Post on 22-Feb-2019
1
Potto
CHIRURGIA VASCOLARE
Sommario ARTEREOPATIE OBLITERANTI CRONICHE PERIFERICHE.................................. 3
Epidemiologia .................................................................................................................................. 3
Eziologia .......................................................................................................................................... 3
Clinica .............................................................................................................................................. 5
Terapia ............................................................................................................................................ 12
Terapia Comportamentale .............................................................................................................. 12
Terapia Chirurgica.......................................................................................................................... 14
ISCHEMIA ACUTA PERIFERICA .............................................................................. 19
Eziologia ........................................................................................................................................ 20
Fisiopatologia ................................................................................................................................. 21
Clinica ............................................................................................................................................ 22
Terapia ............................................................................................................................................ 23
Clinica ............................................................................................................................................ 41
Diagnosi ......................................................................................................................................... 42
Non invasiva:.............................................................................................................................. 42
Invasiva: ..................................................................................................................................... 43
Complicanze ................................................................................................................................... 44
Trattamento .................................................................................................................................... 45
• statine ................................................................................................................................. 45
ANEURISMI dell’AORTA TORACICA ....................................................................... 48
2
Potto
3
Potto
ARTEREOPATIE OBLITERANTI CRONICHE PERIFERICHE
“È un insieme di condizioni morbose caratterizzato da lesioni ostruttive a
carico dei distretti arteriosi che inducono una diminuzione della perfusione
agli arti.”
Le localizzazioni preferenziali sono i punti di massima turbolenza quali la biforcazione
iliaca e le diramazioni in cui l’angolo fra i vasi è particolarmente acuto col emergenza
dell’arteria iliaca esterna e il distretto femoro-popliteo tibiale.
Epidemiologia
L’incidenza di questa patologia è aumentata dagli anni 60 per il concordante aumento di:
i. Fumatori
ii. Ipertesi
iii. Cardiopatici
iv. Diabetici
Per quanto riguarda la prevalenza ci sono differenti studi, che adottano criteri diversi.
Eziologia
L’arteriopatia obliterante periferica può essere attribuita a due macro cause:
v. Cause degenerative
vi. Cause non degenerative
Fra le forme degenerative abbiamo:
› L’aterosclerosi: che rappresenta il 98, 6% di tutte le cause. Questa è associata
ad altri fattori di rischio quali:
o Età
o Il Sesso
o Il Fumo: Il fumo incrementa il rischio di patologia aterosclerotica,
comportando una precoce riduzione dell’elasticità parietale del vaso (danno
infiammatorio endoteliale flogogeni cronici fumo-dipendenti)
o Il Diabete: è il principale fattore di rischio per l’AOP: Il rischio di sviluppare
arteriopatia nel paziente diabetico è di 2 volte maggiore rispetto al normale,
rischio correlato alla formazione della placca aterosclerotica (complicanze
4
Potto
vascolari diabetiche)
o L’ Ipertensione
o L’ Iperlipidemia; paziente con livelli di colesterolo a digiuno maggiore o
uguale a 270 mg/dL hanno rischio doppio di incidenza di claudicatio
› Degenerazione cistica della Poplitea
› Le compressioni estrinseche, su tutte quelle esercitate da
inserzioni tendinee a carico del cavo popliteo, possono
comportare una progressiva alterazione parietale e danno
consequenziale (sindrome del soleo, sindrome dell’abduttore: cioè
alterata inserzione tendinea di questi muscoli che comporta
un’abnorme e continua compressione a carico di una data arteria)
ovvero la sindrome da intrappolamento della poplitea.
Fra le forme non degenerative ricordiamo:
1. Malattia di Burger: o tromboangioite obliterante; malattia di origine
infiammatoria a carico delle arterie di medio o piccolo calibro,
principalmente degli arti. Si manifesta preferenzialmente nei maschi
fumatori sotto i 40 anni. A livello della parate dei vasi troviamo
polimorfonucleati, monociti e fibroblasti.
2. Arterite di Horton: la quale coinvolge principalmente le arterie di grosso
calibro, in primis l’arteria temporale. Troviamo calcificazioni e
ispessimenti. Si può avere interessamento oculare e cecità, per nevrite
ischemica del nervo ottico
3. Arterite di Takayasu: che coinvolge primariamente pazienti giovani con
sindrome dell’arco aortico e interessamento dell’arteria succlavia.
Clinicamente avremo claudicatio dell’arto superiore e lipotimie, per furto alle
arterie cerebrali.
4. Infezioni batteriche e virali
Istologia (?)
5
Potto
1. Pleomorfe tortuosità
2. Sviluppo di collateralità
L’aspetto macroscopico delle arterie di piccolo calibro, quelle maggiormente colpite
(ovviamente perché più sensibili all’alterazione del calibro), mostra pleiomorfe
tortuosità, intese come modificazioni di compenso attuate dall’organismo per
rispondere all’insulto cronico, cioè rappresentate in particolar modo da vasodilatazione
con formazione e attivazione di circoli collaterali di compenso (quadro arteriografico
caratteristico: lo sviluppo di collateralità indica proprio la risposta di compenso al
danno cronico).Presentazione dell’asse arterioso soggetto ad arteriopatia: la lesione può
avere una localizzazione segmentaria (cioè più segmenti sono coinvolti nell’ambito
dell’asse arterioso), talvolta la troviamo solo in un distretto (distribuzione di tipo focale,
con un unico tratto interessato) e sarà relativa all’arteria interessata oppure di un tratto
maggiore con quadri di lesione aorto-iliaca, femoro-poplitea, distale (nei soggetti diabetici
in particolare).
Clinica
Oggi le arteriopatie vengono sempre classificate con lo schema proposto da Leriche-
Fontaine, che le divide in quattro stadi.
6
Potto
STADIO I
Asintomatico o paucisintomatico, con dolore da sforzo intenso, definito anche stadio
preclinico. Possono essere presenti:
1. Parestesie da sforzo o da mantenimento prolungato della stazione eretta;
2. Sensazione di freddo alle estremità (ipotermia soggettiva);
3. Ipotrofia relativa di un arto;
4. Rarefazione degli annessi cutanei;
5. Polsi periferici iposfigmici (a livello dei diversi punti di repere).
STADIO II
L’esercizio muscolare, durante il quale aumenta la richiesta di ossigeno da parte dei
7
Potto
muscoli, determina la comparsa di dolore.
Il sintomo tipico è, infatti, la claudicatio intermittens che per definizione è: “l’interruzione
della normale capacità deambulatoria del soggetto” (il paziente vi dirà che è costretto a
fermarsi mentre cammina) ed essa compare durante la deambulazione e scompare a
riposo (asintomatologia a riposo).
Questo stadio si suddivide ulteriormente in:
• Stadio IIa: autonomia di cammino superiore ai 200 m.
• Stadio IIb: autonomia di cammino inferiore ai 200 m e tempo di recupero
superiore ai 3 minuti.
Il secondo stadio è importante, oltre che per la sintomatologia della claudicatio (bisogna
ricordarsi che la sintomatologia è relativa al distretto periferico colpito dall’ipoperfusione:
quello più frequente è senza dubbio il polpaccio con un possibile coinvolgimento
successivo dell’arto per intero), anche per l’approccio terapeutico poiché è dal IIb in poi
che inizieremo a valutare un trattamento endovascolare e, nel caso in cui il paziente non
dovesse migliorare, allora anche quello chirurgico.
In ogni caso il secondo stadio, sia nel IIa che nel IIb, rappresenta sempre una fase che si
accompagna alla terapia farmacologica e comportamentale (esercizio fisico), la quale da
sola talvolta può, in maniera anche efficace, alleviare la sintomatologia.
STADIO III
Comparsa di dolore a riposo in clinostatismo (dolore anche notturno), causato
dalla grave ipossia cutanea e dalla neurite ischemica; si denota un quadro di
ischemia arteriosa assoluta.
Al dolore a riposo si possono associare:
• Iniziali alterazioni del trofismo cutaneo e del colorito;
• Edema;
• Cianosi.
Questo è lo stadio in cui l’ischemia raggiunge quadri di più elevata gravità e compare il
dolore a riposo: il paziente, in particolare durante le ore notturne, avverte dolore a letto
ed è costretto ad alzarsi e mantenere gli arti penzoloni o fare due passi per attenuare la
sintomatologia, dolore che si presenta urente, continuo ingravescente e alleviato come
abbiamo detto da particolari manovre e da terapia antalgica a base di morfina.
STADIO IV
8
Potto
Marcata ipossia e acidosi: è il livello di danno ischemico cronico più severo si
raggiunge nelle lesioni trofiche, presentantesi come gangrena, ulcere necrotiche, necrosi
parcellari o estese necrosi la cui entità è strettamente associata al decorso della patologia
diabetica.
Le turbe trofiche hanno gravità diversa, possono consistere in:
• Alterazioni degli annessi cutanei: riduzione del sistema pilifero o alterazioni
ungueali, quali ad esempio rallentamento della crescita;
• Lesioni periungueali;
• Ulcere interdigitali;
• Necrosi a stampo sulle articolazioni interfalangee;
• Gangrena: secca (rapida necrosi e annerimento dei tessuti) o umida,
accompagnata da riassorbimento di cataboliti necrotici e comparsa di sintomi generali
quali febbre, leucocitosi e aumento della VES.
Il concetto di Ischemia Critica
Da alcuni anni a questa parte, è stata identificata un’entità nosologica particolare,
l’ischemia critica, che altro non è che il terzo e il quarto stadio unificati nei loro
caratteri. È importante soffermarsi su quest’ultimo stadio per la sintomatologia clinica
dato che è questo il momento in cui si deve salvare l’arto, perché l’ipoperfusione porta,
se non trattata, una condizione da amputazione necessaria. Quindi il punto di ischemia
critica è fondamentale anche perché è un momento di decisione terapeutica.
Inoltre questo rappresenta anche il momento in cui si è autorizzati dal punto di vista
medico-legale ad intervenire con la terapia endovascolare, e se questo ha avuto
risultati fallimentari, allora si procede con un tentativo ulteriore di salvataggio d’arto con
bypass distali, esterni, extra-anatomici.
Il salvataggio non va inteso come salvataggio soltanto dell’arto ma riguarda il paziente in
toto, in quanto è possibile che i cataboliti locali giungano in circolo determinando una
tossicosi sistemica.
Tirando le somme, quando dovremo classificare un paziente come in ischemia critica,
dovremo fare riferimento agli ultimi due stadi della classificazione suddetta e riferirci ad
una condizione caratterizzata dalla presenza di un dolore ischemico a riposo, persistente,
scatenato o esacerbato dall’elevazione e alleviato dalla posizione in senso gravitazionale,
che richiede adeguata analgesia per più di due settimane, con una pressione sistolica
misurata alla caviglia di 50 mm Hg e con lesioni periferiche più o meno estese.
9
Potto
Eccezione
Se l’occlusione riguarda il distretto aorto-iliaco è possibile che si manifesti il quadro della
Sindrome di Leriche con claudicatio di gluteo, coscia e schiena, assenza dei polsi femorali
e impotentia coeundi, per diminuita perfusione delle arterie ipogastriche (normalmente
la sola claudicatio non è un’indicazione al trattamento chirurgico, ma nella sindrome di
Leriche se è associata a impotenza, operiamo sempre).
Un’indicazione importante ce la dà l’indice di Windsor1, che valuta il rapporto tra
pressione alla caviglia e pressione all’omero.
Per valori inferiori a 0.4 parliamo di ischemia critica.
Nel caso di pazienti diabetici con calcificazioni arteriose o dializzati utilizziamo i criteri
assoluti di Pa che sono:
vii. Pressione arteriosa alla caviglia minore di 50-70 mmHg
viii. Pressione arteriosa all’alluce minore di 30-50 mmHg
Inoltre possiamo valutare la TcPO2, la quale è discriminante per valori minori di 30-50
mmHg che non aumentano con inalazione di O2.
Paziente diabetico (un ulteriore classificazione per il diabetico)
Nel caso in cui ci troviamo a valutare un paziente diabetico con microangiopatia, sarà
importante senza dubbio valutare l’arteropatia e stadiarla secondo la Leriche-Fontaine, ma
altrettanto importante sarà esaminare e classificare le lesioni ulcerative caratteristiche,
per la necessità di avere dei protocolli di trattamento comuni per stabilire un valore
predittivo in termini di guarigione dell'ulcera.
La classificazione di Wagner è basata su tre parametri: la profondità dell'ulcera, il
grado di infezione e l'estensione della necrosi.
a. Grado 0: Nessuna lesione, piede senza rischio
b. Grado 1: Ulcera superficiale
c. Grado 2: Ulcera complicata
d. Grado 3: Ulcera profondamente complicata
1 Scarso valore diagnostico nel soggetto diabetico.
10
Potto
e. Grado 4: Gangrena localizzata
DIAGNOSI
Anamnesi
Raccoglie dati circa la familiarità, l’età del paziente e il sesso, i fattori di rischio e
possibili comorbidità (in particolare la patologia diabetica, renale e ipertensiva), la
sintomatologia (non solo per ciò che concerne il tipo di dolore, ma anche i sintomi ad
esso associati, riguardo la loro entità, la durata, la loro evoluzione), e l’anamnesi
farmacologica.
Esame obiettivo
L’ispezione accurata segue l’anamnesi del paziente: bisogna valutare come si presenta
l’arto, se è pallido, se sono alterati cute e annessi, se vi sono alterazioni ungueali, il
volume assoluto e relativo rispetto al controlaterale.
La palpazione è fondamentale: si ricercheranno i polsi nei punti di repere e si
delineeranno i loro caratteri, si comprimeranno le masse muscolari per valutarne
trofismo e tonicità; importante è anche il termotatto: si valuterà il gradiente termico
prossimo-distale, l’ipotermia distale, l’ipotermia dell’arto e l’ipotermia di entrambi gli
arti.
L’ascoltazione potrà permettere di saggiare la presenza di soffi sistolici (associati alle
steno-ostruzioni, ovviamente a seconda del livello interessato).
Esame strumentale
Si avvale di tecniche non invasive ed invasive.
Invasive
1. Arteriografia: tecnica di indagine radiologica della morfologia di un’arteria e dei
suoi rami, attuata mediante l’introduzione nell’arteria stessa di una sostanza opaca ai
raggi X (mezzo di contrasto radiopaco). La tecnica arteriografica consente
l’identificazione:
1. del punto di origine
2. del decorso delle arterie
3. delle anomalie di calibro e di numero
4. della loro patologia e del loro stato funzionale.
Risulta essere un esame utile inevitabilmente in ambito pre-operatorio.
11
Potto
2. Angio-TC e Angio-RM
Non invasive:
o Ecodoppler o Ecocolordoppler2: Permette al medico o specialista di
valutare molte informazioni dell’asse sia arterioso che venoso, quali la
morfologia dei vasi, il loro grado di pervietà, l'eventuale presenza
di malformazioni, stenosi od occlusioni; infine, nel caso siano
presenti problemi di varia natura a carico dei vasi sanguigni (attraverso il
monitor ad esempio è possibile vedere placche ateromasiche, la loro
distribuzione ed estensione, l’occlusione relativa del vaso, se la placca è
iper o ipoecogena e quindi differenziarle per il fatto che nel soggetto
diabetico spesso sono calcifiche e quindi iperecogene), si è in grado di
definire la gravità della situazione: nelle arteriopatie quindi
fondamentalmente sarà possibile diagnosticare sede, estensione e
caratteri delle lesionicronico-ostruttive.
Il doppler inoltre riveste fondamentale importanza per la
valutazione dell’ABI (ankle-brachialindex) (o anche indice di
Windsor), infatti, una volta posizionato un manicotto al livello del
polpaccio, si muoverà la sonda sulla tibiale posteriore (a livello della
caviglia, appunto ankle) e, compresso il manicotto, quando il segnale
doppler scomparirà, allora quello sarà il valore di pressione arteriosa;
contestualmente si andrà a misurare la pressione all’arto superiore (con
metodica tradizionale) e traccerò l’indice in base al rapporto delle due
pressioni: il valore di ABI normalmente è uguale o superiore a 1, quando
questo valore è inferiore sarà indice attendibile di arteriopatia. L’ABI può
essere però sensibilmente più elevato nel paziente diabetico ed in questo
caso avrà scarso valore diagnostico.
L’ecodoppler è utile anche nel follow-up del paziente in seguito a terapia
medica o terapia chirurgica o di protesi endovascolare (efficacia terapeutica
e valutazione complicanze). È una tecnica poco costosa, non invasiva,
2 Dopo aver scoperto la zona del corpo da sottoporre all'analisi, lo specialista muoverà sulla zona in questione
una sonda a ultrasuoni, quest'ultimi vengono riflessi dalle strutture corporee e tornano alla sonda fornendo
un'immagine visibile su un monitor. Per muovere più agevolmente la sonda e facilitare il passaggio degli
ultrasuoni, la zona cutanea in corrispondenza dei vasi sanguigni da analizzare viene spalmata con un apposito
gel. Questa interessante metodica si basa sull'effetto doppler (un fenomeno fisico che consiste nel fatto che
dirigendo un determinato suono verso un corpo in movimento, in questo caso il vaso e il sangue al suo interno,
il rimbalzo genera un suono diverso) e
12
Potto
indolore e praticamente esente da rischi. Un limite dell'ecodoppler è che
non tutti i vasi sanguigni sono perfettamente visualizzabili, l'esame inoltre
può essere più difficoltoso in soggetti obesi, sovrappeso o con un
importante edema. Nella riuscita dell'ecodoppler hanno un certo peso
anche la perizia e l'esperienza dello specialista che lo esegue.
o Ossimetria transcutanea (TcPO2): è un parametro di perfusione che
consente di misurare il deficit funzionale di ossigeno (O2). Viene rilevata
attraverso un’apparecchiatura apposita chiamata ossimetro, a livello del
dorso del piede o in altre sedi a livello dell’arto inferiore.
Questo esame viene in genere eseguito in caso di ABI > 1 o non calcolabile
e/o in presenza di lesioni pre-ulcerative o di ulcere del piede e/o ischemica
critica del piede.
Questo esame è molto utile per diversi motivi: diagnostico, ma anche decisionale (per
indicare l’utilità di un intervento chirurgico al piede) e per il monitoraggio ad esempio
dopo una rivascolarizzazione mediante angioplastica e/o impianto di by pass, per
valutare l’efficacia terapeutica. Un valore di TcPO2 < 50 mmHg viene considerato
patologico.
Diagnosi Differenziale
Non bisogna confondere l’arteriopatia cronica con patologie artrosiche, discopatie o
neuropatie che possono simulare la sintomatologia dolorosa e rendere dubbia la
diagnosi.
Terapia
Terapia Comportamentale
Ci sono fattori che condizionano l’evolversi dell’arteriopatia cronica, per cui un
paziente in cui si sono venuti a creare circoli di compenso (sia ex novo che da vasi pre-
esistenti) relativi a una vasodilatazione riflessa, per via dell’esercizio fisico e dell’acido
lattico, si presenterà generalmente paucisintomatico; ecco perché ai pazienti con
arteriopatia, che manifestano o meno claudicatio, prima di intraprendere qualsiasi
terapia diretta, viene somministrata sicuramente una terapia di mantenimento
farmacologica, ma di prima istanza gli si consiglia di camminare quotidianamente ad
esempio su strada o su tapis roulant: l’esercizio quotidiano quindi è la migliore terapia
13
Potto
naturale per bypassare naturalmente la steno-ostruzione attraverso la generazione dei
circoli collaterali e alleviare la sintomatologia relativa.
Sarà altrettanto importante correggere i fattori di rischio principali e modificabili
quali il fumo, l’ipertensione, il diabete e le dislipidemie.
Terapia Farmacologica Conservativa
Viene data di supporto a tutti i pazienti arteriopatici insieme alla terapia
comportamentale. Allo scopo si impiegano farmaci in acuto: trombolitici,
antiaggreganti come la banale aspirina, la ticlopidina, le statine, le eparine. Si
cura lo scompenso glicometabolico e si eseguono dei tamponi da ferita nelle lesioni
ulcerate trofiche periferiche, e si attuano adeguate antibioticoterapie.
14
Potto
Terapia Chirurgica
I. By-pass: si intende la sostituzione di un tratto di arteria ostruita
anastomizzandola in alto e in basso con l’arteria nativa usando del materiale
protesico o biologico. –
L’ideale sarebbe sempre l’impianto di materiale autologo, generalmente una vena
autologa, la safena classicamente.
Il segmento venoso viene prelevato e viene girato poiché possiede le valvole e
in seguito anastomizzato; per le vene in situ invece, il segmento viene prelevato
come tale, ma per applicarlo è necessario un valvulotomo, altrimenti il sangue
nel flusso troverebbe ostacolo per mezzo delle valvole in particolare nel by-pass
femoro-popliteo o femoro-distale, perché è un materiale più compliante, più
elastico ed è poco suscettibile alle infezioni rispetto ad altro materiale protesico;
esistono comunque altri materiali protesici come il DACRON, il PTFE e protesi
composite (in parte autologhe e in parte sintetiche).
Tipi di by-pass: si distinguono bypass anatomici e extranatomici.
ANATOMICI
1. aorto-bifemorale: nella Sindrome di Leriche o nell’ostruzione aorto-iliaca è la
procedura di elezione per la cura delle lesioni steno-ostruttive, ma viene
15
Potto
sempre meno utilizzata da quando è stata introdotta la terapia endovascolare
2. iliaco-femorale
3. femoro-popliteo: d’elezione nelle ostruzione della femorale superficiale,
viene operata dalla femorale comune alla poplitea e può essere sovrapoplitea,
sovraarticolare o sottoarticolare; in quest’ultimo caso è meglio definito by-
pass femoro-distale (la vena deve essere usata assolutamente come materiale
protesico). Nelle condizioni sovra-poplitee sarà possibile per una condizione di
urgenza e di scarsa disponibilità usare anche materiale sintetico (come il PTFE)
EXTRA-ANATOMICI: il by-pass extra-anatomico viene utilizzato quando sono
controindicate le normali procedure; ad esempio per un addome ostile o per
numerosi interventi chirurgici pregressi o per gravi condizioni generali, e sono
rappresentati:
1. dall’axillo-femorale: con decorso discendente, sottocutaneo, quindi superficiale, e
laterale
2. dal by-pass crossover: femoro-femorale crociato
Figura 1: A. Axillo-Femorale (ascellare-femorale) B. Femoro Femorale Crociato
II. Tromboendoarteriectomia: è la rimozione di materiale aterosclerotico che
occlude o stenotizza il lume arterioso, può essere eseguito:
1. Rispettando le fibre della media
2. Asportando anche la media lasciando solo l’avventizia;
16
Potto
questo è un intervento che si attua su una placca, una stenosi di massimo 8-9 cm
(quindi di brevi dimensioni, segmentaria), e consiste nel praticare un taglio
longitudinale sul vaso (incisione coperta: interessa tutta la lunghezza dell’arteria;
semicoperta: non interessa tutta la lunghezza), poi nel sollevare la placca
tagliandola a monte e a valle, così da asportarla; in seguito si mettono dei punti di
sutura continua e, se il residuo vasale è ristretto ed il calibro ridotto, allora si
interpone una patch (sempre di materiale autologo o protesico), utile a
mantenere un adeguato calibro del vaso che ne garantisca la funzione.
III. Simpaticectomia lombare: intervento di rivascolarizzazione indiretta oggi
poco usato, preferito in casi selezionati, in quei pazienti refrattari alle altre terapie
chirurgiche o con controindicazioni di diverso tipo.
Consiste nell’asportazione gangliare simpatica con consequenziale
vasodilatazione cutanea, sottocutanea e muscolare, che comporta un sicuro
miglioramento soprattutto nei pazienti giovani e nelle forme arteritiche.
IV. Profundoplastica: è un altro intervento molto specifico e non molto utilizzato,
che consiste nella plastica dell’arteria femorale profonda ed è indicata in un caso
ben preciso: quando abbiamo una stenosi dell’origine e del terzo prossimale della
femorale profonda che oblitera più del 50% del lume vasale associata ad una
ostruzione della femorale superficiale, laddove non è possibile attuare by-pass
femoro-popliteo o femoro-distale. Per questo intervento è necessario che il
paziente abbia un buon circolo collaterale di gamba.
TERAPIA ENDOVASCOLARE
1. PTA (Percutaneous Transluminal Angioplasty): l'angioplastica si ripropone di dilatare
o riaprire arterie colpite dall'aterosclerosi attraverso l'introduzione di un catetere
provvisto di un palloncino che allarga il punto stenosato.
In anestesia locale si punge una arteria del braccio o dell'inguine (la tecnica
non a caso è per definizione percutanea), con un catetere si raggiunge la stenosi e
con il palloncino la si dilata: questo dilaterà l’arteria colpita, fratturerà la placca
inducendo così distensione di media e avventizia.
Può essere integrata dall'applicazione di uno STENT, una protesi metallica
lasciata nel punto della stenosi per ridurre la possibilità di recidiva.
Le indicazioni sono ottime per il distretto aorto-iliaco-femorale e femoro popliteo,
ma è meno indicata per trattare le lesioni distali (arterie tibiali).
Lo STENT è un tubicino in rete metallica il cui posizionamento all’interno del vaso
avviene di solito durante un intervento di angioplastica, eseguito per ripristinare
17
Potto
la normale circolazione sanguigna nelle arterie stenosate: lo STENT serve a
impedire che le arterie si obliterino o si ostruiscano nuovamente (recidiva). Essi si
presentano normalmente come reti metalliche, ma in alcuni casi possono essere
fatti di tessuto (anche detti STENT a innesto) ed essere usati per le arterie di
calibro maggiore.
Per posizionare lo STENT il chirurgo praticherà una piccola incisione in
un’arteria dell’inguine, del braccio o del collo, farà passare attraverso
l’apertura un catetere (tubicino flessibile), munito di una specie di palloncino
sgonfio a un’estremità, intorno al quale può essere collocata la rete metallica,
rappresentata appunto dallo STENT.
L’estremità del catetere viene guidata fino alla zona ostruita dell’arteria e il suo
percorso viene seguito mediante una speciale ripresa radiografica, che aiuta il
chirurgo a posizionarlo correttamente all’interno del vaso sanguigno. Una volta
che il catetere si trova nella zona nevralgica viene gonfiato il palloncino che
comprimerà la placca, spingendola verso le pareti dell’arteria; il palloncino, una
volta gonfiato, allarga anche lo STENT, posizionandolo correttamente nell’ambito
della parte vascolare. Il palloncino viene quindi sgonfiato e rimosso insieme al
catetere, mentre lo STENT rimane all’interno dell’arteria cosicché le cellule
parietali possano proliferare e vadano a coprire la rete metallica, creando una
tonaca interna che ripropone coerentemente la citoarchitettura della normale
parete del vaso e mantenendo pervio lo stesso preservandone la funzione.
Complicanze dell’uso di STENT
18
Potto
Vi sono dei problemi potenziali correlati all'uso degli STENT vascolari:
1. Il più comune è la trombosi dello stesso, che determina un'occlusione acuta del
vaso e ischemia (se vaso arterioso) del tessuto irrorato, ma in genere sono eventi
rari e che si presentano nell'immediato o entro le 24 ore successive all'impianto.
Infatti il device viene poi riendotelizzato, cioè ricoperto da neointima e
l'utilizzo degli antiaggreganti aiuta tale processo.
2. Anche la proliferazione intimale, se eccessiva, può determinare una
complicanza, definita però restenosi. Sono comunque stati fatti considerevoli
passi avanti per migliorare la metodica, tra questi l'impiego di materiali più
biocompatibili, l'utilizzo di STENT medicati con farmaci antiinfiammatori,
riassorbibili e bioattivi in titanio e ossido nitrico.
3. Nonostante queste precauzioni, vi può essere trombosi tardiva, evento
scongiurabile con una attenta complianza del paziente con la terapia di doppia
anti-aggregazione che ad oggi deve essere minimo di un anno (meglio se 18
mesi). In certi casi può essere possibile il reintervento, come nel caso di
restenosi.
Come primo step, bisogna sempre valutare il rischio operatorio del singolo paziente.
La chirurgia endovascolare è ampiamente diffusa con l’utilizzo di cateteri a palloncino e
stent con griglia metallica. La PTA (angioplastica percutanea transluminale) con
endoprotesi, è particolarmente efficace nell’AOP del distretto aorto iliaco. Consiste
nell’eliminazione della stenosi attraverso un pallocino, non necessariamente seguita
dall’applicazione di uno STENT, che a sua volta può essere medicato o non medicato
(questo influenza la terapia antiaggregante post operatoria).
Nel distretto aorto-iliaco la PTA ha ottenuto ottimi risultati per stenosi inferiori ai 3 cm,
ma meno buoni per quelle maggiori di 5 cm.
Se la placca è a ridosso di una biforcazione utilizzo 2 palloncini per evitare il passaggio di
materiale trombotico nell’altra arteria.
19
Potto
ISCHEMIA ACUTA PERIFERICA
Con questo termine indichiamo un’improvvisa diminuzione o peggioramento
della perfusione a carico dell’arto in grado di determinare una potenziale
minaccia alla vitalità dello stesso; per questo motivo la consideriamo
un’emergenza medica.
TABELLA D’ISCHEMIA ACUTA DEGLI ARTI INFERIORI
DEFINIZIONE Improvvisa riduzione peggioramento della perfusione dell’arto che causa una
potenziale minaccia della vitalità
ETIOLOGIA Embolia
(potenzialità embolica nota)
Letto arterioso normale
Quadro clinico drammatico per assenza di
circolo collaterale.
Assenza di storia di claudicazione.
Arto controlaterale:
a. Polsi normali
b. Pressione caviglia normale
Trombosi su placca
aterosclerotica
(causa più frequente di ALI)
Letto arterioso compromesso
Quadro clinico meno
drammatico per presenza di
circolo collaterale
Storia di claudicazione
Arto controlaterale:
1) Polsi ridotti
2) Pressione caviglia ridotta
SEVERITÀ Dipende dalla localizzazione ed estensione dell’occlusione (elevata tendenza alla
trombosi a valle) e dal numero di arterie coinvolte nel medesimo segmento di
arto:
i. Arterie iliache e poplitee: bassa possibilità di compenso per presenza
nel segmento d’arto delle sole arterie assiali;
j. Arteria iliaca esterna: possibile compenso attraverso circoli di
compenso a partenza dall’iliaca interna o dalle arterie lombari;
k. Arteria femorale superficiale: possibile compenso dall’arteria femorale
profonda con riabitazione arteria poplitea;
l. Arteria del polpaccio: possibile compenso dalle altre arterie crurali non
coinvolte
20
Potto
CLINICA 5 P di Pratt
Pain: Dolore
Pulsless: scomparsa dei polsi a valle
Pallor: pallore associato a ipotermia a valle
Paresthesias: parestesie e intorpidimento (sintomo ad alta sensibilità e bassa specificità)
Paralysis: perdita della funzione motoria, indica una severa minaccia di perdita d’arto; il paziente non riesce a stare in piedi a compiere movimenti di dorsiflessione del piede e/o di flessione plantare delle dita
QUESITI CLINICI L’arto è vitale?
E’ presente rischio di ulteriore progressione dell’ischemia?
E’ presente minaccia immediata di perdita di vitalità senza rivascolarizzazione?
Sono presenti segni irreversibili che precludono il recupero funzionale e/o il salvataggio d’arto?
SEGNI DI VITALITÀ A RISCHIO 1. Persistenza del dolore
2. Perdita di sensibilità
3. Debolezza muscolare
SEGNI DI RISCHIO DI DANNO IRREVERSIBILE
Rigidità o estrema mollezza muscolare
Dolore ai movimenti passivi
Eziologia
Le due cause principali di ischemia acuta sono embolia e trombosi.
L’embolia a sua volta può avere diverse origini:
1. Embolie cardiache sono le più frequenti e nell’80% dei casi sono causate da una
cardiopatia ischemica su base aterosclerotica, mentre nel 20% dei casi sono
riconducibili ad endocardite o a malattia reumatica. La mobilizzazione di un
embolo può verificarsi in corso di aritmia, di terapia con digitale o di sforzi fisici
particolari.
2. Embolie di origine periferica da placche aterosclerotiche ulcerate o da una sacca
di dilatazione aneurismatica. In questi casi solitamente si formano micro emboli
che vanno ad occludere i piccoli vasi del piede con le conseguenti evidenze
cliniche.
3. Raramente embolie post traumatiche, dopo angiografia con cateterismo o
angioradiologia interventistica.
La biforcazione femorale [comune] è colpita nel 38% dei casi, l’aorto-iliaca nel 28% e la
poplitea nel 15%.
21
Potto
Per quanto riguarda la trombosi dobbiamo l’etiologia può essere distinta in:
1. Cause infiammatorie: Tromboangioite obliterante, arteriti
2. Cause degenerative: aterosclerosi, diabete, complicanza di una sacca
aneurismatica.
3. Cause traumatiche
4. Cause ematogene: Policitemia, trombofilia, Crioglobulinemia
5. Miscellanea: insufficienza cardiaca, neoplasia, trattamenti chirurgici
E fare un distinguo fra:
4. Arterie patologiche sulle quali possiamo avere processi aterosclerotici che
stenotizzano il vaso oltre il limite, questo avviene nel 50% dei casi nel distretto
femoro-popliteo, mentre a livello degli arti superiori l’incidenza è molto bassa.
Un’altra eventualità è quella di dilatazioni aneurismatiche con trombosi a carico
della sacca aneurismatica; anche questo evento avviene soprattutto a carico del
distretto femoro popliteo. Più raramente possono essere causa di trombosi anche
patologie autoimmuni, come collagenopatie e arteriti.
5. Arterie sane dove possiamo avere trombosi in seguito ad alterazioni:
1. Del sistema emopoietico (policitemia)
2. Alterazioni della coagulazione (crioglobulinemia)
3. Liberazione di fattori reologici da parte di neoplasie.
6. Trombosi post traumatiche. I traumi possono essere penetranti, che ledono le
tonache dell’arteria e non penetranti, che iperdistendono la parete e distaccano
l’intima. Si possono poi avere contusioni e fratture che stirano o lesionano
l’arteria vicina all’osso danneggiato, micro traumatismi cronici da sindrome dello
stretto toracico o intrappolamento popliteo.
Fisiopatologia
Il meccanismo fisiopatologico è abbastanza semplice: la diminuzione di ossigeno nei
tessuti a valle dell’occlusione arteriosa induce il passaggio da metabolismo aerobio ad
anaerobio, con conseguente aumento di acido lattico.
Il pH scende a livelli acidi per la produzione di cataboliti e acidi veri e propri che
stimolano direttamente i nocicettori, oltre ad alterare la funzione della pompa
sodio/potassio. Questo induce un danno endoteliale, con attivazione della coagulazione
22
Potto
che favorisce quindi la formazione di nuovi trombi o l’aggravarsi dei precedenti.
Clinica
La tolleranza all’ischemia della cute è maggiore di 12h, ma già dopo 10h si hanno
modificazioni dei nuclei e omogeneizzazione degli strati profondi. Segno prognostico
negativo è la comparsa di flittene e di aree di gangrena.
La tolleranza del tessuto muscolare è di 4-6h, dopo le 12h le lesioni diventano
irreversibili; per quanto riguarda il tessuto nervoso già dopo 3h abbiamo lesioni gravi
[24 H].
I pazienti già affetti da AOP hanno generalmente un quadro clinico migliore legato allo
sviluppo dei circoli collaterali per cercare di mantenere l’arto perfuso. Nondimeno molte
volte l’episodio ischemico è seguito da una trombosi secondaria a monte o a valle della
zona ischemica che tende ad estendersi. I fattori che favoriscono una trombosi
secondaria sono:
Patologie che diminuiscono la gittata cardiaca e la pressione di perfusione;
Ipercoagulabilità transitoria o stato trombofilico già preesistente nel paziente;
Localizzazione dell’ostruzione a carico della biforcazione aortica, femorale o
poplitea;
Occlusione dei circoli collaterali;
Vasospasmi delle arterie sane o dei circoli collaterali.
Il paziente sarà caratterizzato clinicamente dalle “ 5 P di Pratt”:
a. Pain: dolore ingravescente, che poi diminuirà per necrosi del tessuto nervoso.
b. Pallor: pallore
c. Paralysis: paralisi
d. Paresthesia: parestesia, al paziente con occhi chiusi va chiesto di descrivere se la
flessione del piede che io gli sto provocando è dorsale o plantare.
e. Pulselessness: assenza di polsi
(3) e (4), sono i segni più` gravi di ischemia acuta.
Inoltre potremmo evidenziare:
f. Moderata ipotermia distale;
g. Irrigidimento delle articolazioni e contratture muscolari;
23
Potto
h. Edema;
i. Cianosi e marmorizzazione cutanea;
j. Sofferenza neurosidrica.
Secondo Fontaine la gravità dell’ischemia può essere divisa in due categorie: l’ischemia
totale e l’ischemia parziale.
1. Nella prima si avrà pallore cadaverico con aspetto marmoreo e cute
spiccatamente ipotermica. Inoltre si avrà la completa perdita di sensibilità e
motilità.
2. Nell’ischemia parziale avremo pallore e cianosi, con ipotermia moderata e
sensibilità e motilità conservate.
Diagnosi
Anamnesi: L'anamnesi ci indicherà la presenza di claudicatio, patologie cardiache
emboligene, modalità di presentazione del dolore (che per essere IAP deve essere
recente).
Esame Obiettivo
Ispezione: Colore della cute
Palpazione (fondamentale): Carattere dei polsi, Ipotermia degli arti, dolorabilità
Esami strumentali
Attraverso un indagine Doppler è possibile valutare la gravità dell’ischemia,
l’arteriografia che ha indicazione assoluta se il paziente è già affetto da AOP o se ha
subito traumi.
Con l’arteriografia posso valutare l’entità dell’occlusione e la situazione della
perfusione a monte e a valle di questa.
In caso di embolia però risulta essere un’indagine inutile perché devo trattarla
diversamente rispetto alla trombosi.
Terapia
Il primo step è la somministrazione di eparina a basso peso molecolare per evitare che
si occludano i circoli collaterali.
Il secondo step è l’angiografia, poi il trattamento differisce in base alla causa di
24
Potto
ischemia acuta:
1 In caso di trombosi, farò la trombolisi. In corso di arteriografia lascerò il catetere
inserito ed immetterò il fibrinolitico o papaverina per lisare il trombo. La fibrinolisi è
meno rischiosa rispetto all’ intervento chirurgico perché gravata da minore mortalità
periprocedurale, ma la mortalità ad un anno è uguale a quella post-intervento. Inoltre il
rischio di emorragia cerebrale aumenta, specie se il paziente è già in trattamento con
ASA. Oggi attraverso l’utilizzo di un catetere inserito anche in vena per evacuare il
fibrinolitico lasciandolo meno in circolo, tale rischio si è abbassato.
L’alternativa alla fibrinolisi è l’angioplastica trans luminale percutanea (TPA) con inserimento di uno STENT tramite il catetere dell’angiografia. Quando si parla di
trombolisi sistemica e non localizzata, parliamo del trattamento dell’ischemia del
miocardio, altrimenti rischierei la sindrome da riperfusione3.
2 In caso di embolia il trattamento sarà la tromboembolectomia secondo Fogarty: si
procede in anestesia locale, si inserisce il catetere di Fogarty nell’arteria prossimalmente
all’embolo, si oltrepassa l’embolo con il catetere e si gonfia il palloncino, poi sfilando il
catetere il palloncino porterà via anche l’embolo. Questo tipo di chirurgia offre risultati
persistenti ed è l’unica alternativa in arti gravemente ischemici.
Un catetere di Fogarty è un dispositivo semplice costituito da un tubo in materiale
plastico o in silicone, sterilizzato, e un palloncino gonfiabile, anch'esso in silicone o
lattice, che si trova posizionato proprio sulla punta del catetere. Questo palloncino
può essere gonfiato con aria o con un liquido sterile, ad esempio della normale
soluzione fisiologica. È proprio il gonfiaggio del palloncino che permette di
mantenere il catetere nella corretta posizione. Alcuni produttori ricorrono ad un
rinforzo del corpo del catetere con dell'acciaio inox al fine di fornire più forza e
flessibilità al dispositivo.
La presenza di fibre di acciaio conferisce al dispositivo anche la caratteristica di
risultare radioopaco, e quindi di facilmente visibile in radioscopia o su una lastra
radiologica. Alla base del catetere è in genere posizionato un attacco liscio che facilita
il raccordo e l'inserimento della punta di una siringa permettendo così il successivo
gonfiaggio del palloncino.
La dimensione del catetere per embolectomia arteriosa Fogarty è descritta
utilizzando le unità francesi, le quali sono graduate in terzi di millimetro. Le
dimensioni più comuni variano da 2 F a 7 F. Si ricorda che 1 F equivale a 0,33 mm di
diametro. Anche la lunghezza complessiva del dispositivo è variabile: generalmente
circa 40 cm per i diametri più piccoli (2F) fino a 80-100 cm per i diametri maggiori (5-
7F). Il palloncino di gonfiaggio può avere invece diametri variabili dai 4 ai 14 mm e
volumi di gonfiaggio compresi in un range tra 0.05 e 2 ml (cm3). Spesso i produttori
differenziano le diverse misure di lunghezza e di diametro dei cateteri ricorrendo a
delle scale colorate.
25
Potto
Utilizzo del catetere di Fogarty
Il dispositivo può essere utilizzato dai chirurghi vascolari nel corso di un intervento di
embolectomia, ad esempio per un'ischemia acuta degli arti inferiori.
L'operatore provvede come prima cosa ad isolare chirurgicamente una porzione
prossimale dell'asse arterioso interessato dal processo trombo-embolico. Quindi si
pratica l'interruzione temporanea del flusso vascolare del vaso, a monte e a valle del
sito individuato per la successiva arteriotomia. L'operatore procede quindi con una
incisione del vaso (arteriotomia) ed attraverso questa "porta" introduce il catetere
che viene successivamente spinto con delicatezza e attenzione oltre l'embolo. Nelle
fasi terminali della procedura si esegue il gonfiaggio del palloncino, indi il catetere
viene ritirato attraverso la breccia chirurgica vasale. Durante il ritiro del catetere
l'embolo rimane imprigionato dal palloncino e viene trascinato fuori. Il chirurgo
provvede quindi alla riparazione del vaso, attraverso una sutura diretta (raffia del
vaso), o applicando una “patch” (letteralmente una pezza o toppa) di un materiale
artificiale o naturale.
In anni recenti, pur essendo stato a lungo utilizzato come trattamento di scelta in soggetti
affetti da ostruzioni arteriose acute, il ricorso al catetere per embolectomia Fogarty è stata
messo in discussione preferendogli spesso un trattamento di tipo trombolitico loco-
regionale.
QUADRI CLINICI AVANZATI
Quando l'ischemia è molto grave e molto avanzata con accumulo di cataboliti, acido lattico
e simili in circolo si può andare in contro ad una tossicosi generale che può comportare
anche danni renali gravi. Può quindi rendersi necessaria una fasciotomia: Erniazione del
muscolo dalla propria fascia con liberazione all'esterno dei cataboliti, salvataggio dell'arto
e dei reni del pz.
26
Potto
L’INSUFFICIENZA CEREBRO-VASCOLARE (ICV)
Per insufficienza cerebro-vascolare (ICV) s’intende l’insieme di sintomi neurologici dovuti ad un diminuito apporto ematico al tessuto cerebrale.
Epidemiologia
L’insufficienza cerebro-vascolare rappresenta la terza causa di morte nei Paesi
Occidentali, la seconda causa di morte cardio-vascolare e la prima causa di
morte neurologica, con una frequenza maggiore nei maschi di età superiore ai 60 anni.
L’incidenza dell’ictus è di circa 160 nuovi casi ogni 100.000 persone/anno. Quando l’ictus
non è fatale si deve considerare l’invalidità permanente conseguente all’infarto cerebrale,
sia dal punto di vista dell’effetto negativo sul paziente e per la sua famiglia, che del costo
socio-economico. Attualmente la percentuale d’invalidità permanente residua grave è pari
a circa il 35%. La terapia volta a prevenire l’infarto cerebrale deve essere confrontata con
la storia naturale del processo patologico.
La prognosi di un paziente con arteriopatia ostruttiva della carotide extracranica è diversa
a seconda della presenza o meno dei sintomi. Quando è presente un deficit neurologico
permanente, le prospettive peggiorano; questo sottolinea l’importanza della prevenzione.
Etiopatogenesi
Da un punto di vista strettamente etiologico, l’aterosclerosi rappresenta la causa più
importante della malattia steno-ostruttiva dei vasi arteriosi.
Altre cause di lesioni carotidee che possono determinare ICV sono la displasia
fibromuscolare, la malattia di Takayasu, le arteriti, i traumi della carotide, i dimorfismi (kinking e coiling), i tumori glomici, gli aneurismi carotidei e le dissecazioni.
La biforcazione carotidea rappresenta una zona di separazione delle lamine di flusso; ne
consegue che alcune zone della biforcazione vengono sottoposte ad una maggiore
sollecitazione da parte del sangue (parete interna), mentre in altre (parete esterna) la
sollecitazione è minore.
La placca ateromasica, una volta formatasi, può andare incontro ad una serie di
complicanze tra le quali la deposizione di sali di calcio e di altri minerali nelle zone
necrotiche della lesione, la fissurazione intraparietale e la conseguente dissecazione
della parete, l’ulcerazione e l’erosione della parte centrale della placca, più
sporgente nel lume vascolare, con conseguente perdita di sostanza che può embolizzare.
Si può avere un’emorragia improvvisa all’interno della placca che può causare una
lacerazione intimale con formazione di un’ulcera e liberazione di materiale embolizzante
27
Potto
(meccanismo “a vulcano”) oppure può portare all’ostruzione improvvisa del lume vasale.
Clinica
La placca aterosclerotica delle arterie carotidi può dar luogo a lesioni sintomatiche
oppure può risultare del tutto asintomatica.
Il quadro clinico delle forme sintomatiche si caratterizza per:
a. Sintomi neurologici che possono assumere le caratteristiche di attacco ischemico
reversibile (RIA)
b. Deficit neurologico stabilizzato (completed stroke)
c. Deficit neurologico ingravescente (progressing stroke)
d. Sindrome da bassa perfusione cronica.
Nell’ambito dei RIA distinguiamo
1. TIA: attacco ischemico transitorio definito come un evento neurologico che ha un
esordio repentino, dura meno di 24 ore e si risolve completamente. Il TIA può
essere causato da un’ipoperfusione oppure da un’embolizzazione.
2. TIA subentrante/crescendo TIA; 2 episodi o più nelle 24 ore.
3. TIA-PT (protratto): quando l’evento neurologico dura più di 24 ore. Difficile
distinguerlo da un ictus (stroke)
4. Il TIA-IR (attacco ischemico transitorio con recupero incompleto) rappresenta una
forma di deficit neurologico che dura più di 24 ore e che lascia reliquati.
I segni neurologici possono essere:
I. A carico dell’occhio presentandosi come un amaurosis fugax
II. A carico del linguaggio presentandosi come una disartria, afasia
III. A carico dell’apparato motorio presentando da un lieve impaccio di un singolo
arto all’emiplegia dell’emisoma opposto alla lesione carotidea.
IV. A carico dell’apparato sensoriale presentandosi come parestesie.
Cefalea, lieve confusione e sensazione di testa leggera possono accompagnare i sintomi
precedenti; tuttavia sono aspecifici e non localizzati e se compaiono da soli non indirizzano
verso un TIA carotideo.
28
Potto
Questo quadro clinico assume notevole importanza se si considera che il TIA rappresenta il
più importante fattore di rischio di stroke.
Infatti, studi prospettici suggeriscono che il 12-13% dei pazienti con TIA andrà incontro ad
un deficit stabilizzato nel primo anno dopo l’inizio dei sintomi ed il 30- 35% entro 5 anni.
L’ictus ischemico o stroke è un:
i. Deficit neurologico focale
ii. Esordio acuto
iii. Non convulsivo
che può andare incontro a miglioramento, peggioramento o stabilizzarsi.
Può essere differenziato:
a. in minor stroke, nel caso in cui la sintomatologia regredisca di circa l’80% entro
tre settimane
b. ed in major stroke quando il miglioramento, se avviene, è più lento e meno
completo.
1. Se lo stroke è caratterizzato da un deficit neurologico stabilizzato si parla di
completed stroke
2. Se il deficit neurologico è ingravescente si parla di progressing stroke; nella
forma stabilizzata il deficit neurologico è grave e duraturo mentre nella forma
ingravescente si assiste al progressivo aggravamento di un quadro clinico
inizialmente lieve che può evolvere fino al decesso, stabilizzarsi o regredire.
29
Potto
La sindrome da bassa perfusione si traduce nel quadro clinico di demenza va-
scolare. È causata dalla distruzione di almeno 100 ml di volume encefalico conseguente a lesioni ischemiche multiple. Essa rappresenta il 15% di tutte le demenze.
Un paziente viene considerato asintomatico solo se non sono presenti, o non si sono
manifestati in precedenza, deficit neurologici di qualsiasi natura, anche se l’esame
neuroradiologico cerebrale è positivo per lesioni ischemiche.
Il grado di stenosi, la densità della placca e la sua progressione nel tempo sono correlati al
rischio relativo delle lesioni aterosclerotiche della carotide. I pazienti a più alto rischio
neurologico sono quelli con una stenosi di entità superiore all’80%, causata da una placca
soffice (a più alto contenuto di lipidi ed a minor contenuto di calcio) od i pazienti in cui la
30
Potto
placca progredisce da una stenosi di entità inferiore all’80% ad una di entità superiore
all’80% durante il follow-up.
Dalle attuali conoscenze sulla patogenesi degli eventi cerebro-vascolari, si evince che:
a. Le placche a bassa densità ecografica (maggior deposito lipidico o emorragia
all’interno della placca)
b. Le placche responsabili di una grave stenosi
c. Quelle in progressione sono associate a un maggior rischio di eventi neurologici
cerebro-vascolari.
Diagnosi
DIAGNOSI CLINICA
La diagnosi di patologia carotidea può essere formulata, almeno per grandi linee, sulla
base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo.
Nei pazienti asintomatici la diagnosi di patologia carotidea può essere ipotizzata in base al
riscontro di un soffio carotideo durante un esame obiettivo eseguito di routine.
I pazienti sintomatici si possono presentare con una storia di TIA o ictus nel territorio di
irrorazione della carotide oppure, occasionalmente, con sintomi meno specifici che
suggeriscono un’ipoperfusione cerebrale globale.
Attraverso l’anamnesi s’indaga circa la natura e la presenza di una sintomatologia
neurologica recente o pregressa ascrivibile ad insufficienza cerebrovascolare e si effettua
un esame neurologico per evidenziare l’eventuale presenza di deficit neurologici reliquati.
Si valuta prevalentemente la presenza di ipostenia o di veri e propri deficit di forza a
carico degli arti, la simmetria della rima buccale e l’eventuale presenza di difficoltà di
linguaggio.
DIAGNOSI STRUMENTALE
Quando si sospetta una patologia carotidea si dovrebbe eseguire una valutazione
dettagliata utilizzando studi emodinamici ed esami di diagnostica per immagini.
Quelli maggiormente utilizzati attualmente sono l’ecocolorDoppler, il Doppler
transcranico, l’angiografia a risonanza magnetica (angio-RM) (indagini non invasive), la
tomografia computerizzata con mezzo di contrasto (angio- TC) e, in casi selezionati,
l’angiografia digitalizzata (indagini invasive).
Gli obiettivi della valutazione dei pazienti con aterosclerosi della carotide sono:
31
Potto
a. Accertare la presenza di una patologia carotidea
b. Valutarne la gravità e le caratteristiche
c. Determinare se la lesione carotidea può essere responsabile dei sintomi presentati
dal paziente
d. Programmare il miglior profilo terapeutico. Questi obiettivi devono essere raggiunti
con il minimo rischio per il paziente.
Non esiste un unico protocollo di valutazione dell’arteria carotide che sia adatto a tutti i
pazienti.
Angiografia con mezzo di contrasto
L’angiografia con mezzo di contrasto oggi trova rare indicazioni, ad eccezione dei casi in
cui si prevede il ricorso ad un trattamento endovascolare della lesione.
EcocolorDoppler
L’ecocolorDoppler rappresenta oggi l’indagine diagnostica iniziale più appropriata,
in quanto priva di rischi, relativamente poco costosa e molto accurata nel visualizzare
l’anatomia del vaso, nel determinare il grado di stenosi, nel valutare la densità della
placca, le caratteristiche della sua superficie e la sua progressione nel tempo.
Questo esame garantisce una buona attendibilità diagnostica con livelli di sensibilità e
specificità molto alti.
Il grado della stenosi viene valutato accuratamente con i dati sulla velocità del flusso
ottenuti dall’analisi Doppler, mentre la densità e le altre caratteristiche morfologiche
vengono ottenute con l’ecografia ad alta risoluzione che consente di individuare una
placca a maggiore o minore rischio emboligeno.
L’esame ecocolorDoppler presenta due importanti limiti. È una metodica operatore-
dipendente e quindi è importante che chi esegue l’esame sia esperto. In secondo luogo,
l’ecocolorDoppler non ha la capacità di visualizzare l’arco dell’aorta, le origini dei grandi
vasi, il tratto distale della carotide interna o la vascolarizzazione intracranica.
Doppler Transcranico
Per lo studio della circolazione cerebrale intracranica oggi si ha a disposizione il
Doppler transcranico (DTC) che permette di ottenere utili indicazioni circa l’integrità
funzionale del poligono di Willis, la reattività cerebrovascolare e la presenza di
stenosi intracraniche.
Il DTC ha trovato largo impiego nello studio pre-/ intra-/postoperatorio tradizionale e nel
controllo del circolo intracranico durante le procedure di chirurgia endovascolare.
- Nella fase preoperatoria permette di valutare la riserva vasomotoria (cioè la
32
Potto
capacità di autoregolazione) e il compenso anatomico del circolo intracranico;
- Durante il monitoraggio intraoperatorio è utile per la rilevazione di segnali
microembolici durante la manipolazione chirurgica dell’asse carotideo e per la
valutazione del compenso emodinamico durante la fase di chiusura della carotide
da operare.
Angio-RM
L’angiografia a Risonanza Magnetica (angio-RM) negli ultimi anni ha soppiantato
l’angiografia digitalizzata nello studio del circolo cerebrale. Questa tecnica ha superato
i precedenti limiti di sovrastima del grado di stenosi e di difficoltà nel fare una
diagnosi differenziale tra stenosi severe ed occlusioni, grazie alla messa a punto di
nuove tecniche di esecuzione dell’esame ed all’introduzione di nuovi mezzo di
contrasto (gadolinio).
Il limite principale di questa tecnica resta l’impossibilità di identificare e quantizzare
le calcificazioni parietali, informazione fondamentale quando si prospetta la
possibilità di un trattamento endovascolare. In questi casi si ricorre alla tomografia
computerizzata (TC) o direttamente all’angiografia digitalizzata, come momento
preliminare alla procedura endovascolare. L’angio-RM può essere considerato un
esame di complemento a quello ultrasonografico; essa infatti fornisce immagini
dell’arco aortico, dell’origine dei grandi vasi, del tratto distale dell’arteria carotide
interna e della circolazione intracranica.
Angio-TC
I limiti diagnostici dell’angio-RM sono stati superati dall’introduzione dell’angio-TC la cui
applicazione più importante nella patologia steno-ostruttiva delle arterie carotidi è la
quantificazione delle calcificazioni parietali.
Lo sviluppo della TC-spirale ad acquisizione rapida, permette di acquisire le immagini
contemporaneamente alla somministrazione del mezzo di contrasto e la ricostruzione
computerizzata dell’immagine conferisce all’angio-TC quasi lo stesso dettaglio anatomico
dell’angiografia standard. Inoltre, le immagini assiali forniscono ulteriori informazioni sulla
morfologia della placca non disponibili con l’angiografia digitalizzata. Il limite di questa
metodica è l’incapacità di identificare le ulcerazioni della placca.
Angiografia Digitalizzata
L’angiografia digitalizzata è un metodo diagnostico invasivo ma resta, per molti, il gold
standard con cui paragonare tutte le altre metodiche diagnosti- che.
L’invasività, la potenziale morbilità e i costi limitano l’applicabilità dell’angiografia con
mezzo di contrasto. Nonostante i nuovi mezzi di contrasto e i migliori protocolli per la
prevenzione dell’anafilassi e dell’insufficienza renale, l’allergia al mezzo di contrasto e la
sua nefrotossicità restano proble- mi ancora poco risolvibili.
33
Potto
Terapia
Terapia medica
La terapia medica dell’insufficienza cerebro-vascolare ha lo scopo di ridurre o prevenire
la comparsa di episodi di ischemia cerebrale.
Essa si fonda prevalentemente sul controllo dei fattori di rischio e può modificare
favorevolmente la storia naturale della patologia carotidea asintomatica.
1. Il trattamento dell’ipertensione rimane la pietra miliare della prevenzione
dell’ictus.
2. Il trattamento delle dislipidemie è controverso.
Alcune metaanalisi hanno indicato che bassi livelli di colesterolo aumentano il rischio di
ictus emorragico (paradossalmente) mentre alti livelli aumentano il rischio di ictus
ischemico.
Rispettando unicamente i principi fondati sull’evidenza, le linee guida esistenti indicano
che la terapia ipolipemizzante deve essere proposta solo ai pazienti con un TIA/stroke
e una storia di cardiopatia ischemica.
Recentemente uno studio, il Medical Research Council/British Heart Foundation
(MRC/BHF) Heart Protection Study (più di 20 000 pazienti randomizzati), ha mostrato che
40 mg di simvastatina giornalieri determinano una riduzione della mortalità tota- le del
12%, una riduzione della mortalità per cause vascolari del 17%, una riduzione degli eventi
coronarici del 24% e una riduzione dell’incidenza di ictus del 27%.
Oltre al controllo dei fattori di rischio la terapia farmacologia si basa sulla
somministrazione di:
a. Farmaci ad azione antiaggregante piastrinica
b. Farmaci vasodilatatori
c. Farmaci anticoagulanti.
Alcuni studi hanno dimostrato un effetto benefico dell’aspirina e della ticlopidina nella profilassi dello stroke dopo un attacco ischemico transitorio o dopo uno stroke
minore. Il meccanismo d’azione dell’aspirina prevede l’inibizione della formazione del
trombo nell’albero arterioso; inoltre, con un’azione dose-dipendente, l’aspirina inibisce la
produzione di prostaciclina da parte delle cellule endoteliali.
La dose ottimale di aspirina da somministrare è dibattuta. Ai fini pratici, i dati suggeriscono
che i pazienti dovrebbero assumere 75-300 mg di aspirina al giorno.
34
Potto
Il clopidogrel è probabilmente il farmaco di seconda scelta nei pazienti che non tollerano
l’aspirina.
Indicazioni al trattamento chirurgico
1. Pazienti Sintomatici: 2 studi importanti (NASCET e ECTS) hanno dimostrato la
superiorità del trattamento chirurgico alla sola terapia medica.
Ad oggi le indicazioni sono per:
a. Stenosi carotidee comprese tra il 70% e il 99%
b. Stenosi carotidee comprese tra il 50% - 69% di sesso maschile con ictus cerebrale e
sintomi emisferici ed in presenza di lesioni tandem.
2. Pazienti Asintomatici: stenosi superiore al 75% ma a condizione che la
morbilità e la mortalità peri operatoria sia inferiore al 3%.
Indicazioni poi di carattere generale che vanno affrontate di caso in caso sono:
1. Analisi della condizione generale del paziente
2. Valutazione della placca.
Trattamento chirurgico classico
La TEA carotidea (endoarterectomia carotidea) consiste nella rimozione della lesione
stenosante a livello della biforcazione carotidea.
L’intervento, però, non è scevro da rischi in quanto prevede una fase di totale
interruzione del flusso ematico cerebrale, possibile causa di sofferenza ischemica e
quindi di complicanze operatorie che, con le moderne tecniche di monitoraggio cerebrale
(Ecocardiografia Trancranico) e attraverso particolari accorgimenti tecnici, possono
35
Potto
essere ridotte a percentuali bassissime.
Ovviamente, ogni singolo paziente deve essere accuratamente valutato prendendo in
considerazione le condizioni generali, il quadro clinico, quello diagnostico ed il rischio
operatorio.
Esistono, infatti, delle condizioni generali, come la cardiopatia ischemica o le malattie
cardiocircolatorie, che possono far aumentare il rischio chirurgico di complicanze ed in
alcuni casi controindicare addirittura l’intervento.
Metodica
1. Si procede alla formazione di uno shunt adeguato tra arteria carotide comune e
arteria carotide interna.
2. Si clampano tutte e tre le carotidi (com/inter/ester).
3. Si procede quindi all’endoarterectomia che può essere per via smussa o per
eversione.
1. Nell’endoarterectomia per via smussa si compie un arteriotomia longitudinale con successiva asportazione della placca. Dopo di che si effettua una sutura diretta
con filo non riassorbibile. Il vaso deve avere un diametro di almeno 5 mm altrimenti si applica una patch di allargamento in materiale sintetico o venoso.
2. L’endoarterectomia per eversione viene più frequentemente utilizzata in presenza
di allungamenti o tortuosità della carotide interna, per correggere tale
atteggiamento emodinamicamente sfavorevole. La TEA carotidea per eversione
richiede la sezione completa dell’arteria carotide interna alla sua origine.
L’arteria viene "rovesciata" sul suo asse maggiore ed il cilindro ateromatoso
viene espulso.
36
Potto
Complicanze
Immediate
1. Ipertensione
2. Ischemia da clampaggio
3. Embolizzazione intraoperatoria o postoperatoria
A lungo termine
a. Restenosi: L’uso routinario dell’ecocolorDoppler nel controllo post-operatorio dei
pazienti sottoposti a TEA carotidea ha permesso di identificare la presenza di
restenosi indipendentemente dalla loro espressione clinica, di definire la reale
incidenza di questa complicanza e di valutare la sua evoluzione nel tempo.
L’incidenza della restenosi varia dal 7,3% al 22%, con una maggior incidenza nel
sesso femminile.
PTA3-Stenting
Negli ultimi anni si è andata concretizzando la possibilità di trattare la patologia carotidea
con un approccio endovascolare mininvasivo di PTA-stenting; in realtà, fino a qualche anno
fa, la mancanza di studi prospettici non ha permesso di definire chiari criteri di
applicazione della chirurgia endovascolare carotidea.
Sono stati condotti due studi differenti [NAPTCAR e CREST] che hanno dato i
seguenti risultati.
Se i pazienti non vengono selezionati secondo criteri ben definiti allora la morbilità e la
mortalità di questa metodica è superiore a quella chirurgica classica.
Se i pazienti invece sono selezionati allora la PTA-stenting lascia presupporre esiti
migliori.
3 Angioplastica Transluminale Percutanea
37
Potto
Questo è il caso di:
a. Un paziente ad elevato rischio chirurgico (età maggiore di 80 anni, angina
instabile, malattie gravi concomitanti).
b. Di un paziente con una restenosi c. Biforcazione carotidea molto alta e non aggredibile chirurgicamente
d. conformazione anatomica del collo tale da rendere difficoltoso l’approccio
chirurgico
e. collo ostile
f. stenosi post-attinica
Metodica
Si entra mediante catetere con palloncino attraverso la femorale portandosi vicino alla
sede della lesione. La complicanza più pericolosa e frequente se non si prendono le dovute
accortezze e l’embolizzazione a seguito della rottura della placca.
Per questo motivo si può procedere in due modi:
I. chiusura della carotide interna distale
II. Applicazione di un filtro a livello della carotide distale: questo metodo è il più
usato perché è semplice e non interrompe il flusso.
Dopo di ché si procede all’angioplastica e l’applicazione dello Stent.
Complicanze
Le stesse della Endoarterectomia.
38
Potto
Aneurismi
Definiamo “Aneurisma” la permanente dilatazione focale ed ingravescente di un’arteria
che presenta un incremento di almeno il 50% del suo diametro normale, la cui parete
conserva la fisiologica struttura suddivisa in intima, media e avventizia. Una dilatazione
con un aumento del diametro inferiore al 50% viene definita ectasia.
Questo consente di definire invece come “pseudo aneurismi” o anche detti “falsi
aneurismi” le cavità contenenti sangue in comunicazione con una arteria, ma nelle cui
pareti non si dimostrano costituenti elastici e muscolari tipici di una arteria, cioè non
rinveniamo la normale struttura suddivisa in intima, media e avventizia.
Figura 2; Forme diverse di aneurisma. Sulla dx rappresentazione di un falso Aneurisma
39
Potto
Quali sono le sedi più frequenti di aneurisma? Si possono formare in tutte le arterie ma le
localizzazioni più frequenti sono:
Aorta addominale (sotto o infra renale): 65% dei casi (90% al di sotto della
arterie renali)
Aorta toracica: 33% (7% a livello dell’arco,10% aorta ascendente4,16% aorta
discendente)
Aorta toraco-addominale 2% dei casi
Arterie periferiche: 70% arterie poplitee spesso bilaterali 20% arteria femorale.
Gli aneurismi possono esser classificati sia dal meccanismo etiopatogeneico che ne è alla
base (vedi sotto) sia dalla morfologia che li contraddistingue.
Dal punto di vista morfologico possiamo trovarci in presenza di aneurismi:
a. Sacciformi, se la dilatazione è localizzata ad una porzione della
circonferenza aortica, protrudente a mo’ di sacca ed è provvista di un colletto
che mette in comunicazione il lume arterioso normale con la parete dilatata, è
importantissima la valutazione del colletto perché in caso di intervento chirurgico
possiamo clampare il colletto e intervenire sulla sacca aneurismatica.
b. Aneurismi fusiformi, in cui la dilatazione è simmetrica, cioè coinvolge
l’intera circonferenza della parete, in maniera uniforme lungo l’asse longitudinale
del vaso (vedi foto prima pagina per esempio di aneurisma fusiforme).
c. Aneurismi Dissecanti, sono determinati dallo scollamento delle tuniche
vasali con formazione di un nuovo lume nell’interno della parete arteriosa (lume a
canna di fucile).
Epidemiologia
Il 65% degli aneurismi interessa l’aorta addominale mentre il 33% coinvolge l’aorta
toracica. La sede più colpita è sotto l’emergenza delle arterie renali 90%, mentre sopra
renali e iuxtarenali rappresentano ciascuna il 5 %.
Il motivo per cui il distretto sottorenale è maggiormente colpito è attribuibile a:
I. Diminuita componente elastica,
II. Assenza dei vasi vasorum,
III. Più alte resistenze rispetto all’aorta toracica,
4 Maggiore componente elastica (forse è quella più frequente)
40
Potto
IV. Flusso turbolento a causa dell’emergenza dei vasi viscerali
In generale l’incidenza degli aneurismi addominali è abbastanza frequente con un 1,8-
6% dopo i 60 aa, e una prevalenza del 3-6% sempre dopo i 60 aa. Gli uomini sono
maggiormente colpiti, come in tutte le malattie aterosclerotiche, con un rapporto di 2-
4:1, ma quando sono colpite le donne, la prognosi è peggiore.
Il trattamento non può essere medico, ma solo chirurgico, visto che l’esito è solitamente
la rottura con un quadro eclatante di shock emorragico e morte.
Etiopatogenesi
Dal punto di vista eziopatogenetico, possono essere suddivisi in:
i. Congeniti, rappresentati classicamente dagli aneurismi endocranici, comprendono non solo quelli presenti alla nascita, ma anche quelli la cui
comparsa in età successiva è comunque riconducibile a debolezza congenita
della parete arteriosa.
ii. Acquisiti, che possono essere suddivisi in:
degenerativi -sono per lo più di tipo arteriosclerotico, meno frequenti sono
quelli di tipo fibrodisplasico e quelli dovuti alla necrosi della tunica media. La placca
aterosclerotica determina una degenerazione dei vasa vasorum creando un locus
minoris resistentiae.
micotici: la migrazione di emboli settici può dar luogo ad una infezione che si
localizza a livello della tunica media del vaso che poi si propagherà come arterite
transmurale; generalmente sono secondari ad endocardite batterica
infiammatori: Questi aneurismi sono quasi sempre localizzati a livello dell’aorta
sottorenale con parete di spessore aumentato (2-3 cm) a superficie biancastra,
lucida, tenacemente aderenti alla quarta porzione del duodeno, alla vena cava e ad
alle strutture contigue.
Traumatici: qualsiasi trauma (contusioni, lacerazioni parziali, compressione sul
piano osseo) capace di compromettere l’integrità vasale senza determinante la
rottura, ma solo una di minore resistenza della parete arteriosa alla pressione
endoluminale. Altra possibilità è la formazione di una dilatazione aneurismatica
post-stenotica; tipico è l’esempio della succlavia compressa da una costa cervicale
sovranumeraria
Dal punto di visto patologico:
L’indebolimento della parete vasale porta ad un progressivo aumento del raggio e
41
Potto
inevitabilmente della tensione a cui sarà sottoposto lo stesso per la legge di La Place5, con
ulteriore allargamento del vaso e con instaurarsi di un circolo vizioso che può
interrompersi con la rottura del vaso stesso. Questo perché maggiore è il calibro
dell’aneurisma, minore è lo spessore della parete, maggiore sarà la tensione di parete.
La diminuzione della velocità di flusso favorisce la formazione di trombi, possibile
complicanza degli aneurismi.
Gli aneurismi sono situazioni ingravescenti con un aumento del rischio di rottura
proporzionale all’aumento di diametro dell’aneurisma. Gli aneurismi toracici e
addominali sono quelli più tendenti alla rottura.
Gli aneurismi poplitei invece sono più frequentemente sede di embolizzazione.
Rischio di rottura dell’aneurisma a 5 anni in rapporto al
diametro (normalmente l’aorta ha un diametro di 2 cm)
Diametro Rischio di rottura a 5 anni
<5 cm 6-12%
5-6 cm 35%
10-12 cm 75%
Clinica
Il 90% delle volte gli aneurismi sono asintomatici ed è proprio per questo che
5 In contenitori con parete distensibile (organi cavi, vasi), il riempimento deforma la parete che sviluppa una
tensione in risposta all’allungamento.
42
Potto
hanno un decorso clinico subdolo.
Altre volte il paziente può riferire dolore lombare (raro in caso di stabilità anatomica)
sia tipo lombasciatalgia, per compressione radicolare, sia tipo colica renale, per
compressione dell’uretere. Può inoltre riferire sensazione di pulsazione addominale e nel
25% dei casi claudicatio intermittens.
Ispezione: tumefazione allungata a maggiore asse longitudinale in sede
mesogastrica e/o nei quadranti sinistri dell’addome con pulsazione sincrona con il polso
che solleva il piano cutaneo.
Palpazione: Importante è un attento esame obiettivo e la ricerca di una massa
addominale con determinate caratteristiche:
Pulsante: la mancanza di pulsatilità esclude la diagnosi di aneurisma dell’aorta
Espansibilità propria, aumenta e diminuisce di volume in sistole e diastole
rispettivamente (diagnosi differenziale con cisti pancreatica, che pulsa per la
presenza dell’aorta dietro, ma non si espande)
Elastica e limiti netti
Poco mobile, non spostabile sul piano cranio caudale
Non dolente né dolorabile, se non in fase pre-rottura.
Per valutare se l’aneurisma è sopra o sotto renale si può utilizzare la manovra
semeiologca di De Bakey6 che consiste nell’effettuare una palpazione bimanuale
profonda dell’epigastrio, tenendo le mani ben accostate, abbastanza rigide e
leggermente flesse. Se eseguendo tale manovra si ha la sensazione di riuscire a
“uncinare” completamente con la punta delle dita il polo craniale dell’aneurisma, esso è
sottorenale.
Auscultazione: noteremo la presenza di un soffio sistolico.
Diagnosi
La diagnosi strumentale si divide in:
Non invasiva:
Eco-color doppler, consiste in ultrasuoni che sono riflessi diversamente in base
alla densità dei tessuti. Ci dà informazioni sulla posizione dell’aneurisma, sulla
presenza o meno di trombosi, sul diametro esatto, ma non sul coinvolgimento di
6 Ormai in disuso.
43
Potto
altri organi. È un indagine perfetta per lo screening ma se l’aneurisma è profondo
può dare scarse informazioni.
Angio-TC spirale, utilizza un mezzo di contrasto iodato che può essere
nefrotossico. Posso fare un’indagine puramente arteriosa in cui vedo solo le
strutture arteriose o comprendere pure la fase venosa; questo ci permette di
vedere anche il coinvolgimento di altri organi. Questa metodica costituisce
attualmente il gold standard.
Angio-RNM, può essere alternativa alla TC, perché non utilizza il mezzo di
contrasto.
Invasiva:
• Angiografia, molto invasiva, ormai si fa solo durante l’intervento
chirurgico. Tecnicamente pungo l’arteria femorale, dove poi inserisco
un catetere diagnostico in una guida; sfilo la guida, immetto il mezzo di
contrasto e acquisisco l’immagine. Era utilizzata maggiormente quando
la TC era solo assiale, perché ci permette la visualizzazione dei circoli
collaterali, ora lo fa anche la TC spirale. Non ci dà informazioni su ciò che
avviene al di fuori del vaso.
44
Potto
Una volta si utilizzava anche l’RX addome, ma l’aneurisma era un reperto per lo più
occasionale.
Complicanze
Il tasso di crescita medio degli aneurismi è di 3-5 mm all’anno e le complicanze
possono essere:
• rottura; il diametro dell’aneurisma è direttamente correlato
alla probabilità di rottura. Considerando un diametro fisiologico
medio di circa 2 cm nell’uomo, vediamo che fra i 4 e i 5.4 cm il
rischio annuo è dell 1%, fra i 5.5 e i 6.5 cm è del 5% all anno e
per aneurismi maggiori ai 6.5 cm, il rischio di rottura è del 25%.
Clinicamente la rottura si presenta con dolori addominali irradiati postero-
anteriormente, violenti e insopportabili, con addome teso e non trattabile.
Possono irradiare anche distalmente in regione scrotale.
Non è un dolore colico e bisogna stare attenti a non sottovalutarlo, la morte può
sopraggiungere in 7h.
La rottura può avvenire per scoppio o per fissurazione; il sangue si riversa nello
spazio retroperitoneale, più raramente nel cavo peritoneale o, in caso di fistole, negli
organi coinvolti (duodeno e cava inferore). Il paziente sarà ipoteso, tachicardico e
potrà avere episodi di lipotimia o un quadro di shock emorraggico.
La mortalità globale degli aneurismi aortici rotti è del 70%, con l’intervento
chirurgico scende al 50%.
45
Potto
• embolizzazione; a seguito della formazione di un trombo
endo-aneurismatico può staccarsi un embolo, in genere di
piccole dimensioni, che andrà localizzarsi a livello dei vasi distali.
Clinicamente avremo il “trash foot” o la “ blue toe
syndrome”, con cianosi delle dita del piede e ischemia critica
degli arti inferiori.
• formazione di fistole; il contatto prolungato fra l’aneurisma
e le strutture adiacenti può portare alla formazione di fistole e
conseguentemente alla rottura dell’aneurisma, il sangue si
riverserà in altri organi. Le strutture con cui si formano le fistole
sono la 3a e 4a porzione duodenale e la cava inferiore.
In caso di rottura nel duodeno retroperitoneale avremo ematemesi e melena
come segni clinici.
In cava inferiore la gravità della situazione dipende dalla grandezza della
fissurazione. Clinicamente il dolore può essere assente o modesto a livello
addominale, ma avremo una grave insufficienza del cuore dx, per un repentino
aumento di portata che può arrivare fino allo stato di shock ad alta portata, con
circolo ipercinetico. Potremmo individuare la presenza di reflusso epato-
giugulare ed edemi agli arti inferiori per la grave ipertensione venosa.
• trombosi; soprattutto a livello popliteo.
Trattamento
Il trattamento medico si basa sulla e arresto della degenerazione dell’aneurisma.
Praticamente tratteremo i diminuzione della crescita pazienti con:
• statine
• antiipertensivi come beta-bloccanti e ACE inibitori
oltre ad invitarli a smettere di fumare e ad eliminare altri fattori di rischio.
Per quanto riguarda il trattamento chirurgico dobbiamo prima fare una premessa.
Indicazioni al trattamento chirurgico
Per aneurismi con diametro inferiore ai 4 cm, non si ritiene necessario l’intervento, ma
solo la sorveglianza; per aneurismi con diametro fra i 4 e i 5.5 cm si valuta caso
per caso; per aneurismi con diametro maggiore ai 5.5 cm programmo un trattamento
46
Potto
chirurgico o endovascolare. Inoltre bisogna ricordare che le donne hanno un maggiore
rischio di rottura a parità di diametro.
Trattamento Chirurgico classico
In laparatomia, sostituisco la parte aneurismatica con una protesi in dacron o di PTFE,
dopo la resezione e la messa a piatto della aorta.
Il trattamento endovascolare (EVAR) è una nuova metodica che nasce per i pazienti che
non tollerano:
1) anestesia;
2) apertura laparotomica;
3) clampaggi dell aorta;
4) con addome ostile per precedenti interventi.
Quindi meno invasiva rispetto alla chirurgia tradizionale a cielo aperto. Questa tecnica si
basa sull'impianto di una protesi endovascolare per rinforzare la parete aortica ed
evitare la rottura dell'area lesionata.
Durante la procedura, una protesi endovascolare viene posizionata all'interno dell'aorta
addominale per proteggere l'aneurisma dal rischio di rottura.
L’endoprotesi compressa viene introdotta a mezzo di catetere per via arteria femorale.
Il rilascio ne determina l’apertura con l’ancoraggio della protesi al di sopra
dell’arterie renali. Nello specifico “La protesi viene ancorata prossimalmente al di sotto
delle arterie renali (nuovi modelli di protesi senza rivestimento all’estremità permettono
l’ancoraggio anche al di sopra delle arterie renali) e distalmente nelle iliache comuni.
Moduli aggiuntivi possono essere impiantati quando l’aneurisma coinvolge in maniera
estesa le iliache comuni o le esterne. Tradizionalmente, l’endoprotesi viene inserita
nell’aorta addominale attraverso l’isolamento chirurgico e l’arteriotomia femorale mono o
bilaterale, in considerazione del grosso calibro degli introduttori.
Vantaggi dell’EVAR
i. Ridotta mortalità
ii. Non è necessario intervenire sull’addome (è possibile intervenire
anche su addome ostile)
iii. Minori tempi di ospedalizzazione e post-intervento
iv. Non richiede anestesia generale
47
Potto
Pungo le aa femorali dove inserirò i cateteri con le guide e le protesi. Se utilizzo una protesi di Zenit Cook
avrò 3 pezzi da inserire; a dx inserisco il main body con gamba lunga il cui margine superiore andrà a porsi
a livello del colletto; poi da sx inserisco la protesi a gamba corta in arteria iliaca comune di sx ed infine il
terzo pezzo a dx per stabilizzare la gamba lunga quindi lo scheletro di metallo della protesi viene fissato a
pressione sulla parete dell’aorta su una porzione sana di parete prossimale alla dilatazione aneurismatica
al di sotto del’emergenza delle arterie renali, detta appunto colletto. Questo deve essere maggiore di 1.5
cm di lunghezza e minore di 30 mm di diametro. In assenza di queste indicazioni anatomiche e in presenza
di calcificazioni iliache diffuse, la procedura endovascolare può essere sconsigliata.
Posso anche utilizzare la protesi “talent”, è costituita da soli 2 pezzi, cioè il main body possiede già il 3 pezzo,
vale a dire la parte che gli permette di arrivare all’ipogastrica.
La chirurgia tradizionale è più definitiva del trattamentto endovascolare anche se maggiormente invasiva e
con più elevato rischio di complicanze intra operatorie (emorragia, shok da declampaggio, lesione degli
ureteri, insufficienza renale, paraplegia). Nel trattamento endovascolare la protesi è solo appoggiata e se
l’aorta dovesse spanciarsi, sarebbe necessario un nuovo intervento. Tuttavia la mortalità intaoperatoria è
minore nella procedura endovascolare.
Una possibile soluzione per allargare le indicazioni al trattamento endovascolare nei pazienti con colletto
aortico corto e l’utilizzo di endoprotesi fenestrate.
48
Potto
ANEURISMI dell’AORTA TORACICA
La frequenza di questi aneurismi è molto inferiore rispetto a quelli a carico dell’aorta
addominale, ma si ha una spiccata tendenza alla rottura e, per diametri superiori ai 7
cm, la mortalità è del 25%. Anche questi hanno indicazioni al trattamento se il diametro
supera i 5,5 cm. Clinicamente spesso sono asintomatici fino alla rottura, poi compare un
violento dolore retrosternale, emomedisatino e/o emotorace, scompenso cardiaco e
talvolta tamponamento. Talvolta possiamo avere embolia polmare. Per aneurimsi
maggiori di 5,5 cm si possono avere sitnomi da compressione delle strutture adiacenti
come: disfonia, singhiozzo, tosse, dspnea e disfagia. Bisogna fare diagnosi differenziale
con infarto del miocardio e dissecazione aortica, tuttavia spesso la diagnosi è
occasionale in corso di TC, angio RMN o eco transesofagea. In caso di aneurisma toraco-
addominale si rischia l’ischemia del midollo spinale (per diminuito afflusso all’arterie
intercostali che irrorano anche il midollo) con conseguente paraplegia.
Nei casi di aorta toracica è importante la sede che è coinvolta, perché sé è coinvolta la
parte prossimale ascendente faremo sempre l’intervento Bental de Bono, che consiste
nell’inserire una protesi a livello del bulbo, più una protesi valvolare aortica. Le
coronarie saranno poi inserite direttamente sulla protesi (intervento eseguito anche per
la dissecazione aortica di tipo A).
Classificazione anatomica quella di Stanford, definisce di tipo A la dissezione che coinvolge
l'aorta ascendente, anteriore, prossimale e di tipo B quella limitata all'aorta discendente,
posteriore e distale. Dal punto di vista temporale Miller considera la dissezione acuta se
minore alle 2 settimane e cronica se maggiore alle 2 settimane, mentre De Bakey la
definisce acuta sotto le 2 sett, sub acuta fra le 2 settimane e i 2 mesi e cronica sopra ai 2
mesi. Il 95% delle dissecazioni iniziano o a valle delle emergenza delle coronarie o a valle
della succlavia sinistra.
Un’ altra classificazione si può fare su base anatomo patologica e distingue:
1) Tipo A: alterazione congenita del connettivo nel tessuto elastico della tonaca media
(Sindrome di Marfan, Sindrome di Ehlers Danlos). Questa è tipica dei giovani e
rappresenta circa i 2/3 del totale. La mortalità è maggiore dell’1%/h nelle prime 48h
e dell’80-90% a un mese.
2) Tipo B: degenerazione muscolare liscia all’interno della tonaca media, rottura di
49
Potto
placca aterosclerotica. Questa è tipica degli anziani e rappresenta il restante terzo. La
mortalità immediata negli asintomatici è del 10%, con rottura del 60% e per
complicanze ischemiche del 75%. La mortalità tardiva è fino all’84%.