CHRISTABEL Alessandro Canzian -...

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CHRISTABEL

Alessandro Canzian

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Eppure siamo cambiati.Nei lontani, orizzonti sparsidei tuoi capelli, nell’Ashleyche t’esplora ma non mutase non assente, nell’appariree disparire d’un istanteirreversibile –qui ti scavanoi capelli l’evangelicafronte-. Perché?Mutatis mutandis si dice,e che lo spirito sia prontoma la carne è debole.E altra umanità, altra giustizia,altro amore, altro Dio.Ma poi, che vogliono dire?

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CHRISTABEL

Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,contactum nullis ante Cupidinibus.

April si the cruellest month, breedingLilacs out of the dead land, mixing

Memory and desire, stirringDull roots with spring rain.

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Cadono di serastelle. E stagionisfrondano a baciareparole innamorate:due anime, un giardinoe fondono sussurri.Notte di Lorenzo.E poeta sta pensandoall’autunno in cui cadrannosorrisi abbandonati,fiori rovinati,sensi mai sedati.Ma modiglianica,lei! Avvinghiarsimelodico di ombre,très joli adagiarsid’echi scemanti, squisiti,e un vicino pianoforte.

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Cullami, oh, cullamitenue moto d’anima,semplice tristezza,dove, dove siedepace del mio essere?Ridendo come un giornoche lievemente s’apprestaa cadere, vado,e vedo bene la mia sorte.Quanto vicino è il destino!E quanto vicina è la speranza!ansiosa di carezze,e sguardi innamorati,e pelle liscia, bianca,e morbida ai miei baci.

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Déshabillé d’una rosa,rosa raccolta,rosa racchiusanel bicchiere imbevutod’azzurro, petalodi corpo sui mieidesideri,disanimate stille d’amore.

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Notte insonne.Non piove, nonodo lampi rotolare, nonodo stormire di foglie, solosolletico sul volto, troppolunghi i tuoi capelli, solofohn su una mia spalla, soloimpercettibile e sognatotuo fiato.Che esista, in qualche luogo,pace?

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Stralcio di murosparso nel cielo, pareinfinita tristezza.E nuvole appoggiatea un improbabile agosto,aria nauseante al respiro.Tu, spoglia d’ogni veste,stesa, aggrappata,permeata corpo e animada un altro, sei follegelosia d’uominipassati.

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ANDRÈES

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Chiusa persiana,dietro una morta.“A par che al clame

ploia”.Strada e voci,ignare corone.

“Al funeral al èdoman”.Donna così buona!

tanta sofferenza.“Stamatina”Campana tocca,

rivo strozzato che,“Stamatina”.Ed è subito sera.

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In fuoco di stufaperdo lievitareesili memorie.

Zampilla! Zampilla!immagine viva.Dove? Non più.

Autunno o invernogelo raffermasangue pietoso.

Ma stufa non bastaa scaldare l’amorevite smarrite.

E fuori fantasmi,fuori fantasmi,vagano soli.

“È morta! È morta!la vecchia più vecchiaocchi e cielo d’Andrèes!”

Fra mani capelliimpoveriti e pensieri

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a ciocche sfinite.

Ma stufa non bastaa scaldare l’amorevite smarrite.

“È morta! È morta!la vecchia più vecchiaocchi e cielo d’Andrèes!”

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Guardando un gretodi fiume inquinatorivedo mio padre,

vicina mia madre,anime sfaldate.Rumore di passi

s’affloscia sul ventre,pallido ventre,sterile donna.

“Andiamo a cenare?”Abbandonato su un sassodi schiuma imbrunita

un verso, un ragno,e umori di uomo:“di mille secoli il silenzio”

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RIMANENZE

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Andorno è lontano.E viale vecchio e il portonedi zio, e la casacieca, odore di tumore,arida carta fortunatache zia non trovava.Anche Sirio è lontano, ma sai.

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Da macerie d’affettisfatti, ove né piantoné vita, cane guaisceumani sguardi, senza razza,vicolo inizia, dolorososorriso torna, ombra di uomo, ombra di padre.

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Ex illo felix non mihi nulla fuit.Imbruna foschia imbruna, e iocheto ansando spio, fuseaux, frisé,corvini aerei giochi, perfetti, perfettainarchi la schiena, gioisci. O nobilevelluto e suadente, affinante passare,o rose donate!

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Ah malata anima d’assenze,evanescenze, apatie,eco amara, solamenteanima, o ruggine di anima.

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Ferma davanti allo specchio,solare e nebbiosa al mattino,i capelli arruffati sul volto,maestosa, elegante se pur nudad’una nera intimitàche non svela, sorridi.E sorridi d’un pieno sorriso,bianco, raro, raro sorriso.

Sono sempre diverse le cose d’un tempo.Così la baita del tempo, lontano,non irrora più di sole.In corpo t’involgono paroletristi, di preziosa tristezza, preziosa,che ai neri filamenti di ciocche, evapora.

E non illumina il foglio stracciato,né scalda, andatoliquido entusiasmo.Rimane solo un pensiero, la sera,non detto, corpodeserto:

non ci è dato sapere quanto dura il tempo.

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DOLORI

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Suona dolore animastranita di ritistantii, bruni,su bruni corpi.E suona dolce animaanche,in crepe apertesiechi, sopiti.Silenzio sia preghieraoltre benee oltre male.Andare oltreandare oltre.Desiderio di purezza.Irreale città bruna.Stagioni che portanotuttotuttotutto.Amen.

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Solitudine d’assolo,riso amaro,figure camminano,rondine cadee libra,gatto s’accuccia.Giorno nottenebbia sole,pioggia aspersasignifica nulla.Vita, ora ti sodolore d’uomoe Dio,e loro solitudini.

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Aroma di rimpiantie ricordi,stanze occlused’errori,seta profumatain femminile essenzainquietata.Non so più.Perdere tuttoed essere uomo,o poeta,non so più.

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Nove di sera,sera di festaandreana.Falena s’appendea panca,forcina soppesaasfalto, svezzato,altra falena muorein danzee vampe lontane.Pioveràsul greto avvizzitod’animeammainate,ma che importa.

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Anni t’hanno resa donnain frange di capellisparpagliati,sparpagliati d’occhi,occhi di lotoin attesa d’un bacio,e non volendo.

Anni t’anno resa donnain tremore d’occhitroppo grandi,e troppo dolci,fino a un salutoappena accennato,“ciao”, per non dire altro.

Anni t’hanno resa donnain fondo, fra gioiee dolori,chiacchiere di gente,abbandoni non sempre consci.

Anni t’hanno resa donnacomunque,fra andare e venired’anni,

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comunque donna,ma così bella,comunque bella.

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CHRISTABEL

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Sole non bastaa illuminare finestredisappannate,stridore d’inerziain miseria di paroled’acidi infuseparole. E in tuttocoesistere dolore, altezzache dolore scomponenon svanendo, coabitaredi poeta con se stesso.Sole non basta.

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Ho sognato d’un baciotuo, è vero.Mangiarsi di labbrain posati giochi,morbido spirareangolo di bocca, sensuale,ho sognato d’un baciotuo, è vero.Arnesi cadutiin ombre e luci,collo disadornodi gioielli,casa in disordinee gelo d’estateva, ma troppo presto.

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Muoio ogni giorno un poco.E rosone arido di luceindora inutilmenteme, diradando nebbia,immagine vacua,sintesi d’ariaspezzata. Donna,boccale avido di bocca,terra arata di sensi,amante lacerata,sopore d’assenza,sei nell’assenza.

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E vuoi essere più bella.Ma dolce duna d’ombred’insabbiate incertezzeinanimate, già.Già lambisci di sguardimani socchiuse,sonno di cui amanteemanare oasi,carezze, non vedi.E schiudi le labbra al sonno.

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APRILE

e l’amore che non è alimentato, nutritodalla croce, non è vero amore; esso si

riduce a fuoco di paglia.

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D’affabili sguardiincapace, nuvolaio stesso, gravatodal peso d’un amoreche non apprendo.E chinoil mio capoal dolored’essere amato,che gravoso è il pesod’un amoretroppo innocente.A nonna Marina.

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Fredde tracce di maissparsesul campodi pioggiae lacrimeimpotentia esser piante.E bottiglie vuote a pregare.

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Aprile reinvocamalate esplosionid’amoree gioiein macchie di muroammuffito.Ma è in un ficussfinitoche trovome stesso.

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Mi fagocita il pensierod’essere uomo,pietra di fiumesmussata,o divina tensioneaddormentata.E spenti vanno fanalid’asfaltodove l’anima sa morirevileelemento di naturaartificiale.Ma a ogni morte si rinasceostinata luce,sia essa d’asfalto o di pietraia.

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Da Boobe’s bevie rivedila solitudineche ci pervadein differenti scaglie,che la vitaè aver setedi qualcosache non si può bere.A mio padre.

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Ho bisogno dell’albae dell’erbae di terrae di un uomoche camminamaleper vedereDionell’abbozzo d’un umano sorriso.A un collega.

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Devastante sorrisosul mio sorrisoaridodi squarcid’anima.E per un fiatodi memoriee tenerezzemi devastid’alberie fiorie sassie autospentedi me.A nonna Marina.

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CHRISTABEL

and first I put my arms around himyes and drew him down to me so he

could feel my breasts all perfume yes

extremo dormit amic<t>a toro.unum erit auxilium: mutatis Cynthia terris

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Qual mai sarà l’anno, il mese, qual giorno,o qual mai sarà il sensod’essere e non esserepolvere, e ago di pino caduto, e bocca di leone,e profumonel tuo profumo, di cose trascorse.Alcuno. Ma siamo, e tanto basti.

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Ci sarei passato accanto, volendo,alla casa mai baciata dal sole, abbandonatadall’odore del gattoe dal tuo, che t’assomigliain fondo, anima e corpo.Ma cos’è l’anima? E il corpo? Rimorsoche troppo spesso ci attanaglia.

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Siamo sempre, sempre soli.Noi, che d’infinitoabbiamo poco, grate di serpentie ciechi insetti, pozzi nericrollati ormai da tempo.E quel che ci rimanein frattaglie d’anima sparseè un figlio, che non sappiamocome né quantosopravviverà alla fatica d’essere vivo.

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La condensa, il desiderio, il vaporedelle cose state e che non sarannopiù, l’ombrad’un mobile a venire, un affanno, una dolcezzaquasi rubata.Ma è nell’eterno tormento dell’uomol’essere uomo, o poeta.

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Ho bisogno di sognarecon te, e su te,l’attimo esitante d’un incontrodi luziana memoriafra cielo e terra, alba e tramontoche nel divenire avvienestatica essenza, e l’inframezzoguardando l’altezza d’un ricordo.Ma è l’attesa l’inganno,il tutto già lo esprime.27 giugno 2001.

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La mia tristezzaè tristezza che vanifica il nullae il tutto, è proiezioned’una proiezionenuda e vuota, di se stessi, è stracciocon cui pulire –e hai pulito-ciò che è stato e non è stato, relativa ombradi ciò che siamo.28 giugno 2001.

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Come abbiamo fattonon sai, né quantoavremmo voluto durasseil modiglianico istante,la verità e la menzognache siamo, la solitudine, le sue stasi,la tua bocca nella mia bocca,i tuoi capelli nell’altezzad’un ricordo, e l’ingannoche nel tutto già ci esprime.30 giugno 2001.

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TESTI SPARSI

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Ti cercava la mano il guantobianco, bisogno soffocatod’umano, ciecod’una roca voce in sogno, che nel sognola vita appare manocalda, profumata, mano di donnache prende e non ti lascia.

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Ci accomuna l’impotenza, il gasoliodelle mani imperniatedal vuoto, il freddocamminare stranieroad Aviano, mi dici, al telefono.E nella voce impastatapresente, passato, futurodell’umana impotenzad’esserci d’aiuto, d’essere felici.

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QUASI UN’APPENDICE – DI NIENTE

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Ascoltami.L’amore è una bianca, leggera ferociad’essere felici, è l’iconadella foglia secca ai suoi piedinudi, è la sera, è la serradel capello che scostadalla sua bocca, screziata.Ascoltami.L’amore è una dolcefuriosa bocca,è uno sguardo di lupa,è un odore che si attende, cupo, nell’alba.

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Nella piscina dolorosail tuo cuore che batte,il “ti amo” lontano,la tua danza, corpo che flagrarabbia.E quanto vi è di dolcee inutile, disparesilenzioso istante.E aria. E acqua. Inutili.

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Cos’è il tempo, l’occasionedi credere in qualcosa?La vita è dolore, patema di scelte.Siamo incerti alle nostre ombre.E desideriamo. Inquietamente.Cos’è Dio? Il suo gioco inerte?Cosa siamo noi?

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Fermato alla luna, ho gridatoSaffo, Catullo,Dante, Petrarca,Tasso, Pascoli, Montale.Tu eri Xenia, l’insetto stellada non dimenticare.Fermato alla luna, ho gridatoil “morire si deve”come estrema speranzadi viverti ancora.

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E ripercorro i passi che tu hai percorsocon la stessa tristezza così avvintache non pare possibile, esisterealtra gioia.Qui tu sai di cose lontane.Qui tu sai di labbra, e sangue-e nel sangue, sai di albe-.Qui tu sai di bene e sai di male.

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Di te solo pochi versi.Di te, dei miei errori-“siete tutti uguali” mi dici-,dell’”amore mio” sulla bocca,degli sguardi chiusi apertial doloroso enigma di donna.Di te solo pochi versitristi, tristemente.Di te che sei corpo, corpo che premeinfinita dolcezza, silvestre.

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Non nega la mia tristezzal’aforisma di sabbiae spuma. E sogno.Tu sei la mia tristezza.Tu sei l’avido spessored’un bacio, deragliato-“mi fai sudare, io che non sudomai”-.Tu sei l’onda, la forma d’incontrodel velo fra gli amanti.Ma cosa siamo noiin questo vuoto attendere la luce?

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