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Il dopoguerra tedesco nell’opinione italianaMontanelli inviato del “Corriere della Sera”
Filippo Focardi
Nell’estate del 1948, in un momento contrassegnato dall’avvio del processo di costituzione dello Stato tedesco occidentale e dalla reazione sovietica concretizzatasi nel “blocco di Berlino”, il “Corriere della Sera” decideva di inviare in Germania come osservatore privilegiato uno dei suoi giornalisti più prestigiosi: Indro Montanelli. Tenace sostenitore della linea politica statunitense, Montanelli cercò con le sue corrispondenze di fornire alla nascente Repubblica federale tedesca una duplice legittimazione sia rispetto allo Stato germanico in fase di costituzione ad est dell’Elba, sia come riconoscimento del diritto dei tedeschi a reinserirsi nel consesso dei popoli civili. In questo senso Montanelli mirò a riconciliare l’opinione pubblica moderata del “Corriere” con il popolo tedesco, superando il carico dei risentimenti germanofobi retaggio della guerra. Critico severo del principio della “colpa collettiva” e della denazificazione, rivendicò 1’esistenza di un’“altra Germania” antagonista del nazismo, capace di un “autonomo esame di coscienza” e meritevole di ogni fiducia. Tale Germania non era quella del movimento operaio tedesco, tacciato anzi (specie per quanto riguarda la competente comunista) di connivenza col nazismo. Essa veniva invece identificata con le forze militar- borghesi, le uniche — a suo avviso — ad aver prodotto una resistenza antihitleriana. All’immagine di una Germania fanatica e guerriera, Montanelli ne contrapponeva una edulcorata e rassicurante fondata sulle tradizioni dell’umanesimo tedesco, sui valori piccolo-borghesi di una vita serena e pacifica (la “Germania dello strudel, della birra e dei salsicciotti”), sulle virtù rigeneratrici di uno sviluppo economico fondato sull’intraprendenza individuale. Tale immagine sarebbe poi invalsa da Adenauer a Kohl, senza riuscire del tutto a rimuovere profonde e ricorrenti preoccupazioni.
In the summer of 1948, a period marked by the oncoming construction of a West-German state countered by a Soviet reaction culminating in the “Berlin blockade’’, the “Corriere della Sera’’ sent to Germany Indro Montanelli, one of its most prominent commentators. A strenuous supporter of the American policy, in his reports Montanelli seeked to credit the rising Federal Republic with a double legitimation, both as against the other German state rising east of the Elba river and in defence of the right of Germany to be readmitted in the family of civilized nations. To this end Montanelli strived to reconcile the typical “moderate’’ reader of the “Corriere’’ with the Germans, overcoming the bitter resentment due to the war events. Extremely critical toward the “collective guilt” assumption and the policy o f denazification, he claimed the existence of “another Germany” hostile to Nazism and capable of “an autonomous self-examination”, hence utterly reliabile under every respect. Such was not the Germany of the workers movement, accused on the contrary of intelligence with the Nazis, at least as far as the Communists were concerned; rather, this Germany was to be identified with the military-bourgeois forces, the only ones accredited to have developed — in his view — a visible resistance. To the spectre of a warlike Prussian Germany Montanelli opposed the edulcorated and reassuring image based on the tradition of classical studies, the Biedermeier values of quiete ordinary life (the “Germany of strudel, beer and sausages”) and the revitalizing virtues of an economic growth brought off through individual free enterprise. An image bound to gain lasting popularity from Adenauer to Kohl, yet never capable of ousting deep and recurrent concern over the role and fate of the new Germany.
Italia contemporanea”, dicembre 1995, n. 201
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Montanelli, il “Corriere della Sera” e la sfida americana per la Germania
Il 22 giugno 1948, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma monetaria nelle “zone” occidentali della Germania1, il “Corriere della Sera” affidava ad uno dei suoi giornalisti più prestigiosi, Indro Montanelli, il commento dell’importante notizia. Già in procinto di partire per Francoforte come inviato speciale per compiere un’indagine sulla questione tedesca, Montanelli non tralasciava di rilevare, oltre all’aspetto economico, anche il decisivo significato politico della riforma2. Certo necessaria e indilazionabile per avviare il rilancio produttivo della Trizona3 da tempo sprofondata nel “micidiale disordine” di una perversa spirale speculativo-infla- zionistica, l’introduzione della “Deutsche Mark” aveva a suo dire l’effetto di sancire in maniera perentoria la “spartizione della Germania” , ratificando l’“immissione della Germania dell’Ovest nel piano Marshall e nel sistema economico occidentale, senza più possibilità di equivoci” . La “Deutsche Mark” diventava dunque agli occhi di Mon- II
tanelli “una specie di linea Curzon dell’Occidente”, la più rigorosa — egli notava — fra le “Demarkationslinien” formatesi sul bordo della “cortina di ferro” . Un’altra tappa veniva cosi a compiersi verso la “divisione del mondo in due blocchi antitetici e irreconciliabili” .
Dopo aver illustrato ai lettori del “Corriere” le ragioni economiche delle misure predisposte dalle autorità americane e averne descritto senza infingimenti le drastiche conseguenze politiche, due giorni più tardi Montanelli non esitava ad esprimere un giudizio nettamente positivo su quest’ultime, accettandone di buon grado tutte le implicazioni4 quali ad esempio l’introduzione della nuova moneta che significava inequivocabilmente “l’abbandono dell’accordo di Potsdam”, l’unico “contratto” cioè che ancora vincolava le quattro nazioni vincitrici. Tale esito non doveva suscitare eccessivi allarmismi: gli interventi degli alleati in Germania negli ultimi tre anni erano tutti avvenuti in deroga degli accordi stipulati a Potsdam e peraltro fondati a suo avviso su un coacervo di errori madornali5. Non si poteva certo imputare alla rifor-
II presente lavoro si basa sulla ricerche condotte da chi scrive per la tesi di laurea dedicata a La questione tedesca e l'opinione pubblica italiana: il “Corriere della Sera’’ (1945-1949), discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze nell’anno accademico 1992-1993, relatore il professor Enzo Collotti.1 Dopo aver preso agli inizi di giugno la decisione definitiva di procedere alla costituzione di uno stato tedesco occidentale, francesi, inglesi ed americani predisposero l’introduzione di una nuova moneta nelle “zone" della Germania da essi occupate. Annunciata il 18 giugno, la riforma monetaria era entrata in vigore due giorni dopo. Sull’argomento cfr. Enzo Collotti, Storia delle due Germanie (1945-1968), Torino, Einaudi, 1968, pp. 127-130 e Antonio Missiroli, La questione tedesca. Le due Germanie dalla divisione a ll’unità (1945-1990), Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, pp. 39-41.2 I. Montanelli, Spartizione della Germania, “Il Nuovo Corriere della Sera” (d’ora in poi CdS), 22 giugno 1948.3 Con questo nome si indicava l’insieme delle tre zone occidentali della Germania sottoposte all’occupazione francese, britannica e statunitense. Il governo di Parigi aveva preso la decisione di unire la propria zona alla Bizona anglo-americana (già costituitasi nel 1946) in occasione della seconda conferenza di Londra (25 aprile-2 giugno 1948). In questa sede Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, in intesa con i tre Paesi del Benelux, avevano concordato [’inserimento delle rispettive zone nell’Organizzazione per la cooperazione economica europea ed espresso il proposito di creare uno Stato tedesco occidentale e di dar vita ad un ente internazionale per il controllo della Ruhr. (Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit„ pp. 126-127)4 I. Montanelli, Fine di Potsdam, CdS, 24 giugno 1948.5 Montanelli sottolineava in particolare due errori commessi dagli alleati: la divisione della Germania in zone secondo criteri sconsiderati che avevano compromesso il funzionamento economico del paese e l’assunzione in proprio della gestione amministrativa senza porre un termine di tempo, supponendo di poterla svolgere “di comune accordo” e con l’esclusione dei tedeschi. Ricordiamo che a Potsdam i vincitori avevano concordato le misure attuative dei principi già fissati a Yalta per il trattamento della Germania. Erano stati previsti criteri ed organi di gestione unitaria del Paese (cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 20-27)
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ma monetaria la responsabilità dell’“uccisio- ne” di Potsdam: il suo “decesso risaliva già a vari mesi, solo che nessuno aveva avuto [...] il coraggio di constatarlo e di provvedere alla rimozione del cadavere” , rimasto invero troppo a lungo ad “ingombrare l’opera di ri- costruzione” . Ma l’accordo di Potsdam non doveva essere in alcun modo rimpianto: l’esperienza stava a dimostrare che “ soltanto da quando gli angloamericani si sono decisi ad archiviare quel documento, la loro azione in Germania ha cessato di essere negativa e si è messa sulla strada di una autentica ricostruzione”6. L’incisivo intervento con i due articoli sulla prima pagina del “Corriere” cui abbiamo fatto riferimento e le numerose corrispondenze spedite poco dopo dalla Germania durante i mesi “caldi” del “blocco di Berlino” , testimoniavano il pieno recupero da parte di Montanelli di un ruolo di primo piano sul giornale milanese.
Collaboratore del “Corriere” dal 1938, egli aveva acquisito enorme notorietà nei primi anni del conflitto mondiale come inviato speciale sui più diversi fronti di guerra7. Per le sue corrispondenze ostili all’azione espan
sionistica della Germania hitleriana e refrattarie alla retorica bellicistica e interventista di Roma, Montanelli era però entrato ben presto in rotta di collisione col regime musso- liniano. In poco tempo la rottura si era fatta definitiva e irricomponibile. Esauritasi progressivamente la sua fiducia nel fascismo8, dopo l’8 settembre Montanelli aveva abbandonato il giornale, caduto sotto il controllo repubblichino, ed era passato nella clandestinità, impegnandosi nell’attività antifascista9. Arrestato dai tedeschi nel febbraio 1944 e condannato a morte, era riuscito ad evadere dal carcere e a rifugiarsi in Svizzera. Tornato al “Corriere” dopo la Liberazione, aveva vissuto un difficile rapporto col nuovo direttore Mario Borsa, vecchio democratico di ascendenza mazziniana assai vicino al Partito d’azione e a Ferruccio Parri10. Rappresentante di un antifascismo conservatore fortemente prevenuto verso le istanze di trasformazione economico-sociale sostenute dalle forze politiche della sinistra, monarchico fervente, Montanelli non aveva trovato spazio adeguato sul quotidiano di via Solferino. La linea politica del quotidiano era, infatti, im-
6 I. Montanelli, Fine di Potsdam , cit.7 Inviato speciale a Berlino nei giorni dello scoppio della guerra, Montanelli segui in prima persona molte delle più importanti vicende belliche quali l’aggressione tedesca della Polonia, l’invasione sovietica dell’Estonia, il conflitto russo- finnico, la sfortunata azione britannica in Norvegia, le varie fasi della guerra nei Balcani. Su quest’esperienze e sulle successive di cui riferiamo, cfr. Glauco Licata, Storia del Corriere della Sera, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 294 sg.; Claudio Mauri, Montanelli l ’eretico, Milano, Sugarco, 1982, pp. 47 sg.; nonché quanto riferisce lo stesso Montanelli nel suo Qui non riposano, Milano, Mondadori, 1954 (prima ediz. 1945), pp. 131 sg.8 Dopo gli esordi giovanili di una sincera militanza fascista con la collaborazione a “L’Universale” di Berto Ricci e l’esperienza da ufficiale volontario in Etiopia, già al momento della guerra di Spagna Montanelli (allora inviato del “Messaggero”) aveva avuto un primo, duro, scontro col regime. Per un articolo non gradito al governo, il giornalista era stato richiamato in Italia, radiato dall’albo professionale e licenziato. Espulso inoltre dal partito, egli non avrebbe più fatto richiesta della tessera. Sulla vicenda cfr. C. Mauri. Montanelli l ’eretico, cit., pp. 28-29 e I. Montanelli, Qui non riposano, cit., pp. 113-121.9 Già nei primi mesi del 1943, tramite Ugo La Malfa, Montanelli era entrato in contatto con ambienti milanesi di “Giustizia e libertà” . Alla caduta del fascismo, il 25 luglio, nel breve periodo precedente la nascita della Repubblica di Salò, pubblicò sul “Corriere” articoli di condanna contro il regime. Sempre nello stesso periodo, aveva cominciato a frequentare la cerchia di Maria Josè, moglie del principe Umberto, di cui erano note le simpatie per gli alleati. Entrato dopo l’8 settembre nella clandestinità, al momento in cui fu arrestato, nel febbraio 1944, stava per assumere il comando di una formazione partigiana nell’Ossola (Cfr. C. Mauri, Montanelli l'eretico, cit., p. 64-65).10 Sul personaggio Borsa, si rimanda all'autobiografia uscita nel 1945. (Mario Borsa, Memorie di un redivivo, Milano, Rizzoli, 1945). Sulle vicende che portarono alla scelta di Borsa come direttore del “Corriere” e sulla sua gestione del giornale, cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit., pp. 383-412.
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prontata alla rivendicazione della necessità di un profondo rinnovamento democratico della società italiana e Borsa aveva schierato il “Corriere” a sostegno della causa repubblicana durante la campagna per il referendum istituzionale. Pressoché assente dalle pagine dell’edizione principale, confinato alla direzione della “ Domenica degli Italiani” 11, Montanelli aveva dunque dovuto aspettare la “restaurazione conservatrice” 11 12 13 di Guglielmo Emanuel per tornare in auge.
Il cambiamento intervenuto col pieno ritorno del “Corriere” nelle mani dei fratelli Crespi e con la conseguente sostituzione di Borsa con Emanuel nell’agosto 1946 era stato quanto mai radicale1'. Intensificata la collaborazione di uomini fino ad allora rimasti ai margini come Montanelli, Savinio e Piove- ne, il nuovo direttore si era subito assicurato la collaborazione di personaggi prestigiosi dell'antifascismo moderato come Croce e Merzagora, riaprendo anche le porte a giornalisti fortemente compromessi col regime quali Orio Vergani e Cesco Tomaselli. Drastico fu il mutamento di linea politica. All’impegno in senso democratico-progressista profuso dal “Corriere” “ciellenista” di Borsa a favore delle istanze di rinnovamento scaturite dalla Resistenza, subentrò un saldo sostegno alla De degasperiana venato da un vi
goroso sentimento anticomunista. Notevole fu la differenza di atteggiamento anche nei confronti delle questioni di politica estera. Se il “Corriere” di Borsa aveva sempre perorato il mantenimento della cornice roosevel- tiana di collaborazione fra le grandi potenze e auspicato fino in fondo un’Europa federata mediatrice fra Est ed Ovest, il “Corriere” di Emanuel, al contrario, si mostrò innanzitutto preoccupato della minaccia sovietica ed interessato ad una decisa contromanovra angloamericana capace di frenare l’espansionismo del Cremlino14. Il giornale appoggiò pertanto, senza esitazioni, le prime manifestazioni della politica statunitense di containment. Questa posizione era emersa in modo evidente anche a proposito della questione tedesca. Il “Corriere” di Emanuel non esitò infatti a farsi battagliero corifeo del nuovo corso della Deutschlandpolitik americana inaugurato dal discorso tenuto a Stoccarda dal segretario di Stato Byrnes (6 settembre 1946), finalizzato alia riabilitazione politica ed economica della Germania15. L’atteggiamento del giornale era stato contrassegnato da una lettura oltranzista della politica di Washington. Accantonati il richiamo alla cooperazione interalleata e le preoccupazioni per la rieducazione democratica dei tedeschi per ottenere opportune garanzie di sicurezza,
11 Montanelli tenne la direzione della “Domenica degli Italiani”, versione “epurata” della "Domenica del Corriere”, dal settembre 1945 all’ottobre 1946 (cfr. G. Licata, Storia del Corriere delta Sera, cit., p. 611).12 La definizione è di G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit.. p. 433.13 Nel luglio del 1946 i fratelli Mario, Aldo e Vittorio Crespi, proprietari del giornale, erano stati assolti nel processo loro intentato in relazione alle vicende relative all’estromissione nel 1925 di Albertini dal “Corriere”, entrato allora in loro possesso. Recuperato così il pieno controllo, i Crespi avevano proceduto a sostituire Mario Borsa col liberal-con- servatore Guglielmo Emanuel. Sulla questione cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit., pp. 412-419.14 Sulla gestione Emanuel cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit., pp. 433-445.15 II discorso di Byrnes aveva sancito un deciso cambiamento di rotta nella politica occidentale. Al posto della politica di controllo e punizione seguita fino ad allora, si impostava appunto un’azione ricostruttiva volta alla riabilitazione politica ed economica della Germania. Ricordiamo che già dal luglio il segretario di Stato americano aveva avanzato l’idea di procedere alla fusione tra la zona statunitense e le zone delle altre potenze disposte ad aderirvi. La Gran Bretagna aveva espresso subito la propria disponibilità. Per il discorso di Stoccarda cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 35-36 e, sul “Corriere”, Nuova politica di Washington verso la Germania. 7 settembre 1946. In generale, sulla politica tedesca degli Stati Uniti cfr. J. Gimbel, The American Occupation o f Germany: Politics and thè M ilitary 1945-1949, Stanford, Stanford University Press, 1968 e Frank A. Ninkovich, Germany and lite United States. The Tran- sformation o f thè German Question since 1945, New York, 1988.
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su cui aveva invece sempre insistito Mario Borsa, il quotidiano di Emanuel aveva presto interpretato la scelta angloamericana di fusione delle rispettive zone d’occupazione e di rilancio dell’economia tedesca quale necessario e auspicabile preludio ad una strutturazione anche politica della Germania occidentale, destinata a diventare il principale baluardo dell’Occidente16.
Fin dalla vigilia della conferenza di Mosca (10 marzo-24 aprile 1947), il “Corriere” aveva apertamente sconfessato le ragioni dell’amministrazione quadripartita concordata a Potsdam negando l’opportunità di un’intesa col governo sovietico17. Il giornale fondava la sua intransigente posizione sulla convinzione che la Russia si fosse procurata in Germania un netto vantaggio, di duplice natura: da un lato si pensava infatti che l’Urss avesse già compiuto molti passi avanti nell’inserimento della propria zona d’occupa
zione all’interno del blocco sovietico, dall’altro si riteneva che Stalin, dopo l’incisivo intervento di Molotov a Parigi (10 luglio 1946)18, avesse in mano al tempo stesso le carte migliori per tentare una soluzione unitaria, per realizzare cioè la costituzione di un governo centrale tedesco, destinato prevedibilmente a gravitare entro la sfera d’influenza sovietica19.
Di fronte alla sfida “unitarista” lanciata da Mosca che non esitava ad appellarsi direttamente al nazionalismo germanico e a ricercare persino l’appoggio del vecchio prussia- nesimo20, l’unica risposta efficace era parsa pertanto quella di congelare lo status quo, di interrompere la ricerca dell’accordo quadripartito, e di procedere invece in maniera “unilaterale” e a tappe forzate al risollevamento della parte occidentale della Germania. Sostenuta con vigore da giornalisti come Augusto Guerriero21, Indro Montanelli22,
16 Pur condividendo i punti fondamentali delle proposte anglosassoni (unità economica, governo federale, rilancio produttivo), il “Corriere" di Borsa aveva invece sempre rivendicato l’esigenza di mantenere integra la cornice quadripartita. Vi era infatti la convinzione che solo l’accordo con l’Unione Sovietica avrebbe permesso di ricostruire una Germania democratica, al riparo dai possibili rigurgiti del revanscismo tedesco.17 Augusto Guerriero, I! grande problema, CdS. 15 febbraio 1947.18 Intervenendo alla seconda sessione del Consiglio dei ministri degli Esteri, Molotov aveva duramente attaccato sia i progetti separatistici della Francia intenzionata a staccare la Renania e la Ruhr dalla Germania sia i programmi anglo- sassoni per un assetto federalistico dello Stato tedesco. Ad essi, che egli condannava come ispirati da volontà punitiva, Molotov contrapponeva la proposta sovietica di dar vita ad uno Stato tedesco centralizzato. Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., p. 34.19 Augusto Guerriero, La Germania fa tta a pezzi, CdS, 17 agosto 1946.20 Era quanto sosteneva, ad esempio. Montanelli in una sua corrispondenza da Geislingen dell’autunno 1946 (cfr. Montanelli, Patate sulla mensa degli "Junlcer" prussiani, CdS. 10 novembre 1946).21 Editorialista di estera arrivato al “Corriere” al seguito di Emanuel, liberal-conservatore di sentimenti nazionalisti, già sostenitore della politica imperiale del fascismo, l’avellinese A. Guerriero rappresentò sul giornale milanese il punto di vista più strettamente realpolitisch, favorevole ad una ferma contrapposizione strategico-militare dell’Occidente al blocco sovietico. Riguardo alla Germania si vedano, oltre ai due articoli già citati, anche: A. Guerriero, La Germania fra Occidente e Oriente, “Corriere d’informazione” , 17-18 novembre 1947 e A. Guerriero, La Germania dopo la conferenza, “Corriere d’informazione”, 22-23 dicembre 1947. Ricordiamo che il “Corriere d’informazione” era l'edizione pomeridiana del “Corriere”. La tiratura di quest’edizione era di circa 150 mila copie, rispetto alle circa 400 mila dell’edizione principale (per questi dati cfr. Paolo Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Bari, Laterza, 1978, pp.202-203). D ’ora in poi per il “Corriere d’informazione” useremo l’abbreviazione Cdl.22 Montanelli si era accreditato sul giornale come il massimo esperto di questioni tedesche. Egli aveva condotto una prima indagine sulla Germania e sull’Austria nell’ottobre-novembre del 1946, si era quindi occupato del processo Kes- selring nel febbraio-marzo del 1947, era intervenuto con alcuni articoli importanti in occasione della conferenza di Mosca, era infine tornato in Austria come inviato speciale nell’autunno 1947. Avremo modo di menzionare in seguito i suoi articoli più significativi.
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Clara Falcone23, questa linea aveva trovato attuazione con la decisione presa da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, nella primavera del 1948, di procedere aH’inserimen- to delle tre zone occidentali della Germania nel piano Marshall e di avviare la costituzione di uno Stato tedesco dell’Ovest24 25. Inaugurata dall’introduzione della riforma monetaria, iniziava cosi quella delicata fase politica che avrebbe portato un anno più tardi alla nascita della Repubblica federale tedesca. Era una fase di cruciale importanza e per seguirla da vicino il “Corriere” prese la decisione di inviare in Germania in veste di osservatore privilegiato Indro Montanelli il suo maggiore esperto di cose tedesche, che, insieme a Guerriero, si era già messo in evidenza come il più tenace propugnatore della Deutschlandpolitik patrocinata dalla Casa Bianca. Le sue corrispondenze pressoché giornaliere, comparse sul “Corriere” dal luglio 1948 al febbraio 1949, costituiscono una testimonianza di particolare interesse. Con grande abilità Montanelli svolse infatti una duplice, importante funzione da un lato egli difese con efficacia la politica tedesca degli Stati Uniti, giunta in quei mesi al passaggio difficile e decisivo dell’avvio del processo costitutivo dello Stato tedesco-occidentale, rivendicandone sempre un'intransigente applicazione; dall’altro, svolse contemporaneamente un’azione culturale di grande rilievo nel senso di riconciliare il
pubblico del “Corriere” con i tedeschi e con la Germania. Nel momento infatti in cui si profilava la nascita ad ovest dell’Elba di uno Stato tedesco destinato ad integrarsi nel blocco occidentale, diventava necessario agli occhi del giornale superare il carico di risentimenti germanofobi retaggio della guerra. I tedeschi della Trizona si apprestavano a diventare alleati nel comune fronte anticomunista, a costituirne anzi la componente più significativa. Si trattava dunque di presentare un’immagine della Germania diversa da quella inquietante contrassegnata dalla svastica nazista, un’immagine che riconciliasse coi tedeschi l’opinione pubblica moderata cui il “Corriere” si rivolgeva. Fu proprio Montanelli a farsi carico di questo compito impegnativo, svolgendolo con indubbia abilità.
Montanelli e il “blocco di Berlino”
Inviato, forse non a caso, a sostituire il corrispondente Sandro Volta, unica voce che sul giornale non aveva rinunciato a sostenere la possibilità di una soluzione del problema tedesco concordata con l’Urss23, Montanelli partiva per Francoforte proprio nei giorni in cui la situazione in Germania precipitava drammaticamente.
Il 24 giugno infatti, come risposta alla riforma monetaria e alle decisioni prese dalla
23 Clara Falcone scrisse corrispondenze per il “Corriere” dall’Austria e dalla Germania in un arco di tempo compreso fra il settembre 1946 e il marzo 1947. Di lei si possono ricordare: Clara Falcone, Un'occhiaia alla zona russa, Cdl, 9-10 dicembre 1946 e, soprattutto, "Entnazifizierung" parola troppo complicata, Cdl, 17-18 marzo 1947. un articolo fortemente polemico nei confronti della denazificazione.24 Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 126-127.25 Inviato speciale del “Corriere” in Germania dall’ottobre 1947 all’aprile 1948 (vi ritornerà poi nel marzo 1949), Sandro Volta era stata voce particolarmente assidua sul giornale (abbiamo contato 38 lunghe corrispondenze nel periodo suddetto). Egli aveva insistito molto nel mettere in guardia i lettori del “Corriere” circa la persistenza di sentimenti e mentalità nazisti fra i tedeschi. Cosa che lo portava a consigliare il mantenimento di uno stretto controllo su base quadripartita. Non è da escludere che il suo richiamo in Italia, nel momento in cui gli occidentali prendevano la decisione definitiva di dar vita ad uno Stato tedesco occidentale (prima sessione della conferenza di Londra 23 febbraio-6 marzo 1948) provocando la rottura con Mosca (ritiro del generale Sokolovskij dal Consiglio di controllo alleato, 20 marzo 1948), fosse proprio da ricondurre ad una precisa scelta politica del giornale intenzionato ad appoggiare incondizionatamente il corso della Deutschlandpolitik occidentale.
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conferenza a sei di Londra, le autorità sovietiche interrompevano tutte le vie di accesso stradali, ferroviarie e fluviali da e per Berlino, isolando la città col chiaro proposito di annetterla26. Pur dipingendo la situazione come “la più pericolosa e critica” fra quante se ne erano determinate fino a quel momento in Europa, Montanelli escludeva tuttavia recisamente che si fosse alla vigilia di uno showdown militare, che ci si trovasse dinanzi all’ineluttabilità di una prova di forza27.
Sottolineata l’efficacia del ponte aereo organizzato dagli angloamericani per approvvigionare Berlino, egli motivava il proprio ottimismo in base ad una semplice e realistica considerazione. Da quando avevano riconosciuto l’impossibilità di una convivenza coi russi e rinunciato ad una Germania unita sotto il controllo quadripartito, gli alleati occidentali non si erano mai prefissi lo scopo, irrealizzabile, di fare di Berlino la capitale della loro Germania. L’obiettivo perseguito da anglosassoni e francesi era sempre stato infatti quello minimo di evitare che fossero i sovietici a trasformare Berlino, “simbolo dell'unità tedesca” , nella capitale della Germania orientale. E in questo Londra, Parigi e Washington avevano tutti i titoli per riuscire. “I russi — egli scriveva — potranno affamare i berlinesi e metterli nella disperata necessità di fuggire, ma la guar
nigione americana non potranno scacciarla senza guerra. E con una guarnigione straniera in corpo la capitale non si fa”28. Gli occidentali non si trovavano dunque in svantaggio rispetto all’antagonista sovietico, “anzi essi si trovano in netto vantaggio” . Le osservazioni di Montanelli non facevano che confermare la linea ufficiale fissata in un editoriale sul “Corriere” alcuni giorni prima29. “Nessun allarme” per l’azione russa su Berlino, si leggeva nell’articolo. Mosca aveva tutto l’interesse ad evitare “una rottura irreparabile” . Suo vero obiettivo era di “ tornare a sedersi intorno ad un tavolo per trattare” . Prova ne era la risoluzione concordata a Varsavia dai paesi del blocco sovietico, i quali, temendo uno strappo definitivo, avevano rinunciato a proclamare la nascita di uno Stato tedesco orientale ed avevano invece rilanciato la discussione a quattro per la pace tedesca30. La prepotenza delle misure prese da Stalin a Berlino celava in realtà una “ritirata diplomatica” . Era questo il risultato della “tough policy” statunitense. Da quando, edotti dal colpo di stato comunista a Praga, gli Stati Uniti avevano deciso di riarmare e di procedere senza più remore coi propri piani in Germania, il Cremlino si era dovuto porre sulla difensiva perdendo il margine di vantaggio politico-diplomatico accumulato dalla fine della guerra in poi31.
26 Sulla vicenda del blocco di Berlino cfr. Avi Shlairn, The United States and the Berlin Blockade 1948-1949. A study in Crisis Decision-making. Berkeley, 1983 e A. e J. Tusa, The Berlin Blockade, London, 1988. Per un’agile sintesi in italiano cfr. Daniel Yergin, Il blocco di Berlino, in Elena Aga Rossi (a cura di), Gli Stati Uniti e le origini della Guerra fredda. Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 239-258.2i I. Montanelli, Colpi bassi tra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, CdS, 2 luglio 1948.28 I. Montanelli, Colpi bassi tra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, cit.29 Nessun allarme, CdS, 26 giugno 1948.30 Riunitisi a Varsavia il 23 e 24 giugno 1948, i paesi del blocco sovietico avevano da quella sede riproposto l'istituzione di un governo centrale tedesco provvisorio, la conclusione con esso di un trattato di pace e il ritiro di tutte le truppe di occupazione entro un anno dalla stipulazione del trattato.31 Ricordiamo che, all’indomani del colpo di stato comunista in Cecoslovacchia (20-25 febbraio 1948), Il "Corriere" aveva accolto con vivo compiacimento le voci provenienti dagli Stati Uniti circa una possibile “corazzatura” del piano Marshall (Cfr. Ugo Stille, Gli S.U. pronti a concedere garanzie militari ai Paesi de! piano Marshall, CdS, 28 febbraio 1948). Era il segnale di avvio delle discussioni che avrebbero condotto all’Unione atlantica di cui il giornale parlò per la prima volta il 20 maggio 1948.
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Un’“arma spuntata”
Fortemente ridimensionata risultava anche la carta apparsa fino ad allora come la più pericolosa fra quelle in mano di Mosca: l’appello al nazionalismo germanico. Già paventata in un libro importante dell’esule liberal-conservatore tedesco Heinrich Hauser, libro tradotto e pubblicato nel 1947 da Longanesi ed ampiamente utilizzato come fonte di ispirazione da Montanelli32, l’alleanza fra l’“ aquila prussiana” e l’“aquila sovietica” aveva costituito a partire dall’appello gesamtdeutsch di Molotov uno dei fantasmi più inquietanti per la stampa moderata e per il “Corriere” in particolare. Voci reiterate, fra cui lo stesso Montanelli3', avevano ad esempio accreditato 1’esistenza di un’azione sovietica volta a stabilire un connubio organico con la classe dirigente degli Junker, reintegrati nelle loro posizioni di comando dopo le iniziali misure punitive prese con la riforma agraria del 1945. Allo stesso tempo ampio spazio era stato dato alla notizia, ripetutamente affacciatasi, dell’esi
stenza di una grande armata tedesca formata in territorio sovietico da reduci della Wehrmacht posti al comando del celeberrimo maresciallo Paulus e sotto il controllo di Stalin, armata pronta a prendere il posto delle truppe straniere d'occupazione al momento del loro ritiro dalla Germania34 35. Il tema dell’alleanza fra comunismo sovietico e nazional-militarismo germanico, usato dall’inverno del 1947 per screditare sul piano ideologico gli appelli all’unità tedesca lanciati dal Volkskongress33, fu dunque ripreso da Montanelli nei primi giorni successivi all’inizio del blocco di Berlino. Le sue osservazioni se da un lato confermavano l’esistenza degli sforzi sovietici per un’intesa col prussianesimo e il militarismo tedesco, dall’altro però ne dimostravano una volta per tutte la totale inefficacia ed impraticabilità36. Come avevano rivelato i servizi segreti americani, il tentativo di Mosca di conquistare la capitale tedesca era frutto secondo Montanelli di un piano lungamente congegnato, volto alla costituzione di un “grande Reich rosso” abbracciante tutta la
32 Pubblicato nei primi mesi del 1947 col titolo Un tedesco risponde (Milano, Longanesi), il libro di Hauser — già bestseller negli Stati Uniti — fu recensito con toni entusiastici da Montanelli sul “Corriere” (cfr. I. Montanelli, Ha parlato in inglese la prima voce della Germania, CdS, 29 aprile 1947). “Saggio politico di decisiva importanza”, indispensabile per affrontare il problema della Germania “al di fuori e al disopra di ogni rancore e passionalità” , il libro di Hauser aveva costituito per Montanelli l’“atto d'accusa più spietato” contro la politica punitiva inizialmente svolta dagli americani in Germania. Numerose e significative erano inoltre le posizioni politiche e le argomentazioni che Montanelli traeva da Hauser, fra queste ricordiamo la pretesa impossibilità di denazificare il paese “la cui classe dirigente era stata tutta nazista” e la piena riabilitazione degli Junker “unici veri antinazisti” . Come dimostrano alcune corrispondenze del novembre 1946, Montanelli conosceva il testo di Hauser già prima della sua traduzione in italiano e vi si era fin troppo fedelmente ispirato (cfr. I. Montanelli, Patate sulla mensa degli "Junker" prussiani, cit. e Id„ Il campanello nascosto, CdS, 17 novembre 1946).33 Cfr. I. Montanelli, Patate sulla mensa degli "Junker" prussiani, cit.34 Una prima menzione alle “trame” di Paulus coi sovietici risale sul “Corriere” all’autunno del 1946 (cfr. F.H., M issione segreta per von Paulus, Cdl, 19-20 novembre 1946). Si tornò poi a parlare con insistenza dell’“armata von Paulus” (in realtà, però, il generale tedesco non era un “von”) esattamente un anno dopo, a partire dall’ottobre 1947, in occasione della riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri di Londra (25 novembre-15 dicembre 1947).35 Nei giorni in cui si svolgeva a Londra la riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri si era riunito a Berlino (6 e 7 dicembre 1947), su iniziativa delle forze politiche della Germania orientale, il Congresso del popolo tedesco per l’unità e la giusta pace. Esso decise l’invio di una delegazione alla conferenza di Londra, che tuttavia i ministri degli Esteri occidentali rifiutarono di ricevere. Il Volkskongress tornò a riunirsi nel marzo successivo. Da esso prese avvio quel processo costituzionale che doveva portare l’anno successivo alla fondazione della repubblica democratica tedesca (cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 156-158).36 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati al passo dell’oca, CdS, 4 luglio 1948.
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Germania. Constatata l’impermeabilità dei tedeschi all’ideologia comunista e naufragato con ciò il progetto sostenuto dalla dirigenza della Sed37 per la creazione di uno Stato tedesco dell’Est, il Cremlino aveva deciso, già da alcuni mesi, di giocare la carta del nazionalismo, “che — osservava Montanelli — costituisce ancora l’unico linguggio comprensibile ai germanici”38. Abbandonati Ulbricht, Piede e Grotewohl al loro destino39, Stalin si era pertanto rivolto agli ufficiali della Wehrmacht passati al suo fianco, riponendo ogni speranza di successo nell’azione del “omitato nazionale della Germania libera40. Trasferiti in gran segreto nella capitale tedesca i due leader del Comitato, il maresciallo Paulus e il generale von Sey- dlitz, insieme ad altri militari e a membri dell’“ Elmo d’Acciaio” , Mosca aveva dunque posto risolutamente l’assedio a Berlino, unico “pulpito” dal quale il richiamo all’unità germanica avrebbe potuto riecheggiare con forza giungendo a scaldare il cuore di ogni tedesco. Scriveva Montanelli:
Necessario era che quel governo di “von” parlasse dal pulpito di Berlino. Solo a questa condizione il popolo tedesco di qua e di là dalla cortina di ferro avrebbe visto in esso l’espressione della Nazione germanica, quale i Germanici tuttora la concepiscono, nonostante la guerra perduta e la propaganda (sbagliata) con cui gli hanno riempito la testa dopo la disfatta: la Nazione dei soldati e dell’autorità, che non ha colore politico, che ha solo il diritto ed il dovere di farsi obbedire. [...] E non
c’è il minimo dubbio che se gli alleati avessero sgombrato Berlino, oggi Paulus e Seydlitz parlerebbero dalla Wilhelmstrasse in nome dell’unità tedesca e i milioni di reduci della Wehrmacht di tutta la Germania presterebbero orecchio compiacente alla voce di quella sirena. Pochi sono in questo paese coloro che rimpiangono Hitler, reo di aver perso la guerra, ma molti — la stragrande maggioranza — sono quelli che serbano la nostalgia dell’“uomo forte”, del “pugno di ferro”, che domini la situazione e ridia al “Feldwebel” le sue caserme e al poliziotto il suo manganello41.
Contrariamente ad Augusto Guerriero che continuava a prendere sul serio la minaccia rappresentata dall’appello sovietico al nazionalismo germanico42, Montanelli la ridimensionava senza indugio. Egli parlava del ruolo di Paulus e di von Seydlitz e dei progetti ad essi legati principalmente allo scopo di sollevare dalle spalle delle potenze occidentali il peso della responsabilità per la divisione della Germania. Il blocco di Berlino, a suo avviso, non era stato, come faceva intendere Mosca, una legittima reazione alla mossa di rottura rappresentata dall’introduzione della nuova moneta nella Trizona, bensì un’azione da lungo tempo meditata per assumere l’egemonia in Germania. Per quanto riguardava poi le possibilità di successo dei piani sovietici, Montanelli era categorico: esse erano nulle. Nonostante la propaganda degli emissari di Paulus e l’“apostolato” di Ernst Niekisch, prestigioso rettore dell’Università del popolo di Berlino e fautore autorevole di un “bolsce-
37 II partito socialista unitario era nato nell’aprile del 1946 nella zona sovietica dalla fusione di socialdemocratici e comunisti.38 I. Montanelli, Colpi bassi fra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, cit.39 Si trattava dei tre maggiori leader della Sed.40 II Nationalkomitee Freies Deutschland era stato creato nell’estate del 1943 in Unione Sovietica per iniziativa di emigrati politici tedeschi, in gran parte comunisti (E. Weinert. J. R. Becher, W. Ulbricht, W. Pieck e altri), con la collabo- razione di prigionieri della Wehrmacht. Il Comitato fu affiancato dalla Lega degli ufficiali tedeschi (Bund deutscher Of- fiziere) presieduta dal generale von Seydlitz, alla quale aderì anche il maresciallo Paulus, lo sconfitto di Stalingrado (cfr. E. Collotti, La Germania nazista, Torino, Einaudi, 1962, pp. 299-300). E interessante rilevare come Montanelli considerasse il Comitato nazionale per la Germania libera totalmente sotto il controllo e l’ispirazione dei militari.41 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati a! passo dell'oca, cit.42 A suo avviso. Mosca aveva ancora le chances migliori per conquistare un’“anima” della Germania, “anima” prettamente nazionalistica (cfr. A. Guerriero, La lotta per la Germania, CdS, 1 luglio 1948).
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vismo nazionale” filosovietico43, due fattori erano però intervenuti ad ostacolare le trame moscovite: la rottura con Tito e la caparbia resistenza occidentale nella capitale tedesca. Dopo l’“affare Tito” , notava Montanelli44 45, giocare la “carta Paulus-Seydlitz” era diventato troppo rischioso per il Cremlino. Una volta al potere i due generali tedeschi avrebbero potuto seguire infatti l’esempio jugoslavo svincolandosi da Mosca. Ciò che più era venuto a scompaginare i progetti di Stalin era ad ogni modo la tenacia dimostrata da americani, inglesi e francesi nel difendere Berlino. Essa stava mettendo in seria difficoltà i sovietici. Per Montanelli
L’ostinazione degli alleati ha cacciato i Russi in una situazione difficile [...] L’assedio fa ai Sovietici cattiva propaganda, mentre ne fa una eccellente agli Americani il loro imponente ponte aereo. Mosca ha due alternative: o insistere nell’assedio nella vana speranza che gli alleati si stanchino oppure accettare lo smacco, togliere il blocco alla città e tornare al primo modesto programma, un Reich orientale con capitale Lipsia e gli screditati Grotewohl e Pieck alla testa, invece dei prestigiosi
Montanelli per la linea dura
Dagli articoli di Montanelli emergeva una valutazione politicamente spregiudicata ma non priva di lucidità della crisi berlinese. Non solo la prova di forza attuata dai sovietici nascondeva in realtà un ripiegamento di
Mosca, indotto dal processo di organizzazione politico-militare dell’Occidente e dall’incipiente messa in opera dei progetti di costituzione dello Stato tedesco occidentale. Ma era altresì evidente che l’assedio alla capitale germanica stava rivelandosi, già dai primi giorni di luglio, inutile e controproducente in ragione rispettivamente del successo del ponte aereo allestito dagli alleati e degli effetti psicologici negativi provocati sulla popolazione tedesca.
Era su queste premesse che poggiava il fermo convincimento dell’opportunità che i governi occidentali non scendessero in alcun modo a patti con i russi. Per il “Corriere” , angloamericani e francesi avrebbero dovuto tener duro a Berlino e contemporaneamente accelerare i tempi di costruzione dell’Unione atlantica e della Germania occidentale. Stalin si sarebbe trovato così senza una via d’uscita e la politica tedesca dell’Urss avrebbe fatto clamoroso naufragio.
Stante questa posizione, si può dunque capire come il giornale rimanesse spiazzato allorché il 6 luglio una nota anglo-franco-americana comunicò ai sovietici la disponibilità occidentale a riaprire trattative quadripartite sulla Germania. Per Montanelli si trattava di un errore colossale. Ciò significava infatti rinunciare al vantaggio acquisito e tornare a fare il gioco della Russia, che nel porre D’assedio” a Berlino aveva mirato non tanto alla conquista in sé della città quanto piuttosto a contrastare la costituzione dello Stato tede-
43 I. Montanelli, La Russia inietta ai tedeschi il veleno della "Grande Germania", CdS, 8 luglio 1948.44 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati al passo dell’oca, Cit. La rottura di Tito con Mosca era recentissima: si era prodotta infatti alla fine di giugno.45 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati al passo dell'oca, cit. Ricordiamo che lo spettro dell’“ar- mata Paulus”, ricomparso sulle pagine della stampa occidentale ai primi di agosto, fu allontanato una volta per tutte da Montanelli verso la metà del mese. Recisamente egli negò che nella Germania orientale ci fosse un esercito di reduci tedeschi agli ordini di Mosca. I due milioni e mezzo di prigionieri germanici in mano ai russi erano nella stragrande maggioranza "internati come operai” nelle più remote regioni dell’Urss. Solo poche migliaia vestivano ancora la divisa militare, inquadrati in unità sovietiche di stanza lontano dalla Germania “ché — diceva Montanelli — quando [...] qualche reparto vi fu mandato, passò subito in occidente”. L’armata del feldmaresciallo Paulus era dunque solo "uno specchietto per le allodole, strumento di propaganda politica” (cfr. 1. Montanelli, L ’Armata Paulus c ’è ma è fa tta di pure ombre, CdS, 14 agosto 1948).
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sco dell’Ovest46. Montanelli notava che scopo di Mosca, era stato e restava bloccare, tramite la riapertura dei negoziati a quattro, il processo di formazione del “Reich occidentale” in modo tale da “gettare nuovamente la Germania nel caos, così favorevole alla propaganda comunista del quadriparti- tismo”47.
Il tentativo di ricostruire l’unità tedesca sotto il controllo quadripartito era, a suo giudizio, del tutto velleitario: la “spartizione della Germania” — ribadiva — era un “fatto compiuto” ormai da molto tempo, “da molto prima che le decisioni della conferenza di Londra e la riforma del marco la sanzionassero”48 49. L’appello sovietico al quadripartiti- smo e all’unità tedesca era per di più ipocrita. Proprio a Mosca andava infatti imputata la divisione della Germania. Osservava Montanelli:
Anche se le decisioni di Londra e la riforma del marco venissero revocate nulla e nessuno potrebbe revocare ciò che nello spazio di tre anni hanno fatto le autorità sovietiche nel loro settore, a clamorosa smentita degli accordi firmati a Potsdam. Le due Germanie erano già divise da un solco incolmabile quando il “Deutsche Mark” è venuto a renderlo definitivo44.
A riprova delle sue parole, Montanelli faceva seguire una descrizione a tinte fosche dei drastici cambiamenti introdotti dal comuniSmo nella Germania orientale. La proprietà privata non esisteva più. Oltre tre milioni di ettari di terreno erano stati “Kolkhosiert” dallo Stato. Ma la nazionalizzazione non era andata a vantaggio dei contadini. Spesso sottoposti nuovamente al giogo dell’“antico padro
ne” tornato come rappresentante di “un Governo onnipotente”, più di mezzo milione di essi aveva abbandonato le campagne e subito10 stesso trattamento riservato da Stalin ai kulaki. Anche le banche erano state nazionalizzate e tutti i depositi confiscati. Nel campo dell’istruzione, “migliaia di nuovi maestri elementari usciti’dalle scuole di Mosca e Leningrado” stavano già insegnando “la lingua russa secondo i metodi russi”. Tutte le risorse del paese erano state sistematicamente depredate dall’occupante che fin dall’inizio aveva trattato la Ostzone alla stregua di “una provincia dell’Urss” .
Dopo trasformazioni cosi radicali risultava ora “quasi impensabile una sutura fra i due monconi tronchi dell’antico Reich. [...]11 settore sovietico — sentenziava Montanelli — risulta ormai talmente impoverito da non poter costituire più, come una volta, il granaio dell’Ovest industrializzato, ma soltanto, se il ricongiungimento si facesse, una sua proletarizzata e affamata appendice” . Anche i tedeschi della Trizona, pur estremamente sensibili al principio dell’unità nazionale, erano tuttavia “coscienti che un nuovo qua- dripartitismo avrebbe ripiombato l’intera Germania nel caos, tornando ad impoverire la zona occidentale a beneficio non già di quella orientale, sibbene solo dei suoi padroni” . La conclusione dell’articolo era perentoria: un ennesimo tentativo di ricostituire l’intesa a quattro sarebbe stato fatalmente destinato a far perdere soltanto tempo prezioso, a rimandare alfinfinito l’opera di ricostruzione iniziatasi nella zona occidentale e probabilmente a sfociare in un nuovo e più violento contrasto fra i due blocchi rivali.
46 Questa affermazione contrastava in qualche modo con quanto sostenuto in precedenza da Montanelli. Come si ricorderà, egli si era detto convinto dell’esistenza di un piano sovietico per instaurare un governo centrale tedesco con l’appoggio del vecchio militarismo germanico. Aveva sostenuto che era a questo scopo che Mosca aveva deciso di porre l’assedio a Berlino.47 1. Montanelli, Clay dice che i Sokohvsky non nascono solo in Germania, CdS, 10 luglio 1948.48 I. Montanelli, L ’unità è il sogno dei tedeschi ma la realtà è per ora contraria, CdS, 14 luglio 1948.49 I. Montanelli, L'unità è il sogno dei tedeschi ma la realtà è per ora contraria, cit.
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Lucius Clay il “demiurgo” della riscossa americana
Di fronte alle improvvide tentazioni occidentali di negoziato con FUnione Sovietica, chi mostrava di saper mantenere nervi saldi e lungimiranza politica era per Montanelli soltanto il governatore militare americano in Germania: l’intransigente Lucius D. Clay30. Decisamente contrario alla posizione conciliante sostenuta non solo dalla Francia e dalla Gran Bretagna ma sempre più chiaramente anche dal Dipartimento di Stato, Clay andò presto configurandosi agli occhi di Montanelli (e dei lettori del giornale) come l’unica vera àncora di salvezza per l’Occidente. Il plauso fino ad allora genericamente tributato alla Deutschlandpolitik statunitense si trasformò cosi in un sostegno vigoroso alla linea politica impersonata dal generale americano, la cui figura prese a campeggiare nelle appassionate corrispondenze dell'inviato del “Corriere” .
A Washington dal 20 al 25 luglio per concordare con Truman la direttrice d’azione americana, Clay aveva suggerito fin dai primi giorni della crisi berlinese il ricorso ad un braccio di ferro con FUnione Sovietica. La prospettiva dell’amministrazione militare americana in Germania, che Montanelli — come si è già accennato — aveva mostrato di condividere pienamente, era molto diversa rispetto a quella dei circoli politico-diplomatici europei e washingtoniani spaventati dall’idea di un possibile confronto armato. Per Clay, come per Montanelli51, il blocco di Berlino non implicava alcun reale pericolo di
guerra. All’est dell’Elba esistevano sì ingenti forze di polizia, ma non truppe sul piede di battaglia. Anzi, dalla disposizione delle forze armate sovietiche trapelavano più apprensioni difensive che non propensioni offensive. La verità era che l’Urss temeva la guerra e la potenza americana. Essa aveva giocato la carta dell’isolamento della capitale tedesca spinta dalla preoccupazione per la decisione londinese di costituire uno Stato tedesco occidentale. Ma dietro l’arroganza del gesto si nascondeva una fragilità politica che occorreva smascherare. E per smascherarla Clay aveva proposto l’invio di un convoglio armato a Berlino32. Lungi dal riaprire negoziati a quattro sulla Germania assecondando la volontà sovietica, gli Stati Uniti avrebbero dovuto provocare una sfida aperta con Mosca. Dietro la proposta di Clay non vi era, secondo Montanelli, il proposito di usare concretamente le armi. Si trattava solo di esercitare una forte pressione e di correre un rischio calcolato: impossibilitati a scatenare una guerra che li avrebbe visti soccombere, i sovietici avrebbero alla fine certamente ripiegato53.
Già messa in crisi dalla nota del 6 luglio, questa strategia parve però del tutto compromessa alla fine del mese quando, presso i governi di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sembrò prevalere definitivamente la volontà di trattare. Dopo un lungo dibattito, i tre governi presero infatti la decisione di inviare una delegazione diplomatica a Mosca per esperire la possibilità di un accordo54. Contrariamente al corrispondente da Washington, Ugo Stille, favorevole alla mossa occidentale e fiducioso nella possibilità di un set-
■° Sulla figura di Clay si possono vedere le memorie (Lucius D. Clay, Decision in Germany, Melbourne, London, Toronto, Heinemann, 1950) nonché l’opera del Krieger (W. Krieger, General Lucius Clay und die amerikanische Deutschlandpolitik, Stuttgart, 1987).51 I. Montanelli, Entro i prossimi dieci giorni la crisi toccherebbe la sua acme, CdS, 22 luglio 1948.52 La prima menzione della proposta del convoglio armato la troviamo sul “Corriere” il 12 luglio (cfr. P.T., Il generale Robertson riferisce a Bevin sulla situazione tedesca, Cdl, 12-13 luglio 1948).x1 Ricordiamo che alla metà di luglio gli Stati Uniti avevano inviato in Inghilterra 60 “superfortezze volanti” pronte ad un eventuale attacco nucleare.54 Ugo Stille, La tesi conciliativa prevale su quella militare, CdS, 27 luglio 1948.
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tlement con l’Urss53 * 55, le reazioni di Montanelli dalla Germania furono durissime. Così, se all’inizio della missione dei rappresentanti occidentali a Mosca egli sottolineò come non vi fosse alcun margine per un’intesa sincera col Cremlino56, in agosto, poi, quando sembrò trovarsi una base per la trattativa, Montanelli non si trattenne dall’indicare con foga ai lettori i gravi pericoli che un eventuale accordo avrebbe comportato57.
Per l’inviato del “Corriere” gli effetti negativi di un’intesa quadripartita si compendiavano tutti nella possibilità, in quel caso data per certa, che il governatore Clay venisse rimosso dal suo incarico. “Clay — scriveva Montanelli — sarà il capro espiatorio dell’accordo russo-americano se questo accordo si farà”58. La rimozione del “proconsole” Lucius Clay avrebbe significato inevitabilmente la sconfitta della sua vincente politica tedesca, di quella “politica di prestigio” che, iniziata con la decisione di rilanciare l’economia germanica e condotta con inflessibilità grazie a “poteri quasi illimitati” , aveva avuto uno sviluppo “virtuoso” attraverso la decisione di fondere le due zone angloamericane, prima, e di avviare la creazione di uno Stato tedesco occidentale, poi. L’energica azione del generale americano, osteggiato non solo dai sovietici ma sovente anche dagli stessi alleati franco-britannici, aveva avuto per Montanelli l’impareggiabile merito di ribaltare i giochi in Germania, troppo a lungo nelle mani della propaganda “unitarista” del Cremlino. Adesso però quella politica rischiava di naufragare miseramente riaprendo così la strada alle torbide manovre staliniane.
Già il prestigio dell’Occidente era stato severamente incrinato nel momento in cui, rifiutando lo showdown suggerito da Clay, inglesi, americani e francesi erano andati a Mosca per contrattare.
I tedeschi hanno il culto della forza e una delle ragioni per le quali i berlinesi accettarono i benefici dell’assedio fu la gioia di vedersi svolazzare sulla testa 500 e più quadrimotori al giorno che davano ad essi la consolante convinzione della schiacciante superiorità occidentale nei riguardi dei sovietici. Tutta la lotta interna contro il comuniSmo era ed è basata su questa certezza che l’Occidente, sia pure democratico, è più forte e meglio organizzato dell’Oriente, sia pure totalitario. Ora, lo spettacolo dei tre ambasciatori alla porta di Mosca ha inferto un grave colpo a questa convinzione [,..]59.
Le paure di Montanelli circa la possibilità di un accordo con la Russia si rivelarono comunque infondate.
Interrottosi infatti alla metà di settembre il dialogo con Mosca, gli occidentali portarono la questione di Berlino in discussione alle Nazioni Unite (29 settembre), dove accusarono i sovietici di aver arrecato col loro blocco “una minaccia alla pace e alla sicurezza mondiale”.
Come notarono molte fra le “firme” più prestigiose del “Corriere”60, tale iniziativa diplomatica significava l’abbandono di ogni residua volontà di patteggiamento con Mosca e il libero dispiegarsi di una politica prettamente “offensiva” , fondata su tre capisaldi: la prosecuzione del ponte aereo, capace ormai di rifornire Berlino in qualsiasi condizione metereologica61; l'ulteriore fase
53 U. Stille, La "guerra fredda" sarebbe superata, CdS, 4 agosto 1948.36 I. Montanelli, Il carosello non si arresta nel corridoio aereo tedesco, CdS, 28 luglio 1948.57 I. Montanelli, Se si farà l ’accordo ne andrà di mezzo Clay, Cds, 11 agosto 1948.58 I. Montanelli, Se si farà l ’accordo ne andrà di mezzo Clay, cit.59 I. Montanelli, Se si farà l'accordo ne andrà di mezzo Clay, cit. [corsivo nel testo].60 Ci riferiamo in particolare ad Augusto Guerriero e ai due inviati del “Corriere” in Inghilterra, Piero Treves e GiorgioSansa.61 Di lì a poco, in dicembre, il ponte aereo sarebbe stato in grado di rifornire Berlino di 4. 500 tonnellate di merci algiorno: 500 tonnellate in più rispetto al fabbisogno della città. (Cfr. D. Yergin, Il blocco di Berlino, cit., p. 254)
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di definizione del progetto di Unione atlantica62; l’accelerazione del processo di costituzione dello Stato tedesco occidentale6’. Era quanto aveva sempre auspicato Indro Montanelli che, infatti, non si lasciò sfuggire l’occasione per rilanciare una volta per tutte e con la massima forza possibile quella tough polìcy di cui era stato costantemente il più appassionato e caparbio fautore64 65. Da Francoforte Montanelli osservava che la rottura dei negoziati rendeva finalmente ragione alla linea politica del comandante Clay, alla sua tesi di “un’assoluta impossibilità d’intesa con i russi e della necessità di usare con loro la maniera forte”63.
Dalle parole di Montanelli il governatore americano emergeva come l’autentico “demiurgo” della riscossa occidentale in Germania. Determinato e lungimirante, si doveva alla sua tenacia e al suo intuito politico se in terra tedesca, come dimostravano le recenti elezioni in Renania e in Westfalia66, il comuniSmo aveva cominciato ad arretrare. Era ormai chiaro a tutti come la Deutschlandpolitik propugnata da Clay fosse l'unica in grado di porre la Germania al riparo dalle insidie propagandistiche di Stalin e di mettere in difficoltà i sovietici, innalzando al tempo stesso il prestigio degli alleati occidentali presso tutta la popolazione germanica. “ I tedeschi — egli aveva osservato — credono molto di più agli effetti nutritivi della carne in scatola americana che
non alle capacità organizzative della democrazia importata dai vincitori” . Clay era stato uno dei pochi a capire il carattere ed i sentimenti del popolo tedesco senza detestarli o pretendere di modificarli. Era inutile insistere con l’indottrinamento democratico. Occorreva piuttosto riconsegnare senza paura nelle mani dei tedeschi la chiave del loro destino. Occorreva fare di tutto per assecondare la ripresa della Germania in una cornice politica di rigorosa contrapposizione all’Unione Sovietica.
Se voleva vincere la battaglia per Berlino, l’Occidente, per Montanelli, doveva seguire senza incertezze la strada della fermezza indicata dal generale americano: tenersi stretta la capitale germanica, accelerare il processo del proprio riarmo e affrettare i tempi della costituzione di uno Stato tedesco dell’Ovest economicamente forte, capace di sostenere la ricostruzione europea. Anche al fine di rilanciare l’economia germanica era opportuno seguire senza esitazioni la via indicata da Lucius Clay.
Avversario accanito della politica punitiva di puro “saccheggio” economico condotta in Germania dagli inglesi e dai francesi67, contrario alla prosecuzione degli smantellamenti industriali, Clay sosteneva con ostinazione la necessità che la produzione venisse subito rimessa nelle mani degli imprenditori tedeschi per essere rilanciata senza impedimento di sorta68.
62 II 10 settembre 1948 si era chiusa la prima delle tre tornate degli Exploralory talks on security tra gli Stati Uniti e il Canada e i cinque paesi dell’Unione Occidentale.63 11 1° settembre si era riunito a Bonn il Consiglio parlamentare tedesco, incaricato di redigere il testo costituzionale dello Stato tedesco occidentale.,4 I. Montanelli, Sul comodino di Clay ì libri contro i vincitori, CdS, 27 ottobre 1948.
65 I. Montanelli, Sul comodino di Clay i libri contro i vincitori, cit.1,6 Nelle elezioni tenutesi il 17 ottobre il partito comunista aveva perso il 40 per cento dei voti, crollando — diceva Montanelli — ad un “miserabile” 7 per cento.67 Per quanto riguarda la politica inglese cfr. I. D. Turner (a cura di), Reconstruction in Post-war Germany. British Oc- cupation Policy and ’.he Western Zones. 1945-1955, Oxford, 1989. Sulla politica tedesca della Francia cfr. invece M. Hil- lel. L'occupation franpuise en Allemagne 1946-1949, Paris, 1983." 1. Montanelli. Soltanto in Paradiso cronometri a volontà, CdS, 12 settembre 1948; Id., Partita dallo zero assoluto la produzione tedesca sale di giorno in giorno, CdS, 30 ottobre 1948; Id., Lo spodestato "re dell'acciaio” a cena dai suoi vecchi operai, CdS, 18 novembre 1948.
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Montanelli faceva propria incondizionatamente questa posizione69. Egli era categorico: di fronte alle resistenze della Francia ancora ossessionata dal “pericolo teutonico” , di fronte ai progetti di nazionalizzazione patrocinati dal laburismo inglese, occorreva ancora una volta adottare e difendere il pragmatico punto di vista del governatore americano favorevole ad una politica schiettamente liberistica, la sola che garantisse il massimo potenziamento del sistema produttivo germanico. L’imponeva una ragione economica: il rilancio produttivo dell’Europa occidentale. L’imponeva un calcolo politico: la definitiva conquista del consenso del popolo tedesco.
Montanelli non nascondeva la speranza che la potenza industriale e la floridezza della Germania ad ovest dell’Elba avrebbero potuto esercitare un giorno un’irresistibile forza d’attrazione anche sulla Germania posta al di là della cortina di ferro. La politica promossa da Clay e dall’amministrazione statunitense avrebbe dunque permesso all’Occidente non solo di vincere la battaglia per Berlino ma anche di ipotecare la vittoria
finale nel confronto per la supremazia sull’intero paese70.
La Germania di Montanelli
L’incondizionato sostegno alla Deutschlandpolitik americana si accompagnava al ferreo convincimento della necessità di un pieno riscatto politico, morale ed economico dei tedeschi, che significava innanzitutto per Montanelli la possibilità di una completa autonomia d’azione per il futuro governo germanico, messa a repentaglio dalle direttive alleate concordate a Londra71, che egli non esitava a criticare.
Frutto di un compromesso fra la volontà americana di dar vita ad uno Stato tedesco occidentale e la volontà francese di “silurarlo”72 73, viziati dalla fretta di precedere i sovietici anch’essi impegnati nella creazione di un’entità statale nella Germania dell’Est7j, gli accordi presi a Londra evidenziavano, per il giornalista toscano, un’esagerata volontà di controllo da parte delle potenze occidentali occupanti. Commentando rincontro
69 In linea con la posizione del giornale da sempre critico nei confronti degli smantellamenti in conto riparazioni e favorevole all'innalzamento dei livelli produttivi tedeschi, Montanelli assumeva però un atteggiamento più radicale sulla questione deH’internazionalizzazione della Ruhr. Se infatti, in occasione della conferenza sulla Ruhr (11 novembre-28 dicembre 1948), il “Corriere” mostrava di condividere l’esigenza di creare una forma di controllo sulla distribuzione dei prodotti dell’importante distretto industriale (il giornale condivideva la posizione americana favorevole ad un controllo sulla distribuzione dei prodotti, mentre avversava la posizione francese che sollecitava un controllo anche sulla produzione), Montanelli al contrario si dichiarava apertis verbis contrario all’internazionalizzazione. Essa avrebbe significato, a suo giudizio, la “collettivizzazione delle miniere e delle fonderie” e impedito il rilancio produttivo tedesco. Anche in questo caso egli contava sugli americani e su Clay in particolare, per niente intenzionati — se ne diceva convinto — a rispettare gli accordi presi con la Francia per internazionalizzare la Ruhr (I. Montanelli, Lo spodestalo "re dell’acciaio" a cena dai suoi vecchi operai, cit.). Sull’argomento cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., 70 sg.70 I. Montanelli, Partita dallo zero assoluto la produzione tedesca sale di giorno in giorno, cit.71 Affermato ivi il proposito di dar vita ad uno Stato tedesco-occidentale, si era pertanto raccomandato ai governatori militari della Trizona di prendere contatto con i ministri presidenti dei Laender al fine di predisporre la convocazione di un'Assemblea costituente che elaborasse una Costituzione da sottoporre quindi all’approvazione dei Laender. Si era anche indicato che il futuro Stato tedesco avrebbe dovuto avere forma federale (cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie,
cit., pp. 126-127).72 1. Montanelli, Clay dice che i Sokolovsky non nascono solo in Germania, cit.73 I. Montanelli, Sotto ogni Quisling si può nascondere un Tito, CdS, 3 luglio 1948. Secondo Montanelli gli americani avevano avuto fretta di precedere “una mossa sovietica intesa a creare un Governo comunista sotto l’egida di Mosca per tutta la Germania”. Per questo essi si erano “accontentati di un documento che non dà sufficiente soddisfazione alla volontà tedesca di autogoverno”, venendo incontro ad alcune delle richieste francesi.
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del 1Q luglio fra i governatori militari alleati e i presidenti dei governi dei Laender della Tri- zona74, Montanelli non mancava di manifestare forti perplessità nei confronti di direttive che, a suo dire, prefiguravano “un regime di protettorato di illimitata durata”75. Questo era infatti il pericolo che trapelava in particolare dalla lettura del terzo dei tre documenti notificati dai governatori militari alle autorità tedesche, riguardante il nuovo Statuto di occupazione.
I lineamenti generali del nuovo Statuto, che avrebbe regolato i rapporti fra le autorità d’occupazione e il futuro governo tedesco, indicavano chiaramente per Montanelli il deficit di sovranità che continuava a gravare sulla Germania: le relazioni esterne, il commercio con l’estero, il controllo internazionale dell’economia germanica, la smilitarizzazione del paese erano infatti tutti campi assegnati al rigoroso monopolio delle potenze vincitrici. Potenze che si riservavano, inoltre, un diritto di intervento e di veto in materia costituzionale e legislativa. Montanelli mostrava di comprendere quindi la delusione
manifestata dai tedeschi e le ragioni della loro “pessimistica rinuncia ad ogni collaborazione”76. Era stato compiuto solo “un piccolo passo avanti verso l’autonomia, più piccolo di quanto si sperasse”77 78 79. La legittima volontà tedesca di autogoverno non era stata sufficientemente soddisfatta, tanto che la Germania continuava ad essere un semplice “oggetto della politica altrui”7S. Non si trattava, per l’inviato del “Corriere”, di respingere le direttive di Londra76 — che anzi egli invitava con grande fermezza ad approvare per creare in funzione antisovietica il “fatto compiuto dello Stato tedesco dell’Ovest”80 —, quanto piuttosto di tener conto delle giuste esigenze etico-politiche dei tedeschi. Esigenze che si traducevano in richieste lecite che i governi di Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero dovuto esaudire. Andavano capite ad esempio le riserve dei politici tedeschi contrari a ratificare la divisione del paese e restii ad accettare un regime di semi-indipendenza. Non si poteva calpestare il loro sentimento nazionale. Le richieste dei ministri-presidenti dei Laender di non parla-
74 Nell’incontro, svoltosi a Francoforte sul Meno, i governatori militari impartirono alle autorità tedesco-occidentali le direttive concordate a Londra per il ripristino di una struttura statale nella Germania dell’Ovest. In particolare furono consegnati tre documenti. Il primo di questi autorizzava i ministri presidenti dei Laender a convocare un’Assemblea costituente che doveva riunirsi entro il 1B settembre 1948 con il compito di redigere un progetto di costituzione da sottoporre poi a referendum popolare in ciascun Land. Il secondo documento invitava invece i ministri presidenti a presentare proposte per l’eventuale modifica dei confini dei Laender fissati dopo il 1945. Il terzo, infine, riguardava il nuovo Statuto di occupazione che avrebbe regolato i rapporti tra le autorità d’occupazione e il governo tedesco cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 138-140).75 I. Montanelli, Colpi bassi fra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, cit.76 I. Montanelli, Sotto ogni Quisling si può nascondere un Tito, cit.7 ' I. Montanelli, Colpi bassi fra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, cit.78 I. Montanelli, Sotto ogni Quisling si può nascondere un Tito, cit.79 Fin dalla prima riunione a Coblenza dei ministri presidenti dei Laender (8-10 luglio), erano emerse molte riserve circa le direttive impartite dai governatori militari. Ci furono poi altri due incontri (il 20 e il 26 luglio) prima di giungere ad una risposta definitiva delle autorità tedesche. Tutte le proposte da esse formulate furono accettate. Fra queste la proposta di parlare di una Legge fondamentale piuttosto che di una Costituzione vera e propria (a sottolineare il carattere provvisorio dello Stato che si andava a formare: non si voleva infatti assumere la responsabilità della divisione del paese); il proposito quindi di non convocare un’Assemblea costituente bensì un Consiglio parlamentare; la decisione, infine, di evitare di sottoporre a referendum popolare la ratifica della Legge fondamentale che sarebbe stata invece demandata ai singoli Landtage. (Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 140-143).80 “[...] tutti coloro che si oppongono al progetto alleato, di destra o di sinistra che siano, finiscono — scriveva Montanelli — per fare soltanto, sia pure involontariamente, gli interessi dei sovietici” (cfr. I. Montanelli, d a y dice che i So- kolovsky non nascono solo in Germania, cit.)
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re di una Costituzione della Germania occidentale ma piuttosto di una Legge fonda- mentale, di non convocare un’Assemblea costituente bensì un Consiglio parlamentare, di evitare di sottoporre a referendum popolare la Basic Law erano per Montanelli richieste sacrosante nonché politicamente opportune. Sulla classe dirigente democratica tedesca, rappresentata a suo avviso dalla Cdu e dalla Spd, non doveva riversarsi alcuna responsabilità per la divisione della Germania. Altrimenti sarebbe stato il neonazismo clandestino ad avvantaggiarsene, con grave pericolo per tutti. Alcune pericolose avvisaglie già non avevano mancato di manifestarsi81.
Montanelli e la critica al principio della “colpa collettiva”
Il riscatto politico della Germania, voluto in verità per Montanelli solo dagli americani, non poteva poggiare a suo avviso che su un riscatto di natura anche morale. Egli non esitava ad assumere una posizione controcorrente, critica nei confronti del principio comunemente accettato della “colpa collettiva” del popolo tedesco82 e assolutamente ostile al processo di denazificazione e rieducazione portato avanti dalle quattro potenze occupanti a partire dalla conferenza di Potsdam.
Centrale nel ragionamento di Montanelli era il problema della “colpa” . Notava che83 tutti gli osservatori europei in Germania sembravano convinti del fatto che i tedeschi non si fossero affatto pentiti e che essi fossero
rimasti sempre gli stessi. Questa impressione, però, era a suo giudizio falsa e fuorviante: “a me pare che i tedeschi invece si pentano moltissimo e che il loro irrigidimento dinanzi alle accuse altrui, che gli stranieri lamentano, non provenga da una incapacità di contrizione, ma solo da un istinto di difesa” . Difesa da che cosa? Montanelli non aveva dubbi:
La “colpa” tedesca, lo “Schuld” è la cittadella morale degli alleati, che vi hanno costruito sopra il loro edificio punitivo. Se essa viene a mancare crolla tutto: la resa incondizionata, la spartizione in due, le annessioni polacche, la Bibbia di Churchill e di Roosevelt, lo statuto di occupazione, i processi di denazificazione. Tutto. E questo mi pare che spieghi a sufficienza come mai gli alleati insistono tanto a volere la penitenza e i tedeschi altrettanto insistano nella impenitenza84.
“Malaugurata invenzione del puritanesimo anglosassone”, il principio della “colpa” non risultava inficiato soltanto per il fatto di rappresentare agli occhi dei tedeschi l’elemento giustificatorio di una prassi punitiva ispirata da istanze vendicative. Esso era infatti ulteriormente screditato poiché i tedeschi ritenevano sinceramente “ingiustificate” le accuse loro rivolte. Qui il discorso di Montanelli si faceva davvero delicato. Innanzitutto pur non negando le “carneficine di Auschwitz e di Dachau”, i tedeschi negavano tuttavia “il diritto delle vittime al generale compianto [...] Essi realmente ignorano — notava il giornalista — che per i Lager è passato il fior fiore dell’intelligenza europea nella sua tragica lotta per la libertà” . A causa
81 I. Montanelli, La “X" della Germania è il neo-nazismo clandestino, CdS, 29 luglio 1948. Montanelli si riferiva in particolare a due gruppi politici: il “democratico-nazionale” di von Schlabrendorff e l’“unitario universale” di von Heydt. Se il primo non rappresentava per Montanelli una grave minaccia (“getta abilmente il ponte alla parte buona del nazismo, appellandosi alla solidarietà nazionale e alla necessità di por fine alle vendette e alle epurazioni”), il secondo viceversa costituiva un pericolo serio. Von Heydt non nascondeva infatti il proposito di rifare “un nazismo senza Hitler” e non nascondeva il suo credo razzista.82 Cfr. in proposito Jens Petersen, La Resistenza tedesca vista dall'Italia: il giudizio dei contemporanei e degli storici, in Claudio Natoli (a cura di), La Resistenza tedesca 1933-1945, Milano, Angeli, 1989, pp. 254-256.83 I. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l'infamia, CdS. 21 luglio 1948.84 1. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l ’infamia, cit.
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della “diabolica astuzia” di Flimmler che aveva mescolato nei Lager “l’elemento morale più alto con quello più abietto, obbligando il detenuto politico a convivere col rapinatore di strada”, tutti in Germania tendevano ad identificare il detenuto politico col criminale comune. Senza spendere neppure una parola sulla tragedia dell’Olocausto85, Montanelli si mostrava fin troppo comprensivo nei confronti di quest’atteggiamento. Finita la guerra e spalancati i cancelli dei campi di concentramento, l’“elemento buono” sopravvissuto alla dura prova, e special- mente gli occidentali, aveva subito preso la via del ritorno in patria. In Germania era invece rimasta soprattutto la feccia, gente slava, rapinatori e borsari neri, che si era presto data ad imperversare per il paese, autentica Landplage, “flagello della contrada”, dedita a furti, rapine e stupri. Era dunque comprensibile, a suo avviso, che il “galantuomo tedesco” si sentisse “dispensato da ogni pietà” e fosse portato a vedere nei detenuti dei Lager solo dei soggetti criminali86. A spingere i tedeschi in questo senso agiva inoltre, aggiungeva Montanelli, un’“altra e più profonda ragione”: “la Obrigkeit e cioè il rispetto dell’ordine e dell’autorità costituita”87. Caratteristica tipica dello spirito germanico e riconducibile all’insegnamento di “quel lontano (e vicinissimo) precursore di Hitler” che era stato Martin Lutero88, la Obrigkeit aveva annacquato il senso di colpa dei tedeschi agendo in due direzioni: confermando,
da un lato, il discredito verso quei concittadini che si erano ribellati a Hitler contravvenendo all’autorità ufficiale (per il “conformismo tedesco la parola ‘Resistenza’ ha sapore di scandalo e di empietà”89) e legittimando, dall’altro, le azioni criminose commesse da quanti pensavano di obbedire ad ordini superiori. Montanelli riconosceva certo come tutto ciò fosse una “ stortura mentale” . Ma constatato che tale “stortura” esisteva e che ad essa andavano imputate le atrocità perpetrate dai tedeschi, non bisognava tanto chiedersi se questi si fossero più o meno pentiti quanto piuttosto se “i sistemi rieducativi praticati dai vincitori fossero i meglio qualificati a raddrizzare” quella “stortura” . Cosa che egli negava recisamente90. La “squalifica morale” della Germania sottesa alle politiche di epurazione e rieducazione era stata un grande “errore” . I tedeschi infatti potevano “accettare la sconfitta” ma respingevano l’“infamia” . Un’“infamia” che non aveva altro effetto se non quello di accumulare un’enorme riserva di risentimento, pronto ad esplodere contro gli alleati vittoriosi come già era accaduto dopo la prima guerra mondiale. All’indomani della caduta del Terzo Reich Montanelli notava che “i tedeschi, forse, erano pronti a un esame di coscienza [...] erano pronti a prendere atto delle atrocità commesse dai “funzionari” di Himmler e a punirle di conseguenza [...] Norimberga — però — li ha dissuasi [...] Il fatto che i vincitori si siano sostituiti alla loro giu-
85 Notiamo che in nessuna delle sue corrispondenze dalla Germania Montanelli si è mai occupato dello sterminio del popolo ebraico.86 I. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l ’infamia, cit.8' I. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l'infamia, cit.88 Lutero, secondo Montanelli, aveva insegnato ai tedeschi a praticare il libero arbitrio solo all’interno della sfera privata. Era in interiore hominis che si doveva esercitare la libertà, non nella sfera pubblica ove doveva vigere invece il rispetto incondizionato per l’autorità costituita. Per il giornalista toscano questa distinzione fra morale privata e morale pubblica era all’origine di tutte le nefandezze compiute dalla Germania. Egli vi si era soffermato più volte. Cfr. I. Montanelli, Mancava un Martino ma non era Bormann, CdS, 17 ottobre 1946 (articolo scritto a commento del processo di Norimberga) nonché I. Montanelli, È Dio che possiede la bomba atomica, CdS, 18 maggio 1947.89 1. Montanelli, Accettano la sconfitta, respingono l ’infamia, cit.90 I. Montanelli, Accettano la sconfitta, respingono l'infamia, cit.
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stizia e che li abbiano costretti a prendere visione dei misfatti compiuti dai loro capi sotto pena di rappresaglie, li ha esentati da qualunque atto di contrizione [...] Una grande occasione di estirpare per sempre dall’anima tedesca la mortale malattia del totalitarismo è andata perduta. Siamo però ancora in tempo. Approfittiamone”91. Secondo il giornalista, per rimediare agli errori compiuti gli alleati potevano fare solo una cosa: interrompere il “castigo”92. I “tribunali anglosassoni col loro mostruoso codice di vendetta intinta nella Bibbia” avevano causato già troppi danni. Come aveva dimostrato al momento della sconfitta e come continuavano a dimostrare le voci di molti suoi “figli”, pressoché ignorate dagli stranieri93, la Germania era disposta ad abbandonare la via dell’“orgoglio” per ritrovare quella dell’“umiltà” , era disposta a riprendere quell’“esame di coscienza” iniziato all’indomani della fine del conflitto ma poi interrotto come comprensibile reazione psicologica alla vis correttivo-punitiva dei tribunali alleati; un’“esame di coscienza”, come sottolineava Montanelli, che il popolo tedesco doveva e poteva compiere “da solo” . I tedeschi erano disposti a “confessare tante cose [...] basterebbe non tendere verso di loro il dito accusatore ma battere loro fraternamente la mano sulla spalla”94 95.
Montanelli rivendicava categoricamente la necessità che l’opera di denazificazione fosse subito fermata93. “ La denazificazione - scriveva — continua ad essere la piaga della Germania, una sciagura più catastrofica della stessa sconfitta”96. La “sciagura stava nelle dimensioni del fenomeno che aveva toccato ben il 28 per cento della popolazione adulta. “Non c’è più una sola famiglia in Germania che non abbia il suo ‘epurato’ da mantenere, intorno al quale naturalmente si forma una massiccia solidarietà”. Inquinata da spirito di vendetta, la denazificazione aveva fallito ogni finalità rieducativa. Dopo l’“orgia iniziale di delazioni” non si riusciva più a trovare fra i tedeschi un solo testimone d’accusa. L’intera Germania era infatti “solidale” con gli epurati e “offriva lo spettacolo di tutti i suoi avvocati antinazisti schierati gratis a difesa degli imputati nazisti”97.
Il giornalista si mostrava estremamente comprensivo verso tale comportamento, motivato non solo dalla ripulsa per rimpianto vessatorio della giustizia alleata, ma anche e soprattutto da un’istanza di tipo politicoideologico che egli pienamente condivideva. “La denazificazione — osservava l’inviato del “Corriere” — equivale in sostanza alla proletarizzazione della Germania e, a cose fatte, si rivela per quella che è: il mezzo più
91 I . Montanelli, Accettano la sconfitta, respingono l ’infamia, cit.92 I. Montanelli, Terribili rose sulla tomba di Jodl, CdS, 26 agosto 1948.93 Montanelli faceva l’esempio dei due pastori protestanti Asmussen e Niemoller.94 I. Montanelli, Terribili rose sulla tomba di Jodl, cit.95 Ricordiamo che già dalla fine del 1946 il “Corriere” aveva espresso grosse riserve sull'opera di denazificazione. Partendo dal presupposto che gli occidentali avevano perduto molto terreno rispetto ai sovietici nella “corsa” ad accattivarsi le simpatie germaniche e che di conseguenza niente doveva esser lasciato di incompiuto per risollevare la Germania dell’Ovest e conquistarne i favori, si era fin da allora rivendicata apertamente la necessità di utilizzare tutte le forze tedesche disponibili per la ripresa del paese, e fra queste, inevitabilmente, anche quelle compromesse col passato regime. Riprendendo argomenti dello Hauser, Montanelli era stato uno dei più strenui sostenitori di questo punto di vista. A suo avviso, se si voleva una classe dirigente efficiente non era possibile privarsi dell’appoggio della vecchia classe dirigente scesa a patti col nazismo. (1. Montanelli, Ha parlato in inglese la prima voce della Germania, cit. ; ld.. Anche la Germania ha i suoi Ambrosini, CdS. 4 maggio 1947). Cfr. anche C. Falcone, "Entnazifizierung"parola troppo complicala, cit.9 6 I . Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile , CdS, 25 luglio 1948.97 I. Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile, cit. Sull’atteggiamento della Germania verso gli epurati e gli epurandi cfr. anche 1. Montanelli, Un casto Talleyrand sul banco di Norimberga, CdS, 31 luglio 1948 (articolo su Ernst von Weizsaecker, ex segretario di Stato al ministero degli Esteri, sottoposto a giudizio a Norimberga).
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rapido, escogitato dai comunisti, per svuotare lo Stato e strangolare legalmente la classe media”9 * * 98. L’epurazione avrebbe infatti portato all’“eliminazione di tutta la classe dirigente tedesca”, dopo di che la Germania sarebbe rimasta “acefala”, in balia di un proletariato manovrato da Mosca. Egli ne era convinto che presto un colpo di Stato sul modello cecoslovacco, ordito dalla “quinta colonna” comunista, avrebbe consegnato il paese nelle mani di Stalin.
La Resistenza tedesca.
Quanto le ragioni della contrapposizione al comunismo influissero sul giudizio di Montanelli lo dimostrano anche i suoi articoli sul Widerstand, sulla Resistenza tedesca99: un tema, questo, cruciale, che merita preliminarmente alcune riflessioni.
Nel porre sotto accusa il principio della “colpa collettiva” nonché l’intero sistema di punizione-controllo che su quel principio gli alleati avevano costruito, Montanelli aveva utilizzato due argomenti principali. Il primo, fondato su un ragionamento di tipo utilitaristico, era incentrato sulla constatazione del carattere controproducente della “politica di castigo” condotta dagli occidentali in Germania, politica sfociata in un progressivo e pericoloso accrescimento del risentimento popolare contro gli occupanti. Il se
condo, invece, riguardava direttamente l’origine e la peculiarità della “colpa” germanica e si basava sull’idea della possibilità di un autonomo “esame di coscienza” da parte dei tedeschi, considerati pienamente in grado di redimersi da soli purché non sottoposti alla spada di Damocle dei processi di epurazione100. Ora, se il primo argomento poteva avere una plausibile motivazione laddove si mettevano innanzi le vitali esigenze della lotta dell’Occidente democratico contro l’Oriente bolscevico, che spingevano ad accattivarsi con ogni mezzo le simpatie dei tedeschi, il secondo argomento al contrario non poteva non suscitare serie perplessità ed interrogativi. Dal momento che Montanelli non aveva affatto negato la persistenza di alcune “storture mentali” del popolo germanico, rispolverando vecchi stereotipi come l’ossequio incondizionato all’autorità costituita, il culto della forza e dell’organizzazione, l’ossessione nazionalistica nonché un’innata ostilità alle forme della vita democratica, risultava allora logico chiedersi se il suo confidare nelle capacità di autoredenzione dei tedeschi non costituisse un’apertura di credito troppo avventata. Non avevano, insomma, ragione quanti affermavano che i discendenti di Arminio non erano cambiati, che rimanevano pericolosi come sempre, come sempre convinti della propria superiorità razziale e decisi a procedere alla conquista del mondo?
9S I. Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile, cit.1,9 Sull’argomento cfr. Enzo Collotti, Per una storia dell’opposizione antinazista in Germania, “Rivista storica del socialismo”. 1961, n. 12, pp. 105-137; Id. La Germania nazista, Torino, Einaudi, 1962, pp. 273-305; Id. L ’opposizione antinazista e l ’attentato del 20 luglio, “Il Movimento di liberazione in Italia”, 1964, n. 76, pp. 102-112; Id., Idee di riformadella società tedesca nei progetti dell'opposizione aninazista, in Aspetti sociali ed economici della Resistenza in Europa, Milano-Varese, Ist. edit. Cisalpino, 1967, pp. 275-294; Id., Una nuova storia dell’opposizione antinazista in Germania, “Il Movimento di liberazione in Italia”, 1969, n. 96, pp. 96-109; Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo, Bologna, Il Mulino, 1994; C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit. ; Giorgio Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa 1938-1945, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 19-152.100 Autorevole sostenitore della necessità di un autonomo esame di coscienza da parte dei tedeschi era stato in Italia Benedetto Croce. Negando l’efficacia di cure imposte con la forza dall’esterno, egli aveva sottolineato che una autentica riabilitazione dei tedeschi poteva derivare unicamente da una loro “ìntima conversione”, da una “conversione” delle coscienze. (Cfr. Benedetto Croce, Il dissidio spirituale della Germania con l ’Europa, Bari, Laterza, 1944). Si veda anche la prefazione all’edizione tedesca dell’opera (Benedetto Croce, Germania ed Europa, CdS, 31 dicembre 1946).
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Per sostenere la sua tesi, avversa allo Schuld e favorevole al pieno riscatto del popolo germanico, Montanelli introduceva qui il problema della Resistenza tedesca, affrontando il tema scottante della cosiddetta “altra Germania” . Le sue corrispondenze sull’argomento 101 e soprattutto la lunga indagine sull’opposizione militare tedesca a Hitler uscita a puntate sull’edizione pomeridiana del “Corriere” e poi pubblicata in volume da Longanesi nel 1949102, rappresentarono un contributo di tutto rilievo, senz’altro importante nel panorama della pubblicistica nazionale del tempo.
Di contro all’orientamento invalso nella pubblica opinione italiana portata ad identificare il popolo tedesco col nazismo, Montanelli rivendicava l’esistenza in Germania di un forte movimento di resistenza antihitleriana. Ricordando, ad esempio, il sacrificio di Hans e Sophie Scholl animatori della “Rosa bianca” 103, egli sottolineava come oltre ottocentomila tedeschi fossero passati
per i Lager e come di questi ben cinquecen- tomila fossero morti104 105. Quest’ultima cifra era indubbiamente esagerata, ma essa contribuiva ad indicare nel modo più incisivo possibile agli scettici lettori italiani realtà e dimensioni della Resistenza tedesca102. Montanelli sosteneva dunque che anche la Germania aveva avuto i suoi caduti per la libertà. Il loro martirio non doveva essere dimenticato. “Io so — egli scriveva — che non è giusto dimenticare questi morti soltanto perchè sono tedeschi in grazia di un razzismo a rovescio, non meno assurdo e infame di quello che lo precedette” 106.
Va comunque osservato che l’immagine della Resistenza che egli dipingeva era politicamente connotata e volutamente opposta rispetto a quella tracciata dalle forze di sinistra. Se queste identificavano l’“altra Germania” nella nuova Germania del movimento operaio, unico vero oppositore — a loro giudizio — della tirannide nazista107, Montanelli la identificava invece nella vecchia Germa-
101 Cfr. in particolare, I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per ¡ tedeschi della Resistenza, CdS, 23 settembre 1948 e Id.. L'Umanesimo tedesco è stato epurato in massa, CdS, 29 settembre 1948.102 Uscita in diciannove puntate sul “Corriere d’informazione” (dal 13 dicembre 1948 al 17 febbraio 1949), l’indagine di Montanelli venne pubblicata da Longanesi col titolo Morire in piedi. Come egli avvertiva nella prefazione, il lavoro si fondava sul vaglio della pubblicistica straniera, in gran parte non tradotta in italiano. Montanelli si riferiva esplicitamente alle opere e alle testimonianze di von Hassel, Gisevius, Dulles, von Schlabrendorff, Pechel, Bernadotte, Trevor-Roper, Boldt, Mourin. Il libro di Montanelli si inseriva in un filone ben preciso: quello della valorizzazione della componente militar-bor- ghese della resistenza antihitleriana. Filone cui appartenevano alcune delle opere più importanti fra quelle pubblicate in Italia sul Widerstand tedesco. Fra queste i libri di Hermann Rauschning (Hitler mi ha detto, Roma, Edizioni delle Catacombe, 1945 e La rivoluzione del nichilismo, Milano, Mondadori, 1947), la testimonianza di Fabian von Schlabrendorff ( Wehrmacht contro Hitler, Milano, Ed. Gentile, 1947), quella di Ulrich von Hassel (Diario segreto, Milano, Rizzoli, 1948). Sulla ricezione in Italia di queste opere cfr. J. Petersen, La resistenza tedesca vista dall’Italia: il giudizio dei contemporanei e degli storici, in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 256-258; sulla resistenza nazionalconservatrice a Hitler cfr. invece G. Vac- carino, Storia della Resistenza in Europa , cit., pp. 109-153, nonché Klaus-Jùrgen Mueller, La resistenza nazionalconservatrice, in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 67-81, con la bibliografia ivi riportata.103 Sul martirio dei fratelli Scholl e sulle vicende del movimento antinazista La Rosa bianca cfr. Inge Scholl, La Rosa bianca, Firenze, La Nuova Italia, 1953 e successive edizioni; Klaus Vielhaber, Violenza e coscienza. Willi Graf e la Rosa bianca, Firenze, 1978; Paolo Ghezzi, La Rosa bianca, Milano, Edizioni Paoline, 1994.104 I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per i tedeschi della Resistenza, cit.105 Secondo quanto riporta Giorgio Vaccarino, nel periodo 1933-1945 i cittadini tedeschi fatti giustiziare dal regime nazista in seguito a pronuncia di sentenza furono 32.600 (cfr. G. Vaccarino, La resistenza tedesca nel contesto europeo, in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 187-188)106 I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per i tedeschi della Resistenza, cit.107 Sulla resistenza antinazista del movimento operaio tedesco cfr. G. Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa, cit., pp. 19-74 nonché Detlev J. K. Peukert, La resistenza operaia. Problemi e prospettive, in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 40-66 e la bibliografia ivi riportata.
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nia, la Germania borghese preweimariana, ai cui valori avevano attinto quelli che a suo avviso, contrariamente ai convincimenti delle sinistre, erano stati i soli autentici artefici della resistenza antinazista: letterati e filosofi, diplomatici, alti prelati ed esponenti minori del mondo religioso (specialmente cattolico), membri delfaristocrazia e, soprattutto, generali dell’esercito108. Con un atteggiamento analogo a quello già manifestato verso il movimento antifascista in Italia109, Montanelli mostrava di privilegiare l’azione di quelle forze che erano venute maturando lentamente la loro opposizione all'interno del regime nazista. Egli parlava, ad esempio, di quel trenta per cento di studenti universitari tedeschi che, ispirati dalla grande tradizione liberale dell’umanesimo germanico, avevano rifiutato la tessera del “Guf hitleriano”, il Nationalsozialistischer Studentenbund. Possibile “nerbo di una Resistenza di massa” , purtroppo essi erano stati richiamati per primi alle armi e mandati a morire ancor giovani sui lontani fronti di guerra: una potenziale
schiera di oppositori antihitleriani era stata cosi falcidiata senza scampo110 111.
Montanelli, poi, si soffermava in particolare sul ruolo svolto dagli Junker e dall’esercito tedesco. Lungi dal rappresentare, secondo un’immagine invalsa, i più stretti alleati di Hitler, gli Junker erano stati per Montanelli i suoi più intransigenti oppositori (“gli unici veri antinazisti contro le masse popolari che furono tutte fanaticamente naziste” 11 ’). Diversamente dai “generali di Hitler” quali Jodl, Keitel o Kesselring, nessun generale prussiano si era macchiato di delitti indegni112. Anzi, proprio i generali del vecchio Stato Maggiore, i generali Junker, erano stati gli animatori della resistenza antihitleriana, quella resistenza militare che, iniziata nel 1938 e culminata nell’attentato a Hitler del luglio 1944, appariva agli occhi di Montanelli come la principale, quasi esclusiva, espressione del Widerstand tedesco. Per lui, amico e recensore di Fabian von Schlabrendorff113, gli “eroi” della Resistenza in Germania provenivano tutti dalle fila delle forze armate. Essi si chiamavano Ca-
108 Montanelli faceva i nomi di scrittori e di filosofi come Wiechert, Haecker, Ricarda Huch, Guardini, Bergengruen, Schneider, Jaspers; di “grandi diplomatici” come Schulenburg, Berndorff, Hassel; di uomini di chiesa come i cardinali cattolici Faulhaber, Preysing, Galen, dei gesuiti Delp. Koenig e Roesch; di “grandi generali” come Witzleben, Stuelp- nagel, Beck; di “dame dell'alta società” come Hanna Soli. Lagi Ballestrem, Elisabeth von Thadden (cfr. I. Montanelli, L’umanesimo tedesco è stato epurato in massa, cit. ). Come si è accennato. Montanelli sottolineava con forza la maggiore incisività dell’opposizione antinazista dei cattolici rispetto a quella dei protestanti, troppo sensibili a suo avviso all’appello alla fedeltà nazionale lanciato dal regime (cfr. I. Montanelli, Terribili rose sulla tomba di Jodl, cit. ). Sulla Resistenza tedesca di matrice religiosa cfr. G. Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa, cit., pp. 74-109 e la bibliografia contenuta nel saggio di Klaus Gotto, / cristiano-democratici sotto la dominazione hitleriana, in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 172-173. Sui rapporti, in particolare, fra Chiesa cattolica e nazismo si rinvia al classico; Guenter Lewy, I nazisti e la Chiesa, Milano, Il Saggiatore, 1965.109 I. Montanelli, Qui non riposano, cit.110 I. Montanelli, L'umanesimo tedesco è stato epurato in massa, cit.111 I. Montanelli, Ha parlalo in inglese la prima voce della Germania, cit.112 Era stato in occasione del processo Kesselring (10 febbraio — 6 maggio 1947) che Montanelli aveva sottolineato la differenza di comportamento fra i vecchi generali prussiani e i generali invece entrati in carriera grazie al nazismo. “I generali di Hitler — egli aveva scritto — non somigliano che di lontano, e per forzata imitazione, ai generali tedeschi di classico modello. Di questi ultimi, nessuno è stato ancora processato, nè pare che lo sarà mai. Non Rundstedt, non Brauchitsch, non Bock, non Falkenhorst, non Blomberg. Quando gli alleati hanno chiuso il sacco dei criminali di guerra, non vi hanno trovato nessun “Von”, nessun generale del vecchio Stato Maggiore, nessun Junker. Estromessi, dimissionari, o impiccati, nessun rappresentante dello “Herrenvolk” era rimasto sino in fondo a condividere le responsabilità del nazismo nei delitti contro il genere umano” (cfr. I. Montanelli, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M. P. , Cdl, 10-11 febbraio 1947)
Per l’asserita amicizia fra Montanelli e von Schlabrendorff cfr. I. Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile, cit. Montanelli, nel settembre 1946, aveva dedicato un’ampia recensione all'opera di Schlabrendorff sull’opposizione
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naris, Beck, Olster, Haider, von Fritsch, von Tresckow, von Witzleben, von Hammerstein, von Stauffenberg. Il militarismo prussiano mostrava cosi un volto inconsueto. Sulle pagine del “Corriere” esso figurava immune da colpe e carico viceversa di molti meriti.
La polemica di Montanelli intorno alla questione della Resistenza tedesca e dell’“al- tra Germania” fu durissima. Qui, infatti, si riverberava in tutta la sua virulenza il conflitto ideologico fra Occidente ed Oriente. Qui riemergeva prepotentemente quell’elemento di polemica politica che abbiamo già visto manifestarsi a proposito del problema della denazificazione. L’operazione che Montanelli svolgeva non era quella di semplice privilegiamento della componente mili- tar-borghese del Widerstand rispetto a quella di matrice marxista. Egli si spingeva ben oltre. Non solo affermava infatti che dalle organizzazioni del movimento operaio non era arrivato alcun serio contributo alla resistenza antinazista (“non ci sono che i russi — egli scriveva mistificando — ad avere inventato la leggenda della Resistenza proletaria” 114), ma addirittura non esitava a sotto- lineare più volte come esse, e in particolare quelle comuniste, avessero costituito uno dei canali principali per la conquista del consenso da parte del regime.
Ribaltando l’interpretazione classista del nazismo (per lui un’autentica “fandonia” 11")
e ricorrendo alla categoria ideologico-politi- ca del totalitarismo, scriveva che:
se ci fu una classe ostile al nazionalsocialismo fu proprio quella dei capitalisti, per i quali il passaggio del potere da Brùning a Hitler significò la morte di quel poco di iniziativa privata e di economia individualistica che ancora esisteva in Germania. Furono i tredici milioni di lavoratori sindacati che determinarono il trionfo del nazismo passando nelle sue file compatti e a bandiere spiegate. E lo fecero appunto perchè il nazismo predicava e realizzava un socialismo più radicale di quello di Scheide- mann, instaurando — finalmente! — il capitalismo di Stato integrale che piace alle masse116.
Caustico verso i “professionisti dell’antinazi- smo''117, irridente nei confronti dei fuoriusciti dal Reich a suo dire velleitari ed invisi a tutto il popolo germanico118, Montanelli si accaniva soprattutto contro il comuniSmo tedesco. Era contro di esso in particolare che veniva brandita la teoria del totalitarismo. “I comunisti tedeschi non hanno dato inquilini ai “Lager” . Quelli dei loro capi che nel 1933 non fuggirono in Russia, li ritroviamo presidenti dei tribunali hitleriani come Frei- sler o capi della Gestapo come Torgler, aiutante di Heydrich in Cecoslovacchia”119. Accomunati da una visione della società e del potere identica a quella del nazionalsocialismo, secondo Montanelli i lavoratori comunisti si erano fin dall’inizio inseriti alla perfe-
militare a Hitler, opera uscita allora in lingua tedesca per i tipi di Europa Verlag (Offtziere gegen Hitler), cfr. I. Montanelli, / / cognac che esplode, Cdl, 13-14 settembre 1946.114 I. Montanelli, L ’umanesimo tedesco è stato epurato in massa, cit.115 “Le origini capitalistiche del nazismo sono una fandonia”, scriveva Montanelli il 24 luglio (I. Montanelli, In un castello di caccia è nata la nuova Germania, CdS, 24 luglio 1948).116 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica adesso aspetta un "piano", CdS, 2 dicembre 1948 [corsivo nostro],117 I. Montanelli, Un premier dell'Impero inglese viene a trattare con un gangster!, Cdl, 27-28 dicembre 1948 (cfr. anche I. Montanelli. Morire in piedi, cit., pp. 54-55).118 I. Montanelli, Beck con le lacrime agli occhi supplica i congiurati di agire, Cdl, 30-31 dicembre 1948 (cfr. anche I. Montanelli, Morire in piedi, cit., pp. 57-58). Fra i fuoriusciti antinazisti. Montanelli se la era presa in particolare contro Thomas Mann, prima campione del pangermanesimo sciovinista e in quanto tale, a suo dire, precursore del nazismo (per Montanelli, addiritura, sarebbe stato Mann ad inventare la formula del “Terzo Reich”!), poi suo acerrimo nemico, e. fatto grave per Montanelli, fermo sostenitore di una punizione esemplare per la Germania, (cfr. 1. Montanelli, Mann fa a se stesso uno scherzo di cattivo genere, CdS, 20 novembre 1948).119 I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per i tedeschi della "Resistenza", cit.
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zione nel sistema hitleriano. Essi per primi erano entrati nel Fronte del Lavoro di Ley, dove si erano distinti per il loro “totalitario zelo” Il 120. La requisitoria di Montanelli non si fermava qui. A suo avviso, infatti, ai comunisti andava addebitata anche un'ignobile azione di tradimento e delazione che aveva portato al tragico fallimento molte delle iniziative clandestine antinaziste. Era questo, ad esempio, il caso del Fronte tedesco contro Thitlerismo che, costituito nel 1936 da Otto Strasser insieme a cattolici e a socialdemocratici, era stato denunciato alla polizia da elementi comunisti e così scompaginato121. Era questo il caso della stessa organizzazione d’ispirazione comunista Rote Kapelle la quale, una volta presa la decisione di porsi agli ordini diretti di Mosca, era stata proditoriamente smascherata proprio dall’uomo che il Cremlino aveva mandato in Germania per dirigerla122. Alla sincerità dimostrata nel rendere onore alla Resistenza tedesca non corrispondeva dunque analoga sincerità nel riconoscere i dovuti meriti ad ognuna delle parti politiche e delle forze sociali che quella Resistenza avevano animato.
La Germania di Montanelli: tradizione umanistica, bonomia popolare e virtù salvifiche del liberismo.
Il corrispondente del “Corriere” non lesinava, come si è visto, “colpi bassi” e i travisamenti strumentali della realtà, che erano tut
tavia invalsi anche al di là della cortina di ferro e sulla stampa di sinistra. Il clima ormai arroventato della guerra fredda e la gara ingaggiata dalle grandi potenze per la costruzione di due Stati tedeschi spingevano infatti ad un confronto propagandistico serrato in cui veniva usato ogni mezzo per screditare l’avversario. Delegittimare per legittimare. Era questo l’intendimento anche di Montanelli. Solo che legittimare una rinascita tedesca, secondo il suo proposito, non era semplice come legittimare, in generale, le ragioni della democrazia occidentale contro quelle del totalitarismo comunista. Sul popolo germanico gravava infatti come un macigno il peso della più radicale condanna morale mai inflitta ad una nazione.
Il primo passo compiuto da Montanelli sulla strada della rilegittimizzazione tedesca era stato quello — lo si è visto — della rivendicazione dell’esistenza in Germania di un’opposizione antihitleriana di natura “aristocratica e liberale” , un’opposizione fatta soprattutto di religiosi e di militari, che aveva contrastato il regime ispirata da motivazioni etiche e spirituali, pagando un carissimo tributo di sangue. Per Montanelli, quest’“altra Germania” che si era battuta con tanta caparbietà contro il nazismo non rappresentava soltanto una prova della capacità dei tedeschi di resistere e di insorgere contro la dittatura. Essa richiamava infatti alla memoria un volto della Germania che il pubblico internazionale considerava estinto e che invece costituiva, a suo avviso, una corrente sotterranea
120 I. Montanelli, Gli antinazisti tedeschi cospiravano il mercoledì, Cdl, 20-21 dicembre 1948 (cfr. anche I. Montanelli, Morire in piedi, cit., p. 32). Omettendo del tutto di ricordare le persecuzioni patite dai comunisti tedeschi. Montanelli riconosceva solo a Thaelmann di avere tentato una lotta di resistenza contro il nazismo. Un poco più “benevolo” il giornalista toscano si mostrava verso la socialdemocrazia tedesca. Pur negando una sua opposizione come partito al regime nazista, egli tuttavia ricordava le persecuzioni e il martirio patiti da alcuni suoi esponenti: i due leader Hilferding e Breitscheid. Hermann Maas, Mierendorf, Haubach, Ludwig Schwamb, Reichwein, Leber (cfr. I. Montanelli, Gli antinazisti tedeschi cospiravano il mercoledì, cit.).121 1. Montanelli, Gli antinazisti tedeschi cospiravano il mercoledì, cit. Su Strasser e sul cosiddetto Fronte nero cfr. Otto Strasser, Hitler segreto, Roma, De Luigi, 1944.122 I. Montanelli, Il congiurato venuto da Mosca denuncia i “compagni" alla Gestapo, Cdl, 10-11 gennaio 1949 (cfr. anche I. Montanelli, Morire in piedi, cit., pp. 99-100).
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vitale destinata in qualche modo a riemergere nel futuro: il volto di una “Germania patriarcale ed artigiana”, “parrocchiale”, “democratica e umanistica”123. Montanelli faceva intendere che un riscatto dei tedeschi non doveva spaventare oltremisura. La Germania non si identificava necessariamente con la nazione guerriera e conquistatrice delle armate della Wehrmacht. Vi era infatti una Germania non meno autentica: quella piccolo-borghese, serena e gaudente, “dello strudel, della birra e dei salsicciotti” 124. Girando per il paese, Montanelli diceva di vedere ovunque i segni di “un ritorno alla vera tradizione tedesca, la tradizione di un popolo sostanzialmente pacifico e cordiale, nonostante Dachau e le Fosse Ardeatine, fatto di uomini che si guardano intorno alla ricerca di una Ehekamaradin che senta il matrimonio come una cosa armoniosa e casalinga, e di donne dai fianchi rotondi che si guardano intorno alla ricerca di una cucina e di bimbi da allevare” 125.
Quest’immagine idilliaca di una Germania pacifica e laboriosa, pullulante di donne “dagli occhi dolci e dai fianchi rotondi” intente a riordinare casette sventrate dai bombarda- menti, era tuttavia un’immagine che poteva rassicurare solo a metà, che difficilmete riusciva a cancellare le impronte lasciate nella memoria collettiva dal sanguinario Reich hitleriano. Ugualmente poco suadente era anche il richiamo di Montanelli ad una Germania precapitalistica e umanistica, dedita a virtù borghesi poi corrotte dal repentino sviluppo socio-industriale. Egli stesso aveva continuato infatti a parlare insistentemente di vizi radicati, di caratteristiche quasi antropologiche dei tedeschi, quali l’obbedienza perinde ac cadaver nei confronti del potere costituito,
la tendenza dell’individuo ad annullarsi nella massa e nella superiore entità dello Stato, il culto esasperato della forza e della potenza.
Ebbene, era forse sufficiente, per dimenticare tutto ciò ed escludere il ripetersi di nuovi tentativi egemonici, descrivere la tranquilla quotidianità affettivo-familiare dei tedeschi sconfitti o appelliarsi ad una Germania sette-ottocentesca di letterati e artigiani? Anche Montanelli senti in realtà la necessità di argomenti più convincenti. Il richiamo che egli faceva ad una Germania “aristocratica e liberale” , ad una nazione “pacifica e cordiale” , costituiva senz’altro nei suoi intendimenti un utile strumento per vincere le resistenze di quanti, ricordando il vicino passato, continuavano ad opporsi ad un pieno riscatto tedesco. Lo strumento era però largamente insufficiente. Non foss’altro perchè non si poteva realisticamente immaginare di far compiere alla Germania un salto all’indietro di oltre un secolo. Occorreva dunque qualcosa di diverso, qualcosa che Montanelli identificò in una modernizzazione del paese all’insegna del laissez faire.
Pur ribadendo la propria fiducia nei valori della Germania goethiana, egli cercò difatti in vari articoli di render ragione degli effetti rigeneratori che, a suo avviso, sui tedeschi avrebbe prodotto lo sviluppo di un moderno capitalismo d’impresa, non più legato all'intervento dello Stato ma basato sulla libera concorrenza. I tedeschi — egli diceva riprendendo un famoso motto di Gertrude Stein — dovevano imparare a disobbedire126. E il modo migliore per farlo era lasciare finalmente briglia sciolta all’iniziativa economica individuale. La Germania era sempre stata “anticapitalista e socialisteggiante” — sosteneva Montanelli127 — “dal governo degli Junker
123 Erano parole che Montanelli riprendeva da Keyserling (cfr. I. Montanelli, Soltanto in Paradiso cronometri a volontà, cit.)124 I. Montanelli. Sono tornale le carrozzelle nella Germania democratica, CdS, 2 settembre 1948.125 I. Montanelli. Sette milioni di donne alla ricerca di una cucina, CdS, 5 agosto 1948 [corsivo nostro].126 I. Montanelli, Un maestro troppo sincero tiene lezione a Magonza, CdS, 28 novembre 1948.127 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica, adesso aspetta un "piano”, cit.
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fino a quello di Hitler” , il quale aveva esteso l’intervento statale su tutto, fino a realizzare “un socialismo integrale”, “più integrale sotto molti aspetti — egli notava — di quello stesso sovietico” . Ora, però, si scorgeva un’inversione di tendenza che faceva ben sperare. La borghesia imprenditoriale tedesca sembrava finalmente disposta a rivendicare quell’autonomia d'azione che le era stata tolta già all’indomani della rivoluzione industriale dalla “burocrazia prussiana”, interessata ad organizzare e controllare ogni risorsa nazionale in vista dell’affermazione egemonica dello Stato tedesco.
La mobilitazione industriale della Germania quale fu operata dal 1933 in poi in vista della guerra, e il gigantesco minuzioso “piano” al quale obbedì, furono resi possibili non dai capitalisti, ma dalla mancanza di un capitalismo che potesse far valere le sue esigenze “economiche” rispetto a quelle “politiche” del regime. E se la Germania, oggi, ha bisogno di qualcosa per fare qualche passo avanti sul difficile cammino della democrazia, è proprio di tutto ciò che può fare ostacolo alla onnipotenza dello Stato, al suo centralismo livellatore e alla sua pericolosa tendenza ai “piani” e alle mobilitazioni generali: cioè quelfindividualismo di cui il capitalismo è la traduzione in termini economici128.
Montanelli era fiducioso. Stanca per i tre “lustri di tesseramento” che aveva dovuto subire, la Germania stava diventando “ liberale” 129. Si assisteva infatti allo spettacolo di un numero sempre crescente di imprenditori tedeschi smaniosi “di scrollarsi di dosso ogni controllo, di gareggiare in concorrenza, di sottrarsi ad ogni ingerenza dell’autorità politica”. Questo processo andava però incorag
giato. Qui nuovamente il ragionamento di Montanelli si tingeva di forti valenze politiche. Per lui l’unica strada capace di favorire questo processo era quella liberistica indicata dagli americani. Solo essi volevano davvero la ricostruzione del paese. Non i francesi ossessionati dal problema della sicurezza e timorosi di una possibile concorrenza economica tedesca, non il governo laburista. Soprattutto su quest’ultimo si appuntavano gli strali polemici di Montanelli. A suo avviso, non solo Londra era infatti segretamente interessata a rallentare il più possibile per motivi di concorrenza lo sviluppo dell’industria germanica, ma essa per di più intendeva “fare della Germania la cavia di esperimenti pianificatori e dirigistici” 130, a partire in primo luogo dal progetto di nazionalizzazione della Ruhr. Era questo, per Montanelli, un pericolo mortale. Egli non esitava a parlare di “totalitarismo laborista” 131, che avrebbe condotto a pessimi risultati sia economici che politici. Dal punto di vista economico, nessun buon risultato sarebbe stato infatti raggiunto se non si fosse subito riconsegnata la proprietà delle aziende tedesche ai legittimi titolari, gli unici disposti ad investirvi capitale, gli unici capaci di una gestione efficiente132. Dal punto di vista politico, poi, reintrodurre la Planwirtschaft avrebbe significato, per Montanelli, reintrodurre uno dei “pilastri” del germanesimo più deteriore: la “mistica collettivistica” 133.
La pianificazione dell’economia avrebbe avviato la Germania occidentale sullo stesso sentiero imboccato dalla Germania orientale in mano ai comunisti. Un’eventualità questa che il giornalista del “Corriere” deprecava in modo categorico facendo proprie le paro-
128 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica, adesso aspetta un "piano", cit.129 I. Montanelli, C’è chi vuole pianificare ma i tedeschi ne hanno abbastanza, CdS, 11 dicembre 194S.130 I. Montanelli, In un castello di caccia è nata la nuova Germania, cit.131 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica, adesso aspetta un “piano", cit.132 I. Montanelli, Lo spodestato “re dell'acciaio" a cena dai suoi vecchi operai, cit. Secondo Montanelli anche gli stessi operai erano contrari alla collettivizzazione delle imprese.133 I. Montanelli, C’è chi vuole pianificare ma i tedeschi ne hanno abbastanza, cit..
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le profetiche del guru del liberismo tedesco, il professor Ludwig Erhard:- “Più schiavi sono i tedeschi d’Oriente, più liberi devono essere quelli d’Occidente: ad un certo punto saranno questi a riassorbire quelli e non vi-
,,134ceversaMontanelli non aveva dubbi: il rilancio in
chiave liberal-liberista della Germania avrebbe rappresentato sia una “medicina” indispensabile a curare il più radicato e pernicioso dei mali teutonici, vale a dire l’irrefrenabile tendenza aH’annullamento dell'individuo nello Stato, sia uno strumento efficace a garantire col tempo la vittoria della parte occidentale del paese nella contesa aperta per il ristabilimento dell’unità nazionale.
Conclusioni
Le corrispondenze di Montanelli dalla Germania costituiscono una testimonianza giornalistica e culturale di estremo interesse. Nel momento in cui l’Occidente prendeva la decisione definitiva di procedere alla costituzione di uno Stato tedesco occidentale, per la stampa democratica d'ispirazione anticomunista si poneva immediatamente il problema della legittimazione della nuova compagine statale. Legittimazione che implicava due aspetti diversi, ma correlati: legittimazione rispetto allo Stato tedesco orientale che anche le autorità di Mosca avevano deciso di costituire e legittimazione come riconoscimento del diritto dei tedeschi a reinserirsi nel consesso dei popoli civili dopo l’inappellabile condanna morale loro inflitta per le colpe del nazismo.
Il primo aspetto rimandava direttamente al- l’ormai serrato confronto internazionale fra i due blocchi rivali guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Il secondo, pur fortemente condizionato dalla situazione politica mondiale, rimandava invece ad una sfera diversa, quella della coscienza individuale e collettiva. Su entrambi gli aspetti Montanelli interveniva con grande incisività.
L’enfasi posta sulla figura di Lucius Clay, identificato come il sostenitore della prova di forza con l’Urss e della linea di piena riabilitazione politica e incondizionato rilancio economico della Germania occidentale, significava ad esempio l’abbandono inequivocabile da parte del “Corriere” di ogni residua istanza “rooseveltiana” di partnership fra le grandi potenze vincitrici. Sulla scia di un’impostazione evidenziatasi sulle pagine del giornale fin dall’estate del 1946 (inizio della gestione Emanuel), Montanelli accettava in pieno e portava alle sue estreme conseguenze la logica della contrapposizione muro contro muro fra Est ed Ovest, fra il mondo democratico occidentale e il blocco comunista orientale. Le ragioni della politica di potenza dovevano precedere ogni altro tipo di ragioni e di considerazioni. Il problema della sicurezza non si configurava più come problema di un eventuale revanscismo teutonico quanto piuttosto come problema del contenimento dell’incombente minaccia sovietica. La Deutschlandpolitik di Londra, di Parigi, di Washington non doveva porsi come obiettivo il controllo dei tedeschi e la loro rieducazione democratica, bensì la ricostruzione più rapida possibile e con ogni mezzo di
134 I. Montanelli. Partita dallo zero assoluto la produzione tedesca sale di giorno in giorno, cit. Già in quest’articolo Montanelli aveva puntato i riflettori sulla figura di Ludwig Erhardt allora direttore dell'amministrazione economica della Bizona. Fautore convinto di una politica liberistica di rilancio produttivo che Montanelli contrapponeva a quella “dirigistica” del direttore del dipartimento dell’Alimentazione e Agricoltura Schlange-Schoeningen. Erhardt veniva paragonato ad Einaudi e presentato ai lettori del "Corriere” come l’ideatore della riforma monetaria (in realtà pensata dagli americani) e come l’artefice di quello che Montanelli già non esitava a chiamare “miracolo economico" tedesco. Ricordiamo che il quotidiano milanese continuerà a nutrire un particolare interesse per la figura di Erhardt. Nel momento della fondazione della repubblica federale tedesca a lui più che ad Adenauer si guarderà con simpatia quale campione di una politica liberal-liberista pura, modello — secondo il “Corriere” — per tutta l’Europa occidentale.
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un’imponente forza economica germanico- occidentale necessaria al successo del piano Marshall e con esso al contenimento della pressione comunista. La Germania dell’Ovest doveva diventare la barriera principale contro l’espansionismo di Mosca. Costruire un forte Stato tedesco occidentale era dunque legittimo perchè ciò era indispensabile a fronteggiare il blocco avversario. Il solo fatto che circolassero voci circa l’intenzione sovietica di dar vita ad uno Stato tedesco nella propria zona d’occupazione giustificava di per sé la creazione di uno Stato tedesco al di qua dell’Elba. Ciò che, in definitiva, era considerato politicamente opportuno diventava ipso facto lecito.
L’operazione di Montanelli — va notato — non si risolveva nel mettere la sordina alle esigenze della rieducazione democratica e del controllo dei tedeschi. Egli andava oltre: additava infatti queste esigenze e le politiche che ne erano derivate come controproducenti per l’Occidente. I tedeschi, a suo avviso, erano refrattari alla democrazia. Essi avevano il culto della forza, dell’autorità e della potenza. Essi avrebbero potuto accogliere la democrazia solo se essa si fosse presentata loro col fascino di una evidente superiorità di mezzi rispetto al comuniSmo sovietico. Era la teoria della “politica di prestigio” caldeggiata da Clay. Per conquistare i tedeschi alla democrazia gli occidentali avrebbero dovuto da un lato dimostrare la propria forza diplomatico-militare nei confronti della Russia e dall’altro dare prova di procurare alla Germania dell’Ovest un benessere economico di gran lunga maggiore di quello consentito dal sistema sovietico alla Germania orientale. Da soli gli sforzi pedagogici degli occupanti non avrebbero sortito alcun effetto, tranne quello di inimicarsi sempre più la popolazione germanica.
Qui il discorso di Montanelli toccava quel secondo aspetto cui accennavamo, cioè la sfera della coscienza individuale e collettiva, la sfera degli umori e dei sentimenti popolari.
Il suo appello ad una rapida e totale riabilitazione della Germania era certo comprensibile ai lettori del “Corriere” che già da due anni l’avevano ascoltato come passo indispensabile per un’efficace contrapposizione all’analoga azione sovietica. Nessuno però fino a quel momento aveva negato cosi drasticamente l’opportunità di una “rieducazione” ribadendo al tempo stesso i luoghi comuni dell’innata idiosincrasia del popolo tedesco verso i principi della vita democratica. Gli animi erano ancora segnati dalle ferite della guerra nazista di cui si riteneva responsabile l’intera nazione tedesca. Risultava dunque difficile dar fiducia ai tedeschi, considerarli degli alleati con pari diritti nella lotta ingaggiata contro il comunismo sovietico. Era invece proprio questo ciò che Montanelli cercava di fare. Egli sgombrava dal campo l’immagine demoniaca della Germania per sostituirla con un’immagine edulcorata e rassicurante.
Il discorso del giornalista del “Corriere” era complesso e non mancava di cadere in alcune evidenti contraddizioni: ribadiva alcuni vecchi stereotipi come il rispetto incondizionato dei tedeschi verso l’autorità costituita e il loro culto della forza, ma negava recisamente il principio della “colpa collettiva” . Prova ne era 1’esistenza di un’“altra Germania” che si era opposta con fermezza al nazismo pagando duramente per il suo coraggio e la Resistenza tedesca aveva a suo avviso una consistenza di massa, ma allo stesso tempo un carattere elitario. La contrapposizione ideologica al comunismo lo portava a negare il ruolo svolto nell’opposizione a Hitler dal movimento operaio e le persecuzioni da esso subite. Come avrebbe poi fatto la Germania di Adenauer negli anni cinquanta, Montanelli esaltava l’azione dell’opposizione militar- borghese al nazismo screditando invece completamente la “Resistenza operaia”, e in special modo quella comunista. Ma viene da chiedersi come fosse possibile parlare di otto- centomila prigionieri politici tedeschi internati nei Lager nazisti senza tener conto del
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l’azione repressiva del regime hitleriano contro i partiti e i sindacati della sinistra. Potevano essere quegli internati solo letterati e filosofi, esponenti del clero, aristocratici e militari, come Montanelli sembrava sostenere? Era chiaro che, oltre ad una componente ideologica, anche una forma di risentimento personale lo portava a delegittimare il contributo di quelle forze sulle quali si stava fondando lo Stato tedesco orientale. Il giornalista toscano diffidava dei “professionisti dell’antifascismo”. Fervido fascista in gioventù, egli era andato maturando progressivamente il proprio distacco dal regime mus- soliniano tanto da rischiare la pena capitale come oppositore antifascista nel 1944. Come in tanti altri percorsi biografici, si era trattato di un cammino interno al fascismo, un cammino che, diversamente però da tanti altri casi similari, non era approdato sulle sponde della sinistra e che, forse proprio per ciò, gli aveva attirato da quella parte critiche astiose. Non ci pare dunque da escludere che anche questo atteggiamento risentito verso un antifascismo di “duri e puri” geloso dell’esclusiva, pesasse non poco nell’o- rientare la posizione di Montanelli verso il Widerstand tedesco, chiaramente tesa a privilegiare quegli attori politico-sociali e quelle singole personalità che in Germania, come in Italia era accaduto anche a lui, erano andati maturando lentamente un’opposizione al regime dall’interno, dopo le iniziali e sincere speranze. La stessa fiducia nelle capacità
di autoredenzione dei tedeschi, in fondo, può essere ricondotta all’esperienza personale di Montanelli, capace di un “salvifico” esame di coscienza dopo i trasporti giovanili per il verbo mussoliniano.
Se l’affermazione dell’esistenza di un Widerstand germanico era la premessa per una riabilitazione dei tedeschi, di grande efficacia per fugare le paure dell’opinione pubblica italiana era dunque l’immagine che Montanelli tracciava di un’“altra Germania” piccolo-borghese, pacifica e gaudente, democratica ed umanistica. Anche in questo caso una analisi attenta non avrebbe mancato di rilevare la contraddizione fra l’esaltazione degli Junker e dell’esercito che il giornalista operava parlando della Resistenza e i valori democratico-umanistici, che mal si conciliavano con i principi gerarchico-autoritari del militarismo prussiano. Ma era un’immagine, questa montanelliana, che unita alla fiducia in uno sviluppo economico affidato alla libera iniziativa dei tedeschi, fissava una fisionomia della Germania con cui italiani e europei si sarebbero presto familiarizzati: una Germania ricca e pacifica, dedita a coltivare serenamente i propri affari, appagata da una vita tranquilla ed agiata; una Germania che, senza aver fatto i conti col proprio passato, sarebbe diventata addirittura di li a poco sulle pagine del “Corriere” un modello di riferimento economico e politico per l’intera Europa occidentale.
Filippo Focardi
Filippo Focardi, laureato in Lettere alfUniversità di Firenze, è dottorando in Storia presso l’Università di Torino. Si sta occupando dei rapporti politici ed economici italo-tedeschi nel secondo dopoguerra e della percezione della Germania in Italia. Si è perfezionato presso l’Università di Colonia.