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Anno II, Marzo 2014
La gazzetta dell’Alessi The Open Day!
Il 25 gennaio abbiamo aperto le porte della Guido Alessi per un’oc-casione molto speciale: mostrarvi la nostra scuola e celebrare il Gior-no della Memoria. L’argomento era molto serio e lo abbiamo affronta-to con tutto l’impegno possibile. Abbiamo raccontato le conseguen-ze dell’odio, ma anche la forza di chi è sopravvissuto, la solidarietà di chi ha aiutato, l’amore per la vita e per i propri cari.
Per voi ci siamo fatti in quattro...
La gazzetta dell’Alessi
Tutti noi studenti abbiamo collabo-rato a questo even-to con letture di poesie, musiche e la presentazione di una mostra sulla persecuzione degli Ebrei in Italia.
In una classe
abbiamo recitato
varie poesie, in un’altra letto dei brani dal diario di Anna Frank e da Primo Levi, in un’altra ancora
i migliori “musicisti” della scuola hanno
suonato brani a te-ma, alcuni dei quali all’epoca proibiti dal
regime nazista.
Vi è mai capitato di in-
ciampare su un sasso sconnesso trovato men-
tre camminavate sul mar-ciapiede?
A noi è successo! Durante un’uscita didatti-
ca lungo via Flaminia ci siamo fermati davanti al portone di un palazzo
perché siamo “inciampati” su delle strane mattonelle
dorate. Ci siamo chiesti come mai c'erano dei nomi incisi
sopra. La maestra ci ha spiegato
che quelle mattonelle si chiamano “pietre d'in-ciampo” e sono state
messe lì per ricordare delle persone che in quel-le case vivevano e che
sono state portate via: i nazifascisti li portarono nei campi di concentra-
mento e da lì non fecero più ritorno.
Tornati a scuola abbiamo fatto delle ricerche per
capire qual è la loro sto-
ria. Abbiamo scoperto che le pietre d'inciampo (Stolpersteine) sono state inventate da un artista
tedesco, Gunter Demnig, per ricordare i cittadini deportati nei campi di
sterminio nazisti. La “stolpersteine” è una
piccola targa d'ottone della dimensione di un sampietrino (10 x 10 cm),
posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale
sono incisi il nome della persona deportata, l'anno di nascita, la data e il luo-
go di deportazione e la data di morte, se cono-sciuta, per ricordare chi si
voleva ridurre soltanto a un numero. Un inciampo non fisico, dunque, ma
visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi
passa vicino. Percorrendo la via Flami-nia ci sono tante pietre
Le pietre d’inciampo
Marzo 2014 Anno 2
Memoria
a cura di Asia Minelli & Stella Solari
Verrà il giorno che ve ne pentirete
Beceri che strillate e muti che state zitti! Bertold Brecht
per ricordare: EVA DELLA SETA;
GIOVANNI DELLA SETA; MARIO LEVI;
ALBA SOFIA RAVENNA LEVI; GIOR-
GIO LEVI; LAMBERTO ROMANELLI;
G I U L I A D E L M O N T E ;
C A R L A R O M A N E L L I ;
MICHELE MARCO ROMANELLI;
L E O NE I T A L O V A LA BR E GA;
ANITA DI CAPUA VALABREGA
A l l ’ i n d i r i z z o w e b
www.memoriedinciampo.com si trova la mappa dei luoghi dove sono stati installati i sampietrini, fotografie, film e testimonianze,
lavori svolti dagli studenti, testi storici e critici relativi alla depor-tazione di ebrei, politici e militari,
una vastissima rassegna stampa.
IV B, Guido Alessi Primaria
L’iniziativa dell'artista tedesco è partita nel 1995, a Colonia, e ha toccato vari Paesi dell’Europa. A ini-zio 2010 erano installate più di 22.000 "pietre" in Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovac-chia, Polonia, Paesi Bassi, Italia. In Germania nacque inizialmente un dibattito sul fatto che le "pietre" venivano poste davanti al portone di ingresso e il proprietario dell'immobile poteva non gradire l'idea di essere costretto a ricordare ogni giorno le atrocità naziste. A Colonia per esempio una "pietra" fu posta lontana dal portone principale, quasi al bordo del marciapiede, vicino alla strada. A Krefeld la contro-versia riguardò il fatto che le pietre ricordavano troppo il periodo in cui i nazisti usavano le lapidi delle tombe ebree come pavimentazione per i marciapiedi. Alla fine fu raggiunto un accordo: la scelta del luogo dove porre una pietra d'inciampo sarebbe stata subordinata all'approvazione del proprietario della casa e, qualora ci fossero, anche dei parenti delle vittime da ricordare.
Alessandro Persiani, 3 A Secondaria
LE FOTO DELLA
MOSTRA E DELLE PIETRE D’INCIAMPO
SONO STATE SCAT-TATE E RACCOLTE
DA ASIA MINELLI E
STELLA SOLARI.
I DISEGNI CHE ILLU-
STRANO LE ATTIVI-TA’ DELL’OPEN
DAY SONO STATI REALIZZATI DAGLI
ALUNNI DELLA V A PRIMARIA GUIDO ALESSI NELL’AMBI-
TO DEL PROGETTO
MEMORIA.
RINGRAZIAMO LE
MAESTRE MARCEL-LA MESSINA E AN-
NA RUSSO PER AVERCI AIUTATO A
RACCOGLIERE I MATERIALI.
INCONTRO CON I TESTIMONI
D: Come si falsificavano
i documenti?
R: Si cercava di utilizzare
le prime lettere del no-
me e del cognome per
facilitare la falsificazione
e per non confondersi a
firmare i documenti.
D: In quale momento
hai sofferto di più e hai
avuto paura?
R: Da incosciente, come
tutti i ragazzi della mia
età, non ebbi mai molta
paura ma soffrii solo una
volta quando, tornando
da una passeggiata, una
mia cara amica mi chiese
di andare a casa sua; in
quell’occasione non an-
dai; dopo seppi che i
nazisti erano andati a
casa sua per cercarci. Il
tradimento della mia
amica mi fece molto
soffrire.
D: Come è stato non
avere la tua libertà e
vivere nascosta per tan-
to tempo ?
R: Sicuramente non bel-
lo perché tutti i ragazzi
amano la libertà; in
compenso ero felice
perché, a differenza di
altri, avevo vicino i miei
cari.
D: Hai visto soffrire del-
le persone care?
R: Tanta sofferenza in-
teriore nel vedere mia
madre sempre molto
preoccupata per la sicu-
rezza dei propri figli, ma
D: Come trascorrevi le tue
giornate prima della perse-
cuzione? R: Il mio posto preferito
erano i giardini pubblici dove
facevo lunghe passeggiate e
dove amavo guardare la sta-
tua della lupa che allattava
Romolo e Remo.
D: Che età avevi a quel tem-
po?
R: Avevo 17 anni e mia so-
rella 10. Nel 1938 promulga-
rono le leggi razziali e fui
costretta a smettere di an-
dare a scuola; in quel mo-
mento fui ben felice di farlo.
Mi nascosi ad Assisi con la
mia famiglia e un vescovo ci
aiutò a falsificare le carte di
identità. Io presi il nome di
Vincenza Varelli.
Memoria
In occasione della “Giornata della Memoria” abbiamo avuto l'opportunità di ospitare nella nostra
scuola la signora Graziella Viterbi che, in seguito alle leggi razziali del 1938, è stata costretta a
lasciare la casa di Padova e a rifugiarsi con la famiglia ad Assisi. Qui, grazie all'aiuto del vescovo e
di altri sacerdoti, sotto falso nome, si sottrasse alla furia antisemita scatenata dal nazismo.
Noi ragazzi della 5°A, durante l'incontro, le abbiamo rivolto alcune domande.
Memoria
fisica no perché, per esem-
pio, non ho mai assistito a
un rastrellamento o a una
deportazione.
D: Per quanto tempo sei sta-
ta perseguitata?
R: Dal 1938 al 1942.
D: Cosa mangiavi?
R: Si mangiava quello che si
poteva trovare senza grandi
pretese; un giorno uscii a
fare la spesa e riuscii a com-
perarmi un maritozzo; men-
tre lo gustavo dolcemente
vidi mia madre venirmi in-
contro e, tra le lacrime, mi
disse di aver appreso che
mio zio e i miei cugini di Mo-
dena erano stati deportati ad
Auschwitz-Birkenau. Pur-
troppo loro non sono mai
tornati... ricordo ancora il
sapore amaro del maritozzo.
D: Si sapeva che nei campi di
concentramento dalle doc-
ce anziché acqua in realtà
usciva il gas mortale?
R: Non si è mai saputo nul-
la fintanto che, con la libe-
razione delle truppe ameri-
cane e russe, i campi di
concentramento furono
aperti.
D: Avevi amiche del cuore?
R: Non ho mai avuto ami-
che del cuore per i tempi
difficili in cui vivevamo,
sempre attenti a non rive-
lare le nostre vere identità.
Ricordo, in quel periodo
vissuto ad Assisi, la figlia
del Podestà che, nonostan-
te fosse stato eletto dal
potere fascista, si era offer-
to di proteggerci in quanto
persona di cuore.
D: Dopo la fine della guer-
ra hai ripreso gli studi?
R: Sì, ho ripreso a studiare;
sono diventata assistente
sociale e ho lavorato per
10 anni con bambini che
avevano problemi psicolo-
gici.
La signora Graziella ha
concluso la sua intervista
con queste parole:
“Oggi, voglio dire grazie a
tutti coloro che mi hanno
fatto sentire che la vita
anche nei momenti più
oscuri può essere bella se
qualcuno ti è vicino, ti ten-
de una mano o, semplice-
mente, anche con il suo
stesso silenzio, è insieme a
te: se qualcuno con la sua
presenza rompe il guscio
della tua solitudine e della
paura.”
V A Guido Alessi Primaria
A fianco, il dise-
gno rappresenta “Un ebreo appe-na entrato nei
campi di concen-tramento”;
il nazista gli inti-ma: “Muoviti,
Ebreo!”
La mostra
presentata nella
nostra scuola
Come tanti altri cittadini italiani molti ebrei aderiscono al Fascismo e spesso ricoprono
incarichi di rilievo. Nemmeno l’iscrizione obbligatoria al Partito Nazionale Fascista rap-
presenta un problema: i bambini ebrei andavano al Tempio e poi al sabato fascista
(ricordiamoci che non tutti gli ebrei sono ortodossi, fanno parte di una cultura diversa
ma non sempre sono osservanti).
Memoria
1938-43:
negazione
dei diritti
degli Ebrei
1943-45:
negazione
delle vite
Il 16 gennaio 2014 noi
ragazzi delle Terze
medie abbiamo incon-
trato la professoressa
Daria De Carolis, che
ha tenuto una lezione
sulla mostra itinerante
e ci ha proposto dei
documenti da analizza-
re. La mostra, che noi
abbiamo presentato a
nostra volta all’Open
Day, approfondisce il
periodo 1938-43 e la
persecuzione degli
Ebrei in Italia. Gli
Ebrei erano parte in-
tegrante della società
italiana e molti hanno
partecipato al Risorgi-
mento e alla vita poli-
tica (si parla di Assimi-
lazione). La comunità
più numerosa e antica
era quella romana:
nelle formelle dell’Ar-
co di Tito sono già
raffigurati gli Ebrei,
riconoscibili dall’Ame-
norah che portano
sulle spalle. A testimo-
niare questa impor-
tanza c’è il Tempio
Maggiore, costruito
agli inizi del Novecen-
to. Gli Ebrei vivevano
in quartieri diversi,
come a Trastevere, e
non tutti nel ghetto.
Anno 2
La prima forma di razzismo del regime si manifesta nei confronti delle persone
di colore: ad esempio, durante la campagna d’Etiopia un giornalino a fumetti, Il
Balilla, raffigura “il cannibale antropofago”. Nei poster antisemiti gli ebrei sono
raffigurati con il pancione e il naso adunco. Lo stereotipo dell’ebreo ricco è un
falso storico: ci sono ebrei poveri ed ebrei ricchi.
Nel 1937 ha inizio la propaganda antiebraica
sul “problema della razza” attraverso i mag-
giori giornali italiani. Un gruppo di professori
universitari riceve l’incarico di stabilire che gli
ebrei non sono di razza italiana; escono il Ma-
nifesto della Razza e la rivista quindicinale La
Difesa della Razza.
Memoria
I campi di concentramento furono mol-
tissimi, l’organizzazione capillare: si parla
infatti di “universo concentrazionario”. In
Italia si aprono campi di lavoro e si assi-
ste all’apertura del campo di Fossoli: isti-
tuito nel 1942 per i prigionieri di guerra,
diventa dal dicembre del ‘43, su ordine
del prefetto di Modena, un campo “di
transito” per ebrei e oppositori politici
in attesa della successiva deportazione.
Nel gennaio 1944, vi passa Primo Levi;
sarà imprigionato lì anche Pietro Terraci-
na.
Nel 1938 il Parlamento promulga le leggi antiebraiche, il re le firma, la
negazione dei diritti avviene nell’indifferenza generale. Essere ebreo,
secondo un discorso scientifico falso, diventa una questione di san-
gue. Si distingue ora tra ebrei e italiani. Viene proibito il servizio mili-
tare. Ma il primo provvedimento riguarda la scuola, sia alunni che do-
centi. Gli ebrei si organizzano classi loro con il permesso di fare poi
l’esame nella scuola pubblica: sulla pagella dovrà essere indicata l’ap-
partenenza alla razza ebraica.
I cittadini si adeguano e compaiono i primi car-
telli antisemiti sulle porte dei locali: “In questo
locale gli ebrei non sono graditi”.
Avvengono molti licenziamenti, che
colpiscono anche istituzioni presti-
giose come il Coro della Scala. Dai
manuali vengono eliminati i nomi
degli autori ebrei.
A fianco, scena in un cam-
po di lavoro obbligatorio a Gorizia.
Anno 2
La razzia del 16 ottobre 1943 non riguarda solo il ghetto: la città di
Roma fu divisa in 26 quartieri e gli ebrei furono prelevati ovunque. I
nazisti consegnavano un biglietto con l’elenco delle cose da portare e
molti pensarono di essere portati ai campi di lavoro. All’arrivo invece
avveniva la selezione. Roma era “città aperta”, secondo i patti con i
nazisti non doveva essere bombardata; gli ebrei razziati sono stati fer-
mi per 2 giorni al Collegio Militare di via della Lungara. Da qui furono
portati alla stazione Tiburtina: partirono 24 convogli. Destinazione:
Auschwitz. Molti romani compirono gesti individuali di solidarietà, le
istituzioni no.
Nei campi si perfezionava il processo di negazione. Marchiando il nu-
mero sulla pelle si negava l’identità.
Sopra, nelle parole di
Liliana Segre il ricordo della selezione pratica-ta dai nazisti all’arrivo
nei lager. A fianco e sotto, alcune
delle centinaia di sche-de di segnalazione di ebrei scomparsi raccol-
te dopo la liberazione di Roma e ingrandi-mento di una scheda; le parole sulla negazio-
ne sono di Primo Levi.
Nei campi, se le scarpe si rovinavano e si rimaneva senza, si rischiava la
morte; molti cercavano di nascondere i geloni o le ferite, perché veniva-
no curati solo gli ebrei utili, come è accaduto a Primo Levi, che era chi-
mico, mentre degli altri ci si liberava. All’inizio molti non credevano a
questa organizzazione di morte: i sopravvissuti si sono dati come obbli-
go morale quello di testimoniare. Il reintegro di chi è tornato è stato
molto lento e molto faticoso.
Brecht scrive queste durissime poesie tra il 1938 e il ’41, in esilio: il regime nazista lo consi-
dera uno dei suoi principali avversari tra gli intellettuali e nel 1933 lui lascia la Germania.
Soggiorna in Svizzera, Francia, Danimarca, Svezia, Finlandia e infine in America. Tornerà a
Berlino nel 1948. Brecht indica Hitler con disprezzo come “l’imbianchino”, alludendo alla sua
passione giovanile per la pittura.
L’Imbianchino dice:
Quanti più cannoni saranno fusi
Tanto più a lungo durerà la pace
A questa stregua si dovrebbe dire:
Quanto più chicchi saranno seminati
Tanto meno sarà il grano raccolto.
Quanto più vitelli saranno macellati
Tanto meno ci sarà carne sul mercato.
Quanto più neve si scioglierà sui monti
Tanto più aridi saranno i fiumi.
Le poesie che abbiamo letto
Pagina 8
Viaggiando in una comoda auto
su una strada bagnata di pioggia,
vedemmo un uomo tutto stracciato sul far della notte
che ci faceva cenno di prenderlo con noi,
con un profondo inchino.
Avevamo un tetto, avevamo un posto e gli passammo davanti
e udimmo me che dicevo con voce stizzosa: no,
non possiamo prendere su nessuno.
Eravamo proseguiti un bel pezzo,
forse una giornata di cammino,
quando d’improvviso mi spaventai della mia voce,
del mio contegno e di tutto
questo mondo
Mentre la guerra si prepara a scoppiare, la propaganda alimenta l’odio e il pregiudizio.
Brecht ci racconta un episodio semplice, neanche particolarmente drammatico, qualcosa
che potrebbe accadere anche a noi in un qualsiasi giorno. Ma la poesia, letta guardando
allo sfondo delle persecuzioni che si stanno per scatenare, assume un sapore molto
amaro. In molti aiuteranno gli ebrei, in molti faranno finta di non vedere.
Martin Niemöller era un
pastore protestante te-
desco, oppositore del
regime nazista: fu arre-
stato nel 1937 e per 8
anni rimase in un campo
di concentramento. Que-
sta poesia molto nota,
che parla dell’indifferenza
e dell’apatia politica e
all’inizio era stata attribuita
proprio a Brecht, era già
diffusa nel dopoguerra ma
viene pubblicata solo nel
1976. Il testo ha subito mol-
te varianti e l’autore stesso
non ne ha mai fornito una
versione sicura. Per questo,
se ne trova una versione
degli anni Cinquanta che
parla delle persecuzioni
contro i comunisti in Ame-
rica, ma con numerose va-
rianti è stata utilizzata nelle
più diverse manifestazioni e
battaglie per i diritti civili.
Una di queste varianti è in-
scritta nel Monumento
all’Olocausto di Boston.
Poi vennero per i comunisti E io non dissi nulla
Perché non ero comunista.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
E fui contento
Perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei E stetti zitto
Perché mi stavano antipatici
Poi vennero a prendere gli omosessuali
E ne fui sollevato
Perché mi erano fastidiosi
Poi vennero a prendere gli anarchici
E io non dissi niente
Perché non ero anarchico
Poi un giorno vennero a prendere me
e non c’era rimasto nessuno
a protestare
Poi vennero per i socialdemocratici E io non dissi nulla
Perché non ero socialdemocratico
Poi vennero per i sindacalisti E io non dissi nulla
Perché non ero sindacalista
Dal lager
Dal lager
LETTERA ALLA MADRE, fram-mento […] Fili elettrici, alti e doppi, non ti lasceranno mai più ri-vedere tua figlia, Mamma. Non credere alle mie lettere censurate, ben diversa è la verità; ma non piangere, Mamma. E se vuoi seguire le tracce di tua figlia non chiedere a nessuno, non bussare a nessuna porta: cerca le ceneri nei campi di Auschwitz, le troverai lì. Ma non piange-re — qui c’è già troppa ama-rezza. E se vuoi scoprire le tracce di tua figlia cerca le ceneri nei campi di Birkenau: saranno lì — Cerca, cerca le ceneri nei campi di Auschwitz, nei boschi di Birkenau. Cerca le ceneri, Mamma — io sarò lì!
Monika Dombke, Birkenau, 1943
L’impegno della memoria
Continuo a dimenticare i fatti e le statistiche ed ogni volta ho bisogno di saperli
cerco nei libri questi libri occupano venti scaffali nella mia stanza
so dove andare per confermare il fatto che nel Ghetto di Varsavia c’erano 7,2 persone per stanza
e che a Lodz destinavano 5,8 persone ad ogni stanza
dimentico continuamente che un terzo di Varsavia era ebreo
e che nel ghetto stiparono 500.000 ebrei nel 2,4 per cento dell’area della città
e quanti corpi bruciavano ad Auschwitz all’apice della produzione
ventimila al giorno devo controllare e ricontrollare
ed ho sognato che il 19 gennaio alle 4 del po-meriggio 58.000 carcerati emaciati furono fatti marciare fuori da Auschwitz? ricordavo bene che a Bergen-Belsen dal 4 al 13 aprile 1945 arrivarono 28.000 ebrei da altri campi?
ricordo centinaia e centinaia di numeri telefonici
numeri che non chiamo da vent’anni sono immediatamente disponi-bili
e ricordo le conversazioni delle persone e quel che la moglie di qualcu-no ha detto al marito di qualcun’al-tra
che buona memoria hai mi dice la gente.
Lily Brett
L’Italia di Mussolini, l’Italia con un Duce ma neanche
con una luce.
Quando dicemmo che non sapevamo niente, anche se
poi c’è chi se ne è pentito.
Quando noi non vedevamo niente, ma il cieco sì.
Quando hanno trovato le scarpe, e sicuramente sono
cadute da Marte.
Quando l’americano ci è entrato dentro, e noi dietro,
ma neanche un lamento.
Quando con questi occhi abbiamo visto e siamo restati
fermi, poi con gli stessi ci siamo pianti addosso.
Quando alla fine ci hanno scoperto, e il sasso avevamo
lanciato, ma in un attimo era tornato.
La poesia qui a fianco è stata scritta
da Simone Sansone della 3^ A e reci-tata al termine delle letture poetiche che avete potuto leggere in queste
pagine.
Dal lager
Le poesie che abbiamo scritto:
V A Guido Alessi Primaria
Voi che avete visto
Ingiustizie, persone morte per la fame.
Parlate e raccontate
del dolore patito.
Voi che siete sopravvissuti
Testimoniate senza paura
perché tutti conoscano
quel tempo.
I ricordi annullati
nella mente
della gente
Paura e tristezza
nei loro cuori
pieni d’amore
per le cose che amavano,
rotti come un vaso di ceramica.
Enormi silenzi
nelle città,
solo il rumore delle bombe
e il pianto della gente.
Non verrà mai dimenticato
Quel tempo
Che ancora oggi viene ricordato.
Il fumo nero
si innalza nel cielo.
gli occhi dei bambini
sono vuoti,
i loro corpi
segnati con numeri,
sono pieni di fame e freddo.
I loro piedi
nel fango tremano,
e un filo spinato
avvolge le loro povere anime.
Tanti giorni per morire,
un solo giorno per ricordare.
Sotto, dettaglio di un disegno in cui un soldato nazista
incita un ebreo a muoversi e a recarsi alle docce.
Dal lager
Voi che ricordate ogni giorno
la disgrazia
l’ingiustizia,
I bambini che non sapevano le cose che
accadevano.
Lavori forzati,
Uomini armati.
Dobbiamo ricordare,
e sperare
di non fare più
quello che giorni orsù
accadde,
anzi proteggere dobbiamo.
Quindi ricordiamo.
Milioni di persone
che vivono sperando
che quei cancelli si aprano;
per non soffrire più,
per non veder soffrire le persone
care;
per non morire tristi, infelici
e senza famiglia.
Magari queste persone
da piccole o a qualunque altra età
avevano un sogno: un sogno
per cambiare il mondo.
Tutte quelle anime innocenti che morirono
erano persone normali,
uguali a noi,
che sognavano la stessa cosa:
invece di pensare al lavoro,
gli uomini speravano di resistere
finché fossero aperti i cancelli;
invece di sognare il loro futuro,
i bambini sognavano che la guerra finisse
e che tutto tornasse come prima;
invece di sbrigare le faccende quotidiane,
le donne pregavano che i cancelli si spalancassero.
Tutti, proprio tutti,
sognavano la liberazione!
LILLI
Dal lager
Impossibile dimenticare
quel fumo così grigio
che esce da un fabbrica
con macchinari che
umiliano, disprezzano, affaticano,
distruggono, demoliscono
persone come tutti noi.
Impossibile dimenticare
quelle facce così serie
senza un sorriso uno sguardo
che potrebbe sembrare insignificante
ma che per le persone come loro sarebbe
un dono, una felicità.
Impossibile dimenticare
il freddo, la fame
di affetto e di cibo,
i volti dei bimbi
sorpresi, indifesi,
innocenti, ingannati.
Impossibile dimenticare
quel che c’è stato
e sperare che mai riaccada.
Avvolti nella nebbia fitta
camion pieni di persone
viaggiano per le strade diverse
verso le mete sconosciute.
I volti spaventati
intorno al braccio un nastro giallo
molti guardando
l’ultima alba della loro vita.
Cammino anche io nella nebbia fitta
ma la mia strada porta a casa,
la mamma accanto, in una vita serena.
Nel cuore però rimane
un’ombra triste di quel bambino
con il pigiama a righe.
Dal lager
La Musica della Memoria
Hitler amava la musica, purché fosse pura, cioè germanica, e non contaminata, cioè ariana: agli inizi degli anni
Trenta, molti celebri compositori, direttori d'orchestra, grandi solisti e cantanti, erano ebrei. Nelle orchestre più gloriose, moltisimi strumentisti erano di religione ebraica. Una vergogna che andava cancellata col massimo rigo-
re, come del resto tutto ciò che fosse «giudaico, bolscevico, negroide», cioè degenerato e subumano.
Per celebrare la Giornata della Memoria, abbiamo presentato un programma di musica DEGENERATA, sì, pro-prio quella musica vietata e proibita dal regime: canzoni ebraiche, jazz, canzoni da cabaret, tutta musica non degna di essere ascoltata dal popolo tedesco poiché fatta o eseguita da “razze inferiori, da menti depravate”. In pro-
gramma anche due celebri musiche da film vincitrici entrambe del premio Oscar come miglior colonna sonora.
JOHN WILLIAMS: SCHINDLER'S LIST
Schindler's List è la colonna sonora dell'omonimo pluripremiato film di Steven Spielberg del 1994.La firma
delle musiche è di John Williams; quest'album (con il film) è conside-rato uno dei capolavori della storia
del cinema e della musica per film.
ELIE BOTHOL : GAM GAM GAM
Fa parte della colonna sonora del
film Jona che visse nella balena di Roberto Faenza; nella pellicola, il canto viene insegnato dalla maestra a Jona e agli altri bambini nel lager.
Nella versione resa famosa dal film, l'arrangiamento è in uno stile musi-cale ritmato e con orchestrazione
complessa. Il canto è originario delle comunità ebraiche dell'Europa
centro-nord-orientale.
LILÌ MARLENE
Fu durante la Seconda Guerra Mondiale che questa canzone di-venne famosa tra i soldati di tutti i
fronti. L'emittente militare tedesca di Belgrado la trasmetteva ogni sera, poco prima delle 22.00: la ascoltavano con nostalgia non solo
i soldati tedeschi ma anche i loro nemici. E accadeva qualcosa che a molti sembrava un miracolo: ogni
sera per pochi minuti le armi tace-vano. In brevissimo tempo "Lili Marleen" divenne la canzone più
popolare tra i soldati di tutte le nazionalità. In realtà, ai nazisti non piaceva molto il testo, piuttosto
antimilitarista e disfattista: la storia del soldato che pensa con malinco-
nia al suo amore lontano non
era molto adatta a rafforzare lo spirito di combattimento. Fu persino vietata per un certo
periodo, ma le richieste dei soldati tedeschi di ascoltare la canzone ogni sera erano troppo
insistenti e così si ripresero le trasmissioni. La prima versione fu incisa nel 1938. L'attrice e
cantante tedesca Marlene Die-
trich, fuggita dai nazisti negli Stati
Uniti, la cantò per le truppe al-leate e con la sua voce rese il
brano famoso in tutto il mondo.
GEORGE GERSHWIN:
SUMMERTIME
Il terribile Goebbels, ministro della propaganda e dell’infor-
mazione del III Reich, aveva bandito il Jazz. Provava repul-sione per quella “terribile ca-
gnara”: si accorse subito però che quei ritmi vivaci e coinvol-genti avrebbero potuto entu-
siasmare troppo il popolo e le piazze e questo non doveva
accadere!! Dalle radio e dalle sale da con-certo fu bandita tutta la musica jazz e soprattutto quella scritta
da un certo George Gershwin, americano, per di più ebreo, nato da genitori russi che, ap-
pena emigrarono in America, cercarono di far perdere le loro origini ebraiche cambiando
nome e cognome e così il fa-moso musicista, che in origine si chiamava Jacob Gershovwitz,
divenne George Gershwin!
KURT WEILL:
L’OPERA DA TRE SOLDI
Kurt Weill è un compositore tedesco ebreo: con l’avvento del nazismo è
costretto a trasferirsi prima in Francia e poi negli USA.
“L’opera da tre soldi” è un’opera tea-trale scritta da Brecht e musicata da Weill. Lo stile della musica, totalmen-
te contrario al regime, ricalca il caba-ret e il jazz, forme musicali assoluta-mente vietate in Germania poiché
troppo “impure ed americane”.
BENNY GOODMAN:
SAIN LOUIS BLUES
Goodman nacque a Chicago da poveri
immigrati ebrei provenienti dalla Rus-sia.
Goodman fu indirizzato proprio per volontà del padre agli studi musicali e ben presto divenne un eccellente cla-
rinettista tanto che A dodici anni suo-nava già nell'orchestra del teatro ed in diverse orchestre da ballo della città.
Molti critici di musica sono oggi dell'avviso che Goodman ha avuto lo stesso significato per il jazz e lo swing
come per esempio Elvis Presley
per il Rock'n'Roll. Benny Good-man aveva l'obiettivo di avvici-nare il giovane pubblico bianco
alla musica "nera" e ha quindi collaborato per superare la discriminazione razziale negli
Stati Uniti, perché nei primi anni '30 musicisti jazz bianchi e di colore, secondo l'opinione
pubblica, non potevano suonare insieme nelle band. Anche per questo, oggi è ricor-
dato come "King of Swing".
NICOLA PIOVANI:
LA VITA E’ BELLA
Per questa musica Piovani è stato insignito dell'Oscar alla
migliore colonna sonora nel 1999. Il brano La vita è bella è stato successivamente ripreso
(con l'aggiunta del testo) dalla cantante israeliana Noa, con il
titolo di Beautiful That Way.
In questo periodo il libro
che ho amato di più è stato
Se questo è un uomo di Pri-
mo Levi: l’ho amato per la
cura della scrittura e di ogni
minimo particolare con cui
l’autore è riuscito a racchiu-
dere, in duecento pagine, la
sua vita e le sue sofferenze
durante il soggiorno nel
campo di sterminio. In quel-
lo che all’apparenza sembra
un piccolo e semplice libret-
to viene descritta la storia di
un uomo a cui, insieme a
molte altre persone, venne
tolto tutto, il nome, gli abiti
ma soprattutto la quotidiani-
tà che, grazie a semplici ge-
sti, riesce a rendere bella la
vita. Per descrivere però il
contenuto non si riesce be-
ne a trovare le parole adatte
perché è e sarà sempre im-
possibile descrivere soffe-
renze così atroci da riuscire
a strappare la dignità a sem-
plici persone a cui però non
si potranno mai abolire i
ricordi. Levi ha soffocato i
ricordi proprio in questo
libro mettendo per iscrit-
to una terribile testimo-
nianza della vita dei lager
e facendo anche capire
che quando alle persone
viene tolto tutto non ci
possono essere più diffe-
renze: si ha la demolizione
dell’uomo.
Questo, secondo me, è un
libro stupendo che fa ri-
flettere su un argomento
che, nella vita di tutti i
giorni, viene accantonato
e non, invece, ricordato.
Lo consiglio veramente a
tutti perché riesce a tra-
sportare nel dolore e nel-
le sofferenze dell’ autore
provocando delle emozio-
ni contrastanti che vale la
pena provare.
Ludovica Supino, 3^ A Sec.
Memoria
I nostri consigli
di lettura
Se questo è un uomo è sta-
to scritto da Primo Levi
per testimoniare tutte le
cose orribili che ha visto e
che gli sono accadute nei
campi di concentramento
nazisti. E’ un racconto au-
tobiografico diviso in capi-
toli, non in ordine crono-
logico.
A me è piaciuto molto
perché cercavo un libro
che spiegasse dettaglia-
tamente cosa succedeva
e cosa si faceva nel cam-
po di concentramento.
Lo consiglierei a chi
vuole approfondire la
sua conoscenza sugli
orrori dei campi di ster-
minio nazisti.
Marco Blazevich, 3^ A Sec.
Nelle foto, il Monumento
all’Olocausto di Boston.
Questo libro narra la storia
di Bruno, un bambino di 9
anni, appartenente a una
famiglia benestante di Berli-
no composta da lui, sua
sorella Gretel, sua madre e
suo padre, comandante
dell’esercito tedesco. In se-
guito a un incarico assegna-
to al padre, tutta la famiglia
parte per Auschwitz. Appe-
na arrivati, Bruno vede dalla
sua finestra un campo re-
cintato con all’interno tan-
tissime persone vestite allo
stesso modo cioè con un
pigiama a righe, la divisa del
campo. Un giorno, Bruno
decide di fare una delle sue
esplorazioni e, passeggiando
intorno alla rete, incontra
un bambino ebreo di nome Shmuel che si trova dall’al-
tra parte.
I due bambini instaurano un
vero e proprio rapporto di ami-
cizia e si incontrano sempre
più frequentemente. Un giorno,
però, la mamma di Bruno, in
disaccordo su quello che accade
nel campo, decide di partire
con i figli per Berlino. Bruno
saluta per l’ultima volta Shmuel
che gli confida di non trovare
più suo padre. Il giorno seguen-
te Shmuel porta a Bruno un pi-
giama a righe come il suo per
permettergli di entrare all’inter-
no della recinzione, senza esse-
re scoperti dagli ufficiali. Bruno
si cambia ed entra per aiutare
l’amico a cercare il padre.
All’improvviso, comincia una
marcia e gli ufficiali ordinano a
tutti di spogliarsi ed entrare
nelle docce. Il libro si chiude
con la morte dei due bambini. I genitori di Bruno lo cercheran-
no fino a quando il padre ritro-
verà vicino alla rete i vestiti di
Bruno e solo allora capirà di
avere ucciso lui stesso suo
figlio.
Questo libro mi è piaciu-
to moltissimo e credo sia
uno dei più belli che io
abbia mai letto. Anche se
la fine è tragica, la storia
è molto coinvolgente. Il
capitolo che mi è piaciu-
to di più è stato il penul-
timo, quando Bruno pri-
ma di morire stringe for-
te la mano di Shmuel; se-
condo me questo gesto,
anche se così semplice,
rappresenta un valore
molto importante come
quello dell’amicizia.
Chelsea Catigbac, 3^ B Sec.
Memoria
Il bambino con il pigiama a righe di John Boyne, 2006
Memoria
I nostri consigli di lettura
Lia Levi, Una bambina e basta
Prima Edizione: 1997
Questo libro mi è piaciuto mol-tissimo perché è stato il primo che ho letto in cui uno scrittore narra gli avveni-menti dal punto di vista di una bambina, tanto da non dirne mai il nome: in effetti, quando parliamo in prima persona, non diciamo il nostro nome. Gli avvenimenti in questione sono le vicende degli ebrei a Roma, durante le leggi razziali di Mus-solini e l’occupazione nazista: eventi sto-ricamente vergognosi. All’inizio, i genitori, per non turba-re lei e le sue due sorelle, non parlano davanti a loro di ciò che accade, ma le bambine capiscono che c’è qualcosa di diverso, e di preoccupante, dal fatto che i genitori comprano il giornale tutti i giorni, parlano di andare a vivere in Francia, e in estate le mandano a lezione di france-se. Poi, a settembre, cambiano scuola e vanno in una, riservata ai bambini ebrei: le maestre sono più simpatiche, e la pro-tagonista in particolare ci va più volentie-ri, però intuisce di aver cambiato scuola perché i suoi genitori sono stati costretti a farlo, non per scelta, e per questo forse non è stata una cosa buona. Poi il padre perde il lavoro, la mamma deve conse-gnare l’oro, le ritirano i documenti, e fare la spesa non permette di portare a casa nemmeno il necessario, soprattutto per gli ebrei, ai quali, di lì a poco, ritirano le tessere alimentari; gli eventi si susse-guono così veloci che i genitori non rie-scono più ad essere convincenti quando, alle domande delle bambine, rispondono “Niente, niente”. Infine la mamma, leo-nessa come tutte le mamme, decide di andare in un convento-collegio poco fuo-ri città: lì le suore proteggono le bambine ebree nascondendole tra le bambine del collegio e inoltre, stando in campagna, possono allevare animali da cortile e col-tivare un orto, in modo da avere verdu-ra, carne e uova.
La lettura è stata molto piacevole, perché la scrittrice ha usato un linguaggio sempli-ce, immediato, privo di qualsiasi introspe-zione, del resto impossibile per una bam-bina di 12 anni. Per certi versi, è simile al film “La vita è bella” di Benigni: lui è riusci-to addirittura a descrivere la vita nei campi di sterminio, facendo sembrare tutto un gioco, per non spaventare il figlio.
Anche Lia Levi fa dire alla bambina “mamma… fammi uno di quei cenni tran-quillizzanti a cui mi hai abituata”: i bambi-ni, come i cuccioli, gioiscono o si spaven-tano attraverso i genitori. Se loro sorridono vuol dire che c’è da sorridere, se loro sono preoccupati, bisogna preoccuparsi, e non importa capire di cosa si ride o ci si preoc-cupa. Molto bella e significativa la conclu-sione, quando ormai sono tornate a casa, e Roma è stata liberata dagli Americani: la bambina vuole scrivere una lettera per partecipare ad un concorso radiofonico e inizia “Cara radio, sono una bambina ebrea…”; la mamma straccia gioiosa quell’inizio di lettera e le dice che non è una bambina ebrea, è una bambina e ba-sta.
Una bambina e basta, una persona e basta, con i suoi diritti: diritto alla libertà, la prima cosa che i Nazisti hanno tolto agli ebrei, diritto al nome, che i Nazisti hanno sostituito con un numero tatuato sul brac-cio, diritto di fare la spesa, studiare dove si vuole e lavorare.
Consiglierei questo libro a tutti, per-ché riflettano; la vita non è sempre rose e fiori, i problemi non si risolvono con il cel-lulare o il computer; non bisogna accettare le discriminazioni, perché a volte possia-mo essere nel gruppo dei “non discrimina-ti”, ma altre possiamo farne parte.
Dobbiamo sempre rispettare il pros-simo: lo dicono il buonsenso, la legge, le religioni, la Storia.
Ilaria Nicodemo, 2^ C Sec.
Memoria
Dai nostri archivi: una pagella di Seconda elementare, anno scolastico 1937-38: tra le discipline, No-
zioni varie e Cultura Fascista –Storia e Cultura Fascista; sotto, l’annuncio della cerimonia di apertura
dell’anno scolastico 1937-38 nella sezione adibita a Scuola di Avviamento Professionale. Le alunne
sono invitate dalla direttrice a presentarsi in divisa dell’Organizzazione giovanile cui appartengono.
In questo numero abbiamo deciso di parlarvi dei vari sport
e delle attività che noi e i nostri compagni pratichiamo nel
pomeriggio, dalla ginnastica artistica al paintball.
BUON DIVERTIMENTO!
A C U R A D I M I L I C A
D O K I C E I L A R I A
N I C O D E M O
La Gazzetta dell’Alessi
M A R Z O 2 0 1 4
La ginnastica ritmica
Il mio sport preferito è la
ginnastica ritmica: que-
st’anno la pratico nella
palestra della scuola nel
tardo pomeriggio. In que-
sto sport si usano alcuni
attrezzi, come la corda,
la palla, il cerchio e il na-
stro. Ci si diverte molto
soprattutto perché impa-
ro a fare cose nuove e
poi, quando vado a lezio-
ne, incontro una mia
amica che fa ginnastica
con me.
Cristina B., 2013
La farfalla sui pattini
La sua armonia subito mi colpì,
quando andai alla pista quel dì.
La campionessa leggera
sui pattini scivolava,
col fiato sospeso ci lasciava;
la sua grazia colpiva,
la sua bellezza ammutoliva;
io la osservavo estasiata,
dal suo passare la pista era ac-
carezzata.
Fu quando me ne andai,
che un timido sorriso le lasciai.
Lei, dolce, ricambiò
e il mio cuore di gioia scoppiò!
Ilaria Nicodemo
La pallavolo
Il mio sport preferi-
to è la pallavolo. E’
uno sport un po’
difficile però mi
piace tanto. A pal-
lavolo vado già da
tre anni. Quando
ero piccola, guarda-
vo sempre le par-
tite di pallavolo in-
sieme a mio padre.
Il mio sogno è che,
un giorno, divent-
erò una giocatrice
di pallavolo. Faccio
pallavolo nella pa-
lestra della scuola
“G. G. Belli”. La sua
palestra non è così
grande come nella
mia scuola, però, lo
è abbastanza per
giocare. Abbiamo
due spogliatoi e
uno spazio dove
giochiamo a pal-
lavolo. Lì ho tante
buone amiche.
Quando abbiamo
delle partite, dia-
mo sempre il
meglio di noi e sia-
mo bravissime.
Con i miei com-
pagni ci passo
sempre ogni gior-
no, siamo sempre
insieme. L’attrezza-
tura che dobbiamo
avere sono i panta-
loncini o la tuta,
m a g l i e t t a a
maniche corte e le
scarpe. La nostra
insegnante di pal-
lavolo comprende
tutti i nostri errori e
ci aiuta. Quando
cado le mie com-
pagne mi aiutano
e dopo qualche
minuto tutto va
benissimo. Alla fi-
ne, voglio dire che
ognuno deve avere un suo
sport preferito, come me. Forse
un giorno diventerò una famosa
giocatrice di pallavolo!!!
Milica
L A G A Z Z E T T A D E L L ’ A L E S S I
La ginnastica artistica
La ginnastica arti-
stica è uno sport
poco praticato,
perché poche per-
sone, soprattutto i
maschi, sono por-
tate. È molto impe-
gnativo, perché
quando passi in
serie C e stai per
andare in serie B,
fai 15 o 16 ore a
settimana. A me
piace molto questo
sport, perché è
pieno di acrobazie
che si vedono solo
nei film d’ azione,
se non più fanta-
siose. Io in pale-
stra ho molti amici,
simpatici e forti,
d’altronde come
me. Una delle cose
più belle che si
possono fare in
questo sport è che
si possono inventa-
re nuove figure,
che poi, appena
brevettate, prendo-
no per nome il tuo
cognome. Al mo-
mento, e non è
una cosa che
racconto a tutti,
sto inventando
un movimento
tutto mio, che se
mi riesce bene,
potrà essere bre-
vettato.
Però oltre a que-
sto, a me piace
la ginnastica arti-
stica perché è
appassionante e
non è uno di
quegli sport mol-
to conosciuti.
A proposito, dimenticavo di dire che,
modestamente, sono io il più forte
della mia squadra!
Flavio Petreri
Il paintball
Il paintball è uno sport il cui obiettivo è di eliminare
l’avversario con dei fucili ad aria compressa carichi di
vernice colorata. Lo sport viene praticato in un campo
all’aria aperta dove si trovano dei cuscinoni gonfiabili
che servono da riparo ai giocatori. L ‘attrezzatura com-
prende la maschera, i guanti, il giubbotto, il marcatore
e le palline di vernice.
Il vestito serve a protegge-
re il tuo corpo dai colpi, in
quanto la pressione dello
sparo è molto potente, cir-
ca 300 km orari; il marca-
tore è una sorta di mitra
dalla struttura semplice. Il
paintball si gioca a squa-
dre: il gioco inizia con una
sirena, i giocatori entrano
in campo e si appostano
nelle basi, poi i concorren-
ti iniziano a sparare con il
marcatore; i giocatori che
vengono colpiti o che fini-
scono i colpi si mettono la
mano sulla testa ed esco-
no dal gioco, cioè dal
campo. Io amo il paintball
e da ora in poi ci andrò
molto spesso!
Giacomo Fatello
L’equitazione
L’equitazione è lo sport
che preferisco e pratico.
Lo adoro perché si sta a
contatto con la natura e
con gli animali. E’ uno
sport “speciale”, un’atti-
vità elegante e allo stes-
so tempo divertente.
Adoro i cavalli perché
non sono degli animali,
sono degli esseri umani,
anzi meglio! Mi sento in
confidenza con loro per-
ché sono tutti “amici” a
cui posso confidare
qualsiasi cosa. Ho un
feeling unico con i caval-
li. Per esempio Rita, la
mia cavallina preferita,
si fida ciecamente di me
e io di lei. Sa perfetta-
mente che le voglio un
mondo di bene. Mia ma-
dre mi ha raccontato
che fin da piccola avevo
questa grande passio-
ne. L’equitazione mi ha
cambiata.
Giulia G.
Il cavallo per me è un animale speciale. Uno in particolare mi
è rimasto nel cuore: Udinì, purtroppo andato in paradiso, il
cavallo con il quale ho imparato a montare. Era docile e in-
telligente, capiva come dosare la sua energia a seconda di
chi lo montava. Il suo mantello era color nocciola e a me
sembrava dorato. Riconosceva la mia voce da lontano, sem-
brava mi sorridesse appena mi vedeva. Avevamo un’intesa
davvero speciale e per questo lo penso ogni giorno.
Anita
Il rugby
Come attività po-
meridiana io prati-
co il rugby: questo
sport fino a qual-
che anno fa era
praticamente sco-
nosciuto ma è da
un po’ di tempo
che scala il palco-
scenico internazio-
nale degli sport,
infatti le iscrizioni
per questa attività
in Italia sono au-
mentate vertigino-
samente. A me
non piace molto
vederlo, preferisco
praticarlo: quando
ci gioco sento
emozioni fortissime
e quando segno e i
tifosi (tra cui i geni-
tori) esultano il
sangue mi fa scop-
piare le vene men-
tre gli occhi mi si
illuminano.
La mia parte prefe-
rita dell’anno è
quando giro l’Italia
e l’Europa per fare
importanti tornei.
In conclusione per
me il rugby è uno
sport splendido
che consiglierei a
tutti di praticare.
Claudio De Roma
LA RICCARDEIDE
Raccontami, o Dea, di Riccardo,
giovane ricco d’astuzie e volontà,
che a lungo sopportò, dopo la verifica di Matematica,
anche quella d’Arte.
Di molti compagni egli conobbe la mente,
molti dolori patì per via del football americano!
lottando per la sua incolumità pel ritorno a casa,
sano e salvo.
Ma non tornò inerme,
bensì con una costola rotta!
Per follia di un suo compagno che lo placcò malissi-
mo, pazzo!
(che si beccò ben dodici inesorabili giri di campo)
E il coach con questi distrusse le sue gambe.
Anche a noi di’ qualcosa, o Musa, delle avventure
del giovane Riccardo, figlio di Carlo.
[Riccardo Lopizzo, 2012-13]
Il calcio
Il calcio è uno sport di squadra:
nasce in Inghilterra nel XIX secolo
e oggi è senza dubbio lo sport più
popolare del mondo. Lo scopo del
gioco è quello di fare più reti (gol)
degli avversari tirando la palla nel-
la porta della squadra rivale.
Le regole sono molto semplici: la
palla può essere presa con le ma-
ni solo dal portiere; chiunque altro
sarà penalizzato dall’arbitro che
fischierà il fallo dandogli un cartel-
lino giallo. I cartellini sono usati
dall’arbitro in base alla gravità del
fallo commesso, il giallo è consi-
derato come un avvertimento e il
rosso caccia dal campo il giocato-
re che commette il fallo; la som-
ma di due cartellini gialli porta
anch’ essa all’espulsione del gio-catore che finisce la partita prima
del tempo lasciando la sua squa-
dra in inferiorità numerica.
Nel 1848, i college inglesi furono i
primi a stilare un regolamento di
gioco chiamato Regole di Cam-
bridge. Sempre in Inghilterra, nel
1857 nasce la prima società di
calcio della storia, appunto, a
Sheffield, fondata da Nathaniel
Creswick .
Io sono appassionato di calcio da
molti anni: mi piace andare allo
stadio a incoraggiare la mia squa-
dra e lo pratico anche fin da quan-
do avevo 5 anni.
Federico F. Zanatta
Vi consiglio Il manuale di calcio di Pelé:
parla delle esperienze e dei trucchi di
un grande ex calciatore brasiliano,
Pelé, che è riuscito a conquistare 3
palloni d’ oro. A me è piaciuto molto:
ho scoperto molte cose che non sape-
vo.
TACKLE: è un intervento in anticipo,
regolare, sul pallone controllato dall’av-
versario.
UN TIRO DI PUNTA: è un tiro meno bello
di altri, serve molta potenza nella gamba
e nell’appoggio altrimenti potrebbe veni-
re un tiro sballato o fuori dallo specchio
della porta.
TIRO D’ INTERNO: è molto complesso
perché con la pianta del piede devi dire-
zionare il tiro per concludere a rete devi
colpire il pallone con l’ interno del piede.
PALLONETTO E CUCCHIAIO: il pallonetto
è un tiro destinato a scavalcare il portiere
da posizione accentrata, mentre il cuc-
chiaio viene effettuato da posizione de-
centrate ovvero sulle fasce. Questi 2 tiri
vengono considerati “magie”.
Kelvin Lima Brito
Il mio sport preferito è il
pattinaggio artistico su
rotelle. Mi sono iscritta
per provare un nuovo
sport, dopo la ginnastica
ritmica, e sono rimasta
entusiasta sin dalla pri-
ma prova. Mi piace per-
ché sui pattini mi sento
sicura e riacquisto tutta
la sicurezza e il caratte-
re che perdo quando
sono in classe. Lo prati-
co nel pomeriggio al Do-
polavoro dell’Aeronauti-
ca Militare, in un capan-
none tutto verde. Ci so-
no una o entrambe le
insegnanti. Lì trovo le
mie due migliori amiche.
Ci alleniamo sempre
insieme con Salti da
Mezzo giro, Semplici,
Tolup ... ed eseguiamo
anche diverse figure:
Angelo, Anfora, Seggioli-
no… Anche se siamo
tutte al secondo anno,
io sono di qualche salto
più avanti, infatti ho co-
minciato a fare quelli
più difficili: Stella e Fli-
pe. Hanno tutti molta
stima di me: in ogni co-
reografia, l’insegnante
dice di guardare me,
che intanto mi vergogno
a morte, e, all’ultimo
saggio mi ha definita
“corografa”. Si comin-
ciano delle piccolo gare
sin dal primo anno; vi
sono arrivata quinta,
una volta e prima la se-
conda. Ora stiamo pre-
parando la coreografia
per la gara del secondo
anno e ho molta paura,
perché è più complessa
delle precedenti. Stando
sui pattini, sembra di
volare veloci sulla pista.
Io so fare due tipi di trot-
tole: quella su due piedi
e quella su uno, anche
con la preparazione. Un
altro degli esercizi che
mi piacciono è la Pape-
ra: la si esegue in curva
mettendosi di profilo con
i piedi opposti l’uno
all’altro. Per me patti-
naggio è e sarà sempre
lo sport migliore del
mondo: mette insieme
danza, potenza, legge-
rezza, grazia ed elegan-
za; sembra difficile, ma
non lo è affatto. Scivo-
lando sulle rotelle, si
sente il loro rumore sulla
pista, che dà un’impres-
sione di uniformità.
Quando cado, le mie
compagne non ridono
del mio errore, ma si av-
vicinano chiedendomi
“Tutto a posto?”. Anche
io faccio così con loro e
le aiuto a rialzarsi. Il ton-
fo dell’atterraggio da un
salto risuona in tutto il
capannone e dà un’idea
di ampiezza, come un
universo infinito per pat-
tinare a mia disposizione
e delle mie compagne. Sia-
mo una vera e propria
squadra, compatta, dove
tutti ci aiutiamo a vicenda,
le maestre ci insegnano
molte cose e ci fanno da
guida.
Ilaria Nicodemo, 2013
Il pattinaggio
L A G A Z Z E T T A D E L L ’ A L E S S I
Leggende di classi e alunni
Giacomeide
Le imprese del ragazzo ricco di vivaci-
tà narrami, o prof, che a lungo s’im-
pegnò dopo che ebbe saputo i voti in
pagella;
di tutti gli amici conobbe la mente,
molti dispiaceri provò dopo litigate,
che cercò di placare. E vi riuscì, ac-
contentando di tutti i desideri.
Anche a noi di’ qualcosa, o prof, del
Giorgide Giacomo!
Giacomo Passino
La Primeide
Della Primeide raccontami le sorti, o
Muta, che a lungo scrisse dopo che mi-
se a soqquadro il sacro laboratorio, di
molti professori vide i registri, molti ti-
mori patì nelle verifiche, lottando per i
suoi alunni che (pazzi) cancellarono i
compiti nel registro del prof. Boccaglio.
Anche a loro di’ qualcosa di questa
classe, o Muta, figlia di Sub.
Leonardo Fancello
La Classidea
La classe ricca d’astuzie raccontami, o musa,
che a lungo errò nelle verifiche
dopo che ebbero distrutto i professori,
di molti ragazzi le professoresse videro e
conobbero le menti.
Molti dolori patirono in cuore per i voti!
lottando per i dieci e pel benessere dei suoi.
Ma non vi riuscirono benché tanto ci provò
per loro furbizia si arrabbiarono perduta-
mente, pazzi!
che copiarono le risposte dal libro Sacro!
E i prof distrussero le verifiche
in cui un buon voto presero: anche a loro di’
qualcosa di questa catastrofe
o Dea, figlia del cielo!
Giulia Di Stefano e Janira Frias
In questa pagina vi presentiamo delle parodie scritte nel 2013 dai ragazzi dell’at-
tuale 2A e ispirate al modello dell’Iliade.
L A G A Z Z E T T A D E L L ’ A L E S S I
Ecco la nostra visita al Bioparco di Roma…..
Appena trovammo davanti a noi l’arcata dell’entrata non vedevamo l’ora di inco-
minciare la visita. Come prima cosa conoscemmo la guida, che ci portò, senza per-
der tempo, davanti dalle giraffe spiegandoci che i cuccioli devono essere, perlome-
no, alti due metri per arrivare alle mammelle della madre. Il parto avviene in piedi.
LO SAPEVI CHE?
IL CUCCIOLO DI GIRAFFA CHE VIENE ALLATTATO
A differenza di quanto si crede, il collo della giraffa è composto da solo sette vertebre,
come nella maggior parte dei mammiferi, uomo incluso. Anche la sua caratteristica lin-
gua blu è molto lunga, e può essere estesa per ben 40 cm: serve per afferrare le foglie
delle piante di cui si nutre.
Proseguendo la visita arrivammo alla gabbia dei tapiri, dei canguri, degli emu (i fratelli
degli struzzi) e delle zebre asiatiche.
TAPIRI ZEBRE ASIATICHE
I canguri adulti raggiungono i 50 km/h in
corsa, e fanno salti oltre i 5m.
LO SAPEVI CHE?
Curiosità… Al Bioparco di Roma molti degli animali presenti sono stati
salvati dal CFS (Corpo Forestale dello Stato) dal mercato nero e da zoo
privati. Un esempio può essere la storia di una piccola giraffa che è in
cura allo zoo. Lei è stata salvata da uno zoo privato (piccole aree private
legali finalizzate alla crescita degli animali)
Curiosità… Le tigri sono i felini più grossi del mondo. Il loro manto
(arancio a strisce nere) permette loro di mimetizzarsi fra l’erba alta in
modo tale da sorprendere alle spalle le prede. Le tigri sono in via d’e-
stinzione (circa 350 in tutto il mondo). Occupano più di 300 habitat.
Continuando il viaggio ci siamo imbattuti davanti agli elefanti. La guida ci ha
spiegato il perché gli elefanti si ricoprono di paglia e terra: serve per non esse-
re attaccati da zanzare e, durante l’inverno, per riscaldarsi.
IL LABORATORIO
In via del tutto eccezionale il Bioparco ci ha aperto le porte al pronto soccorso degli
animali. Ci hanno spiegato l’utilizzo dei vari macchinari nel laboratorio. Inoltre ci han-
no mostrato un boa. Ci hanno detto che la pelle dei serpenti, se toccata, può portare
malattie. Poco più tardi il padre di un nostro compagno ci ha mostrato le “tronchesine”
taglia elefante e le cerbottane per addormentare gli animali più pericolosi quando van-
no curati.
Dopo aver visto l’ospedale degli animali la guida ci condusse ad una sala vicino
alla gabbia degli orsi. In quell’aula abbiamo toccato alcuni insetti, come l’insetto
stecco, ed un furetto (appartenente alla famiglia delle puzzole).
Giacomo Passino, Giulia Di Stefano,
Riccardo Lopizzo e Leonardo Fancello,
2^ A, gennaio 2014
A sinistra, Federico
presenta uno dei brani
del concerto a tema; a
destra, Elena si ripren-
de dopo aver presentato
a vari gruppi di visita-
tori una parte della
mostra sulla persecuzio-
ne degli Ebrei in Italia;
sotto, alcuni degli stu-
denti di Terza durante
le prove di lettura
espressiva di “Vennero
a prendere...”.