44 Giornale di Brescia Venerdì 15 Ottobre 2010 Cultura ...

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Una donna stesa a terra con unpugno dopo una lite in metro-politana; un taxista massacra-to di botte dopo che il suo

mezzo ha travolto un cagnolino; caos esangue allo stadio di Genova... Cosa cista accadendo? Da dove viene questaira funesta, che esplode improvvisa lace-rando la nostra quotidianità?

«Parlo dell’ira all’interno di una storiae teoria delle passioni, e dal punto di vi-sta della tradizione cristiana, come unodei vizi capitali che adesso si chiamanocosì perché fanno capo ad altri vizi equindi l’ira non è mai pura: può esseremista a odio, a invidia e ad altre passio-ni poco raccomandabili». Sono paroledi Remo Bodei, uno dei più noti filosofiitaliani, docente alla Ucla di Los Ange-les dopo aver insegnato almeno in un’al-tra decina di università fra le più presti-giose in campo internazionale (Cambri-dge, New York, Toronto). Bodei ci rac-conta in anteprima i contenuti del suolibro sull’«Ira», che il Mulino pubbliche-rà nel corso del 2011, nella collana dedi-cata ai vizi capitali.

E lei professore, a quale passione as-socia l’ira umana?

Ne parlo come la passione che è statapiù spesso analizzata fin dai tempi del-l’antichità, e alla quale si imputa la per-dita temporanea del lume della ragionee della capacità di autocontrollo: essapare qualcosa che mira alla liberta del-l’individuo, perché è una dimensione pri-vata, individuale, ma anche collettiva,delle folle inferocite.

Che cos’è veramente l’ira?L’ira è stata considerata spesso una

forma di cecità o di follia provvisoria,che spinge gli uomini fuori di sé e cherappresenta una sorta di padrone tiran-nico interiore. C’è un lato buono e un la-

to cattivo dell’ira, e c’è una tradizione ditipo aristotelica, per cui indignarsi quan-do uno ci mette i piedi in testa e ci offen-de ingiustamente, è degno di un animonobile, perché se non ci si indigna si ta-gliano i nervi dell’anima. In Dante que-sta tradizione riguarda persino San Pie-tro, che nel XXVII Canto del Paradisourla contro Bonifacio VIII, e tutto il cie-lo s’indigna, diventa rosso.

L’ira è l’unica passione o vizio che cri-stianamente può avere due lati. Ce livuole illustrare?

I due lati sono l’ira di Dio e l’ira degliuomini. L’ira di Dio è una cosa straordina-

ria. La Bibbia è stato definito il libro del-l’Ira,come L’Iliadeè stato dichiarato il po-ema dell’ira, perché la prima parola dellacultura occidentale è l’ira funesta. L’ira diDio è citata 518 volte nella Bibbia.

Come si manifesta l’ira?L’ira ha tanti aspetti. Anche nel Nuo-

vo Testamento, negli Atti degli Apostolie nei Vangeli, non è che Gesù sia sem-pre buono. Se la piglia con i farisei e liguarda con ira, compiange la perdutapurezza del loro cuore, butta giù tutti ibanchi dei mercanti e distrugge i ban-chetti di quelli che vendono agnelli e co-lombe per i sacrifici. Se la prende addi-

rittura con le sorelle di Lazzaro per leloro insistenze a far risuscitare il fratel-lo. La sua ira contro il fico, poi, è una del-le cose più desolanti. Ha fame, va a cer-care da mangiare, ma sull’albero non cisono frutti, e lo fa seccare. I Vangeli dico-no che non era stagione.

Qual è il punto di vista che Lei haadottato per raccontare l’ira?

Ho cercato di vedere, non in terministorici, i tratti correnti dell’ira. Nel libroci sarà una parte genealogica e poi untentativo di vedere l’ira negli aspetti cul-turali dei vari popoli, perché non è maiuguale; e ci sarà anche una conclusione

teorica: l’ira domina dove ci sono dellesocietà dominate dall’etica dell’onore,per esempio di tipo militare o aristocra-tico.

L’ira è uguale in tutti i popoli dellaterra?

No, non è uguale in tutte le società.Nelle cosiddette società della vergogna,in cui conta il giudizio degli altri, c’è unagrande importanza dell’ira. Nelle civiltàdella colpa - distinzioni fatte dagli antro-pologi - poiché ognuno si attribuisce dasé la responsabilità delle cose, il control-lo dell’ira è maggiore. Sono stati ritrova-ti decine di trattati sull’ira. Siccome c’èlo stato che ci vendica, perché la vendet-ta privata del borghese piccolo piccolonon è permessa, oggi le grandi ire sonosostanzialmente scomparse, ma c’è ilmondo della vita quotidiana, c’è un’irri-tazione continua, un’ira che talvoltaesplode e qualcuno ammazza per i moti-vi più banali.

Com’è la storia dell’ira nella tradizio-ne europea?

Nella tradizione europea l’ira ha unastoria ampiamente ricostruita, che evi-denzia le abitudini di diversi popoli.

Si può parlare di ira giusta e di iraingiusta?

C’è una tradizione e una modulazionediversa in ogni parte del mondo: c’è chidistingue tra ira giusta e ira ingiusta, echi invece ritiene che l’ira sia subito dafrenare. Papa Gregorio Magno, tra il V eil VI secolo dopo Cristo, teorizzò l’ira so-prattutto per i monaci che non possonoreagire e devono stare tranquilli.

Lei vede l’ira come un peccato o unvizio capitale?

Su vizio e peccato c’è un po’ di confu-sione, ma credo che la differenza sia po-ca. Vizio e peccato rendono schiave lepersone, e le agganciano al tritacarnedel giudizio degli altri più che a quello diDio.

Andrea Grillini

Quell’ira funestache accende i riflettoriDopo recenti fatti di cronaca che hanno riguardato singoli o folleil filosofo Remo Bodei riflette su un «peccato» antico e moderno

Il Museo della Stampa di Soncino(oltre Orzinuovi, al di là del-l’Oglio), per valorizzare i suoi teso-ri e rendere ancora più accattivan-

te l’appuntamento con i visitatori, hasottoposto ad un restyling tecnologicoil percorso nella casa-torre di via Lan-franco 8 nella quale, solo pochi anni do-po la scoperta di Gutenberg, il medicorabbino Israel Nathan inaugurò una ti-pografia ebraica. Ora accoglie in un con-testo multimediale le macchine e glistrumenti che hanno fatto la storia del-la stampa. Il nuovo allestimento - volu-to dalla Proloco che gestisce il museo -,ottenuto grazie alla collaborazione diComune, Regione e sponsor (33mila eu-ro è il valore economico dell’operazio-ne) e concretamente realizzato da Che-leo Multimedia in partnership con Ser-cofim - è stato presentato ieri dal sinda-

co Francesco Pedretti, il direttore delmuseo Mauro Bodini e il curatore del re-styling Franco Roma.

Numerosi sono gli elementi che com-pongono il nuovo allestimento: pannelliiconografici sono stati aggiunti lungo ilpercorso per illustrare la storia dellastampa seguendo un ordine cronologi-co; rendono ancora più viva l’esperien-za museale dei totem che, disposti unoper sala, forniscono ulteriori indicazionie ricreano i rumori delle macchine infunzione; delle audio-video guide ricchedi approfondimenti accompagnano i vi-sitatori. Il tutto è in italiano e in inglese;il museo è infatti un punto di riferimen-to del settore. Non per niente, ha annun-ciato Bodini, è stato inserito nei luoghiche ospiteranno le manifestazioni voltea celebrare il 150esimo anniversario del-l’Unità d’Italia: «Tra le nostre macchi-

ne potrebbe infatti essercene una chevenne utilizzata da Giuseppe Mazzini.Stiamo verificando l’informazione».

Al di là di questa ipotesi, parecchie so-no le macchine pregiate in mostra. Si vada una tastiera monotype, collegata alnastro di carta da perforare, a una li-notype italiana del 1955 che fondeva ri-ghe di caratteri; c’è una tirabozze (appa-recchio per la realizzazione delle provedi stampa) del XX secolo, ma ancheuna pedalina americana del 1890 e nonmancano strumenti curiosi come la pla-tina portatile che verso la fine dell’Otto-cento veniva utilizzata da chi, con unacerta frequenza, doveva stampare bi-glietti, etichette o volantini, e un utensi-le usato per tagliare e decorare le ostie.

Dal pian terreno al primo piano: gran-di protagonisti sono un torchio litografi-co dell’Ottocento e una copia di un tor-

chio tipografico del XV secolo. E anco-ra: qua e là si possono trovare caratteriin legno e in piombo e le copie dei primilibri (c’è anche una Bibbia) che vennerostampati in quel luogo dagli ebrei Sonci-no.

Giunta in paese nel 1441, la famigliadi Israel Nathan, in fuga dalla Germa-nia a causa delle persecuzioni anti-ebrai-che, si dedicò inizialmente al prestitodel denaro e poi alla stampa: Nathan eb-be infatti l’intuizione di applicare la tec-nica dei caratteri mobili alla sua linguae inaugurò una tipografia ebraica. Il pri-mo libro venne stampato nel 1483, la ti-pografia rimase in attività per una deci-na di anni. Ma anche quando la famiglialasciò il paese continuò a firmare le sueproduzioni Soncino. Per info: www.mu-seostampasoncino.it o 0374.83171.

Barbara Bertocchi

VIZI CAPITALIL’

attenzione dell’Occidente èconcentrata in questi giornisul caso di Sakineh, la don-na iraniana condannata a

morte per lapidazione, poi per impicca-gione, perché accusata di complicitànell’omicidio del marito. Una mobilita-zione nobile, ma con un limite: rischiadi mettere in ombra il fatto che «miglia-ia di altri uomini e donne sono in prigio-ne in Iran, solo per aver esercitato atti-vità intellettuale. Solo a Teheran ci so-no almeno cinquemila persone impri-gionate o torturate per aver cercato diesprimere la loro opinione».

Shahla Lahiji ha descritto questa re-altà ieri pomeriggio alla Libreria del-l’Università Cattolica, invitata dalla Co-operativa cattolico-democratica di cul-tura a presentare il libro di ParinoushSaniee «Quello che mi spetta» (Garzan-ti). Il libro - di cui il nostro giornale haanticipato pochi giorni fa i contenuti -compone in forma di romanzo la storiavera di molte iraniane, raccontando lavicenda di una giovane donna segrega-ta in casa dalla famiglia e costretta asposare un uomo che non ama.

Shahla Lahiji è l’editrice che l’hapubblicato in Iran: l’Italia è il primo pa-ese straniero in cui il libro viene distri-buito. Rispondendo alle domande del-la giornalista Anna Della Moretta,Shahla ha ricordato di aver iniziato afare il mestiere di editore più ditrent’anni fa, «quando nessuno pensa-va che questo fosse un lavoro possibileper una donna. Oggi invece nel nostropaese ci sono 500 donne editrici, unavoce molto importante per l’Iran».

Le donne sono state le prime vittimedella rivoluzione iraniana, «un eventoche avrebbe dovuto portare libertà edemocrazia ma si è trasformato nel lo-ro contrario. Anche le donne hannopartecipato attivamente alla rivoluzio-ne perché volevano vedere riconosciu-ti i loro diritti: invece hanno perso an-che quelli già acquisiti».

Shahla pubblica libri per creare undialogo intellettuale nella società ira-niana, su tematiche come quelle solle-vate dal romanzo della Saniee. Di cuil’editrice sottolinea anche la carica po-sitiva: «La protagonista, Masumeh, rie-sce non solo a finire la scuola, ma an-che a iscriversi all’università e a pren-dere un Master, mentre alleva i suoitre figli. Oggi, in Iran, il 65% degli stu-denti sono donne».

Nella forza pacata delle donne puòrisiedere allora la principale speranzadi un ritorno alla democrazia. «La gen-te chiedeva libertà e indipendenza nelcontesto di una repubblica islamica.Pochi, come me, sono stati scettici sulfatto che questo fosse possibile. Oggisono in particolare le donne a subire li-mitazioni dei loro diritti. Dopo la rivolu-zione, molte hanno perso posti di lavo-ro prestigiosi solo perché vestivano al-l’occidentale; opportunità educativesono state loro negate; non hanno il di-ritto di tenere i figli in caso di divorzioe, se il marito muore, il nonno ha suifigli più potere della madre. Per fortu-na, il popolo è più avanti del suo gover-no. La legge ha introdotto anche il ma-trimonio a 9 anni, ma non ci sono per-sone che ne usufruiscono».

Shahla Lahiji ha subìto censure e laprigione, ma il regime le consente diparlare all’estero dei temi che le stan-no a cuore. «Partecipo da otto anni allaFiera del Libro di Francoforte, con unostand sempre affollato. Il regime è sen-sibile a quello che faccio, e mi diconoche i libri che voglio pubblicare sonoletti più volte dalla censura. Quello diParinoush Saniee ha avuto 14 edizioni,e solo a quel punto l’hanno bloccato.Ma io ho fatto ricorso, e oggi siamo alla19ª ristampa. Credo che le stesse perso-ne che mi censurano sappiano di esse-re nel torto, perché in Iran la censura èproibita: però viene applicata».

Nicola Rocchi

L’editrice Lahiji:«Nel mio Iranil futurosarà donna»

Scenografia multimediale per il Museo della StampaNuovo allestimento nella casa-torre dei Soncino, che qui stamparono il primo libro nel 1483. Una macchina usata da Mazzini

■ «Il me semble parfois que je suis étrangère » (Misembra a volte di essere straniera) si intitola la mo-stra che fino all’8 marzo il Memoriale della Shoah diParigi dedica attraverso 250 documenti ad Irène Né-mirovsky, ebrea russa nata a Kiev, giunta in Francianel 1919, rifugiata nel 1940 in un villaggio del Morvandove scrisse l’incompiuta «Suite francese», arrestatae morta ad Auschwitz nell’agosto 1942. Grande scrit-trice in francese, ebrea spesso accusata di antisemiti-smo, dal 1939 battezzata cattolica, aveva cercato, mainvano, la protezione del maresciallo Petain . Se «Sui-te francese», romanzo-fiume sull’occupazione nazi-

sta in Francia, ritrovato per caso dalla figlia in unavaligia dimenticata, ha fatto sensazione in Europaconsacrandone la riscoperta, il romanzo più discussoè «David Golder», storia della rovina di un banchiereebreo scritta a 26 anni, nel 1929, popolata da finanzie-ri cinici e avidi. Olivier Philipponnat, biografo e cura-tore della mostra, respinge le accuse di antisemiti-smo, per lui «descriveva con severità il mondo cheben conosceva perché il padre era banchiere». La mo-stra si articola in quattro tappe, tra il ricordo di esse-re russa, lo strano fatto di essere ebrea, il suo sentirsifrancese, l’angoscia di essere apolide.

Parigi, il Memoriale della Shoah ripercorrela vita «da straniera» di Irène Némirovsky

■ Il 7 novembre, nel chiostro di Sant’Agostino aPietrasanta, sarà assegnato all’artista bresciano Giu-seppe Bergomi (1953, vive e lavora ad Ome) il XX pre-mio internazionale di scultura «Pietrasanta e la Versi-lia nel mondo», assegnato del Circolo culturale Fratel-li Rosselli. Il riconoscimento va annualmente all’arti-sta che promuove in Italia e all’estero, attraverso lapropria creatività, Pietrasanta e la sua cultura dell’ar-te, il ricco patrimonio di maestranze artigiane locali.Nelle precedenti edizioni è andato, tra gli altri, a Fer-nando Botero, Igor Mitoraj, Francesco Messina, GiòPomodoro, Kan Yasuda, Pietro Cascella, Jean Mi-

chel Folon. Beppe Bergomi è stato protagonista dicasi eccezionali, da quando vinse il Grand Prix Châte-au Beychevelle 1993 dell’omonima fondazione perl’arte contemporanea vicino a Bordeaux, al Pre-mio Camera dei Deputati nel 1997.

Bergomi, dalle sculture di terracotta ai bronzi, nonfa il calco della realtà più comune, né l’accademismoclassicizzante, ma ci dà figure sorprese per sempre inun sortilegio, a dire la misura della forma classica tro-vata nella semplicità quotidiana: gli istanti di perfe-zione che stanno nel metterci davanti per sempre al-la sorpresa di un’intimità.

Premio internazionale a Beppe BergomiAl noto scultore bresciano il «XX Pietrasanta e la Versilia nel mondo»

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Rubens, Achille uccide Ettore

Una sala del Museo

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44 Giornale di Brescia Venerdì 15 Ottobre 2010