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PROTEO Fare Sapere – Brescia Soggetto Qualificato per la formazione Decreto MPI n. 270 del

27/4/2000 e DM 08/06/05Viale Piave 44 – 25123 BRESCIA

Tel.3311360741 – Fax 0303729332 - e-mail [email protected] www.proteobrescia.itP.IVA 03235440173

LA VOGLIA DI INSEGNARE ?Essere insegnanti oggi

Ricerca sulle dimensioni della professionalità docente

…….Lo sviluppo di una democrazia cognitiva è possibile

solo all’interno di una riorganizzazione del sapere, che richiede una riforma di pensiero

volta non solo a separare per conoscere, ma anche

interconnettere ciò che è separato e nella quale

rinascerebbero in modo nuovo le nozioni frantumate del

frazionamento disciplinare…..Edgar Morin

A cura diWilma BoghettaGiovanna FacchiniSergio Greotti

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Brescia

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Beppe Pasini

Con il patrocinio Con il contributo di Con il contributo Con il contributo di Comune di Brescia Fondazione Comunità Bresciana Proteo Fare Sapere Lombardia FLCGIL Brescia

INDICE

Introduzione – Identità e passioni dentro e fuori le aulea cura di Wilma Boghetta-Giovanna Facchini - Sergio Greotti-Beppe Pasini

Gli scenari e l’organizzazione della ricerca La ricerca quantitativa – sintesi dei risultati La ricerca qualitativa – sintesi dei risultati Le nostre proposte

Cap.1. Orientamenti e percorsi – Scelte metodologiche a cura di Wilma Boghetta - Giovanna Facchini - Sergio Greotti - Beppe Pasini

1.1 La ricerca quantitativa - Obiettivi , strumenti e somministrazione del questionario

1.2 Il campione1.3 Alcune considerazioni sul campione1.4 La ricerca qualitativa – Incontrare gli insegnanti:

unpercorso formativoCap.2. La voglia di insegnare - La ricerca quantitativaa cura di Wilma Boghetta-Giovanna Facchini - Sergio Greotti

2.1. Organizzazione del lavoro e collegialità2.2. Il rapporto con la legislazione2.3. La professionalità docente e la formazione2.4. Scuola e società2.5. Le valutazioni sul questionario

Cap.3. La sapienza di partire da sé - La ricerca qualitativaa cura di Beppe Pasini

3.1. Il percorso

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3.2. Insegnare oggi, professione, mestiere, missione

3.3.Auto-biografie professionali. divenire insegnanti tra vocazione, destino, scelta

3.4.Progettare lezioni, comunicare passioni.

3.5. Le valutazioni del percorso di formazione. Sguardi d’insieme, desideri (in)espressi e altre suggestioni

Nota bibliografica Allegati Il documento di Proteo Fare Sapere nazionale sul tema della professionalità Il questionario utilizzato per la fase quantitativa della ricerca

Introduzione: Identità e passioni dentro e fuori le aule

Gli scenari e l’organizzazione della ricercaQuesta ricerca nasce dalla convinzione che nessuna riforma

della scuola otterrà gli esiti sperati se non si mette in atto una riflessione profonda sul tema della professionalità dei suoi operatori , docenti e non, e sulle condizioni di lavoro in cui viene esercitata. Ma è nata anche dal desiderio di sperimentare nuovi modi di fare formazione attraverso la pratica della ricerca-azione e della riflessione metacognitiva.

La disponibilità degli insegnanti a riflettere sul proprio lavoro e a confrontarsi con altri è sensibilmente diminuita in questi anni, in parallelo con l’aumento delle richieste nei loro confronti. Richieste che, se non vengono calate all’interno di processi di innovazione e di ricerca sono avvertite come “esterne” rispetto alla “normale” attività quotidiana e quindi fonte di ulteriori carichi di lavoro. Mentre cala la considerazione sociale del lavoro degli insegnanti e le retribuzioni rimangono ferme.

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Più in generale ha pesato sugli insegnanti la difficoltà (avvertita anche all’interno di altri grandi servizi pubblici come la sanità e la giustizia) a dare un senso condiviso al proprio lavoro. Da parecchio tempo (almeno 20/30 anni) sono all’opera nelle società avanzate potenti forze economiche e culturali che hanno messo in discussione i diritti sociali acquisiti nella fase precedente e in particolare il valore del lavoro come collante della società. Eppure anche in tutte le discussioni sulla riforma della scuola secondaria superiore sempre si insiste sulla necessità di un robusto collegamento con “il mondo del lavoro”. Ma forse il compito che è corretto assegnare alla scuola è quello di riflettere in profondità sulle “culture del lavoro” più che quello di fornire professionalità già definite.

Anche la nostra ricerca in fondo riguarda la “cultura del lavoro” perché immagina una cultura professionale, frutto di passione e creatività, che può essere condivisa ed alimentata attraverso lo scambio di competenze ricavate dall’esperienza quotidiana. E che intende muoversi in direzione di quella riorganizzazione del sapere che non è frutto di tecnicismi ma di una riforma generale del pensiero, come afferma con grande incisività Edgar Morin.1

Intervenire sui curricoli in una logica di mero risparmio come si è fatto in questi anni da parte dei diversi governi o aggiungere competenze su competenze, impegni e obblighi, retribuiti ma non sempre, è perfettamente inutile se non si interviene sull’organizzazione del lavoro e se non si dà riconoscimento sociale e dignità ad una professione così delicata e complessa come quella docente. Tuttavia bisogna anche avere il coraggio di far emergere le incompetenze dicendo con chiarezza che è necessario intervenire attraverso un grande lavoro di formazione.

Le parole d’ordine, dunque, dovrebbero essere formazione, orario, salario e valutazione Abbiamo molto apprezzato e condiviso il documento di Proteo Fare Sapere Nazionale sul tema della professionalità e l’abbiamo assunto come punto di partenza per le nostre riflessioni.

1 Edgar Morin, La testa ben fatta, riforma dell’insegnamento e del pensiero, Ed. R. Cortina,Milano 20004

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Hanno fatto da sfondo alla nostra ricerca alcune considerazioni.L’istituzione dell’autonomia scolastica che avrebbe dovuto

essere il volano per avviare una seria ristrutturazione di tutto il sistema non ha portato ai risultati sperati, anzi, i provvedimenti di riordino (non si è tratto di vere e proprie riforme) dei cicli scolastici degli anni dal 2009 al 2012 hanno di fatto limitato l’efficacia dell’autonomia. I continui tagli dovuti alla crisi economica hanno deprivato le scuole anche delle risorse essenziali per il funzionamento di base.Se questo, in estrema sintesi è il quadro a livello istituzionale, va detto che nulla è stato fatto per migliorare la condizione professionale degli insegnanti.

Non esiste un sistema nazionale della formazione iniziale e in itinere. Il Decreto 249/2010 che ha istituito l’anno di Tirocinio Formativo Attivo da effettuarsi presso le Università con lo scopo di ottenere l’abilitazione all’insegnamento, non potrà formare docenti preparati ad affrontare la professione se non sarà dato ampio spazio alla pratica di insegnamento dotando le scuole che ospiteranno i tirocinanti di risorse umane ed economiche;

Non è mai stato affrontato il problema della riforma dell’organizzazione del lavoro dei docenti. Un riforma che in primo luogo elimini la rigida ripartizione tra ore di insegnamento ed ore funzionali condizione necessaria per poter realizzare quella flessibilità di cui tanto si parlava nel regolamento dell’autonomia scolastica e poi ripresa negli ultimi provvedimenti di riordino dei cicli e per poter realizzare un insegnamento che tenga conto dell’unità del sapere superando la rigida partizione disciplinare.

Nulla è stato fatto per valorizzare il lavoro degli insegnanti e per favorire la consapevolezza di sentirsi professionisti, sia pur tenendo presente la grande specificità che contraddistingue la professione dell’insegnante da qualsiasi altra professione.

Gli insegnanti non sono mai stati coinvolti in una riflessione culturale profonda sull’approccio al sapere e alla conoscenza prima di procedere a qualsivoglia intervento di riordino o di riforma. L’unico tentativo fu fatto con il documento sui saperi essenziali

Limitate e assolutamente insufficienti le risorse per affrontare le emergenze ( es: accoglienza degli studenti non italiani)

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Non è mai stata fatta una politica degli organici funzionale al miglioramento della qualità dell’istruzione e non al mero risparmio. Il tema dell’organico funzionale è rimasto sempre lettera morta.

Questi sono solo alcuni dei nodi che dovrebbero essere affrontati per migliorare la qualità del nostro sistema di istruzione e la condizione professionale degli insegnanti.

Le inadempienze sopra descritte hanno generato una scarsa considerazione dell’opinione pubblica nei confronti degli insegnanti, solitamente considerati dei privilegiati e poco redditizi. Il ruolo sociale dell’insegnante e della scuola nel suo complesso da troppi anni ha smesso di essere al centro della politica.Oggi, vicino a molti insegnanti che, nonostante le difficoltà, continuano a lavorare con passione, ve ne sono tuttavia molti smarriti e demotivati, si percepiscono come inutili ed impossibilitati ad incidere minimamente sulla formazione dei loro studenti.

Ci siamo quindi posti alcune domande2 cui, con la nostra ricerca, abbiamo voluto tentare di dare risposte con lo scopo, da un lato di costruire una fotografia il più possibile fedele dell’insegnante di oggi e, dall’altro, di avanzare proposte per affrontare i problemi descritti nello sfondo della ricerca. Problemi che, a nostro avviso, se affrontati con serietà, potrebbero ridare alla scuola il ruolo sociale che le spetta e agli insegnanti il giusto riconoscimento, ma soprattutto far ritornare la passione per l’insegnamento condizione necessaria per promuovere negli studenti la voglia di imparare.

Tre le parole chiave intorno alle quali abbiamo costruito le domande : consapevolezza, identità, passione.

Consapevolezza della complessità della professione docente,

2 Qual è la percezione che gli insegnanti hanno oggi della loro identità professionale? Sono consapevoli della complessità della professione docente? Hanno consapevolezza di come si forma ed arricchisce la professionalità docente? Sono disposti a riflettere sulle condizioni necessarie per tornare a sentirsi entusiasti di esercitare la professione docente? Sono consapevoli della necessità di “rendere conto” del proprio operato nei confronti della società se vogliono intraprendere il cammino della ricostruzione del proprio ruolo sociale? Sono consapevoli del fatto che non può esserci autorevolezza senza padroneggiare in modo approfondito contenuti e metodi del proprio insegnamento? Quale ruolo occupa la collegialità nella percezione della propria identità professionale? La riflessione culturale sull’approccio al sapere e alla conoscenza è tra i bisogni formativi degli insegnanti per progettare un insegnamento adeguato ai mutamenti della società e per promuovere negli studenti la voglia di imparare? Sono consapevoli del fatto che l’insegnamento per competenze richiede una profonda revisione delle pratiche metodologiche e didattiche? Sono consapevoli dei bisogni formativi degli studenti Qual è il rapporto che i docenti hanno con le norme che regolano la loro professione?

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della necessità di formazione e di revisione continua delle proprie pratiche didattiche e metodologiche;

della necessità imparare a “rendere conto” del proprio operato , quale condizione necessaria per intraprendere il cammino della ricostruzione del ruolo sociale della scuola;

della necessità di saper leggere le istanze derivanti, dai mutamenti del sociale per saper interpretare i bisogni formativi degli studenti;

della necessità di affrontare il problema di un diverso approccio al/ai saperi e alla conoscenza con lo scopo di progettare un insegnamento adeguato ai mutamenti della società in un dialogo gestito da protagonisti.

Identità: quali sono le dimensioni della professionalità docente che gli

insegnanti individuano come tratti identitari?

Passione: quali sono le condizioni per tornare ad esercitare la

professione docente con passione ed entusiasmo?

Abbiamo organizzato la ricerca in una fase quantitativa, attraverso lo strumento del questionario ed una fase qualitativa attraverso un percorso di formazione che è stato seguito da due gruppi di insegnanti di due istituti comprensivi della città in cui maggiore era stata l’adesione alla proposta di compilazione del questionario.

Articolando in questo modo il nostro intervento abbiamo inteso non soltanto raccogliere l’esigenza, di “dare voce agli insegnanti”, ma anche coinvolgere i docenti disponibili in una attività laboratoriale di riflessione sul proprio lavoro, con approcci innovativi capaci di far emergere quella che potremmo definire la “profondità del quotidiano”.

La ricerca quantitativa –Sintesi dei risultatiNella fase quantitativa non abbiamo indagato le motivazioni

che hanno indotto gli insegnanti ad intraprendere la professione ma abbiamo voluto esplorare il pensiero degli insegnanti intorno agli aspetti che caratterizzano la professione dell’insegnante nella

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sua complessità. Dando per acquisito che la professionalità docente è articolata e complessa, abbiamo quindi voluto verificare in quale considerazione gli insegnanti tengono alcuni di questi aspetti, includendo non solo le dimensioni legate al lavoro d’aula ma anche le dimensioni che declinano il sistema scuola. Per questo riteniamo che la nostra ricerca, pur avendo bisogno di essere approfondita offra un’interessante prospettiva e si discosti da altre che sono state fatte e delle quali daremo conto nel capitolo dedicato alle note bibliografiche.

Il campione

Sono stati coinvolti 764 docenti di 3 istituti comprensivi e 3 istruzione secondaria superiore della città di Brescia. 121 hanno risposto al questionario , pari al 15%. Hanno inoltre compilato il questionario 64 docenti di altre provincie. In tutto i questionari compilati sono 185. L’80% del campione è composto da docenti donne. Il 54% ha più di 50 anni, il 57% è in servizio da più di 20 anni ed il 30% da più di 30.

La prima considerazione da fare è relativa all’esiguità del campione, dato che ci deve far pensare, da un lato sulla mancata disponibilità dei docenti a riflettere sul proprio lavoro che rispecchia la demotivazione e la perdita di fiducia dilagante, dall’altro sull’uso di strumenti quantitativi per fare ricerca. Poiché sapevamo che i dati non sarebbero andati oltre le percentuali indicate, abbiamo affiancato la ricerca qualitativa, convinti come siamo che, utilizzare la metodologia della ricerca qualitativa sia una grande occasione per proporre percorsi di formazione diversi volti alla riflessione sul proprio agire professionale. Gli esiti del percorso di formazione proposto rivelano, come vedremo in seguito , non solo un atteggiamento di maggiore disponibilità a riflettere sulla propria esperienza professionale, ma rivelano anche interesse, voglia e stupore nel provare piacere a pensare alla propria esperienza.

Il questionario

Anticipiamo per titoli ciò che emerge dalla prima sezione del questionario dedicata alle informazioni generali e che, nella nota

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metodologica (Cap.1) abbiamo dettagliatamente analizzato: una scuola con pochi giovani e molte donne, una leadership poco diffusa ed una carriera immobile. Questo ci dicono i dati generali del nostro campione. Il 44,3% dichiara di non avere alcun tipo di incarico all’interno dell’organizzazione scolastica. Il 70% dichiara di non aver mai avuto esperienze come docente formatore, ciò evidenzia come, all’interno della carriera professionale, pochi siano gli spazi possibili per uno sviluppo verticale della stessa. Gli insegnanti, al di fuori della scuola svolgono le attività più svariate, si dedicano oltre che ad attività di volontariato anche ad attività di collaborazioni con Enti e Università dove possono valorizzare al meglio le competenze acquisite nel corso della carriera. Competenze che poi riportano nella scuola contribuendo a migliorare la qualità della loro professione, senza tuttavia ottenere riscontri sul piano della progressione della carriera e senza avere la possibilità che quel patrimonio di competenze contribuisca a migliorare complessivamente la qualità della scuola nella quale operano.

Le altre sezioni del questionario hanno indagato il tema dell’organizzazione del lavoro e la collegialità, il rapporto con la legislazione scolastica, le dimensioni della professionalità docente e la formazione, il rapporto scuola società.

Nel corso dell’analisi dei dati abbiamo decritto dettagliatamente i problemi connessi al tema dell’identità professionale. In sintesi possiamo solo richiamare l’attenzione sul fatto che gli insegnanti intervistati faticano a riflettere sui tratti identitari della loro professione, sono consapevoli della complessità, ne riconoscono le criticità, ma fondamentalmente riconoscono come tratti identitari solo quelli legati alla dimensione individuale del lavoro d’aula. Emerge quindi un impianto culturale sostanzialmente “tradizionale” e l’assenza di una visone sistemica della scuola.

Il confronto ed il dialogo all’interno e all’ esterno dell’istituzione scolastica, sia pur auspicato, non costituisce tratto identitario della professionalità docente.

La riflessione sui saperi e sull’approccio alla conoscenza non è considerata indispensabile nell’azione di insegnamento.

C’è la consapevolezza che la collegialità non è una cultura diffusa. E’ considerata importante ma difficile da realizzare. Non pochi sono coloro che pur partecipando alle decisioni collegiali poi nella realtà si attengono alle proprie scelte individuali.

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Dalle risposte alle domande aperte emerge il disagio profondo che tanti insegnanti oggi vivono, disagio che impedisce loro di riflettere produttivamente sul loro essere insegnanti.

I bisogni espressi ed inespressi degli insegnanti

Nel corso dell’analisi dei dati , sia qualitativi che quantitativi , i bisogni espressi ed inespressi degli insegnanti, sono già stati dettagliatamente descritti e commentati. Molto sinteticamente in fase di considerazioni conclusive.

Gli insegnanti del nostro campione hanno ben rappresentato i loro bisogni che si possono raggruppare in due blocchi: quelli legati alla formazione e quelli legati alla modifica delle condizioni di lavoro.

Rispetto al primo gruppo, come abbiamo visto, i bisogni di formazione sono relativi alla pratica didattica e metodologica, ma rimangono ai margini tutti gli ambiti tematici legati alla progettualità complessiva della scuola che necessitano di una lettura attenta del rapporto scuola/società.

Rispetto al secondo gruppo sono emersi con chiarezza i bisogni di cambiamento nell’organizzazione del lavoro, sia negli aspetti connessi al numero delle ore di lavoro, che alla necessità di riorganizzare le mansioni e gli incarichi. Tra le righe di questi bisogni si legge la necessità di far emergere tutto il lavoro sommerso connesso all’esercizio della professione docente. Sono anche emersi i bisogni legati ad una diversa struttura della carriera che vorrebbero fosse meno rigida e che offrisse maggiori opportunità di messa a frutto delle competenze acquisite nel corso degli anni.

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La ricerca qualitativa – Sintesi dei risultatiPrima che suoni la campanella

Nella parte qualitativa della ricerca è stato favorito un approccio laboratoriale nel quale coniugare la dimensione esperienziale con quella autoriflessiva e teorizzante, attraverso pratiche narrative e autobiografiche; rivisitando la propria biografia professionale e formativa, l’impiego di linguaggi estetici/simbolici/metaforici e conversazioni generative.. Gli aspetti e i temi che sono stati esplorati si riferiscono alle rappresentazioni legate al significato dell’insegnare, alla genesi della biografia professionale e al rapporto con i propri modelli epistemici, spesso impliciti e taciti, che si concretizzano nella progettazione e nel lavoro didattico quotidiano. Lo sforzo è stato quello di attivare un processo formativo che partisse e ritornasse continuamente all’esperienza dei partecipanti sviluppandosi sul contributo attivo di ciascuno e sulla dialettica delle differenze.

Gli esiti e i materiali prodotti in questa esperienza formativa, che sono più avanti ampiamente documentati, ci dicono qualcosa su cosa sia la voglia di insegnare, su come la si educa, alimenta, costruisce ? Quali questioni fanno affiorare? In cosa consiste la sapienza di partire da sé?Sapienza e bellezza di partire da se’

Se l’esperienza è la risorsa più preziosa che abbiamo, partire da sé significa narrarla e interrogarla. Nello spazio compreso tra queste due azioni cognitive ed emotive , si alimenta la qualità della relazione educativa. L’azione di narrare l’esperienza, non è mai un’operazione neutra. Quando narriamo infatti risignifichiamo, riattribuiamo senso, collocando un avvenimento in un continuum temporale, conferendogli nuova luce e vigore. Così facendo riordiniamo, pur provvisoriamente, fatti ed eventi sottraendoli ad un flusso indifferenziato. Il ‘movimento’ che viene prodotto si avvia dal particolare, da un vissuto in prima persona, per poi orientarsi verso il mondo. E’ un ego che si fa storia personale. Si tratta di un movimento umanizzante in quanto conferisce valore all’unicità di cui ognuno è portatore, incarnandolo in una voce, un corpo, una

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tonalità affettiva. La competenza narrativa non è però spontanea, la si apprende attraverso innumerevoli eventi quotidiani: a casa e in famiglia, per strada, sui luoghi di lavoro, nelle relazioni amicali e professionali. Veri e concreti luoghi di apprendimento spesso inconsapevoli ma vitali. Mettere in storia una esperienza equivale ad affermare la nostra ineludibile biograficità riconoscendocene come autori competenti. Significa reinserire la soggettività di chi insegna e di chi impara in ogni processo educativo a partire dalle pratiche. Se non possiamo dunque prescindere da un io narrante, quando però questo è bandito in nome di una conoscenza che non gli conferisce visibilità, le distanza tra ciò che si apprende e chi apprende si fanno incolmabili e producono disaffezione. Ci sentiamo in quelle circostanze lontani da noi stessi, alienati ed esuli da una patria verso la quale perennemente migriamo senza mai giungervi. Le discipline, le materie, i programmi, le procedure, i protocolli, pur necessari al funzionamento di ogni collettività, anche quella scolastica, rischiano di affogare il desiderio visionario e la passione di chi la abita perché rimandano ad un sapere precostituito, conosciuto a priori, banalizzante che alimenta ingenuamente una pretesa di controllo. Non si tratta purtuttavia di demonizzarlo, piuttosto di provare in quanto insegnanti a prendere posizione chiedendosi : chi sono? dove mi trovo? come sono divenuto l’insegnante che sono? A chi devo il mio stile? Come l’ho imparato? Come si concretizza nel mio agire quotidiano? Cercare le parole e le occasioni per dire chi si è e chi si è divenuti in quanto professionisti della relazione di insegnamento e apprendimento traccia sensibili rotte di senso e progettualità e sollecita inedite prospettive attraverso le quali ripensarsi e rivedersi. Legittima domande che attendono storie. Riapre questioni di senso che parevano sopite. Quando interroghiamo l’esperienza sperimentiamo un ripiegamento necessario su noi stessi, un ripensamento critico nel quale rivedere i presupposti sui quali conosciamo, apprendiamo, comunichiamo. Attraverso queste azioni cruciali si fa esercizio di un tempo in cui ci si prende cura della propria epistemologia per scoprire non solo di averne una ma anche assai raffinata e profondamente connessa alla nostra sensibilità individuale ed esistenziale. E’ dunque un introspezione propedeutica ad uno slancio vigoroso verso il mondo.

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Come un elastico che per dare il meglio di sé si contrae fino a rattrappirsi. La ricompensa non consiste in un ennesimo strumento didattico pronto all’uso o una tecnologia pedagogica da applicare per conseguire performances cognitive. E’ piuttosto un’esperienza di connessione tra il proprio agire concreto, i percorsi ideativi che lo presuppongono, le teorie implementate e silenti che vengono agite nella relazione educativa. Mente, corpo e relazione danzano riflessivamente e ricorsivamente alla ricerca di un modo più autentico per tornare a sé con altri occhi. Gregory Bateson la chiamava ‘bellezza’.

Per un sapere incarnato: dalle passioni tristi ad una epistemologia gioiosa

L’attenzione ai processi e ai percorsi ideativi più che ai risultati, alimenta quello che J.Mezirow (2003)3 chiama apprendimento trasformativo. Scrive Mezirow. “L’apprendimento trasformativo implica la valutazione riflessiva delle premesse, un processo che si basa su un terzo tipo di logica: lo spostamento attraverso le strutture cognitive mediante l’identificazione e la valutazione critica dei presupposti” Dunque avviene una trasformazione. Ogni esperienza formativa dovrebbe mirare del resto ad un cambiamento di identità a qualche livello. Il primo passaggio è quello di portare la propria storia a scuola. (Gamelli,1998)4, lo è stato anche in questo percorso. Non per fare del voyeurismo certo ma per conferirle legittimità di sapere. In realtà non possiamo non portare ciò che siamo in ogni contesto in cui viviamo, non è una scelta. Si tratta di riconoscerne i nessi e le implicazioni. Anche se molti saperi scientificamente fondati hanno tentato in ogni epoca con esiti nefasti, di relegare il soggetto conoscente ai margini considerandolo un intralcio alla conoscenza vera, disumanizzandola. Intere generazioni di studenti hanno così attraversato cicli scolastici senza mai chiedersi “ma per me, che significa imparare?”. L’ingaggio autobiografico mi pare uno straordinario approccio per provare a riconnettere ciò che è stato

3 J.Mezirow “Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti” ed. Cortina, 2003 p.134 Formenti L., Gamelli I. “Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé nei luoghi dell’educazione” ed. Cortina, 1998 p. 43

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spesso diabolicamente (da dia ballein=separare) sconnesso. Molto più che un metodo. Presuppone cura della relazione, attenzione ai tempi, semplicità nella proposta e complessità nell’esplorazione euristica. Si può accedere all’esperienza autobiografica solo previa sospensione di giudizio, sia nel merito che nella forma. Ognuno scrive come può e come riesce. La cura della sintassi è semmai una conquista successiva. Diceva Gianni Rodari che ‘sbagliando s’inventa”. La memoria personale va corteggiata, non sgorga da sé: l’aiuta una buona domanda il più possibile circoscritta, formulata come un invito, per riprendere contatto con la reminiscenza rievocando un momento particolare, un incontro, un luogo, un’emozione. Nel racconto di chi scrive di sé, le parole non affiorano subito alla penna e poi al foglio. Sembrano prima cercarsi, scrutarsi, vagliarsi. Appare alla mente un articolato paesaggio che si contempla da lontano e poi via via si dettaglia fino a moltiplicarsi in altrettanti infiniti mondi. Un’esperienza psichedelica che può avere effetti disorientanti. Vi è una selezione a volte turbinosa su quale ricordo scrivere. Improvvisamente si scopre che si è vissuta tanta vita da debordare dal foglio; poi finalmente si acchiappa un ricordo. Una pagina scritta a penna è ben diversa che un asettico file al computer: sottolineature, cancellazioni, chiose, ripetizioni, errori, note a margine, ecc. rivelano tutta la complessa trama emotiva che accompagna questa operazione artigianale. L’invito che ho formulato ai partecipanti è quello di condividere quanto scritto. Se all’inizio vi è una certa ritrosia a mettere al mondo le proprie parole, la si vince progressivamente man mano che se ne diventa fieri. Come creatura che barcolla e poi si affaccia al mondo, la si mostra con orgoglio e affezione attendendo impazienti il proprio turno consapevoli che si sta per accedere ad una intimità di alfabeti mai sperimentata prima. Il passaggio successivo è quello che L.Formenti (2008)5 chiama la comprensione intelligente , una revisione interrogante che transita dall’evento particolare evocato ad una teorizzazione più ampia e allargata. Questo momento del percorso è costellato da conquiste e stupori. In primis quello di accorgersi di pensare e di avere una teoria che attendeva di essere esplicitata. Si elaborano e affinano significati, ci si interroga sulle 5 L.Formenti (a cura di) “Attraversare la cura. Relazioni, pratiche e contesti della scrittura di sé” ed. Erikson 2008

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parole impiegate e i loro nessi, si individuano inattese ricadute operative nel proprio lavoro, si formulano nuove domande. In sostanza si fa esperienza di essere in ricerca come condizione imprescindibile del mestiere di insegnare.

Il terzo passaggio è una celebrazione festosa di quanto appreso. In questo giocano un ruolo cruciale i linguaggi estetici e artistici, sensibili cioè alla struttura che connette, direbbe G.Bateson6: l’impiego dei colori, della manipolazione, dell’uso poetico delle parole, di materiali plastici, dell’espressione corporea. Se l’azione che prende il sopravvento è l’immaginazione, “l’immaginazione senza la ragione non vede la realtà, la ragione senza l’immaginazione non sposta alcun dato esistente. E’ dunque di entrambe che abbiam bisogno” (A.C.Scardicchio,2015)7. Si può disegnare un concetto, osservare la forma di una teoria, rappresentare la propria lezione come fosse un quadro, tessere con fili colorati un ricordo? Si, si può! Cercare una congruenza tra immaginazione e ragione significa allora riconoscere che la percezione sinestesica (=syn aestesis) è la regola dell’esistenza. (D.Le Breton, 2007)8. Apprendere può diventare una festa dei sensi, non vi è esperienza di apprendimento in cui il corpo non sia sempre protagonista. I linguaggi estetici onorano la complessità sistemica di ogni conquista euristica e allenano la nostra capacità immaginativa perché ci aiutano a vedere le cose ‘come potrebbero essere’, direbbe Bruno Munari.

Insegnare , una professione desiderante

Gli sguardi d’insieme sollecitati sul percorso svolto raccontano di desideri professionali mai sopiti. Provo brevemente a sintetizzarne qualcuno.

Il desiderio di continuare ad imparare come adulti riconoscendosi in un processo di perenne formazione e de-formazione (lifelong learning). Sì, perché se non vi è spiazzamento e stupore il sapere non diviene mai epico, rimane tragico e ineluttabile. Lo spiazzamento è un tempo di sospensione nel quale si fa esperienza 6 G.Bateson “Verso un’ecologia della mente” ed.Adelphi, 19727 A.C.Scardicchio ”All’uomo intero non solo al fantasticatore” comunicazione privata8 D.Le Breton “Il sapore del mondo. Un’antropologia dei sensi”, ed Cortina, 2007 p. 38

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di un disorientamento che genera altre mappe da quelle usuali. La complessità della relazione di insegnamento costellato da quotidiane fatiche, impegni, sovraccarichi di lavoro ed esposizione alla imprevedibilità comporta in un certo senso una costante educazione all’incertezza. Trasformare in competenza questa condizione professionale significa mettere a fuoco cosa ci ha aiutato e ci sostiene nel farvi fronte.

Il desiderio di trovare gli intrecci tra storia professionale e personale e comprendere come queste due dimensioni si alimentino a vicenda. Ciò che avviene nella aule deve necessariamente connettersi alla vita fuori , anzi forse sono proprio i confini tra dentro e fuori che vengono ridisegnati quando si riconosce alla biograficità di chi impara e chi insegna il ruolo di svelarne i legami.

Il desiderio di apprendere dalla propria esperienza. Gli adulti imparano quando percepiscono che (cfr M.Knowles, 2014)9 le competenze che stanno acquisendo sono spendibili nell’esperienza concreta. Rielaborarla e ripercorrerla significa sia focalizzarsi sia sul passato provando a individuare i saperi acquisiti e impiegati che l’hanno orientata, , sia sul futuro intravedendo le prospettive verso cui indirizzarsi.

Il desiderio di cura. L’esperienza della cura e del sentirsi curati ci trasforma, soprattutto quando ne percepiamo l’assenza. Non apprendiamo informazioni, ma sempre e solo relazioni. Di un insegnante indelebile non ricordiamo le nozioni, i dati, le date , ma il nostro rapporto con lui/lei. Il corpo ha la sua memoria. La cura è la materia trasversale che accomuna i saperi e questo ci rinvia ad un ineludibile ruolo (e responsabilità) educativo. In quale corso la si impara? Il desiderio di creatività. Un insegnante deve essere creativo? che significa? Parola spesso abusata e recitata come un mantra, in questo ambito viene evocata come com-posizione felice e come possibilità di integrazione quando si cerca di moltiplicare gli sguardi, si problematizzano questioni assodate, si gioca con i linguaggi in forma simbolica e metaforica.

9 M .Knowles “Quando l'adulto impara. Andragogia e sviluppo della persona” ed. FrancoAngeli, 201416

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Il desiderio di senso. La mancanza di senso sfianca e logora. Ben più che un collegio inconcludente, una relazione conflittuale, un caso problematico. Espone al rapido born out tanto conosciuto da ogni insegnante. Afferma un’insegnante nel suo commento sul percorso svolto: “Trovare il senso in ciò che si fa è uno stimolo a pensare ancora al proprio lavoro, a correggere la rotta a non cedere al rischio di galleggiare”. Cercare il senso ci cautela dal rischio di galleggiare alla deriva ma soprattutto a ricalibrare la rotta. Utilizzando questa suggestiva immagine marina, trovare il senso equivale a trovare il nesso , che è poi è il suo anagramma, tra la rotta, il timone, la nave e chi la guida. Una prospettiva cibernetica.

Alla domanda cosa è mancato in questo percorso, la risposta è stata il tempo. Quando si aprono spiragli visionari si diventa ingordi di altri viaggi. Un antico detto recita: è meglio andarsene con la voglia di rimanere che non potendone più. E questo rimanda ad una prospettiva desiderante, evocativa, nostalgica. L’aver sperimentato che è possibile star bene insieme imparando è forse il più grande e inestimabile degli apprendimenti. Ci fa andar via con la voglia di tornare. Un giorno, sul finire di un incontro abbiamo rievocato brevissimi momenti di quotidiana felicità a scuola ritrovati inaspettatamente tra miriadi di altri. E’ stato il nostro sguardo a riscoprirli. Avevano il volto soddisfatto di Arina che aveva concluso il lavoro, o quello di Manuel che per la prima volta era rimasto solo; quello di Ettore che aveva capito o la scoperta inattesa che Sergio sapeva. Immagini felici che dilatavano il tempo e ci restituivano la voglia di insegnare proprio mentre suonava la campanella.

Le nostre proposte Se vogliamo costruire una scuola di qualità dobbiamo partire dai suoi “lavoratori”, usiamo non a caso un termine che richiama il linguaggio sindacale, perché tali sono gli insegnanti ancora prima di essere dei professionisti. Sarà allora necessario delineare una professionalità docente che sia in grado di far fronte al mutato panorama socio-economico e culturale e che sia fondata sostanzialmente su quattro pilastri: la formazione (iniziale e in servizio);

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l’ individuazione e il riconoscimento di funzioni specifiche; lo sviluppo di una carriera professionale; la riorganizzazione dell’orario di lavoro e della dotazione

organica.10

D’altro canto, questo ci hanno detto gli insegnanti del nostro campione. Il nostro gruppo di ricerca oltre a quanto ribadito nel documento nazionale dell’Associazione, prendendo spunto dal documento ministeriale “La buona scuola”, intende fare alcune considerazioni.

Formazione, iniziale e in servizio

E’ necessario rivedere le modalità di organizzazione della formazione, dare nuovo impulso alla metodologia della ricerca-azione, alla riflessione metacognitiva nei processi formativi, perché è necessario fare breccia nel pensiero degli insegnanti per promuovere in loro una visione della professionalità più dinamica, capace di entrare in relazione con la società per interpretarne i mutamenti. Secondo le linee metodologiche sopra descritte sarà necessario creare occasioni di formazione che

facciano riflettere sulla complessità della relazione insegnamento/apprendimento riscoprendo di volta in volta, attraverso le esperienze degli insenanti, le competenze e le identità professionali necessarie.

facciano riflettere sull’approccio alla conoscenza e sulla trasversalità dei saperi.

E’ necessario riconoscere i percorsi formativi seguiti dagli insegnanti, ma non per concedere crediti formativi che, nella logica del documento ministeriale creerebbero una dannosa competitività dentro e fuori le istituzioni scolastiche. D’altro canto è un aspetto che è stato denunciato anche dai partecipanti al sondaggio on line del Ministero. Sì alla formazione obbligatoria , dicono i nostri intervistati ma anche i partecipanti alla consultazione on line, ma, diciamo noi, all’interno di una diversa organizzazione del lavoro.

10 Vedi documento Proteo Nazionale in appendice18

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Lo sviluppo di una carriera professionale

Punto di partenza sarà la valorizzazione delle esperienze e delle competenze presenti nelle singole istituzioni scolastiche per favorire la mobilità professionale sia orizzontale che verticale. Perché oggi sono così pochi gli insegnanti che svolgono anche un ruolo di formatori? La nostra ricerca lo ha dimostrato, solo il 13% ha dichiarato di aver svolto attività di formazione.

La riorganizzazione dell’orario di lavoro e della dotazione organica

I nostri intervistati hanno affermato con chiarezza il bisogno di ristrutturare l’organizzazione del lavoro nella scuola. L’orario non può più essere suddiviso tra ore di insegnamento e ore funzionali, come se queste ultime fossero gerarchicamente subordinate alle ore d’aula. Il lavoro d’aula sarà tanto migliore quanto l’attività programmatoria sarà di qualità ed avrà il giusto riconoscimento anche economico, dentro un’organizzazione del lavoro che non lasci ampi spazi di volontariato quasi mai riconosciuto se non miseramente, spazi di volontariato che offrono spesso alibi a chi preferisce defilarsi.

In sostanza siamo convinti che la scuola ed i suoi operatori debbano riprendersi la parola e “gridare alla società” che il lavoro dell’insegnante non è un lavoro part time, tutto il lavoro sommerso deve venire alla luce, al fine di gettare le basi per una ricostruzione del ruolo sociale della scuola e delle sue professionalità.

Molti dei nostri intervistati hanno dimostrato di essere disposti a modificare la propria organizzazione del lavoro, a patto che tale cambiamento sia accompagnato da politiche culturali e salariali di valorizzazione di questa professione così importante per la nostra società e nello stesso tempo delicata e complessa ma anche capace di sollecitare passioni ed emozioni, come hanno ampiamente testimoniato le insegnanti che hanno partecipato al percorso formativo “La sapienza di partire da sé”.

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