Post on 16-Jul-2015
OPERA ARMIDA BARELLI
LEVICO
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
CORSO PER OPERATORE SOCIO SANITARIO
SEDE DI LEVICO TERME
GLI ASPETTI PSICOLOGICI
LEGATI ALLA PROFESSIONE
(Modulo Generale n° 3 – Unità Didattica n° 1)
A.F. 2013 - 2014
L’UOMO ALTRO NON È
SE NON QUELLO CHE DIVIENE,
E NON DIVIENE
SE NON CIÒ CHE È,
VERITÀ SEMPRE PIÙ PROFONDA.
(AMIEL)
A cura di: Sandra De Carli
Docente: Sandra De Carli
Data di pubblicazione: 28 ottobre 2014
Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio-Sanitario
Sede di Levico Terme
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CAPITOLO 1
LA PSICOLOGIA
INTRODUZIONE
Prima di dare una definizione di che cosa si intenda e di cosa si occupi la psicologia, può
essere importante soffermarsi a pensare che cosa pensiamo noi della psicologia, a partire dalla
nostra storia e dalle nostre conoscenze, e che cosa ne pensa la gente che quotidianamente
incontriamo. Dalla ricerca fatta in aula sono emerse le seguenti definizioni e osservazioni, che
in seguito cercheremo di analizzare.
CHE COS’È LA PSICOLOGIA? LA GENTE CHE COSA PENSA SIA LA
PSICOLOGIA?
- studio della psiche
- studio della diversità e della individualità delle persone
- studio dei problemi psicologici delle persone
- studio del comportamento umano
- studio del carattere
- studio della mente umana
- studio dei comportamenti verbali e non verbali
- studia i pensieri e i modi di fare dell’uomo
- studio della persona presa individualmente
- studio del passato
- studio dell’Io
- studio dell’ambiente che circonda la persona
- studio delle emozioni
- studio dell’intero arco della vita
- studio del profondo
- studio dell’inconscio
- studia il motivo di determinati comportamenti
- scienza che studia la psiche degli uomini e degli animali
- scienza che aiuta a superare alcune fasi della vita
- scienza che indaga, ti penetra dentro, riesce a sviscerare l’inconscio;
- scienza che ti aiuta a risolvere i problemi che hai, parlandone con una persona esperta;
- analisi per ritrovarsi
- analisi della persona
- analisi della mente
- analisi dei vissuti
- strumento per acquisire sicurezza
- strumento per superare traumi
- è un metodo che ti fa scoprire i perché dei tuoi pensieri
- serve a cercare il perché
- aiuto, sostegno alla persona
- aiuto alla persona nei suoi problemi
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- aiuto per elaborare lutto e/o trauma
- la psicologia non è rivolta solo a persone “malate”
- lo psicologo usa i test
- lo psicologo fa rilassare il paziente, lo aiuta a ritornare indietro nel passato e a cercare il
trauma che ha determinato dei disagi
Nei seguenti schemi, ritroviamo le parole - chiave emerse dalla ricerca fatta in aula. Di
seguito saranno fornite alcune definizioni di psicologia, che, come potremo osservare, le
comprendono tutte.
STUDIO
SCIENZA
RICERCA
ASCOLTO
SOSTEGNO
STRUMENTO
ANALISI
AIUTO
METODO
INDAGINE
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COMPORTAMENTO
VERBALE E NON VERBALE
PERCHE’ - I MOTIVI
…L’AMBIENTE
PASSATO
…LA CRISI
MALATO E NON
…LA PERSONA INDIVIDUALE
..LA MENTE
…LA PSICHE DELL’UOMO
…L’IO
…L’ ARCO DELLA VITA
TRAUMA
PROFONDO
COLLOQUIO
RICERCA
IPNOSI
RILASSAMENTO
ANALISI
TEST
PENSIERO DELL’UOMO
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DEFINIZIONE
PSICOLOGIA:
La psicologia è la scienza che studia la condotta degli uomini e degli animali; nel caso di
questi ultimi il termine “condotta” equivale a “comportamento rilevabile dall’esterno”.
Mentre nel caso degli uomini include le funzioni psichiche o processi mentali (intelligenza,
memoria, percezioni, ecc.) e le esperienze interiori o soggettive (sentimenti, aspettative, ecc.)
sia coscienti sia inconsce.
(da ENCICLOPEDIA GARZANTI DI FILOSOFIA)
Esistono diversi orientamenti e scuole di pensiero in psicologia, che hanno cercato di dare
spiegazioni a comportamenti, pensieri, sentimenti, emozioni, così come nascono e si
sviluppano durante l’intera esistenza. Tra questi ricordiamo la psicologia dinamica e la
psicanalisi, che ha avuto inizio con Sigmund Freud, il comportamentismo, il cognitivismo, la
psicologia umanistico-esistenziale (tra i suoi maggiori esponenti troviamo Maslow, Rogers e
Frankl). Durante il percorso formativo faremo di volta in volta riferimento a molti principi
scientifici individuati dai diversi orientamenti.
Dalla discussione nata in aula relativamente alla motivazione sottostante lo studio della
psicologia all’interno del percorso formativo per operatore socio sanitario sono emerse le
seguenti motivazioni e/o aspettative:
1. Si studia psicologia
per capire se stessi, e di conseguenza, la persona da assistere. E' uno strumento
fondamentale per chi svolge un lavoro a contatto con essere umani. Le espressioni verbali
e non verbali di una persona possono essere molteplici; la psicologia è una chiave di
lettura per interpretarle.
Per una maggior conoscenza di se stessi e acquisire così sicurezza nella professione.
Perché come O.S.S. si dovrà lavorare con utenti con problematiche sia sociali che
sanitarie e quindi cercare di imparare a capire bisogni, esigenze e desideri che sicuramente
incontreremo nella nostra professione. Inoltre l'O.S.S. dovrà anche confrontarsi e
collaborare con altre figure professionali, per cui le conoscenze servono anche per essere
più “aperti” e costruttivi nei confronti dell'équipe.
Per costruire un approccio non standardizzato.
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Si studia psicologia per capire meglio il paziente. Per saper essere e non solo saper fare.
Si studia psicologia per riuscire ad intervenire in maniera consapevole nei confronti
dell’assistito quando si presenta una condizione di disagio.
Si studia psicologia per capire la propria emotività ed avere la piena consapevolezza di sé
e dei propri limiti, delle proprie forze e dei propri sentimenti per poter meglio capire gli
altri.
2. Aspettative
di imparare a conoscere meglio noi stessi, per confrontarci al meglio con gli altri e la
società;
di imparare a pensare che niente è scontato;
di esser in grado di mettersi in discussione;
di acquisire le basi per osservare e capire il comportamento verbale/non verbale della
persona da assistere;
di imparare ad ascoltare e individuare le paure e i bisogni espressi e non nelle diverse fasi
della malattia;
di imparare a relazionarci in modo più adeguato con la persona da assistere, l’èquipe e i
diversi operatori;
di saper gestire situazioni difficili,
di acquisire più autocontrollo.
Possiamo quindi concordare sul fatto che lo studio della psicologia all’interno del
percorso formativo del corso O.S.S. è finalizzato al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
Capire se stessi, conoscere i propri limiti e le proprie risorse
Capire il proprio comportamento e quello della persona da assistere.
Intraprendere un processo di cambiamento di se stessi nei confronti della persona da
assistere.
Acquisire una capacità di relazione con l’utente, i colleghi, i superiori, i familiari.
Acquisire la capacità di instaurare un buon dialogo e una buona relazione.
Acquisire la capacità di affrontare situazioni con competenza relazionale.
Acquisire la capacità di osservare i vari comportamenti.
Affrontare situazioni particolari come un bagno difficile, la somministrazione di un pasto,
comportamenti aggressivi,….
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CONCLUSIONI
Lo studio della psicologia all’interno del percorso formativo per Operatore Socio
Sanitario ha come obiettivo il fornire degli strumenti e degli spunti di riflessione a più livelli:
a livello personale;
nella relazione con i colleghi e altro personale operante all’interno della struttura
assistenziale (in particolar modo nel lavoro d’équipe);
nella relazione con la persona da assistere;
nella relazione con i familiari e i parenti.
Scopo delle lezioni di psicologia non è formare degli psicologi in miniatura né fornire
“ricette precostituite” per entrare in relazione con le persone. Le lezioni sono finalizzate a
creare degli spazi di riflessione in cui cercare di cogliere, accogliere e capire la persona nella
sua interezza di storia, bisogni, desideri, pensieri, affetti, comportamenti, valori, dimensioni.
E con persona indichiamo l’utente, i colleghi, ogni persona che incontriamo nel lavoro, ma
anche l’operatore stesso.
Ad ognuno sarà richiesto un lavoro personale, non sempre facile, perché metterà in
evidenza una certa rigidità degli schemi mentali utilizzati e la presenza di numerosi pregiudizi
che sottendono e influenzano molte scelte e modalità di relazione, che rendono difficile
l’andare incontro con umanità e professionalità alle persone che hanno bisogno di assistenza,
vale a dire di persone che “stiano lì con loro, davanti a loro, per loro”.
DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
Definizione di psicologia
Perché è importante lo studio della psicologia all’interno del corso per Operatore Socio
Sanitario?
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CAPITOLO 2
LA MOTIVAZIONE ALLA PROFESSIONE
BREVI RIFERIMENTI TEORICI
Il termine italiano motivazione deriva dalla fusione di due parole latine “motus’ e “actio”;
più precisamente motivazione deriva da “motus ad actionem”. Il termine presuppone pertanto
un movente, un movimento, una spinta che inducono all’azione. Ciò fa capire due cose: come
la motivazione implichi la presenza nell’individuo di una certa “forza direzionale” e come ad
ogni azione umana sia sottesa una causa.
La “psicologia del profondo’ ci ha permesso di vedere come anche i comportamenti più
casuali e apparentemente più ingiustificati siano riconducibili a stati psichici e a situazioni
relazionali precise, ancorché non facili da individuare.
I comportamenti dell’uomo discendono più propriamente da “bisogni”: il bambino molto
piccolo tende a soddisfare i suoi bisogni sulla base del “principio di piacere”, principio che
chiede la soddisfazione totale e “immediata” delle sue necessità del momento. Con lo
sviluppo fisico e mentale il bambino impara un po' alla volta, attraverso l’opera educativa dei
genitori, delle figure sostitutive e attraverso l’esperienza diretta, a tener conto di quanto lo
circonda, ovvero dell’ambiente: con le sue regole, con le sue limitazioni, i suoi vincoli, oltre
che, ovviamente, le sue opportunità.
Il principio di piacere cede cioè gradualmente il passo al “principio di realtà”, principio
che chiede che nella soddisfazione dei nostri bisogni teniamo conto di un mondo esterno fatto
di: persone, oggetti, elementi fisici, leggi, valori e norme del vivere sociale. Il che comporta,
in definitiva, che l’individuo soddisfi i suoi bisogni in maniera più mediata.
La motivazione non può non essere considerata in quell’esperienza che coinvolge gran
parte della giornata e della vita di una persona, quale è l’attività lavorativa. Rientra nelle
variabili soggettive individuali che caratterizzano l’individuo che lavora, unitamente alle sue
abilità e capacità, alla sua personalità, ai suoi bisogni, desideri; agli stili individuali di lettura
ed interpretazione della realtà ed al processo della presa di decisione.
Nel parlare di motivazione al lavoro si possono distinguere diversi orientamenti e modelli
teorici. Ai fini della presente ricerca sono stati individuati tre teorie di riferimento.
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LA TEORIA GERARCHICO-SEQUENZIALE DI MASLOW
Secondo Maslow, il principale esponente della psicologia umanistica, la sorgente della
motivazione va ricercata in alcuni specifici bisogni. I bisogni umani sono di natura biologica,
hanno una base genetica e spesso influenzano il comportamento a livello inconscio. Un
bisogno che deve essere soddisfatto, crea in un individuo uno stato di disagio e di tensione. La
tensione incita la persona all’azione, allo scopo di ridurre il disagio. Quando il bisogno viene
soddisfatto la tensione si riduce. L’individuo si trova costantemente in uno stato di
motivazione.
Egli propone 5 categorie di bisogni, che si sviluppano secondo questo ordine si
successione, dai “più bassi a più alti”:
1. Bisogni fisiologici: sete, fame, sonno, etc.
2. Bisogni di sicurezza: fisica, sociale, emotiva.
3. Bisogni di legami sociali: amicizia, affetto, comprensione.
4. Bisogni di stima: prestigio, successo, rispetto di se.
5. Bisogni di autorealizzazione: possibilità di esprimere ai meglio e al massimo le proprie
potenzialità.
Questi bisogni sono tra loro in ordine gerarchico in modo tale che non sarà possibile
l’insorgenza di bisogni di ordine superiore se non dopo l’avvenuta soddisfazione di bisogni di
ordine inferiore. I desideri tendono ad organizzarsi secondo un ordine di priorità, dai più
semplici ed elementari (fisiologici) ai più complessi (di auto-realizzazione).
Quando un bisogno viene soddisfatto perde centralità e rilevanza per l’individuo aprendo
la strada all’insorgenza di nuovi bisogni. I bisogni sono universalmente presenti in tutti i
contesti culturali.
I FATTORI MOTIVANTI: LA RICERCA DI HERZBERG
Un altro psicologo statunitense, F. Herzberg, utilizzando il modello teorico di Maslow, ha
condotto una vasta indagine per tentare di individuare i fattori di soddisfazione e di
insoddisfazione sul lavoro.
Il risultato della ricerca ha mostrato come soddisfazione e insoddisfazione sul lavoro non
dipendano dall’appagamento dei bisogni in sé, ma dalla tipologia dei bisogni che vengono
appagati.
Gli individui sono motivati da due diversi aspetti del contesto lavorativo:
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i fattori igienici (retribuzione, condizioni di lavoro, relazioni interpersonali; in generale,
un ambiente di lavoro sicuro, protetto, salutare e tranquillo, stile di comando) ed
i fattori motivanti (qualità di lavoro in sé, opportunità di crescita professionale,
acquisizione di responsabilità, autonomia, soddisfazione, crescita personale, realizzazione,
riconoscimento).
Il fattore igienico è composto dai correlati del lavoro estrinseci alla vera attività che una
persona svolge. Infatti se i bisogni “igienici” non vengono soddisfatti, provocano frustrazione,
ma il loro appagamento non provoca automaticamente gratificazione.
Il fattore motivazionale, invece, riguarda i risultati intrinseci del lavoro. Se i bisogni
“motivanti” vengono soddisfatti si genera motivazione al lavoro.
Ad esempio un adeguato stipendio ed un posto di lavoro sicuro non sono in grado di
rendere, da soli, un lavoratore soddisfatto. Possono motivare chi è in cerca di lavoro, ma non
una persona che è già inserita stabilmente in un’azienda.
I fattori “motivanti” hanno altresì la caratteristica di produrre una gratificazione crescente,
a cui si accompagna il desiderio di continuare nella stessa direzione.
Nella grafico seguente viene illustrata la strutturazione gerarchica dei bisogni umani
secondo Maslow e Herzberg.
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MASLOW HERZBERG
- lavoro MOTIVATORI in sé
AUTO - sviluppo REALIZ- - responsabilità SODDISFATTIVI ZAZIONE - conseguimento
- promozione STIMA - riconoscimento
- status INSODDISFATTIVI
- rapporti con capi, colleghi
SOCIALITÀ e collaboratori IGIENICI - supervisione professionale
- politiche e procedure
SICUREZZA - sicurezza di impiego - condizioni di impiego
- retribuzione
SOPRAVVIVENZA - ambiente fisico - prossimità luogo di lavoro
Da quanto detto finora emerge quindi come in ogni attività dell'uomo la motivazione
occupi un posto di fondamentale importanza. Una motivazione capace di dare senso
all'attività svolta. Ciò vale soprattutto quando il lavoro presenta aspetti di particolare
complessità e coinvolgimento psicologico e relazionale, come nel caso delle professioni di
aiuto.
Da un’indagine sui fattori motivazionali alla base del lavoro di operatore sanitario, svolta
attraverso la somministrazione, a 166 studenti dei corsi OSS dell’Opera Armida Barelli e a 45
supervisori di tirocinio, di un questionario che richiedeva ai soggetti di scegliere 12 fattori su
30 che rispecchiavano le aree di bisogno indicate da Maslow ed Herzog si possono trarre le
seguenti osservazioni.
La motivazione al lavoro è caratterizzata in primis da una spinta verso l’autorealizzazione.
Infatti
svolgere un lavoro stimolante e interessante;
la qualità del lavoro;
possibilità reali di formazione e di sviluppo professionale;
possibilità di mettere in pratica le proprie idee;
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risultano i fattori motivazionali più scelti.
Il secondo gruppo di fattori motivazionali è riconducibile al soddisfacimento del bisogno
di sopravvivenza, inteso soprattutto come
retribuzione adeguata;
ambiente di lavoro gradevole;
luogo di lavoro vicino a casa;
orari compatibili con la vita privata.
Tra i fattori che vengono indicati con maggior frequenza stanno acquisendo importanza
anche quelli legati al bisogno di socialità, intendendo
buone possibilità di integrazione nel gruppo di lavoro;
la possibilità di lavorare in gruppo;
buoni rapporti con le interfacce di ruolo;
avere un Capo competente.
Non sembrano avere molta importanza i fattori motivazionali legati al bisogno di
sicurezza, forse a partire dal fatto che in questo settore la sicurezza lavorativa non è messa
in discussione, e al bisogno di stima, intesa soprattutto come riconoscimento all’interno
delle varie organizzazioni e contesti lavorativi e a livello sociale. Tra i fattori
motivazionali legati al bisogno di stima è quello relativo allo svolgere un lavoro utile e
importante, che si colloca più a livello di autostima, che di eterostima.
Durante la formazione, inoltre, grazie ad un evidente investimento da parte dei corsisti e
alle continue sollecitazioni da parte dell’équipe formativa, accade che gli studenti attuino un
cambiamento, non solo a livello professionale, come acquisizione di competenze, conoscenze
e sicurezza nel lavoro da un punto di vista tecnico – operativo, ma anche a livello personale,
come conoscenza di sé, maturazione personale e attribuzione di significato a eventi, relazioni
e gesti sia nella vita privata che professionale.
Non basta chiamare lavoro quello che facciamo per farlo diventare una professione.
Occorre domandarsi perché lo abbiamo scelto: anche da ciò dipende infatti il nostro
atteggiamento verso la «professionalità».
Ci sembra che le motivazioni alla professione, e di conseguenza ad intraprendere questo
percorso formativo, possano essere ricondotte a tre tipologie:
Il desiderio specifico di lavorare in ambiti assistenziali: "Fare qualcosa di utile per gli
altri", "Aiutare chi ha bisogno ";
La possibilità di un cambiamento ed una crescita personale;
La necessità di lavorare e la disponibilità di posti in questo ambito.
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Emerge quindi che chi sceglie una professione al servizio delle persone, lo fa per servire
gli altri, per «fare del bene». Significa aver individuato le motivazioni di fondo della nostra
scelta? No, non esattamente. È importante essere più precisi riguardo alle motivazioni che ci
hanno spinti a impegnarci in un lavoro di questo tipo. È importante capire cos'è che ci fa
andare al lavoro ogni mattina e quali gratificazioni ne ricaviamo.
Se non siamo convinti del valore di quello che facciamo, nasce il problema che potremmo
chiamare del «soltanto... ». È un problema che emerge con chiarezza quando alla domanda:
«E tu cosa fai? », si risponde: «Oh, sono soltanto un operatore socio-sanitario». Le persone
che descrivono il loro lavoro dicendo: «Sono soltanto... » intendono dire che quello che fanno
non è veramente importante per loro, o per gli altri. Se vogliamo lavorare nel campo dei
servizi alle persone, dobbiamo sapere cosa rende questo lavoro importante per noi, importante
per la gente a cui ci rivolgiamo e importante per la società nel suo insieme.
" Anche se è stato un po' per caso, o per mancanza di alternative
immediate, non è così vero che noi non c'entriamo per nulla in questa
scelta. In fondo ci sono davvero così tanti mestieri, che l'impegnarsi in
un lavoro di servizio alla persona difficilmente è casuale: di solito
risponde a un bisogno, una spinta profonda, di solidarietà, di desiderio
di aiutare chi ha bisogno, chi si trova a non farcela da solo ed è
costretto a chiedere aiuto. [...]. .
Sappiamo bene di avere delle risorse, dell'energia, dei sentimenti da
investire in un rapporto di aiuto, oltre alle capacità fisiche di fornire
singole prestazioni. Da dove ci viene questa carica, questa tensione,
che ci ha consentito di scegliere o di accettare questo lavoro faticoso e
impegnativo e ogni giorno ci sostiene nel proseguirlo? Nasce dai nostri
valori, dagli scopi che noi crediamo abbia la nostra vita, dal senso e
dal valore che siamo sicuri abbia persona, sentiamo gli altri fratelli in
Dio, se abbiamo fede, o fratelli nella condizione umana: ma certo le
persone non ci sono indifferenti.
E perché proprio queste persone: perché i vecchi o i ragazzi
handicappati? Anche quest'ultimo più o meno consapevole
orientamento verso una specifica fascia di utenza, ha di sicuro radici in
noi, nella nostra storia, nelle vicende familiari, nelle esperienze che
abbiamo attraversato, negli incontri che abbiamo fatto, nei rapporti che
sono per noi significativi" (citato in: Noi ci siamo, pag. 178)
Le persone che riescono a trovare soddisfazione in un lavoro di questo genere sono in
grado di riconoscere le gratificazioni (non di tipo economico) proprie del loro lavoro: la
soddisfazione di poter osservare un piccolo, ma significativo cambiamento nella vita di
un'altra persona o la spontanea riconoscenza di un utente del servizio.
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DA CASUALITÀ A SCELTA
È importante che ognuno di noi sappia per quali motivi sceglie una professione di servizio
alle persone. Se non siamo sicuri del perché facciamo quello che facciamo, sarà difficile
riuscire a sostenere i dubbi e i messaggi contraddittori dell’opinione pubblica, e come
abbiamo visto, perfino dei nostri amici e conoscenti, sul valore del nostro lavoro.
È importante che accada una trasformazione: alla possibile casualità iniziale nella scelta
deve man mano subentrare una motivazione specifica, che dia senso al lavoro.
Sicurezza economica e facilità di trovare impiego sono motivazioni insufficienti per
svolgere tale professione. Possono valere nella fase iniziale, ma sicuramente non bastano per
«restare».
L'importante è che giunga a livello di consapevolezza, cioè che ci si renda conto, che
l'«essere utile agli altri» ha la sua parte di “tornaconto” per noi, fino a poter parlare di vera e
propria reciprocità.
I RISCHI DA CONOSCERE
La dimensione di «aiuto al prossimo» non deve essere sottovalutata o, peggio ancora,
negata od ostacolata. Sembra necessario, invece, ricondurla alla giusta dimensione di scelta
matura e fondata, se si vuole evitare il rischio di avere in servizio operatori che vogliono
aiutare gli altri a risolvere i loro problemi per cercare, in realtà, di superare i propri.
È un rischio che possono correre coloro che, a qualsiasi livello si occupano di sanità o di
assistenza.
Un'altra motivazione alla scelta, apparentemente buona ma potenzialmente rischiosa, è la
ricerca di un lavoro emotivamente coinvolgente in cui le gratificazioni, almeno nelle
aspettative, siano immediate.
Partire solo da questo tipo d'investimento fa correre il rischio di lavorare puntando
soprattutto sulla relazione positiva tra operatore e utente, piuttosto che sul darsi anche
strumenti specifici d'intervento.
L’assenza di professionalità espone l'operatore a insuccessi tali da mettere a rischio la
motivazione stessa, anche la più valida.
Un autore (Weldon) ricorda: “Cambia te stesso, insieme al mondo”.
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Abbiamo affermato in più occasioni, in questo primo periodo del corso (e sarà un
ritornello frequente), che il primo strumento dell’assistenza è identificabile nell’operatore
stesso. Ecco perché deve essere messo in atto un serio e profondo processo di conoscenza di
se stessi, delle proprie motivazioni, delle proprie risorse e limiti.
Di seguito cercheremo di identificare quelli che possono essere i nostri limiti personali
che vanno a interferire con la qualità della nostra prestazione professionale.
Perché per te è così importante fare una cosa che molti altri troverebbero così poco
piacevole?
È importante conoscere i propri limiti perché nessuno è perfetto e nessuno può avere una
risposta a tutto. Se è vero che in futuro potremo avere risposte che oggi non abbiamo, è anche
vero che avremo altre nuove domande a cui dovremo cercare di dare risposta.
In prospettiva, riusciremo a essere molto più efficaci se accettiamo i seguenti principi:
1. Non possiamo essere in grado di rispondere a tutto e probabilmente non
abbiamo nemmeno un’adeguata conoscenza di tutti i problemi importanti.
2. È certo ed evidente che commetteremo degli errori.
3. Commettere errori è legittimo.
4. Non è accettabile ripetere continuamente il medesimo errore.
5. È professionalmente adeguato e auspicabile chiedere aiuto quando non si sa
cosa fare.
Ognuno di noi presenta una diversa ed originale combinazione di punti di forza e di lati
deboli. Vi sono, comunque, alcuni problemi comuni che ritroviamo spesso in chi lavora nei
servizi alle persone.
NON POSSIAMO VOLER BENE A TUTTE LE PERSONE CHE DOVREMMO AIUTARE
(A VOLTE NON CI SONO NEMMENO SIMPATICHE)
Questa è una delle lezioni più difficili da imparare, specialmente se abbiamo appena
iniziato a lavorare nel campo dei servizi alle persone. È perfettamente normale (anche se non
sempre bello) avere delle simpatie e delle antipatie personali. Così, molti di noi devono
imparare che alcune delle persone per cui lavoriamo ci saranno più simpatiche di altre; e che,
anche tra i colleghi, alcuni ci saranno più simpatici di altri.
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Tutto ciò è accettabile, a condizione di essere consapevoli dei nostri sentimenti e di un
serio impegno a comportarci in modo professionale con tutti, e non solo con chi ci appare
simpatico.
Non è solo possibile, ma necessario, trattare i nostri colleghi e gli utenti dei nostri servizi
con rispetto e cortesia, indipendentemente dai nostri sentimenti verso di loro.
Non dobbiamo poi dimenticare che non tutte le persone per cui lavoreremo ci troveranno
simpatici. Qualcuno avrà del rancore verso quello che noi rappresentiamo, qualcun altro sarà
irritato per il fatto di dover chiedere aiuto, altri saranno infastiditi dalla nostra presunta
«competenza professionale».
NON POTREMO RIUSCIRE A SALVARE TUTTI
Non sarà possibile raggiungere in tutti i nostri interventi il massimo risultato. A volte
accade perché – e questo è un primo motivo - dobbiamo acquisire maggiori capacità, oppure
perché alcune persone non vogliono essere aiutate nel modo in cui noi vogliamo aiutarle o
non condividono l'obiettivo finale che noi riteniamo valido per loro.
Un altro motivo è che, ovviamente, non possiamo sempre avere un controllo della
situazione che ci permetta di raggiungere gli obiettivi sperati, perché la persona da assistere si
rivolge anche ad altre persone con obiettivi e modalità diverse.
VI SARANNO SEMPRE DELLE SITUAZIONI LEGATE AL LAVORO E ALLE PERSONE CON CUI
LAVORIAMO CHE CAUSERANNO FORTI REAZIONI EMOTIVE
In situazioni di questo genere, c’è qualcosa che ci «tocca sul vivo». Un primo passo
fondamentale per affrontarle è cercare di capire cosa rappresentano in realtà per noi.
I limiti descritti finora sono limiti individuali, dipendono da ciascuno di noi: non tutti mi
sono simpatici, non posso aiutare tutti, non ho tempo sufficiente. Vi è però un altro limite che
condiziona spesso il lavoro in un servizio alle persone ed è quello della struttura, della
organizzazione che fornisce il servizio.
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In qualunque tipo di lavoro che avremo scelto, vi saranno vantaggi e svantaggi; vi saranno
momenti ricchi di gratificazione professionale e altri che affronteremo sempre con poco
entusiasmo (questo è vero in quasi tutte le professioni).
Noi siamo quasi sempre in grado di capire se siamo contenti o no del nostro lavoro.
Quando siamo contenti, andiamo volentieri a lavorare al mattino e siamo orgogliosi di quello
che facciamo. Quando viceversa non siamo contenti del nostro lavoro, non usciremmo mai
dal letto. (C'è chi, naturalmente, dal letto non si alza mai volentieri, ma questo è un altro
problema. ..).
Innumerevoli sono le ragioni che possono rendere le persone insoddisfatte del loro lavoro.
A complicare ulteriormente le cose, capita a volte che chi lavora nei servizi alle persone
sia insoddisfatto non perché non gli piaccia il suo lavoro, ma per le ripercussioni che il lavoro
ha sulla vita privata.
Molti operatori non possono fare a meno di dedicare parte del loro tempo libero a pensare
(spesso con preoccupazione) ai problemi dei loro utenti. Quando si ha a che fare con i
problemi delle persone, non possiamo concludere tutto timbrando il cartellino! Ci portiamo a
casa i problemi delle persone per cui lavoriamo e spesso è difficile non pensarci più. Ecco
perché è così importante trovare un equilibrio tra la vita professionale e la vita privata.
“Se non abbiamo cura di noi stessi, non possiamo aver cura degli altri” (Gaylin). Ecco
allora spiegata la frase in copertina che chiede ad ognuno di noi scoprire o ritrovare la verità
che siamo.
DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
Che cosa si intende per motivazione?
La teoria di Maslow e di Herzberg
Perché è importante la motivazione nel lavoro dell’Operatore Socio – Sanitario?
Prendersi cura: caratteristiche per una professionalità nel lavoro di cura.
Quali rischi sono presenti nel lavoro di cura?
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CAPITOLO 3
LE EMOZIONI
DEFINIZIONE
“Intenso moto affettivo, piacevole o penoso, accompagnato per lo più da modificazioni
fisiologiche e psichiche (pallore e rossore, reazioni motorie ed espressive). (dal Dizionario
Garzanti)
«L’emozione è una reazione affettiva con insorgenza acuta e di breve durata determinata
da uno stimolo. La sua comparsa provoca una modificazione a livello somatico (del corpo),
vegetativo (reazioni fisiologiche, controllate dal sistema nervoso autonomo), e psichico.
Le reazioni fisiologiche a una situazione emozionante investono le funzioni vegetative
come la circolazione, la respirazione, la sudorazione e la digestione. Le reazioni espressive
riguardano la mimica facciale, gli atteggiamenti del corpo, le abituali forme di
comunicazione. Le reazioni psicologiche si manifestano con riduzione del controllo di sé,
difficoltà ad articolare logicamente azioni e riflessioni, diminuzione delle capacità di metodo
e di critica.
L’emozione è uno stato affettivo gradevole o penoso, causato da eventi imprevisti, esterni
o interni (rumori, bagliori, contatti, colpi, ricordi, immagini, concetti…), accompagnati da
reazioni somatiche talvolta vistose.» (da Bonvini-Civettini (a cura di), I processi psichici,
Scuola OSA di Riva del Garda, 1996).
Le emozioni sono quindi degli stati complessi, accompagnate da:
un’accresciuta percezione di un oggetto o di una situazione;
profonde modificazioni fisiologiche;
consapevolezza di attrazione o di repulsione cosciente;
condotta di avvicinamento o di allontanamento;
spinta all’azione o impulso più o meno forte a mettere in atto la condotta di
avvicinamento o allontanamento.
LE EMOZIONI FONDAMENTALI
Sono molte le parole utilizzate per esprimere le emozioni. La lingua inglese, ad esempio,
contiene almeno 400 vocaboli per indicare stati emotivi.
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In uno studio condotto da Shaver e collaboratori sono stati individuati 135 nomi di
emozioni, sottoposti in seguito a studenti di college con il compito di ordinarli in gruppi, di
classificarli.
Ne è risultato che sotto la categoria generale di emozione si potevano individuare sei
categorie di base:
amore
gioia
sorpresa
collera
tristezza
paura,
che vanno a definire le emozioni fondamentali.
Di queste, tre sono positive (amore, gioia e sorpresa) e tre negative (rabbia, tristezza e
paura). Sono state proposte varie classificazioni delle emozioni: interessante è quella
costruita da Plutchik e che può essere riassunta nel seguente schema:
Secondo questo autore le emozioni fondamentali o primarie sono otto e precisamente:
sorpresa, tristezza, disgusto, rabbia, attesa, gioia, accettazione e paura. Per facilitare la
comprensione le dispone all’interno di una ruota, in modo tale che di fronte ad ogni emozione
primaria sta il suo esatto contrario. Se prendiamo, ad esempio, in considerazione l’emozione
denominata gioia, troveremo di fronte il suo opposto, la tristezza, e così via per tutte le altre.
PAURA SORPRESA
TRISTEZZA ACCETTAZIONE
GIOIA
ATTESA RABBIA
DISGUSTO
SOGGEZIONE
DELUSIONE
RIMORSO
DISPREZZO
AGGRESSIVITA’
OTTIMISMO
AMORE
RISPETTO
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E le emozioni indicate all’esterno della ruota?
Spesso noi non proviamo le singole emozioni, ma degli stati affettivi più complessi.
Secondo l’autore, questi ultimi sono la combinazione, o meglio, la fusione di emozioni
primarie. Quelle indicate nella figura risultano essere la fusione di due emozioni primarie
vicine. Ne risulta, ad esempio, che il disprezzo nasce dall’unione di rabbia e disgusto, mentre
l’ottimismo dalla combinazione di attesa e gioia.
L’ESPRESSIONE DELLE EMOZIONI
Si è detto che ogni emozione è sempre connessa ad uno stato di eccitazione
dell’organismo. Tale stato ha immediato riscontro nelle modificazioni fisiologiche
dell’organismo, nelle risposte motorie, nell’espressione facciale, nel resoconto verbale e nei
fattori situazionali.
Vedremo ora brevemente tali manifestazioni dello stato emozionale, per essere poi in
grado di cogliere in noi e nelle persone che incontriamo quelli che possiamo definire come
indicatori di risposte emozionali.
RISPOSTE FISIOLOGICHE INTERNE. La caratteristica importante di una reazione
emotiva è la sua componente fisiologica. Molte delle emozioni – forse tutte – sono
associate a cambiamenti fisiologici. I cambiamenti più noti sono quelli che
accompagnano il sentimento della paura. Tutti abbiamo avuto qualche esperienza di
paura, vissuta più o meno intensamente a seconda dei casi: chi ha temuto di aver sentito
entrare qualcuno di notte in casa, chi ha dovuto rispondere ad una domanda difficile di
fronte a più persone, chi ha dovuto affrontare un esame importante… Ebbene, chi è
passato attraverso una di queste esperienze ha certamente sentito il cuore battere più
forte, le ginocchia tremare, le mani sudare, la bocca seccarsi. Responsabile delle
reazioni corporee a uno stimolo che mette paura è l’attività del sistema nervoso
simpatico, che agisce attraverso il rilascio di adrenalina. In particolare hanno luogo le
seguenti reazioni:
aumento del ritmo e della profondità della respirazione (molto più veloce e
superficiale);
aumento della frequenza cardiaca;
diminuzione del sangue diretto agli organi interni e aumento a quello diretto
ai muscoli;
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aumento dello zucchero nel sangue, ad opera del fegato, per fornire energia;
diminuzione della produzione di saliva
dilatazione delle pupille per una vista migliore
aumento della traspirazione.
L’effetto conclusivo di tutte queste modificazioni è preparare e mettere in grado
l’individuo di rispondere con la fuga o con la lotta allo stimolo che incute paura.
Le risposte fisiologiche che sottostanno alle emozioni, in quanto misurabili con
strumenti particolari, sono alla base ad esempio della nota macchina della verità: l’idea
che sostiene questo tipo di metodo è che la persona non sia in grado di mentire senza
vivere un’emozione forte, un disagio, rilevabile dall’apparecchio che misura, di solito,
la frequenza cardiaca, il ritmo respiratorio, la pressione sanguigna. Il metodo non è
però molto affidabile, perché è possibile per il soggetto o controllare l’emozione o
modificare volutamente alcuni indici misurati (alterazione volontaria del respiro anche
su domande neutre).
LE RISPOSTE MOTORIE. Sono numerose: ad esempio, una persona felice cammina
diritta, una addolorata procede afflosciata. Un improvviso rumore ci fa sobbalzare: la
testa si sposta in avanti, le palpebre si muovono velocemente, la bocca si può aprire, i
muscoli diventano tesi, le braccia e le gambe possono scattare. Questi movimenti
involontari sono strettamente collegati alle emozioni. Inoltre, quando uno è contento
batte le mani per la gioia; quando uno vince una gara alza le braccia e salta di gioia …
A differenza delle reazioni fisiologiche e motorie involontarie, queste ultime sono
apprese dall’ambiente culturale.
LE RISPOSTE FACCIALI. Quasi tutti gli studiosi sono concordi sull’affermare che
le espressioni facciali delle emozioni non siano apprese. Infatti i bambini ciechi sin
dalla nascita, e che quindi non possono aver mai veduto un volto umano, sono in grado
di sorridere o di accigliarsi come i bambini che non presentano questo handicap.
L’universalità delle espressioni facciali è stata confermata. Il volto, d’altronde,
costituisce la parte del corpo più importante sul piano espressivo e comunicativo: è il
canale privilegiato per esprimere emozioni.
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Esempio di espressioni facciali di emozioni fondamentali
RESOCONTO VERBALE. Le emozioni si possono raccontare. Noi possiamo
comunicare a chi ci sta vicino come stiamo, quale emozione predomina dentro di noi, se
siamo tristi, felici, angosciati, ansiosi, stupiti, ecc. Spesso, però, nel raccontare gli stati
emotivi si riscontra, nelle varie culture, all’interno della comunicazione che
accompagna la quotidianità della vita sociale, e quindi non nei testi poetici o letterari,
una certa stereotipia, delle frasi fatte, tipiche: “Quanto sono felice! Che gioia!”. Questo
fenomeno sembra indicare una difficoltà nell’esprimere verbalmente le emozioni.
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LABORATORIO DELLE EMOZIONI
Ad ogni studente è stato chiesto di presentare alla classe del materiale in grado di suscitare
emozioni. Dall’analisi effettuata in aula sono emerse le seguenti osservazioni:
Sono molte le situazioni che possono suscitare emozioni. E’ stata presentata, infatti,
una grande varietà di materiali: da poesie, brani di musica classica, moderna, etnica,
ad immagini pubblicitarie, fotografie di paesaggi, fotografie di persone conosciute o
sconosciute, a preghiere, stralci di diari personali, dediche ….
Non sempre - anzi quasi mai - una stessa situazione provoca identiche emozioni in
tutte le persone. Un brano di musica che per molti rappresenta una situazione di
tranquillità e serenità, per altri può costituire una fonte di angoscia. A volte, la stessa
persona di fronte ad una canzone o ad una foto o ad una persona può vivere emozioni
anche contrastanti in fasi diverse della propria vita. La canzone che ricorda l’incontro
con la persona amata può diventare fonte di rabbia dopo un abbandono o fonte di
dolore se la persona dovesse venire a mancare. Anche nelle emozioni è presente una
elaborazione da parte della persona. Un antico filosofo notava già nell’antichità come
l’uomo non è colpito solo dall’evento in sé, ma anche dal modo in cui quell’evento
viene vissuto. Il significato emotivo degli eventi dipende dal fatto di ritenerli piacevoli
o spiacevoli e dal modo con cui si collegano alla vita di ognuno.
Più le emozione sono legate a fatti personali della vita di un individuo, più il metterle
in comune con altri richiede un clima di ascolto e di comprensione. Nel momento in
cui una persona desidera condividere con altri situazioni, ricordi, pensieri, desideri
particolarmente significativi, chiede in risposta un silenzio accogliente, facilitante e
libero da ogni possibile derisione.
La risposta emozione quindi si propaga in noi prima che sappiamo che cosa stia
succedendo: spesso sono impressioni e giudizi intuitivi, che per la loro immediatezza
possono risultare erronei.
Alcune emozioni più complesse, come la vergogna, il senso di colpa, il timore,
possono seguire una strada più lenta e sopravvenire a seguito dei pensieri della mente
razionale (forse mi sono comportato male, non ho studiato abbastanza..)
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Pensieri positivi e ricordi felici possono provocare in noi emozioni positive, mentre
pensieri negativi e ricordi spiacevoli possono evocare emozioni sgradevoli (il
bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto).
La mente razionale ragiona in base alle prove oggettive. La mente emozionale, invece,
considera le proprie convinzioni assolutamente vere e perciò sottovaluta ogni prova contraria.
Per questo è così difficile ragionare con chi è emotivamente turbato: quale che sia la saldezza
del vostro argomento da un punto di vista logico, non ha rilevanza se si scontra con la
convinzione emozionale del momento. I sentimenti si autogiustificano con un insieme di
percezioni e di prove tutte loro.
Quando un qualche aspetto di fatto appare simile ad un ricordo del passato dotato di forte
carica emotiva, la mente emozionale reagisce provocando i sentimenti che si
accompagnavano all’evento ricordato. La mente emozionale reagisce al presente come se
fosse il passato.
LA COMPRENSIONE EMPATICA
“Per empatia si intende la capacità di entrare nei panni dell’altro cognitivamente ed
emotivamente, senza contagio emotivo” (Brunialti, Formazione psicologica e relazione di
aiuto, p.71), è la capacità di mettersi accanto all’altro, sapendo cogliere e accogliere in sé i
sentimenti e i vissuti che la persona sta vivendo in quel momento.
Non è vivere lo stesso sentimento, né prendere su di sé il carico emotivo: è riconoscere il
sentimento che la persona prova, essere consapevoli che ha una sua origine e un suo
significato, e di conseguenza sapersi accostare e, usando una metafora, fare un tratto di strada
assieme, assecondando il passo, la fatica o l’esultanza: non tutta la strada, ma un tratto; non
uno dentro l’altro, in una con-fusione (nel senso anche di fusi assieme) di sentimenti e vissuti,
ma uno accanto all’altro.
E’ sapere dove l’altro si trova e con quale vissuto, per potergli andare incontro e aiutarlo,
con tutto il rispetto, la delicatezza e la fermezza che sono necessari.
L’empatia si compone di due elementi:
una rappresentazione cognitiva: l’altro cosa pensa? Cosa prova? Cosa si può fare? Come
vi si può rispondere? È assumere la prospettiva e il ruolo dell’altro, il suo modo di vedere
e considerare la situazione;
una disponibilità emotiva, che permette di entrare in contatto con il vissuto emotivo,
continuando però a mantenere con chiarezza il proprio ruolo, la propria identità, le proprie
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emozioni, sentimenti e pensieri, riconoscendoli come altro, come separati da tutto ciò che
accade alla persona da assistere.
Quindi l’empatia implica il mantenimento dell’oggettività necessaria per osservare,
analizzare e gestire la situazione senza farsi travolgere dalle emozioni.
Al contrario la simpatia non implica il mantenimento della propria oggettività, l’idea di
simpatia implica un certo grado di reciprocità o comunanza di sentimenti che non si ritrova
nella comprensione empatica.
Per riuscire a comprendere le emozioni altrui è necessaria una buona capacità di cogliere,
comprendere e definire le proprie emozioni, è difficile dare un nome ai vissuti dell’altro se
non sappiamo darlo nemmeno ai nostri, tenendo presente però quanto appreso nelle
precedenti pagine sulle emozioni.
E’ fondamentale che l’OSS sappia entrare in empatia e comprendere le emozioni
dell’assistito per:
saper cogliere le emozioni dell’altro e quindi comprenderne i vissuti e individuarne i
bisogni
decodificare il feed-back, comprendere degli effetti del suo operato sullo stato di
benessere dell’assistito
creare un rapporto di fiducia, di comprensione ed ascolto
relazionarsi in modo appropriato con i familiari dell’assistito
relazionarsi in modo appropriato con i colleghi
E’ fondamentale che l’OSS sappia entrare in contatto con le proprie emozioni per:
decodificare le emozioni dell’altro
comprendere le proprie emozioni e sapersene opportunamente difendere
individuare emozioni causate da eccessivo coinvolgimento o da situazioni di transfert o
controtransert
cogliere i primi segni di burn-out
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DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
Definizione di emozione. Cosa sono le emozioni (varie componenti)?
Quali sono le emozioni fondamentali?
Come si esprimono le emozioni?
Perché e importante che l’OSS sappia entrare in contatto con le proprie emozioni?
Che cosa si intende per empatia?
Perché è importante la comprensione empatica della persona da assistere?
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CAPITOLO 4
LA COMUNICAZIONE
Per comportamento si intende qualsiasi attività scelta da una persona che può essere
osservata da un’altra persona, direttamente o attraverso degli strumenti. Poiché qualsiasi tipo
di rapporto, o di relazione che si instaura tra due o più persone non può esistere senza
comunicazione significa che ogni comportamento rappresenta anche una comunicazione.
DEFINIZIONE
Comunicare vuol dire mettersi in relazione; pertanto la comunicazione può essere
definita come il “veicolo” della relazione tra le persone. La comunicazione è un processo
mediante il quale vengono trasmessi messaggi da un soggetto ad altri, rappresenta un qualsiasi
passaggio di informazione per mezzo di messaggi, che si verifica all’interno di un sistema o
contesto, utilizzando un codice.
Contesto
Modello di comunicazione, con rappresentazione dei vari fattori.
FATTORI CHE COSTITUISCONO LA COMUNICAZIONE
1. L’emittente: è il soggetto da cui parte e inizia il processo comunicativo. È la persona che
sta parlando, che vuole dire qualcosa a qualcuno, che vuole esprimere un suo bisogno o
fare una richiesta
2. Il destinatario o ricevente: il soggetto a cui arriva il messaggio. Da parte del ricevente si
rende necessario l’ascolto, cioè la capacità e l’intenzione di registrare e decodificare il
messaggio che sta ricevendo: ciò implica un impegno di attenzione, di concentrazione e di
memoria, elementi rilevanti a seconda delle diverse situazioni.
messaggio
Emittente Canale/Codice Destinatario
feedback
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3. Il canale: è il mezzo, conosciuto e condiviso, attraverso il quale, nella maniera e con le
modalità più opportune, è possibile trasmettere un messaggio tra due soggetti. Se la
comunicazione avviene a livello verbale il canale è costituito dalla voce; se a livello visivo
il canale è costituito da immagini, ecc.
4. Il codice: è una convenzione, un sistema al quale le persone che comunicano fanno
riferimento, una regola condivisa. Nella comunicazione verbale il codice è dato dalle
parole; nella comunicazione gestuale dai gesti.
5. Il messaggio: rappresenta ciò che l’emittente intende comunicare al destinatario attraverso
l’uso di un codice e di un canale appropriato.
Caratteristiche:
il messaggio rappresenta il contenuto della comunicazione;
il messaggio sarà tanto meglio trasmesso quanto migliore sarà il canale/codice
utilizzato.
Il messaggio di ritorno o feedback è la risposta al messaggio iniziale. Può essere espressa
con le parole, ma anche con la gestualità
6. Il contesto: è il luogo, il posto, lo spazio dove avviene la comunicazione. Inteso non solo
come luogo fisico, ma anche come cornice (costituita anche da regole, significati, fattori
culturali) all’interno della quale si sviluppa la comunicazione stessa. Può essere favorente
o disturbante una comunicazione. Il contesto può, per esempio, essere casuale, spontaneo,
amichevole, professionale, terapeutico: tali differenze condizionano la comunicazione e la
relazione tra i soggetti.
Il processo della comunicazione inizia quando l’emittente formula un messaggio, lo
trasforma secondo un codice scelto e lo emette. L’emissione è possibile quando esiste un
canale attraverso il quale passa la trasmissione, che viene raccolta dal ricevente.
Il processo della comunicazione non è lineare, ma dinamico e circolare, in quanto sono
importanti ed essenziali gli apporti di tutti partecipanti, attraverso canali e strumenti
appropriati al ruolo di ciascuno.
Il messaggio e il modo in cui viene mandato dall’emittente verrà modificato e
influenzato dalla situazione psichica e fisica di chi riceve il messaggio. Certi pregiudizi, ad
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esempio, che si possono avere su chi ci manda la comunicazione, ostacolano la corretta
decodificazione.
Due o più persone che comunicano rappresentano un momento di contatto tra due
strutture mentali, due differenti personalità con propri schemi, preconcetti e opinioni, che si
traducono poi in atteggiamenti, comportamenti e azioni.
GLI ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE
Dopo aver definito la struttura della comunicazione è ora possibile prendere in
considerazione le modalità e le proprietà della comunicazione. In base alla teorizzazione
di P. Watzlawick, si possono individuare cinque regole fondamentali, dette assiomi della
comunicazione.
PRIMO ASSIOMA
NON SI PUÒ NON COMUNICARE
Il comportamento per definizione non ha il suo opposto. In effetti, l’attività e
l’inattività, le parole e i silenzi, hanno in ogni caso un valore di messaggio.
Il non–comportamento viene comunque ad essere una precisa forma di comportamento:
“non mi sono comportato bene” equivale a “mi sono comportato male”.
Es.: nella sala di aspetto del dentista capita di incontrare persone che pur non parlando
tradiscono il loro nervosismo e la loro paura, anche se cercano di darsi un contegno,
muovendo una gamba continuamente o tenendo in mano un giornale … a rovescio. In questo
caso il messaggio è chiaro: “Aiuto!”.
Es.: un operatore entra nella stanza di un paziente: il modo con cui saluterà, si muoverà
o starà in silenzio, l’espressione del suo viso saranno tutti comportamenti ai quali il paziente
attribuirà una valenza comunicativa.
Ogni azione dell’operatore e reazione dell’utente implicheranno una comunicazione.
È considerata sana ogni comunicazione chiara, dove l’accettazione o il rifiuto sono
espressi in modo esplicito e condiviso. Per esempio, al paziente che chiede di alzarsi dal letto
si può rispondere accontentandolo oppure dicendogli di no.
È considerata patologica la comunicazione che risulta ambigua, quella in cui viene
inviato un messaggio non chiaro, confuso: si dice una cosa senza dirla veramente, si nega
senza negare realmente, non si è d’accordo senza dichiararlo veramente. Al paziente che
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chiede di alzarsi dal letto, invece che negare direttamente, si risponde con un “dopo” nella
speranza che la richiesta venga a cadere o venga risolta da altri.
II° ASSIOMA
OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO ED UN ASPETTO
DI RELAZIONE; IL SECONDO QUALIFICA IL PRIMO ED E’ QUINDI
METACOMUNICAZIONE
In ogni comunicazione interpersonale si hanno molti livelli di informazione: uno di
questi si riferisce alla relazione all’interno della quale la comunicazione si sviluppa. L’aspetto
di contenuto trasmette i dati della comunicazione, l’aspetto di relazione il modo in cui si deve
assumere questa comunicazione. Quindi metacomunicazione significa comunicazione sul
senso, sul valore e sul significato della comunicazione stessa.
Ad es. la frase “Verrò da te domani” può avere valore di promessa, di avvertimento, di
minaccia, di semplice affermazione.
La relazione che si stabilisce comunicando, “spiega”, di fatto, “classifica”, cioè la
comunicazione stessa. È il significato della frase che va oltre le parole.
Es.: un operatore chiede a un ospite come si sente. Egli risponde “bene”, ma non alza lo
sguardo, si gira nel letto nella direzione opposta e dopo pochi istanti l’operatore lo vede con il
viso contratto, sofferente, e che con le mani si tiene stretto lo stomaco.
.Ma l’operatore stesso può rivolgere la domanda esprimendo interesse con lo sguardo e
avvicinandosi al paziente oppure accompagnando le stesse parole con un atteggiamento
frettoloso, evitando lo sguardo e mantenendosi a distanza. La domanda è uguale nel suo
contenuto, ma al paziente arriveranno due proposte di relazione diverse, opposte: di vicinanza
o di rifiuto. E il paziente potrà rispondere analogamente sia al contenuto, sia alla proposta di
relazione: confermandola, rifiutandola, oppure disconfermandola (la disconferma è una
comunicazione che nega l’esistenza dell’altro “tu non esisti”)
Accordarsi sull’aspetto di relazione è necessario per stabilire un rapporto di reciproca
collaborazione.
È considerata sana ogni comunicazione in cui esiste coerenza tra aspetto di contenuto e
aspetto di relazione; è considerata patologica la comunicazione in cui i due aspetti risultino
incongruenti, come nell’esempio di cui sopra in cui il paziente rispondeva “bene”, pur
mostrando dei comportamenti non in linea con quanto affermato
L’operatore, che è a stretto contatto con l’ospite, ha la necessità di filtrare i messaggi
che gli sono inviati, al fine di coglierne i reali contenuti.
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Inoltre deve essere in grado di valutare le metacomunicazioni da lui stesso
utilizzate trovandosi a contatto con un ospite.
Es.: un ospite fa una richiesta ad un operatore. Questo risponde che provvederà subito, ma,
mentre si reca a soddisfare tale bisogno, brontola e si lamenta per quest’incombenza.
Un altro esempio di comunicazione patologica, che spesso viene messa in atto dagli operatori
e che può trasmettere un messaggio di disconferma, è quando durante gli interventi
assistenziali gli operatori non riconoscono il paziente sia come destinatario sia come emittente
di possibili comunicazioni. Accade tutte le volte che gli operatori, ad esempio durante una
spugnatura a letto, parlano tra di loro delle proprie preoccupazioni o progetti, senza rivolgere
la parola al paziente, che ascolta e tace. Alla prestazione assistenziale (contenuto) si
accompagna una metacomunicazione basata sul mancato riconoscimento dell’altro (“tu non
esisti”)
III° ASSIOMA
LA NATURA DI UNA RELAZIONE DIPENDE DALLA PUNTEGGIATURA
DELLE SEQUENZE DI COMUNICAZIONE TRA COMUNICANTI
Il terzo assioma introduce un concetto importante che potremmo semplificare affermando che
la relazione tra due persone dipende dal punto di vista che ciascuna di esse assume nei
confronti dell’altra e della relazione stessa. Qualunque cosa accada tra le due persone,
entrambe leggeranno parole e comportamenti in base al proprio punto di vista, individuando
cause ed effetti, interpretazioni e contenuti, sulla base di soggettive spiegazioni. Se la
spiegazione data da entrambe le persone coincide, ci troviamo in una situazione di accordo,
altrimenti entriamo in una situazione di disaccordo, fonte di equivoci e a volte conflittuale.
«Consideriamo il seguente esempio:
1. Un operatore è in ritardo e deve occuparsi della pulizia personale di molti pazienti, è
teso e brusco nei movimenti.
2. Il paziente pensa che sia arrabbiato con lui, si sente bloccato da questo e rallenta i suoi
movimenti.
3. L’operatore nota il rallentamento del paziente e si arrabbia pensando che non voglia
collaborare. Il paziente si sente vittima di un’ingiustizia.
Se si chiedesse ad entrambi di raccontare l’accaduto, probabilmente ci si troverebbe davanti a
due spiegazioni completamente diverse:
Punteggiatura dell’operatore: “Mi sono arrabbiato per la mancanza di collaborazione
del paziente” cioè “È stato a causa della sua mancanza di collaborazione che mi sono
arrabbiato”.
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Punteggiatura del paziente: “Senza che facessi niente l’operatore si è arrabbiato con
me allora mi sono bloccato”, cioè “Il mio rallentamento è stato causato dal
comportamento dell’operatore”.» (tratto da Cuel M., Cosi A., La formazione sanitaria
dell’OSS, ed. Cea, pag 107)
In base a questo assioma possiamo riconoscere una comunicazione sana quando la
comunicazione è caratterizzata da una certa flessibilità ed elasticità nella punteggiatura, cioè
dalla capacità di mettersi nei panni dell’altro e di considerare la realtà anche dal punto di vista
dell’altro (comprensione empatica). È patologica tutte le volte che assolutizziamo il nostro
punto di vista, convinti che la realtà relazionale sia solo come noi l’abbiamo vista e percepita.
IV° ASSIOMA
COMUNICHIAMO CON LE PAROLE E CON I GESTI
ovvero sia: LA COMUNICAZIONE HA DUE CANALI:
IL CANALE VERBALE E IL CANALE NON VERBALE
È ormai ampiamente riconosciuto il significativo ruolo della comunicazione non-
verbale, cioè la comunicazione che non passa attraverso le parole ma attraverso i gesti, gli
sguardi, la mimica, la postura, la distanza o la vicinanza dall’altro. Questi aspetti hanno
un’enorme importanza perché vengono colti e compresi a livello istintivo, subconscio. È
infatti questa la forma di comunicazione più immediata e legata alla nostra evoluzione.
Il neonato comunica solo attraverso messaggi non verbali e i genitori sviluppano una
particolare sensibilità per ascoltare e interpretare questi messaggi. Crescendo, veniamo
stimolati ad utilizzare in modo sempre più approfondito e corretto il linguaggio delle parole.
Il canale non verbale – detto anche analogico – è quindi un canale molto legato
all’istinto, alla spontaneità. Esso è sempre attivo: è proprio per la sua presenza che non si può
non comunicare.
Per linguaggio analogico intendiamo un’insieme di elementi che comprendono:
Il comportamento motorio: la gestualità, il modo di camminare, come ci si siede, i cenni
del capo (ad esempio come incoraggiamento a parlare, come assenso o
disapprovazione)… Molto significativo è il movimento delle mani, soprattutto nel
comunicare l’ansia e lo stress: stringere i pugni, mangiarsi le unghie, toccarsi i capelli,
stringere i vestiti, giocare con una penna,…. .
Contatto fisico: accarezzare, stringere, sfiorare, baciare, picchiare, massaggiare,…
Pensiamo a tutti i gesti di cura, a quel contatto che può essere e diventare terapeutico.
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Distanza fisica: la distanza spaziale corrisponde in genere alla distanza psicologica,
sociale, affettiva ed emotiva che ci separa dall’altro. La cultura influisce molto sulla
distanza che naturalmente poniamo nelle diverse relazioni. Si riconosce come intima la
distanza tra due persone quando è inferiore di 45 centimetri e caratterizza scambi
comunicativi molto intensi. Pensiamo che la maggior parte delle attività assistenziali
messe in atto dagli operatori si colloca a questo livello. Si riconosce come personale la
distanza che caratterizza la comunicazione verbale (più o meno la lunghezza del braccio).
La distanza sociale è quella che si colloca tra 120-210 cm, dove viene meno la possibilità
di un contatto fisico. Se usata dall’operatore con i pazienti dimostra un atteggiamento
difensivo.
Orientamento: faccia a faccia e può indicare una situazione di corteggiamento o di
aggressività, fianco a fianco, può indicare alleanza, orientamento angolare è indicativo di
una relazione amichevole.
Postura: eretta, rannicchiata, distesa, rilassata, legate agli stati d’animo o alle convenzioni
sociali.
Sguardo: la direzione (verso l’alto, verso il basso, oltre l’altro), la durata nel sostenere lo
sguardo dell’altro, l’evitamento o la ricerca dello sguardo dell’altro…
Mimica del volto, come già visto nel capitolo sulle emozioni.
Aspetto esteriore: la conformazione fisica, la cura di sé, l’abbigliamento, l’acconciatura
dei capelli, il trucco,…. .
Paralinguaggio: gli aspetti non linguistici delle parole: le inflessioni della voce, il tono, il
ritmo e la velocità con cui si parla, le pause, i sbadigli, i sospiri, il riso, il pianto, le
vocalizzazioni,… .
I due canali comunicativi, quando sono contemporaneamente presenti, dovrebbero
coincidere per dare luogo ad una comunicazione sana: in presenza di incongruenza, la
comunicazione si intende patologica e si tende a dare più fiducia al messaggio che riceviamo
dal canale non verbale.
V° ASSIOMA
TUTTI GLI SCAMBI DI COMUNICAZIONE
SONO SIMMETRICI O COMPLEMENTARI A SECONDA CHE
SIANO BASATI SULL’UGUAGLIANZA O SULLA DIFFERENZA
Osservando le sequenze di interazione ci si accorge che le relazioni si definiscono in
due modi fondamentali: secondo il modello simmetrico o secondo il modello complementare.
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Il modello simmetrico si basa sulla parità e reciprocità come le relazioni amicali, mentre
quello complementare si basa sulla differenza, sulla disparità dei ruoli, come nel rapporto tra
operatore ed utente. Ma all’interno di entrambe le tipologie di relazione si possono
individuare e attuare scambi basati sul modello simmetrico e scambi basati sul modello
complementare.
Nel modello simmetrico le persone cercano di mantenere l’uguaglianza scambiandosi lo
stesso tipo di comportamento: se ad esempio l’utente alza la voce, l’operatore risponde
alzando a propria volta il tono di voce, in un escalation che può ad esempio portare ad un
inasprirsi della conflittualità. Oppure al silenzio dell’utente, l’operatore risponde con il
silenzio. Il modello complementare invece si basa sull’accettazione della differenza: i
comportamenti sono complementari. L’operatore si prende cura, e l’utente accetta di essere
curato. Se lo stile comunicativo assume un carattere impositivo, si rischia che le differenze
vengano accentuate ma nell’ordine della dominanza di uno nei confronti dell’altro.
In base a quanto spiegato, emerge come la comunicazione sia sana quando gli scambi
simmetrici si alternano con quelli complementari in base alle necessità, alle circostanze, alle
attitudini, mentre è patologica se lo stile è rigido e caratterizzato da una escalation e
competitività.
I COMPORTAMENTI BARRIERA NELLA COMUNICAZIONE
Le barriere sono comportamenti verbali e non verbali che bloccano la libera espressione
e che non permettono l’ascolto attivo.
1. Dare ordini, comandare, dirigere. “Tu devi!” “Bisogna che tu” “Tu farai” Possono
produrre timore o resistenza attiva, sollecitano comportamenti ribelli o ritorsioni.
2. Minacciare, ammonire, mettere in guardia. “Se non fai così…” “E’ meglio per
te…altrimenti…” Possono produrre sottomissione e paura. Suscitano rabbia,
risentimento, ribellione,..
3. Moralizzare, far prediche. “Tu dovresti…” “Sarebbe opportuno…” “Sta al tuo senso
di responsabilità” Possono produrre sensi di colpa, comunicano una mancanza di
fiducia nel senso di responsabilità dell’altro, possono portare l’altro a radicarsi sulle
proprie posizioni.
4. Offrire soluzioni, consigli, avvertimenti. “Quello che farei io al tuo posto…”
“Perché tu non…” “Consentimi di darti un suggerimento” Possono impedire all’altro
di riflettere lui stesso sul suo problema, possono provocare dipendenza o resistenza.
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5. Argomentare, persuadere con la logica. “Ecco perché tu sbagli…” “In realtà le cose
stanno così…” “Sì, perché…” Sollecitano posizioni difensive e contro
argomentazioni. Spesso portano l’altro a tirarsi indietro e a non ascoltare, possono
produrre nell’altro senso di inferiorità o inadeguatezza.
6. Giudicare, criticare, biasimare. “Tu non pensi come una persona matura…”
Insinuano una valutazione di incompetenza, stupidità, povertà di giudizio.
Interrompono la comunicazione con l’altro che teme un giudizio negativo o un
rimprovero.
7. Fare apprezzamenti, manifestare compiacimento. “Hai fatto un ottimo lavoro,…sei
il migliore” “Se voi foste tutti come…” Possono produrre ansia di prestazione e carica
di aspettative che l’altro non sempre può sostenere.
8. Ridicolizzare, etichettare, usare frasi fatte. “Piagnone” “Va bene, bravo,
furbacchione” Possono far sentire l’altro svalutato. Possono avere effetti negativi
sull’immagine di sé della persona, spesso provocano rappresaglie verbali.
9. Interpretare, analizzare, diagnosticare. “Ciò che non va con te è che…” “Tu sei
semplicemente stanco…” “Tu in realtà non vuoi dire questo ma…” Possono essere
percepiti come minacciosi e frustranti, l’altro può sentirsi contemporaneamente
intrappolato, scoperto o non compreso.
10. Rassicurare, consolare. “Non aver paura” “Vedrai, ti andrà meglio” “Su, fatti
coraggio”. Portano l’altro a sentirsi incompreso, suscitano forti sentimenti di ostilità,
possono pensare che non venga accettata la condizione di difficoltà in cui l’altro
oggettivamente si trova.
11. Indagare, investigare. “Perché…” “Ma cosa hai fatto…” “Come…” . Possono
produrre ansia, perché l’altro si sente impegnato a rispondere alle domande indagative
e questo fatto può portare a far perdere di vista il suo problema.
12. Cambiare argomento, minimizzare, ironizzare. “Parliamo piuttosto di cose
piacevoli…” “Perché non provi a farti un giretto” Possono suggerire l’evitamento
delle difficoltà o l’attribuzione di scarsa importanza. L’altro si sente scoraggiato ad
aprirsi e a confidarsi.
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L’ASCOLTO ATTIVO
L’ascolto attivo è un modo particolare di riflettere su quello che l’altra persona ha detto,
per lasciarle capire che state ascoltando e per verificare se avete veramente compreso il
significato del suo messaggio, sia nelle parole che nelle sensazioni ad esso associate.
Permette a chi esprime un messaggio di sentirsi compreso, ma non giudicato. Favorisce
l’acquisizione di fiducia in se stessi, riducendo la possibilità di malintesi e creando un clima
di comprensione reciproca.
Nella seguente tabella vengono riassunte le principali tecniche di ascolto attivo.
TECNICA OBIETTIVI PROCEDIMENTO ESEMPI
Mostrare
interesse
Comunicare interesse
Facilitare chi parla
Non essere in accordo o
in disaccordo
Utilizzare parole neutre
Silenzio, contatto oculare,
“Mhm Mhm…”
“Ti ascolto…”
“Capisco…”
Esplorare
Chiarire il racconto,
ottenere maggiori
informazioni.
Aiutare a vedere altri
punti di vista
Fare domande.
Chiedere che venga
chiarito ciò che non si è
inteso
“Da quanto tempo?”
“Dove?”
“Puoi ripetermi quello
che…”
Parafrasare
Dimostrare che si è
comprende quanto
accaduto. Verificarne
il significato
Ripetere le idee e i fatti
di fondo
“Mi pare che questa sia la
fotografia della situazione
che mi hai descritto…”
Riflettere
Aiutare l’altra persona
ad essere più
consapevole di ciò che
sente
Mostrare che se ne
comprendono i
sentimenti
Riflettere i sentimenti
di chi parla
(fare da specchio)
“Hai provato un
sentimento di…?”
Riassumere
Registrare il percorso
fatto.
Fissare i fatti e le idee
più significative
Ripetere i fatti e le idee
principali
“Provo a riassumere quello
che ho capito del
problema…”
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DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO
Definizione di comunicazione.
Quali sono gli elementi della comunicazione?
Descrivi i cinque assiomi della comunicazione e cerca di fare alcuni esempi concreti.
Definizione di comunicazione verbale e non verbale. Perché è importante la
comunicazione non verbale nella relazione di assistenza?
Quali sono i requisiti per una comunicazione sana ed efficace?
Quali sono le principali barriere alla comunicazione?
Che cosa si intende per ascolto attivo?
Quali sono gli strumenti per offrire un ascolto attivo?
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BIBLIOGRAFIA
BATTISTELLI A., MAJER V., ODOARDI C., La motivazione nella formazione degli
adulti. Risorsa Uomo - Rivista di Psicologia del Lavoro e dell'Organizzazione" n° 2 del
1993
BATTISTI P., Le emozioni, Corso per Operatore Socio Sanitario di Borgo, Opera Armida
Barelli, 2003
BRUNIALTI C., Formazione psicologica e relazione di aiuto. Riflessioni per il
volontariato Avulss. Collana Quaderni AVULSS n 35, Ed Oari, 1999
BRUSSOLO F., Il lato umano dell’azienda. Motivazione e rapporto individuo – azienda.
Materiale didattico del Master per Consulenti d’Eccellenza nei Servizi per Anziani
(Scuola per le professioni Sociali di Bolzano, in collaborazione con Sinergia - Milano)
CUEL M., COSI A., La formazione sanitaria dell’OSS. Ed. CEA – 2006
CORNOLDI C., Psicologia generale, Ed. Il Mulino
DE CARLI S., La motivazione nel lavoro con l’anziano. Alle origine della scelta
professionale dell’Operatore Socio Sanitari, Tesi finale al Master per Consulenti
d’Eccellenza nei Servizi per Anziani (Scuola per le professioni Sociali di Bolzano, in
collaborazione con Sinergia - Milano)
LONGONI, PERUCCI, Noi ci siamo, Editrice Ambrosiana
MASLOW A.H., Motivazione e Personalità, Armando Editore, Roma, 1973.
SANT’AGOSTINO, Le confessioni, BUR, Milano 1980
M. VISENTIN, Comunicare. Manuale teorico-pratico, Cleup, 2003
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INDICE
Capitolo 1. La psicologia ………………………………………………. pag. 02
Introduzione ………………………………………………………………………… pag. 02
Definizioni ………………………………………………………………….. pag. 05
Conclusioni …………………………………………………………...…………….. pag. 07
Domande guida allo studio ………………………………………….…………….... pag. 07
Capitolo 2. La motivazione alla professione ………………………… pag. 08
Brevi riferimenti teorici …………………………………………………………….. pag. 08
La teoria gerarchico-sequenziale di Maslow ………………………….……………. pag. 09
I fattori motivanti: la ricerca di Herzberg …………………………….…………….. pag. 09
Da casualità a scelta …………………………………………………..…………….. pag. 13
I rischi da conoscere …………………………………………………..……………. pag. 14
Domande guida allo studio …………………………………………....……………. pag. 17
Capitolo 3. Le emozioni ……………………………………………….. pag. 18
Definizione …………………………………………………………...…………….. pag. 18
Le emozioni fondamentali ………………………………………………………….. pag. 19
L’espressione delle emozioni ………………………………………...…………….. pag. 20
Laboratorio delle emozioni …………………………………………..……………... pag. 21
La comprensione empatica …………………………………………………………. pag. 22
Domande guida allo studio …………………………………………………………. pag. 26
Capitolo 4. La comunicazione ……………………………………….. pag. 27
Definizione …………………………………………………………...…………….. pag. 27
I fattori che costituiscono la comunicazione ……………………………………….. pag. 27
Gli assiomi della comunicazione ..…………………………………...…………….. pag. 29
I comportamenti barriera nella comunicazione ……………………..……………... pag. 35
L’ascolto attivo ………….…………………………………………………………. pag. 36
Domande guida allo studio …………………………………………………………. pag. 37
Bibliografia …………………………………………………………….. pag. 38