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Grisi_Steffann

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Avvenire 16/12/2014

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ArchitetturaL’attualità religiosa degli edifici di Rudolf Schwarz, Dominikus Böhm e altri aderential "movimento liturgico" tedescoIl caso di Emil Steffann, che ne costruì 39 in vent’anni

LEONARDO SERVADIO

olo chi sa prender sul se-rio l’arte e il gioco puòcomprendere perché contanta severità e accura-tezza la liturgia stabiliscain una moltitudine di pre-scrizioni come debbano

essere le parole, i movimenti, i colori, le vesti, gli og-getti di culto». Il tono della nota affermazione di Ro-mano Guardini, contenuta nel volume Lo spiritodella liturgia, induce a un’atmosfera angelica, se-rena, familiare. Quel libro, pubblicato nel 1918, in-sieme con I santi segni, di poco successivo, costi-tuisce un po’ il manifesto del "movimento liturgi-co": la corrente di pensiero manifestatasi in parti-colare dai primi anni del ’900, volta a dare nuovavita ai riti e a promuovervi «l’attiva partecipazio-ne» del popolo dei credenti.Il sodalizio stabilitosi tra l’architetto RudolfSchwarze Guardini resterà come l’espressione piùevidente di quell’epoca: del resto il primo maturònelle file del movimento giovanile cattolico tede-sco Quickborn di cui il teologo italo tedesco era laguida spirituale. E l’icona di quell’opera resterà lasala dei cavalieri nel castello di Rothenfels, sededel Quickborn: un salone rettangolare presso laparete lunga del quale era posto l’altare, mentre susgabelli mobili l’assemblea vi si raccoglieva attor-no. Secondo il teologo Karl Rahner proprio gli in-contri a Rothenfels e la sala organizzata come cap-pella è stata il modello per la riforma liturgica delConcilio. E quel modello liturgico architettonico è stato va-riamente preso come esempio per organizzarechiese parrocchiali dopo il Concilio: ma per archi-tetti come Schwarz, Dominikus Böhm o Emil Stef-fann che hanno operato, sia prima, sia dopo la se-conda guerra mondiale, affratellati da un comunesentire con Guardini, era evidente che ogni edifi-cio e ogni luogo di culto ha un’identità propria, eche una chiesa parrocchiale è ben diversa da unacappella per giovani universitari: insomma non visono modelli architettonici, bensì comunità che siriuniscono in luoghi specifici. Nella quarantina di chiese che ha progettato tra glianni ’30 e gli anni ’50, Schwarz ha preferito il tipobasilicale, per quanto re-interpretato secondo cri-teri moderni. Esempio prototipico di questo restala chiesa del Corpus Christi eretta ad Aachen nel1930: un edificio di estrema semplicità, memore delromanico, dalle pareti spoglie, dove il biancore del-l’intonaco si nutre della luce che è assunta comemateria prima del costruire. Dominikus Böhm,col quale in alcune circostanze Schwarz collaborò,ha preferito invece rivedere in chiave modernal’approccio gotico, come risalta nella chiesa di Cri-sto Re di Bischofsheim, del 1925, dove oltre al pos-sente campanile spicca il portale composto da ar-chi a sesto acuto che si ritrovano anche nelle ner-vature interne. A differenza di Schwarz, Böhm ha preferito gli e-difici a pianta centrale, come si vede nel caso di St.Engelberta Colonia o di San Giovanni Battistaa NeuUlm. Sono tutte chiese in cui si cerca di interpre-tare la continuità storica pur nella scelta di moda-lità costruttive schiettamente contemporanee.Schwarz e Böhm intensificarono la loro opera do-po la seconda guerra mondiale. La Germania di-strutta doveva essere ricostruita: decine di migliaiadi chiese furono rifatte in toto o in parte. Tra i tanti che presero parte a questo enorme im-pegno edificatorio, spicca l’opera diEmil Steffannil quale, secondo il liturgista e storico dell’arte be-nedettino Frédéric Debuyst, ha compiuto nellachiesa di San Lorenzo a Monaco-Gern della metàdegli anni ’50, una nuova "Rothenfels", ovvero u-na nuova chiesa-icona, ma di carattere parroc-chiale. La semplicità dell’edificio, con tetto a dop-

S«pia a falda, si risolve all’interno in un’aula dilatatanel senso della larghezza con un’abside che avvol-ge ed evidenzia l’altare posto su una pedana pro-tesa verso il centro, tra tre blocchi di sedute in cuisi raccoglie l’assemblea.«L’edificazione di chiese ha lo scopo originario disostenere la costruzione della Chiesa di pietre vi-venti. Ciò esige necessariamente un processo diriduzione e concentrazione: l’eccesso formale ri-schia di apparire uno strumento per celare le im-perfezioni del raduno comunitario». Lo scrive Al-bert Gerhards, decano della facoltà di teologia cat-tolica dell’università Eberhard-Karls di Tübingen,nell’introduzione al volume Possiamo ancora co-struire chiese? Emil Steffann e il suo atelier, il pri-mo vasto studio sistematico sulle opere del gran-

de architetto, elaborato da Tino Grisi sulla base del-la propria tesi dottorale e pubblicato in italiano ein tedesco (Verlag Schnell & Steiner, pagine 288, 160illustrazioni a colori, 85 in bianco e nero, euro49,95). Sono 39 edifici costruiti fra il 1950 e il 1968,ma la narrazione di Grisi comincia con la descri-zione della "regia" studiata da Steffann per la pro-cessione del Corpus Domini di Lubecca, nel 1932:vi si riconosce il primato della liturgia rispetto al-l’edificio. Come scrive Grisi: «Chiesa è per Steffann,"rimanere, ascoltare, vedere, andare, mangiare":elenca delle azioni, non parla di stilemi, rappre-sentazioni, atmosfere…». Perché l’architetto tede-sco, nato nel 1899 e morto nel 1968, desidera non«creare un contesto formale per il rito, bensì fareesperienza autentica di uno sfondo simbolico». Le sue chiese sono perlopiù rivestite in mattoni, so-no dotate di muri pieni e solidi, spesso hanno am-bienti previ con battisteri in cui l’acqua è presen-te come un forte richiamo simbolico. Nella chiesavera e propria non si entra mai seguendo un per-corso assiale che conduce dritto all’altare, ma daporte laterali e bisogna voltarsi per guardare al cen-tro della celebrazione; in molti casi vi sono lam-padari composti da una grandissima ruota sospe-sa che, incentrata sull’altare, abbraccia e simbo-leggia il popolo circostante e il suo anelito celeste.Tutti edifici semplici, ma tutti ricchi di segni che neesplicitano il senso. Perché, come ha scritto Simo-ne Weil, «l’architettura consiste nel portare nellepietre le relazioni umane».Nessuna delle chiese realizzate in Germania, pri-ma o dopo la guerra, è assurta alla fama della cap-pella di Ronchamp, che Le Corbusier progettò ametà degli anni ’50 sotto l’attenta guida dell’arti-sta domenicano padre Couturier. Se questa infat-ti si pone come gesto di grande originalità creati-va, solitario sul culmine di un colle, le chiese te-desche nate nell’ambito del "movimento liturgi-co" sono tutte frutto di un atteggiamento di servi-zio per la comunità che ospitano. Ed è per questoche continueranno a rappresentare esempi da cuitrarre ispirazione per accogliere liturgie coinvol-genti e partecipate, radicate nel contesto sociale,come quelle auspicate e praticate da RomanoGuardini; non gesti artistici isolati, unici e non ri-producibili.

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La chiesa di Cristo Re di Böhm a Bischofsheim/Mainspitze

Pieve di Cento. Il «totalmente altro» delle icone fra Modigliani e Carrà CATERINA DALL’OLIOPIEVE DI CENTO (BOLOGNA)

ondi d’oro, figure piatte e miste-riose, narrazioni sospese, un uni-verso di simboli ardui da decifra-re. La millenaria arte degli icono-

grafi può sembrare lontana dal nostro d-na occidentale e secolarizzato, inveceproprio oggi è in netta crescita l’attrazio-ne che esercita su un pubblico trasversa-le, fatto di giovani e meno giovani, nonnecessariamente credenti. Lo testimonia la mostra Tradizione dellosplendore. Icone italiane contemporanee,fino al 1° marzo a Pieve di Cento (Bolo-gna) e soprattutto la sede del tutto inedi-ta che è stata scelta, il Magi ’900. Un mu-seo di arte contemporanea, dove sono e-sposti Modigliani e Carrà.«Per noi si tratta di una svolta molto im-portante», ammette don Gianluca Busi,

Ftolica no. In ogni caso nel-la mostra di Pieve di Centosono stati chiamati inquanto artisti». Artisti, nonsemplici artigiani, sarebbeun errore grave considerar-li tali, anche se l’iconogra-fia tradizionale riprende inlarga misura modelli bizan-tini e duecenteschi, conmodalità espressive chevengono da molto lontano.La fede rimane una carat-teristica della loro spiritua-lità.Lo stesso discorso vale per

il pubblico al quale l’esposi-zione è rivolta. «Le nostre icone non par-lano necessariamente a un pubblico dicredenti, si tratta di un’opera che possia-mo definire di "preevangelizzazione" –spiega don Gianluca, che fa parte della

Commissione per l’arte sacra della dio-cesi di Bologna – proprio per questo nonsi richiede la padronanza del linguaggiodei simboli: l’icona del resto si imponeda sola e in modo immediato, con unacomunicazione semplice e chiara, è que-sta la sua forza».Un’arte millenaria e profonda che rap-presenta un ponte tra oriente e occiden-te e che oggi diventa quasi necessaria. «Ladomanda di icone negli ultimi anni è co-

stantemente in crescita – spiega donGiancarlo – e il motivo sta proprio nel lin-guaggio iconografico, che di per sé è di-stante dalla nostra quotidianità e per que-sto ci pone di fronte al totalmente altro.Con una frattura netta, in una dimensio-ne di spiritualità che poi ci può attrarre oanche respingere, ma che non ci lasciamai indifferenti».Un esempio "laico" alla portata di tutti?«Di fronte all’icona ci succede la stessacosa che capita a chi si trovi a passare inautostrada nei pressi di Reggio Emilia evede il ponte di Calatrava. Il viaggiatorerimane colpito perché si tratta di qual-cosa di assolutamente sovradimensiona-to, non c’era bisogno di una cosa del ge-nere per realizzare un semplice svincoloautostradale. Proprio per questo, imme-diatamente, in ognuno di noi scatta qual-cosa: la sua bellezza ci porta altrove».

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Una mostra di opere di iconografiitaliani in un museo di arte

contemporanea. Un dialogo fra duemondi che sta ottenendo successodi pubblico: giovani e meno giovani,ma non necessariamente credenti

curatore della mostra e luistesso iconografo. DonGianluca dipinge icone tut-ti i giorni, da vent’anni aquesta parte. Tiene corsi inItalia e all’estero, scrive li-bri: «O dipingo o insegno,lo considero il mio ministe-ro». Un percorso artistico einsieme di fede, che ormaifa tutt’uno con la sua vita.La stessa cosa si può direper gli altri quindici maestriiconografi presenti in mo-stra.«Alcuni sono religiosi, altrisono laici, anche se vivono co-munque una dimensione di fede moltointensa. Donne e uomini, qualcuno di lo-ro insegna anche teologia. Nella chiesaortodossa per questa attività è previstoun ministero apposito, nella chiesa cat-

Le CHIESEdegli «eredi»di Guardini

Forte: san Francesco come Gesù, la verità èsolo nella sequelaMAURIZIO SCHOEPFLIN

erché da ottocento anni la figu-ra di Francesco d’Assisi continuaad affascinare? Prende le mosseda questa domanda il breve li-

bretto di monsignor Bruno Forte, arci-vescovo metropolita di Chieti-Vasto, nelquale sono raccolti i testi di tre medita-zioni da lui tenute durante la Quaresimadel 2014 in una grande chiesa del capo-luogo abruzzese. Il fascino di Francescosi è manifestato assai presto (già Dante,che nasce un’ottantina d’anni dopo dilui, ne esalta la straordinaria figura nelceleberrimo XI canto del Paradiso) e neisecoli è stato avvertito da uomini moltodiversi per cultura e sensibilità. Forte ci-ta l’esempio di Hermann Hesse, che ri-corre a parole particolarmente ammi-rate per descrivere la sublimità della te-stimonianza del Poverello. Al fine di far comprendere ai lettori i mo-tivi profondi di tale venerazione, l’auto-re li guida lungo un itinerario in tre tap-pe. «Dopo aver percorso – si legge nel-l’Introduzione – quella che potrebbe dir-si la via della purificazione di Francesco,corrispondente al cammino della suaconversione, lo accompagneremo nellafase "illuminativa" del suo percorso, ecioè in quegli eventi ed esperienze in cuila luce di Cristo crocifisso venne a ri-splendere sempre più profondamentein lui. Infine, la stagione della vita diFrancesco, che corrisponde alla tappacosiddetta "unitiva", ci porterà a consi-derare come egli abbia completato ciòche mancava nella sua carne alla pas-sione di Cristo, a vantaggio del suo cor-po, la Chiesa, per il bene di tutta la fa-miglia umana».Dopo aver vissuto varie esperienze edessere guarito da una grave malattia, in-torno ai ventitré anni Francesco avver-te la chiamata di Cristo che gli chiede dicambiare vita, sino a dimenticare ogniumana preoccupazione per servirlo e re-staurare la sua casa: tale rinnovamentointeriore raggiungerà il culmine con ilmistico sposalizio che lo unirà indisso-lubilmente a Madonna Povertà. France-sco è dunque pronto per testimoniare ilVangelo senza riserve: il Crocifisso lo haavvinto definitivamente a sé e gli illu-minerà la strada. Egli lo seguirà con to-tale fiducia, amandolo sopra ogni cosa. Scrive Forte: «Senza questo amore tota-le al Figlio di Dio incarnato, nulla si com-prenderebbe di Francesco e della sua o-pera!». L’identificazione del Santo conGesù raggiungerà la pienezza e il donodelle stimmate, ricevuto sul monte del-la Verna, rappresenta la manifestazionedrammatica e splendente di questa suaperfetta adesione all’amatissimo Signo-re. Per usare una terminologia cara al fi-losofo danese Søren Kierkegaard, al pa-ri di Cristo, Francesco non vuole ammi-ratori, ma imitatori: opportunamenteForte costella le proprie riflessioni di do-mande tendenti a coinvolgere il lettorenell’esperienza francescana, invitando-lo a non rimanere soltanto spettatore diessa.

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Bruno Forte

SEGUIRE GESÙ CON SAN FRANCESCOUn itinerario spirituale

Edizioni San Paolo. Pagine 76. Euro 8

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la recensione

25Martedì16 Dicembre 2014 A G O R À c u l t u r a

La chiesa di San Bonifacio a Lubecca di Emil Steffann

La chiesa di San Lorenzo a Monaco di Emil Steffann

St. Engelbert a Colonia di Dominikus Böhm

L’ispirazione guida è quella di strutture capaci

di interpretare il sensospirituale delle comunitàalle quali sono destinate.

Luoghi di culto fatti per accogliere

celebrazioni coinvolgenti e partecipate,

ma soprattutto radicatenel contesto sociale ed ecclesiale locale

Sa Raffaele Arcangelo di Paola Zuddas

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