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IL CAVALIERE INESISTENTE ITALO CALVINO
© GSCATULLO
(
Il Cavaliere Inesistente Premessa
Introduzione Questo documento l’ho redatto nell’intenzione di costruire una relazione sul Cavaliere inesistente che possa
considerarsi completa. Ho fatto uso per la sua composizione di diverse fonti, principalmente tramite internet
che si possono rintracciare nella sitografia. L’edizione cartacea considerata è quella edita Mondadori nel
1993, che ho consultato in formato digitale come riportato nella nota 1 e reperibile online. I riferimenti non
dovrebbero comunque essere troppo divergenti dall’edizione cartacea originale.
Scheda breve Titolo: "Il Cavaliere Inesistente"
Prima Edizione: Novembre 1959, Casa editrice Einaudi di Torino
Edizione considerata: Maggio 1993, Arnoldo Mondadori Editore1
Genere dell'opera: Romanzo
Ambiente: Le vicende si ambientano prima a Parigi, poi negli accampamenti cristiani, in Europa e in
Marocco, per poi concludersi nuovamente in Francia.
Tempo: La storia si svolge nel IX secolo, durante la guerra contro i musulmani, che occupavano la Spagna.
Trama: Agilulfo è un cavaliere al servizio di Carlo Magno che combatte contro i mori. Perfetto in tutto, ad
eccezione del fatto che non esiste. Altri personaggi modificheranno il corso delle vicende e sarà messo in
discussione l’onore di Agilulfo che per riconquistarlo tenterà imprese strabilianti. Dopo diversi viaggi per
l’Europa ed in Africa, i cavalieri tornano tutti al cospetto di Carlo Magno. Vi sarà ampio spazio per i colpi di
scena.
L’Autore Nato a Santiago da Las Vegas a Cuba, il 15 ottobre 1923 da Giacomo Calvino ed Eva Mameli, direttori
d’una serra Botanica a Cuba. Dopo l’arrivo d’un uragano nel 1925, i genitori decisero di tornare in
Italia, nel 1926, dove si stabiliscono a Sanremo. L’anno seguente nasce Floriano, fratello di Calvino.
Frequenta la scuola Valdese e si diploma al Liceo Classico. Intraprende quindi la facoltà Agraria.
Incostante negli studi, si arruolò giovane nelle Brigate Rosse. Nel 1944 entra a far parte del Partito
Comunista Italiano (PCI), di cui diventa un attivista negli anni seguenti. Nel 1952 dopo i fatti
d’Ungheria, si ritirò dal PCI. Nel 1964 sposa Avana Esther Judith Singer, da cui ha una figlia l’anno
seguente. Sempre in quell’anno, 1965, parte per un viaggio in Messico e vengono pubblicate le
Cosmicomiche. Trasferitosi a Parigi nel 1967, entrerà a far parte degli Strutturalisti. Nel 1978 perde
la madre novantaduenne. Torna quindi a Roma nel 1980. Viene anche invitato nel 1984 a tenere un
ciclo di 6 lezioni alla prestigiosa università di Harvard. Morirà il 19 settembre 1985 a Castiglione di
Pescaglia, dove verrà sepolto, a causa d’un Ictus che lo ha colpito il 6 settembre prima, a Roccamare.
Tra le sue opere principali: Il visconte dimezzato (1952); Il barone rampante (1957); Il cavaliere
inesistente (1959); Le città invisibili (1972); Sotto il sole giaguaro (1986).
1 Nell’edizione digitalizzata qui reperibile: http://italiano.sismondi.ch/letteratura/autori/Calvino/italo-calvino-il-
cavaliere-inesistente/at_download/file, i riferimenti a piè di pagina presenti in questo documento fanno riferimento a questa versione.
Riassunto
Per macro-sequenze Nel campo dei cristiani di Carlo Magno vi è Agilulfo, un cavaliere dalla bianca e lucida armatura, perfetto in
tutto quel che fa – e per questo antipatico ai suoi compagni - ma inesistente. Si aggiunge all’esercito dei
Franchi anche Rambaldo, un giovane desideroso di vendicare la morte del padre; e Gurdulù, un uomo che
non sa di esistere incontrato dai Paladini e da Carlo Magno, che viene dato ad Agilulfo come scudiero.
Durante la sua prima battaglia Rambaldo riesce ad uccidere Isoarre, vendicando così il padre; vittima di
un’imboscata, viene salvato da Bradamante, di cui si innamorerà. La donna però non ricambia poiché
innamorata di Agilulfo.
Tutto nel campo è scandito da ritmi precisi e da rituali consolidati, persino le battaglie, ma la routine viene
interrotta quando durante un banchetto Torrismondo contesta la validità dei titoli di Agilulfo, poiché la
fanciulla – Sofronia - che il cavaliere salvò per ottenerli non poteva essere illibata poiché era già sua madre.
Con questa affermazione anche il suo cavalierato e messo in discussione, poiché non figlio legittimo di nobili.
Agilulfo deciderà, con il permesso di Carlo Magno, di cercarla per dimostrare che ciò che afferma
Torrismondo è falso. Ad accompagnarlo il suo scudiero Gurdulù.
Dopo una breve avventura presso il castello della vedova Priscilla, raggiungono il convento dove sarebbe
dovuta essere Sofronia, ma lo trovano distrutto, secondo la testimonianza di un popolano da pirati del
Marocco, che hanno condotto le religiose in schiavitù. Partono allora alla volta dell’Africa, lì riescono a
liberare Sofronia e la portano in Bretagna.
Torrismondo intanto giunge in Curvaldia alla ricerca dei Cavalieri di San Gral, per chiedere che riconoscano il
loro ordine come suo padre e riottenere il titolo di cavaliere. Quando oppressi dai Cavalieri del Gral i Curvaldi
vengono aiutati da Torrismondo, che termina le sue avventure anche lui in Bretagna, giacendo con Sofronia.
Quest’ultima si rivela essere sua sorellastra, e il cavalierato di Agilulfo valido, tuttavia per un malinteso il
cavaliere inesistente crede di essere irreparabilmente ferito nell’onore e scompare, lasciando a Rambaldo la
sua armatura. Con questa il giovane, ormai cresciuto, riesce a baciare Bradamante, che però scoprendolo
non essere Agilulfo come l’armatura avrebbe voluto far credere fugge via.
Le vicende sono narrate da suor Teodora, che nel suo convento sta scrivendo un libro sulle storie che ha
sentito raccontare durante la sua vita, e che alla fine si rivelerà essere proprio Bradamante. Fugge dal
convento da cui ha scritto la storia con Rambaldo quando lui, dopo molto tempo, la ritrova.
Per capitoli
“Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlomagno doveva
passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano lì; faceva caldo; era un pomeriggio
di prima estate, un po’ coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute
a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell’immobile fila di cavalieri già non avesse
perso i sensi o non si fosse assopito, ma l’armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un
modo.”2
[I] Il romanzo si apre con Carlo Magno che, sotto le mura di Parigi, passa in rassegna l’esercito dei Franchi.
Ogni cavaliere è interrogato dal re riguardo la sua identità (“Ecchisietevòi”?), sino ad un cavaliere con
l’armatura bianca e lucida, tale Agilulfo, che sembra rifiutarsi di alzare la celata per mostrare al re il proprio
volto. Quando acconsente il re nota che l’elmo è vuoto: «io non esisto, sire». Nel campo Agilulfo, cavaliere
perfetto e inesistente, è antipatico a tutti, specialmente per la sua pignoleria.
2 Calvino, I. (1959) Il Cavaliere Inesistente. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992, p. 4
[II] Scesa la notte, nei campi dei cristiani e degli infedeli tutti dormono, eccetto Agilulfo che, sempre
cosciente, non sa dormire e si impegna in faccende manuali per far passare il tempo. Camminando per il
campo incontra il giovane Rambaldo da Rossiglione, deciso a vendicare la morte del padre Gherardo, e lo
rimanda all’umoristica burocrazia del campo (“devi fare domanda alla Sovrintendenza ai Duelli, alle Vendette
e alle Macchie dell’Onore”).
[III] Durante uno spostamento dell’esercito dei Franchi fa la sua comparsa Gurdulù, un tale che seguiva delle
anatre credendo di essere una di loro. In un altro paese poi, lo stesso tipo era convinto di essere una rana,
ed i contadini lo chiamavano Omobò. Quando Carlo Magno lo fa condurre al suo cospetto, Gurdulù si
convince di essere lui stesso il re. Viene assegnato come scudiero ad Agilulfo.
[IV] Il narratore della storia dice di essere suor Teodora, religiosa colombaniana, che si scusa se la storia può
apparire poco chiara, ma lei l’ha ricostruita – dice – da vecchie carte e chiacchere ascoltate in parlatorio,
poiché lei di guerre, fuorché qualcosa visto da bambina, non sa niente. Così anche Rambaldo non sa nulla di
armi, ed è al suo primo scontro, tutto già pianificato nei movimenti che lui dovrebbe semplicemente
rispettare. Rambaldo durante lo scontro cerca l’argalif Isoarre per vendicare il padre, ma si trova davanti il
portaocchiali di quello – così gli si è presentato secondo l’interprete -, e rompendo le lenti per l’argalif,
quest’ultimo crede di essere spacciato e si getta su una spada cristiana. Rambaldo ripresosi dalla foga di
vendetta, si rende conto che intorno a lui sono rimasti solo cadaveri, e quasi si commuove. Galoppando si
ritrova in un’imboscata dei Saraceni, messi però in fuga da un misterioso cavaliere dall’armatura color
pervinca. Quest’ultimo però scappa via senza rivolgere parola a Rambaldo. Il giovane si dirige allora ad un
torrente scoprendo che il cavaliere che l’aveva salvato è in realtà una donna (colta durante la minzione). Al
campo apprende che il suo nome è Bradamante.
[V] Il rumore delle cucine ispirano suor Teodora a descrivere una scena di pasto nel campo cristiano.
Rambaldo trovato Agilulfo gli confida il desiderio di voler diventare un paladino, ed il cavaliere lo invita a
seguirlo nelle mansioni più pratiche, tra cui l’ispezione delle mense. Rambaldo riferisce ad Agilulfo di
un’irregolarità: molti tra i poveri che vengono a chiedere gli avanzi sembrano tutti uguali, rivelando che tra
loro vi è Gurdulù. Con quest’ultimo ed il giovane, Agilulfo va a seppellire i morti in battaglia.
[VI] Bradamante, la cui tenda veniamo a sapere è la più disordinata del campo cristiano, si esercita nel tiro
con l’arco quando viene invitata a misurarsi in quella disciplina da Rambaldo. Dopo aver accettato sprezzante
e lanciata qualche freccia, invita Agilulfo, che passava di lì, a fare lo stesso. Si rivela così che lei è innamorata
del cavaliere inesistente, con grande dolore per Rambaldo che si allontana. Il giovane incontra poi
Torrismondo di Cornovaglia con cui ha uno scambio durante il quale rivela la sua sconsolatezza, e che termina
con un accenno del secondo all’ordine dei cavalieri del San Gral.
[VII] Dopo un breve accenno alla vita del convento, suor Teodora descrive un banchetto dei cavalieri intorno
alla tavola dell’imperatore. A questi banchetti prende parte anche Agilulfo che, non potendo mangiare, si
limita a porre cibo nei piatti per poi farseli cambiare con di nuovi. I paladini sono soliti, durante il pasto,
ricordare le loro vicende ed Agilulfo, avendo una memoria perfetta, non fa altro che interromperli per inserire
precisazioni. Ad un tratto però prende parola Torrismondo che asserisce che Agilulfo non ha diritto al
cavalierato: quello era infatti stato nominato tale per aver salvato la verginità di una fanciulla da alcuni
briganti. Torrismondo asserì invece che la fanciulla, Sofronia, non solo non era vergine quando fu salvata, ma
è in realtà sua madre! Agilulfo indignato chiede e ottiene il permesso di partire alla ricerca di Sofronia per
dimostrare l’infondatezza delle affermazioni di Torrismondo, e quest’ultimo fa lo stesso per vedersi
riconosciuta la paternità dall’Ordine del San Gral (come gli aveva tramandato la madre), poiché non figlio dei
duchi di Cornovaglia aveva perso anche lui il diritto al cavalierato. Alla partenza di Agilulfo – e con lui del suo
scudiero Gurdulù - non si presenta nessun paladino, ma lo segue l’innamorata Bradamante, a sua volta
motivo della partenza di Rambaldo.
[VIII] Dopo una breve descrizione del viaggio del paladino, si legge Agilulfo imbattersi in una ragazza
piangente che chiede il suo aiuto: il castello della vedova Priscilla è attaccato da un branco di orsi. Nel
raggiungere il castello un eremita mendicante avverte Agilulfo che anche lui fu cavaliere prima di salvare
Priscilla, che in realtà sarebbe una donna libidinosa alla ricerca continua di cavalieri come amanti. Agilulfo
decide di andare egualmente verso il castello e, messi in fuga gli orsi, vi passa una notte come ospite.
[IX] Giunto sul luogo dove sarebbe dovuto sorgere il monastero vi trova solo rovine, ed un vecchio gli spiega
che non molto tempo prima dei pirati mori avevano rapito le religiose e le avevano condotte schiave in
Marocco. Salpati in nave alla volta del paese dei Mori, Agilulfo e Gurdulù si trovano a combattere contro una
balena e naufragano. Il cavaliere, unto d’olio di balena (immune così dalla ruggine), raggiunge sott’acqua a
piedi la costa, mentre lo scudiero giunto a riva in groppa ad una testuggine viene riconosciuto come Gudi
Ussuf da un pescatore ex-soldato, con cui collabora alla pesca di ostriche per il sultano. Agilulfo, arrivato a
riva, interrogando i pescatori scopre che il sultano ha bisogno delle ostriche come dono per le spose che visita
e che quella notte sarebbe toccato ad una nuova sposa, che era proprio Sofronia (conosciuta come suor
Palmira). Il cavaliere convince dunque i pescatori a far arrivare a nome del sultano un regalo “diverso” che
ricordasse alla sposa la sua madre-patria: un’armatura vuota. Con questo stratagemma riesce a farsi portare
nelle stanze di Sofronia e a liberarla, fuggendo in Bretagna. Qui lascia la fanciulla a riposare in una grotta per
raggiungere il campo di Carlo Magno. Intanto Torrismondo raggiunge la stessa grotta.
[X] Mentre Agilulfo aveva raggiunto il Marocco per trovare Sofronia, Torrismondo aveva cercato per l’Europa
i Cavalieri del Gral la cui sede è segreta e cambia ogni anno. Giunto nella terra remota di Curvaldia, seppe
dagli abitanti del posto che erano sottoposti a tributi proprio da un ordine di cavalieri che abitava il bosco.
Trovati così i cavalieri che cercava, Torrismondo tentò invano di farsi riconoscere come loro figlio, optando
poi per l’ammissione nell’ordine – con tratti di marcato misticismo – dopo un periodo di purificazione.
Tuttavia al momento della riscossione dei tributi, si rese conto della grande violenza dei Cavalieri del Gral ai
danni dei Curvaldi e si schierò dalla parte di quest’ultimi, scacciando via gli appartenenti al misterioso ordine.
Vagabondando senza più una meta, giunse alla grotta dove era Sofronia e se ne innamorò a prima vista.
[XI] Carlo Magno preceduto dai suoi soldati raggiunge con Agilulfo la grotta dove si trova Sofronia. Ma quando
i soldati escono dopo averla perlustrata, conducono al cospetto del re i due amanti sorpresi mentre giacevano
insieme. Così che quando Carlo Magno esclama il nome di Torrismondo, Sofronia afferma di lui che «lo crebbi
io stessa», provocando a queste parole la fuga di Agilulfo, e poi di Torrismondo convinto di essersi macchiato
di un terribile incesto. Poco dopo Sofronia prosegue spiegando che lei non è sua madre come egli credeva,
ma la sorella, e che la loro madre per liberarsi di lui – che aveva avuto dai Cavalieri del San Gral – la aveva
mandata a perdersi nel bosco con il fratello minore, imponendola di dichiarare che fosse suo figlio. Tornando
Torrismondo afferma però che non vi è stato alcun incesto, poiché ha appreso che Sofronia è figlia del Re di
Scozia e di una contadina e che suo padre aveva costretto la regina ad adottarla. I due possono dunque
sposarsi. Rambaldo intanto fu incaricato da Carlo Magno di cercare Agilulfo, ma trova solo la sua armatura
con un biglietto che ne affermava la nuova proprietà proprio al giovane cavaliere. Rambaldo con le vesti di
Agilulfo riesce ad avvicinare Bradamante, ma nell’entrare in intimità con lei viene scoperto e lei fugge.
[XII] Suor Teodora è arrivata alla fine del suo libro, dalla sua finestra si sente un cavaliere gridare: è Rambaldo
che cerca la sua Bradamante, in tutti i conventi. Lei chiude il libro, si veste con l’armatura, lo raggiunge,
innamorata di lui, e insieme partono.
Analisi
Personaggi Il protagonista della vicenda è Agilulfo [Emo Bertrandino dei Guildiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura,
cavaliere di Selimpia Citeriore e Fed], cavaliere dell’esercito cristiano al servizio di Carlo Magno, caratterizzato
da una voce metallica, e soprattutto da un’armatura bianca e lucida (ad eccezione di una piccola riga nera),
ma vuota, poiché lui non esiste. Le caratteristiche di questa sua esistenza inesistente vengono abbozzate nel
corso del romanzo dal narratore: sin da subito sappiamo che Agilulfo continua ad esistere (e a prestar
servizio) grazie alla sua forza di volontà3, poi si arriva quasi a delinearne la formazione:
“Poteva pure darsi allora che in un punto questa volontà e coscienza di sé, così diluita, si
condensasse, facesse grumo, come l’impercettibile pulviscolo acquoreo si condensa in
fiocchi di nuvole, e questo groppo, per caso o per istinto, s’imbattesse in un nome e in un
casato, come allora ne esistevano spesso di vacanti, in un grado nell’organico militare, in
un insieme di mansioni da svolgere e di regole stabilite; e - soprattutto - in un’armatura
vuota, ché senza quella, coi tempi che correvano, anche un uomo che c’è rischiava di
scomparire, figuriamoci uno che non c’è... Così aveva cominciato a operare Agilulfo dei
Guildiverni e a procacciarsi gloria.”4
L’inesistenza di Agilulfo ha come conseguenze fisiche la sua impossibilità di mangiare o di bere, e anche quella
di dormire. Da un punto di vista caratteriale, Agilulfo è estremamente pignolo e perfezionista, si attiene alle
regole ed è ligio ai suoi doveri. Non esita in virtù di ciò a rimproverare i suoi compagni e, complice il fatto di
avere praticamente sempre la ragione dalla sua, risulta antipatico a tutti, fuorché a Bradamante e a
Rambaldo. Quando è messo in discussione il suo onore, ma soprattutto la sua stessa identità di cavaliere,
appare quasi impulsivo e, durante l’episodio della vedova Priscilla, umano.
Agilulfo rappresenta per Calvino un tipo molto diffuso di uomo moderno, un uomo artificiale che vive in
maniera acritica e funziona alla stregua di un robot:
Dall’uomo primitivo che, essendo tutt’uno con l’universo, poteva esser detto ancora
inesistente perché indifferenziato dalla materia organica, siamo lentamente arrivati
all’uomo artificiale che, essendo tutt’uno coi prodotti e con le situazioni, è inesistente
perché non fa più attrito con nulla, non ha più rapporto (lotta e attraverso la lotta
armonia) con ciò che (natura o storia) gli sta intorno, ma solo astrattamente “funziona”.5
Un’altra interpretazione che si può attribuire a questa figura è quella di chi considera la propria esistenza tale
solo in relazione al riconoscimento sociale: così che quando Agilulfo ne viene definitivamente privato – così
credeva per il cavalierato – svanisce6.
Personaggio complementare ad Agilulfo è il suo scudiero Gurdulù, che nonostante esista non lo sa,
condizione simile a quella animale tanto che tra i suoi nomi vi è quello di “Omobestia” e simile è il modo in
cui lo apostrofa Carlo Magno7, ma già lo suggeriva il suo esordio al seguito delle anatre. Ma la sua personalità
va oltre, e ha una propria spinta all’identificazione con ciò che lo circonda. Il suo personaggio è stato
concepito da Calvino tramite un processo logico di antitesi alla figura di Agilulfo:
3 Cit. p. 8 4 Cit., pp. 37-38 5 Cfr. Calvino I. (Nota 1960) Postfazione ai “Nostri Antenati”, ora in Romanzi e racconti, ed. diretta da C. Milanini, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori 1991-1994. 6 De Bellis L., http://spazioweb.inwind.it/letteraturait/novecento/calvino/cavaliere.htm 7 Il cavaliere inesistente, cit., pp. 31-32
Dalla formula Agilulfo (inesistenza munita di volontà e coscienza) - dice lo scrittore -
ricavai con un procedimento di contrapposizione logica, (cioè partendo dall’idea per
arrivare all’immagine e non viceversa come faccio di solito) la formula esistenza priva di
coscienza, ossia identificazione generale col mondo oggettivo: e feci lo scudiero Gurdulù.
Questo personaggio non riuscì ad avere l’autonomia psicologica del primo. E ciò è
comprensibile, perché di prototipi di Agilulfo se ne incontrano dappertutto mentre i
prototipi di Gurdulù si incontrano solo nei libri degli etnologi.8
Altro personaggio principale, definito dall’autore “il vero protagonista” della storia9, è Rambaldo da
Rossiglione. Il giovane giunge nel campo cristiano per vendicare la morte del padre Gherardo, ma rimane ben
presto disilluso nel constatare che lì la realtà quotidiana è ben diversa da quella della cavalleria delle chanson.
È un personaggio a tutto tondo, poiché la sua aspirazione a vendicare il padre (esaudita nel capitolo IV) lascia
ben presto il posto all’amore per Bradamante. Ed alla stregua dell’ariostesco Ruggiero10 anche lui per arrivare
all’amata subisce una maturazione (che per il primo fu spirituale). Ha profonda stima di Agilulfo, e non gliela
nega neppure quando è geloso di lui.
Nell’analisi dei modi di essere che l’autore conduce scrivendo il libro, Rambaldo figura come la morale
pratica11, colui che cerca le prove d’esserci nell’azione, emblematico il desiderio di vendetta di vendicare il
padre che lo muove per tutti i capitoli iniziali.
Bradamante appare inizialmente sotto le vesti del cavaliere color pervinca che salva Rambaldo, per poi
rivelarsi – in maniera comica - una donna. Il gioco sull’identità sessuale viene ricalcato in chiave ironica su
quanto già fatto in Ariosto12. Bradamante ha avuto rapporti e relazioni con molti uomini, e la corteggiano
ancora molti cavalieri, ma lei è innamorata unicamente di Agilulfo poiché: quando una si è tolta la voglia di
tutti gli uomini esistenti, l’unica voglia che le resta può essere solo quella d’un uomo che non c’è per nulla... E
per amore lo insegue quando lui parte alla ricerca di Sofronia.
Aveva intrapreso la vita della cavalleria per l’amore che portava verso tutto ciò che era
severo, esatto, rigoroso, conforme a una regola morale e - nel maneggio delle armi e dei
cavalli - a un’estrema precisione di movenze.13
È una donna desiderosa di ordine e di regole, e perciò rimane delusa nel vedere la “vera” cavalleria,
similmente a quanto accaduto a Rambaldo. Non è un caso allora che si innamori follemente dell’inesistente
Agilulfo, perfetto in tutto, e che – come si vedrà nel finale – sia entrata in convento e, anche quando è uscita,
vi sia sempre ritornata. Anche lei, come Rambaldo, subisce una maturazione – e non è dunque un semplice
tipo - scrivendo il libro14 nelle vesti di suor Teodora. In lei l’autore realizza i temi portanti del romanzo e
comuni alla letteratura che lo ispira (Boiardo e Ariosto): l’amore e la guerra15.
Altro giovane cavaliere è Torrismondo, cadetto putativo dei duchi di Cornovaglia, ma in realtà figlio della
regina di Scozia e di uno dei Cavalieri del San Gral. Nel capitolo settimo contesta ad Agilulfo il suo diritto ad
essere cavaliere, asserendo che la vergine che salvò anni prima era in realtà sua madre Sofronia.
Quest’affermazione non è però dettata da una qualche malizia del giovane, bensì dal fatto che lui fu
effettivamente cresciuto da Sofronia che gli ha taciuto di essere sua sorella adottiva. Affermando di essere
figlio di Sofronia, e che dunque i duchi di Cornovaglia non l’ebbero per figlio legittimo, perde anche lui il titolo
8 Cfr Calvino I., Postfazione ai “Nostri Antenati”, cit. 9 Cit., p. 1217. 10 Cfr. Ariosto L., Cinque Canti, IV, 77 11 Calvino I., Postfazione ai Nostri antenati, cit., p. 1217. 12 E.g. Ariosto L., Orlando furioso, IV, 16, 4 13 Il cavaliere inesistente, cit., p. 69 14 Cfr. Cit. p. 97 15 Cfr. Cane A., http://www.oilproject.org/lezione/calvino-il-cavaliere-inesistente-riassunto-e-commento-2922.html
di cavaliere. Per riconquistarlo partirà alla volta della Curvaldia, terra di cui diventerà cittadino, rinunciando
al titolo di Conte.
Per Calvino è emblema della morale assoluta, che mette in discussione Agilulfo in nome di una legge etica
(della verità), e che cerca d’esserci “da qualcos’altro che se stesso, da quel che c’era prima di lui, il tutto da
cui s’è staccato”16.
Due gruppi meritano menzione tra i personaggi più rilevanti della storia: [il Sacro Ordine dei] i Cavalieri del
[San] Gral e i Curvaldi. I primi vivono in luoghi nascosti che cambiano di anno in anno, imponendo tributi alle
popolazioni ad essi vicine e ricercando un contatto mistico con il tutto; i secondi sono invece una popolazione
sottomessa dai Cavalieri del Gral che grazie a Torrismondo si emancipa e va in contro ad un grande progresso.
I membri del Sacro Ordine fanno voto di castità, nonostante ciò sono collettivamente padri – a detta di
Sofronia – di Torrismondo. L’Ordine fa capo ad un re, che vive in stato di trance, e si rapporta con il pubblico
“profano” solo tramite un rappresentante; periodicamente fanno incursioni nei villaggi vicini alla loro base
per punirli, qualora non paghino i tributi. Alcuni critici hanno visto in loro un’allegoria dei comunisti,
prontamente smentita da Calvino17.
I Curvaldi, che abitano la lontana terra di Curvaldia, sono un popolo di agricoltori che, dopo aver reagito agli
oppressori, decidono di adottare un sistema democratico rifiutando ogni forma di sottomissione o
feudalesimo, anche quando il feudatario sarebbe dovuto essere Torrismondo, che li aveva salvati
precedentemente. Proprio loro forniranno al lettore la morale dell’intera vicenda.
Appaiono molti personaggi minori, tutti in carne ed ossa, nel corso dell’opera: Sofronia, sorella adottiva di
Torrismondo e poi sua sposa; un senile (e rimbambito) re Carlo Magno; diversi paladini propri della Chanson
de geste, tra cui (quelli citati durante il banchetto) Orlando, Rinaldo di Montalbano, Astolfo, Angiolino di
Baiona, Riccardo di Normandia e Ulivieri; la vedova Priscilla che in Agilulfo trova l’amore e che è per lui come
una Calipso; le serve di Priscilla che “giocano” con Gurdulù; i servitori ed i pescatori del sultano in Marocco;
gli infedeli nel campo di battaglia; ed alcuni paesani che occasionalmente fanno la loro comparsa nelle
vicende.
Spazio e tempo La vicenda si svolge verosimilmente sul finire dell’VIII secolo, si cita infatti il paladino Orlando18, parodiando
le vicende dell’Orlando il furioso di Ariosto e delle Chanson de geste. L’intera narrazione è un analessi di
Bradamante, e si sviluppa in un tempo relativamente breve. Sono presenti tra i vari episodi/capitoli delle lievi
ellissi, che tuttavia non vengono né sottolineate, né colmate dal narratore. Ciò è ad esempio ben visibile nel
passaggio dal capitolo terzo al quarto19. Queste ellissi permettono a Calvino – soprattutto dal capitolo ottavo
e seguenti – di gestire meglio l’intreccio.
I luoghi dell’azione sono vari e sicuramente ispirati a quelli del Furioso. Il primo capitolo si svolge sotto le
mura di Parigi, e la macro-sequenza centrale20 si alternano tra scene nel campo cristiano (al confine con la
Spagna) e altre nei territori intorno, su cui tra l’altro si svolgevano le battaglie contro i mori. La macro-
sequenza riguardante le imprese di Agilulfo e quella di Torrismondo21 si svolge invece tra l’Europa, il Marocco
(solo Agilulfo) e la Curvaldia (solo Torrismondo), sino a concludersi in Bretagna.
16 Calvino I., Postfazione ai Nostri antenati, cit., p. 1217 17 È l’interpretazione di W. Pedullà criticata apertamente da Calvino. 18 Cfr. Il cavaliere inesistente, cit., pp. 26, 30, 33, 81, 83, 95; il paladino Orlando è vissuto dal 736 al 778. 19 Cit., pp. 36-37 20 Cit., Capitoli II-VII, pp. 11-96. 21 Cit., Capitoli VIII-X pp. 97-141
Narrazione Per gran parte della storia il narratore appare essere eterodiegetico e la focalizzazione zero, conosce infatti i
pensieri e i dubbi dei personaggi (è onnisciente); dal capitolo IV afferma di essere una suora – dunque il
narratore è intradiegetico - che in un convento scrive per penitenza impostagli dalla Badessa, ciò non
modifica lo stile della narrazione ma la intervalla con brevi sequenze – in prima persona – riguardanti la vita
religiosa. Accenna inoltre a delle (vaghe) fonti22 da cui prende spunto per scrivere la storia, un espediente
simile a quello utilizzato dal Manzoni.
Nell’ultimo capitolo (XII) il narratore si rivela essere uno dei personaggi della storia, Bradamante, rivelandosi
omodiegetico, nonostante de facto ciò non abbia un influenza effettiva sul testo. Non sono presenti parallissi.
Stile Il linguaggio è preciso ed elegante, di registro medio-comune. Sono comunque presenti termini appartenenti
ad un lessico più tecnico – armi, cibi, ecc. - con l’obbiettivo di favorire la verosimiglianza e di far aderire alla
realtà gli elementi surreali. L’attenzione descrittiva per i singoli oggetti non si riscontra invece per i luoghi
(castello di Priscilla, campo di battaglia, ecc.) che sono tratteggiati piuttosto vagamente, probabilmente
nell’ottica di fare di questo libro una “fiaba per adulti”. Si segnalano anche (rari) casi in cui il registro si
abbassa utilizzando un lessico popolare (e.g. torcibudella per violenta colica, nel cap. II) e lievemente volgare
(cfr. la sequenza sugli interpreti, cap. IV).
La prima parte del libro (I-VII) è caratterizzato da un maggior uso di figure retoriche, molte le similitudini, che
contribuiscono ad una certa lentezza del ritmo. La seconda parte (VIII-XII) risulta invece molto accelerata, per
stessa ammissione del narratore: «Libro, è venuta sera, mi sono messa a scrivere piú svelta», e vede
susseguirsi diversi rovesciamenti e colpi di scena.
È utilizzato il discorso diretto, accompagnato da descrizioni della comunicazione non verbale tra i
personaggi e del loro stato d’animo. Quando il dialogo avviene chiaramente solo tra due persone il discorso
diventa libero, l’assenza di verba dicendi suscita una sensazione di immediatezza e rende la sequenza più
scorrevole.
22 Cit., p. 38
Commento
Imparare ad essere
- Dovrò considerare pari a me questo scudiero, Gurdulú, che non sa neppure se c’è o se
non c’è?
- Imparerà anche lui... Neppure noi sapevamo d’essere al mondo... Anche ad essere si
impara...
Nel finale del capitolo XI vi è racchiusa la morale dell’intero racconto ed è pronunciata dai Curvaldi, il popolo
che si era liberato dall’oppressione dei Cavalieri del Gral grazie anche all’aiuto di Torrismondo. Dalla vicenda
si deduce anzitutto che ad aver fatto la differenza per i Curvaldi è stata la consapevolezza: dopo la
“liberazione” dagli stranieri, e nell’attuarla, il popolo appare come enormemente sviluppato da uno stato
rurale23, e questa consapevolezza si concretizza dal rifiuto di ogni sottomissione. Questo – la consapevolezza
scaturita dalla lotta per la libertà - è l’unico riferimento socio-politico che Calvino ha voluto inserire
nell’opera, come lui stesso chiarisce in risposta24 ad un’interpretazione del critico Walter Pedullà. È dunque
da scartare la possibilità di riferimenti intenzionali ai fatti d’Ungheria e al comunismo.
Ma non si esaurisce ai Curvaldi il tema della coscienza d’esserci che anzi attraversa tutto il libro. Diversi sono
i tipi umani che Calvino individua e riporta nel suo libro: dall’esistenza acritica e meccanica, che diventa
l’inesistenza di Agilulfo; sino all’esistenza inconsapevole di Gurdulù. Legato a questo tema è quello
dell’identità, con cui si apre il racconto quando Carlo Magno chiede per ogni paladino il suo nome. L’identità
per Agilulfo è identificazione nell’armatura, e per Gurdulù è indefinita e cambia di paese in paese. Similmente
Sofronia muta il suo nome – e quindi la sua identità - in suor Palmira o in Azira, a seconda delle situazione, e
solo quando nel finale scoprirà importanti informazioni sulle sue origini assumerà un’identità “definitiva”.
Discorso simile anche per Torrismondo, Rambaldo e Bradamante-suor Teodora che durante l’intera
narrazione sono alla ricerca di una loro identità, che acquisteranno solo nel finale. Infine probabilmente non
è un caso che i Cavalieri del San Gral che tentano di perdere la propria consapevolezza, in favore di un
“rapporto mistico” con il tutto, si rivelino dei personaggi meschini.
L’invito di Calvino sembra essere quello di imparare ad essere, a cercare di riempire l’armatura vuota di
Agilulfo come ha fatto Rambaldo quando gli è stata donata.
La scrittura Dopo aver presentato il personaggio di Agilulfo, inadatto per un poema epico-cavalleresco poiché meccanico,
perfetto ed invincibile (“vuoto”), Calvino introduce quello di Rambaldo eroe definito da lui stesso
stendhaliano, che però esaurisce la sua missione nel giro di pochi capitoli. Per portare avanti la storia l’autore
avrebbe potuto limitarsi a proporre nuovi personaggi e rocambolesche avventure, ma decide di effettuare
una riflessione sulla scrittura25. Essa è incarnata per l’autore nella figura di suor Teodora, voluta perché il
processo – lo sforzo – creativo fosse visibile ai lettori. Così la descrizione del correre della penna sul foglio
diventa per Calvino dettagliata quanto quella che la penna stessa stava descrivendo.
La presenza di un «io» narratore-commentatore fece sì che parte della mia attenzione si
spostasse dalla vicenda all’atto stesso dello scrivere, al rapporto tra la complessità della
vita e il foglio su cui questa complessità si dispone sotto forma di segni alfabetici. A un
23 Cit., p. 152 24 Testo consultato su http://www.larivieraonline.com/calvino-stronca-walter-pedull%C3%A0 25 Sellitti O., http://linutile.wordpress.com/2012/03/26/il-cavaliere-inesistente-unipotesi-di-lettura/
certo punto era solo questo rapporto a interessarmi, la mia storia diventava soltanto la
storia della penna dell’oca della monaca che correva sul foglio bianco26
27L’ultima forma che prende la scrittura si rivela solo nell’ultimo capitolo del romanzo, quando Suor Teodora
annuncia di non essere altri che la guerriera Bradamante. Questa rivelazione non è semplicemente una
«ultima giravolta narrativa»28, infatti la guerriera è stata per tutto il romanzo l’oggetto d’amore del
personaggio che Calvino ha indicato come il protagonista: Rambaldo. Questo giovane doveva ricercare, nelle
intenzioni dell’autore, le prove dell’esserci nel fare29; le azioni che compie all’inizio del romanzo sono aderenti
ai modelli cavallereschi, sono finalizzate a realizzarsi come cavaliere, ispirate anche dagli insegnamenti che
trae dall’osservare Agilulfo. Tuttavia questa strada si rivela sterile, realizza invece se stesso inseguendo la
sfuggente principessa-narratrice. È nell’ultima pagina del romanzo che si compie definitivamente la
trasformazione di Calvino, uno scrittore che dopo aver a lungo inseguito l’azione e la volontà si innamora
della scrittura, rendendosi conto di tutte le possibilità che essa può liberare.
Con questa premessa l’excipit dell’opera assume allora un significato trasversale legato al mondo della
creatività: «Dal raccontare al passato, e dal presente che mi prendeva la mano nei tratti concitati, ecco, o
futuro sono salita in sella al tuo cavallo. Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città
non ancora fondate? Quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? Quali impreviste età
dell’oro prepari, tu mal padroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare,
futuro…».
Interpretazione “biografica” Nel commentare l’opera sembrerebbe assurdo non accennare alla situazione personale del trentaseienne
Calvino, nel momento in cui la scrisse. Secondo quanto riporta D. Scarpa la stesura avvenne dopo il termine
di un’intensa relazione amorosa dello scrittore con Elsa De Giorgi (1959) e la pubblicazione mentre lui lasciava
l’Italia per andare in America. I protagonisti del romanzo (Agilulfo e Rambaldo) diventerebbero così dei tipi
raffiguranti rispettivamente la maturità e la giovinezza, di un Calvino diviso tra l’una e l’altra.
Il Cavaliere per un verso metteva allo scoperto l'intelaiatura dell'apologo, l'eleganza un po' fredda delle sue
linee da arredamento quacchero. Ma era anche un libro divertente e divertito, dove il caratteristico falsetto
di Calvino si scioglieva in una voce duttile, agile, puntuta d'ironia sprizzante ovunque. Un libro bicipite, scritto
da un uomo di 36 anni che aveva chiuso bruscamente un amore, si accingeva a partire per un lungo viaggio,
si trovava a un bivio della sua esistenza: non era più (non se la sentiva più di essere) l'arrembante paladino
Rambaldo, emblema della gioventù vorace e indeterminata, che non si conosce e va alla ricerca di sé stessa
tra amori e duelli, ma non era ancora (non se la sentiva ancora di essere) Agilulfo, cioè la maturità esatta,
risolta per sempre in sé medesima e dunque capace di fare a meno del corpo come dell'anima.30
Riflessione personale Il Cavaliere Inesistente è un altro grande gioiello di Calvino, che sa magistralmente combinare la realtà con
lo stile fantastico, confezionando una geniale favola per adulti. Godibile a più livelli, stampa nel lettore un
sorriso che dura per l’intera narrazione. Lo stile leggero non tradisce però l’impegno intellettuale, e diventa
veicolo per importanti insegnamenti etico-sociali, tra cui la fondamentale questione dell’esistenza e
dell’identità. Apprezzabili anche i molti riferimenti alla letteratura cinquecentesca, sapientemente parodiata.
Un testo immancabile nella libreria di chiunque, capace di insegnare divertendo.
26 Postfazione ai “Nostri Antenati” (1960), cit. p. 1218 27 Paragrafo tratto e rielaborato da Sellitti O., http://linutile.wordpress.com/2012/03/26/il-cavaliere-inesistente-unipotesi-di-lettura/ 28 Postfazione ai “Nostri Antenati” (1960), cit., p. 1219 29 Cit. p. 1217 30 Scarpa D., Dizionario bibliografico degli italiani (2013), Treccani.
Riferimenti
Bibliografia Calvino, I. (1959) Il Cavaliere Inesistente. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992; ISBN 88-04-33630
Calvino I. (Nota 1960) Postfazione ai “Nostri Antenati”, ora in Romanzi e racconti, ed. diretta da C.
Milanini, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori 1991-1994; ISBN 88-04-34453-9
Sitografia http://www.inftub.com/italiano/IL-CAVALIERE-INESISTENTE-Italo15268.php
http://www.atuttascuola.it/relazioni/cavaliere_inesistente.htm
http://www.oilproject.org/lezione/calvino-il-cavaliere-inesistente-riassunto-e-commento-2922.html
https://blogsenzaqualita.wordpress.com/2014/11/25/il-cavaliere-inesistente-di-italo-calvino/
http://spazioweb.inwind.it/letteraturait/novecento/calvino/cavaliere.htm
http://linutile.wordpress.com/2012/03/26/il-cavaliere-inesistente-unipotesi-di-lettura/
http://www.fareletteratura.it/2011/02/19/presentazione-critica-il-cavaliere-inesistente-di-italo-calvino/
https://books.google.it/books?id=k03vT2h795AC&pg=PT5&dq=cavaliere+inesistente&hl=it&sa=X&ei=MDy
hVPORLOGGywPnrYCwAw&ved=0CDkQ6wEwAQ#v=onepage&q=cavaliere%20inesistente&f=false
http://www.interruzioni.com/inesistente.htm
http://www.italialibri.net/opere/inostriantenati.html
http://www.larivieraonline.com/calvino-stronca-walter-pedull%C3%A0
http://www.treccani.it/enciclopedia/italo-calvino_(Dizionario-Biografico)