fondamento comune nella diversità delle forme. Giova, infatti, conoscere meglio il grande mosaico della vita consacrata; vivere la comunione riscoprendo l’unica chiamata nella diversità delle forme (Ordo virginum, vita monastica, Istituti apostolici, Istituti secolari, nuovi Istituti e nuove forme di vita consacrata). Soprattutto, giova corroborare il nostro ruolo e la

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nostra presenza lungo il cammino del grande Giubileo della Misericordia, che affida, a tutti noi consacrati, il mandato specifico della nostra vocazione: essere dei volti con i lineamenti della tenerezza e della misericordia del Padre; essere testimoni e costruttori di una fraternità autenticamente vissuta, in collaborazione con le Chiese diocesane, nelle quali i nostri Superiori ci hanno destinato a nome di Dio.

2. Ovunque, sono state aperte Porte sante, per spalancare, a tutti, la grazia e la misericordia del nostro Dio. Chiunque voglia passarvi, alle condizioni penitenziali indicate, sarà scelto dal Padre per una nuova vita in Cristo, con la forza dello Spirito Santo: “… perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti” (Sap 3,9). Noi sappiamo, tuttavia, che tante, troppe porte sono ancora chiuse a causa dell’egoismo e dell’indifferenza! Sorelle e fratelli consacrati, noi, pur avendo ciascuno la nostra dimora, viviamo tendenzialmente in comunità o fraternità: ma quante volte gli altri che condividono con la dimora il nostro stesso credo, finiscono con il rappresentare non un’occasione di gioia ma di sopportazione.

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Davanti ad una porta santa, chiunque continuasse a tenere chiuso il proprio cuore e il proprio giudizio sugli altri, senza cercare, invece, di provare a cambiare, non sarebbe come una persona morta? Non dovremmo, invece, essere noi le persone gioiose e viventi che aspirano alla perfetta carità, sapendo che la caparra del cielo è quaggiù, nel nostro stare in vita comune con gli altri?

3. Dio non voglia che le porte dei nostri cuori puri, poveri e obbedienti restino chiuse all’azione potente dello Spirito Santo; Dio non voglia che i nostri cuori rimangano impermeabili alle richieste di chi battezzerà in Spirito Santo e fuoco! Ogni nostro cuore ed ogni nostra dimora siano dunque aperti e accoglienti, a partire dalla “casa di Gesù”, che è la Chiesa, come l’ha definita papa Francesco in una delle Omelie di “Santa Marta”: “È la casa di Gesù e Gesù accoglie. Ma non solo accoglie, va a trovare la gente come è andato a trovare questo. E se la gente è ferita, cosa fa Gesù? La rimprovera perché è ferita? No, viene e la porta sulle spalle. E questa si chiama misericordia. E quando Dio rimprovera il suo popolo – ‘Misericordia voglio, non sacrificio!’ - parla

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di questo”. La misericordia, sorelle e fratelli di vita consacrata, è davvero l’architrave di ogni cuore e di ogni casa. Ha scritto il Papa nel documento d’indizione del Giubileo straordinario: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia”».

4. Che cosa significa per noi consacrati e consacrate, questa riflessione, in un contesto culturale e mediatico esasperato da un concetto di giustizia, che alcune volte ha solamente il sapore amaro della vendetta? Come addolcire, prima degli altri credenti e persone di buona volontà, il nostro cuore, chiedendo perdono a Dio e ai fratelli dei nostri errori? Come addolcire i cuori degli altri, cui siamo mandati come confessori, come predicatori, come insegnanti, come catechisti e catechiste, come consiglieri spirituali? Coloro che

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tra noi sono presbiteri, oppure svolgono compiti di evangelizzazione o di catechesi, lo stanno certamente già spiegando e attuando quotidianamente. Ma io, mi e vi domando e chiedo anche a voi in questa meditazione ad alta voce: che cosa significa per noi tutto questo, se anche noi - in prima persona - dobbiamo sperimentare l’abbraccio paterno e materno del Padre? È lo stesso Papa che ci offre degli stimoli, citando le parole di s. Giovanni Paolo II: “La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28)”.

5. Noi, con la nostra pratica assidua di un cuore libero da qualunque attaccamento terreno, vogliamo ricordare a tutti che la terrà è di Dio e che ogni azione umana, anche scientifica e tecnica, non deve far

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altro che aiutare l’essere umano a badare a ciò che essenziale. Noi, con la nostra pratica che sa ubbidire al Superiore come a voce di Dio in situazione, vogliamo rammentare a tutti che l’unica autorità è quella dell’Altissimo, a cui si deve piegare ogni ginocchio: “nel nome di Gesù/ ogni ginocchio si pieghi/ nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10). Noi, con il nostro stile di verginità e castità radicale, vogliamo ricordare che solamente un cuore indiviso e un corpo cristallino consentirà al Misericordioso di manifestarsi con efficacia anche nelle situazioni più disonorevoli. In questo senso la nostra vita consacrata è fondamentalmente vita con Cristo, in Cristo e per Cristo; è testimonianza, impronta e addirittura tentativo d’esser calco di Cristo, prima che “attività per”. La nostra prima missione, dunque, è ricordare il primato di Cristo, nel quale la storia si compendia e s’invera, in quanto egli è l’atteso. Ecco perché in ogni liturgia dichiariamo: “… nell’attesa della sua venuta”.

6. Ci potremmo, forse, trovare, come i discepoli di Emmaus, a parlare di ciò che sta accadendo, delle speranze disattese,

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delle illusioni, della rarefazione delle vocazioni di speciale consacrazione, di quanto sia gravoso assumere impegni e incarichi, (quali, ad esempio, amministrare case sempre meno abitate) e tanto altro ancora… Sono i problemi dei nostri luoghi di contemplazione, dei nostri conventi e della nostre comunità. In tutto questo – che pure va soppesato e affrontato a occhi aperti e con decisioni condivise da parte di chi ha la responsabilità di decidere –, bisogna comunque far posto al “divino viandante”. Egli è l’unico in grado di offrire una visione nitida e globale ai nostri occhi miopi e ci invita a leggere, “ruminare” ed interiorizzare le Sacre Scritture e nella loro luce individuare i segni dei nostri tempi: «Stolti e lenti di cuore nel credere alle parole dei profeti!» (Lc 24,25-26). Ora, uno dei segni nitidi di questo tempo è imitare e annunciare lo stile del misericordioso Signore Gesù Cristo, il quale non condanna prima d’incontrare la persona e non vuole essere giudice se non dopo essere stato tenero nei confronti di chi è caduto ed ha sbagliato.

7. Ho scritto nella mia Lettera pastorale per l’anno diocesano 2015-2016 che la

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misericordia è come un prisma misterico che, in ogni mese dell’Anno giubilare straordinario dovrà trarre e attuare un aspetto particolare: “Di quello che ho chiamato il prisma misterico che è il Volto misericordioso di Cristo, voglio trarre, ogni mese, come una sfumatura particolare, proveniente sempre dall’unico mistero di Gesù Cristo. Come fece con Mosè all’atto di ricevere le tavole della Legge, Dio si manifesti anche a noi in molti modi, mese per mese, nel corso dell’anno giubilare; scenda per noi dalla nube (cfr. Es 34,5) e ci consenta di ascoltare, soprattutto attraverso la voce dei pastori, dei ministri e degli speciali Missionari della misericordia”, che il Papa c’invierà nell’imminente Quaresima, l’annuncio consolante per ciascuno di noi e per tutto il popolo di Dio. Di questo prisma misterico, il mese di febbraio, attraverso la nostra vita, dev’essere un riverbero della salvezza portata dal Salvatore: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza:/ luce per rivelarti alle genti/ e gloria del tuo popolo, Israele” (Lc 2,30-32). Il valore salvifico della misericordia sta tutto nel primato assegnato al perdono rispetto alla sottolineatura previa delle colpe, della

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riconciliazione rispetto alle chiusure, della fraternità solidale rispetto all’egoismo. Tutti sono invitati, compresi – ovviamente - consacrate e consacrati.

8. Scrutiamo e aiutiamo gli altri a scrutare il volto misericordioso del Signore, sorelle e fratelli! Santa Chiara, invitando Agnese di Boemia a guardare lo specchio, che è il Signore Gesù nella totalità del suo mistero di povertà e di gloria, spiegava: “Scrutare in esso il tuo proprio volto: quotidie, ogni giorno [...], di continuo, senza interruzione” (FF. 2859-2911. I, II, III, IV Lettera ad Agnese di Praga). Vivendo in tal modo ciascuno di noi diventerà “teologo” e “teofilo”, ovvero seguirà la giusta rotta e potrà spingere il proprio vascello in mare aperto, verso l’eternità. La nostra bussola resta la preghiera, personale, comunitaria e liturgica: uno stile che dobbiamo diffondere tra i fedeli. Si interrogava papa Paolo VI: “Una domanda innanzi tutto: prega oggi l’uomo? Dove la Chiesa vive, sì. La preghiera è il respiro del Corpo mistico, è la sua conversazione con Dio, è l’espressione della sua carità, è lo sforzo di arrivare al Padre, è il riconoscimento della sua provvidenza nella dinamica degli

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avvenimenti nel mondo, è la supplica alla sua misericordia e all’intervento del suo aiuto nella deficienza delle nostre forze, è la confessione della sua necessità e della sua gloria, è la gioia del Popolo di Dio di poter inneggiare a Lui, Dio, e al tutto che da Lui ci viene, è la scuola della vita cristiana. Cioè la preghiera è un fiore che germina sopra una duplice radice viva e profonda: il senso religioso (radice naturale), e la grazia dello Spirito (radice soprannaturale), che anima in noi la preghiera. Anzi si può dire che la preghiera è l’espressione-vertice della Chiesa, ma ne è altresì l’alimento, il principio: è il momento classico in cui la vita divina comincia a circolare nella Chiesa; perciò ne dovremo avere massima cura e altissima stima, ben ricordando, come dice il Concilio, che “la sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa; infatti è necessario che prima... gli uomini siano chiamati alla fede e alla conversione” (beato Paolo VI, Discorso del 22/8/1997 a Castel Gandolfo, Insegnamenti, XI (1973), 789-795).

9. Quante volte, nell’esame di coscienza quotidiano e in quello che precede il nostro andare a confessarci per celebrare

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il sacramento del perdono, ci sentiamo indegni, in ritardo, impari rispetto alle attese del Signore e della Chiesa per noi… Non disperiamo mai! Difatti, “un’altra verità succede; un’altra sorte è riservata all’uomo per il sopraggiungere di un gratuito, onnipotente e ineffabile disegno di Dio: la misericordia. Alla miseria dell’uomo viene in soccorso la misericordia divina. E voi sapete con quale provvidenza: ‘dove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia’. E, sapete, con imprevedibile amore: Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo ha assunto su se stesso la missione redentrice. ‘Lui, che non conosceva il peccato, si è fatto peccato per noi, affinché noi diventassimo in lui giustizia di Dio’. Cioè si è offerto vittima espiatrice in nostra sostituzione, meritando per noi una restituzione allo stato di grazia, cioè alla partecipazione soprannaturale alla vita di Dio. Non avremo mai abbastanza esplorato questo piano redentore nel quale si rivela l’infinita bontà di Dio, l’amore incomparabile di Cristo per noi, la fortuna senza confini offerta al nostro eterno destino. Entrare in questo piano significa per noi fare penitenza, cioè sapere, accettare, rivivere questa economia di salvezza. Che cosa v’è di più grande, di

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più necessario, e, in fondo, di più bello e di più facile e di più felice?” (beato Paolo VI, udienza del 20/3/1974, Città del Vaticano, Insegnamenti XII (1974), 270-274).

10. Con queste parole di consolazione, vi ringrazio tutti per la preziosa opera che svolgete in favore di tanta povera gente in nome dei vostri Ordini, Congregazioni e Istituti. Lo scrittore francese Georges Bernanos, ha scritto che il mondo ha sempre bisogno dell’equilibrio mistico della grazia, che gli viene assicurato da due fonti: l’eucaristia e il martirio (G. Bernanos, Dialoghi delle Carmelitane, trad. di G. A. Piovano, Morcelliana, Brescia 2008). Per un’intensa e profonda vita spirituale, per un’effettiva incidenza dei religiosi nel corso dell’anno giubilare, bisogna perciò ritornare alla preghiera (soprattutto eucaristica), all’entusiasmo del cammino verso una più alta perfezione: tendere alla testimonianza radicale, al martirio, al silenzio, all’ascesi, all’esercizio delle virtù, alla vita fraterna, al distacco dai sensi e dai beni effimeri, naturalmente nel contesto storico in cui si vive, nella realtà mondiale, italiana, meridionale, in cui ci troviamo. Gli altri dovranno poter dire di ognuno di

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noi, di ogni comunità religiosa, piccola o grande: “Guarda come si amano” (Lettera a Diogneto), “Quella casa è una piccola Betania” (cf Gv 11,18). Sono davvero, tutte le nostre case, oggi, delle “piccole Betania”? Quale potrebbe essere il futuro plausibile verso cui orientare le scelte di tutti noi, persone di vita consacrata, che restiamo donne e uomini del nostro tempo e, insieme, siamo chiamati dal Concilio ecumenico Vaticano II ad essere i portabandiera del mondo che sta per venire?

Tutti vi voglio bene e vi X benedico, uno per uno.

Vincenzo Bertolone

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Finito di stampare nel mese di febbraio 2016 presso Grafiche Simone sas - Catanzaro

0961.760689 - [email protected]