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Apostoli Giancarlo
«IL DIO DEI CRISTIANI: UNO e
UNICO MA NON SOLITARIO »
Alcune considerazioni e
puntualizzazioni al libro
LA TRINITÁ, VERITÁ O FALSITÁ?
Cosa insegnano veramente la storia e le Sacre Scritture?
di Felice Buon Spirito
Mestre 2008
PREMESSA
Che siano necessarie, doverose e utili alcune precisazioni per avvisare l’eventuale lettore della
natura e dello scopo di questo elaborato è fuori discussione: quanti spiacevoli malintesi si possono
evitare!
Esso dunque non intende essere né uno scritto polemico, né apologetico1 di nessuna fede e né
tantomeno un saggio dimostrativo di dogmi o dottrine. Il suo intento è semplicemente analitico:
mettere cioè “sotto la lente di ingrandimento” il libro di Felice Buon Spirito, analizzandone
citazioni, opere varie, commenti di studiosi, interpretazioni, per misurarne così l’attendibilità e la
logica che ne consegue, ovvero la consistenza della sua coerenza interna.
Per essere più precisi l’oggetto di questa analisi, come emerge anche dal titolo, è la dottrina della
Trinità (Un unico Dio che sussiste in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo) che Felice non crede
essere biblica ma un residuo delle culture pagane basata su una errata comprensione della scrittura;
nel suo libro cercherà, ma come vedremo senza riuscirci, di dimostrarlo. Diversamente il nostro
elaborato ritiene questo dogma, come la Chiesa ha sempre insegnato e detto, uno dei principali
misteri della fede cristiana.
Ma, a parte le diverse posizioni di partenza e, comunque sia, a prescindere da esse, durante la lettura
del nostro elaborato ci si accorgerà come la “lente di ingrandimento” dimostrerà inesorabilmente
tutta la fragilità e l’inconsistenza interna dell’opera di Felice: le conclusioni alle quali giunge sono
smentite dalle stesse opere o citazioni che lui stesso apporta come prove che vogliono fondare e
giustificare le sue tesi.
Chiediamo anticipatamente scusa qualora il lettore incontrasse espressioni o modi di dire che
potrebbero apparire ironici o duri: come già accennato prima, non sono certamente segno di biasimo
per nessuno.
Per concludere, teniamo a precisare inoltre che nonostante questo studio, per usare un’espressione
familiare, sia stato “fatto in casa”, non perde certo la sua genuinità; infatti con una sufficiente dose
di scientificità e sistematicità si è cercato di dire in modo semplice e divulgativo ciò che è difficile e
importante, cioè l’amore di Dio fatto “carne e sangue” per la nostra salvezza.
1 Uno scritto o un discorso “in difesa di”
2
“All’alba del cristianesimo, fin verso gli anni 80, non esisteva il problema di
credere ai dogmi: essi non erano stati ancora formulati. Solo negli scritti
giovannei, intorno agli anni 80-85, apparve la necessità di credere a uno dei nostri
dogmi attuali:
Gesù è Dio”2
2 Cfr. Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO, Prima della nascita dei dogmi, PIEMME, Casale Monferrato 2000, 78
3
LA SANTISSIMA TRINITA’ E I TESTIMONI DI GEOVA
Unità e Trinità di Dio, insieme all’Incarnazione Passione Morte e Risurrezione di Gesù sono i
misteri principali della fede cristiana. “Concepiti” dalla vita delle primissime comunità cristiane e
fissate nelle Sacre Scritture come dato fondante hanno sempre accompagnato lo studio e la
riflessione della Chiesa.
Certo, non è facile ne tantomeno immediato in poche pagine provare a “dire qualcosa” del mistero
trinitario, o cercare di “sapere” chi è Dio e com’ è fatto.
Il libro del TdG Felice Buon Spirito3 che ci prestiamo ad analizzare, è certamente una buona
occasione, seppur con semplicità e discrezione, per potere ma anche dovere presentare alcune
considerazioni a riguardo.
A prima vista il binomio Trinità - Testimoni di Geova ai più può apparire strano e fuori luogo, ma
in verità è voluto e mirato: i TdG, infatti, pur dicendosi cristiani, ritengono che la Trinità non sia
radicata nella Sacra Scrittura, ma al contrario un residuo pagano delle culture precristiane; 4 nella
stessa Bibbia, dicono, non compare mai la parola Trinità, e non si parla mai in termini di persona
divina, natura o essenza.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
Intanto non basta semplicemente ricordare l’origine extrabiblica di un rito o di una credenza per
considerarla di conseguenza incompatibile con la Bibbia; anche il battesimo era conosciuto prima
del cristianesimo, così come i riti della pasqua ebraica provenivano da religioni precedenti. La
credenza negli angeli, nella risurrezione o nel giudizio universale erano comuni ad altre fedi; la
narrazione della creazione del mondo o del diluvio universale erano antecedenti al mondo biblico e
appartenenti a culture molto più antiche, eppure tutto questo è parte della primissima esperienza
anche della fede cristiana.
Inoltre, se è certamente vero che la parola Trinità non compare mai nella Bibbia (anche se questo,
comunque, non prova niente), lo è del resto anche di altri termini o espressioni che i TdG usano e
citano comunemente come “corpo direttivo”, “maresciallo di campo” o “teocrazia”; si intende,
come ben sottolineano i Padri della Chiesa, che se anche il termine non si legge tra le righe della
Scrittura, essa tuttavia ne è talmente impregnata da farne emerge il suo pieno senso e significato.
Ad ogni modo, come affronteremo più approfonditamente in seguito, il termine “trinità” viene usato
sia in Oriente (Teofilo di Antiochia) che in Occidente (Tertulliano) a partire dalla fine del II sec.,
3 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ, VERITÁ O FALSITÁ. Cosa insegnano veramente la storia e le Sacre Scritture? , Azzurra7, Gardigiano di Scorzè (VE) 2007. 4 Cfr Ragioniamo facendo uso delle Scritture, Roma 1998, 403, 423-424
4
ma la fede trinitaria è un dato consolidato già nel Credo o Simbolo apostolico, nella liturgia
battesimale e nelle formule di invocazione (dossologie) del II e III sec.
Era certo comunque che tale dottrina poneva talvolta nuovi problemi, soprattutto in relazione
all’ambiente culturale in cui la comunità cristiana si radicava. Il cristianesimo, come l’ebraismo, si
era situato fin dalle origini in un alveo rigidamente monoteista rispetto a tutte le altre religioni
politeiste che lo circondavano; un Dio uno e trino poteva dare facilmente adito a cedimenti
politeisti. D’altra parte era esigenza dei cristiani non avere incertezze sull’identità di Gesù di
Nazaret, Figlio di Dio, la quale poteva risultare solo da una corretta interpretazione dei rapporti
trinitari scritturistici. A questo ha pensato la Chiesa nei primi grandi concili di Nicea (325) e di
Costantinopoli (381) che hanno risolto le vivacissime dispute trinitarie presentando la fede cristiana
ai “greci” esprimendola nei termini e nei concetti propri della loro cultura più sofisticata. Poiché il
loro linguaggio si discostava da quello specificatamente biblico alcuni, troppo frettolosamente come
i TdG, l’hanno giudicato un tradimento del genuino pensiero cristiano. In verità non c’è stata
l’ellenizzazione del cristianesimo, ma bensì la cristianizzazione dell’ellenismo.
La Chiesa è arrivata così a un dato teologico fondamentale della dottrina trinitaria: in Dio c’è
un’UNICA NATURA DIVINA (cioè un solo Dio) IN TRE PERSONE (Padre, Figlio, Spirito Santo)
UGUALI (in quanto alla natura che è unica) e DISTINTE (in quanto alla vicendevole e reale
relazione tra queste persone).
Natura e persona sono proprio categorie e concetti presi in prestito dalla cultura e dal linguaggio
del mondo greco.5
Ma allora la dottrina della Trinità è stata inventata dopo? Non è stata inventata la dottrina della
Trinità, ma è stato “inventato” o meglio “elaborato” il modo di presentare questa dottrina trinitaria,
che doveva essere ben compresa nella cultura propria del mondo greco, senza con questo
allontanarsi dal dato biblico.
Arriviamo così ad una prima e chiara conclusione che in seguito riprenderemo:
la Trinità è un insegnamento biblico, cioè si fonda sulla Parola di Dio contenuta nella
Sacra Scrittura (Bibbia), che può essere “scoperto” con due modalità diverse ma nello stesso
tempo complementari, come le due facce di una stessa medaglia. Eccole
PRIMA MODALITA’; quella strettamente biblica - semita, molto “pratica”, “funzionale”, nel senso
che la Trinità è vista secondo gli effetti che produce nel disegno salvifico attuato da Dio nella
storia dell’uomo; può rispondere alla domanda: “la Trinità che cosa fa?” (E’ chiamata dai teologi
Trinità economica)
5 Natura o sostanza indicano ciò che una cosa è e non un’altra; Persona o ipostasi indicano chi è qualcuno, l’io di un essere, la fonte della decisione e della responsabilità.
5
SECONDA MODALITA’, quella appartenente alla cultura ellenistica, che trova la sua sintesi nei primi
grandi Concili, attraverso la riflessione teoretica e teologica posteriore. Si serve di elaborati termini
e categorie (natura e persona) ed è perciò più riflessiva e concettuale perché studia e spiega la
Trinità in se stessa; risponde alla domanda “la Trinità che cos’è?”, “come è fatta”? (E’ chiamata
dai teologi Trinità immanente).
Prima di proseguire, un esempio, forse anche banale, ci può aiutare a capire meglio queste due
modalità di conoscenza: se noi chiedessimo a nostra mamma di spiegarci cosa sia il sale, essa
certamente dopo averlo preso dal solito armadietto della cucina, ci farebbe subito notare le sue
caratteristiche esterne e visibili (granulosità, durezza, colore , ecc…) e determinate sue qualità che
rendono saporiti e gustosi i cibi; in questo caso potremmo dire di trovarci nella prima modalità di
conoscenza, corrispondente a quella del mondo biblico (il sale è visto secondo gli effetti che
produce).
Diverso invece sarebbe se chiedessimo ad un chimico da laboratorio le stesse informazioni circa lo
stesso sale: esso tralascerebbe sicuramente tutte le descrizioni, pur vere, di nostra mamma, per
soffermarsi a guardare, analizzare e capire al microscopio come sia fatto il sale “in se stesso”, cioè
la sua composizione chimica data da determinati elementi; ecco la seconda modalità di conoscenza,
vicina alla cultura greca che è più riflessiva (il sale è visto come è fatto in se stesso).
Come la mamma e il chimico hanno detto la verità sul sale ma da diverse angolazioni e punti di
vista, così anche la Bibbia e la riflessione teologica posteriore hanno detto il vero sulla Trinità, ma
chiaramente in modo diverso.
Il caso dei TdG che non accettano la formulazione teologica sulla Trinità (UNICA NATURA DIVINA
IN TRE PERSONE) è proprio simile a chi vedesse al microscopio i cristalli del sale da cucina e non
accettasse la relativa formula chimica “cloruro di sodio”.
L’impostazione e le conclusioni a cui arriva Felice Buon Spirito nel suo libro ne sono il tipico
esempio.
6
PRESENTAZIONE
Sulla falsa riga del precedente libro di Felice Buon Spirito, La Traduzione del Nuovo Mondo delle
Sacre Scritture , MANIPOLATA O TRADOTTA FEDELMENTE?, così intendo procedere con questo.
Come già accennato, ci si limiterà nel limite del possibile, a “guardarlo sotto la lente di
ingrandimento”, anche se non mancheranno delle considerazioni personali, riprendendo e
rianalizzando le stesse fonti utilizzate da Felice per controllare la veridicità o meno delle sue tesi e
delle sue conclusioni.
La vastissima produzione letteraria della WT è abbondantemente corredata di citazioni di studiosi
molti dei quali provenienti dal mondo “cristiano” o comunque non apertamente allineati alle
dottrine geoviste. Se questo certamente contribuisce a rendere molto più credibili le loro
pubblicazioni, serve anche a nascondere autentici artifici sperimentati e messi in atto per “piegare”
il testo citato alle tesi che si vogliono dimostrare: la tecnica dei puntini di sospensione viene molte
volte utilizzata per far dire alle fonti citate esattamente il contrario di quanto effettivamente
asseriscono.
Mi sono soffermato ad analizzare particolarmente la prima parte del libro, perché è attinente ai
presupposti e ai pilastri fondanti del tema trinitario che viene affrontato, mentre ho sorvolato
nell’analisi dei versetti proposti da Felice, sia perché molti non riguardano il nostro tema, ma
soprattutto perché sono già stati ampiamente trattati nel precedente lavoro.
Non potevano mancare alcune delle solite ma importanti raccomandazioni della stessa stampa
geovista che ho puntualmente riportato nell’introduzione: sono dei documenti preziosi, anzi
fondamentali per l’attendibilità e la certificazione di questo elaborato.
7
INTRODUZIONE
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»6
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»7 (il grassetto è mio)
«Può esistere la falsa religione? Dire e dimostrare che un’altra religione è falsa non è
una forma di persecuzione religiosa per nessuno. Non è persecuzione religiosa il
fatto che una persona informata smascheri pubblicamente una certa religione
indicando che è falsa, permettendo così di vedere la differenza tra la religione falsa e
la religione vera. Ma per smascherare e dimostrare che le religioni errate sono false, il
vero adoratore dovrà usare un autorevole mezzo di giudizio, una norma di
valutazione che non possa rivelarsi falsa. Smascherare pubblicamente la falsa
religione è certo più importante che dimostrare che la notizia di un giornale è falsa; è
un servizio di pubblica utilità, anziché persecuzione religiosa, ed è in relazione
con la vita eterna e la felicità delle persone. E tuttavia le lascia libere di scegliere»8
«Dobbiamo esaminare non solo ciò che personalmente crediamo, ma anche ciò che è
insegnato da qualsiasi organizzazione religiosa alla quale siamo associati.
Sono i suoi insegnamenti in piena armonia con la Parola di Dio, o si basano sulle
tradizioni degli uomini? Se amiamo la verità, non c’è nulla da temere da tale esame»9
«Ciò che nοi come studenti biblici doνremmo volere è quello che dice il testo greco
originale. Solo aνendo questo basilare significato possiamo determinare se la
Traduzione del Nuovo Mondo ο qualsiasi altra traduzione della Bibbia è giusta ο nο»10
6 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 1557 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,118 Torre di Guardia, 15/6/1964, 3689 La verità che conduce alla vita eterna, Brooklyn 1968, 1310 Torre di Guardia 1/6/1970, 340
8
E’ con questo spirito ci mi accingo ad analizzare la dottrina della Trinità seguendo come si diceva,
il libro di Felice.
Partiamo intanto da alcune considerazioni che se per un verso “focalizzano” legittimamente il tema
in questione, dall’altra però fanno emergere una certa confusione a riguardo.
Ad esempio, nella prefazione del giornalista e scrittore Umberto Polizzi, mentre si descrive il
rapporto tra Gesù e il Padre, si legge:
«Nella sua trattazione [quella di Felice] fa spicco incontrovertibile il commento su una
testimonianza di Gesù Cristo che proibì di usare la parola “padre” come titolo religioso. In Matteo
23:9, Gesù disse: “E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro,
quello del cielo”. (CEI) Egli, non attribuì mai la parola “Padre” in relazione a se stesso, come
vorrebbero alcuni, ma la applicò sempre a Dio distinguendosi da Lui.»11
Sinceramente non si capisce a chi il giornalista faccia riferimento quando parla di “alcuni” che
vorrebbero attribuire a Gesù la parola “Padre”: chi sarebbero questi alcuni?
A scanso di equivoci diciamo subito che nessun trinitario nè tantomeno la Chiesa con il suo
insegnamento ha mai detto che Gesù si sia attribuito il titolo o il termine Padre: nelle Scritture
‘Padre’ è sempre riferito a Dio, e Gesù si è dichiarato il Figlio del Padre, o il Figlio di Dio,
distinguendosi certamente da Lui. Nella formulazione stessa del dogma trinitario, infatti, si fa una
chiara distinzione tra la ousìa, o sostanza divina, comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, e le
hypòstasi, che il latino come anche l’italiano traducono con persone, che sono tre, distinte ma non
separate.
Questo semplicemente per dire come molte volte, e nel nostro caso è lampante, sia facile per
l’impostazione geovista generare degli equivoci partendo, appunto, da falsi presupposti più che da
un pensiero critico vero e proprio.12
Se per Umberto Polizzi, in qualità di giornalista e scrittore, non avrei certamente motivo di dubitare
della sua professionalità, come teologo e biblista invece, nutrirei sicuramente più di qualche riserva.
Anche nella prefazione di Stefano Pizzorni vengono citati così due studiosi:
«Da tempo la maggior parte di biblisti e teologi è ben cosciente che la dottrina della trinità non si
trova formulata, in quanto tale, nelle scritture. Paolo Gamberini, un teologo gesuita, riconosce che
“il materiale biblico offre in quanto tale solo una possibilità, non una necessità per fondare una
dottrina trinitaria” 2 e così Schillebeeckx ci ricorda che “i vangeli non parlano di ‘persone’ in Dio” 3 .
11 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ VERITÀ O FALSITÀ? Cosa insegnano veramente la storia e le Sacre Scritture?, Azzurra7, Gardigiano di Scorzè (VE) 2007, 512 Cfr. Valerio Polidori, I Testimoni di Geova e la falsificazione della Bibbia, EDB 2007, 102
9
La lista potrebbe continuare, e questi autori, pur restando per lo più trinitari, riconoscono che non è
nelle affermazioni bibliche sul Padre, il Figlio e lo spirito che è possibile elaborare la dottrina della
trinità. Il libro di Felice Buon Spirito ha il pregio di indicarci in che misura questa “possibilità”
scritturale è ammissibile, ovvero fino a che punto è possibile usare le scritture per sostenere la
dottrina della trinità e in che misura essa è frutto dell’elaborazione di concetti filosofici successivi,
estranei alle scritture e all’ambiente in cui esse furono redatte»13
Il lettore che si trova di fronte a questa citazione, è indotto a pensare che sia il teologo Gamberini,
per giunta gesuita, che il grande Schillebeeckx, ingenerino il dubbio che la dottrina della Trinità non
abbia solide radici bibliche, anzi sia ad esse estranea.
In verità basta controllare la fonte riportata in un contesto più ampio per renderci conto che il
pensiero dei due studiosi è ben diverso; come al solito le parti omesse sono in rosso:
«1. LA DOTTRINA DELLA TRINITÀ COME SUMMA EVANGELII
Come i titoli cristologici hanno il compito di far emergere la verità teologica e soteriologia
dell’evento escatologico dell’identificazione di dio con Gesù crocifisso, così la dottrina della Trinità
ha la funzione di narrare vita, passione e morte di Gesù di Nazaret come storia di Dio. In quanto
summa del vangelo, la dottrina della Trinità può garantire questa storia da qualsiasi riduzione
razionalistica o mitica di Dio. Come gli inni, le omologie e i titoli cristologici hanno essenzialmente
un valore salvifico e non meramente definitorio e assertivo, così anche la Trinità è una dottrina che
esprime una verità salutare. Il mysterium trinitatis è mysterium salutis.
La dottrina della Trinità deve essere elaborata non tanto mettendo insieme affermazioni bibliche sul
Padre, sul Figlio e sullo Spirito , quanto riflettendo sull’esperienza di salvezza in Gesù di Nazaret.
Teniamo presente che il materiale biblico offre in quanto tale solo una possibilità, non una necessità
per fondare una dottrina trinitaria. <I vangeli non parlano di “persone” in Dio né lo fanno i primi
grandi concili cristologici>.1 L’identificazione di Dio con Gesù crocifisso costringe a presupporre
una distinzione di Dio in se stesso, in cui Dio non si contraddice ma è corrispondenza d’amore. Se
la croce è l’evento fondatore della fede trinitaria, non solo il concetto dell’essenza divina non può
essere più pensato astratto dalla storia dell’essere trinitario di Dio, ma l’essere trinitario di Dio non
può essere postulato, prescindendo dall’esperienza di Gesù di Nazaret»14
Nell’introduzione, lo stesso Felice Buon Spirito, quando accenna alle dichiarazioni del Consiglio
Ecumenico delle Chiese protestanti il quale ricorda come sia importante per la fede trinitaria
riconoscere Gesù come Dio, scrive:
13 Felice Buon Spirito, La Trinità…, 7-814 Paolo Gamberini, Questo Gesù (At 2,32). Pensare la singolarità di Gesù Cristo, EDB, 2007, 257
10
«La cosa più strana è che anche se tutti credono in Gesù come Dio ci sono varie differenze di credi
trinitari e di dottrine varie»15
In verità non c’è nulla di strano semplicemente perché non ci sono mai stati né esistono differenti
credi trinitari; il credo cristiano della Trinità è sempre stato quell’unico formulato nei concili
ecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381), prima attraverso la “viva voce” della Scrittura,
poi con la riflessione teologica dei Padri pre-niceni che nei secoli II e III aveva già maturato i
cardini del sistema trinitario: la divinità di Cristo nella sua parità ontologica col Padre e, sebbene in
modo minore, la realtà “personale” dello Spirito.16
Un'altra affermazione a dir poco “azzardata” che non può certo “passare in sordina” la leggiamo
nella sezione dove Felice parla del Concilio di Nicea:
«Verso il IV secolo, Atanasio, Vescovo di Alessandria, sosteneva che Gesù e Dio fossero la stessa
persona»17
Diciamo subito che Atanasio non ha mai né detto nè pensato questo, anzi è stato un teologo che ha
sempre mantenuto il paradosso della rivelazione biblica, la quale afferma che in Dio vi è una reale
generazione (il Figlio è realmente distinto dal Padre – contro la posizione sabelliana), senza che
questo implichi una divisione di sostanza in Dio – il che condurrebbe al politeismo).18
L’inconsistenza dell’affermazione di Felice è inoltre confermata dal fatto che qui Felice non cita
nessuna fonte, appunto perché non esiste nessuna lettera o scritto che sostenga la sua tesi.
Chi invece negava l’esistenza propria delle tre Persone divine a favore di un monoteismo radicale
(unico Dio/soggetto personale) era l’eresia trinitaria del monarchianesimo del II° e III° sec., che si
conformò nel monarchianesimo adozionista (o adozionismo) e in quello patripassiano (o
modalista), per il quale l’unico Dio si manifesta in tre modi diversi (Padre, Figlio e Spirito Santo).
Il monarchianesimo modalista poi prese anche il nome di sabellianismo, dall’eretico Sabellio che
presentava l’unità e indivisibilità di Dio, formata da una sola persona (ipòstasi) e tre diverse forme
o modi in cui Dio si manifestava: Padre nell’AT, Figlio nel NT e Spirito Santo nella Pentecoste.19
Ci sono inoltre altre considerazioni di Felice più tecniche e ponderate, che ci aiutano certamente
meglio ad entrare nel “vivo” della questione;
15 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 916 Cfr. Valerio Polidori, I Testimoni di Geova…, 10117 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 4118 Cfr. ATANASIO, Il Credo di Nicea, 38 19 Cfr. LDTE, 673
11
«L’Autore mette, nel suo giusto rilievo, il fatto che Gesù fu un vero uomo, per cui sottintende come
si può dire che questo vero uomo fu anche contemporaneamente anche vero Dio?»20
Una risposta chiara ed esaustiva la estrapolo dalla terza appendice del libro di Brown, già molte
volte citato dalla stampa geovista:
«Il lento sviluppo dell’uso del titolo ‘Dio’ per Gesù richiede una spiegazione… Nello stadio più
primitivo del cristianesimo, l’eredità veterotestamentaria dominava l’uso di ‘Dio’, per cui ‘Dio’ era
un titolo troppo stretto per essere applicato a Gesù. Si riferiva strettamente a ‘Colui che è in cielo’,
al quale Gesù si rivolgeva come Padre e indirizzava preghiere. Gradualmente (negli anni cinquanta
e sessanta?), nello sviluppo del pensiero cristiano, ‘Dio’ fu compreso come un termine più ampio 286.
Dio si era rivelato in Gesù in modo tale che la designazione ‘Dio’ doveva poter includer sia il Padre
che il Figlio287. L’ultima letteratura paolina sembra rientrare in questo stadio di sviluppo. Se Rm 9,5
chiama Gesù Dio, è un caso isolato nel più ampio ambito delle principali opere paoline, che
presentano Gesù come Signore e il Padre come Dio. Dal tempo delle pastorali, ad ogni modo, Gesù
è ben conosciuto come ‘Dio-e-Salvatore’. Le opere giovannee risalgono agli ultimi anni del secolo,
quando l’uso di ‘Dio’ per Gesù era divenuto comune… Nel NT perciò non c’è alcun evidente
conflitto tra i passi che chiamano Gesù Dio e i passi che sembrano descrivere Gesù incarnato come
minore di Dio o del Padre289. Il problema di come, durante il tempo della sua vita, Gesù potesse
essere contemporaneamente Dio e uomo è rappresentato, nel NT, non dall’uso del titolo ‘Dio’, ma
da alcuni degli strati più recenti del materiale evangelico che pongono in evidenza la divinità di
Gesù anche prima della risurrezione290… L’acclamazione di Gesù come Dio è una risposta di
preghiera e di culto al Dio rivelato in Gesù… Così, anche se abbiamo visto che c’è un solido
precedente biblico per chiamare Gesù ‘Dio’, dobbiamo valutare con cautela quest’uso all’interno
dell’ambiente neotestamentario. Una ferma adesione ai più recenti sviluppi teologici e ontologici,
che portano alla confessione di Gesù Cristo come ‘Dio vero da Dio vero’, non deve indurre i
credenti a sopravvalutare o a sottovalutare la meno sviluppata confessione neotestamentaria»21
Anche il Kelly, abbondantemente citato da Felice, offre una risposta a riguardo:
«In genere gli scrittori del Nuovo Testamento consideravano Cristo preesistente e tendevano ad
attribuirgli un duplice ordine di essere: “secondo la carne” (kat¦ s£rka), cioè in quanto uomo, e
“secondo lo Spirito” (kat¦ pneàma), cioè in quanto Dio. Questa formula era così profondamente
conficcata nel loro pensiero che F. Loofs a buon diritto la definì “il dato fondamentale di tutto lo
20 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 521 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1995, 188-190
12
sviluppo cristologico posteriore”. Dato che essa conteneva tutti gli elementi del problema
cristologico, dei cristiani non superficiali e riflessivi difficilmente potevano ignorarla»22
«Ogni persona desiderosa di conoscere la verità dovrebbe esaminare questa dottrina per determinare
se è conforme agli insegnamenti di Gesù Cristo. Questo studio sulla dottrina della Trinità è stato
preparato proprio a tal fine»23
Non possiamo che essere d’accordo con Felice. Apprestiamoci dunque ad esaminare, per quanto ci
è possibile in un modo sufficientemente scientifico, la dottrina della Trinità, determinandone la
conformità o meno agli insegnamenti neotestamentari e ai Padri apostolici.
Può essere superfluo ricordare, ma per amor di precisione si ribadisce, che Felice, essendo TdG, non
crede che la dottrina della Trinità sia un insegnamento biblico e parte integrante del credo e della
fede delle primissime comunità cristiane a cui appartenevano i Padri apostolici.
Egli entra subito nel merito, e nella sua disanima analizza giustamente gli scritti di questi primi
padri, seguendo sostanzialmente l’opera curata da Antonio Quacquarelli I PADRI APOSTOLICI,
Collana di testi patristici, Città Nuova. In sole tre pagine (veramente poche) e con qualche
tendenziosa citazione (come spesso capita nella stampa dei TdG) estrapolata ad hoc, liquida il
problema, e introducendo più avanti la sezione degli apologisti dice:
«Abbiamo visto che i Padri Apostolici non insegnarono la dottrina della Trinità. Che dire degli
Apologisti?»24
Poco sopra ho parlato di “citazione tendenziosa”: non vuole essere un gratuito giudizio negativo
verso nessuno, e per questo mi accingo subito a dimostrarne la fondatezza. Per esempio, a pag. 25,
Felice scrive:
«In questi scritti [si parla dei Padri], che risalgono alla fine del I secolo e all’inizio del II, sembra
che non si trovi nessun sostegno per la dottrina trinitaria, a parte qualche raro caso da interpretare.
Infatti, “molti studiosi oggi insistono nel dire che i P.A. non hanno nella loro mente chiara la
dottrina trinitaria”. (I Padri Apostolici, Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova Editrice, IX
edizione (1998); pagg. 9,10)» (sottolineatura mia)
Perché questa citazione è tendenziosa? Per due semplici motivi:
22 John N.D. Kelly, IL PENSIERO CRISTIANO DELLE ORIGINI, EDB 1999, 171 23 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 924 Idem, 31
13
1) Dalla lettura del Quacquarelli si evince con chiarezza (lo vedremo più avanti) come la dottrina
della Trinità appartenga in pienezza agli scritti e all’insegnamento dei Padri che a loro volta si
basavano sull’autorità della scrittura;
2) Felice cita fuori contesto il Quacquarelli per avvalere e confermare la sua tesi (si tende cioè a
portare il lettore a convincersi che anche lo studioso sarebbe d’accordo nel ritenere che
l’insegnamento dei Padri avesse poco o nulla a che fare con la Trinità), mentre questo non è ciò che
esattamente dice il Quacquarelli;
Andiamo infatti a leggere in un contesto più ampio la stessa fonte
«Affrettatamente molti studiosi oggi insistono nel dire che i P.A. non hanno nella loro mente chiara
la dottrina trinitaria. Anzi, aggiungono che confondono lo Spirito Santo col Cristo. Per questo è
stato coniato un termine che caratterizza tale confusione: la pneumacristologia. Non vogliamo
annoiare il lettore con questioni che ci portano lontano dallo spirito dei P.A. i quali ci esortano a
non ascoltare le parole inutili»25
E’ chiaro che solo leggendo per intero con le parti omesse in rosso la citazione, si nota come il
Quacquarelli non “aiuti” la tesi di Felice, anzi dice che le conclusioni a cui arrivano alcuni studiosi
sono “affrettate” ben lontane dallo spirito dei Padri, e dunque non corrispondenti al loro pensiero.
Non a caso ho riportato all’inizio le due fondamentali raccomandazioni del Manuale per la scuola
di ministero (che non sono scritti del Vaticano ma della WT), e che tantissime volte sono la prova
del nove per confermare o smentire le tesi della stampa geovista.
E questo è solo un esempio.
Prima di proseguire, considerata la tesi di Felice secondo la quale i Padri Apostolici non
insegnavano la dottrina della Trinità, vediamo effettivamente cosa dice il Quacquarelli. Dopo una
prima “zummata” dello stesso sul pensiero generale dei P.A., si analizzerà la specificità di ciascuno.
I PADRI APOSTOLICI
«I Padri Apostolici sono gli autori cristiani più antichi… i loro scritti… hanno un valore
inestimabile per la conoscenza della prima e della seconda generazione cristiana… Essi sono il
documento della potenza con cui la parola di Cristo era entrata nella vita della prima comunità
apostolica e sub-apostolica… E la teologia di questi Padri è vita, fondata su Cristo, amato in modo
appassionato… Egli è il centro del loro discorso. Cristo, la Trinità, la Chiesa, ecco le modulazioni di
questa prima letteratura cristiana…
25 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, 9-10
14
Non hanno bisogno di costruzioni filosofiche o di grandi ragionamenti, ma di poche riflessioni
dell’esperienza che ogni giorno essi fanno delle cose che cadono sotto i loro occhi. Invano uno può
cercare una esposizione metodica organica e completa di una dottrina teologica come la intendiamo
oggi…
1. …Nel leggerli dobbiamo anzitutto tener presente l’enorme importanza che la sacra Scrittura
aveva per loro…7 Prendiamo i saluti di Ignazio alle singole chiese. Sono saluti che non hanno nulla
in comune con quelli degli autori latini e greci classico-pagani. Essi sviluppano i motivi di gloria
che dalla Chiesa particolare passano al Padre e al Figlio e dal Padre al Figlio passano, mediante lo
Spirito Santo, alla Chiesa universale…
Usano termini… per indicare l’azione tangibile dello Spirito nella comunità, la Chiesa e l’opera del
Cristo presso il Padre… 2. Affrettatamente molti studiosi oggi insistono nel dire che i P.A. non
hanno nella loro mente chiara la dottrina trinitaria. Anzi, aggiungono che confondono lo Spirito
Santo col Cristo. Per questo è stato coniato un termine che caratterizza tale confusione: la
pneumacristologia. Non vogliamo annoiare il lettore con questioni che ci portano lontano dallo
spirito dei P.A. i quali ci esortano a non ascoltare le parole inutili…
Contro ogni innovazione che veniva a scardinare dalla base il fondamento della Chiesa si ricorreva
alla testimonianza dei P.A. Le insorgenze antitrinitarie, per Basilio Magno, si infrangevano contro
lo scoglio dei P.A. Per lui la concezione dello Spirito Santo era ormai divenuta una nozione
comune. Egli, nell’opera De Spirtu Sancto (29,72), accenna alla dossologia trinitaria di Clemente
Romano per dire contro gli ariani quanto fosse vissuto sin dalle origini il principio della Trinità.
Molti sono gli elementi che attestano la coscienza trinitaria dei P.A….
I P.A. vivono la Trinità che è sottesa alla vita della comunità, la Chiesa, e di ogni fedele. Pressante è
il loro appello nei momenti di crisi, come quello di Clemente Romano… Qui la sua dossologia:
“Vive Dio, vive il Signore Gesù Cristo e lo Spirito Santo, la fede e la speranza degli eletti” (LVIII,
2)… Sant’Ignazio esorta i Magnesii ad essere forti negli insegnamenti del Signore e degli Apostoli
perché tutto possa riuscire bene nella fede e nella carità con il Figlio, con il Padre, e con lo Spirito
dal principio alla fine… Bisogna essere sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo
è sottomesso nella sua umanità al Padre, e come gli Apostoli a Gesù Cristo, al Padre e allo Spirito
Santo (Magn. XIII, 1-2)… Lo Spirito Santo viene ad essere espresso in una di quelle forme
spontanee che sono la caratteristica della prosa dei P.A. Si cerca cioè una spiegazione sommaria
della unità che è nel contempo trinità divina. Per Ignazio di Antiochia ogni fedele è portatore di
Dio, di Cristo e dello Spirito Santo (Efes. IX, 2)… Per il Pastore d’Erma lo Spirito Santo è eterno
(Sim. LIX [6] 5) santifica la carne, abita nelle anime docili e tranquille (Prec. XXXIV [2] 6) e
rifugge da quelle tristi e anguste… Ignazio di Antiochia, per la costruzione del tempio del Padre,
15
vede nei cristiani le pietre elevate da Gesù con l’argano che è la croce, e con la corda che è lo
Spirito Santo (Efes. IX, 1)…
Per l’uso delle espressioni Cristo che è Dio, lo Spirito che è Cristo dobbiamo pensare al concetto
dell’unità divina indissolubile del Padre, del Figlio e dello Spirito, che era chiaro nei P.A. Perciò
Dio era il Padre, Dio era il Figlio, Dio era lo Spirito Santo, intenti ad una medesima azione di
salvezza. Ogni incomprensione in questo senso urta i P.A. Se non dimentichiamo quanto è scritto
nella Lettera a Diogneto, che Gesù Cristo fu mandato come Dio e come uomo tra gli uomini (VII,
4), comprendiamo anche il linguaggio di Iganzio di Antiochia. In una sua dossologia leggiamo:
“Gloria a Gesù Cristo Dio” (Smirn. I, 1), e in un altro passo che “Gesù Cristo, nostra vita
inseparabile è la mente del Padre” (Efes. III, 2) e altrove ancora che “la scienza di Dio è Gesù
Cristo” (Efes. XVII, 2). Ignazio di Antiochia spiega agli Efesini che “nostro Dio, Gesù Cristo è
stato portato nel seno di Maria secondo l’economia divina, nato dalla razza di David e dello Spirito
Santo” (XVIII, 2)»26
Fin qui a grandi linee l’introduzione generale del libro di Quacquarelli; ora vediamo i singoli padri
così come li cita Felice.
BARNABA
Felice riporta un brano del Quacquarelli dove si accenna alla circoncisione di Abramo che nello
spirito prevedeva Gesù; questo è un esempio di esegesi tipologica in un linguaggio simbolico, che
può far da modello per capire come era intesa allora la Scrittura comune alla cultura dell’epoca che
a noi ora sfugge.27 In Barnaba c’è un continuo richiamo alla profezie dell’Antico Testamento in
diretto riferimento a Cristo:
«5. Ancora questo, fratelli miei: se il Signore volle patire per la nostra anima perché, egli che è il
Signore di tutto il mondo, al quale Dio dopo la creazione del mondo disse: “Facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza” perché tollerò di patire per mano dell’uomo? Imparate. 6. I profeti
che da lui hanno ricevuto la grazia profeteranno per lui. Egli per abolire la morte e per provare la
risurrezione dei morti doveva incarnarsi e soffrì… Allora manifestò di essere il Figlio di Dio. 10. se
non fosse venuto nella carne, come gli uomini si sarebbero salvati nel vederlo se non sono capaci di
guardare il sole, destinato a scomparire, opera delle sue mani, e fissare gli occhi nei suoi raggi?»28
26 Idem, vedi copertina, 7-12. 17 27 Idem, vedi soprattutto VII – IX. XII, 196-200; 203 - 20528 Idem, Lettera di Barnaba V, 192-193
16
Anche se non si parla in questa lettera di Gesù come Dio né di Trinità, è chiara la profonda unità tra
Dio, il Padre, e suo Figlio Gesù nell’opera della redenzione e della salvezza attuata
dall’incarnazione.
CLEMENTE ROMANO
«Ascoltate il nostro consiglio, e non avrete a pentirvi. Vive Dio, vive il Signore Gesù Cristo e lo
Spirito Santo, la fede e la speranza degli eletti… da Dio sarà posto e annoverato nel numero dei
salvati da Gesù Cristo, per mezzo del quale a Lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.»29
«Non abbiamo un solo Dio, un solo Cristo e un solo spirito di grazia effuso su di noi e una sola
vocazione in Cristo?»30
«Gli apostoli predicarono il vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. 2.
Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente dalla volontà di Dio. 3.
Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi
nella Parola di Dio con l’assicurazione dello Spirito Santo andarono ad annunziare che il regno di
Dio era per venire»31
«La fede in Cristo conferma tutte queste cose. Egli per mezzo dello Spirito Santo così ci esorta:
“Figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore…”»32
Bastano solo queste poche citazioni (naturalmente tralasciate da Felice) perché emerga con
chiarezza anche in Clemente una marcata coscienza trinitaria: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo
compiono tre attività distinte sul piano dell’economia divina in relazione agli uomini; certo, se
pretendiamo come ritiene Felice, che Clemente si esprima con modi e categorie posteriori e
ontologiche (relative al piano dell’essere), naturalmente si è fuori strada.
ERMA
Riguardo all’opera “Il Pastore” dell’omonimo padre, è interessante la citazione di Felice; riporto
testualmente:
«La sua opera, “Il Pastore” contiene forse qualche elemento che c’induce a ritenere che egli
credesse in un Dio trino? Egli “Non nomina mai Cristo ma usa i termini Salvatore, Figlio di Dio o
Signore…e dice che lo Spirito Santo è Figlio di Dio…dice che lo Spirito Santo (78,1) si è
incarnato”. (I Padri Apostolici, Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova Editrice, IX edizione
29 Idem, ai Corinti LVIII, 1-230 Idem, XLVI, 231 Idem, XLII, 1-332 Idem, XXII, 1
17
(1998); pag. 240). Possiamo fidarci di frasi del genere come quelle appena citate o di quella dove si
dice che “Lo Spirito Santo è Figlio di Dio”? (LXXVIII,1) (I Padri Apostolici, Antonio
Quacquarelli, Roma, Città Nuova Editrice, IX edizione (1998); pag. 316)»33
Subito dopo lo stesso Felice, parlando sempre di Erma e del suo pensiero circa il Figlio di Dio, cita
un altro studioso, il Kelly, scrivendo testualmente così:
«A proposito di ciò che Erma pensava del Figlio di Dio, John N. D. Kelly scrive: “In alcuni brani
leggiamo di un angelo, superiore ai sei angeli che formano il consiglio interno di Dio, regolarmente
definito <<il più venerabile>>, <<santo>> e <<glorioso>>. A questo angelo è dato il nome di
Michele ed è difficile sfuggire alla conclusione che Erma vide in lui il Figlio di Dio e lo identificò
con l’arcangelo Michele…E’ pure evidente…il tentativo di interpretare Cristo come una sorta di
angelo supremo…”. (Il pensiero cristiano delle origini, J. N. D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione
riveduta a cura di G. Gramaglia,1984, pagina 119)»34
Felice, citando in questo modo l’opera Il Pastore, induce il lettore a dubitare fortemente che Erma
avesse una forte coscienza trinitaria di Dio, e lo porta a non fidarsi del suo pensiero e del suo
insegnamento. Basta però controllare la fonte per scoprire giusto il contrario; riporto in rosso le
parti della citazione del Quacquarelli omesse da Felice:
«Descrive la realtà cristologica ed ecclesiale attraverso una simbolica tutta particolare per noi ma
che i fedeli dell’epoca ben comprendevano. Non nomina mai Cristo ma usa i termini Salvatore,
Figlio di Dio o Signore. Non trova termini adeguati per indicare l’eterna attività dello Spirito Santo
e dice che lo Spirito Santo è Figlio di Dio, una terminologia che serve a non separare lo Spirito
Santo dal Figlio (59 [6]; 60 [7]). Perciò dice che lo Spirito Santo (78,1) si è incarnato»35
E’ solo leggendo la citazione per intero che emerge con chiarezza il vero pensiero di Erma: intanto
“usa una simbologia particolare per descrivere la realtà di Cristo che capivano i fedeli dell’epoca e
non noi oggi”; poi se “non trova dei termini adeguati per indicare l’eterna attività dello Spirito
Santo”, crede comunque che sia eterno,36 e dunque divino, - come infatti dice qui e anche altrove
(Sim. LIX [6] 5; Prec. XXXIV [2] 6); infine dice che lo Spirito Santo è Figlio di Dio perché è “una
terminologia che serve a non separare lo Spirito Santo dal Figlio”, e giustifica “perciò” che lo
Spirito Santo si sia incarnato.
33 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 2734 Idem35 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, 24036 Idem, vedi anche LIX [6] 5, 300; XXXIV [2] 6, 274; LX (7), 301; LXXVIII (1), 316
18
Circa la citazione del Kelly riguardo a Gesù come a un angelo, basta andare a controllare più
ampiamente la fonte alle pagine 118-119 per capire come stanno effettivamente le cose; come al
solito riporto in rosso le parti della citazione omesse da Felice:
«Evidentemente Erma considera tre personaggi distinti: il padrone (cioè Dio Padre), il suo “figlio
diletto” (cioè lo Spirito Santo) e il servitore (cioè il Figlio di Dio, Gesù Cristo). Però la distinzione
fra i Tre sembra datare dall’Incarnazione; come preesistente, il Figlio di Dio è identificato con lo
Spirito Santo, cosicché prima dell’Incarnazione sembrano esservi state soltanto due Persone divine:
il Padre e lo Spirito Santo. La terza, il Salvatore o Signore, fu innalzato al loro livello in ricompensa
dei suoi meriti, perché ha efficacemente cooperato con lo Spirito preesistente che dimorava in lui.
La teologia di Erma, quindi, è un amalgama di binitarismo e di adozionismo (sebbene egli abbia
fatto il tentativo di conformarsi alla formula triadica accettata nella Chiesa), ulteriormente
complicata dal fatto che era attraversata da un complesso d’idee totalmente diverso. In alcuni brani
leggiamo di un angelo, superiore ai sei angeli che formano il consiglio interno di Dio, regolarmente
definito <<il più venerabile>>, <<santo>> e <<glorioso>>. A questo angelo è dato il nome di
Michele ed è difficile sfuggire alla conclusione che Erma vide in lui il Figlio di Dio e lo identificò
con l’arcangelo Michele… Le testimonianze che possiamo raccogliere dai Padri Apostolici sono
scarse, e ci turbano perché sono inconcludenti. La preesistenza di Cristo generalmente era ammessa,
e così pure il suo ruolo nella creazione e nella redenzione: un tema che potrebbe orientare ai
paralleli paolini e giovannei e che si accorda bene con la funzione creatrice assegnata alla Sapienza
nel tardo giudaismo… E’ pure evidente, come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, il
tentativo di interpretare Cristo come una sorta di angelo supremo; qui possiamo scorgere l’influsso
dell’angeologia giudaica. Naturalmente non vi è alcun cenno alla dottrina della Trinità in senso
stretto, sebbene la formula triadica della Chiesa abbia lasciato ovunque la sua impronta»37
Intanto dalla citazione completa emerge chiaro il trinitarismo di Erma (come anche la Chiesa
accettava), anche se amalgamato di binitarismo e di adozionismo, condizioni del tutto normali
considerato il determinato e particolare periodo dove i padri sono chiamati a operare.
Il tentativo, poi, di interpretare Gesù Cristo come una sorta di angelo supremo, non era certo un
ortodosso insegnamento cristiano, ma un’influenza dell’angeologia giudaica; perciò questo non può
essere preso a conferma delle tesi di Felice e dei TdG che considerano Gesù l’Arcangelo Gabriele.
Dunque, alla domanda di Felice <Possiamo fidarci di frasi del genere come quelle appena citate o di
quella dove si dice che “Lo Spirito Santo è Figlio di Dio”?>, si risponde con fermezza che delle
37 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, 2ª ed., EDB, 1999, 118-119
19
frasi citate da lui stesso e soprattutto di come le ha citate non c’è da fidarsi di sicuro! Nulla di più
indicato che le solite preziose raccomandazioni:
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»38
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»39 (il grassetto è mio)
Essendoci accertati di quello che il Quacquarelli dice veramente, si può ritenere che anche Erma
avesse una chiara e sostanziale coscienza trinitaria di Dio.
IGNAZIO DI ANTIOCHIA
Con Ignazio si arriva all’apice della concezione cristologia espressa dai P.A. Chiara risulta la
funzione delle tre Persone nella sua cristologia. Ignazio come insiste sull’umanità di Gesù Cristo,
con termini realistici della vita fisica e vegetativa per richiamare la vera natura della sua carne che è
la nostra carne (cioè vero uomo come noi), così insiste sulla sua divinità al punto di chiamare Cristo
Dio. Parlando della Chiesa Ignazio scrive nel saluto agli Efesini:
«Iganzio, Teoforo, a colei che è stata benedetta in grandiosità… che è stata scelta nella passione
vera per volontà del Padre e di Gesù Cristo, Dio nostro, la Chiesa degna di essere beata»40
«Non c’è che un solo medico, materiale e spirituale, generato e ingenerato, fatto Dio in carne, vita
vera nella morte, nato da Maria e da Dio, prima passibile poi impassibile, Gesù Cristo nostro
Signore»41
38 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15539 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1140 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, Saluto agli Efesini, 99 41 Idem, VII, 2
20
«Il nostro Dio, Gesù Cristo è stato portato nel seno di Maria, secondo l’economia di Dio, del seme
di David e dello Spirito Santo»42
«C’è un solo Dio che si è manifestato per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio, che è il suo Verbo uscito
dal silenzio»43
«Cercate di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli apostoli perché vi riesca bene tutto
quanto fate nella carne e nello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito…
Siate sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo al Padre, nella carne, e gli apostoli
a Cristo e al Padre e allo Spirito, affinché l’unione sia carnale e spirutuale»44
«Voi siete pietre del tempio del Padre preparate per la costruzione di Dio Padre, elevate con
l’argano di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo… Siate tutti compagni di
viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito Santo»45
«Ignazio, Teoforo, a colei che ha ricevuto misericordia… nella fede e nella carità di Gesù Cristo
Dio nostro, che presiede nella terra di Roma… il mio saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del
Padre. A quelli che sono uniti nella carne e nello spirito… l’augurio migliore e gioia pura in Gesù
Cristo, Dio nostro»46
«E’ bello per me morire in Gesù Cristo… Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è
risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli. Non impedite che io viva, non
vogliate che io muoia… Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio»47
«Gloria a Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi»48
«Vi prego di essere forti nel Dio nostro Gesù Cristo e in lui rimanete nell’unità e sotto la vigilanza
di Dio»49
«Guardatevi dunque da questi. Ciò sarà possibile non gonfiandovi e non separandovi da Dio Gesù
Cristo, dal vescovo e dai precetti degli apostoli»50
«Dio nostro Signore Gesù Cristo essendo nel Padre si riconosce maggiormente»51
42 Idem, XVIII,243 Idem, Magnesii VIII,2, 11144 Idem, XIII, 1-2, 113 45 Idem, Efesini IX, 1-246 Idem, Saluto ai Romani, 12147 Idem, VI, 1-3, 12448 Idem, Smirnesi I,1, 13349 Idem, Policarpo VIII, 3, 14350 Idem, Tralliani VII, 1, 11751 Idem, Romani III, 3, 122
21
Dopo questo excursus, sufficientemente esaustivo, come può Felice dire che Ignazio non sostenne
la Trinità, o che al massimo credesse in una dualità?
L’EPISTOLA A DIOGNETO
Nella VII sezione dove tratta di Dio e del Verbo, Diogneto scrive:
«Ma quello che è veramente signore e creatore di tutto e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dal
cielo, tra gli uomini, la verità, la parola santa e incomprensibile e l’ha riposta nei loro cuori. Non già
mandando, come qualcuno potrebbe pensare, qualche suo servo o angelo o principe o uno di coloro
che sono preposti alle cose terrene o abitano nei cieli, ma mandando lo stesso artefice e fattore di
tutte le cose… lo inviò come Dio e come uomo per gli uomini»52
«Chi fra tutti gli uomini sapeva perfettamente che cosa è Dio, prima che egli venisse?... Alcuni
affermavano che Dio è il fuoco… altri dicevano che è l’acqua, altri che è uno degli elementi da Dio
creati… Nessun uomo lo vide e lo conobbe, ma egli stesso si rivelò a noi… Avendo pensato un
piano grande e ineffabile lo comunicò solo al Figlio»53
«Egli mandò il Verbo come sua grazia, perché si manifestasse al mondo…. Egli fin dal principio
apparve nuovo ed era antico… Egli eterno in eterno viene considerato Figlio»54
PAPIA DI GERAPOLI
Delle opere di Papia ci sono pervenuti solo pochissimi frammenti, che dal punto di vista storico
hanno comunque un’importanza enorme per l’insegnamento orale dei discepoli degli apostoli.
Figura di primo piano, di lui era grande la stima che si aveva, tanto che molti tra i P.A. e non
attinsero alle suo opere e rimasero influenzati dalle sue opinioni.55
Il fatto che non dica nulla sulla Trinità non significa che questa non fosse parte della sua fede
cristiana.
POLICARPO
Negli atti del ”Martirio di Policarpo” si legge una preghiera recitata dal martire poco prima di essere
arso vivo; riporto testualmente l’interessante citazione di Felice nel suo libro:
«“Signore, Dio onnipotente Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio per il cui mezzo
abbiamo ricevuto la tua conoscenza…ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e
celeste gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio”. (XIV, 1,3) “A lui…mediante suo Figlio
52 Idem, A Diogneto VII, 2-4, 35853 Idem, VIII, 1-9, 35954 Idem, XI, 3-5, 36255 Idem, 176-177
22
l’unigenito Gesù Cristo”. (XIX, 2) (I Padri Apostolici, Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova
Editrice, IX edizione (1998); pag. 168, 171)
Negli scritti di Policarpo troviamo forse qualcosa che sostenga la trinità? No, affatto. Ciò che egli
dice è in armonia con l’insegnamento di Gesù e dei suoi discepoli e apostoli. Egli distingue
chiaramente i ruoli di Dio da quelli di Gesù»56
Certamente leggendo la citazione di Felice non troviamo nulla che in qualche modo possa sostenere
la Trinità, ma se andiamo alla fonte da dove Felice cita, si noterà dell’altro che non viene
considerato; riporto la preghiera di Policarpo per intero, e come al solito le parti omesse in rosso e
in grassetto quelle più importanti :
«Signore, Dio onnipotente Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio per il cui mezzo
abbiamo ricevuto la tua conoscenza
O Dio degli angeli e delle potenze di ogni creazione e di ogni genia dei giusti che vivono alla tua
presenza.
2. Io ti benedico perché mi hai reso degno di questo giorno e di questa ora di prendere parte nel
numero dei martiri al calice del tuo Cristo per la risurrezione della vita eterna dell’anima e del
corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo.
In mezzo a loro possa io essere accolto al tuo cospetto in sacrificio pingue e gradito come prima
l’avevi preparato, manifestato e realizzato, Dio senza menzogna e veritiero.
3. Per questo e per tutte le altre cose ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e celeste
gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio, per il quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo
ora e nei secoli futuri. Amen»57
Da ciò che si legge nella citazione completa emerge con chiarezze la presenza dell’incorruttibile
Spirito Santo, pregato per ben due volte da Policarpo, ma accuratamente evitato da Felice; è un
chiaro esempio, visto anche altrove, di una radicata coscienza trinitaria che permeava gli scritti e
l’insegnamento dei P.A.
Dunque, tornando alla domanda di Felice, possiamo dire che certamente, anche dagli scritti di
Policarpo, si trova un ampio consenso e sostegno alla Trinità.
Il fatto di separare chiaramente i ruoli di Dio e di Cristo, come certificano le scritture e di
conseguenza i P.A., riguardano le distinzione delle Persone divine, e non annulla ne contraddice la
Trinità che esprime l’unità di natura tra le Persone divine stesse.
Ancora una volta, ma non sarà certo l’ultima, riportiamo le preziose raccomandazioni:
56 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 2957 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, 168
23
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»58
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»59 (il grassetto è mio)
E’ oltremodo interessante notare che da questa bellissima preghiera di Policarpo emergono altre
verità di “fede” cristiana rifiutate dalla teologia dei TdG:
1) attraverso la morte fisica si da la possibilità di un’immediata unione con Cristo senza aspettare
l’ultimo giorno
2) la risurrezione alla vita eterna è non solo del corpo ma anche dell’anima, che dunque non viene
annientata e distrutta completamente.
LA DIDACHÈ
Piccola opera scritta in forma piana e semplice è del genere catechetico-precettistico che risente
dello stile evangelico e rimane come un unico. Scritto molto antico, composto ancor prima della
stesura del vangelo di Giovanni e dell’Apocalisse, è quasi contemporaneo alla redazione dei
sinottici. Importante l’insegnamento sul battesimo:
«Circa il battesimo, così battezzate: dopo ogni premessa, nell’acqua viva battezzate nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Se non hai acqua viva, battezza in altra acqua; se non puoi
nella fredda, nella calda. Se non avessi né l’una né l’altra, versa per tre volte sul capo l’acqua nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»60
Felice, nella conclusione a conferma della sua tesi, cita ancora il Kelly, che utilizzerà subito dopo
parlando degli Apologisti. Scrive testualmente:
58 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15559 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1160 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, Didachè VII, 1-2
24
«Lo storico J. N. D. Kelly, scrive: “Le testimonianze che possiamo raccogliere dai Padri Apostolici
sono scarse, e ci turbano perché sono inconcludenti… Naturalmente non vi è alcun cenno alla
dottrina della Trinità in senso stretto”. (Il pensiero cristiano delle origini, J. N. Kelly, Bologna,
EDB, 2a edizione riveduta a cura di G. Garamaglia, 1984, pag. 119)»61
Ma andiamo a leggere cosa veramente dice il Kelly a pag. 119
«Le testimonianze che possiamo raccogliere dai Padri Apostolici sono scarse, e ci turbano perché
sono inconcludenti. La preesistenza di Cristo generalmente era ammessa, e così pure il suo ruolo
nella creazione e nella redenzione: un tema che potrebbe orientare ai paralleli paolini e giovannei e
che si accorda bene con la funzione creatrice assegnata alla Sapienza nel tardo giudaismo…
Naturalmente non vi è alcun cenno alla dottrina della Trinità in senso stretto, sebbene la formula
triadica della Chiesa abbia lasciato ovunque la sua impronta»62
E’ palese come le parti omesse in rosso all’interno della citazione presentino un’altra veduta rispetto
a quella di Felice (la preesistenza di Cristo, il suo ruolo di creatore…); se è vero, come abbiamo
visto precedentemente, che nei P.A. non troviamo, come logico che sia, una dottrina elaborata e
concettuale della Trinità, è altrettanto vero, come dice l’ultima parte della citazione “tagliata” da
Felice, che la tipica formulazione triadica ha lasciato ovunque la sua impronta.
Lo stesso Kelly poche pagine prima scriveva:
«Prima di prendere in esame gli autori “ufficiali”, è bene notare quanto fosse profondamente
radicato nella tradizione apostolica e nella fede popolare il concetto di una pluralità di persone
divine. Il Nuovo Testamento non era ancora strutturato in un canone, me esercitava già un influsso
potente. E’ noto che le linee di uno schema diadico e triadico sono chiaramente visibili nelle sue
pagine. Ciò è ancora più evidente in alcuni accenni presenti nella liturgia ecclesiale e nella pratica
catechetica quotidiana… Le idee implicite in queste primitive formule catechetiche e liturgiche, e
nell’uso fatto dagli scrittori neotestamentari degli stessi schemi diadici e triadici, rappresentano una
fase pre-riflessiva e pre-teologica della fede cristiana. Il che non sminuisce affatto il loro interesse e
la loro importanza. Col materiale grezzo provvisto dalla predicazione e dal culto della Chiesa i
teologi dovevano poi costruire le loro formulazioni più elaborate della dottrina cristiana della
divinità»63
Ancora più avanti si legge:
61 Felice Buon Spirito, LA TRINITA’…, 2962 John N.D.Kelly, IL PENSIERO CRISTIANO DELLE ORIGINI, Giampiero Gramaglia (a cura di), EDB 1999, 11963 Idem, 111.113
25
«In genere gli scrittori del Nuovo Testamento consideravano Cristo preesistente e tendevano ad
attribuirgli un duplice ordine di essere: “secondo la carne” (kat¦ s£rka), cioè in quanto uomo, e
“secondo lo Spirito” (kat¦ pneàma), cioè in quanto Dio. Questa formula era così profondamente
conficcata nel loro pensiero che F. Loofs a buon diritto la definì “il dato fondamentale di tutto lo
sviluppo cristologico posteriore”. Dato che essa conteneva tutti gli elementi del problema
cristologico, dei cristiani non superficiali e riflessivi difficilmente potevano ignorarla»64
Considerato tutto questo, come può Felice, introducendo la sezione degli Apologisti, a dire
«Abbiamo visto che i Padri Apostolici non insegnavano la dottrina della Trinità. Che dire degli
Apologisti?»65
GLI APOLOGISTI
Andiamo allora a vedere cosa dicevano gli apologisti, seguendo proprio il testo di Kelly utilizzato
anche da Felice. Completo ed esaustivo circa i rapporti del Padre con il Figlio, e conseguentemente
i problemi riguardanti la sua generazione, è il capitolo quarto, La Triade divina, pagg. 105-135, ma
è lo stesso Kelly che ci viene incontro sintetizzando così il pensiero degli Apologisti:
«La soluzione che proponevano, ridotta all’essenziale, si può enunciare così: Cristo, in quanto
preesistente, è il pensiero o la mente del Padre; in quanto manifestato nella creazione e nella
rivelazione è l’extrapolazione o espressione di questo pensiero»66
Ne consegue, dunque, che gli Apologisti, pur essendo tutti ardenti monoteisti decisi fino in fondo a
non compromettere questa fondamentale verità,67 dichiaravano che da sempre nel Padre, Dio eterno,
ingenerato, cioè che contrariamente alle creature non aveva principio, esisteva il Logos, Cristo,
come sua intelligenza e pensiero razionale.68 Prima della creazione, dunque, da tutta l’eternità, Dio
aveva la sua Parola o Logos, perché Dio è essenzialmente razionale.69
Il fatto che gli Apologisti, nel rapporto tra Dio, il Padre e il Logos, restringessero il termine
generazione (coniato solo in seguito per descrivere il suo rapporto eterno con il Padre) ad
emanazione, non significa che non fossero consapevoli della sua esistenza precedente.
Allo stesso modo, quando Giustino ad esempio parla del Logos come di un “secondo Dio”, adorato
al “secondo posto”, e tutti gli Apologisti sottolineano che la sua generazione o emanazione deriva
da un atto della volontà di Dio, il loro scopo non era tanto quello di dargli un posto subordinato, ma
64 Idem, 17165 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 3166 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12067 Idem, 12068 Idem, 12169 Idem, 126
26
di difendere il monoteismo, considerato indispensabile. Il Logos manifestato (il Gesù della storia,
Logos incarnato) deve essere necessariamente limitato (è l’essere vero uomo, vera umanità) quando
è confrontato a Dio Padre stesso; ed era importante accentuare che non vi erano due fonti di attività
all’interno dell’essere divino. Il Logos era uno nell’essenza col Padre, inseparabile da lui nel suo
essere fondamentale, sia dopo la sua generazione che prima: gli Apologisti non si stancavano di
ripeterlo.70
Questa è la base da cui si parte per rispondere a Felice, come nella sua citazione appena sotto,
quando cita Giustino, Atenagora o Taziano:
«Taziano dice che questo avvenne “in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato…”.
(Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.
Gramaglia, 1984, pag. 123) Si, il Logos venne “in seguito”, non da sempre»71
Andiamo a vedere cosa effettivamente dice il Kelly riportando in rosso le parti omesse da Felice:
«Taziano era un discepolo di Giustino e, come il suo maestro, parlava del Logos esistente nel Padre
in quanto sua razionalità e che, in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato»72
Chi “venne in seguito”, come risulta chiaro dalla citazione completa, fu il Logos “manifestato” nella
carne, il Logos incarnato cioè Gesù, che però esisteva da sempre come mente e pensiero del Padre;
è qui che Felice si inganna.
ATENAGORA
Sentiamo il Kelly:
«Atenagora… dopo aver affermato che il Dio non originato, eterno, invisibile aveva creato e
abbellito per mezzo del Verbo l’universo che realmente governa, prosegue identificando il Verbo
col Figlio di Dio… Poiché il Figlio è nel Padre e il Padre nel Figlio per mezzo dell’unità e della
potenza dello spirito divino, il Figlio di Dio è l’Intelligenza e il Verbo del Padre. Per rendere più
chiaro ciò che egli intendeva, Atenagora dice in seguito che, sebbene il Figlio sia progenie del
Padre, non venne mai all’esistenza in modo reale, perché Dio, che fin dal principio era intelligenza
eterna, aveva in sé il suo Verbo eternamente razionale»73
CLEMENTE ALESSANDRINO
70 Cfr. idem, 126-12771 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 36-37 72 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12373 Idem, 125
27
Scrive Felice:
«Clemente Alessandrino chiamava qualche volta il Figlio “Dio” e “creatore”. Intendeva forse dire
che il Figlio fosse l’Iddio onnipotente o uguale a lui? No. Clemente si riferiva forse a Giovanni 1:3,
dove, di Gesù, viene detto: “Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa. Senza di lui non ha creato
nulla”. (TILC)»74
Anche in questo caso emerge il problema di fondo di tutta l’impostazione cristologia dei TdG: la
confusione tra i concetti di persona e di natura. Il fatto che i P.A. o gli Apologisti chiamino alcune
volte Cristo “Dio” o “Creatore”, non significa che ne identificavano le persone, come se fossero
ambedue lo stesso soggetto (è ciò che intende Felice), ma semplicemente ne accomunavano la
natura.
Parlando del Verbo Clemente scrive:
«La sua generazione dal Padre è senza inizio (“Il Padre non è senza il Figlio; perché oltre ad essere
Padre, Egli è Padre del Figlio”); il Figlio è essenzialmente uno col Padre, giacchè il Padre è in Lui
ed Egli è nel Padre. Lo Spirito poi è la luce che esce dal Verbo, e – diviso senza alcuna divisione
reale – illumina i fedeli. Lo Spirito è anche la potenza del Verbo che pervade il mondo e attrae gli
uomini a Dio. Abbiamo dunque una trinità che, sebbene presenti dei lineamenti completamente
platonici, Clemente identifica senza esitare col teismo cristiano… Egli distingue chiaramente i Tre.
L’accusa di modalismo, basata sulla mancanza di qualsiasi termine tecnico per indicare le Persone,
è priva di fondamento. Se sembra subordinare il Figlio al Padre e lo Spirito al Figlio, questa
subordinazione non implica alcuna diseguaglianza nell’essere, ma è il corollario della sua
concezione platonica di una gerarchia di gradi»75
DIONIGI
A dir poco è ancora “strabiliante” il modo di citare il Kelly ad opera di Felice riguardo a Dionigi,
vescovo di Alessandria:
«Dionigi, che fu allievo di Origene e vescovo di Alessandria, fu accusato di “negare l’eternità del
Figlio, affermando che il Padre non era sempre stato Padre e che <<il Figlio non era, prima di
venire all’esistenza>>…e) di affermare che il Figlio era una creatura (poema kaì ghenetòn)”. Infine,
non usò mai “il termine omooùsios76” perché “non era scritturistico”. (Il pensiero cristiano delle
74 Felice Buon Spirito, La Trinità…, 3175 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 158-159 76 Homooùsios è una parola composta da homòs (= identico, lo stesso) e ousìa (= sostanza, essenza)
28
origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pagg. 166,
168)»77
Il lettore che legge questa citazione, così come la riporta Felice, è portato a credere che Dionigi
consideri il Figlio una creatura e dunque non eterno come il Padre, e che non abbia usato il termine
omooùsios perché non era scritturistico.
Andiamo a controllare cosa effettivamente dice il Kelly alle pagine 166-168 e riportiamolo
integralmente con le parti omesse in rosso.
«Il più noto esponente della tendenza subordinazionista di Origene è il suo allievo Dionigi, vescovo
d’Alessandria. Poco dopo la metà del secolo un’esplosione di sabellianismo… lo indusse a spiegare
quella che egli considerava la posizione ortodossa. Non è quindi strano, visto che mirava a una
confutazione del modalismo, che mettesse in primo piano la distinzione personale tra Padre e Figlio.
Il gruppo sabelliano riuscì comunque a trovare una delle sue lettere (inviata ai vescovi Ammonio e
Eufranore) piena d’indiscrezioni. Essi rivolsero un reclamo formale al Papa, che si chiamava anche
lui Dionigi, accusando il vescovo alessandrino: a) di fare una netta divisione, che portava alla
separazione, tra Padre e Figlio; b) di negare l’eternità del Figlio, affermando che il Padre non era
sempre stato Padre e che “il Figlio non era, prima di venire all’esistenza”; c) di nominare il Padre
senza il Figlio e il Figlio senza il Padre, come se non fossero inseparabili nel loro stesso essere, d)
di non descrivere il Figlio come omooùsios col Padre; e) di affermare che il Figlio era una creatura
(poìema kaì ghenetòn), tanto diversa dal Padre nella sostanza quanto lo è la vigna dal vignaiolo, la
nave dal maestro d’ascia che l’ha costruita, ecc.
Non vi è dubbio che Dionigi abbia usato un linguaggio infelice, in se stesso e nelle sue
conseguenze; nel secolo seguente Atanasio cercò di riabilitarlo; ma il parere di Basilio è più
attendibile quando osserva che lo zelo antisabelliano aveva portato Dionigi all’estremo opposto.
Dionigi di Roma scrisse una lettera che, senza citare il nome, in pratica criticava Dionigi
d’Alessandria, e continuava esponendo una teologia positiva che mostra quanto fosse potente a
Roma l’influenza di Novaziano. Il Papa era chiaramente disgustato dalla dottrina delle tre ipostasi,
ispirata da Origene, che gli sembrava indebolire la monarchia divina. I teologi alessandrini che
l’insegnavano erano, a suo parere, virtualmente triteisti che spaccavano l’indivisibile unità della
Divinità in “tre potenze, tre ipostasi assolutamente separate, tre divinità”; si deve mantenere ad ogni
costo l’indivisibilità della santa Monade; quindi il Verbo e lo Spirito devono essere considerati
inseparabili dal Dio dell’universo, e devono essere riassunti e raccolti in lui: è l’idea antica che il
Padre onnipotente (nel senso arcaico di Divinità unica) non può essere mai stato senza il suo Verbo
e senza il suo Spirito poiché essi appartengono al suo stesso essere. Perciò il papa proseguiva
77 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 32
29
dicendo che se Cristo è nel Padre (cfr. Giovanni 14,11), se Egli è il suo Verbo, la sua Sapienza e
Potenza (cfr. I Corinti 1,24), deve essere sempre esistito ed è blasfemo parlare di Lui come di una
creatura o dire che c’era un tempo quando non c’era. Secondo il Salmo 109,3 (Settanta: “Prima
dell’aurora io ti ho generato dal mio ventre”) e Proverbi 8,25 (“Prima di tutte le colline egli mi ha
generato”), la sua origine non era un atto di creazione, ma “una divina ed ineffabile generazione”.
Dionigi d’Alessandria preparò una replica minuziosa in cui riesponeva la sua posizione in termini
meno equivoci e più prudenti, pur senza rinunciare alle sue caratteristiche essenziali. Riconosceva
spontaneamente che alcune formulazioni e analogie erano scorrette, ma si lamentò che il suo
insegnamento non fosse stato giudicato nel suo assieme. Per riformulare il proprio pensiero adottò
astutamente il linguaggio del papa. Innanzi tutto egli respingeva l’accusa di separare il Padre, il
Figlio e lo Spirito. I tre erano ovviamente inseparabili, come è dimostrato dai loro stessi titoli: il
Padre implica un Figlio, il Figlio implica un Padre, e lo Spirito implica sia la sorgente da cui
proviene che il mezzo col quale procede. Anche così la definizione “tre ipostasi” deve essere
mantenuta in quanto sono tre, se non si vuole che la triade venga dissolta. In secondo luogo egli
afferma esplicitamente che il Figlio è eterno. Dio era sempre Padre, e perciò Cristo era sempre
Figlio, proprio come se il sole fosse eterno anche la luce del giorno sarebbe eterna: l’una non può
essere concepita senza l’altro. Infine affrontando l’accusa di non aver adoperato il termine
omooùsios, Dionigi d’Alessandria affermava che il termine non era scritturistico. Però ne accettava
il significato, e lo comprovavano le immagini che aveva scelto. Genitori e bambini, ad esempio,
sono persone diverse, ma sono “omogenee” (omoghenèis); la pianta, il suo seme e le radici sono
diversi, ma sono della stessa natura (omophuè). Così, il fiume e la sua sorgente differiscono nella
forma e nel nome, ma sono composti della stessa acqua. Evidentemente interpretava omooùsios nel
significato di “partecipe della stessa natura”, in senso generico, come probabilmente faceva lo
stesso Origene. Sembra che il suo scopo finale fosse quello di correggere la falsa impressione (come
egli la giudicava) che la sua teoria delle tre ipostasi escludesse l’essenziale unità dei Tre. Riassunse
la sua posizione in una formula equilibrata: “Noi due espandiamo la Monade nella Triade senza
dividerla” (così egli concede al papa che il Figlio e lo Spirito sono, per così dire, proiezioni
dell’indivisibile essenza divina), “e riassumiamo la Triade nella Monade senza diminuirla” (cioè
l’unione deve essere riconosciuta, ma non a costo di disconoscere la tre Persone).
Questo episodio ci dà un esempio istruttivo delle linee assai diverse lungo le quali lavoravano i
teologi occidentali e orientali. Gli studiosi hanno spesso cercato di spiegare l’attrito semplicemente
come un malinteso sui termini. Il che, in una certa misura, è vero»78 (sottolineature mie)
78 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 166-169
30
E’ solo leggendo, certo con pazienza, tutto il contesto nel quale è estrapolata la striminzita citazione
di Felice, che si capisce qual è il vero pensiero di Dionigi: proprio tutto l’opposto di quello che vuol
far crede Felice. Scoppiata una crisi di Sabellianismo,79 il vescovo Dionigi cercò di spiegare quella
che per lui era la posizione ortodossa; i sabelliani infatti, con l’esasperata accentuazione dell’unità
divina in uno stretto monoteismo, per forza di cose, spinsero il vescovo a mettere in primo piano la
distinzione personale del Padre e del Figlio.
Sebbene Dionigi avesse le idee sostanzialmente chiare e ortodosse, non riuscì ad elaborarle con un
linguaggio adeguato, anzi fu talmente infelice che il gruppo dei sabelliani, trovando alcuni suoi
scritti pieni di indiscrezioni, presentarono al papa omonimo precise e circostanziali accuse di cui
accenna Felice. Come dice sempre la citazione, il suo zelo antisibelliano lo portò ad esagerare dalla
parte opposta, dando cioè l’impressione di separare talmente le persone divine da farne tre divinità
che annullavano di fatto l’indivisibile unità della Divinità. Richiamato dal papa con una lettera, il
vescovo Dionigi riformulò nuovamente il suo pensiero ortodosso, utilizzando un linguaggio meno
equivoco, più chiaro ed equilibrato.
Il fatto di non aver utilizzato il termine omooùsios non significava che Dionigi non credesse che il
Figlio non fosse delle stessa sostanza del Padre e dello Spirito; infatti, come dice lui stesso, lo
conosceva bene, ne accettava il significato e utilizzava delle immagini da lui scelte come comprova
nel suo discorso.
Nulla di più indicato anche in questo caso delle importanti raccomandazioni:
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»80
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
79 Dall’eretico Sabellio di origine libica, assertore di un rigido monoteismo, riteneva la divinità una monade che si manifestava in tre modi diversi, da qui il nome modalismo. Questa “eresia dell’unione”, considerava il Padre, Figlio e Spirito santo un solo prosopon ed una sola ipostasi. 80 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155
31
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»81 (il grassetto è mio)
GIUSTINO MARTIRE
Riguardo a Giustino, partiamo dalla citazione del Kelly che Felice riporta così:
«Si, Giustino Martire “parla del Logos come di un <<secondo Dio>>, adorato <<al secondo
posto>>…la sua generazione o emanazione deriva da un atto della volontà di Dio” (Il pensiero
cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia,
1984, pag. 126)»82
Si risponde ripetendo ancora alcuni concetti già ricordati, e andando a vedere prima la pag. 120 e
poi cosa dice effettivamente il Kelly a pag. 126, dove Felice estrapola questa sua citazione;
«La soluzione che proponevano [gli apologisti], ridotta all’essenziale, si può enunciare così: Cristo,
in quanto preesistente, è il pensiero o la mente del Padre; in quanto manifestato nella creazione e
nella rivelazione è l’extrapolazione o espressione di questo pensiero»83
Ne consegue, dunque, che gli Apologisti, pur essendo tutti ardenti monoteisti decisi fino in fondo a
non compromettere questa fondamentale verità,84 dichiaravano che da sempre nel Padre, Dio eterno,
ingenerato, cioè che contrariamente alle creature non aveva principio, esisteva il Logos, Cristo,
come sua intelligenza e pensiero razionale.85 Prima della creazione, dunque, da tutta l’eternità, Dio
aveva la sua Parola o Logos, perché Dio è essenzialmente razionale.86
Il fatto che gli Apologisti, nel rapporto tra Dio, il Padre e il Logos, restringessero il termine
generazione (coniato solo in seguito per descrivere il suo rapporto eterno con il Padre) ad
emanazione, non significa che non fossero consapevoli della sua esistenza precedente.
Allo stesso modo, quando Giustino ad esempio parla del Logos come di un “secondo Dio”, adorato
al “secondo posto”, e tutti gli Apologisti sottolineano che la sua generazione o emanazione deriva
da un atto della volontà di Dio, il loro scopo non era tanto quello di dargli un posto subordinato, ma
di difendere il monoteismo, considerato indispensabile. Il Logos manifestato (il Gesù della storia,
Logos incarnato) deve essere necessariamente limitato (è l’essere vero uomo, vera umanità) quando
è confrontato a Dio Padre stesso; ed era importante accentuare che non vi erano due fonti di attività
all’interno dell’essere divino. Il Logos era uno nell’essenza col Padre, inseparabile da lui nel suo
81 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1182 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 3383 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12084 Idem, 12085 Idem, 12186 Idem, 126
32
essere fondamentale, sia dopo la sua generazione che prima: gli Apologisti non si stancavano di
ripeterlo.87
Giustino altrove così si esprime: «“Egli, che anteriormente era Logos, e talora apparve in sembianze
di fuoco, talora in modo incorporeo, infine per volontà di Dio divenne uomo per il genere umano”.
Egli preesisteva in quanto Dio e fu fatto carne della Vergine, perché nacque come uomo. La sua
incarnazione comportava l’assunzione della carne e del sangue, e Giustino insiste – nonostante lo
scandalo che causava nei critici giudaici – sulla realtà delle sofferenze fisiche del Messia. Ma Gesù
non cessò di esistere come Verbo perché era veramente, al tempo stesso, “Dio e uomo”»88
Anche questa citazione di Taziano illustra il pensiero di Giustino:
«Taziano era un discepolo di Giustino e, come il suo maestro, parlava del Logos esistente nel Padre
in quanto sua razionalità e che, in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato»89
GREGORIO TAUMATURGO
Così Felice cita il Kelly riguardo a Gregorio Taumaturgo:
«“Gregorio Taumaturgo (morto nel 270 circa), l’apostolo del Ponto, all’occasione parlava
volentieri, nello stile di Origene, del Figlio come di una <<creatura o cosa fatta >> (kt…sma;
po…hma)…sostiene che <<vi è un solo Dio, Padre del Verbo vivente”. (Il pensiero cristiano delle
origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pag. 165)
Si, per Gregorio Taumaturgo, Gesù, il Verbo era una creatura»90
Anche in questo caso il lettore è chiaramente indotto a pensare che Gregorio Taumaturgo
considerasse Gesù una semplice creatura, e che Dio fosse solo il Padre del Verbo; andiamo alla pag.
165 e leggiamo con le parti omesse da Felice in rosso:
«Gregorio Taumaturgo (morto nel 270 circa), l’apostolo del Ponto, all’occasione parlava volentieri,
nello stile di Origene, del Figlio come di una <<creatura o cosa fatta >> (kt…sma; po…hma).
Però il suo insegnamento esplicito, che leggiamo nel suo credo, sostiene che “vi è un solo Dio,
Padre del Verbo vivente… generatore perfetto del perfetto generato… vi è un solo Signore, unico
dall’unico, Dio da Dio, stampo e immagine della Divinità, Verbo efficace… E vi è un solo Spirito
Santo, che ha la sua sussistenza da Dio ed è reso manifesto dal Figlio… nel quale è rivelato Dio
Padre, che è sopra tutto e in tutto, e Dio Figlio, che è attraverso tutti. Vi è così una Triade perfetta…
nella Triade non vi è nulla di creato o di servile, nulla di portato all’esistenza come se prima non
87 Cfr. idem, 126-12788 Idem, 179-18089 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12390 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 34
33
esistesse e poi vi fosse introdotto. Così il Figlio non è mai stato privo del Padre né lo Spirito del
Figlio»91
Come fa a dire Felice che per Gregorio Taumaturgo Gesù il Verbo è una creatura? Lascio ancora al
lettore le importanti raccomandazioni:
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»92
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»93 (il grassetto è mio)
IPPOLITO
Lo stesso dicasi di Ippolito che così viene citato seguendo sempre il Kelly:
«“Secondo Ippolito, quando Dio volle generò il Verbo servendosene per creare l’universo” (Il
pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.
Gramaglia, 1984, pag. 140)»94
Ecco la fonte completa di parti mancanti in rosso:
«Secondo Ippolito, quando Dio volle generò il Verbo servendosene per creare l’universo, e la sua
Sapienza per abbellirlo o ordinarlo. Tuttavia, più tardi, avendo di mira la alvezza del mondo, Egli
rese il Verbo, sino allora invisibile, visibile nell’incarnazione. Accanto al Padre (cioè alla Divinità
stessa), vi era “un altro” (aÙtù par…stato ›teros), una seconda “Persona” (prÒswpon),
mentre lo Spirito completava la Triade. Ma se tre sono le Persone rivelate nell’economia, di fatto vi
è un solo e unico, perché è il Padre che comanda, il Figlio che ubbidisce e lo Spirito Santo che ci fa
91 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 165-16692 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15593 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1194 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 34
34
comprendere… “Il Tutto è il Padre e il potere che ha origine dal Tutto è il Verbo. Egli è la mente
del Padre… Perciò tutte le cose sono mediante Lui, ma Egli solo è dal Padre”. Analogamente,
sottolineando che la generazione del Verbo ha luogo come e quando il Padre vuole, Ippolito non
intende subordinarlo al Padre (giudicato secondo i modelli postniceni, il suo linguaggio ha un
accenno subordinazionista), ma attirare l’attenzione sull’assoluta unità della Divinità, poiché questa
volontà del Padre di fatto non è altro che il Verbo stesso»95
Credo non sia necessario nessun ulteriore commento alle già chiare e precise parole di Ippolito,
debitamente tralasciate per ovvi motivi da Felice, che ne completano e chiarificano la sua
striminzita citazione.
IRENEO
Il Kelly presenta una trattazione completa di Ireneo da pag. 130 a pag. 135. Per amor di brevità
presento solo alcuni concetti chiave che da soli bastano per stravolgere tutto il pensiero e le
conclusioni di Felice:
«[Ireneo] s’accostava a Dio da due direzioni, considerandolo sia come Egli esiste nel suo essere
intrinseco, sia in quanto si manifesta nell’ “economia” (cioè nel processo ordinato) della sua
automanifestazione. Dal primo punto di vista Dio è il Padre di tutte le cose, ineffabilmente Uno, pur
contenendo in sé, dall’eternità, la sua Parola e la sua Sapienza96… Perciò Ireneo poteva affermare
che “proprio in forza dell’essenza e della natura del suo essere non vi è che un solo Dio”, mentre al
tempo stesso, “secondo l’economia della nostra redenzione, vi sono sia il Padre che il Figlio”, sia –
lo poteva aggiungere facilmente – lo Spirito97… Ancor più degli Apologisti egli mette in evidenza
la coesistenza del Verbo con il Padre da tutta l’eternità… Egli afferma perciò che “il suo Verbo e la
sua Sapienza, suo Figlio e il suo Spirito sono sempre con Lui… Dice che “la Sapienza [di Dio], e
cioè il suo Spirito, era con Lui prima che il mondo fosse fatto”98… Così il Verbo e lo Spirito
collaborarono all’opera della creazione, quasi fossero, per così dire, le “mani di Dio”99…
Naturalmente il Figlio è pienamente divino: “Il Padre è Dio, e il Figlio è Dio, perché tutto ciò che è
generato da Dio è Dio. Anche lo Spirito – sebbene Ireneo non lo designi mai esplicitamente come
Dio – era certamente considerato divino, perché Spirito di Dio, che sgorga sempre dal suo essere.
Qui dunque abbiamo la visione di Dio d’Ireneo, la più completa e anche la più esplicitamente
trinitaria prima di Tertulliano… A causa dell’accento posto sull’ “economia”, tale tipo di pensiero è
95 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 140-14196 Idem, 13097 Idem, 13198 Idem, 13299 Idem, 133
35
stato definito “trinitarismo economico”. La definizione è adatta e conveniente purchè non si
ammetta che il riconoscimento e la preoccupazione di Ireneo per la Trinità rivelata nell’ “economia”
gl’impediva di riconoscere anche il misterioso essere tre-in-uno, della vita interiore della Divinità.
Il punto cruciale della grande immagine esemplificativa che, come i suoi predecessori, egli
adoperava, e cioè quella di un uomo dotato di funzioni intellettuali e spirituali, doveva mettere in
luce, per quanto in modo inadeguato, il fatto che vi sono reali distinzioni nell’essere immanente
dell’unico Padre indivisibile e che mentre queste si manifestavano pienamente soltanto nell’
“economia”, esse però esistevano effettivamente da tutta l’eternità»100
NOVAZIANO
Scrive Felice:
«“Secondo Novaziano l’unica e sola Divinità è il Padre, autore di tutte le cose; ma da lui, <<quando
Egli volle fu generato un Figlio, la sua Parola>>”. Inoltre, lo “Spirito Santo…Novaziano lo
considera il potere divino (che opera nei profeti, negli Apostoli e nella Chiesa, ispirando e
santificando), ma non fa menzione della sua sussistenza in quanto Persona”. (Il pensiero cristiano
delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pagg.
156,157)»101
Vediamo il Kelly:
«Secondo Novaziano l’unica e sola Divinità è il Padre, autore di tutte le cose; ma da lui, “quando
Egli volle fu generato un Figlio, la sua Parola”. Questo Verbo non è una semplice voce, senza
alcuna entità… ma ha una propria sussistenza,… perché è una “seconda Persona”… Poiché il Padre
è sempre il Padre, egli deve avere sempre avuto un Figlio… Egli sottolinea la comunanza
dell’essere tra il Padre e il Figlio. Il Figlio è Dio in quanto deriva il proprio essere dal Padre, e la
Divinità gli è stata trasmessa dal Padre; tra loro vi è una communio substantiae… Egli è diverso dal
Padre soltanto come Figlio (e deve il suo essere interamente al Padre), nella natura divina non vi è
divisione. La teologia novaziana dello Spirito Santo è rudimentale, e Novaziano lo considera come
il potere divino (che opera nei profeti, negli Apostoli e nella Chiesa, ispirando e santificando), ma
non fa menzione della sua sussistenza in quanto Persona»102
La citazione completa fa emergere il vero pensiero di Novaziano, che smaschera palesemente ciò
che invece voleva far credere Felice.
ORIGENE100 Idem, 134-135101 Felice Buon Spirito, LA TRINITA’…, 35102 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 156-157
36
Anche per quanto riguarda Origene, Felice cita del Kelly solo alcune righe della pag. 164. A ben
vedere il Kelly stesso ne presenta ampiamente la figura da pag. 158 a 165; riporto solo alcune sue
riflessioni lasciando al lettore la lettura più completa.
Intanto è bene ricordare che Origene nel tentativo di comprendere e di spiegare la sua fede cristiana
in Dio uno e trino, era stato notevolmente influenzato, come altri, dal platonismo “medio” allora di
moda ad Alessandria.103
Parlando del Figlio dice: «Essendo al di fuori della categoria del tempo, il Padre genera il Figlio con
un atto eterno cosicché non si può dire che “vi era quando non era”… Secondo Origene, il Padre, il
Figlio e lo Spirito sono “tre Persone”. L’affermazione che ciascuno dei Tre è una ipostasi distinta da
tutta l’eternità e non solo – come per Tertulliano e Ippolito – in quanto manifestata nell’
“economia”, è una delle caratteristiche principali della sua dottrina e proviene direttamente dall’idea
di generazione eterna».104
«Quindi pur essendo realmente distinti, da un altro punto di vista i Tre sono uno… Di per sé,
pensieri di questo tipo difficilmente rendono giustizia a tutto l’insegnamento di Origene imperniato
sul fatto che il Figlio era stato generato, non creato dal Padre… Egli deriva da Lui come la volontà
dalla mente, che non subisce alcuna divisione in questo processo… L’unità tra Padre e Figlio
corrisponde a quella tra la luce e il suo splendore, tra l’acqua e il suo vapore. Differenti nella forma,
entrambi condividono la stessa natura essenziale»105
Arriviamo così alla citazione di Felice che dice:
«Si, secondo quanto citato prima, “Origene rileva che San Giovanni definisce volutamente il Figlio
semplicemente qeÒj, e non Ò qeÒj. In rapporto al Dio dell’universo egli merita un grado d’onore
secondario…<<non dovremmo pregare un essere creato, neppure Cristo, ma solo il Dio e Padre
dell’universo, che lo stesso nostro Salvatore pregava>>”. (Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D.
Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pag 164)»106
Se andiamo a controllare il Kelly riportando le parti omesse in rosso, scopriremmo veramente il
particolare contesto nel quale è inserita la citazione e di conseguenza il pensiero di Origene, così
come dimostrano le varie considerazioni sopra riportate:
«In un ambito più limitato, l’impatto col platonismo si manifesta nel generale subordinazionismo
che ha una presenza massiccia nello schema trinitario di Origene. Il Padre, come abbiamo visto, è il
solo aÙtÒqeÒj; Origene rileva che San Giovanni definisce volutamente il Figlio semplicemente
103 Idem, 158104 Idem, 160105 Idem, 161106 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 36
37
qeÒj, e non Ò qeÒj. In rapporto al Dio dell’universo egli merita un grado d’onore secondario…
<<non dovremmo pregare un essere creato, neppure Cristo, ma solo il Dio e Padre dell’universo,
che lo stesso nostro Salvatore pregava; se si prega Cristo, Egli trasmette la preghiera al Padre»107
TAZIANO
La stessa citazione di Taziano, riportata da Felice, risulta pesantemente strumentalizzata a descapito
dell’eternità del Verbo. Abbiamo già affrontato la questione della sua natura e generazione da parte
del Padre, ma questa citazione merita attenzione; scrive Felice:
«Taziano dice che questo avvenne “in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato…”
(Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.
Gramaglia, 1984, pag 123) Si, il Logos venne “in seguito” non da sempre»108
Vediamo invece cosa effettivamente dice il Kelly:
«Taziano era un discepolo di Giustino e, come il suo maestro, parlava del Logos esistente nel Padre
in quanto sua razionalità e che, in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato»109
E’ chiaro che leggendo per intero la citazione, il pensiero di Taziano cambia completamente: il
Logos in quanto razionalità (pensiero) del Padre non può che esistere da sempre come il Padre; è
solo in seguito che fu generato.
TEOFILO DI ANTIOCHIA
Circa la generazione e il rapporto tra il Padre e il Figlio, lo stesso discorso vale per Teofilo che
viene citato così da Felice:
«Parlando del Figlio di Dio, Teofilo dice che “quando Dio volle creare ciò che aveva progettato,
generò e produsse (™gšnnhse proforikÒn) questo Verbo, primogenito di tutta la creazione.”.
(Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.
Gramaglia, 1984, pag 124)… E’ logico che dal momento che uno è generato e prodotto ha per forza
di cose un inizio»110
Vediamo la fonte orginale e leggiamola più ampiamente con le parti omesse in rosso:
«Trattando della figliolanza del Logos, Teofilo aggiunge: “Egli non è figlio [di Dio] nel senso in cui
poeti e romanzieri raccontano le nascite di alcuni figli di dèi, ma piuttosto nel senso in cui la verità
parla della Parola come eternamente immanente nel seno di Dio. Infatti, prima che ogni cosa
107 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 164 108 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 36109 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 123110 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 37
38
venisse all’esistenza, Egli lo aveva avuto come suo consigliere, come sua intelligenza e suo
pensiero. Ma quando Dio volle creare ciò che aveva progettato, generò e produsse (™gšnnhse
proforikÒn) questo Verbo, primogenito di tutta la creazione. [Dio] perciò non svuotò se stesso
della sua Parola, ma avendola generata, rimane sempre unito ad essa»111
Così il pensiero di Teofilo è chiaro: Cristo in quanto eternamente immanente in Dio è preesistente,
perché è il pensiero o la mente del Padre; in quanto manifestato nella creazione e nella rivelazione è
l’extrapolazione o espressione di questo pensiero. Viene così stravolto il pensiero e la conclusione
di Felice.
TEOGNOSTO
La striminzita citazione di Felice ci richiama ad un controllo più approfondito:
«Di Teognosto, capo della scuola catechetica di Alessandria, si dice che “Egli definiva il Figlio una
creatura”. (Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a
cura di G. Gramaglia, 1984, pag 165)»112
Ecco cosa scrive il Kelly:
«Egli definiva il Figlio una creatura e ne limitava l’attività agli esseri razionali, ma affermava anche
che la sostanza del Figlio (oÙs…a) non era derivata dal nulla, ma dalla sostanza del Padre, come
lo splendore dalla luce o il vapore dall’acqua. E proprio come lo splendore e il vapore non sono né
identici al sole o all’acqua né diversi da loro, così la sostanza del Figlio non era né identica né
diversa da quella del Padre; Egli era un efflusso della sostanza del Padre, che nel processo non subì
alcuna divisione»113
Anche in questo caso il vero pensiero di Teognosto contrasta con ciò che Felice dice e vuole
trasmettere.
TERTULLIANO
Felice, per citare Tertulliano, non utilizza il Kelly ma altre opere che se controllate riserverebbero
certamente non poche sorprese. Mi soffermo comunque sul Kelly visto che è la fonte più utilizzata
per la nostra ricerca. Come Ippolito anche Tertulliano dava grande importanza al monoteismo
cercando di confutare il dualismo gnostico, sebbene avesse in seguito dovuto subire l’accusa di
politeismo in ambienti ove era fiorente il modalismo.
111 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 124112 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 37113 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 165
39
Innanzitutto aveva il concetto di un Dio che esisteva dall’eternità nella sua solitudine senza eguale,
pur avendo immanente in sé, indivisibilmente uno con Lui, in analogia con le funzioni intellettuali
dell’uomo, la sua ragione o Verbo. Infatti Tertulliano afferma che prima di tutte le cose Dio era
solo, ed era per sé il mondo, il luogo ed ogni cosa. Tuttavia era solo nel senso che non vi era nulla
di esterno a lui. Ma anche allora non era realmente solo, poiché egli aveva con sé la ragione che egli
possedeva entro se stesso, vale a dire la propria Ragione. Inoltre Tertulliano, più di tutti i suoi
predecessori, mette in luce l’alterità o individualità di questa ragione immanente o Parola con la
quale ha ragionato dall’eternità e che costituisce “un secondo oltre a Lui stesso”.
E poi c’è lo Spirito, rappresentante o delegato del Figlio; ha origine dal Padre per mezzo del Figlio.
Anch’egli è una “persona”, cosicché la Divinità è una “trinità” (trinitas: Tertulliano è il primo ad
utilizzare questo termine). I tre sono veramente distinti numericamente, e “possono essere contati”
tanto da poter affermare che la Trinità rivelata nella economia non era in alcun modo incompatibile
con l’essenziale unità di Dio; esprimeva l’idea in modo caratteristico affermando che Padre, Figlio e
Spirito sono uno nella “sostanza”. Tertulliano dice ancora: “Dio è il nome per la sostanza, cioè la
divinità, e il Verbo è “una sostanza composta di spirito, di sapienza e di ragione. Quindi quando
parla del Figlio come essere “della stessa sostanza” del Padre, egli intende dire che condividono la
medesima natura o essenza divina, e, in realtà, poiché la Divinità è indivisibile, sono di unico essere
identico.114
La conclusione di Felice a pag. 39 è un’insieme di varie citazioni, per la verità molto difficili da
reperire. In attesa di poterne consultare e controllare qualcuna, soffermiamoci sulla seconda:
«Un’ enciclopedia cattolica osserva che “Nella Scrittura non c’è nessun termine col quale le Tre
Persone Divine vengono indicate insieme. Il termine τρίας [trìas] (del quale il latino trinitas è una
traduzione) si trova per la prima volta verso il 180 d.C. in Teofilo di Antiochia. . . . Poco tempo
dopo compare in Tertulliano nella forma latina trinitas”. (The Catholic Encyclopedia, cit., vol. XV,
p. 47)»
In questa citazione Felice, dopo i puntini di sospensione, ha omesso qualcosa di importante: «...Lui
parla de "La Trinità di Dio [il Padre], la Sua Parola e la Sua Saggezza" ("Ad Autolico"., 11, 15 P.
G., VI 1078). Il termine può, naturalmente, essere stato in uso prima del suo tempo. Poco tempo
dopo compare in Tertulliano nella forma latina trinitas»115
Dalla parte omessa si capisce che Teofilo aveva ben chiaro cosa volesse intendere per trìas. (La
Trinità, il Padre, il Figlio -Parola- e lo Spirito Santo –Saggezza-). Inoltre, la fonte non esclude che
114 Cfr. Idem, 138-144 115 The Catholic Encyclopedia, cit., vol. XV, 47
40
abbia acquisito la dottrina da altri, né che Tertulliano non l'abbia insegnata!
Felice, proseguendo, in poche pagine (41-47) parla del Concilio di Nicea e conseguentemente del
credo Niceno; a riguardo vorrei far notare alcune considerazioni:
1) Presentare in poche pagine, e ancor più in modo molto succinto, la storia e lo svolgimento di un
Concilio come quello di Nicea è veramente molto difficile, anche in considerazione del fatto che
non né possediamo gli atti.
2) Iniziando poi, come abbiamo già visto, con una falsa affermazione di ordine dottrinale di capitale
importanza circa i rapporti tra Dio Padre e il Figlio Gesù,116 che tra l’altro era il problema di gran
lunga più spinoso, non aiuta certo a mettere a fuoco la situazione
3) Mescolare o raggruppare a modo di “copia incolla” diverse e isolate citazioni su un tema così
complicato come fa Felice, crea confusione e disinformazione nel lettore; ma vediamo cosa dice
Felice – le sue parti sono in corsivo – .
Nel 325 E.V. fu convocato a Nicea da Costantino stesso un concilio di vescovi… In verità, molto
probabilmente, è stato l’amico e consigliere vescovo Ossio di Cordova a suggerirgli l’idea di un
concilio, che si potè certamente realizzare grazie all’appoggio logistico dello Stato romano.
Durante il concilio l’imperatore Costantino, notando che i trinitari erano in maggioranza, prese le
parti di Atanasio. Perciò, le credenze di Ario furono dichiarate eretiche…
Che i trinitari, o meglio i padri conciliari come li chiama Atanasio, fossero in maggioranza è un
dato di fatto, ma che per questo Costantino prese le loro parti non è assolutamente vero. Costantino
sostanzialmente si limitò ad assistere al Concilio e diede il suo assenso dopo le discussioni dei
padri, anche perché non aveva la competenza necessaria per affrontare con i vescovi quelle
discussioni teologico-bibliche, nonostante era già avviato alla conversione al cristianesimo. Le
credenze di Ario furono dichiarate eretiche perché contrarie alla testimonianza della Scrittura e alla
fede cristiana.
Si, “Nicea raprresentò in effetti l’opinione di una minoranza…”… “solo una minoranza assunse
una posizione dottrinale chiaramente formulata in contrapposizione all’arianesimo, anche se
questa minoranza riuscì a raggiungere il suo obiettivo”
A questo punto si nota una certa confusione: mentre sopra Felice dice che i “trinitari sono la
maggioranza tanto che Costantino stà dalla loro parte”, qui dice invece che “Nicea rappresenta una
minoranza in contrapposizione all’arianesimo”; quale sarà la verità?
116 Vedi pag. 9 «La cosa più strana è che anche se tutti credono in Gesù come Dio ci sono varie differenze di credi trinitari e di dottrine varie»
41
Cosa interessante, non fu presente l’allora papa, Silvestro I. Davvero strano per una cosa di così
grande importanza
E’ vero che non era presente papa Silvestro I, ma aveva mandato i suoi due legati pontifici, i
presbiteri Vito e Vincenzo
Dopo mesi di discussioni, Costantino decise a favore dei Trinitari. L’ “Encyclopaedia Britannica”
dice che: “Intimoriti dall’imperatore, i vescovi, con due sole eccezioni, firmarono il credo [niceno],
molti contro la propria inclinazione”.. (Vol. 6, pag. 386) (Non sono in possesso di questa fonte per
poter controllare)
In verità l’eresia ariana fu condannata all’unanimità dai padri conciliari, e come si ricordava prima
Costantino non decise a favore di nessuno, ma in un certo senso “ratificò” le decisioni e le
conclusioni de padri stessi.
Dopo tutto questo strano collage, Felice continua:
Perciò, c’è da chiedersi se Nicea sia stato un bene o un male per i credenti. Qualcuno pensa che
“quando accettiamo per fede che Gesù è Dio, come è stato proclamato a Nicea, rimane ancora una
domanda: fin dove e in che modo questa confessione è contenuta nel NT?... i Padri conciliari a
Nicea erano preoccupati di non poter rispondere ad Ario con categorie puramente bibliche… ci
sono degli studiosi non liberali che non tentano di confutare la divinità di Gesù, ma che sono
peraltro insoddisfatti della confessione nicena di Gesù come Dio, perché sono incerti che questo
corrisponda al linguaggio biblico”. (Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Raymond
Brown, Editrice Queriniana (1995) pagg. 168, 169)117
Questa citazione è estrapolata da una delle ultime appendici del libro di Brown, e si intitola “ I
cristiani del Nuovo Testamento chiamavano Gesù ‘Dio’?” E’ indubbio che questo modo di citare
induca il lettore a considerare che la confessione di Gesù come ‘Dio’ sia estranea alle scritture e
perciò non sia biblica. Basta avere la pazienza e la volontà di leggere per intero la fonte originale
nel suo contesto per accorgerci del vero pensiero che l’autore vuole trasmetterci; come al solito
riporto in rosso le parti omesse da Felice
«Terza appendice
I cristiani del Nuovo Testamento chiamavano Gesù ‘Dio’?
La terza parte di questo libro ha esaminato come i cristiani del NT associassero momenti particolari
della vita di Gesù a designazioni/titoli, che aiutavano ad esprimere la sua identità o il suo ruolo nel
117 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 41
42
piano di Dio. Alcune di quelle designazioni rappresentano una cristologia alta (pp. 10-11, supra),
specialmente ‘Figlio di Dio’ e ‘Signore’. A causa della funzione svolta nella storia del
cristianesimo, comunque, una designazione o titolo merita una particolare attenzione, poiché nei
tempi successivi al NT il dibattito si stabilizzò sulla questione se Gesù fosse ‘Dio’. Al Concilio di
Nicea (325 d.C.) si confessò che il Figlio è Dio e non una creatura: “Dio vero da Dio vero”. Il
riconoscimento che questa fede è ancora il segno distintivo del cristiano si trova nella confessione
di Amsterdam del Consiglio Mondiale delle Chiese, che ha affermato che il Consiglio Mondiale è
composto da “Chiese che riconoscono Gesù Cristo come Dio e salvatore”.
Eppure, quando accettiamo per fede che Gesù è Dio, come è stato proclamato a Nicea, rimane
ancora una domanda: fin dove e in che modo questa confessione è contenuta nel NT? Uno sviluppo
dalle Scritture a Nicea, almeno nella formulazione e nei modelli di pensiero, deve essere
riconosciuto da tutti. Di fatto i Padri conciliari a Nicea erano preoccupati di non poter rispondere ad
Ario con categorie puramente bibliche236. Inoltre, dal tempo di Nicea, c’è stato un preciso progresso
da un approcio più funzionale a Gesù ad un approcio ontologico237. Prima di questo sviluppo
qual’era l’atteggiamento degli autori del NT nell’attribuire a Gesù il titolo ‘Dio’? L’inchiesta
comprenderà un esame di passi scelti del NT, la cui interpretazione in alcuni casi è altamente
controversa. Nonostante gli sforzi per rendere intellegibili ai lettori che non conoscono il greco le
possibili interpretazioni di tali passi, a volte l’esposizione apparirà più complessa di quanto non lo
sia stata finora. Per questa ragione ho scelto di porre questo materiale in un’appendice238.
Da quanto detto finora, dovrebbe risultare ovvio che l’atteggiamento del NT nei confronti della
divinità di Gesù è molto più generale dello scopo della presente appendice, sia nei termini di ciò che
Gesù pensò di se stesso, sia nei termini di ciò che i suoi discepoli pensarono di lui. Anche se
scoprissimo che il NT non chiama mai Gesù ‘Dio’, ciò non significherebbe necessariamente che gli
autori del NT non considerassero Gesù divino. C’è molto di vero nell’opinione di Atanasio secondo
cui la definizione di Nicea, per cui Gesù è Dio e non una creatura, riassume il senso delle Scritture;
si può dedurre perciò che non è dipendente da alcuna affermazione della Scrittura239. Ciò
nonostante, stabilire che dei passi del NT hanno consentito lo sviluppo dell’uso di ‘Dio’ riferito a
Gesù è importante per diversi motivi.
Primo: ci sono degli studiosi non liberali che non tentano di confutare la divinità di Gesù, ma che
sono peraltro insoddisfatti della confessione nicena di Gesù come Dio, perché sono incerti che
questo corrisponda al linguaggio biblico»118
Poi lo stesso Brown continua la sua trattazione elencando altri motivi che certificano e giustificano
nel NT l’uso del titolo di ‘Dio’ per Gesù.119 118 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia dl Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1995, 168-169119 Cfr pag. 10
43
Per quanto riguarda la trattazione di Felice sul credo Niceno di pag. 43 e ss del suo libro, una parola
va detta; senza entrare nel merito cerco di sintetizzare al massimo la questione. Felice per screditare
i padri conciliari – e di conseguenza il valore del Concilio – attribuendo loro la colpa di aver
snaturato la vera fede cristiana a vantaggio delle diverse filosofie pagane e idolatriche insiste e
rimarca che
A) l’espressione omooùsios (stessa sostanza) non è scritturale e dunque non corrispondendo al vero
linguaggio biblico si allontana dalla fede cristiana
B) è stata voluta e inserita nel credo per un espresso desiderio dell’ imperatore Costantino:
ingerenza nefanda dello stato che conferma ancora una volta che le scelte religiose o di fede erano
ancora troppo dipendenti dalla filosofia e dal potere politico.
C) i padri conciliari a Nicea erano condizionati da presupposti ideologici nella formulazione del
credo e si sono allontanati dalla purezza della vera fede.
Si risponde dicendo che
A) Anche se omooùsios non corrisponde a un linguaggio biblico contiene il significato e il senso
delle scritture, come spiegava Atanasio
B) Si è enfatizzato il ruolo di Costantino al Concilo: è stato il vescovo Osio di Cordova, suo amico e
consigliere a suggerire l’utilizzo di questo termine e comunque Costantino stesso si era preoccupato
che venisse inteso nel modo corretto.
C) i Padri conciliari dovevano tramandare e spiegare la fede cristiana in una cultura e società di
estrazione greca con altre categorie che non erano specificatamente bibliche.
A conferma di quanto detto, basta leggersi con la dovuta calma e tranquillità gli stessi libri citati da
Felice (ma non solo qui anche altrove nel suo lavoro), Atanasio, Il Credo di Nicea, Città Nuova, e
John N. D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, EDB; molto chiari e lineari affrontano tra le
altre cose, tutti i temi e le questioni che riguardano il Concilio di Nicea, “il prima, il durante e il
dopo”.
Anche le ultime citazioni di pag. 47, in verità, riguardano un altro particolare aspetto del termine
omooùsios (della stessa sostanza120) considerato dai Padri conciliari, così che possono venire
comprese solo se inserite in un determinato contesto.
120 Abbiamo già visto che homooùsios è una parola composta da homòs (= identico, lo stesso) e ousìa (sostanza, essenza). Gli studiosi della storia dei dogmi si sono chiesti se Atanasio avesse inteso l’identità di ousìa come identità numerica (unica e medesima – lo si dice della Trinità) o identità specifica (quella comune a più, come per esempio agli esseri umani). Molto probabilmente Atanasio per quanto riguarda la ousìa della Trinità la intese come unità numerica; questo però non fu neanche preso in considerazione nel Concilio di Nicea, ma fu oggetto di discussione solo dopo.
44
IL PADRE, IL FIGLIO e LO SPIRITO SANTO
Felice, al termine della sua disamina sul Concilio di Nicea e sul credo che ne è seguito, prima di
analizzare diversi passi biblici in rapporto al mistero trinitario, parla in tre pagine distinte in modo
superficiale e impreciso del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, senza però approfondirne ne
svilupparne i loro reciproci rapporti.
Riguardo a questo riporto una citazione già utilizzata da Felice sebbene parzialmente, che colpisce
nel segno perché inquadra bene la dottrina della Trinità in rapporto al Padre al Figlio e allo Spirito
Santo, partendo dall’indispensabile esperienza storica di Gesù di Nazaret:
«Come i titoli cristologici hanno il compito di far emergere la verità teologica e soteriologia
dell’evento escatologico dell’identificazione di dio con Gesù crocifisso, così la dottrina della Trinità
ha la funzione di narrare vita, passione e morte di Gesù di Nazaret come storia di Dio. In quanto
summa del vangelo, la dottrina della Trinità può garantire questa storia da qualsiasi riduzione
razionalistica o mitica di Dio. Come gli inni, le omologie e i titoli cristologici hanno essenzialmente
un valore salvifico e non meramente definitorio e assertivo, così anche la Trinità è una dottrina che
esprime una verità salutare. Il mysterium trinitatis è mysterium salutis.
La dottrina della Trinità deve essere elaborata non tanto mettendo insieme affermazioni
bibliche sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito, quanto riflettendo sull’esperienza di salvezza in
Gesù di Nazaret. Teniamo presente che il materiale biblico offre in quanto tale solo una possibilità,
non una necessità per fondare una dottrina trinitaria. <I vangeli non parlano di “persone” in Dio né
lo fanno i primi grandi concili cristologici>.1 L’identificazione di Dio con Gesù crocifisso costringe
a presupporre una distinzione di Dio in se stesso, in cui Dio non si contraddice ma è corrispondenza
d’amore. Se la croce è l’evento fondatore della fede trinitaria, non solo il concetto dell’essenza
divina non può essere più pensato astratto dalla storia dell’essere trinitario di Dio, ma l’essere
trinitario di Dio non può essere postulato, prescindendo dall’esperienza di Gesù di Nazaret»121
Bene e con chiarezza ha ricordato Gamberini che la dottrina della Trinità si elabora partendo
dall’esperienza storica di Gesù di Nazaret, che è esperienza di salvezza e di comunicazione
principalmente tra lui e il Padre e tra di noi.
121 Paolo Gamberini, Questo Gesù (At 2,32). Pensare la singolarità di Gesù Cristo, EDB, 2007, 257
45
IL “DIO DI GESÚ CRISTO”
Può emergere a questo punto una domanda fondamentale per il nostro cammino:
Il NT salvaguardia la fede in Jahwè, il solo, vero e unico Dio che nella storia ha liberato e seguito
da vicino il suo popolo, e si è fatto conoscere attraverso i suoi prodigi? In altre parole, c’è una
continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento?
La lettera agli Ebrei per esempio (ma non solo) ci ricorda che i profeti nell’AT e Gesù nel NT
rivelano lo stesso e unico Dio: cambiano i messaggeri (coloro che ascoltano), ma non il messaggio
(Dio stesso)!
La fede cristiana da parte sua ritiene da sempre che Dio almeno una parola l’abbia detta in modo
definitivo, e che per di più essa sia una parola personale, il Logos per eccellenza, Gesù di Nazaret, il
crocifisso risorto: non tanto le sue parole sono parola di Dio, ma lui stesso, in quanto persona e in
quanto storia è la Parola di Dio, “Dio stesso che parla”; già il grande vescovo Ignazio di Antiochia
all’inizio del II° sec. lo espresse molto bene: «Egli è la sua parola uscita dal silenzio».122
La vera novità cristiana nella comprensione di Dio sta nell’averlo essenzialmente correlato a Gesù
Cristo.
Ci sono molte formule che affermano la fede neotestamentaria nell’unico Dio e Signore:
1. εŒς Ð qεÒς - éis ho theòs (un solo Dio) Rm 3,30; 1Cor 8,4-6; Gal 3,20; Ef 4,6…
2. mÐnoς o qeÒj - mònos ho theòs (unico Dio) Rm 16,27; 1Tm1,17; Ap 15,4…
Per la fede dei cristiani la vita eterna consiste nel conoscere il solo e vero Dio (Gv 17,3); Paolo ai
cristiani di Tessalonica ricorda di fondare la loro fede nell’unico vero Dio e di aspettare il ritorno
del suo Figlio. Paolo chiama il vangelo da lui predicato il vangelo di Dio perché è Dio l’autore e
contenuto dello stesso (Rm 15,6; 1Tess 2,2-9). Ora il Dio del vangelo che Paolo e gli evangelisti
annunciano è il Dio del Nostro Signore Gesù Cristo, come dicono gli Atti (At 2,39; 3,13);
il Dio dei Padri e Dio Nostro, si rivela adesso “il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (Rm
15,6; Ef 1,3).
Giovanni nel suo vangelo lo dice senza mezzi termini:
«Dio nessuno lo ha mai visto, ma l’unigenito Figlio ce lo ha manifestato» (1,18). Così san Paolo, un
colto giudeo educato nella più strettissima osservanza della legge dei padri, nel saluto conclusivo
della Seconda lettera ai Corinzi, pone ogni cosa al punto giusto:
«La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio, e la comunione dello Spirito santo, siano
con tutti voi» (13,13); esso non parte dall’alto, da Dio, secondo una linea discendente, ma dal basso,
da Gesù Cristo perché è lui la chiave di lettura che ci permettere di arrivare a capire chi è il Dio
della nuova fede.
122 Ai Magnesii 8,2
46
L’esperienza di Mosè e dei patriarchi insegna che la fede dell’uomo biblico era radicata nella storia
di una famiglia, di un clan, di un popolo. E’ il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei
vivi e non dei morti, concetto ripreso da Gesù nella famosa discussione con i Sadducei quando
doveva difendere la fede nella resurrezione, per ribadire che le persone del passato non sono finite
nel nulla, poiché Dio stesso è la loro vita (cfr. Mt 22,32).
Gesù stesso nel vangelo di Giovanni si pone scandalosamente in rapporto diretto e addirittura di
precedenza con Abramo affermando:
«Prima che Abramo fosse io sono» (8,58) equiparandosi cioè a Dio stesso.
Perfino nel giorno di Pentecoste Pietro proclamerà solennemente ai giudei:
«Uomini d’Israele,… il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri Padri ha
glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato» (At 3, 12.13),
ribadendo che la resurrezione di Gesù interessa ed è in continuità con la storia del popolo di Israele.
L’enigmatica e solenne espressione che leggiamo nell’Apocalisse
«Colui che era, che è e che viene» (1,4.8; 4,8; 11,17; 16,15) richiama questa linea di sviluppo nella
prospettiva della fede ebraica nel Dio della storia, nel Dio che era nel passato in Egitto per liberare
il suo popolo attraverso il mar Rosso e per attuare le sue promesse nel tempo avvenire; Giovanni sa
bene che il Dio di questa definizione è legato alla persona e al destino di Gesù Cristo, di cui l’autore
della lettera agli Ebrei sottolinea che «è lo stesso ieri, oggi, e nei secoli» (13,8).
Sulla stessa linea di una continua-discontinuità, l’autore della lettera agli Ebrei apre il suo scritto
proprio così:
«Dio, che nel tempo antico molte volte e in diversi modi aveva parlato ai padri per mezzo dei
profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo di uno che è Figlio, che costituì
erede di tutte le cose e per mezzo del quale creò l'universo» (1,1-2)
In sostanza, ciò che gli antichi profeti hanno fatto nei confronti della storia d’Israele e delle sue
tappe maggiori (Abramo e i patriarchi, Mosè e l’esodo, Davide e la monarchia, l’esilio
babilonese…), i primi cristiani lo hanno fatto a proposito di Gesù e della sua vicenda (terrena e
ultraterrena); è là che hanno visto ancora una volta all’opera il Dio dei Padri che portava a
compimento ciò che precedentemente aveva iniziato.
Partendo dall’esperienza storica di Gesù di Nazaret e considerando tutta una serie di elementi, se da
una parte può emergere chiaramente la continuità del Dio di Gesù con il Dio di Israele, altrettanto
chiaramente dall’altra si denota la discontinuità con la fede tradizionale del suo popolo.
Ecco allora l’elemento specifico e fondante del monoteismo cristiano:
47
La fede cristiana abbraccia quel Dio concreto che Gesù Cristo ha rivelato come suo Dio e
Padre.
Dio e Padre di Gesù
Gesù ci ha rivelato il Dio unico, e ha lavorato per edificare il suo Regno: ma di chi parla Gesù
quando parla di Dio? A chi intendono riferirsi gli autori neotestamentari quando scrivono “ho
Theòs” (”il Dio” con l’articolo)?
Quando parla del Dio unico, il Dio d’Israele, Gesù gli applica spesso il nome di Padre e si pone in
un specialissimo rapporto con Lui, anzi esclusivo, come Figlio suo.
Tre aspetti della vita di Gesù confermano la peculiare caratteristica di questo rapporto: la sua
preghiera, le sue parole e la sua prassi.
La preghiera è strettamente intima e personale con il Padre; In quello stesso istante Gesù esultò
nello Spirito Santo e disse:
«Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai
sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (Lc 10,21; Mt 11,25);
«Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30);
«Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai
ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché
credano che tu mi hai mandato”» (11,41-42)
Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo,
perché il Figlio glorifichi te» (17,1); «E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che
avevo presso di te prima che il mondo fosse» (17,5)
«Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci
nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi» (17,11)
E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io
voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36)
Ancora: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34)
«Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la
mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre
giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato»
(Gv 17, 24-25)
«Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono
giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato
e di nuovo lo glorificherò!» (Gv 12, 27-28)
48
Bisogna poi rilevare il modo con cui Gesù parla abitualmente di Dio come Padre prescindendo da
una personale associazione con i discepoli: parlando a loro o alla gente non dice mai “il NOSTRO
Padre”, bensì il “Padre vostro…” (Mt 5,16; 5,45; 5,48; 6,4; 6,8.15; 10,20.29; 23,9. Lc 6,36;
12,30.32; Mt 5,16.45.48; 6,1.14.26.32; 7,11; Mc 11,25; Lc 11,13). “il loro Padre …”, (Mt 13,43) “il
Padre tuo…” (Mt 6,4.6.18). Anche l’invocazione aramaica “Abbà” = papà, riportata da Marco,
permette di intravedere l’originalità e l’essenza stessa del suo rapporto con il Padre; mai nessun
ebreo si era permesso di rivolgersi a Dio come un fanciullo si rivolge a suo papà, al suo babbo, con
la stessa semplicità, la stessa intimità e lo stesso abbandono fiducioso. Inoltre nella lingua aramaica
questo termine non viene mai usato in senso figurato, ma sempre in senso reale, per indicare il
padre naturale o adottivo.
Anche nella prassi emerge un profondo nesso esistente tra lui e Dio come Padre. Nella classica
parabola lucana del figlio prodigo, per esempio, non si parla in astratto della paternità di Dio, ma
Gesù stesso la racconta per giustificare il proprio operato: quello cioè di far capire come Dio stesso
agisca attraverso lui per cercare e trovare i suoi figli perduti.
Gesù è il Figlio di Dio Padre
Un particolare tipo di paternità di Dio nel NT riguarda il suo specialissimo ed esclusivo rapporto
con Gesù Cristo come Figlio suo. La rivelazione di Dio Padre per opera di Gesù Figlio riveste una
dimensione del tutto nuova e inattesa. Si deve subito scartare in toto la serie delle tre possibili forme
di parallelismo “figlio di Dio” offerte dalla storia delle religioni nelle quali non è possibile
catalogare Gesù.
La prima è annoverabile in quella categoria di persone che chiamiamo mitologiche come gli eroi
nella grecità (figli di un dio e di una donna mortale) e gli angeli in Israele; 123 che poi non sia
etichettabile come eroe risulta in generale dal fatto che è connotato da una dimensione ben precisa
(non tiene quindi il paragone per esempio con Ercole, di cui pur si legge in Ovidio che era “illustre
prole di Giove” (Metamorfosi IX, 229) e che alla sua morte sulla pira “il Padre onnipotente tra le
profonde nubi e lo portò tra gli astri radiosi” (ivi, 271s); in particolare, va detto che il concepimento
verginale di Gesù né è proclamato da tutti gli scrittori neotestamentari (per esempio sia Paolo che
Giovanni e Marco lo ignorano) né è inteso da chi lo tramanda (Matteo e Luca) come un intercorso
sessuale tra un dio e una donna mortale (visto che per essi si tratta di Dio stesso).
La seconda è quella dei cosidetti “uomini divini” nella grecità e dei giusti in Israele: egli infatti non
si presenta propriamente come “dio” né è semplicemente annoverabile tra i giusti osservanti della
Toràh (legge) mosaica. I casi di Empedocle, Pitagora e Platone ne sono una conferma. Quanto al 123 Che non sia un angelo è fin troppo chiaro (secondo Felice e gli altri TdG Gesù è l’arcangelo Gabriele; ne parla alla pag. 495 ss; in questo elaborato il tema non viene approfondito)
49
più recente Apollonio di Tiana, seconda metà del I° sec. d.C., basta vedere ciò che ne scrive
Filostrato, Vita di Apollonio 1,6: “I suoi conterranei dicono bensì che Apollonio è figlio di Zeus,
ma l’interessato si dice figlio di Apollonio” (trad. it. di D. Del Corno, Adelphi, Milano 1978, 65).
La terza categoria dei “figli di Dio”, anch’essa incompatibile con Gesù, è quella dei sovrani che
godono della regalità, o almeno non quelli di ambito ellenistico-pagano, venerati come dei accanto
ad altre divinità. Infatti, da una parte, i racconti di miracolo che lo riguardano non solo non
esprimono tuta la sua identità ma forse neanche quella più tipica, e d’altronde l’appellativo thèos,
“dio”, a lui attribuito, è tardivo e raro e comunque implica una partecipazione all’unico Dio;
dall’altra egli dimostra una notevole libertà nei confronti della legge mosaica, tanto da non poter
apparire tout-court come un semplice giusto.
Diverso è il caso del Messia davidico come re d’Israele la cui filiazione divina solo in apparenza
può essere l’unico parallelo possibile per Gesù; infatti da una parte il concetto di filiazione divina di
Gesù non è inteso in senso terreno-politico (vedi le categorie del profeta e del figlio dell’uomo per
giunta sofferente!), ne è solamente riducibile ad una semplice adozione (come avviene nei testi
ebraici per il Messia), ma inteso in un senso molto più forte.
Tra tutti i “figli di Dio” Gesù afferma una sua relazione propria, esclusiva, con questo Padre, lui non
è “un figlio di Dio” come lo siamo tutti noi, ma “il Figlio” a un titolo esclusivamente personale. La
sua filiazione è unica: è Figlio di Dio per natura, noi siamo figli adottivi di Dio, per grazia, per
partecipazione. Questa distinzione è sottolineata anche nelle parole di Gesù Risorto alla Maddalena:
“Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).
Un passo di fondamentale importanza è Mt 11, 25-27, dove si capisce perché Gesù possa dire Abbà
rivolgendosi a Dio: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre,
e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”.
Il Padre e il Figlio vivono in una comunione di conoscenza reciproca ed esclusiva da cui sono
esclusi gli altri. Questa conoscenza è fondata sulla originalità singolare, unica, della loro relazione
reciproca di paternità e di filiazione. Gesù ha la consapevolezza di avere una conoscenza di Dio
perfettamente identica a quella che il Padre ha di Lui, che è quindi di natura divina e che suppone
anche un carattere divino. Ciò si spiega con il fatto che lui e soltanto lui è il Figlio. E’ soprattutto
nel vangelo di Giovanni, chiamato anche vangelo del Padre che l’idea di paternità attribuita a Dio
raggiunge il suo vertice: 10, 14-15 (il buon pastore), 17,3 (la vita eterna consiste in questa
conoscenza) e 17,25-26 (la conoscenza del Padre per opera di Gesù).
Riguardo al titolo “Figlio di Dio” rivolto a Gesù, Felice per la prima volta cita un libro, ALL’ALBA
DEL CRISTIANESIMO, prima della nascita dei dogmi, di uno dei più noti biblisti a livello mondiale,
il padre domenicano Marie-Emile Boismard, che in effetti ci riporta con i “piedi per terra”
50
ridimensionando il significato di questo titolo nei confronti di Gesù contro le esagerazioni di coloro
che, come dice, si sono spinti troppo forzatamente oltre il dato biblico. Si è già citata all’inizio del
nostro studio una sua chiara riflessione che arriva nel cuore del problema.
Dal momento che verrà citato parecchie volte da Felice nel corso del suo libro a conferma e
sostegno delle sue tesi, (in sostanza per darsi ragione), è necessaria a riguardo una importante
premessa: lo studioso Boismard è un padre domenicano e noto biblista, e dunque certamente non
allineato alle posizioni di Felice e dei TdG in materia di fede cristiana; le citazioni fatte da Felice
nel suo libro dunque, se non debitamente inserite nel contesto e nel pensiero generale dello
studioso, potrebbero risultare fuorvianti per qualsiasi lettore che le accostasse così di primo acchito
al discorso della divinità di Cristo o al mistero della Trinità. Avremo modo di notare in seguito
qualche esemplificazione.
Ma vediamo, a riguardo del titolo “Figlio di Dio”, come viene citato da Felice il Boismard:
«“Giovanni stesso ha riconosciuto che il titolo <<Figlio di Dio>> non aveva un significato
trascendente; si tratta solamente di una filiazione adottiva, come in Salmo 2,7: è un <<semplice
titolo messianico>>…Cristo stesso avrebbe dichiarato alle autorità giudaiche che il titolo <<Figlio
di Dio>> non aveva valore trascendente: rivendicare questo titolo non significava bestemmiare”.
(All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000)
Edizioni PIEMME; pagg. 68, 154)»124
Così recita la testuale citazione di Felice, che induce il lettore a pensare che il Boismard
ridimensioni di molto la figura e la persona di Gesù, negandogli la sua trascendenza e attribuendogli
solamente una filiazione adottiva nei confronti del Padre; ma basta controllare il libro di Boismard
per notare alcune importanti omissioni, che come al solito sono riportate in rosso
«Nel suo vangelo (10, 31-36) Giovanni stesso ha riconosciuto che il titolo <<Figlio di Dio>> non
aveva un significato trascendente; si tratta solamente di una filiazione adottiva, come in Salmo 2,7:
è un <<semplice titolo messianico>>…Interrogando il vangelo di Giovanni, specialmente il suo
prologo (1,1-18), arriveremo a dei risultati più positivi. Secondo Giovanni 10, 31-36 Cristo stesso
avrebbe dichiarato alle autorità giudaiche che il titolo <<Figlio di Dio>> non aveva valore
trascendente: rivendicare questo titolo non significava bestemmiare. E’ la ragione per la quale, nel
suo vangelo, Giovanni preferisce dare a Cristo il titolo di “Unigenito” (monogenès), che non dà
adito ad alcuna ambiguità. Questo titolo si legge precisamente nel prologo del vangelo, ai versetti
14 e 18»125
124 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 51125 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISRTIANESIMO…, 67,68. 154
51
Intanto si nota come la citazione, o meglio le citazioni del Boismard a cui fa riferimento Felice
riguardano Gv 10, 31-36 (che Felice naturalmente evita di ricordare) e non il vangelo nella sua
totalità. Inoltre, il Boismard si è soffermato solamente sul significato del titolo di “Figlio di Dio”
attribuito a Gesù, ma non ha messo in discussione ne la sua trascendenza ne il suo essere divino:
infatti proprio perché il titolo “Figlio di Dio” di per sé non indica necessariamente una filiazione
naturale, come ricorda la nota della BG in Mt 4,3, ma può benissimo comportare una filiazione
adottiva, come ricorda chiaramente Boismard, Giovanni chiama Gesù l’ “Unigenito” (anche qui
citazione evitata da Felice) togliendo così ogni ambiguità circa la sua divinità. Ecco altri passaggi di
Boismard:
«Ma Giovanni IIb va più lontano: bisogna credere anche che Gesù è il Figlio “Unigenito” di Dio.
Questo titolo implica la fede nella sua divinità (Giovanni 1,1. 14; 20,28)»126
«Dunque per Giovanni il Logos è Dio. Di conseguenza, se parte del termine attraverso il quale
Filone designa il Logos, “Primo-Generato” (protogènes), lo trasforma in “Unigenito” (monogènes),
espressione che introdurrà ai versetti 14 e 18 del prologo (si veda anche 3,16.18 e 1Giovanni 4,9) e
che evita tutto il riferimento al resto della creazione»127
«Il vangelo di Giovanni si attiene, dunque, alla tradizione biblica, secondo la quale questo titolo, lo
stesso rivendicato da Cristo, non implica un significato trascendente. Ma poiché Giovanni crede che
Gesù sia Dio, preferisce chiamarlo l’ “Unigenito” (Giovanni 1,14.18; 3,16-18; si veda anche
1Giovanni 4,9), titolo che non può essere rivendicato da un uomo che sia solo tale»128
Tornando al particolare rapporto tra Gesù e il Padre, egli si presenta anche come un tutt’uno
nell’azione e nell’essere con il Padre: “Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi
danno testimonianza…Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 25-30). E’ per questo che i Giudei
cercavano di ucciderlo, perché lui essendo un uomo chiamava Dio suo Padre e si faceva uguale a
Dio (cfr. Gv 5,18 e 10,33).
Anche Gv 14, 9 -11 sottolinea come Gesù non sia semplicemente unito moralmente al Padre, ma sia
un tutt’uno con Lui nell’essere. Gesù dice a Filippo: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è
in me?…Io sono nel Padre e il Padre è in me” Perciò colui che vede il Figlio vede il Padre: “Chi ha
visto me ha visto il Padre”.
Ecco il pieno significato della paternità divina: Dio è Padre perché possiede un Figlio unico, da tutta
l’eternità; così, nel rivelarsi essenzialmente come Figlio di Dio, Gesù rivela, per il fatto stesso che
Dio è essenzialmente il Padre, suo Padre.
126 Idem, 79. 106127 Idem, 112128 Idem, 85
52
Per il cristiano, dunque, la paternità di Dio non si misura più primariamente in rapporto all’universo
o a un popolo specifico, ma in rapporto a Gesù Cristo, la cui filiazione unica definisce Dio stesso.
Lo Spirito di Dio condiviso da Gesù Cristo
Basta sfogliare un qualsiasi dizionario biblico per renderci conto di come la realtà dello spirito
attraversi tutta la storia della salvezza, passando per Mosè e i profeti fino a giungere a Gesù di
Nazaret e alla sua intera vicenda. E’ evidente per questo che si presentino una verietà di significati e
di comprensioni dello stesso che vanno dalla forza o potenza di Dio a una vera e concreta realtà
personale, indipendente nella volontà, nelle decisioni e nelle azioni.
Già il giudaismo contemporaneo alle origini cristiane conosceva una serie di ipostasi divine o
attributi personificati che, distinguendosi dai vari esseri angelici non ritenuti propriamente divini,
manifestano i diversi modi di rapportarsi di Dio nei confronti dell’ uomo: sono la Parola, la
Sapienza e lo Spirito. La riflessione cristiana attribuì le prime due direttamente a Gesù Cristo (basti
pensare alla Parola personale del prologo del vangelo di Giovanni, e alla Sapienza ordinatrice e
creatrice del cosmo nella Lettera di Paolo ai Colossesi 1,15-20).129
Di particolare interesse è lo spessore semantico, unico nel suo genere, che la Bibbia riconosce allo
Spirito risaltandone la sua qualità di natura divina: l’italiano “spirito” infatti viene dal latino spiritus
che è maschile, ed ha il corrispettivo nell’ebraico rûach che è femminile e nel greco pneûma che è
neutro, cosicchè parlando dello spirito si potrebbero usare indifferentemente i pronomi egli, ella,
esso.130
E’ chiaro che non tutte le volte dove si parla dello spirito nella sua relazione con Dio (ma anche
quando si parla dello spirito dell’uomo), è detto che si tratti sempre di una persona, mentre è certo
che si ha a che fare almeno con una sua personificazione letteraria; lo spirito infatti è presentato
come soggetto di svariate azioni, “ingrediente” principale nei più disparati momenti e forme
dell’intervento divino, associato particolarmente ad alcuni tipi di persone. La cosa più interessante e
importante da notare è che l’AT considera sempre lo spirito come una proprietà esclusiva di Dio,
perché unica è la sua origine e unico il suo elargitore.
Ed è a questo proposito che, sulla base del NT, si deve constatare una delle più originali novità della
fede cristiana: accanto a Dio trova posto un nuovo possessore dello spirito e quindi un suo nuovo
elargitore nella persona di Gesù Cristo. Ma qui è necessario distinguere bene le cose per rispondere
adeguatamente a Felice.
129 Ci sarà modo nel corso del lavoro di analizzare tutti questi particolari passi (Gv 10, 25-30; 5,18 e 10,33; Col 1,15-20) per l’argomento in questione. 130 Riguardo all’utilizzo del pronome personale maschile greco ™ke‹noj egli/quegli per pneàma spirito che è di genere neutro, si affronteranno alcuni testi del vangelo di Giovanni.
53
Collocandosi da un punto di vista non speculativo bensì storico-salvifico, i primi scritti cristiani non
disquisiscono su un possesso ab eterno dello spirito da parte di Gesù a livello disincarnato, ma
narrano concretamente l’incontro tra di loro prima nel momento del Gesù storico poi in quello del
Gesù glorificato.
La vita di Gesù è particolarmente piena dello spirito come testimoniano molto bene i sinottici e
anche lo stesso Giovanni, anche se è nel quarto vangelo che emerge un più ricco e profondo
insegnamento pneumatologico anche in questa prima fase.131 In effetti il rapporto di Gesù con lo
spirito non differisce molto da quello dei grandi protagonisti del passato israelitico, essendo
sostanzialmente una forza che lo assiste dall’esterno. E’ da notare anche che i racconti evangelici,
come in genere nell’AT, parlano sempre di discesa dello Spirito “sopra” Gesù, mai “dentro”.
Solo con la Pasqua, e qui arriviamo alla più importante caratteristica dello Spirito intimamente
connesso con Gesù risorto, avviene che lo Spirito di Dio o Spirito Santo diventa effettivamente e
pienamente condiviso da lui: Gesù, come già si accennava, non è più tanto un fruitore passivo dello
Spirito ma ne diventa elargitore attivo. Giovanni lo dice chiaramente quando riporta le stesse parole
di Gesù secondo cui dal suo seno sarebbero scaturiti fiumi d’acqua viva:
«Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era
ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (7,39);
«Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”» (20,22);
«Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura» (3,34);
«Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva
promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33).
La sua identità di Risorto è strettamente correlata dalla sua capacità di donare lo Spirito Santo.
Anche Paolo in molte sua lettere parla indistintamente di «Spirito del Figlio» (Gal 4,6), «Spirito di
Cristo» (Rm 8,9) o «Spirito di Gesù Cristo» (Fil 1,19): una prima novità consiste appunto
nell’attribuire lo Spirito a Gesù, diversamente dalla tradizione d’Israele che non conosceva
un’attribuzione diretta dello Spirito al Messia. Inoltre le formule Spirito di Dio o Spirito Santo sono
tradizionali in Israele e nel giudeo-cristianesimo, ma l’attribuzione diretta della Rûach al Figlio di
Dio come Cristo-Messia è inedita e ancor più per il fatto che questi titoli sono attribuiti a un uomo
come Gesù crocifisso e risorto. 131 Solo un accenno. Per esempio Gv 4,23, la frase “adorerete il Padre in Spirito e verità”, va intesa non tanto nel senso di un mero culto interiore quasi che chiami in causa una certa razionalità, ma nel senso che il culto reso a Dio dev’essere animato dal suo Spirito, che nel contesto giovanneo richiama la necessità della rivelazione portata da Gesù. Anche i discorsi dell’ultima Cena dei cap. 14-17 viene sottolineato un particolarissimo rapporto tra lo Spirito (di cui è detto pure che procede dal Padre – 15,26) e Gesù: Gesù stesso, per esempio, ricorda che la sua partenza è addirittura necessaria perché lo Spirito possa manifestarsi (16,7) e che venendo porterà con se nient’altro se non ciò che riguarda Gesù stesso (16,14); più volte si parla dello Spirito di verità detto anche Paraclito che in greco significa letteralmente ad-vocatus, dunque assistente, garante, protettore. Lo stesso titolo è dato a Gesù risorto in 1Gv 2,1, per dire che se noi pecchiamo egli prende le nostre parti presso il Padre.
54
Paolo in 1Cor 15,45, in riferimento a Gn 2,7, ritiene Cristo Spirito vivificante in quanto con la sua
resurrezione acquisisce una nuova funzione salvifica, e lo colloca sullo stesso livello soteriologico
di Dio stesso, al quale solo secondo la Bibbia, appartiene la capacità di dare la vita (cfr. 1Re 5,7;
Nem 9,6; Sl 70,20; Ql 7,12).
Per il cristiano dunque lo Spirito non è solo semplicemente una personificazione, né appartiene a un
Dio disincarnato, ma è ben cosciente che non esiste da solo perché condiviso da Gesù Cristo e in
base a questa condivisione a due ne fa emergere la personalità; come tra il Padre e il Figlio, così è
tra lo Spirito e il Figlio: non è più possibile pretendere di rapportarsi allo Spirito senza coinvolgere
la persona e la vicenda di Gesù Cristo, e viceversa entrare in comunione con Cristo senza
necessariamente diventare partecipi del suo Spirito (2Cor 5,17).
L’insistenza di Felice sull’idea dello spirito solo come una semplice forza o potenza è fuori posto: il
semplice fatto di citare dizionari biblici, come per esempio alle pagg. 53-54 del suo libro, in modo
parziale per riportare solo ciò che fa comodo è segno di poca serietà. Scrive Felice:
«“Il semplice fatto che allo Spirito venga attribuita un’attività intellettuale (per es. parlare, ispirare,
suggerire, ecc.: At 8, 29; Rm 8 6-9) non è sufficiente a farci concludere che si tratti di persona:
personificazioni simili sono frequenti nella Bibbia.” (Dizionario dei concetti biblici del Nuovo
Testamento (1991) a cura di L. Coenen, E. Beyreuther e H. Bietenhard – EDB; pagg.
1780,1781)»132
Certamente è vero ciò che scrive Felice, ma è altrettanto vero quello che poco dopo lo stesso
dizionario riporta letteralmente e che Felice appositamente omette:
«6) Lo Spirito di Dio come persona… La personalità divina dello Spirito santo è invece
chiaramente affermata nei passi in cui viene nominato accanto al Padre o insieme con Cristo
Signore, per cui il concetto di personificazione letteraria sarebbe un controsenso… Ma è soprattutto
nel quarto vangelo che lo Spirito santo viene descritto nei contorni di una persona divina, distinta da
Padre e dal Figlio… Abbiamo quindi, nel quarto vangelo, tutto un insieme di elementi da cui risulta
in modo chiaro che lo spirito di Dio o di Cristo è persona»133
Lo stesso dicasi del McKenzie citato così da Felice:
«Lo spirito di Yahweh o lo spirito di Dio (Elohim) è una forza…lo spirito di Elohim è una forza
neutrale o indifferente, e lo spirito di Yahweh è una forza che compie le opere di Yahweh…la forza
che ispira la profezia…E’ la forza creatrice di Yahweh…Riepilogando, nell’AT lo spirito, in origine
vento e soffio, è concepito come una divina entità dinamica con la quale Yahweh realizza i suoi
132 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 53 133 DCBNT, 1794-1795
55
fini…Rimane comunque impersonale”. (Dizionario Biblico (1981) J.L. McKenzie; pagg.
946,947)»134
Lo stesso dizionario parlando dello spirito nel NT dice:
«La teologia dello spirito diventa ancora più elaborata… ma non è ancora sistematica… E’ evidente
che la formula battesimale di Mt 28,19 si allontana in modo sorprendente dagli usi accennati; ed è
possibile che questo versetto, come altri in Mt, rappresenti una forma di fede più evoluta.
L’elencazione delle tre persone sotto il «nome» è forse la più esplicita enunciazione del carattere
personale dello spirito in tutto il NT… Qui (come in Mt 28,19) troviamo una elencazione di Gesù,
Dio ( = il Padre) e lo Spirito (2Co 13,13) che supera l’idea comune dello spirito in Paolo e offre la
possibilità di intravedere che la nuova vita è in ultima analisi opera di una realtà personale, come le
azioni creative e salvifiche del Padre e di Gesù. Come si è osservato il nome stesso di spirito e il
carattere della realtà e delle opere dello spirito esigono che noi allarghiamo la nostra idea della
personalità divina… In Gv lo spirito appare soprattutto come Paracleto, spirito di verità… Qui forse
una realtà personale distinta è asserita più esplicitamente che altrove nel NT. Il Paracleto condivide
le sue funzioni con Gesù, ma la distinzione tra i due sembra evidente»135
Anche la citazione del Boismard, così com’è riportata da Felice da adito solo a una “mezza verità”;
scrive Felice:
«Sì, “Nella Bibbia lo Spirito non è mai concepito come una persona, ma semplicemente come la
manifestazione della potenza di Dio”. (All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi.
Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pagg. 145, 146)»136
Certo, Boismard stà parlando delle tradizioni giudaiche e ricorda come nella Bibbia, affrontando la
questione in modo generale, lo Spirito non sia stato considerato una persona (così sempre nell’AT)
ma una forza o la potenza del Signore. Ma ricorda anche che dopo ulteriori sviluppi si è giunti ad
una nuova comprensione della fede
«Prima che la fede in un Dio-Trinità si radichi bisognerà attendere che questa filiazione venga
concepita come naturale, che si faccia di Cristo qualcuno uguale a Dio. Certamente ciò non avvenne
prima della fine del primo secolo. E’ necessario aspettare ancora perché si concepisca lo Spirito
come una “persona” e non più solo come la potenza di Dio»137
Crisi del monoteismo138
134 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 54135 DBMK, 948. 950-951136 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 54137 Marie Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 157
56
E’ certo che la fede cristiana sembra aver messo in discussione il cardine della fede di Israele: lo
stretto monoteismo. Ed è proprio nei confronti di questo cardine che emerge l’origine della fede
trinitaria cristiana.
Il dato primario della nuova confessione è che fin da subito, cioè a partire dal “terzo giorno”, fu
chiaro e tipico per i cristiani che Gesù era stato associato alla signoria di Dio, chiamato e
riconosciuto Signore, appellativo non riferito ad altri se non al Dio trascendente come era per la
fede ebraica. Un unico titolo dunque designa insieme Dio e un uomo, per di più un crocifisso
risorto.
L’elezione del pneàma alla Triade divina fu un fatto secondario, non perché fosse meno
importante, ma perché avvenne in un secondo momento. Ma andiamo ad un testo molto
significativo di Paolo:
«E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e
molti signori, per noi c'è
un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e
un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui»
(1Cor 8,5-6).
Ciò che di fondamentale colpisce di questa confessione di fede è la distinzione netta tra un solo Dio
e un solo Signore. A monte di questa formulazione c’è sicuramente quella della tipica fede
israelitica dello Ŝemàc: «Ascolta, Israele: il Signore nostro Dio è un Signore unico»139 (Dt 6,4).
Ebbene il testo paolino disgiunge ciò che qui è strettamente unito, anzi sovrapposto come
equivalente, cioè i due titoli di Dio (´Elohîm) e di Signore (´Adonay). Per Israele, l’unico Dio è
anche il solo Signore e, viceversa, l’unico Signore è anche il solo Dio. I cristiani, invece, mentre
mantengono l’unicità di Dio come Padre, distinguono da lui Gesù Cristo come Signore. Non che
essi rifiutino al Dio della tradizionale fede ebraica il titolo di Signore, tutt’altro, visto che il NT lo
impiega molto in questo senso, ma essi ora lo attribuiscono indifferentemente a lui e a Gesù risorto,
e non certo perché egli lo abbia conquistato con la forza, come la mitologia greca narra nei suoi
138 Da un punto di vista religioso l’espressione sta ad indicare l’esistenza di un unico Dio (mònos, unico, thèos, Dio), in contrapposizione al politeismo (adorazione di più divinità). Considerando le cose in ordine al cristianesimo, vanno individuati altri due livelli: il monoteismo biblico (la fede del popolo d’Israele) e il monoteismo trinitario, cioè in che senso la peculiarità del cristianesimo sia quella di essere il monoteismo dell’Uni-Trinità. E’ importante considerare che nel periodo storico dello origini cristiane, detto del Medio Giudaismo, compreso tra il III° sec. A.C. e l’anno 70 circa del I° sec. d.C., la fenomenologia religiosa del momento presentava una varietà di tipologie tanto diversificate da rendere pressoché impossibile parlare di ortodossia dominante, così che il concetto di monoteismo sembrava valere più a livello teorico e verbale che non di esperienza religiosa vissuta di fatto sul piano pratico e sociale (cfr. LEXICON, Dizionario Teologico Enciclopedico…, 679). 139 La doppia ricorrenza del titolo ´Adonay, «Signore», è solo la pronuncia corrispondente al tetragramma sacro del nome di Dio scritto Yhwh, e può essere tradotto in modi diversi: «il Signore è nostro Dio, il Signore è uno solo», oppure «il Signore è nostro Dio, il Signore solo» oppure, come si è reso qui, «il Signore nostro Dio è un Signore unico».
57
innumerevoli racconti, ma in quanto è Dio stesso che fa dono del «nome che è al di sopra di ogni
altro nome» a Gesù in forza della sua morte in croce (cfr. Fil 2,9), associandolo con se alla propria
signoria e accogliendolo alla propria destra, non come ospite estraneo della propria divinità, bensì
come suo compartecipe sullo stesso piano.
Con ciò che abbiamo detto finora si sono intravisti i fondamenti della fede nella Trinità. Le formule
binitarie e in seguito trinitarie140 a cui si è accennato, documentano la fluidità non della fede, ma
della sua espressione che oscillò fino al decisivo Concilio di Nicea dell’anno 325. La fede, infatti,
che sta sempre al di là delle parole, è tipica del cristianesimo fin da principio e ne costituisce uno
dei capisaldi.141
CONTROESAME DI ALCUNI PASSI BIBLICI PRESI IN CONSIDERAZIONE DA FELICE IN ORDINE
ALLA TRINITÀ
L’analisi di 650 passi biblici occupa la parte più consistente del libro di Felice: ben 483 pagine. Ma
ciò che stupisce maggiormente, a parte il considerevole numero di pagine, è la scelta dei diversi
versetti biblici. Gran parte, infatti, sono autentici “specchietti per le allodole” in quanto hanno poco
o nulla a che fare con la dottrina della Trinità.
Tra i versetti meno indicati sono tutti i passi antico testamentari, perché la Trinità verrà rivelata solo
in pienezza nel NT; gran parte delle considerazioni e delle conclusioni di Felice dunque, non sono
pertinenti, anzi contribuiscono a creare ancor più confusione soprattutto in chi è poco o male
informato.
Riguardo a questo vorrei aprire una parentesi. Quando ho iniziato a leggere le considerazioni e i
commenti di Felice a questi passi antico testamentari, mi sono sembrati subito una “forzatura”.
Notando poi che lo stesso Felice non segnalava nessuna citazione a riguardo, gli chiesi per e-mail se
ciò che scriveva fosse tutta “farina del suo sacco”. Mi rispose segnalandomi alcuni siti web dove
aveva attinto tali informazioni142
http://www.gotquestions.org/Italiano/Bibbia-Trinita.html
http://www.paroladidio.com/public/phpbb3/viewtopic.php?f=11&p=757
http://www.la-bibbia.it/modules.php?name=News&file=article&sid=156
Da una rapida consultazione credo si tratti di siti cristiani evangelici (o comunque delle Chiese
riformate) che commentano e riprendono argomenti biblici e dottrinali. Parere strettamente
140 Il già citato Boismard preferirà parlare più precisamente di formule ternarie, più corrispondenti alla mentalità cristiana dei primissimi anni dopo la resurrezione di Gesù; le formule trinitarie sono già il frutto di un’elaborazione posteriore della fede. 141 Cfr. Romano Penna, Il DNA del Cristianesimo…, cap. V Il “Dio per noi”, 154-196142 Per serietà e scientificità avrebbe comunque dovuto citarli lui nel suo libro.
58
personale: ricordo, come già accennato prima, che trattandosi di passi veterotestamentari, tali
commenti mi sembrano troppo possibilisti in favore della Trinità, andando a spingersi oltre il
messaggio del dato biblico. Sono comunque interessato e aperto a qualsiasi chiarimento a riguardo,
soprattutto, per capire meglio, ascoltando il parere di coloro che trattano di esegesi biblica.
Non verranno analizzati tutti i passi presi in considerazione da Felice, in quanto molti sono già stati
trattati nel suo primo libro e conseguentemente ripresi nel mio precedente lavoro; mi limiterò
piuttosto ad alcune novità (poche per la verità), o a riprendere qualche passo particolare per
ribadirne l’importanza o per approfondirne il discorso. Vediamo subito degli esempi:
GENESI 1,1
Nel principio Dio creò i cieli e la terra. (NR)
Felice scrive:
«La Parola “Dio” in questo passo traduce la parola ebraica “Elohìm” che è il plurale di “elòhah”
(dio). I sostenitori della Trinità interpretano questa forma plurale come una prova della Trinità,
come se in Dio ci fossero più persone»143
Non c’è nessuno studioso trinitario ne nessun dizionario biblico che ritiene la forma plurale Elohìm
come prova inconfutabile per dimostrare la Trinità: mi sembra un’autentica forzatura che vada oltre
il dato biblico e ingeneri una certa confusione.
GENESI 1,26
Poi Dio disse: «Facciamo l’umanità a nostra immagine, a nostra somiglianza…»
Riporta Felice:
«Dalla parola “facciamo” i trinitari deducono e affermano a voce alta che qui è dichiarata la Trinità
di Dio in più persone»,144 e ancora: «Per farci un’idea come anche i trinitari stessi abbiano le idee
confuse al riguardo dobbiamo notare i seguenti commenti»:145 seguono poi alcune citazioni di
versioni bibliche.
143 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 56144 Idem, 57145 Idem, 57
59
Anche in questo caso nessun trinitario si basa sul plurale facciamo per fondare la dottrina della
Trinità, ne tantomeno lo afferma “a voce alta”. Sono affermazioni gratuite di Felice che vogliono
solo alimentare dubbi.
Una risposta pertinente ed equilibrata credo sia quella della CON citata da Felice in modo parziale.
Vediamo come al solito prima la citazione di Felice poi quella con le parti omesse in rosso:
«“Facciamo…questo plurale può indicare una deliberazione di Dio con la sua corte celeste”.
(CON)»146
«26 Facciamo… questo plurale può indicare una deliberazione di Dio con la sua corte celeste… E’
comunque opinione dei Padri della Chiesa cristiana che questa espressione lasci intravedere in Dio
una pluralità di persone, ma tale interpretazione non fu mai ritenuta vincolante sul piano
teologico»147
Ecco come stanno le cose: il verbo facciamo lascia solamente intravedere in Dio una pluralità di
persone, secondo un’opinione dei Padri mai reputata vincolante sul piano teologico.
In effetti lo conferma anche lo stesso Ravasi, citato sempre da Felice, dicendo che si trattava di un
dialogo di tutta la corte celeste; ecco come viene riportata da Felice la citazione di Ravasi e poi
quella “originale” con le parti omesse in rosso:
«“Facciamo…non è solo un plurale “maiestatico”, cioè di solennità, né un’allusione alla Trinità…Si
tratta, invece, di un dialogo che coinvolge tutta la corte celeste”. (La Bibbia per la Famiglia (1993)
G. Ravasi)»148
«“Facciamo l’umanità”, che non è solo un plurale “maiestatico”, cioè di solennità, né un’allusione
alla Trinità come volevano i Padri della Chiesa (la Trinità verrà rivelata solo nel Nuovo
Testamento). Si tratta, invece, di un dialogo che coinvolge tutta la corte celeste»149
Conclusione:
1° Nessuno studioso dichiara che qui si afferma la Trinità di Dio in più persone;
2° si fa riferimento o a Dio e alla sua corte celeste, oppure al fatto che si supplisce la 1ª persona
singolare che non esiste con l’imperativo plurale, procurando uno sdoppiamento della propria
personalità (vedi NA e altri);
3° Non c’è nessuna confusione a riguardo, ma solo la puntualizzazione che la dottrina trinitaria
affonda le sue radici nelle scritture neo-testamentarie, ed ha solide basi bibliche.
146 Idem, 57147 CON, 24148 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 57149 La Bibbia per la Famiglia, Gianfranco Ravasi (a cura di), San Paolo, Milano 1993, 10
60
GENESI 3,22
Poi Dio il SIGNORE disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla…». (NR)
Scrive Felice:
«Qui è detto che la Trinità è chiara in quanto Dio dice: “come uno di noi”.»150
Ma chi ha detto che qui la Trinità è chiara? Solo Felice e gli altri TdG; altro esempio di forzatura del
dato biblico.
GENESI 11,7
«Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua
dell’altro!» (NR)
Dice Felice:
«Stessa tattica, cioè, quella di dimostrare la Trinità con la parola plurale “Scendiamo”»151
Veramente la stessa tattica è solo quella di Felice che, come anche in questo caso a mio avviso, si
spinge oltre il dato biblico; vedi Gn 1,26.
Lo stesso dicasi per Gn 18,1.19,29 dove si narra l’apparizione di Jahve accompagnato da 2 o 3
uomini che secondo 19,1 sono due angeli; Felice ancora una volta dice che «secondo i trinitari,
questo racconto nel quale si parla di alcuni angeli che visitano Abrahamo dimostrerebbe la Trinità.
Essi affermano che Dio apparve ad Abrahamo (18:1) e tre uomini sono in piedi accanto a lui (18:2)
e secondo loro indica che Dio è tre persone»152
Siamo allo stesso punto: nessuno studioso ritiene che questo incontro dimostri la Trinità.
Certamente molti Padri, come solitamente accadeva quando rileggevano l’AT alla luce del Nuovo,
nell’esperienza di questi tre uomini ai quali Abramo si rivolge al singolare, hanno intravisto un
simbolo del mistero della Trinità la cui rivelazione però era riservata al NT.
ESODO 3:2-15
L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed
150 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 59151 Idem, 59152 Idem, 62
61
ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non
brucia?» Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse:
«Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!»
Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra
santa!» E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Così esordisce Felice introducendo il famoso brano dell’incontro tra il Signore e Mosè nel roveto
ardente: «Anche di questo racconto si pensa che si parli della Trinità»153 Ma chi lo pensa?
Questo passo non ha nulla a che fare con la Trinità, ma presenta piuttosto una teofania, cioè una
manifestazione di Dio. Il punto della questione riguarda in generale il concetto di angelo come
messaggero, ma particolarmente quello dell’angelo del Signore.
Vediamo alcune note:
«3,2 l’angelo del Signore: Dio stesso, sotto la forma in cui appare agli uomini. Cf. Gen 16,7+»154
«L’Angelo del Signore che in alcuni passi è chiamato pure l’Angelo di Dio (Gn 21,17; 31, 11) non
va concepito come un essere da porsi a fianco di Dio, quanto piuttosto come il suo rappresentante
sulla terra, perché non di rado il racconto biblico tradisce l’intervento stesso di Dio (v. 4; 16, 10.13;
31, 11.13)»155
«2. Questo è uno dei testi certi nei quali l’angelo di Jahve si identifica con la sua stessa divinità: Dio
in quanto si manifesta (cfr 6,7-17)»156
«L’angelo del Signore indica Dio stesso»157
«Angelo dell’Eterno: Ogni angelo mandato da Dio per compiere una particolare missione può
essere chiamato angelo dell’Eterno (2 Sa. 24.16; 1 Re 19.5-7). Quando però la Scrittura nell’Antico
Testamento parla dell’Angelo dell’Eterno, non si tratta di un semplice angelo mandato da Dio, ma
di una vera teofania, cioè di una manifestazione di Dio stesso, in cui l’Angelo dell’Eterno si
presenta come distinto e uno con l’Eterno (… Es. 3.2-6…)»158
153 Idem, 65154 BG, 132155 CON, 84156 GA1, 162157 CEI, 48158 ND, 371
62
«Nei testi più antichi dell’Antico Testamento, quando si dice Angelo del Signore (o, talvolta,
Angelo di Dio) si indica probabilmente Dio stesso in quanto entra in relazione con l’uomo»159
«Nei testi antichi “l’angelo di Jahve” è Jahve stesso che si manifesta (Gen 16,7+; cf. Mt 1,20+); in
tempi più recenti, la trascendenza divina è stata messa in risalto distinguendo fra Jahve e il suo
angelo»160
«L’ “angelo del Signore” nei testi antichi (Gn 16,7+) rappresentava inizialmente Jahve stesso.
Distinto sempre più da Dio, a motivo del progresso registrato dall’angelologia (cf. Tb 5,4+), egli
rimane il tipo del messaggero celeste»161
«MESSAGGERO – 1. AT… angelo del Signore (Gn 16,9ss; 22,11.15; Es 3,2…) = personificazione di
Dio in forma umana, attenuando così ciò che l’Apparizione di Dio stesso poteva avere di troppo
materiale… 2. NT… Angelo del Signore = personificazione di Dio, come nell’AT (Mt 1,20; 2,13;
28,2… At 5,19; 8,26; 10,3; ecc…)»162
Tutte queste indicazioni rispondono più che sufficientemente alle considerazioni di Felice.
159 TILC, 1746160 BG, 2342161 Idem, 2086162 LTBG, 144-145
63
ISAIA 6,3
L’uno gridava all’altro e diceva: “Santo, santo, santo è il SIGNORE degli eserciti! Tutta la terra
è piena della sua gloria!” (NR)
Secondo Felice, «per i trinitari questa è una delle più chiare allusioni al mistero della Trinità, in
quanto viene detto un “Santo” per ogni persona divina»163
Ma dove sono qui le persone divine? Si stà parlando del Signore degli eserciti! Siamo nell’AT dove
la stretta fede monoteista di Israele non dava spazio a nessuna idea di persone divine all’interno
della divinità.
ISAIA 6,8
Poi io udii la voce del Signore che mi diceva: Chi manderò? e chi andrà per noi? Ed io dissi:
Eccomi, manda me. (DI)
Dice Felice:
«Per i trinitari questo passo dimostrerebbe la pluralità di Dio in riferimento a sè stesso con le parole
“manderò” che è un singolare e “per noi” che è un plurale»164
Questo è un altro caso dove i Padri, interpretando le scritture, hanno trovato un indizio che facesse
pensare alla Trinità, ma non che addirittura dimostrerebbe la pluralità di Dio in se stesso.
Lo conferma lo stesso GA2 citato anche da Felice ma in modo incompleto; vediamo prima la sua
citazione poi quella completa con le parti mancanti in rosso:
«“il plurale…si spiega con l’associazione dei Serafini oppure come semplice plurale di maestà”.
(GA 3Vol)”»165
«Il plurale, che fu già interpretato come un altro indizio del mistero della Trinità, si spiega con
l’associazione dei Serafini oppure come semplice plurale di maestà”. (GA 2Vol)”»166
163 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 69164 Idem, 70165 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 70 166 GA2, 588
64
ISAIA 9,6
Poiché ci è nato un fanciullo, ci è stato dato un figlio; e il dominio principesco sarà sulle sue
spalle. E sarà chiamato col nome di Consigliere meraviglioso, Dio potente, Padre eterno,
Principe della pace. (TNM)
Felice ritiene che «per i trinitari, questo passo indica la divinità di Gesù in quanto è chiamato con i
titoli di “Consigliere meraviglioso”, “Dio potente”, “Padre eterno” e “Principe della pace”»167
I titoli in questione riguardano la cerimonia di incoronazione del re, e sono titoli richiesti dal
“protocollo reale” che gli si davano nella presa di possesso. Non sono dunque direttamente riferiti a
Gesù Cristo né tantomeno parlano di lui.
Ciò che conta, piuttosto, è l’importante significato messianico dell’oracolo di Isaia riferito in senso
pieno a Gesù che non viene preso in considerazione da Felice (come del resto anche di altri oracoli
o promesse messianiche), sminuendone così di molto la sua figura.
«Per precisare non soltanto il luogo, ma anche il significato profetico del ministero di Gesù fin
dall’inizio, solo Mt cita Is 8,23-9,1, modificando però notevolmente il testo. Queste parole danno a
tutto il vangelo di Matteo una sua impronta: in Galilea Gesù si rivolge a quelle tribù del popolo
maggiormente minacciate dalla notte pagana, come era stato Israele da parte degli Assiri. In questo
modo il suo ministero viene a contatto con tutte le nazioni (28,19). Mentre altri si ritirano nel
deserto (per es. la gente di Qumran o Giovanni il Battista) oppure concentrano la loro attività a
Gerusalemme, Gesù, l’Emmanuele annunziato dal profeta (Is 7,14; 8,8.10), sceglie la Galilea delle
genti che Mt ricorda continuamente nel corso del suo vangelo (cf 2,22; 3,13; 4,23.25; 28,16)»168
«Mt 4,15-16 vede nella proclamazione del regno di Dio fatta da Gesù in Galilea, il compimento di
questa profezia. Il passaggio repentino in questo versetto da una visione di rovine alla promessa di
una restaurazione, prepara la via all’oracolo seguente, uno dei passi messianici più importanti del
VT. L’oracolo è stato inserito nella liturgia cristiana di Natale, e riguarda un brano liturgico preso
da una cerimonia di incoronazione del re. L’occasione ribadiva la promessa di un’alleanza eterna
con Davide rinnovando le speranze in un futuro re ideale che avrebbe realizzato perfettamente
l’ideale dinastico, e non dunque nessun particolare re storico, ma appunto il re davidico ideale,
l’Emmanuele di 7,14, ultimo rappresentante della discendenza di David e non al prossimo re che
167 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 71 168 TOB, 2185
65
sarebbe salito sul trono di Giuda. La tradizione cristiana all’unanimità ha visto in Cristo la
realizzazione di questa promessa»169
Il resto delle considerazioni di Felice in quelle pagine sono parole in più.
ZACCARIA 11,12- 13
Poi dissi loro: «Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare». Essi allora pesarono
trenta sicli d'argento come mia paga. Ma il Signore mi disse: «Getta nel tesoro questa bella
somma, con cui sono stato da loro valutato!». Io presi i trenta sicli d'argento e li gettai nel tesoro
della casa del Signore. (CEI)
In questo caso il passo di Zc 11,12-13 è ripreso da Mt 27,9-10 come al solito per dimostrare ai suoi
lettori (ebrei convertiti al cristianesimo) che in Gesù si compiono le antiche promesse essendo
veramente il Messia predetto dagli antichi profeti.
Basta leggere la stessa citazione del GA2 (il GA 3Vol è un errore di stampa) riportata da Felice
anche se in modo incompleto, oppure di altre:
«27,10 Jahve lamentava di aver ricevuto dagli israeliti, nella persona del profeta Zaccaria, un salario
irrisorio; la vendita di Gesù per lo stesso misero prezzo sembra a Mt realizzare la profezia»170
«12-13. Trenta sicli erano il prezzo di uno schiavo (Es 21,32): il popolo non apprezza l’opera del
profeta, cioè di Dio. Mt 27,9-10 applica questa profezia al tradimento di Giuda»171
Il discorso dunque non è l’identificazione delle persone del Signore Gesù con il Signore, Jahve
(come invece credono erroneamente i TdG – vedi subito dopo il caso di Mt 1,21), ma l’applicazione
dei riferimenti messianici a Gesù Cristo tramite la rilettura dell’AT alla luce del NT.
MATTEO 1,21
«Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi
peccati» (CEI)
Dato che Gesù, nome proprio molto noto in Israele, significa il Signore è salvezza, o Signore,
salva!, il fanciullo sarà Dio venuto tra gli uomini (vedi Mt 1,23) per liberare dai peccati il proprio
popolo, cioè Israele.
169 Cfr. GCB, 350170 BG, nota a Mt, 2151171 CEI, 960
66
Anche Felice dice sostanzialmente questo, ma con una imprecisione di fondo:
«“Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la
ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”». (Isaia 35:4; CEI) Così, dato che il nome “Gesù, in
ebraico Iehoshua, vuol dire: Geova salva” (LU), per i trinitari Gesù è Geova»172
Per i trinitari (come li chiama Felice) Gesù non è Geova, o meglio Jahve, ma è il Figlio di Jahve;
sappiamo infatti come i primi cristiani hanno da sempre ritenuto il Dio dei Padri, come il Dio e
Padre del Signore Gesù Cristo: che Gesù sia Dio è fuori dubbio, ma non nel senso che sia la stessa
persona di Javhe o di Geova, perché sono due persone differenti.
Non si tratta dunque di identificarne le persone, come se fossero una sola – vedi Gv 10,30, ma di
accomunarne la natura.
MATTEO 3,16-17
E Gesù, tosto che fu battezzato, salì fuor dell’acqua; ed ecco, i cieli gli si apersero, ed egli vide
lo Spirito di Dio scendere in somiglianza di colomba, e venire sopra di esso. Ed ecco una voce
dal cielo, che disse: Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale io prendo il mio compiacimento.
(DI)
«Abbiamo qui il “modello ternario” che più di ogni altro si accosta alla formulazione trinitaria,
poiché contiene, implicitamente, la menzione del Padre, esplicitamente quella del Figlio e dello
Spirito. Ma è ancora assente il mistero della Trinità come sarà definito più tardi. Infatti la voce
celeste… è una dichiarazione di adozione, e non di filiazione naturale, come riconosce la nota della
BG su Matteo 4,3 (p. 2091): “Anche al battesimo (Matteo 3,17) e alla Trasfigurazione (17,5) tale
parola non implicherebbe da sola più che un favore speciale accordato al Messia-Servo”. E’ un
primo passo verso il mistero trinitario ma non è ancora la Trinità… Verosimilmente il mistero della
Trinità è stato elaborato a partire dalla narrazione del battesimo di Cristo. Ma non si potrà precisare
fin quando non si sarà compreso che Gesù era “Figlio di Dio”, non solo in senso di un’adozione
divina, ma in quello di una filiazione naturale. Ciò non si è potuto fare che alla fine del primo
secolo, come abbiamo visto nel precedente capitolo sulla divinità di Cristo»173
Il pensiero di Boismard è semplice e chiaro: l’elaborazione del modello ternario della narrazione del
battesimo di Gesù, è il primo passo verso la definizione del mistero trinitario che sarà formulato
solo più tardi verso la fine del primo secolo.
172 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 83173 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 153-154
67
Non si tratta dunque di vedere la Trinità, come ritiene Felice, ma dei fondamenti scritturistici di
base che serviranno per la successiva sistematizzazione della fede. Sostanzialmente è lo stesso
concetto espresso dal Dizionario Biblico di Herbert Haag citato da Felice a pag. 86 del suo libro.
MATTEO 11,2-6
Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli
per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?».
Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete:
I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano
l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si
scandalizza di me». (CEI)
Felice per questo versetto cita la nota di GA3; riporto testualmente la sua citazione e subito dopo
quella completa con le parti mancanti in rosso:
«Ad ogni modo la scrittura è abbastanza chiara. “Colui che deve venire è una espressione ricalcata
sul V.T. (cfr. 21,9; 23,39) e in quel tempo apertamente riferita al Messia aspettato”. (nota in GA
3Vol»174
«Questo c. [capitolo] affronta più direttamente il problema della messianicità e della divinità di
Gesù, che si imponeva sempre più all’attenzione dei suoi ascoltatori… Colui che deve venire è una
espressione ricalcata sul V.T. (cfr. 21,9; 23,39) e in quel tempo apertamente riferita al Messia
aspettato… Il Battista è più di un profeta che vede di lontano l’atteso: è il precursore che lo addita
presente e al quale Dio aveva riservato un annuncio messianico (v. 10 con la citaz. di Mal. 3,1, che
parla di una via da aprire dinanzi a Dio, qui identificato con Gesù).»175
MATTEO 28,19
Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo (NR)
Riguardo al passo in questione, Felice ritiene che sia uno dei cavalli di battaglia utilizzato dai
trinitari per confermare la dottrina della Trinità, in quanto si parla delle “tre persone divine” unite
dal “nome”. Avremo modo più avanti di affrontare più approfonditamente questo aspetto e precisare
il discorso di Felice.
174 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 90175 GA3, 41-42
68
Di particolare interesse è la sua citazione del libro di Boismard, All’alba del Cristianesimo: Felice
riprende il commento dello studioso al passo matteano, ma come spesso capita lo cita fuori
contesto, tanto che al lettore è mascherato il vero pensiero della fonte citata.
Basti ricordare solamente che la comprensione odierna del mistero della Trinità così come lo
ritroviamo nelle formulazioni dogmatiche da Nicea in poi (un’unica sostanza in tre persone), o per
usare le parole del Kittek citate da Felice una trinità dell’unità,176 non è certo quella che potevano
avere gli apostoli, Paolo e i primi cristiani del NT. E’ questa l’affermazione di fondo del Boismard,
che invece Felice non prende in considerazione.
Ma, mi ripeto ancora una volta, lo vedremo con più calma in seguito.
GIOVANNI 9,38
Allora egli disse: <<Io credo, Signore!>>; e l’adorò. (ND)
«Questo è un altro passo che i trinitari usano astutamente per cercare di dimostrare che Gesù è
Dio»177
Non ritorno sul tema “adorazione” riservata a Gesù nel NT perché già abbondantemente trattato.
Ricordo solo che la questione non riguarda tanto le possibili e legittime traduzione di proskunšw
(proskynèo – adorare, prostrarsi, omaggiare, inchinarsi…), ma tutto il contesto neotestamentario nel
quale si riferisce la proskynesis.
Infatti lo stesso Wikenhauser pur avendo scritto che “egli si prostra dinanzi a lui per rendergli
omaggio e non per adorarlo” come la NM, crede ugualmente in Gesù come vero uomo e vero Dio,
perché condivide la stessa natura divina del Padre.
Così anche il Nolli, citato da Felice «Molti traducono “signore” con la “s” minuscola. “Allora egli
esclamò: <<credo, signore!>>. E si prostrò davanti a lui”. (Evangelo secondo Giovanni, a cura di G.
Nolli (1986) Libreria Editrice Vaticana – NVB)»178 crede allo stesso modo nella divinità di Gesù.
E quegli diceva: “Credo, Signore”, e gli si prostrò (GA3)
«38. Il verbo gr. tradotto prostrarsi indica in Gv. l’adorazione cultuale (4,20-23; 12,20)»179
Dove poi Felice veda tutta questa “astuzia” dei trinitari per dimostrare che Gesù sia Dio, lo sa solo
lui.
176 Cfr. Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 99-100177 Idem, 121178 Idem, 121179 GA3, 247
69
ROMANI 10,13
Afferma infatti la Bibbia: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (TILC)
Felice cita così la nota di Rm 10,13 che richiama la profezia di Gioele 2,32:
«“Invocare il Signore…è riconoscere implicitamente la propria insufficienza e la sua qualità di
donatore e salvatore”. (GA 3Vol)»180
Ma è sufficiente controllare la fonte citata per capire come stanno veramente le cose; come al solito
le parti omesse da Felice sono in rosso:
«Invocare il Signore, o (come dice la citazione di Gioe. 2,32) il nome del Signore che è la stessa
cosa (il nome se miticamente è espressione della natura dell’essere), è riconoscere implicitamente la
propria insufficienza e la sua qualità di donatore e salvatore; è quindi una professione di fede (cfr I
Cor. 1,2). Paolo applica a Cristo (v.12) il titolo di Signore che il testo di Gioele e tutto il V.T.
adoperano come designazione di Jahve; l’opera di Cristo è infatti la stessa opera di Dio; la nuova
alleanza è in continuità dell’alleanza antica»181
L’importante, dunque, come dice chiaramente il GA nella parte della nota appositamente tagliata da
Felice, è l’applicazione a Cristo (v.12) del titolo di Signore che il testo di Gioele e tutto il V.T.
adoperano come designazione di Jahve; alla domanda “trabocchetto” di Felice:
«Chi è dunque il “Signore” invocando il cui nome si è salvati? E’ Gesù o Dio stesso?»182 si
risponde: tutti e due!
In rapporto a questo passo, Felice rimanda anche a 1Cor 1,2; vediamo cosa dice lo stesso GA3 in
nota:
«“Santo” è sinonimo di “cristiano” (cfr. 6,1s.) e i cristiani sono appunto coloro che invocano il
nome del Signore N. Gesù C., cioè, riconoscono Gesù come Dio, poiché nell’A.T. “invocare il nome
di Jahve” significava “pregare e adorare Iddio”»
180 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 162 181 GA3, 556182 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 162
70
GIOVANNI 8,59
Raccolsero allora i sassi per scagliarli contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
(MAR)
Ecco cosa dice Boismard nel contesto del rapporto tra Gesù ed Abramo
«In 13,19 Gesù dice ai suoi discepoli: “Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà
avvenuto, crediate che Io Sono”. Gesù aveva usato un linguaggio analogo con i Giudei (8, 24-28),
dicendo anche a loro: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (8,58). In quest’ultimo testo, Gesù
afferma la sua preesistenza, e l’espressione “Io Sono” evoca il Nome divino rivelato a Mosè in
Esodo 3,14. Dunque, per essere salvati occorre credere nella divinità di Cristo»183
Non per nulla i giudei raccolsero dei sassi per scagliarli contro di lui.
GIOVANNI 10,30
<<Io e il Padre siamo una cosa sola>>. (CEI)
Intanto ricordo subito come non sia assolutamente vero che la traduzione CEI “… siamo una cosa
sola”, sia tradotta e interpretata male, come invece ritiene Felice, a motivo dei pregiudizi trinitari,
ma è una legittima versione del greco ›n ™smen; la stessa KIT riporta l’inglese one (thing) uno
(cosa). Altri riportano altrettanto legittimamente un'altra traduzione “… siamo uno”, ma il senso
non cambia.
Si sono forse sbagliate tutte le altre versioni che riportano “una cosa sola” o sono mosse anche loro
da pregiudizi trinitari?
siamo uno IBE, GA, NVP, NR, RL, ND, BLM, RI, CON, GL, LB, NIV
una cosa sola TOB, CEI, GCC, PIB, TILC, NA
one (thing) - uno (cosa) KIT
Vediamo come viene citato il Wikenhauser
«“la frese sottolinea in maniera diretta soltanto l'unità del volere e dell'agire”. (L’Evangelo secondo
Giovanni – A.Wikenhauser (1974) © Morcelliana; pag. 282)»184
Riportiamo ora la citazione completa con le parti omesse in rosso:
183 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 71184 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 246
71
«La frase “io e il Padre siamo una cosa sola” (nota che non dice: siamo una sola persona) è il modo
più chiaro e perspicuo di esprimere il pensiero, che a Giovanni è familiare, dell'unità che unisce il
Padre e il Figlio; un'espressione perfettamente parallela ricorre in 1,1 («e Dio era il Verbo»). Per
essere esatti, si deve dire che la frase sottolinea in maniera diretta soltanto l'unità del volere e
dell'agire, per cui le parole di Gesù sono da mettersi sulla stessa linea di 5,19 s., 8,16,10,15,12,44 s.;
però questa unione di volontà e di azione poggia sull'unità di natura. Come si vede, l'unità del Padre
e del Figlio non si riduce ad una pura unione personale o ad una unità morale, ma è di ordine
metafisico. Padre e Figlio, per quanto distinti come persone, sono però identici nella natura, nel
volere e nell'agire»185 (sottolineature mie)
Anche il Grande Commentario Biblico viene citato così:
«“il Padre e il Figlio sono una cosa sola quanto al pensiero, la volontà e l’azione”. (Grande
Commentario Biblico, Raymond E. Brown, Joseph Fitzmyer, Roland E. Murphy (edd.), Editrice
Queriniana, Brescia 1973)»186
Ecco la citazione completa con le parti mancanti in rosso:
«Io e il Padre siamo una cosa sola:… Ora il Padre e il Figlio sono una cosa sola quanto al pensiero,
la volontà e l’azione (cfr. v. 17 sopra; 5,19s.; 8,16). Tale unione presuppone quella ancora più
essenziale in cui Gv parla in 1,1; Gesù non afferma semplicemente che egli e il Padre sono
“d’accordo”, ma che sono “una cosa sola” (hen)»187
Anche questa citazione completa smentisce l’idea espressa da Felice.
Stesso discorso per il Nolli citato così:
«“… uno: uno, una cosa sola (neutro), non una persona sola (maschile)". (Evangelo secondo
Giovanni a cura di G. Nolli (1987) Libreria Editrice Vaticana)»188
Solo chi si “prende la briga” di controllare, potrà scoprire che anche questa citazione amputata
nasconde molto altro
«›n… uno: uno, una cosa sola (neutro), non una persona sola (maschile). ™smen... Frase molto
usata nelle prime discussioni sulla SS.Trinità. Contro chi intendeva una persona sola sta il verbo al
pl siamo (™smen); per chi intendeva un'unità morale soltanto (possibile anche se il Figlio fosse
inferiore al Padre o anche un semplice uomo) sta il neutro «›n una cosa sola»189
185 L’Evangelo secondo Giovanni. Tradotto e commentato da Alfred Wikenhauser, Morcelliana, Brescia 1974, 282 186 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 247 187 GCB, 1409 188 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 247189 Nolli, Evangelo secondo…, 397. Il commento del Nolli è indicato proprio ai TdG, che reputano l’unione del Padre con il Figlio solo come una semplice unità morale.
72
In tutta sincerità, dopo la lettura completa di queste citazioni, per evitare giudizi che forse
potrebbero risultare troppo pesanti, lascio parlare le loro raccomandazioni
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»190
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»191 (il grassetto è mio)
GIOVANNI 14,26
Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegnerà
ogni cosa e vi farà ricordare tutto quello che vi ho detto. (EP’ 70)
A proposito dello Spirito Santo, contrariamente a quanto ritiene Felice, non c’è nessuna obiezione
da parte di nessuno perché si debba scrivere Spirito Santo con le maiuscole per poterlo riconoscere
come la terza persona della Trinità.
Inoltre non è vero, come dice Felice, che tutti quelli che credono nello Spirito come la terza persona
della Trinità utilizzino le maiuscole, mentre chi non ci crede impieghino le minuscole.192
Emblematico nel nostro caso, il Nolli citato da Felice, che pur credendo nella personalità e divinità
dello Spirito Santo, proprio in Gv 14,26 scrive spirito santo in minuscolo. Nelle note del v. 26
infatti dice:
«tÕ pneàma apposiz. semplice (che aggiunge al nome una determinazione ulteriore): nome
sostant comune concreto… alito, spirito»193
190 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155191 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11192 Cfr. Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 259193 Nolli, Evangelo secondo…, 555
73
«tÕ ¤gion artic determ nom sing… in posiz oppositiva, perché ripetuto due volte… La posiz
appositiva dell’artic (ripetuto due volte) fa dell’intera espressione come il nome personale dello
Spirito Santo, sulla linea di quello di Padre e Figlio»194
Si ribadisce che, come ben ricorda anche lo stesso Felice, siccome gli antichi manoscritti non
avevano le maiuscole, il loro utilizzo in una qualsiasi traduzione moderna in italiano come anche in
altre lingue, non ha “valore teologico” (come nel nostro caso determinare o meno la personalità
dello Spirito Santo): è piuttosto Felice che strumentalizza le minuscole spirito santo di alcune
traduzioni cattoliche e protestanti per difendere a senso unico la sua posizione.
Per quanto riguarda il pronome personale ™ke‹noj in rapporto allo Spirito, riporto testualmente la
considerazione di Felice con la quale termina il suo commento: merita senza dubbio un’analisi
«Che lo spirito santo non sia una persona è anche dimostrato dal fatto che “ ™ke‹noj ” è usato in
riferimento a cose. Questo è evidente in Luca 10:12 dove si dice che: “in quel (™ke‹n¼) giorno
vi sarà minor severità per Sodoma, che per codesta città”. (Evangelo secondo Giovanni a cura di G.
Nolli (1987) Libreria Editrice Vaticana). Si, “ ™ke‹n¼ ” è riferito a “giorno”, il quale non è una
persona. Similmente in 1 Giovanni 5:16 viene detto: “Se uno vede il suo fratello commettere un
peccato che non meni a morte, pregherà, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono
peccato che non meni a morte. V’è un peccato che mena a morte; non è per quello (™ke…nhj)
che dico di pregare”. (LU). In questo caso, “ ™ke…nhj ” è usato in riferimento al “peccato”. Ma il
peccato non è certo una persona, come non lo è lo spirito santo»195 (sottolineature mie)
Francamente un ragionamento del genere lascia sbalorditi: due sono le ipotesi; 1) o Felice è
veramente convinto di quello che dice e crede in buona fede che sia la cosa giusta, oppure 2) pur
sapendo di sbagliare crede di avere a che fare con determinati lettori che “bevono tutto” senza
informarsi o controllare… Personalmente sono fermamente convinto della numero 2.
Stupisce non poco, infatti, che Felice non sappia (o faccia finta di non sapere) che in greco esistono
genere (femm. masch. neutro), numero (pl. sing.) e caso (nom. gen… ecc.); ™ke…nV è di genere
femminile perchè ¹mšrv (giorno) in greco è femminile, così come ¡mart…a (peccato) è di
genere femminile al quale corrisponde il femminile ™ke…nhj.
Siccome si tratta di greco, non c’entra nulla il riferimento di ™ke‹noj a cose piuttosto che a
persone, ma sono fondamentali i generi a cui si riferisce.
Il fatto che ci si riferisca molte volte allo Spirito che è neutro con il maschile ™ke‹noj (egli-lui)
significa che si vuol dare allo Spirito una personalità definita. Ecco perché molte traduzioni rendono
194 Idem195 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 261
74
con il maschile egli, che si usa per le persone, anziché con il neutro quello che sarebbe preciso se ci
fosse il pronome neutro ™ke‹nÓ.
mas. fem. neutro
™ke‹noj
egli- lui
™ke‹n
¼
essa - lei
™ke‹nÓ
quello/quella cosa
«Dobbiamo esaminare non solo ciò che personalmente crediamo, ma anche ciò che è
insegnato da qualsiasi organizzazione religiosa alla quale siamo associati.
Sono i suoi insegnamenti in piena armonia con la Parola di Dio, o si basano sulle
tradizioni degli uomini? Se amiamo la verità, non c’è nulla da temere da tale esame»196
RIVELAZIONE 1,8
Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
(CEI)
Questo è il primo versetto di Rivelazione197 (o Apocalisse) preso in esame da Felice. Si notano dei
titoli (ma non sono i soli) che vengono attribuiti in questo libro sia a Dio Padre che a Gesù Cristo.
Secondo Felice, invece, tali titoli sono applicabili solo al Padre, Dio e non a Gesù. I molti altri passi
citati in seguito da Felice vogliono confermare proprio questo.
Prima di “zummare” qualche versetto, riporto in proposito il pensiero di alcune fonti autorevoli:
«Il Vivente (Ð zîn: 1,18): proprio di Dio,198 il titolo «il Vivente» viene dato anche a Cristo in base
alla sua resurrezione. Il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega (™gè e„mi Ð prîtoj kaˆ Ð
œscatoj, tÕ ”Alfa kaˆ tÕ ’W: 1,17; 2,8; 22,13): detti di Dio (cf 1,8; 21,6), questi titoli vengono
trasferiti a Cristo che, in rapporto col mistero pasquale, è indicato come all’inizio e alla conclusione
della serie omogenea rappresentata dalla storia della salvezza»199
196 La verità che conduce alla vita eterna, Brooklyn 1968, 13197 Etimologicamente la parola apocalisse viene dal greco 'apok£luyij (apokalypsis) che significa rivelazione; è diventata, nella Chiesa primitiva, il termine tecnico per designare la manifestazione gloriosa di Cristo alla fine dei tempi. 198 Vivente (4,9.10; 7,2; 10,6; 15,7): sulla linea dell’A.T. si indica Dio che nella pienezza della vita supera ogni elemento umano, ogni limitazione di tempo (IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8, Opera Giovannea e lettere cattoliche = CORSO COMPLETO DI STUDI BIBLICI, Elle Di Ci, Leuman 1990, 388 199 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 390
75
«Gli attributi di Dio nell’AT, specialmente quelli dinamici, vengono riferiti a lui [in Ap]: egli è il
“primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega” (1,7; 2,8; 22,13): si trova all’inizio e alla conclusione della
serie omogenea della storia della salvezza»200
«8. Alfa e Omega: Espressioni equivalenti, il “primo e l’ultimo”, il “principio e la fine”, riappaiono
in riferimento a Dio (21,6) e a Cristo (1,17; 2,8; 22,13). Is (41,4; 44,6; 48,12) aveva già affermato
che Dio era “il primo e l’ultimo”, il creatore e la fine di ogni cosa. Sotto l’influsso ellenistico il
valore simbolico dell’alfabeto fu gradualmente assimilato dal giudaismo; la prima lettera associata
all’ultima significava totalità»201
«Qui [in 1,8] il testo obbliga ad affermare che è Dio che parla, come certamente in 21,6; mentre, in
22,13 la stessa parola viene evidentemente messa in bocca a Cristo»202
«L’Alfa e l’Omega: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco (21,6; 22,13), trasposizione nel Cristo
di una qualità di Dio, principio e fine di tutto (Is 41,4; 44,6; cf. 1,17; 2,8)»203
«Cf Is 49,2; Eb 4,12 ove la stessa espressioni è applicata a Dio. Qui designa Cristo, come in Ap 2,8
e 22,13»204
«Dio non è più semplicemente l’eterno, ma colui che viene. E come non tener presente che il
participio <<il veniente>>, qui applicato indiscutibilmente a Dio, connota generalmente il Figlio,
soprattutto nella letteratura giovannea, e particolarmente nell’Apocalisse? Bisogna dunque
concludere che, fin dall’inizio del libro, quando per la prima volta il nome segreto di Dio viene
rivelato, tale nome prende una risonanza cristologica. Questo cristocentrismo, o più esattamente
questo teocentrismo cristologico, è una delle grandi costanti dell’Apocalisse»205
«ALFA E OMEGA Sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. Citate insieme, queste due
lettere alludono a Dio: principio e fine di tutta la realtà. Nel Nuovo Testamento, questa qualità
divina viene riferita a Gesù Cristo: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che
era e che viene” (Ap 1,8)»206
«Ecco la prima volta di Cristo, che segna il punto culminante della visione. Ritroviamo
l’affermazione in 2,8 e 22,13, associata in quest’ultimo testo ad altri titoli: Alfa e Omega, principio
e fine.
200 NDTB, 92201 GCBQ, 1444202 L’Apocalisse di San Giovanni, traduzione e commento di…, 38203 BG, 2627204 TOB, z), 2872205 L’Apocalisse di San Giovanni, traduzione e commento di…, 29-30 206 Enciclopedia del Cristianesimo…, 44
76
Alfa e Omega erano titoli di Dio stesso in Ap 1,8. Nell’Apocalisse la coppia “primo e ultimo” si
trova sempre riferita a Cristo. Tuttavia l’espressione è evidentemente presa da testi come Is 44,6 e
48,12, dove si tratta di Dio. Questo transfert cristologico non ci stupisce più»207
«[22,13] v. 13. Tre coppie di titoli cristologici. Alfa e Omega, inizio e fine sono predicati di Dio
stesso in 1,8 e 21,6… In compenso, si applicano a Cristo i titoli di “primo e ultimo”, in 1,17 e 2,8.
Si tratta di quasi sinonimi. L’interessante è che, ancora una volta, il nostro autore insiste sulla
qualità e sul ruolo veramente divini di Cristo»208
«L’Apocalisse riferisce a Cristo gli attributi di Dio nell’AT. Egli è il primo e l’ultimo, l’alfa e
l’omega (1,7; 2,8; 22,13)»209
«Gesù è sentito e pensato al livello di Dio… Gli attributi di Dio nell’AT, specialmente quelli
dinamici, vengono riferiti a lui: egli è “il primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega” (1,7; 2,8; 22,13): si
trova all’inizio e alla conclusione della serie omogenea della storia della salvezza… Con ciò si
manifesta come equivalente a Dioe gli compete il titolo divino “Signore dei signori” (17,14;
19,16)»210
«C’è un contatto letterale con Is 44,6: “così dice Iahvè şebaōth: io sono il primo e io sono ultimo (e
con Is 48,12) Iahvè è visto qui soprattutto nella sua trascendenza che supera le vicende delle cose.
In Ap 1,8 Dio è detto “alfa e omega”; lo stesso titolo è applicato a Cristo in Ap 22,13.»211
«La formula “il Primo e l’Ultimo” (ho prôtos kai ho èschatos) si trova solo come auto-
qualificazione di Cristo glorificato (1,17; 2,8; 22,13). Si rifà alla dizione ebraica degli attributi
divini, presente nel Deuteroisaia (41,4; 44,6; 48,12)… Un’altra espressione, simile quanto al
contenuto, è: “io sono l’alfa e l’omega” (alfa è la prima lettera e omega è l’ultima) e anche: “io sono
l’inizio e la fine” (22,13). Il trasferimento di questi attributi divini al Risorto indica che Cristo è
stato innalzato a dignità divina e ha assunto compiti di creatore e di perfezionatore»212
«[Ap 21,6] Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine: l’affermazione precedente viene motivata:
la realizzazione delle promesse di Dio è garantita dal fatto che proprio Dio – e Cristo: cf 22,13 – sta
all’inizio e alla conclusione della serie omogenea della storia della salvezza»213
207 L’Apocalisse di San Giovanni, traduzione e commento di…, 60 208 Idem, 707209 LDTE, 824210 NDTB, 92211 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8..., 409212 DCBNT, 694213 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8..., 448
77
Si sa che il tipico ritratto di Gesù impiegato per ben 28 volte da Giovanni nell’Apocalisse reca le
sembianze misteriose di un agnello. «Particolarmente eloquente è il passo in cui la metafora
compare per la prima volta: “E vidi in mezzo al trono… un agnello ritto in piedi come sgozzato”
(5,6). Il trono è quello di Dio, semplicemente detto altrove il Sedente (4,2), ed è paradossale che,
essendo già occupato da lui, si dica che ciononostante l’Agnello vi sta proprio nel mezzo, a
esprimere una vera e propria sovrapposizione. Alla fine del libro avverrà un’altra identificazione di
questo genere, quando si prospetterà la futura città della Gerusalemme celeste in cui scompariranno
le distanze (il mare che sta davanti al Trono scomparirà): “Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in
mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla
fronte” (22,3-4); qui bisogna notare che le espressioni col pronome singolare “i suoi servi, la sua
faccia, il suo nome” sostituiscono i più esatti “i loro servi, la loro faccia, il loro nome”, visto che il
testo parla di due esseri, Dio e l’Agnello: si vede bene perciò che la logica della fede supera la
stessa grammatica»214
«[Ap 5,1-14] a colui che siede sul trono e all’agnello: V. 7,10. Come la dossologia è offerta tanto a
Dio quanto all’Agnello, così la regalità e il dominio appartengono indistintamente al Padre e a
Cristo (3,21)».215 «Nuovo nel N.T. è il fatto che accanto a Dio come destinatario della proskynesis
adorante sta ora in primo luogo il Cristo innalzato (come risulta in modo particolarmente chiaro, ad
es., in Apoc. 5,13s.; Lc. 24,52)… Nel N.T.Il proskune‹n è riservato a Dio e all’Agnello…
Nell’Apoc. l’uso di proskunšw ha due punti centrali: l’adorazione di Dio e dell’Agnello nella
liturgia celeste (4,10; 5,14; 7,11; 11,16; 19,4)»216
La NM in Ap. 5,13s, ha tradotto proprio così:
«“A Colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i
secoli dei secoli”. E le quattro creature viventi dissero: “Amen!” e gli anziani caddero e adorarono»
Queste considerazioni, sicuramente più che esaustive, fanno emergere due errori di fondo
dell’impostazione e del pensiero di Felice, tipico della cristologia geovista:
1) Nel nostro caso i titoli Alfa e Omega – Primo e Ultimo (diversamente da Felice che li vuole
riferiti solo al Padre), come confermano tutti questi studi e anche altri, vengono indistintamente
applicati a Dio Padre e al Figlio Gesù: segno che, come si è già ricordato, dato primario della nuova
confessione è che fin da subito, cioè a partire dal “terzo giorno”, fu chiaro e tipico per i cristiani che
Gesù era stato associato alla signoria di Dio, chiamato e riconosciuto Signore, appellativo non
214 Romano Penna, IL DNA DEL CRISTIANESIMO…, 144215 GCBQ, 1450216 DENT II, 1163
78
riferito ad altri se non al Dio trascendente come era per la fede ebraica. Un unico titolo dunque
designa insieme Dio e un uomo, per di più un crocifisso risorto.
2) Il fatto di poter applicare indistintamente a Dio Padre e al Figlio Gesù i medesimi titoli con tutto
ciò che ne consegue,217 non implica, come erroneamente pensa Felice e i TdG, far diventare il
Signore Dio e Gesù una medesima persona, ma significa uguagliarne la natura, l’essere.
Sentiamo Felice in proposito:
«Indicano le parole “Io sono il Primo e l’Ultimo” che Gesù Cristo è l’Iddio Onnipotente?»218
No di certo! E’ chiaro che Gesù e Dio rimangono sempre due soggetti distinti, ma vengono collocati
sullo stesso piano; vedi note 198-200.
Ancora Felice:
«In questo passo [Ap 22,13], Dio è pure chiamato “il Primo e l’Ultimo”, espressione che in
Rivelazione 1:17, 18 è riferita a Gesù. Anche l’espressione “apostolo” è riferita sia a Gesù Cristo
che a certi suoi seguaci. Ma questo non dimostra che siano la stessa persona. (Ebrei 3:1)»219
Stesso discorso di prima: non si tratta di identificare le persone o i soggetti, ma di uguagliarne la
natura.
MATTEO 2,2, 8,11
«Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per
adorarlo» 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del
bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». 11
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi
aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. (CEI)
Si è già affrontato nel precedente lavoro la questione dell’adorazione rivolta a Gesù. Si ribadisce
solo che a prescindere dalla traduzione di proskunšw adorare, rendere omaggio…, mentre
nell’uso linguistico extra biblico il suo significato andava dall’adorazione fino alla semplice
dimostrazione di stima, nel NT viene mantenuta sempre l’accezione religiosa del verbo.
Abbiamo già ricordato che il problema di fondo riguardo alla traduzione di questo verbo, non va
cercato, come ritiene Felice, in un determinato contesto nel quale si svolge la proskÚnesij, ma nel
217 Come ad esempio attribuire il titolo ‘dio’ a Gesù, non implica far diventare Dio Padre e il Figlio Gesù la stessa persona, ma significa che pur nella distinzione delle loro persone, sia il Padre che Gesù condividono la stessa divinità. 218 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 185219 Idem, 198
79
destinatario che è Gesù Cristo: in tutti i casi infatti che proskunšw si riferisce a lui, viene sempre
reso dai TdG render omaggio, mai neanche una volta adorare.
E’ bene ricordare che esiste il verbo prosp…ptw prospiptō, prosternarsi, prostrarsi, cadere ai
piedi di, che diversamente da proskunšw, nel NT non è usato come termine tecnico per esprimere
l’atto della preghiera e dell’adorazione, bensì designa turbamento oppure improvviso sbigottimento
o costernazione.
Ricorre 8 volte e precisamente in Mc 3,11; 5,33; 7, 25; Lc 5,8; 8,47; 8,28; Mt 7,25 e At 16,29.220
In tutti questi casi la KIT rende prosp…ptw con l’inglese to fall, cadere, abbassarsi, crollare,
scendere. Ecco come rende in italiano la NM in tutti i passi dove compare:
Mc 3,11 prostravano davanti
5,33 cadde davanti
7,25 si prostrò
Lc 5,8 cadde alle ginocchia
8,47 cadde davanti a lui
8,28 gli cadde davanti
Mt 7,25 si riversarono
At 16,29 cadde davanti a
GIOVANNI 5,19
Gesù rispose e diceva loro: <<In verità, in verità vi dico: il Figlio non può fare nulla da se stesso
se non ciò che vede il Padre fare. Ciò infatti che fa lui, lo fa ugualmente il Figlio (NVB)
Prima di iniziare ad affrontare la questione posta da Felice, così da poterla analizzare meglio, ho
ritenuto opportuno ampliare la citazione, riportando sempre la versione NVB (da me diversamente
indicata con NVP) dal v. 17 al 20.
Questo perché il cuore del problema non è, come invece reputa Felice, nel confronto tra Ómoiwj
similmente/ugualmente… del v. 19 e ‡soj uguale/pari… del 18 (come vedremo dopo), ma da tutto
il contesto dove si parla del rapporto tra il Padre e il Figlio; particolarmente rilevante il v. 17
17 Ma Gesù rispose loro: «Mio Padre è all’opera fino ad ora ed anch'io sono all’opera». 18 Per
questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma diceva che
Dio era suo Padre, facendo se stesso uguale a Dio. 19 Gesù rispose e diceva loro: «In verità, in
verità vi dico: il Figlio non può fare nulla da se stesso se non ciò che vede il Padre fare. Ciò infatti
220 Cfr DENT, 1166
80
che fa lui, lo fa ugualmente il Figlio. 20 Il Padre infatti ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli
fa, ed opere più grandi di queste gli mostrerà, in modo che voi ne rimaniate stupiti (NVP)
Ecco alcuni commenti esustivi:
«17. il Padre mio opera sempre: Tale affermazione presuppone lo sfondo della speculazione
rabbinica sulla natura di Dio… Si ammetteva unanimemente che l’antropomorfismo del racconto
della Gn 2,2s. secondo il quale “Dio si riposò nel giorno di sabato”, non doveva essere preso nel
senso di una reale interruzione dell’attività creatrice di Dio, in quanto il mondo cesserebbe di
esistere. Perciò, come il Padre continua ad agire senza essere legato alla legge del sabato, proprio
così, dice Gesù, avviene anche per il Figlio. L’affermazione dei sinottici (Mc 2,12 parall.) secondo
la quale il Figlio dell’uomo è padrone anche dal sabato corrisponde a questa linea. 18. non soltanto
violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio: Gli oppositori di Gesù
interpretano giustamente questa affermazione come una sua rivendicazione di essere il Figlio del
Padre in un senso tutto particolare. Identificando la sua opera con quella di Dio, egli si dichiara
uguale a Dio. Dal loro punto di vista monoteistico ciò non poteva implicare che un dualismo nella
divinità. 19. il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre: Non va qui
eliminata l’affermazione implicita di subordinazione interpretando le parole di Gesù come riferite
unicamente alla sua natura umana. Ciò addosserebbe all’evangelista la responsabilità di aver detto
una banalità. Mancherebbe anche di cogliere una profonda intuizione della cristologia giovannea.
Gesù, piuttosto, intende qui affermare con insistenza l’assoluta armonia che esiste tra l’attività del
Padre e quella del Figlio, il che, ovviamente, esige radicalmente un’identità di natura; in 16,12 ss.,
si utilizza lo stesso processo per precisare la relazione che esiste tra lo Spirito Santo e il Figlio.
Tuttavia, in tutto il vangelo, la trinità non viene mai presentata e trattata come una tesi di teologia
astratta; se ne parla sempre dal punto di vista della sua rilevanza funzionale per la soteriologia. Da
questo punto di vista il Figlio - che è sia Dio che Uomo -, si trova nel mondo per compiere l’opera
del Padre ed esclusivamente l’opera del Padre, cioè quella di portare agli uomini la vita che è la sua
stessa persona. La teologia cristiana più tardiva eviterà qualsiasi deduzione di superiorità di una
Persona della Trinità nei confronti delle altre e parlerà di tutte le azioni ad extra come di azioni
comuni a tutte e tre le Persone, azioni cioè, che non coinvolgono la stessa relazione trinitaria
interna. Giovanni non contraddice questa dottrina, ma neppure ce la presenta sotto questa visuale
così distaccata. Se Gesù avesse detto apertamente ai Giudei che egli era “uguale a Dio” li avrebbe
confermati nella loro convinta conclusione che egli stava parlando di due dei.»221
221 GCBQ, 1393
81
«17-18 Dio opera sempre, anche di sabato (in che senso cfr. Gen., 2,2, nota), e non osserva il sabato
a quel modo che pretendevano i rabbini; e Gesù pure, ad imitazione del Padre suo, opera sempre.
Rivendicando questa sua parità col Padre, Gesù afferma di essere Dio uguale a lui e di essere il suo
vero figliuolo, avendo la stessa natura divina. Così infatti compresero le parole di Gesù i Giudei, e
lo accusarono di bestemmia. 19-20 Ricevendo dal Padre la stessa natura divina, che è principio
della comune attività, Gesù compie le stesse opere del Padre, ha lo stesso potere e potrebbe
compiere opere ancora più meravigliose agli occhi degli uomini»222
Si è epurato così che pur nella distinzione delle persone e dei ruoli, Gesù e il Padre si trovano sullo
stesso livello e conpartecipano della medesima divinità. Ecco risolto il tutto.
Felice invece, esulando completamente da questo, ritiene il Figlio inferiore al Padre e
conseguentemente non Dio, giustificandosi dicendo di essere di fronte ad una manipolazione del
termine Ómoiwj:
«Questo può essere descritto come un tentativo di manipolazione che riguarda la parola
“ugualmente”, che altri traducono anche con “allo stesso modo”, “esattamente”, “come lui”, ecc., la
quale traduce il greco “Ómoiwj”. Molti, per far credere che Gesù sia Dio, traducono in questi
modi, o addirittura eliminano tali parole invalidando la parola di Dio»223
Felice ricorre subito ad un esempio, citando l’Interlineare del Beretta (IBE) che a suo giudizio opera
tale falsificazione, perché mentre sotto al greco rende giustamente Ómoiwj con similmente, nella
colonna a lato invece, erroneamente, dice lui, scrive ugualmente;
Subito dopo infatti continua:
«La maggior parte dei vocabolari della lingua greca, danno “similmente”, come prima definizione
della parola greca “Ómoiwj”, a conferma del fatto che questa parola designa principalmente
qualcosa di simile, ma non perfettamente uguale. [sottolineature mie] Per la parola “uguale”, esiste
in greco un altro termine: “‡soj”.»224
In sostanza, dice Felice, Gesù dal momento che non può far nulla di ciò che non lo veda fare dal
Padre, fu un suo perfetto ritratto sotto tutti gli aspetti, e non Dio stesso, come vorrebbero far credere
coloro che traducono con “uguale”; Gesù allora sarebbe principalmente “simile” e non “uguale” al
Padre.225
A parte il ragionamento non pertinente, è ulteriormente opportuno far notare ulteriori elementi.
222 PIB VIII, I Vangeli, 309-310 223 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ…, 234224 Idem, 234225 Idem, 235
82
1) Anzitutto molti traducono “allo stesso modo”, “anche”, “ugualmente”, “parimenti”, “fa
esattamente ciò che vede fare”… non certo per far credere che Gesù sia Dio, come ritiene Felice,
ma semplicemente perché è esatto tradurre così; lo confermano le molte versioni citate sotto:
anche il figlio le fa allo stesso modo (lett. ugualmente) NOLLI
quello che egli fa, anche il Figlio lo fa TOB, BG, CEI, GCC
questo anche il Figlio similmente fa CON,
il Figlio similmente lo fa GA3, RL
le fa ugualmente anche il Figlio ND, NR, TILC, NVP, IBE
le fa, allo stesso modo, anche il figlio NA
quello che vede fare dal Padre, lo fa parimenti il Figlio RI, PIB
ma fa esattamente ciò che vede fare dal Padre BLM
2) In secondo luogo Felice non dimostra che la maggioranza dei vocabolari greci (non sono citati ne
quanti ne quali siano) danno “similmente” come prima definizione di Ómoiwj; da alcuni citati
sotto risulterebbe il contrario:
ugualmente, allo stesso modo DENT
similmente, allo stesso modo, così anche Buzzetti
in egual modo, maniera, che Rocci
similmente, parimenti, ugualmente, allo stesso modo GIMontanari
in modo uguale a, ugualmente, così come Liddell e Scott
ugualmente, in modo uguale Zanichelli-Romizi
Anche la KIT nel greco interlineare riporta l’inglese likewise che significa similmente, allo stesso
modo, parimenti, così pure
Interessante questo commento
«‡soj…, uguale… Esso significa soprattutto equivalente, ma finisce facilmente per concordare col
significato di — Ómoiwj… I due passi d’importaza teologica per ‡soj, pongono Gesù in relazione
con Dio. In Gv. 5,18 i giudei, a causa del suo operare in giorno di sabato, rinfacciano a Gesù di farsi
uguale a Dio. Con ciò non s’intende l’unità e la comunione di Gesù con Dio, con cui Gesù risponde
nei vv. 19 ss., ma si vuol dire che egli si pone accanto a Dio come equivalente, in quanto con una
pretesa di salvezza agisce contro un comandamento di Dio. Questo stesso significato di
“equivalente a (cioè accanto) Dio” avrà ‡sa qeù in Fil. 2,6.»226
226 DENT, 1775-1776
83
1CORINZI 12, 4-6
Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno
solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
(CEI)
Questo passo di 1Cor 12, 4-6, come tanti altri, offrono la possibilità di precisare il pensiero di
Boismard citato, anche qui, da Felice in modo tendenzioso. La sua citazione è presa dal cap. 6 “IL
MISTERO DELLA TRINITÀ”.
Riporto subito la citazione di Felice per poterla poi confrontare con l’effettivo pensiero di Boismard
«“I modelli ternari non possono essere considerati come un segno che Paolo credesse nel mistero
della Trinità…notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse “persone” varia secondo il
testo e non corrisponde a quello della Trinità…In queste formule Paolo non menziona “il Padre”,
ma “Dio”. Bisogna concludere che esse escludono tutti i riferimenti al mistero trinitario…Nei
modelli ternari, invece, il Signore (o il Cristo) e lo Spirito, sono distinti da Dio; sono, per così dire,
giustapposti al Dio unico, non fanno parte di Dio…nei modelli ternari citati sopra, il Signore non è
considerato come Dio, e ciò esclude tutte la allusioni al mistero della Trinità così come sarà
formulato più tardi”. (All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile
Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pagg. 149-151)»227
Riassumo brevemente e nella sua essenzialità il pensiero di Boismard per poter poi inserire e
confrontare la citazione di Felice.
Il mistero della Trinità costituisce uno dei principali dogmi cristiani. I cristiani come gli Ebrei e i
musulmani riconoscono che c’è un solo Dio, ma all’interno di questo Dio, gli stessi cristiani
affermano l’esistenza di tre persone: Il Padre, il Figlio e lo Spirito. Il mistero consiste pertanto in
questa triplicità nell’unità. Questo ha fatto si che Ebrei e Musulmani abbiano accusato il
cristianesimo di aver abbandonato il monoteismo tradizionale per la fede in tre dei.
Ma cosa ci dicono le origini cristiane? Gesù, innanzi tutto, poi i primi cristiani, hanno creduto in
questo mistero trinitario, cioè di un solo Dio in tre persone? Notiamo subito che questa distinzione
in Dio fra sostanza (unica) e persone (tre) suppone una filosofia greca (e non semitica) molto
elaborata. Di conseguenza è lecito aspettarsi che l’elaborazione del mistero trinitario non si sia
effettuato che tardivamente, nella Chiesa.
Lo stesso passo trinitario di Mt 28,19 dove si trova il comando di Gesù di andare a fare discepole
tutte le genti battezzandole nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo è certamente
227 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 165-166
84
tardivo perché non risale a Gesù, ma verrà utilizzato nella prassi catechetica-liturgica delle prime
comunità probabilmente verso gli anni 80.228 Inizialmente, anche dalle testimonianze degli Atti e di
Eusebio di Cesarea, si veniva battezzati nel nome di Gesù e non nella formula tradizionale
matteana. In questo senso tale formula non costituisce una prova certa della fede in Dio-Trinità,
cioè di un solo Dio in tre persone.
Boismard, di conseguenza, dice che le formule molto frequenti in Paolo dove compaiono
indistintamente e in diverso ordine Dio, il Padre, Gesù e lo Spirito, a torto vengono considerate
spesso a supporto della fede nel mistero della Trinità. Già nelle tradizioni giudaiche erano presenti
delle formule a tre termini, uno dei quali è Dio, ma non nascondevano nessuna allusione al mistero
della Trinità: è per questo che gli studiosi le chiamano “formule ternarie” e non trinitarie. Seguono
una serie di testi che esplicano proprio questo (Baruc 4,22, Isaia 1,7; 42,1, Salmi 17,21).
Ritornando a Paolo i suoi modelli ternari si legano spesso al rito del battesimo, come ad esempio
quello di 1Cor 6, 9-11
«O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né
idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né
rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati
santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!»
A questo punto continuo ad esporre il pensiero di Boismard, ma citandolo testualmente e riportando
come al solito le parti in rosso omesse da Felice: saranno proprio quelle che faranno piena luce
«Presenteremo fra un istante il perché i modelli ternari non possono essere considerati come un
segno che Paolo credesse nel mistero della Trinità, così come lo concepiamo oggi: un solo Dio in
tre persone…
Ecco altri modelli ternari che si incontrano in Paolo. Vi inseriamo il testo di 2 Tessalonicesi 2,13,
anche se l’autenticità paolina di questa lettera è contestata:
2Corinzi 13,13: La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito
Santo siano con tutti voi.
Filippesi 2,1: Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità,
se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione […].
1Corinzi 12, 4-6: Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di
ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera
tutto in tutti.
228 Vedi nota a Mt 28,18 in BG
85
2Tessalonicesi 2, 13-14: Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera
santificatrice dello Spirito e la fede nella verità, chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il
possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.
Innanzitutto notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse “persone” varia secondo il
testo e non corrisponde a quello della Trinità. Se Paolo pensava ad una formula trinitaria, perché
non ha rispettato quest’ordine, almeno in 2 Corinzi 13,13? In seguito notiamo che alcune di queste
formule non parlano di “Padre” o di “Figlio”; se Paolo pensava al mistero della Trinità, non avrebbe
introdotto uno di questi in almeno una delle due formule?
Ma occorre spingersi oltre. In queste formule Paolo non menziona “il Padre”, ma “Dio”. Bisogna
concluderne che esse escludono tutti i riferimenti al mistero trinitario. Secondo questo mistero le tre
persone “Padre”, “Figlio” e “Spirito” sono concepite nello stesso seno di Dio; esse non sono distinte
da Dio. Nei modelli ternari, invece, il Signore (o il Cristo) e lo Spirito, sono distinti da Dio; sono,
per così dire, giustapposti al Dio unico, non fanno parte di Dio. Questo ci viene confermato dalla
doppia confessione di fede che si legge in 1 Corinzi 8,6: “per noi [c’è] un solo Dio, il Padre, dal
quale tutto [proviene] e noi [siamo] per lui; e un solo Gesù Cristo, in virtù del quale [esistono] tutte
le cose e noi [esistiamo] per lui… Se ne può concludere che, nei modelli ternari citati sopra, il
Signore non è considerato come Dio, e ciò esclude tutte la allusioni al mistero della Trinità così
come sarà formulato più tardi”»229
E’ solo leggendo la citazione con le parti omesse in rosso che si capisce il vero pensiero di
Boismard; ma è sufficiente la prima riga della citazione di cui sopra per centrare la questione:
«Presenteremo fra un istante il perché i modelli ternari non possono essere considerati come un
segno che Paolo credesse nel mistero della Trinità, così come lo concepiamo oggi: un solo Dio in
tre persone…»
Si, sia Paolo che gli apostoli come i cristiani della “prima ora”, non credevano certo al mistero della
Trinità come lo concepiamo noi oggi, cioè un solo Dio in tre persone, per due semplici ragioni:
Primo perché la distinzione in Dio fra sostanza (unica) e persone (tre) suppone una filosofia greca (e
non semitica, alla quale loro appartenevano) molto elaborata e a loro estranea. Secondo perché di
conseguenza l’elaborazione di questo mistero si è effettuato tardivamente, nella Chiesa,
precisamente al Concilio di Nicea nel 325, quando loro naturalmente erano già da tempo nella
“gloria del Signore”.
229 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 149-151
86
GIOVANNI 1,1
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (CEI)
Di questo particolare passo è stato già detto moltissimo. Lo stesso Felice riprende praticamente il
medesimo materiale del suo precedente libro La Traduzione del Nuovo Mondo. Manipolata o
tradotta fedelmente?
Mi soffermo solo sul modo in cui viene citato da Felice il Boismard: credo sia una delle più palesi
dimostrazioni di disonestà nei confronti del lettore. Ecco la testuale citazione
«Secondo l’inno primitivo…il Logos era stato creato da Dio e, dunque, non era Dio…Era il primo
nell’ordine delle creature”. (All’Alba del cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-
Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 155)»230
Da questa citazione il lettore capisce che il Logos di cui parla Giovanni, cioè Gesù non è Dio perché
è stato creato da Dio e dunque appartiene alle creature; e questo sarebbe confermato dallo studioso
domenicano Boismard… un antentico scoop!
Ma basta andare a controllare direttamente la fonte per rendersi conto che il Boismard afferma
giusto il contrario di ciò che Felice vuole far credere; ecco la citazione con le parti omesse in rosso
«Secondo l’inno primitivo, che riprendeva le speculazioni di Filone d’Alessandria, il Logos era
stato creato da Dio e, dunque, non era Dio. Ma Giovanni IIb corregge questa idea aggiungendo la
frase del versetto 1c. “E il Logos era Dio”. Peraltro, secondo Filone, il Logos, creato da Dio ma per
mezzo del quale tutto è stato creato, aveva il titolo di “primo generato” (protogenès). Era il primo
nell’ordine delle creature. Giovanni IIb non può riprendere questo titolo, perciò lo cambia con
“Unigenito” (monogenès), il quale evita ogni riferimento al resto della creazione. In seguito nella
finale, Giovanni IIb ci dice che questo “Unigenito” si trovava “nel seno del Padre” (e non nel seno
di Dio). Abbiamo già tutti gli elementi che permetteranno di formulare i primi due articoli della
fede trinitaria: non v’è che un solo Dio, ma in questo Dio occorre distinguere il Padre e il Logos da
lui generato»231
Solo chi non ha sottomano o non ha letto il libro di Boismard può essere tratto in inganno dalla
citazione di Felice: quando lo studioso francese parla dell’inno primitivo si riferisce a quello del
filosofo ebreo Filone d’Alessandria nato verso il 20 a.C. e non a quello dell’evangelista Giovanni.
In quell’ inno egli considerava le speculazioni tipiche dei libri sapienziali sulla sapienza, secondo le
quali Dio avrebbe creato il mondo in due tempi: prima creando il Logos, attraverso il quale poi ha
230 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 228231 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 155
87
creato tutto il resto. A questo punto interviene l’evangelista che, non potendo accettare questa idea,
come dice la citazione chiaramente evitata da Felice, aggiunge la frase “e il Logos era Dio”
correggendo l’inno.
Infatti, la frase “e il Logos era Dio” introduce una contraddizione non solo nel testo dell’inno
primitivo ma anche nella fede dello stretto monoteismo ebraico di un unico e solo Dio: come è
possibile che il Logos sia allo stesso tempo distinto da Dio, poiché era “presso” di lui, ed uguale a
Dio?
E’ esattamente questa la caratteristica della fede cristiana: non v’è che un solo Dio, ma in questo
Dio occorre distinguere il Padre e il Logos da lui generato. Più tardi si riconoscerà la personalità
specifica dello Spirito.232
Nulla di più indicato della famose raccomandazioni
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»233
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»234 (il grassetto è mio)
GIOVANNI 1, 3-4
Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è
stata fatta. 4 In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. (ND)
Per quanto riguarda questo versetto credo sia opportuno considerare l’espressione di' aÙtoà (per
mezzo di lui), cioè sulla Parola come causa o mezzo della creazione; è lo stesso Felice che si chiede
232 Idem, 108-113. 154-157 233 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155234 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11
88
«La Parola è il Creatore o colui per mezzo del quale furono create tutte le altre cose?»235
E’ chiaro che Felice ritiene la Parola (Gesù) un semplice agente intermedio, il mediatore della
creazione, attraverso il quale il Padre Dio ha creato tutte le cose. Per poter rispondere
adeguatamente e fare un po’ di chiarezza è bene ribadire la natura del Verbo (Parola-Logos) così
chiaramente presentata da Giovanni nel prologo del vangelo. Dato che si è già ampiamente
affrontato la questione nel precedente studio, richiamerò solamente l’essenziale.
Il termine greco logos ha a che fare con la mente, è un prodotto della mente, del pensiero; è l’idea, il
concetto, il “frutto” dell’attività mentale che dice le cose dopo averle conosciute. Logos dunque,
anche se è impreciso, può essere detto “parola” in quanto espressione di un concetto, cioè di una
parola mentale, detta o espressa. Il senso completo del greco logos, è infatti, “pensiero interiore
manifestato”. Gesù è, – questo vuol dire Giovanni – il “concetto” che si forma nel Padre mentre
contempla se stesso (i greci dicevano “interiore o proferito”); “generato” (per modum intellectus
dice la nostra teologia), ricevendo l’esistenza – eterna come quella del Padre, e della stessa natura.
Il logos è il pensiero stesso di Dio e dunque Dio egli stesso.
Detto questo, come risposta alla domanda di Felice, credo sia ottima la considerazione del Nolli
«di' una delle 17 preposiz. proprie del NT, voluta dal genit (e allora significa attraverso, durante,
per mezzo di…). Esprime qui la collaborazione più stretta, senza dire con ciò che il logos sia un
semplice strumento: Egli collabora senza cessare di essere Dio»236
Il verbo venne preso dal Padre come modello nel creare tutte le cose; non semplicemente “per
mezzo” o “attraverso” di lui dunque, ma “modellate” su di lui.237
«I numerosi e svariati tentativi di ricostruzione di questo “inno al Logos” concordano tuttavia sugli
enunciati, deducibili dal testo stesso, che riguardano il percorso redentore di Cristo: nella sua
preesistenza eterna (v. Ia) e nella sua unione personale con Dio (vv. Ib.2) il logos svolge un’ ampia
attività causale di creazione (v. 3) e una funzione salvifica»238
«Negli scritti di Filone… ricorre frequentemente il termine in questione e al Logos è anche
attribuita un’attività mediatrice nella creazione. Il Logos filoniano tuttavia è un mediatore divino
subalterno e simboleggia le forze divine esistenti e operanti nel mondo; questi dati che
caratterizzano l’insegnamento di Filone sul Logos differenziano nettamente il concetto di Logos
dello scrittore ebreo alessandrino da quello del prologo giovanneo; per l’evangelista infatti il Logos
235 Feliec Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 230236 Nolli, Evangelo secondo Giovanni…, 2 237 Cfr. Gino Bressan, Fragmenta ne pereant. Minuzie di filologia biblica, Roma 1995, 15 238 DENT II, 209
89
non soltanto è divino ed è mediatore nella creazione, ma il Logos stesso è Dio e con Dio-Padre
coopera alla creazione»239
La stessa citazione del Wikenhauser ad opera di Felice è parziale e relativa perché non fa
comprendere in pienezza il vero pensiero dello studioso; la riporto letteralmente
«“Il v.3 descrive il <<Verbo>> come mediatore della creazione del mondo…Si noti come non si
dica <<da lui>>, ma <<per mezzo di lui>>; vuol dire che il <<Verbo>> non è il creatore o la causa
prima”»240
Ecco ora quella più completa con le parti omesse in rosso
«“e Dio (= predicato) era il Verbo”… il solo senso plausibile da attribuire a questa formula è quindi
il seguente. Il “Verbo” fin dall’eternità possiede insieme con il Padre, e con lui partecipa dell’unica
natura divina. Un’affermazione tanto alta non è mai stata fatta circa la “sapienza”… il v. 2 sintetizza
le tre asserzioni del v. 1. Il “Verbo” che era Dio, già all’inizio, quando il mondo fu creato, ossia
prima di ogni inizio, era presso Dio. Questo viene in pari tempo a dire che esso è eterno ed increato.
Il v. 3 descrive il “Verbo” come mediatore della creazione del mondo. Qui si afferma, in forma
positiva e negativa, che tutto quanto esiste al di fuori di Dio (= il mondo, v. 10) fu creato per mezzo
del “Verbo”. Si noti come non si dica “da lui”, ma “per mezzo di lui”; vuol dire che il “Verbo” non
è il creatore o la causa prima di quanto è stato fatto, ma il mediatore della creazione del mondo…
Nulla è detto sul modo con cui questa attività di mediatore vada concepita»241
Come dice Wikenhauser, il Verbo è eterno ed increato, e dunque il fatto che sia mediatore o
strumento del Padre nella creazione non significa renderlo secondario o inferiore al Padre.
Ad esempio, uno studente è “per mezzo” del suo pensiero, la mente, che scrive un tema o produce
delle idee: certamente il suo pensiero non è un “semplice strumento” o qualcosa di estraneo a lui,
ma è essenzialmente lo stesso studente autore di ciò che produce.
GIOVANNI 1,14
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria
come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. (CEI)
Felice si domanda: «Chi è che si fece carne e venne nel mondo? Dio, direbbero i trinitari»242
239 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 165 240 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 231241 Alfred Wikenhauser, L’EVANGELO SECONDO GIOVANNI, Morcelliana, Brescia 1968, 61-62 242 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 232
90
Ad essere precisi, un trinitario ben informato non direbbe “Dio si è fatto carne”, ma piuttosto, come
ricorda Giovanni, “il Verbo si è fatto carne”: κaˆ Ð lÒgoj s¦rx ™gšneto (kai o lògos sarx
eghèneto). Certamente di conseguenza sapendo che il Verbo è Dio come il Padre, non è
teologicamente errato dire “Dio si è fatto carne”;243 è comunque un’espressione che va spiegata.
Riguardo poi alla “gloria come di unigenito” a cui accenna Felice, si è già detto, ma ancora una
volta è bene ribadire la contraffazione della citazione del Nolli. Felice scrive testualmente
«Nella prima parte di questo versetto abbiamo il termine greco “æj”, il quale ha valore comparativo
o di paragone. In parole povere, “ æj …indica una semplice somiglianza …”. (Evangelo secondo
Giovanni, a cura di G.Nolli (1986) Libreria Editrice Vaticana)»244
Andando a controllare, si nota che il Nolli, invece, dice proprio tutto il contrario; come sempre la
citazione completa con la parte omessa in rosso
«ώς forma avverb del pron rel… che perciò mette in relazione, con varie sfumature, ciò che segue a
ciò che precede: indica una semplice somiglianza, spesso soltanto tale per giudizio soggettivo come;
ha anche valore di congiunz subordin temporale non appena, quando. Qui non indica paragone (non
è comparativo ), ma diventa modo per affermare che la persona possiede in alto grado la qualità di
cui si tratta (ώς confermativo): quale primogenito, nella sua qualità di»245
Dalla citazione completa emerge limpido il pensiero del Nolli: «æj qui non indica paragone (non è
comparativo), ma diventa modo per affermare che la persona possiede in alto grado la qualità di cui
si tratta (ώς confermativo): quale primogenito, nella sua qualità di».
In parole povere non indica per niente una semplice somiglianza! Mi spiace dirlo, ma sono sempre
più convinto che Felice non agisca in buona fede e sia profondamente scorretto nei confronti dei
suoi lettori ignari di venire imbrogliati.
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»246
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
243 Di questo studio si vedano ad esempio i vari riferimenti ai Padri apostolici e agli Apologisti. 244 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 232245 Nolli, Evangelo secondo Giovanni…, 13246 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155
91
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»247 (il grassetto è mio)
Anche la traduzione NM e simili non rendono il senso del testo greco perché trasformano
l’affermazione in paragone: il rapporto che intercorre tra la Parola e il Padre è paragonato a quella
tra un figlio unigenito e suo padre; ma quale gloria tale o speciale potrebbe mai avere un normale
figlio da parte di suo padre?
«Non “come”, ma “davvero”. L’uso di æj come particella comparativa è frequente con sfumature
diverse… Ma altrettanto certissimo è un altro uso, anche presso i classici, di æj: “introduce la
caratteristica qualità di una persona, cosa, azione, cui si fa riferimento nel contesto” (Bauer-Arndt,
Lexicon)…Tale uso si ha anche in ebraico con il ke “come”, in tal caso dai grammatici definito “ke
veritatis” ( “il come della realtà” ): “Diedi il governo a … perché (così giustamente, CEI; ebr. ke “in
quanto”) uomo fedele…” (Ne. 7,2); ecc. In casi simili l’italiano come è certo non pertinente, perché
suggerisce solo una somiglianza, mentre si tratta di realtà»248
«L’affermazione giovannea che il Logos si è fatto carne contiene l’idea portante di tutta la
cristologia e ad essa si farà continuamente appello per la fede in Gesù realmente Dio e realmente
uomo (cf 1Gv 4,2-3)»249
Sentiamo ancora Boismard ampiamente citato da Felice:
«Per Giovanni il Logos è Dio. Di conseguenza, se parte del termine attraverso il quale Filone
designa il Logos, “Primo-Generato” (protogènes), lo tasforma in “Unigenito” (monogènes),
espressione che introdurrà ai versetti 14 e 18 del prologo (si veda anche 3,16.18 e 1Giovanni 4,9) e
che evita tutto il riferimento al resto della creazione… Il logos di Dio si è incarnato in Gesù.
Dunque Gesù può identificarsi a Dio. Il ritmo del prologo del vangelo si ritrova in questa
affermazione che Giovanni IIb mette sulle labbra del Cristo: “Sono uscito dal Padre e sono venuto
nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre” (Giovanni 16,28). Quand’egli ci parla, lo
fa in quanto Logos di Dio incarnato: “Io dico quello che ho visto presso il Padre” (8,38; anche 1,
18). La personalità di Gesù-uomo si nasconde dietro quella di Gesù-Logos di Dio.
247 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11248 Gino Bressan F.D.P., FRAGMENTA NE PEREANT, minuzie di filologia biblica (a cura dell’Istituto Teologico “Don Orione” – Roma, Roma 1995, 39-40 249 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 153
92
Ma poiché questa parola è Dio (1,1), anche Gesù è Dio, poiché egli si identifica in qualche modo al
Logos di Dio (1,14). Vedendolo risorto, Tommaso potrà esclamare: “Mio Signore e mio Dio”. E,
alla fine della sua prima lettera (dello stesso autore di Giovanni IIb), Giovanni potrà scrivere. “Noi
siamo nel Dio vero e nel suo figlio Gesù Cristo; egli è il vero Dio e la vita eterna”.»250
La conclusione a cui arriva Felice «Si, il Verbo, l’unigenito Figlio di Dio si è fatto carne, non
Dio»,251 è dunque erronea perché incompleta e va precisata così: «Si, chi si è fatto carne non è Dio
Padre, ne lo Spirito Santo, ma il Verbo, l’Unigenito Figlio di Dio». Ma siccome abbiamo visto che
il Verbo è Dio come il Padre, si può benissimo dire, come ricordavo all’inizio, che Dio ha “assunto
carne umana”.
GIOVANNI 1,18
Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha
rivelato. (CEI)
Ultimo del prologo giovanneo, il v. 18, di densa portata teologica, riprende a parlare di Gesù come
monogen¾j qeÕj, unico, ultimo e totale rivelatore del Padre. Felice invece sposta la sua
attenzione sull’espressione “che è nel seno” (Ð ín e„j tÕn kÒlpon) di secondaria importanza a
cui arriveremo solo in seguito.
La tradizione manoscritta di questo versetto presenta tre principali letture considerate dagli studiosi
1) [Ð] monogen¾j qeÕj l’unigenito Dio252 (con o senza articolo) è la lettura originale,
criticamente più valida e certa perché ha minori probabilità di essere stata manipolata. Offerta dai
codici migliori, compresi i papiri Bodmer (P66 e P75), attestata da Ireneo, Clemente Alessandrino e
Origene, non tradisce intenti polemici e, come si accennava, per la sua elevatezza teologica è di
conseguenza in armonia con il contesto.
2) Ð monogen¾j υίόj il Figlio unigenito che è la lettura della Volgata, (qui anche della CEI)
essendo molto più chiara e naturale, stabilendo un parallelo con l’espressione “nel seno del Padre” e
ricorrendo in altri testi giovannei, sembra essere una lettura derivata.
250 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 112-113251 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 232252 E’ la lettura critica appoggiata anche dalla NM; la traduzione di ‘dio’ in minuscolo, quantunque teologicamente non cambi il senso, è comunque segno di inferiorità divina del logos rispetto al Padre, tipico dell’impostazione filosofica medio-platonica aggiornata e riveduta poi dalla cristologia geovista. (Vedi per es. Paolo Gamberini, Questo Gesù. Pensare la singolarità di Gesù Cristo, tesi XII, EDB 2007, 167
93
3) monogen¾j Unigenito, lettura poco seguita che ritiene appunto il semplice sostantivo,
conforme alla designazione del Logos che si ha al v. 14. La completa mancanza di attestazione in
copie greche del vangelo la rende molto incerta.253
Come all’inizio, così anche alla fine, Giovanni indica la natura divina dell’Unigenito, il quale è
dunque l’unico a poter vedere Dio in maniera totale.
Appunto perché Giovanni dice che Gesù è nel seno del Padre e non di Dio, conferma la
caratteristica della fede cristiana come ricorda Boismard, citato a sproposito da Felice; eccola di
seguito
«Sì, Gesù “si trovava <<nel seno del Padre>> (e non nel seno di Dio)”. (All’Alba del Cristianesimo
– Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 155)»254
Ecco invece la citazione completa del Boismard che sostiene proprio tutto l’opposto di ciò che vuol
far intendere Felice
«Secondo l’inno primitivo, che riprendeva le speculazioni di Filone d’Alessandria, il Logos era
stato creato da Dio e, dunque, non era Dio. Ma Giovanni IIb corregge questa idea aggiungendo la
frase del versetto 1c. “E il Logos era Dio”. Peraltro, secondo Filone, il Logos, creato da Dio ma per
mezzo del quale tutto è stato creato, aveva il titolo di “primo generato” (protogenès). Era il primo
nell’ordine delle creature. Giovanni IIb non può riprendere questo titolo, perciò lo cambia con
“Unigenito” (monogenès), il quale evita ogni riferimento al resto della creazione. In seguito nella
finale, Giovanni IIb ci dice che questo “Unigenito” si trovava “nel seno del Padre” (e non nel seno
di Dio). Abbiamo già tutti gli elementi che permetteranno di formulare i primi due articoli della
fede trinitaria: non v’è che un solo Dio, ma in questo Dio occorre distinguere il Padre e il Logos da
lui generato. In seguito sarebbe stato sufficiente fare dello Spirito una persona distinta da Dio (non
era così nell’Antico Testamento) per ottenere la Trinità»255
Anche per quanto riguarda l’affermazione “che è nel seno del Padre”, al di la delle diverse
sfumature interpretative, sostanzialmente si può riassumere così
«Nel seno del Padre: l’espressione metaforica non indica contenenza, bensì intimità; Dio unigenito
(cioè l’Unigenito che è Dio) penetra tutta l’intimità del Padre e ne conosce pienamente il mistero…;
egli infatti è presente nel Padre ab aeterno (“che è”: designa una presenza permanente)»256
253 Cfr. IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 157-158; Vedi anche Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia…, 174-175 254 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 233255 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 155256 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 4…, 894
94
In conclusione, il punto centrale ancora una volta appositamente evitato da Felice, non è
l’espressione “nel seno del Padre”, ma la persona di Gesù, indicato da Giovanni come il “Dio Figlio
unico” del Padre.
GIOVANNI 17,3
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.
(CEI)
Il modo con cui Felice affronta il versetto in questione, ci offre la possibilità di fare emergere in
tutta la sua limpidezza la solita tattica geovista: far credere al malcapitato lettore il contrario di
quanto effettivamente la fonte o le fonti citate (come in questo caso) dicono. Vediamo subito cosa
scrive Felice
«Questa è una chiara affermazione della differenza esistente tra Dio e Gesù… E’ chiaro che dato
che Dio ha mandato Gesù, egli non può essere lo stesso Dio che manda il Figlio»257
Certamente che è chiaro! Riconoscere Gesù come Dio non significa identificarlo con la stessa
persona del Padre: si ricorda che non si tratta di medesime persone ma di comune natura.
Continua Felice:
«In pratica, questo passo, mostra “che, mentre Gesù era associato a Dio ed era chiamato Signore o
mediatore, c’era una forte tendenza a riservare il titolo ‘Dio’ al Padre, che è l’unico vero Dio”.
(Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Raymond Brown, Editrice Queriniana; pag.
172)»258
Qui Felice cita lo studio di Brown che ricorda come generalmente si riservi nel NT il titolo di ‘Dio’
al Padre; ma riservando il titolo ‘Dio’ al Padre, Brown non dice che si esclude Gesù dalla divinità.
Infatti è solo andando a controllare la citazione per intero con le parti omesse in rosso che si capisce
il vero pensiero di Brown
«Questi passi associano strettamente Gesù, il Signore, a Dio, il Padre (e talvolta anche allo Spirito);
perciò sono molto utili nella discussione dell’atteggiamento del NT nei confronti della divinità di
Gesù, nonché delle radici neotestamentarie della successiva dottrina della Trinità. Comunque, per i
nostri scopi, essi mostrano che, mentre Gesù era associato a Dio ed era chiamato Signore o
mediatore, c’era una forte tendenza a riservare il titolo ‘Dio’ al Padre, che è l’unico vero Dio”.»259
257 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 408-409258 Idem, 409259 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia…, 172
95
Subito dopo Felice continua citando il Boismard
«”In sintonia con il più rigido monoteismo giudaico, Gesù riconosce che non c’è che un solo vero
Dio; quanto a lui, non è che il suo inviato…Giovanni 17,3 rifiutava l’attribuzione a Cristo del titolo
di <<Dio>>…Il <<vero Dio>> è unico, e Gesù non è che il suo inviato”. (All’Alba del
Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME;
pagg. 80, 101, 102)»260
Anche in questo caso se andiamo a controllare la citazione del Boismard a pag. 80 – la prima che
Felice cita – notiamo che è inserita nel capitolo 4 riguardante la DIVINITÀ DI CRISTO, dove lo
studioso domenicano presenta così la questione appositamente tralasciata da Felice: ci sono nella
Chiesa primitiva due correnti contrapposte, una che ritiene Cristo ‘Dio’ e l’altra semplicemente un
uomo. La prima prende conferma dalla fine della prima lettera di Giovanni: «E noi siamo nel vero
Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna» (1Giovanni 5,20), e l’altra
appunto dal nostro testo Gv 17,3: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e
colui che hai mandato, Gesù Cristo».
Da qui la citazione incompleta di Felice che sopra abbiamo scritto. Boismard conclude dunque
dicendo
«Secondo una, Gesù è Dio. Secondo l’altra, Gesù non è che un uomo. Questa constatazione invita a
domandarci se il Cristo fu ritenuto Dio fin dagli albori del cristianesimo, o se questa convinzione
non fosse il risultato di una riflessione cristologica di cui sarebbe possibile ricostruire le singole
tappe»261
Boismard è dell’idea che ci fu un continuo sviluppo in questo senso fino al successivo e pieno
riconoscimento della divinità di Cristo.
Andando poi nella seconda e terza parte della citazione di Felice vista sopra, quella delle pagg. 101-
102, vediamo cosa Boismard dice. Riporto la citazione integrale con le parti omesse da Felice in
rosso
«La tradizione giovannea ha sempre creduto nella divinità di Cristo? Possiamo dubitarne per le
seguenti ragioni. Più sopra (pp. 80-82) abbiamo visto che il testo di Giovanni 17,3 rifiutava
l’attribuzione a Cristo del titolo di “Dio”: “La vita eterna è conoscere te, unico vero Dio, e colui che
hai inviato, Gesù Cristo”. Il “vero Dio” è unico, e Gesù non è che il suo inviato. Questo versetto fu
inserito successivamente nella preghiera che Gesù pronuncia in 17, 1-24, e dà l’idea di una lotta di
retroguardia dello schieramento giudeo-cristiano, secondo il quale affermare che Gesù fosse Dio
260 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 409261 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 81
96
contraddiceva il fondamentale monoteismo della fede giudaica. Affermare che Gesù era Dio
equivaleva, si pensava, a cadere nel politeismo.[262] Non ci sarebbe più un solo Dio, ma due Dèi.
Probabilmente è per protestare contro questo sviluppo cristologico che alcuni membri del circolo
giovanneo si sono separati. Questo scisma è attestato da 1Giovanni 2,18-23; citiamo integralmente
il testo:
18 Figlioli, questa è l'ultima ora. Come avete udito che deve venire l'anticristo, di fatto ora molti anticristi
sono apparsi. Da questo conosciamo che è l'ultima ora.
19 Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi;
ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri.
20 Ora voi avete l'unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza.
21 Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna
viene dalla verità.
22 Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il
Figlio.
23 Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede
anche il Padre.
Coloro che si sono separati negano che Gesù sia il Cristo; negano anche “il Padre e il Figlio”.
Questa duplice negazione è esplicita un po’ più lontano, in 5,5: “E chi è che vince il mondo se non
chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” Evidentemente quest’ultima espressione va necessariamente
compresa in senso trascendente. Dunque coloro che hanno lasciato il circolo giovanneo rifiutano di
credere nella divinità di Cristo. Facciamo particolare attenzione a due espressioni presenti nel testo
appena citato. I veri discepoli conoscono la verità (v. 21) perché hanno ricevuto “l’unzione che
viene dal Santo” (v. 20, si veda anche v. 27), cioè che viene dallo Spirito Santo 18. (Come nota correntemente la
BG su 1Giovanni 2,20) Si comprende, allora, il modo in cui bisogna interpretare la frase che Giovanni
attribuisce a cristo in Giovanni 16,12-13. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento no
siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità
tutta intera”. Lo stesso Gesù non ha potuto rivelare ai suoi discepoli che era Dio, essi non avrebbero
potuto comprenderlo. Ma lo Spirito di verità gliel’ha fatto capire più tardi. Lo sviluppo cristologico
elaborato dal circolo giovanneo non viene dagli uomini, ma dallo Spirito di verità. Dunque alcuni
membri di questo circolo hanno avuto torto nel separarsi. Sono degli anticristi che rifiutano la verità
insegnata dallo Spirito»263
262 E’ proprio quello che ancora oggi pensano i TdG.263 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 101-103
97
Credo che la fatica imposta al lettore nel seguire tutta la citazione abbia comunque fatto emergere il
vero pensiero contestualizzato del Boismard diametralmente opposto a ciò che Felice vorrebbe far
credere.
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»264
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»265 (il grassetto è mio)
GIOVANNI 20,17
Gesù le disse: <<Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei
fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Di mio e Dio vostro>>. (CEI)
Sono le parole rivolte da Gesù dopo la sua resurrezione a Maria Maddalena che presa dallo stupore
si era buttata ai piedi di Gesù. Felice si chiede
«Gesù riconosce Dio essere il suo Dio e Padre. Come può essere Dio uno che ha un Dio sopra di
lui? Gesù disse inoltre “và dai miei fratelli”. Dio non ha fratelli, ma figli.»266
Venendo meno l’ABC della teologia cristiana (i concetti di natura e persona, vera umanità - vera
divinità) sono facili queste considerazioni, anche se è vero che questo passo è inserito nel
particolare contesto della teologia giovannea.
Gesù non dice “Padre nostro né Dio nostro” perché quantunque il Padre di Cristo e dei cristiani sia
unico e identico, la relazione differisce in quanto il cristiano acquista la sua figliolanza attraverso
l’unico Figlio che la possiede per diritto, essendo l’Unigenito Figlio. Come vero uomo, dunque,
264 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155265 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11266 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 411
98
Gesù può dire mio Dio e non ‘nostro Dio’, così come Figlio Unigenito può dire Padre mio e non
‘Padre nostro’
Siccome si tratta di Gesù che è il Figlio, ‘fratelli’ si riferisce ai discepoli. Vedi Mt 28,10; Mc 16,7.
«Si è voluto vedere in questo messaggio una distinzione tra la filiazione divina di Gesù, il Figlio
unico, e la filiazione dei fedeli. Né Giovanni, né altri nel Nuovo Testamento mettono in dubbio la
differenza tra la filiazione di Gesù per natura e la nostra filiazione per grazia (1,13). Non è questo il
contenuto essenziale del messaggio affidato a Maria di Magdala. Il suo scopo non è di far sapere ai
discepoli che essi sono figli adottivi, ma di rivelare loro che sono ormai divenuti veramente figli,
che il Padre di Gesù è divenuto veramente loro Padre… Ecco perché il nome di “fratelli” è dato loro
soltanto ora; ora essi sono, con lui, figli del Padre e vivono della vita divina, di cui Gesù è divenuto
la prima sorgente (14,19)»267
Un altro studioso dice
«Respingo l’opinione che in questo passo Gesù stia facendo un’accurata (e teologica) distinzione tra
la sua relazione al Padre e la relazione dei suoi discepoli al Padre, cioè tra la sua naturale filiazione
e la loro più larga filiazione/adozione, ottenuta mediante il battesimo. Questo passo va interpretato
sullo sfondo della teologia giovannea: l’ascensione, di cui Gesù sta parlando in 20,17, condurrà a
quel dono dello Spirito (20,22; anche 7,38-39) che rigenerà i suoi discepoli dall’alto (3,3) e li
renderà figli di Dio (1,12). Così il Padre di Gesù diverrà il Padre dei discepoli ed essi diverranno
fratelli (e sorelle) di Gesù»268
Felice cita il Boismard, che, in questo passo, fa notare le sue perplessità circa il valore assoluto del
titolo ‘Figlio di Dio’ attribuito a Gesù
«Giustamente Boismard domanda: “Come ci si può fondare su questo testo per sostenere che Gesù
avrebbe dato al titolo <<Figlio di Dio>> <<il valore più alto di una filiazione propriamente detta>>,
visto che, in questo stesso vangelo, Cristo afferma il contrario?” (All’Alba del Cristianesimo –
Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 84)»269
Al lettore il dubbio ingenerato dalla citazione rimane, anzi non trova soluzioni plausibili; ma solo
controllando cosa effettivamente dice il padre domenicano si imbocca chiara l’uscita. Poco dopo
infatti lo studioso risponde così
«Il vangelo di Giovanni si attiene, dunque, alla tradizione biblica, secondo la quale questo titolo, lo
stesso rivendicato da Cristo, non implica un significato trascendente. Ma poiché Giovanni crede che
267 Henri van den Bussche, GIOVANNI…, 640268 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia…, 171 269 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 411
99
Gesù sia Dio, preferisce chiamarlo l’ “Unigenito” (Giovanni 1,14.18; 3,16-18); si veda anche
1Giovanni 4,9), titolo che non può essere rivendicato da un uomo che sia solo tale»270
Perché Felice lascia allo scuro di queste informazioni i suoi lettori?
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»271
ROMANI 9,5
de’ quali sono i padri, e de’ quali è uscito, secondo la carne, il Cristo, il quale è sopra tutti Iddio
benedetto in eterno. Amen. (DI)
Affrontata già ampiamente la questione di Rm 9,5 nel precedente studio, si aggiunge solo un
commento alla citazione del padre Boismard ad opera di Felice; la riporto integralmente per
confrontarla poi con la fonte originale
«Se si vuole riferire la dossologia a Cristo, ci si scontra con dei problemi insormontabili che sono
stati notati ormai da molto tempo. Altrove, Paolo attribuisce sempre a Dio le dossologie, e non a
Cristo (Romani 1,15; 11,36; 2Corinzi 11,31; Galati 1,5, Efesini 3,21, Filippesi 4,20; vedi anche
1Timoteo 1,17)… la formula “benedetto (sia)” non si riferisce ad altri che a Dio (2Corinzi 1,3;
11,31; Efesini 1,3; si veda anche 1Pietro 1,3)… Poiché Dio è il Dio di Cristo, il Cristo non può
essere conosciuto come Dio…E perché questa fraseologia complicata, così inusuale nel suo modo
di scrivere? Gli sarebbe bastato scrivere: “il quale è benedetto […] in eterno”, come in 1Corinzi
11,31, senza aggiungere il titolo di “Dio”, poiché il solo fatto di riferire a Cristo la dossologia
classica era sufficiente a caratterizzarlo come Dio…Non solo Paolo non dice mai che Cristo è Dio,
ma suppone anche che egli non sia Dio”. (All’Alba del cristianesimo – prima della nascita dei
dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 132)»272
Ecco la citazione ampliata così come si legge nel libro del Boismard
«La dossologia di Romani 9,5 è uno dei testi più controversi del Nuovo Testamento, dato il suo
impatto cristologico: riguarda Cristo, la cui divinità sarebbe implicitamente affermata, o Dio? Sono
state sostenute entrambe le opinioni, con predominanza della prima… Se si vuole riferire la
dossologia a Cristo, ci si scontra con dei problemi insormontabili che sono stati notati ormai da
molto tempo. Altrove, Paolo attribuisce sempre a Dio le dossologie, e non a Cristo (Romani 1,15;
270 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 85271 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155272 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 278
100
11,36; 2Corinzi 11,31; Galati 1,5, Efesini 3,21, Filippesi 4,20; vedi anche 1Timoteo 1,17)… La
formula “benedetto (sia)” non si riferisce ad altri che a Dio (2Corinzi 1,3; 11,31; Efesini 1,3; si veda
anche 1Pietro 1,3)… Poiché Dio è il Dio di Cristo, il Cristo non può essere conosciuto come Dio.
Perché Paolo avrebbe ripreso questa formula stereotipata per applicarla a Cristo, se voleva
attribuirgli il titolo di Dio? E perché questa fraseologia complicata, così inusuale nel suo modo di
scrivere? Gli sarebbe bastato scrivere: “il quale è benedetto […] in eterno”, come in 1Corinzi 11,31,
senza aggiungere il titolo di “Dio”, poiché il solo fatto di riferire a Cristo la dossologia classica era
sufficiente a caratterizzarlo come Dio. Infine, ed è l’obiezione più solida, nell’epoca in cui scriveva
la sua lettera ai Romani, Paolo poteva credere che Cristo fosse Dio? Se la nostra analisi precedente
è stata seguita si converrà che ciò è impossibile. Non solo Paolo non dice mai che Cristo è Dio, ma
suppone anche che egli non sia Dio… E’ verosimile che all’inizio delle sue argomentazioni Paolo
dica loro che Cristo è Dio? I Giudei avrebbero considerato questa frase come un’intollerabile
bestemmia.
Allora bisogna accostare la dossologia a Dio? Ma in tutte le altri parti le dossologie si riferiscono a
colui che è nominato nel contesto immediatamente precedente, in questo caso, perciò, a Cristo.
D’altra parte non si vede come costruire la frase in modo logico. La maniera più semplice sarebbe
quella di mettere un punto dopo “il quale è al di sopra di tutto” e fare della dossologia propriamente
detta una frase indipendente. “Dio (sia) benedetto in eterno”. Ma in tutte le altre parti, nell’Antico
Testamento, nel Nuovo, come negli scritti semitici, il soggetto è posto sempre dopo l’aggettivo
verbale e deve essere preceduto dall’articolo… E se, invece, mettessimo un punto dopo “secondo la
carne”? La dossologia diventerebbe molto più complessa e ci si scontrerebbe con le stesse obiezioni
elencate nel caso precedente. La sola soluzione che ci sembra possibile è quella di ammettere che
questa dossologia non sia paolina, ma fu aggiunta da un discepolo di Paolo al momento
dell’edizione della lettera»273
E’ palese la differenza tra le due citazioni: mentre la prima – quella di Felice – è creata ad arte per
giustificare l’unidirezionalità di una determinata tesi (il titolo ‘Dio’ può essere attribuito solo a Dio)
avvallata per di più dallo studioso citato, l’altra è di più ampio respiro, presenta la panoramica
generale della questione e soprattutto delucida il vero pensiero dello studioso citato:
1) la tesi di fondo del Boismard non verte sulla dimostrazione se Cristo sia Dio o no – come invece
vorrebbe far credere Felice – (che sia vero uomo e vero Dio per la fede cristiana e per Boismard è
scontato)
2) il titolo ‘Dio’ si può comunque applicare sia a Cristo che a Dio Padre, ma con una predominanza
per Cristo
273 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 131-133
101
3) nell’epoca in cui scriveva la sua lettera ai Romani era inverosimile che Paolo potesse applicare a
Cristo il titolo di Dio
3) considerata la particolare euloghia (benedizione) che ci si presenta, non corrispondente in toto
alle classiche regole della benedizioni, si ritiene possibile che sia stata aggiunta da un discepolo
poco prima dell’edizione della lettera.
Vediamo un altro passaggio dove Felice cita Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento di
Raymond E. Brown:
«Alcuni studiosi affermano che in questo passo Paolo identifica Gesù come Dio, ma, “l’obiezione
più forte a quest’interpretazione è che mai altrove Paolo parla di Gesù come Dio”. (Introduzione
alla Cristologia del Nuovo Testamento, Raymond E. Brown. Editrice Queriniana. Pag. 179.)»274
Come già accennato, questa citazione si trova nella terza apendice dell’Introduzione alla
Cristologia…, dove l’autore analizza alcuni passi che con più o meno sicurezza attribuiscono il
titolo di ‘Dio’ a Gesù, tra i quali figura quello di Rm 9,5. Poco prima della sua striminzita citazione,
Felice omette di riportare ciò che Brown dice testualmente (come al solito le parti omesse sono in
rosso):
«(b) Un punto fermo può essere messo alla fine, dopo “per sempre” e una virgola dopo “carne”.
Tutte le parole dopo “carne” quindi costituiscono una preposizione relativa, riferita a “Cristo”, così:
“… il Cristo secondo la carne, il quale è sopra ogni cosa Dio benedetto per sempre”. Questa
interpretazione significherebbe che Paolo chiama Gesù ‘Dio’. Da un punto di vista grammaticale
questa è la migliore lettura. Anche la sequenza contestuale è eccellente; infatti, dopo aver parlato
della discesa di Gesù secondo la carne, Paolo ora enfatizza la sua posizione come Dio. L’obiezione
più forte a quest’interpretazione è che mai altrove Paolo parla di Gesù come Dio 263…
Personalmente sono incline, per la prova grammaticale, a favorire l’interpretazione (b), secondo la
quale il titolo ‘Dio’ è dato a Gesù. Non si può però rivendicarne più che la plausibilità»275
(sottolineature mie)
La citazione completa inoltre rimanda, come si vede, alla nota 263 che dice:
«In ogni caso dovremmo notare che un argomento basato sull’uso o sul non uso paolino del titolo
“Dio” per Gesù è cosa diversa dalla pretesa che Paolo fosse così imbevuto di monoteismo giudaico
da non aver potuto pensare a Gesù come a Dio. Una tale pretesa suppone che Paolo non avrebbe
potuto trovare il modo di conciliare due verità. Anche se usa una terminologia diversa, non c’è
274 La Traduzione del Nuovo Mondo…, 394275 Raymond E.Brown, Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1995, 179
102
dubbio che Paolo credesse alla divinità di Gesù (in categorie di preesistenza): Fil 2,5-6; 2Cor
8,9»276
Sostanzialmente le strade dei due studiosi citati si incrociano. Dalla citazione, infatti, emerge
chiaramente che l’obiezione più forte di cui parla Brown (cioè che Paolo altrove non parli mai di
Gesù come Dio), è data appunto dal fatto che nel NT il titolo di Dio è riservato quasi
esclusivamente al Padre, e non che Paolo ritenga Gesù solo un semplice uomo negando la sua
divinità: questo è fuori discussione.
2CORINZI 13,13
La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con
tutti voi. Amen. (ND)
Non mi soffermo su questo versetto già precedentemente affrontato, se non per riprendere la
citazione di Felice su Boismard
«Ad ogni modo, “i modelli ternari non possono essere considerati come un segno che Paolo
credesse nel mistero della Trinità…notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse
<persone>> varia secondo il testo e non corrisponde a quello della Trinità. Se Paolo pensava a una
formula trinitaria, perché non ha rispettato quest’ordine, almeno in 2 Corinti 13,13?”. (All’Alba del
Cristianesimo – prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME;
pagg. 149,150)»277
Ci troviamo nella sezione dove Boismard accenna ai modelli ternari in Paolo, precisamente da pag.
147 ss. A pag. 149 incontriamo la citazione di Felice che come si vede dai famosi puntini di
sospensione è interrotta. Segno evidente che una parte della citazione è stata tralasciata.
Confrontiamola ora con la citazione completa con le parti mancanti in rosso
«Presenteremo fra un istante il perché i modelli ternari non possono essere considerati come un
segno che Paolo credesse nel mistero della Trinità, così come lo concepiamo oggi: un solo Dio in
tre persone… Innanzitutto notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse <persone>>
varia secondo il testo e non corrisponde a quello della Trinità. Se Paolo pensava a una formula
trinitaria, perché non ha rispettato quest’ordine, almeno in 2 Corinti 13,13?»278
276 Idem, 179277 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 285 278 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 149-150
103
Come si nota proprio la riga tralasciata stravolge completamente ciò che voleva trasmettere Felice
al lettore e fa chiarezza sul pensiero di Boismard: Paolo, dice lo studioso, non poteva credere al
mistero della Trinità così come lo concepiamo noi oggi, cioè un solo Dio in tre persone: è chiaro,
quella formulazione si coniò solo più tardi dopo lunga riflessione biblico-teologica utilizzando
categorie di pensiero e termini che non sono strettamente semitici ma di influsso greco che Paolo
chiaramente non conosceva né poteva capire in quel senso.
La stessa citazione infatti continua dicendo
«Ma occorre spingersi oltre. In queste formule [formule ternarie] Paolo non menziona <<il
Padre>>, ma <<Dio>>. Bisogna concluderne che esse escludono tutti i riferimenti al mistero
trinitario. Secondo questo mistero le tre Persone <<Padre>>, <<Figlio>> e <<Spirito>> sono
concepite nello stesso seno di Dio; esse non sono distinte da Dio. Nei modelli ternari, invece, il
Signore (o il Cristo) e lo Spirito, sono distinti da Dio; sono, per così dire, giustapposti all’unico Dio,
non fanno parte di Dio… Se ne può concludere che, nei modelli ternari citati sopra, il Signore non è
considerato come Dio, e ciò esclude tutte le allusioni al mistero della Trinità così come sarà
formulato più tardi»279
Boismard ribadisce come ci sia stato nel tempo un continuo sviluppo della comprensione della fede
che, partendo anche (ma non solo) da questi riferimenti ternari ha portato più tardi alla formulazione
del mistero della Trinità; di questo, scorrettamente, neanche un minimo accenno da parte di Felice
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»280
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»281 (il grassetto è mio)
279 Idem, 150-151280 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155281 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11
104
MARCO 1,11
E venne una voce dal cielo, dicendo: Tu sei il mio diletto Figliuolo, nel quale io ho preso il mio
compiacimento. (DI)
In riferimento al battesimo di Gesù nel fiume Giordano, questo passo non viene commentato da
Felice se non indirettamente, con un lapidario “Vedi Matteo 3:16, 17” che naturalmente vado a
controllare qualche pagina dietro. Si legge testualmente
«Una voce dal cielo, quella di Dio, dice che quest’uomo è suo Figlio, ed Egli lo ha approvato. Cosa
pensarono gli ascoltatori? Sicuramente non pensarono che Gesù fosse Dio. Poteva Dio compiacersi
di sé stesso?»282
Certamente non pensarono che Gesù fosse Dio ma, se non altro, il Figlio; e questo non perché Dio
non possa compiacere se stesso; il testo infatti dice chiaramente che Dio, il Padre, compiace proprio
sè stesso nel Figlio prediletto Gesù: così la voce dal cielo, avvertita da ascoltatori evidentemente
molto più attenti di Felice.
Comunque sia, andiamo piuttosto a sentire cosa dice il citatissimo Boismard (questa volta non
interpellato) riguardo a questo passo; riporto la citazione nelle sue parti fondamentali
«Secondo Marco 1,10-11, appena fu battezzato da Giovanni nel Giordano, Gesù riemerse
dall’acqua e in quel momento: <<vide aprirsi i cieli e o Spirito discendere su di lui come una
colomba. E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono
compiaciuto”>>. Abbiamo qui il “modello ternario” che più di ogni altro si accosta alla
formulazione trinitaria, poiché contiene, implicitamente, la menzione del Padre, esplicitamente
quella del Figlio e dello Spirito. Ma è ancora assente il mistero della Trinità come sarà definito più
tardi… E’ un primo passo verso il mistero trinitario ma non è ancora la Trinità… Verosimilmente il
mistero della Trinità è stato elaborato a partire dalla narrazione del battesimo di Cristo. Ma non si
potrà precisare fin quando non si sarà compreso che Gesù era “Figlio di Dio”, non solo in senso di
un’adozione divina, ma in quello di una filiazione naturale. Ciò non si è potuto fare che alla fine del
primo secolo, come abbiamo visto nel precedente capitolo sulla divinità di Cristo»283 (sottolineature
mie)
Ogni ulteriore commento credo si possa ritenere certamente superfluo.
MARCO 10,18
282 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 351283 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 153-154
105
Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, Dio. (TMN)
Anche di questo passo emerge la solita tendenziosità da parte di Felice sia nel modo di citare lo
studioso domenicano, che di affrontare in generale la questione. Inserito in una sezione dal titolo IL
VANGELO DI MARCO è commentato con altri due testi: 9,22-23 (la guarigione di un bambino
epilettico) e 13,32 (l’ora della fine del mondo).
Ecco cosa scrive Felice
«Boismard giunge alla conclusione che “Spiegando la risposta di Gesù si ottiene: Dio solo è buono
e, poiché non c’è che un solo Dio, io non sono Dio perciò tu non hai ragione di chiamarmi
<<buono>>”. (All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard
(2000) Edizioni PIEMME; pag. 90)»284
L’ultima parola della citazione <<buono>>, rimanda nel libro di Boismard alla nota 7 (evitata da
Felice) che dice:
«Dunque, ciò che Gesù vuol dire in Marco 10,18 è: avete torto se voi pensate che io sia
(essenzialmente) buono, perché io sono un uomo come voi, e nessun uomo è (essenzialmente)
buono. Dio solo è (essenzialmente) buono»285
Gesù, o meglio l’evangelista Marco mette in bocca a Gesù una puntualizzazione: la bontà per
essenza è solo Dio; l’uomo, come in questo caso Gesù, è buono solo per partecipazione.286 Lo
stesso quando si dice che Dio è amore, è da intendersi “Dio è amore per essenza”. In Dio tutto è
essenza. Poi continua esaminando gli altri due casi sopra accennati e conclude così
«Cosa concludere da questi testi? Quando Marco li scriveva non poteva avere in mente una dualità
di personalità in Gesù: l’una divina e l‘altra umana. O Gesù era Dio apparso in forma umana, o non
era che un uomo. Poiché Marco fa parlare Gesù come parlerebbe un uomo, significa che lo
considera come un uomo, e non come Dio 9 . »287
La nota in calce 9 della stessa citazione dice: «I teologi spiegano che in questi testi Gesù parla in
quanto uomo e non in quanto Dio. Questa distinzione sarebbe valida per gli ultimi due testi, ma non
per il primo: Gesù nega di essere Dio»
284 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 371285 Marie-Emile Boismard, All’Alba del cristianesimo…, 90286 Uno dei casi diametralmente opposti a questo nei confronti di Gesù è Col 2,9, dove si dice che “in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità-deità”; qui Cristo non partecipa solamente della divinità di Dio Padre, ma è come presente stabilmente in lui tutta l’essenza di Dio, la deità piena. Per questo la NM non può che tradurre “in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina”; ma una certa qualità divina è possibile attribuirla per partecipazione anche all’essere umano. 287 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 91
106
L’evangelista Marco stà dicendo di considerare Gesù come uomo, ma non stà negando che sia Dio.
RIVELAZIONE 1,4-6
Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che
viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, 5 e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il
primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri
peccati con il suo sangue, 6 che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui
la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. (CEI)
«Qui si parla di due personaggi, Dio e Gesù Cristo, e Giovanni li distingue chiaramente. Dio è
“Colui che è, che era e che viene”, infatti, la Bibbia applica solo a lui queste parole, mentre Gesù è
“il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.»288
Così scrive Felice all’inizio del commento a questo versetto. Non ritorniamo sui titoli che
nell’Apocalisse vengono riferiti sia a Dio Padre che a Gesù (e qui Felice si sbaglia): ne abbiamo già
abbondantemente parlato, ma in sintesi riporto solo un commento a riguardo
«Dio non è più semplicemente l’eterno, ma colui che viene. E come non tener presente che il
participio <<il veniente>>, qui applicato indiscutibilmente a Dio, connota generalmente il Figlio,
soprattutto nella letteratura giovannea, e particolarmente nell’Apocalisse? Bisogna dunque
concludere che, fin dall’inizio del libro, quando per la prima volta il nome segreto di Dio viene
rivelato, tale nome prende una risonanza cristologica. Questo cristocentrismo, o più esattamente
questo teocentrismo cristologico, è una delle grandi costanti dell’Apocalisse»289
Sappiamo già inoltre che il fatto di distinguere chiaramente Dio e Gesù non preclude la sua divinità.
Felice continua scrivendo che «anche se si volesse usare questo passo a dimostrazione della Trinità,
si deve tener conto che “l’ordine delle <<persone>> non corrisponde a quello della Trinità. La
menzione del Padre è assente ed è rimpiazzata dalla formula <<Colui che è, che era e che viene>>,
la quale sviluppa la rivelazione del nome di Dio fatta a Mosè in Esodo 3,14. Infine la menzione dei
sette spiriti presenti davanti al trono di Dio non può fare allusione allo Spirito Santo, che, peraltro,
sarebbe qui distinto da Dio”. (All’Alba del cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-
Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 152)»290
288 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 481289 L’Apocalisse di S. Giovanni, traduzione e commento di…, 29-30 290 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 481
107
Riportiamo per intero, con le parti omesse in rosso, la citazione del Boismard e confrontiamola con
quella di Felice appena citata
«Come nelle formule precedentemente analizzate, l’ordine delle <<persone>> non corrisponde a
quello della Trinità. La menzione del Padre è assente ed è rimpiazzata dalla formula <<Colui che è,
che era e che viene>>, la quale sviluppa la rivelazione del nome di Dio fatta a Mosè in Esodo 3,14.
Infine la menzione dei sette spiriti presenti davanti al trono di Dio non può fare allusione allo
Spirito Santo, che, peraltro, sarebbe qui distinto da Dio. Siamo in presenza di un modello ternario
attestato nella letteratura giudaica, non di una eco del mistero della Trinità»291
Boismard stà continuando ad analizzare le diverse formule ternarie, come abbiamo visto prima, che
non riguardano il dogma della Trinità come verrà sistematizzato più tardi. Ciò non significa che lo
stia negando, come invece può emerge dalla sua citazione incompleta.
RIVELAZIONE 3,14
<<E all’angelo della chiesa in Laodicea scrivi: queste cose dice l’Amen, il Testimone fedele e
verace, il Principio della creazione di Dio. (ND)
Anche di questo passo si è abbondantemente parlato. Sappiamo comunque che il punto centrale non
è tanto la traduzione di ¢rc¾ (legittimamente reso con capo, re, principio, principe, mezzo o
strumento), quanto il soggetto a cui si riferisce, Gesù Cristo: considerata ed epurata la sua natura di
Logos eterno ed increato di Dio, cadono tutte le “preoccupazioni” di Felice.
Recupero solamente una citazione di Boismard che testualmente leggo così nel libro di Felice
«Boismard, uno dei più noti biblisti a livello mondiale, in un suo studio afferma che “il Cristo-
sapienza non è Dio poiché è stato creato da Dio (Apocalisse 3,14, Colossesi 1,15)”. (All’Alba del
cristianesimo – prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME,
pag. 135)»292
Cosa potrà mai capire il lettore da questa citazione? Che Boismard, uno dei più noti biblisti a livello
mondiale (come tiene a puntualizzare Felice), crede che Gesù sia una creatura e non Dio. Ma basta
controllare la fonte per renderci conto del contrario; riporto in rosso le parti omesse che chiarificano
il pensiero del padre domenicano
291 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 152292 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 335
108
«Anche secondo Giovanni, come secondo Paolo, Dio ha creato il mondo per mezzo del suo Logos
(1, 1ab.3) o attraverso la sua sapienza (1Corinzi 8,6), Logos o sapienza che in qualche modo
s’identificano a Cristo. Ma, come nei libri sapienziali e in Filone d’Alessandria, il Cristo-sapienza
non è Dio poiché è stato creato da Dio (Apocalisse 3,14; Colossesi 1,15). Solo al termine di questa
evoluzione, non prima degli anni 80, Cristo sarà identificato a Dio: in Giovanni 1,1c, il quale
aggiunge la frase “e il Logos era Dio” al testo primitivo; ed in Tito 2,13, il quale reinterpreta
1Timoteo 2,5 aggiungendovi l’affermazione che il Cristo è “nostro grande Dio e salvatore”.
Secondo Giovanni 16, 12-13 questo approfondimento cristologico si sarebbe effettuato grazie allo
Spirito di verità»293
Boismard quando parla del Cristo-sapienza “creato da Dio”, si stava riferendo ai libri sapienziali e
agli scritti del filosofo ebreo Filone d’Alessandria, e non certo al prologo del vangelo di Giovanni.
«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una
citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che
l’autorità citata voleva dire. Siate specifici nei vostri riferimenti»294
Accuratezza nelle affermazioni.
«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la
verità ed essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si
dovrebbe fare non solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò
che diciamo intorno ad altri o nel modo in cui li rappresentiamo, e negli
argomenti che implicano dati scientifici o notizie di cronaca. Le affermazioni
errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può essere ingrandito. Le
inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto all'autorità
dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio
stesso»295 (il grassetto è mio)
293 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 135294 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155295 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11
109
RIVELAZIONE 5,8; 5,12-14
I quattro viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono dinanzi all’Agnello… (EP 66);
“L’agnello che fu scannato è degno di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore e
gloria e benedizione”. 13 E ogni creatura che è in cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare, e
tutte le cose [che sono] in essi, udii che dicevano: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello
siano la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei secoli”. 14 E le quattro
creature viventi dissero: “Amen!” e gli anziani caddero e adorarono. (TMN)
Si è già ampiamente trattato nel precedente lavoro il tema dell’adorazione rivolta a Dio e a Gesù; si
aggiungono solamente altre considerazioni
«Particolarmente eloquente è il passo in cui la metafora [l’Agnello] compare per la prima volta: “E
vidi in mezzo al trono… un agnello ritto in piedi come sgozzato” (5,6). Il trono è quello di Dio,
semplicemente detto altrove il Sedente (4,2), ed è paradossale che, essendo già occupato da lui, si
dica che ciononostante l’Agnello vi sta proprio nel mezzo, a esprimere una vera e propria
sovrapposizione»296
«a colui che siede sul trono, e all’Agnello: V. 7,10. Come la dossologia è offerta tanto a Dio quanto
all’Agnello, così la regalità e il dominio appartengono indistintamente al Padre e a Cristo (3,21)»297
«L’adorazione sale da ogni parte, anche dai posti più inaspettati (cf. Is 38,18). La dossologia si
rivolge insieme a Dio e all’agnello, indicando, al termine della liturgia dei capitoli 4 e 5, che
appunto questo è il messaggio centrale della celebrazione»298
«Nuovo nel N.T. è il fatto che accanto a Dio come destinatario della proskynesis adorante sta ora in
primo luogo il Cristo innalzato (come risulta in modo particolarmente chiaro, ad es., in Apoc.
5,13s.; Lc. 24,52)… Nel N.T.Il proskune‹n è riservato a Dio e all’Agnello… Nell’Apoc. l’uso di
proskunšw ha due punti centrali: l’adorazione di Dio e dell’Agnello nella liturgia celeste (4,10;
5,14; 7,11; 11,16; 19,4)»299
La NM in Ap. 5,13s, ha tradotto proprio così:
«“A Colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i
secoli dei secoli”. E le quattro creature viventi dissero: “Amen!” e gli anziani caddero e adorarono».
296 Il DNA del Cristianesimo…, 144297 GCBQ, 1450298 L’Apocalisse di Giovanni, traduzione e commento di Pierre Prigent, Borla, 1985, 207 299 DENT II, 1163
110
E’ bene ricordare che nel NT esiste il verbo prosp…ptw (prospiptō), prosternarsi, prostrarsi,
cadere ai piedi di, che designa turbamento oppure improvviso sbigottimento o costernazione, e non
è usato come termine tecnico per esprimere l’atto della preghiera e dell’adorazione, come
proskunšw. Ricorre 8 volte e precisamente in Mc 3,11; 5,33; 7, 25; Lc 5,8; 8,47; 8,28; Mt 7,25 e
At 16,29.300
In tutti questi casi la KIT rende prosp…ptw con l’inglese to fall, cadere, abbassarsi, crollare,
scendere.
RIVELAZIONE 22,13
Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’Ultimo, il principio e la fine. (CEI)
Anche per quanto riguarda i titoli in questione, ne abbiamo già ampiamente trattato nel precedente
studio, ma molto interessante è un’affermazione di Felice circa questo passo
«In questo passo, Dio è pure chiamato “il primo e l’ultimo”, espressione che in Rivelazione 1:17, 18
è riferita a Gesù. Anche l’espressione “apostolo” è riferita sia a Gesù Cristo che a certi suoi seguaci.
Ma questo non dimostra che siano la stessa persona. (Ebrei 3:1)»301
Si nota una chiara incongruenza: qui Felice dice che l’espressione “primo e ultimo” è riferita anche
a Gesù in Ap 1,17-18,302 mentre nel suo precedente libro LA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO,
MANIPOLATA O TRADOTTA FEDELMENTE? nel commento ad Ap 1,11 scrive testualmente
«Alcuni trinitari citano questo passo per cercare di dimostrare che Gesù è Dio. Questa espressione
ricorre nella DI e in poche altre vecchie traduzioni bibliche. L’espressione non è inclusa nella
stragrande maggioranza delle traduzioni bibliche moderne. Essa non trova alcun sostegno nei più
antichi manoscritti greci. Tale interpretazione è basata su tardi manoscritti che sono stati trovati
difettosi a causa di scribi troppo zelanti nel voler applicare il titolo “l’Alfa e l’Omega, il primo e
l’ultimo” a Gesù Cristo»303
In questa citazione invece dice tutto il contrario: i titoli “l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo” sono
stati applicati indebitamente a Gesù da scribi troppo zelanti; in sostanza sono dei falsi. Ma allora ci
si chiede: questi titoli sono applicati o no anche a Gesù Cristo nella Scrittura? Credo che questo
modo di fare sia segno di poca serietà ed onestà.
300 Cfr DENT, 1166301 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 198 302 Oltre ad Ap 1,17-18 ricordato da Felice, anche 2,8 e 22,13 attribuiscono questi titoli a Gesù. 303 La Traduzione del Nuovo Mondo…, 796
111
Anche nella loro stampa, precisamente nel libro Rivelazione mentre attribuiscono «Ecco, vengo
presto… Io sono l’Alfa e l’Omega»304 (Ap 22, 12-15) a Geova in persona, tre pagine dopo, lo
attribuiscono a Gesù: «Sia lui che Geova Dio stesso ribadiscono più volte il fatto che essi vengono
“presto”, e Gesù qui lo ripete per la quinta volta (Rivelazione 2:16, 3:11; 22:7, 12,20)»305
«L’Alfa e l’Omega: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco (21,6; 22,13), trasposizione nel Cristo
di una qualità di Dio, principio e fine di tutto (Is 41,4; 44,6; cf. 1,17; 2,8)»306
«ALFA E OMEGA Sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. Citate insieme, queste due
lettere alludono a Dio: principio e fine di tutta la realtà. Nel Nuovo Testamento, questa qualità
divina viene riferita a Gesù Cristo: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che
era e che viene” (Ap 1,8)»307
«L’Apocalisse riferisce a Cristo gli attributi di Dio nell’AT. Egli è il primo e l’ultimo, l’alfa e
l’omega (1,7; 2,8; 22,13)»308
«Gesù è sentito e pensato al livello di Dio… Gli attributi di Dio nell’AT, specialmente quelli
dinamici, vengono riferiti a lui: egli è “il primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega” (1,7; 2,8; 22,13): si
trova all’inizio e alla conclusione della serie omogenea della storia della salvezza… Con ciò si
manifesta come equivalente a Dioe gli compete il titolo divino “Signore dei signori” (17,14;
19,16)»309
«Il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega (Ð prîtoj kaˆ Ð œscatoj, tÕ ”Alfa kaˆ tÕ ’W: 1,17;
2,8; 22,13): detti di Dio (cf 1,8; 21,16), questi titoli vengono trasferiti a Cristo che, in rapporto col
mistero pasquale, è indicato come all’inizio e alla conclusione della serie omogenea rappresentata
dalla storia della salvezza»310
«C’è un contatto letterale con Is 44,6: “così dice Iahvè şebaōth: io sono il primo e io sono ultimo (e
con Is 48,12) Iahvè è visto qui soprattutto nella sua trascendenza che supera le vicende delle cose.
In Ap 1,8 Dio è detto “alfa e omega”; lo stesso titolo è applicato a Cristo in Ap 22,13.»311
«La formula “il Primo e l’Ultimo” (ho prôtos kai ho èschatos) si trova solo come auto-
qualificazione di Cristo glorificato (1,17; 2,8; 22,13). Si rifà alla dizione ebraica degli attributi
divini, presente nel Deuteroisaia (41,4; 44,6; 48,12)… Un’altra espressione, simile quanto al
304 Rivelazione, il suo grandioso culmine…, 316305 Idem306 BG, 2627307 Enciclopedia del Cristianesimo…, 44308 LDTE, 824309 NDTB, 92310 IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 390 311 Idem, 409
112
contenuto, è: “io sono l’alfa e l’omega” (alfa è la prima lettera e omega è l’ultima) e anche: “io sono
l’inizio e la fine” (22,13). Il trasferimento di questi attributi divini al Risorto indica che Cristo è
stato innalzato a dignità divina e ha assunto compiti di creatore e di perfezionatore»312
In verità come riconoscono le scritture e tutti gli studiosi, il titolo divino «Io sono l’Alfa e l’Omega,
il Primo e l’Ultimo» nell’Apocalisse si applica indistintamente sia a Dio Padre che a Gesù, a
significare che lo stesso Gesù è posto sul medesimo piano di Dio Padre, e non che siano la stessa
persona come ritiene Felice ma che nessuno a mai rivendicato. Nulla a che vedere dunque con
vecchi manoscritti trovati difettosi a causa di scribi troppo zelanti nel voler applicare il titolo “l’Alfa
e l’Omega, il primo e l’ultimo” a Gesù Cristo.313
Casomai questa è la scusa di Felice e dei TdG per tentare di oscurare la divinità di Cristo.
Per quanto riguarda la CONCLUSIONE di Felice al suo libro, riporto le parti salienti che ne
sintetizzano il pensiero
«Si, gli Israeliti erano monoteisti, come anche i primi cristiani. Essi non credevano affatto in una
Trinità composta da più persone. Credendo in essa di diventa politeisti o meglio, triteisti. La Trinità,
come abbiamo appurato, è una falsa dottrina che nacque da una cattiva interpretazione delle
Scritture… La dottrina della Trinità non ha senso alcuno, anzi, crea forti dubbi in molti. Io spero di
essere stato capace a spiegare bene questo argomento così controverso che va avanti da secoli,
anche se “Subito dopo la risurrezione di Cristo, gli apostoli non credevano ancora che Gesù fosse
Dio, essi non avevano alcuna nozione del mistero della Trinità. (All’alba del cristianesimo – Prima
della nascita dei dogmi. a cura di Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 5)”.
Basare una falsa credenza come la dottrina della Trinità su un libro come la Bibbia, che è la parola
di Dio, è molto pericoloso, specialmente sapendo che la parola Trinità non esiste in essa . Voglio
dire, se si suppone che la Trinità è una dottrina così importante per definire la divinità di Dio, non
pensate che dovrebbe esistere almeno una volta questa parola nella Bibbia?
Continueranno i trinitari a credere il contrario dopo la lettura di queste pagine? Credo che molti,
purtroppo, continueranno a crederlo. (2 Corinzi 4:4) Spero che a qualcuno possa intanto sorgere il
dubbio su questa misteriosa dottrina, mentre gli si aprono gli occhi e possano cambiare idea al
riguardo.»314 (sottolineature mie)
Al termine di questa nostra analisi le parole di Felice ci lasciano, a dir poco, sbigottiti. Dato che gli
abbiamo già ampiamente risposto nel corso del lavoro, in tutta sincerità lasciamo senza nessun
risentimento un nostro fraterno commento: chi dovrebbe veramente “aprire gli occhi e cambiare
312 DCBNT, 694313 Cfr. La Traduzione del Nuovo Mondo…, 796 314 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 513
113
idea” non sono certo coloro che credono nella Trinità, ma piuttosto tanti TdG, e non solo, che
vengono sistematicamente lasciati all’oscuro di tutto, e a loro possiamo solo ripetere le parole di
Giovanni «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi» (8,31-32).
Altrettanto illuminante è la prefazione del libro di Boismard, dalla quale Felice ha estrapolato la sua
citazione nella conclusione; riportiamo integralmente parte di essa, come sempre con le parti
omesse in rosso
«Questo volume ha per titolo: All’alba del cristianesimo. La nascita dei dogmi. Per “alba del
cristianesimo”, intendiamo i primi cinquant’anni che seguirono la morte di Cristo, vale a dire,
approssimativamente, gli anni 30-80. Quanto ai “dogmi”, ecco la definizione che ne da il
vocabolario: “Argomento dottrinale stabilito o considerato come una verità fondamentale,
incontestabile (in una religione, una scuola filosofica)”. Nella Chiesa, la formulazione di gran parte
dei dogmi è stata precisata attraverso definizioni conciliari.
Dunque, i dogmi a cui crediamo non sono nati dall’oggi al domani insieme al cristianesimo. Subito
dopo la risurrezione di Cristo, gli apostoli non credevano ancora che Gesù fosse Dio, essi non
avevano alcuna nozione del mistero della Trinità, né supponevano che la morte del loro maestro
avesse un valore redentivo. Questo fatto viene ammesso da quasi tutti i teologi moderni. Si pone
allora una questione inevitabile: in quale momento sono nati i principali dogmi della Chiesa e come
si sono progressivamente formati? E’ a questa duplice domanda che il presente volume cercherà di
dare una risposta. Il nostro intento rimane limitato, nel senso che abbiamo volontariamente ristretto
il nostro studio ai testi del Nuovo Testamento e a quelli dell’Antico Testamento nella misura che
essi li preparano e chiariscono. Abbiamo voluto restare nel periodo da noi chiamato “l’ alba del
cristianesimo”. E’ chiaro che, menzionando per esempio il dogma della Trinità, sarebbe stato
necessario completare i dati neotestamentari ricordando tutte le controversie che hanno preceduto il
concilio di Nicea, nel 325, il quale ha condannò definitivamente l’arianesimo. Tali studi sono stati
già fatti e noi non vi aggiungeremo nulla.
Tuttavia, il genere d’indagine che stiamo per intraprendere, comporta un rischio che un certo
numero di esegeti e di teologi, anche con esperienza, non hanno sempre saputo evitare. Più o meno
coscientemente, si è spesso voluto trovare nel Nuovo Testamento il maggior numero di testi
possibile che, si pensava, potessero confermare la fede attuale della Chiesa. Oppure, per presentare
il rischio da un altro punto di vista, i testi del Nuovo Testamento spesso sono stati interpretati
supponendo, a priori, che i loro autori condividessero la nostra attuale fede. Diamo solo due
esempi. Noi crediamo che Gesù sia Dio, e questo è uno dei dogmi fondamentali della Chiesa. E’
pensabile che Paolo non avesse già condiviso la nostra fede? No, riteniamo. Dunque, allorchè si
114
vede Paolo designare il Cristo come “il Figlio” per eccellenza, si sarà indotti a interpretare questo
titolo nel senso d’una filiazione naturale e quindi divina e non nel senso d’una filiazione adottiva,
come viene supposta dal Salmo 2 al v.7. Allo stesso modo crediamo che Dio, che è unico, sussista
in tre persone: Padre, Figlio e Spirito. E’ il dogma della Trinità. Questo dogma ci sembra talmente
essenziale che difficilmente si può ammettere che Paolo l’abbia ignorato. Di conseguenza, quando
Paolo chiude la sua seconda lettera ai Corinzi, scrivendo. “La grazia del Signore Gesù Cristo,
l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi (2 Corizi 13,13), saremo
indotti a scorgervi una “formula trinitaria” a conferma che Paolo credesse come noi, al mistero della
Trinità. Qualcuno ci accuserà di aver minimizzato il senso di un certo numero di testi, mentre,
secondo noi, è vero il contrario: il loro senso è stato spesso maggiorato da molti commentatori o
teologi»315
E’ palese per tutti che l’affermazione di Boismard citata da Felice, “Subito dopo la risurrezione gli
apostoli non credevano ancora che Gesù fosse Dio”, inserita in tutto il contesto della prefazione
presenta un significato sostanzialmente diverso da quello che voleva far apparire Felice: il fatto che
“Subito dopo la risurrezione gli apostoli non credevano ancora che Gesù fosse Dio” non significa
che col passar del tempo in seguito non lo avessero ritenuto tale; infatti ciò è poi avvenuto grazie
alle nuove comprensioni e sviluppi della fede cristiana. Questo è appunto ciò che Boismard vuole
dirci.
Ovviamente lo studioso e noto biblista domenicano non ritiene, come Felice, che la dottrina della
Trinità sia una falsa credenza basata incompatibile con la Parola di Dio, ma ci ricorda solo il suo
sviluppo all’interno dell’esperienza e delle riflessione delle prime comunità cristiane.
CONSIDERAZIONI DI ALCUNI STUDIOSI SULLA TRINITÀ
«Se i lettori hanno compreso gli ultimi tre capitoli, saranno in grado di vedere come le affermazioni
nicene si collocano veramente nella direzione del NT… La dichiarazione cristologia di Nicea è
fedele all’orientamento principale della cristologia del NT… Mi sia permesso far osservare il modo
in cui le affermazioni di Nicea e di Calcedonia (che ho analizzato evidenziandone la fedeltà alle
linee neotestamentarie di sviluppo) siano funzionali e, secondo un linguaggio comune,
‘pertinenti’»316
315 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 5-7 316 Raymond E.Brown, INTRODUZIONE ALLA CRISTOLOGIA…, 142. 146. 148
115
«Asse portante di questo “corso di cristologia” è la centralità dell’evento concreto di Gesù di
Nazaret – crocifisso e risorto – per la comprensione sia dell’identità di Cristo (vero Dio e vero
uomo), sia dell’identità di Dio come essere relazionale (unitrino)»317
«Parlare di Trinità è cercare le parole umane meno imperfette possibili per esprimere la realtà
(storicamente incontrata nella rivelazione neotestamentaria) dell’unità nella diversità di Dio Padre,
del Figlio Gesù Cristo Parola eterna del Padre, e dello Spirito santo dono eterno del Padre nel Cristo
Risorto: una realtà ben testimoniata dalla Scrittura, visibile soprattutto nella vicenda pasquale, e
vissuta con intensa partecipazione nella liturgia e nella vita cristiana. – Un’autentica “teologia
trinitaria” è così un tentativo di rispettare i dati del NT, interpretandoli senza svilirne il
contenuto»318
«La testimonianza neotestamentaria rimane normativa per la successiva penetrazione del volto
cristiano di Dio. Non si può fare a meno di essa, nel senso che non se né può prescindere e che
occorre sempre farvi riferimento per approfondire il suo contenuto inesauribile…
L’approfondimento e la riflessione sul mistero di Dio come Trinità devono essere sempre condotti
all’interno di questa polarità: da una parte, il riferimento normativo alla rivelazione escatologica di
Gesù Cristo che ci è consegnata nel Nuovo Testamento; dall’altra parte, la docilità agli impulsi
dello Spirito che ci fanno continuamente penetrare sempre più a fondo nella ricchezza di questo
mistero»319
«Quanto più Israele riflette sulla sua esperienza di Dio, tanto più chiaramente riconosce che Dio
rimane un mistero. “Sono Dio e non uomo”, si dice in Osea (11,9). L’alterità assoluta permane
anche laddove Dio si incarna in Gesù Cristo ed entra nella storia umana»320
IL DISCORSO DI GESÙ INTORNO A DIO
Nel messaggio del vangelo Gesù si riferisce al Dio che si è rivelato nell’AT servendosi delle più
svariate immagini (Padre premuroso, l’amico soccorrevole, il padrone di casa che si occupa di tutti,
un giudice amorevole…). Rivolgendosi a Dio nel Padre Nostro, Gesù usa comunque l’immagine
più audace e nello stesso tempo più rivoluzionaria; già nei primi tempi Israele aveva definito Dio
come il proprio Padre (in ebraico abbinu, parola molto solenne, grave e distaccata). Ma Gesù fa un
passo avanti: non ricorre a questo termine ma a quello aramaico molto più confidenziale e caldo,
abbà: “padre mio”. E questa è una novità assoluta. Non si trovano paralleli nella religione ebraica,
317 Paolo Gamberini, Questo Gesù…, (retro copertina) 318 Umberto Proch, Dizionario dei termini Biblico-Teologici. Linguaggio religioso e linguaggio corrente, ElleDiCi, Leumann 1994, 196319 Piero Coda, Dio Uno e Trino. Rivelazione, esperienza e teologia del Dio dei cristiani, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, 153. 155 320 Josef Imbach, COME LEGGERE E CAPIRE LA BIBBIA, introduzione esegetica, Città Nuova, Roma 1992, 125
116
di questo modo di rivolgersi a Dio. Rispetto e intimità si fondono in questo termine che in italiano
possiamo rendere con la parola del linguaggio quotidiano e familiare “papà, babbo mio”.
Dire abbà non significa certamente che dobbiamo immaginarci Dio come un essere maschile. Già
nell’AT insieme ai suoi caratteri paterni emersero anche quelli materni: il Dio dell’Alleanza, per
esempio, si definisce in Osea come colui che nutre il popolo che a sua volta viene definito “figlio”
(Os 11,1-4). In Geremia si legge che Dio chiama il suo popolo con materno atteggiamento, “figlio
caro” e “fanciullo prediletto”, amato con “viscere di misericordia” (Ger 31,20). In questo contesto
emerge una domanda: Gesù parla sempre e solo di “Padre”, e lo “Spirito Santo”?
In effetti lo Spirito santo non trova quasi posto nella predicazione del Gesù terreno. D’altro lato,
però, tutti gli autori neotestamentari comprendono la vita di Gesù in chiave messianica, come opera
dello Spirito. Essi tuttavia non sviluppano ancora una dottrina nel senso del successivo dogma della
Trinità (“un Dio in tre Persone”), m si limitano a una considerazione e a una presentazione delle
cose nell’ottica della storia della salvezza: Dio si fa visibile nel Figlio… Dopo la morte e la
resurrezione di Gesù, la giovane Chiesa si rende conto che egli è presente in mezzo a lei in modo
nuovo: una presenza che viene sperimentata quale opera dello Spirito di Dio. Questo Spirito è lo
Spirito di Gesù321
«Con ciò che abbiamo detto finora si sono intravisti i fondamenti della fede nella Trinità… La fede
nella Trinità di Dio, d’altronde, conobbe uno sviluppo della propria espressione. Mentre sono
frequenti formule binitarie… le formule trinitarie esplicite sono rarissime negli scritti del Nuovo
Testamento… documentano la fluidità non della fede ma della sua espressione. Si può ben dire che
l’espressione oscillò fino al decisivo Concilio di Nicea dell’anno 325, ma la fede, che sta sempre al
di là delle parole, è tipica del cristianesimo fin da principio e ne costituisce uno dei capisaldi»322
«8) La Trinità.
Il NT non conosce il termine “trinità” applicato a Dio. Tuttavia parla spesso distintamente del
Padre, del Figlio di Dio e dello Spirito Santo; vi si trovano pure formule già fisse, a tre membri, e
riferite a Dio (cf. soprattutto 1Cor 12,4-6; 2Cor 13,13). La triade Padre, Figlio e Spirito santo
compare in modo esplicito soltanto nella formula battesimale di Mt 29,19. Il cosiddetto comma
johanneum (1Gv 5,8), che è un aggiunta assai posteriore (VI sec.), contiene la triade Padre, Parola e
Spirito santo. In Ef 4,4ss troviamo un ampliamento della formula triadica, in cui però l’asse portante
è sempre dato dalla triade “l’unico Dio”, “l’unico Signore” e “l’unico Spirito”. Gal 1,4ss non
presenta una formula vera e propria; però l’esposizione dell’azione salvifica di Dio mette in luce i
321 Cfr Idem, 125-126322 Romano Penna, Il DNA del Cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, 192. 195-196
117
tre membri della triade nel loro vero rapporto: Dio invia dapprima il Figlio, e poi lo Spirito del
Figlio, per continuare in terra la sua opera.
Abbiamo anche formule a due membri, in cui viene espresso principalmente l’intimo rapporto
intercorrente tra il Padre e il Figlio. “Un solo Dio, il Padre, e un solo Signore, Gesù Cristo” (1Cor
8,6); “Un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tim 2,5). A tal proposito dobbiamo
menzionare anche Mt 23, 8-10, dove Gesù ricorda ai discepoli che essi hanno un solo maestro (cioè
Gesù) e un solo Padre nei cieli. Tutte queste affermazioni sottolineano, ad un tempo, l’unità e la
diversità tra Dio e Cristo; Dio comunque è sempre sul gradino più alto, principio e fine di ogni
discorso.
Esiste un’intima relazione tra Cristo e lo Spirito santo. In 2Cor 3,17 Paolo arriva a dire che il
Signore è lo Spirito. Nel vangelo di Giovanni lo spirito si presenta con una “certa autonomia
personale” (Stauffer, ThW II, 108). La sua azione è però strettamente legata al Cristo elevato (“egli
prenderà del mio”: Gv 16,14). Tra Cristo e lo Spirito intercorre una “relazione reciproca”. Anche in
questo caso, tuttavia, non sono ancora fissati i principi dogmatici. Non deve quindi stupire se in
1Gv 2,1 è detto che Cristo funge da “paraclito” presso il Padre, anche se lo Spirito è chiaramente
concepito come distinto da Cristo e a questi subordinato.
Tutto ciò sta a dimostrare che il cristianesimo primitivo non possedeva ancora una dottrina trinitaria
già pienamente elaborata. A ciò contribuirà la riflessione di fede delle successive generazioni di
credenti»323
«La pretesa ellenizzazione del cristianesimo
La decisione conciliare di adoperare il termine “homooùsios” parve ad un certo numero di vescovi
orientali una deplorevole e pericolosa concessione fatta alla cultura greca, una specie di tradimento
della eredità biblica. Infatti, perla prima volta, un termine non presente nella Bibbia faceva il
proprio ingresso nella redazione di un documento dottrinale della Chiesa. La dottrina cristiana, a
Nicea, si era forse compromessa con la filosofia ellenica pagana?
Veramente, la nozione ci “consostanzialità”, ossia di identità di sostanza o natura, era già stata
impiegata, prima di Nicea, in Occidente: Tertulliano, scrivendo in latino, parlava già di unità di
sostanza a proposito del Padre e del Figlio; questa terminologia si trovava inoltre in Egitto. I
cristiani viventi nella cultura greco-romana erano portati del tutto spontaneamente a esprimere il
contenuto della loro fede con le parole che conoscevano, che leggevano o che ascoltavano
nell’ambiente. Nessun tradimento, in questo, ma semplicemente un normale fenomeno di
traduzione. Il cristianesimo, d’altra parte, è un continuo lavoro di trasmissione e di traduzione,
cominciato con gli evangelisti, che tradussero in greco le parole di Cristo pronunciate in aramaico…
323 DCBNT, 498-499
118
Se i vescovi del concilio di Nicea scelsero il termine “homooùsios” fu perché la crisi tra arianesimo
e ortodossia si era costituita ed espressa nell’ambito della lingua greca, attraverso uno slittamento
semantico disastroso, dovuto agli equivoci di forme principali greche. L’eresia ariana aveva
consistenza reale solo se espressa in greco, solo se messa in rapporto con il pensiero ellenico:
perciò, per combatterla, bisognava attaccarla sul suo terreno. Era necessaria una risposta energica,
appropriata, adeguata veramente allo scopo: utilizzazione della cultura greca, ma al servizio
dell’ortodossia.
I vescovi del concilio, inoltre, non si comportarono affatto alla leggera, come se li spingesse un
irragionevole desiderio di novità, perché non ci fu nessuna novità effettiva. Essi, in realtà, non
fecero che sanzionare ufficialmente il valore di uno sforzo di lunga durata, iniziato almeno due
secoli prima dai teologi, per fondare una teologia cristiana viva e robusta, chiarendo il dato rivelato
con la riflessione teologica e spesso con l’aiuto della filosofia… Questo è ciò che la Chiesa ha
sempre fatto: servirsi dei dati e delle ricerche della filosofia per esprimere il contenuto della fede,
senza mai tradirlo. La filosofia bene intesa e accuratamente controllata può rendere la teologia più
feconda, ma certo non può in alcun caso sostituirla. Non è la filosofia che fonda la teologia, ma è la
Rivelazione che giudica le filosofie»324
Riportiamo da una rubrica di teologia on-line, “Il teologo risponde”, la domanda di un lettore e la
conseguente risposta dell’esperto; ci sembra chiara ed esaustiva:
«La Trinità: tre persone uguali e distinte
Perché diciamo, parlando della Santissima Trinità, che il Figlio procede dal Padre e lo Spirito Santo
procede dal Padre e dal Figlio? Non sono forse uguali le tre persone divine? O è gerarchico, come la
Chiesa, anche Dio in se stesso?
Carmine Caiazzo
Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofia
Eliminiamo subito la terza domanda: in Dio non c’è gerarchia perché non c’è subordinazione di
ruoli come invece c’è nella chiesa. La Trinità infatti è un solo e unico Dio, e non tre individui (Gv
10,30). Nella seconda domanda il lettore ha dimenticato di aggiungere a uguali «e distinte»,
altrimenti se fossero solo uguali non sarebbero 3 ma una sola entità. Il «distinto» giustifica il
«procedere da…».
E veniamo al nocciolo del problema.
324 AA.VV., 100 PUNTI CALDI della storia della Chiesa, Paoline, Roma 1982, 65-67
119
Il tema è di quelli sensibili perciò precisiamo i termini. Del Figlio non è appropriato (anche se forse
non è sbagliato) usare il termine «procede» perché il credo ci fa dire: «generato». Dunque il Figlio è
generato e lo Spirito procede. Questo lo riprendiamo da Gesù che si considera Figlio (Gv 5,18),
mentre dello Spirito dice che è inviato sia dal Padre (Mt 10.20) che da lui stesso (Gv 16,7): è lo
Spirito di entrambi.
E cerchiamo di capire. Dio è unico e unica è la sostanza (natura), ma questa - secondo il nostro
credo - non è qualcosa di monolitico, bensì di molteplice-dinamico, ossia di 3 relazioni che noi
chiamiamo persone divine. Dio è Padre, Figlio e Spirito. Ora in che rapporto stanno tra loro? Dato
un padre esso sarà «relativo» a un figlio, e il rapporto è di «generazione» che conclude alla stessa
natura, sennò se il figlio fosse stato di diversa natura avremmo avuto un atto di creazione. Il Figlio
essendo della stessa natura del Padre è anch’esso Dio a pieno titolo, altrimenti sarebbe un’altra
cosa, e pur avendo la medesima natura non si isola dal Padre, ma col Padre e lo Spirito costituisce
l’unica natura di Dio.
Dice S. Agostino nel De trinitate (V,5) che la distinzione (personale e non individuale) tra Padre e
Figlio è dovuta al fatto che il Padre genera il Figlio eternamente e viceversa il Figlio è eternamente
generato dal padre. Per questo mai si identificano e mai si diversificano, ma stanno eternamente tra
loro distinti in una interminabile generazione.
Più complicato è parlare dello Spirito. Mi rifaccio sempre a S. Agostino. Questi dice che il termine
Spirito si comprende meglio se lo intendiamo come «dono», concetto usato da Gesù (Gv cc.15-16).
Lo Spirito sarebbe il dono di Dio che fa partecipi altri della comunione divina. Per cui in quanto
dono lo Spirito è «una specie di ineffabile comunione tra il Padre e il Figlio» (V,11).
Esemplifichiamo: io parlo con un amico di teologia, e estendiamo e facciamo partecipe un terzo del
discorso, gli facciamo «dono» di un tema teologico che procede da me e dall’amico. Lo spirito
insomma nel concetto di Agostino è la comunione, l’amore tra Padre e Figlio che essi
reciprocamente si fanno, ma che costituisce una unica relazione - lo Spirito -, e da essi si distingue
come «dono» dell’uno verso l’altro. E siccome è di entrambi dono reciproco, da essi «procede», sia
come ipostasi (persona) divina, sia come Spirito partecipato agli uomini.
Gesù - per completezza della terza domanda - parla del Padre come più grande (Gv 14,28) non
perché sia anteriore o diverso o più onnipotente, ma perché relativamente alla generazione e
processione il Padre è detto prima del Figlio e dello Spirito. Solo logicamente anteriore per il
linguaggio umano. Dunque il Figlio non procede, ma è «generato e non creato» come dice il credo,
e lo Spirito «procede» dal Padre e dal Figlio come loro intima cor-relazione»325
325 www.novena.it/il punto rubriche/il teologo risponde
120
«TRINITÁ. – I. Questo termine nel linguaggio cristiano e conforme alla teologia cattolica, riferendosi
cioè a Dio uno nell’essenza (Essere assoluto, natura, sostanza) e trino nelle Persone (Essere relativo,
Relazioni sussistenti, Proprietà ipostatiche), designa il mistero più augusto e fondamentale del
cristianesimo, quello che lo differenzia da tutte le altre religioni, anche monoteistiche… 2. Il
mistero della Trinità di Dio fu ignorato da tutta la gentilità, né può trovare nelle mitologie pagane
riscontro o traccia di vera somiglianza, sebbene anche in queste alcuni osservatori superficiali,
apologisti esagerati o filosofi tradizionalisti, quali lo Chateaubriand, il Lamennais, il Bonnetty,
abbiano preteso di scoprire indizi di una primitiva rivelazione della Trinità… Ma questa è un ipotesi
insussistente, che trascura affatto l’elemento essenziale della questione, il carattere proprio della
Trinità cristiana, e le sue relazioni con la fede monoteistica di Israele. Che se anche il popolo
d’Israele non ebbe la rivelazione esplicita del mistero, ne venne tuttavia ricevendo successivamente
qualche lume o accenno, almeno di ombra o figura della realtà… come quelle di Dio padre, dello
Spirito, della Sapienza… preesistente a tutte le cose create, che appare sussistente come quale
ipostasi divina. E se dai Giudei anteriori alla rivelazione cristiana venne identificata con la Legge,
da S. Paolo (Colossesi, I, 15; e più di proposito in Ebrei), dai primi apologisti della fede contro i
gentili e i Giudei, e dai difensori dell’ortodossia contro gli eretici, massime nella controversia
ariana, fu applicata al Verbo, Figlio di Dio, coeterno e consustanziale al Padre.
Né questa dottrina si può confondere con la teoria di Filone di Alessandria circa il logos, da lui
concepito come un intermediario fra Dio egli uomini, destinato a riempire la distanza infinita che li
separa,ma “non increato come Dio, né creato come noi”; un essere mitico, dunque, meramente
subalterno e oggetto di speculazione filosofica, non di fede religiosa,non persona viva ed operante,
come Cristo Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, e Salvatore del genere umano, quale ci è rappresentato,
per es., nel prologo del IV Vangelo. Che se alcuni cristiani, massime alessandrini, e anche qualche
dottore come Origene, non si guardarono sempre da infiltrazioni della filosofia di Filone, si che
queste diedero poi fomento all’arianesimo sorto appunto in Alessandria, ciò fu per un abbaglio di
pochi e per lo più involontario, siccome dovuto all’incertezza dei termini non ancora fissati, e
certamente opposto alla più schietta tradizione; giacchè gli scrittori apostolici prima, e poi i Padri
susseguenti sorti a impugnare l’arianesimo, non discesero mai a compromessi dottrinali, anche
quando dal linguaggio corrente, ispirato da quella filosofia umana, ritrassero qualche termine,
metafora o nozione da esprimere o chiarire le verità della rivelazione cristiana.
Tuttavia anche questa rivelazione, succeduta alla lenta preparazione giudaica, fu graduale e
progressiva; e ciò, col successivo svolgersi della cognizione e penetrazione maggiore della verità
dogmatica, da luogo alla storia del dogma, cominciando dalle prime origini cristiane»326
326 Enciclopedia Italiana, Giovanni Treccani, Rizzoli, Milano 1937, (TOPO – VED), 351
121
ESEMPLIFICAZIONI DI CITAZIONI FALSIFICATE
«Nel suo Dizionario Biblico il gesuita John L. McKenzie dice: “La Trinità delle persone all’interno
dell’unità di natura è definita in termini di ‘persona’ e ‘natura’, che sono termini filosofici greci;
essi infatti non appaiono nella Bibbia. Le definizioni trinitarie sorsero come risultato di lunghe
controversie nelle quali questi termini, e altri come ‘essenza’ e ‘sostanza’, furono erroneamente
applicati a Dio da alcuni teologi”. – Cittadella Editrice, 1973, trad. di Filippo Gentiloni Silveri, p.
1009»327
Da questa citazione il malcapitato lettore (soprattutto se è TdG) sarà portato a credere che perfino il
gesuita Mc Kenzie non sarebbe d’accordo con la dottrina trinitaria dal momento che egli
sembrerebbe non approvare riguardo a Dio l’uso di termini (persona e natura) assenti dalla
Bibbia in quanto sono termini filosofici greci (e sappiamo bene come il TdG consideri le
filosofie umane il prodotto di uomini imperfetti, influenzati dagli spiriti demoniaci).328
sembra ammettere che proprio la dottrina sulla Trinità sia “nata” come il “risultato di
lunghe controversie” (il McKenzie invece afferma che, non la dottrina, ma le formule di
definizione, cioè la formulazione, la presentazione precisa di quella dottrina, furono
precedute da lunghe controversie)
sembrerebbe ammettere - soprattutto - che quei termini, persone e natura, “erroneamente
applicati a Dio” non andavano assolutamente d’accordo con la realtà di Dio, non lo
riguardavano e con ciò non dovevano essere usati.
Chi ha già sperimentato l’inaffidabilità delle citazioni fatte dal CD riscontrerà che il pensiero
dell’autore non è citato per intero ma è stato interrotto in un punto ben studiato, adatto a suscitare
proprio l’impressione di incompatibilità tra quei termini e Dio. Ecco infatti la citazione del
dizionario del McKenzie nella sua completezza con le parti in rosso omesse da Ragioniamo:
«La Trinità delle persone all’interno dell’unità di natura è definita in termini di ‘persona’ e ‘natura’,
che sono termini filosofici greci; essi infatti non appaiono nella Bibbia. Le definizioni trinitarie
sorsero come risultato di lunghe controversie nelle quali questi termini, e altri come ‘essenza’ e
‘sostanza’, furono erroneamente applicati a Dio da alcuni teologi. L’affermazione definitiva di
trinità di persone e unità di natura fu dichiarata dalla chiesa come l’unico modo corretto in cui si
potessero usare questi termini»329
327 Ragioniamo…, 1989, 404 328 Idem, 52 ss329 John L. McKenzie, Dizionario Biblico, Bruno Maggioni (a cura di), Cittadella 1973, 1009
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Ora si che il contesto è completo e il pensiero è chiaro: il McKenzie vuol dire che c’è un uso
scorretto ed uno corretto nell’applicare a Dio quei termini; l’uso scorretto attuato da “alcuni teologi”
ha provocato le “lunghe controversie”. Queste sono finite quando la Chiesa ha indicato “l’unico
modo corretto” di applicarli, che consiste cioè nell’abbinare “trinità” con “persone”, e “unità” con
“natura”.
CONCLUSIONE
«Conoscendo queste cose, che farai? E’ ovvio che il vero Dio che è il “Dio di verità” e
che odia le menzogne, non guarderà con favore quelli che aderiscono alle
organizzazioni che insegnano falsità. (Salmo 31:5; Proverbi 6:16-19; Rivelazione 21:8)
E, realmente, vorresti ancora associarti con una religione che con te non è
stata sincera?»330
ABBRAVIAZIONI E SIGLE
DBMk Dizionario Biblico Mckenzie
DBM Dizionario Biblico Miegge
DENT Dizionario Etimologico del Nuovo Testamento
DNT Dizionario del Nuovo Testamento
DBS Dizionario Biblico di Spadafora
DBH Dizionario Biblico Haag
DTBT Dizionario dei Termini Biblico-Teologici
NDTB Nuovo Dizionario di Teologia Biblica
DCBNT Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento
LDTE Lexicon Dizionario Teologico Enciclopedico
PDB Piccolo Dizionario Biblico
GCB Grande Commentario Biblico
RTB Rivista di Teologia Biblica
LTB Lessico dei termini biblici
GLNT Grande Lessico del Nuovo Testamento di Kittel
CBL Commento alla Bibbia Liturgica
330 E’questa vita tutto quello che c’è?, Brooklyn 1975, 46
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VERSIONI BIBLICHE UTILIZZATE
NA Fulvio Nardoni (c)
RL Riveduta – Luzzi (p)
TILC Interconfessionale in lingua corrente
RI La Sacra Bibbia Ricciotti (c)
ND Nuova Diodati (p)
GCC La Bibbia Gesuiti Civiltà Cattolica (c)
BLM La Bibbia in lingua moderna (p)
NR Nuova Riveduta (p)
GA La Sacra Bibbia Salvatore Garofano (3 volumi) (c)
CON Bibbia Concordata
NVP Nuovissima Versione dai testi originali – Paoline (c)
BG La Bibbia di Gerusalemme (c)
CEI Conferenza Episcopale Italiana (c)
PIB Pontificio Istituto Biblico (c)
LB The Living Bible (p)
NIV The Niv Study Bible (c)
TOB Traduction Oecomenique de la Bible
GL The Greatest is Love (p)
TESTI CRITICI
KIT The Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures
IBE Nuovo Testamento Interlineare di Piergiorgio Beretta – testo NVP
NAT Nestle-Aland Nuovo Testamento Greco-Italiano di B. Corsani e C. Buzzetti
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