trinità e liberazione settembre 2011

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1 rinità T Liberazione Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale –70% DCB S1/LE A tu per tu con il Presidente del Movimento per la Vita I bambini mai nati, i più poveri di tutti INSIEME VERSO L’UNIFICAZIONE T rinità Liberazione Periodico dei Trinitari in Italia www.trinitaeliberazione.it Anno III/n. 7 - 10 settembre 2011 ib razione nuova serie Il cammino di comunione delle Province italiane CARLO CASINI I bambini mai nati, i più poveri di tutti CARLO CASINI A tu per tu con il Presidente del Movimento per la Vita Il cammino di comunione delle Province italiane INSIEME VERSO L’UNIFICAZIONE NUOVE SCHIAVIT Ù In fuga dalle responsabilità

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Periodico dei Trinitari in Italia

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A tu per tu con il Presidente del Movimento per la Vita

I bambini mai nati,i più poveri di tutti

INSIEME VERSO L’UNIFICAZIONE

TrinitàL iberazionePeriodico dei Trinitari in Italiawww.trinitaeliberazione.it

Anno III/n. 7 - 10 settembre 2011

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Il cammino di comunionedelle Province italiane

CARLO CASINI

I bambini mai nati,i più poveri di tutti

CARLO CASINIA tu per tu con il Presidente del Movimento per la Vita

Il cammino di comunionedelle Province italiane

INSIEME VERSO L’UNIFICAZIONE

NUOVE SCHIAVITÙ

In fugadalle responsabilità

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anno III numero 7

10 settembre 2011

LE RUBRICHE

3 EditorialeNicola PaparellaÈ il tempo propizio

4 Speciale UnificazioneLe 7 ragionidell’Unità

6 Speciale UnificazioneNicola PaparellaVogliadi comunione

17 Pensandoci beneP. Luca Volpe

20 Anno MarianoP. Pedro AliagaMaria SS.madel Buon RimedioChiese e devozionein Italia

21 Perché Signore?P. Orlando Navarra

26 PresenzaBernaldaLivornoVenosaMedeaSS. Cosma e Damiano

I SERVIZI

6 Secondo le ScrittureIl respirodel fratelloAnna Maria Fiammata

8 Pagine SanteNoi, quali fogliefa germogliarela stagioneAndrea Pino

10 Catechesi&vitaIl maledel secolo?La nostraindifferenzaFranco Careglio

12 Magistero vivoC’è l’altro.L’imperativoGiuseppina Capozzi

22 IstantaneaS. MARIAALLE FORNACIROMA

Il Card. Valliniin parrocchia.Visita con regaloIl chiodo fissodel 90%Sergio A. Prado FloresL’abbracciodi CristoP. Mario Castiglione

L’OSPITEDEL MESE

16 A tu per tuOn. Carlo CasiniPresidentedel Movimento per la Vita

I più poveritra i poverisono i bambininon ancora nati.Uccisi primadi nascereVincenzo Paticchio

Europarlamentaredell’Udc

19 ApprofondimentiCura & Riabiltazione

Ecm,la formazionea braccettocol carismaAnnalisa Nastrini

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3rinitàTL iberazione

Editoriale

Nicola Paparella

Periodico dei Trinitari in Italia

Iscritto al n. 1020 del Registrodella Stampa del Tribunale di Lecce

il 30 aprile 2009

È il tempo propizioDIRETTORE RESPONSABILE

Nicola [email protected]

AMMINISTRATORE UNICOLuigi Buccarello

EDITORIALE

CONSULENZA EDITORIALEVincenzo Paticchio

AMMINISTRAZIONEREDAZIONE E PUBBLICITÀ

Piazzetta Padri Trinitari 73040 Gagliano del Capo (Le)

Tel. 3382680900Fax 08321831477

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Piazzetta Padri Trinitari 73040 Gagliano del Capo (Le)

Ogni organismo viventeha bisogno di sperimentare ladistanza, la distinzione, laseparazione, ed ha pure biso-gno di praticare l’integrazione,l’unità, la vicinanza, la condivi-sione.Anche in famiglia, giovacoltivare l’unità, la progetta-zione condivisa, l’unione degliintenti e però è ugualmentenecessario che ciascuno appro-fondisca la propria distintaidentità; anzi, più si è diversi,più è feconda l’unione che ilsacramento consolida.Nella società, nelle azioni degliuomini, nelle scienze, più sicresce e più si specializzano lefunzioni e i ruoli; ma più ciarricchiamo di specializzazioni epiù abbiamo bisogno di trovareil sistema, lo sguardo d’insie-me, le regole che riconduconola molteplicità all’unità.Anche nella vita della Chiesa,c’è un kairos, un tempo oppor-tuno, un tempo propizio pervalorizzare i tesori del luogo, ivolti delle chiese locali, ilcammino di fede dei piccoligruppi, e c’è il tempo delrespiro universale, dellagrande assise romana, nellaquale ciascuno si sente attiva-mente presente nella grandecomunione universale.I Trinitari d’Italia hannoconosciuto il momento dellaunità indifferenziata e daquesta son passati alla distin-zione in due Provincie, lavo-rando nell’orto della Provvi-denza secondo i carismi che

ciascuna Provincia ha saputocoltivare, guadagnando risulta-ti preziosi e traguardi lusin-ghieri. Ora sembra essergiunto il momento di unanuova unità, che parte dalladistinzione, che si fa carico dinon disperdere quel che s’ècostruito, che anzi, vuolecondividere per potenziare eper migliorare.Le due Provincie si avvianoalla integrazione, ossia ad unaunità dinamica che si costrui-sce a partire dalle distinzioni, eproprio in forza delle specifici-tà di ciascuno.Quando si usa la parola inte-grazione, si pensa ad una unitàdinamica, ad una condivisonefondata su un progetto pasto-rale pazientemente costruitocon il concorso di tutti e con lavalorizzazione di tutte lerisorse: non soltanto le risorsemateriali, che sono ben pocacosa, ma anche e principal-mente le risorse umane e itesori dello spirito.Costruire una sola grandeProvincia Italiana non è larisposta, anche necessaria, aduna indigenza legata al nume-ro dei religiosi, è anche esoprattutto la risposta albisogno profondo dell’Ordinetrinitario, in Italia, di riconsi-derare la propria presenza sulterritorio, la propria azionenella storia, la propria tensionevocazionale fra gli uomini delnostro tempo, la propriacapacità di dialogare con levigorose e dinamiche comunitàdislocate in Paesi lontani.L’ integrazione delle due Provin-cie è allora il kairos dellarevisione pastorale individualee collegiale, perché ciascuno etutti insieme ci si possa impe-gnare a trovare i segni con-temporanei del compito antico,della missione tracciata dalSanto Padre Fondatore, Gio-vanni De Matha.

NELLA CASA DEL PADRE

Il direttore, l’amministrazione, la redazione, i col-laboratori e i lettori di Trinità e Liberazione sonovicini a Padre Giuseppe D’Agostino e allasua famiglia per la perdita del caro fratello

ANTONIOe per lui invocano dal Signore misericordia e paceeterna.

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VERSO L’UNIFICAZIONE DELLE PROVINCIE ITALIANEIn sette punti le giuste motivazioni che spingonoverso la costruzione di una sola Provincia Religiosa in Italia

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ROMA

NAPOLI

LIVORNO

PALESTRINAROCCA DI PAPA

CORI

SS. COSMA E DAMIANO

MEDEA

ESPERIA

Le ragionidell’Unità

...E IN PIÙPROVINCIA S. GIOVANNI DE MATHAMEXICO: 4 COMUNITÀ

PROVINCIA NATIVITÀ B.V.M.POLONIA: 2 COMUNITÀBRASIL: 1 COMUNITÀCONGO-BRAZZAVILE: 1 COMUNITÀGABON: 1 COMUNITÀ

Abbiamo bisogno di riconsiderarela nostra presenza sul territorio. Avolte abbiamo la tentazione di chiu-dere alcune nostre opere o di riti-rarci da alcuni campi d’azione.Dobbiamo sicuramente riconside-rare le ragioni e il senso della no-stra presenza; ma non possiamoevitare di prendere atto che sonocresciuti i bisogni della società esono cresciute le attese, sia in ter-mini quantitativi che qualitativi. LaProvvidenza ci chiede di fare di più,di fare meglio e di fare presto. Dob-biamo metterci insieme per diven-tare più efficaci e per testimoniaremeglio il compito assegnatoci dalnostro Santo fondatore.

1SIAMO IN POCHI

2NELLA SOCIETÀ COMPLESSA

Il nostro Ordine ha saputo accettare le sfide del tempoper più di otto secoli ed ora si presenta da protagonistalungo il cammino della storia. Viviamo fra le sponde del-la globalizzazione e i territori del localismo. Abbiamo bi-sogno di legare insieme i tesori del territorio agli orizzon-ti della mondialità. Abbiamo bisogno di renderci autenti-camente interculturali, imparando a gustare le differenzee renderci generosamente disponibili all’incontro con glialtri. La complessità esige l’unità, ma rifiutal’omologazione; chiede la specializzazione, ma evita leseparazioni.

Speciale Unificazione

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Speciale Unificazione

rinitàTL iberazione

NAPOLI

PALESTRINAROCCA DI PAPA

CORI

SS. COSMA E DAMIANO

MEDEA

ESPERIA

ANDRIA

GAGLIANODEL CAPO

SOMMAVESUVIANA

VENOSABERNALDA

PROVINCIA S. GIOVANNI DE MATHA

VILE: 1 COMUNITÀ

3NUOVI COMPITI E NUOVE ESIGENZE

La post-modernità dischiude nuovi compiti e richiede nuove compe-tenze. Le nostre opere debbono ogni giorno confrontarsi con proble-mi mai prima affrontati. Abbiamo bisogno di nuovi talenti e dobbiamoformare nuove professionalità. Sarebbe impensabile poter disporredi tante risorse in ogni contesto locale. Dobbiamo imparare a faresistema, per condividere ciò che ciascuna comunità può mettere alservizio delle altre comunità.

4PROGETTAZIONE ORGANICA

Per tutti gli organismi che lavorano nel sociale si ponel’esigenza di disciplinare le proprie azioni in manierada orientarle alle finalità prefissate, secondo obiettiviscanditi nel tempo e procedure preventivamente valu-tate. L’intervento della Provvidenza è molto spesso im-prevedibile, mai i frutti che la Provvidenza mette a di-sposizione delle persone sagge vanno apprezzati edordinati perché possano essere come seme che cadein terreno fertile. E questo chiede la prudenza della pro-grammazione, il coraggio che viene dalla condivisione,la forza che germina dalla fede.

5PIANI VOCAZIONALI

La Chiesa del terzo millennio deve trova-re nuovi criteri e nuovi spazi entro i qualidar corpo al progetto vocazionale. Con icarismi che sono tipici dell’Ordine, iTrinitari parlano ai giovani d’oggi con leparole della concretezza storica e conl’eloquenza delle opere sociali. L’unitàdelle provincie genera un campo nuovo,un orizzonte più largo da cui derivanonuove opportunità. Dalla crisi delle voca-zioni è possibile uscire con un nuovo attodi fiducia nei confronti dei giovani e conun deciso investimento culturale da par-te della intera provincia italiana.

6FARE COMUNITÀ 7REINTERPRETARE...

A volte la dimensione comunitaria ri-schia di essere più un desiderio chenon una esperienza permanente, piùun sentimento nostalgico che non unproposito strenuamente perseguito.Occorre trovare nuove forme di comu-nità, che vadano anche al di là delladisciplina dei tempi e dei luoghi, percentrarsi sui carismi, sui tesori per-sonali, sui progetti, sull’identità con-divisa, sugli orizzonti comuni, sullacrescita delle persone e dei gruppi.

Come nei piccoli gruppi, nella societàcomplessa vanno reinterpretate le iden-tità delle diverse comunità, perché cia-scuna possa esprimere un proprio cari-sma e tutte insieme possano stabilireuna rete di relazioni, attraverso le qualiprende corpo l’identità complessiva del-l’unica Provincia. In questo quadro è an-che possibile immaginare e quindi poiprogettare forme di gemmazione che fac-ciano pensare alla nascita di nuove ag-gregazioni transnazionali.

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Parlando con P. Nicola Rocca econ P. Giuseppe D’Agostino si hala chiara impressione che i più con-vinti sostenitori dell’idea della uni-ficazione delle due provincie reli-giose italiane dei Padri Trinitari sia-no proprio gli attuali ministri pro-vinciali, che da tempo stanno lavo-rando per rendere possibile questoobiettivo.

Abbiamo perciò ritenuto di por-gere loro alcune domande.

P. Giuseppe, solitamen-te si dice che occorre tornare aformare un’unica grande pro-vincia italiana perché ormai ireligiosi sono pochi. Le sembrauna ragione convincente?

Anche i numeri hanno una loroforza ed anzi rendono molto spessoevidente ciò che altrimenti si fa-rebbe fatica a scoprire. Se si è inpochi, sembra giusto mettere insie-me le risorse di cui ciascuno dispo-ne.

Però, attenzione: le ragioni del-l’unificazione non sono tutte qui.Con la complessità della vita con-temporanea e con l’insieme dei vin-coli che ci vengono dalle leggi edalle procedure, non è più così fa-cile agire nel sociale. Abbiamo bi-sogno di specializzare le competen-ze e di farle agire su tutto il territo-rio nazionale. Non sarebbe saggiomoltiplicare uffici di consulenza eagenzie di servizio. Ovviamente, nelprocesso di unificazione gioverà ca-pire chi farà che cosa, perché nonsucceda che si eliminano i doppionia livello di organismi centrali e poiperò si lascia tutto come prima.

Non basterà ridurre ad uno solo,il capitolo provinciale, occorre chel’unità attraversi tutte le comunitàe soprattutto tutte le coscienze.

P. Nicola, al di là dei nu-meri, lei crede che sia davveroutile questa unificazione?

Certamente sì. E’ utile perchériduciamo le spese e gli oneri com-

Speciale Unificazione

PARLANO I DUE MINISTRI PROVINCIALIIl processo di unificazione va avanti. Il mensile unicoper le due Provincie rappresenta una prima esperienzaconcreta verso l’unità. Ora si pensa pure ad un progettodi pastorale vocazionale nazionale e ad una serie di retitra religiosi che lavorano nello stesso ambito pastorale

plessivi che discendono dal gover-no delle Provincie e riduciamo glioneri di gestione attraverso formeconsociate nelle quali e per le qualiè possibile che ciascuna comunitàpossa entrare in una rete di servizicondivisi.

Nei prossimi mesi si dovrà mol-to lavorare per preparare questotraguardo.

Qualcuno pensa che la cosa piùdifficile, per l’unificazione, sia lamessa in comune dei patrimoni. Amio parere questo è un aspetto deltutto secondario. Se c’è la volontàdi farlo - e tutto fa crede che que-sta volontà non manchi - l’unifi-cazione dei patrimoni è soltantouna questione procedurale, di na-tura giuridico-formale, che si po-trebbe persino delegare a qualcheesperto, da vincolare all’onere dellarendicontazione in itinere.

È l’altro aspetto, quello che mipare più difficile, perché si trattadi costruire dal nuovo.

Dovremmo da subito incomin-ciare a fare esperienza di condivi-sione; soltanto così giungeremo benpreparati all’evento per il qualestiamo tutti lavorando con grandepartecipazione.

Abbiamo già qualche utileesperienza in proposito, sia nell’unache nell’altra Provincia, ma c’è dadisegnare una strada nuova e datrovare un nuovo stile.

P. Giuseppe, ma alla finedi tutto questo lavoro, sicura-mente impegnativo, le vostre co-munità come saranno?

Più adulte. Ecco la mia rispo-sta sintetica: saranno comunità cre-sciute nella disponibilità a mettereinsieme ciò di cui ciascuna dispo-ne.

Vede, questa frase (“mettere in-sieme”) fa pensare ad una speciedi cassa comune. Non è una que-stione di danari, ma una questionedi competenze, di disponibilità, disensibilità, di voglia di lavorare,di pazienza progettuale.

Dobbiamo convincerci che ogginon è più possibile lavorare nel so-ciale senza passare da una proget-tazione organica, puntuale e, percerti aspetti, puntigliosa. E questorichiede uno stile diverso dal soli-to, una disponibilità a collabora-re, e richiede pure alcune compe-tenze non proprio diffuse.

“Mettere insieme” significa an-dare a trovare queste competenze efarle agire per la rete delle comu-nità a beneficio dell’intera Provin-cia allargata.

P. Nicola, le due Provin-cie hanno già messo in campo al-cune esperienze condivise, ci puòindicare qualche altro campoverso il quale si potrebbe già dasubito lavorare in termini dimassima condivisione?

Fra le esperienze di condivisio-ne mi piace ricordare il giornale,questo giornale. Le pagine su cuiscriviamo non sono più le paginedi una periodico dell’una o dell’al-tra Provincia, ma di un mensile cheappartiene all’intera famiglia tri-nitaria italiana.

Voglia di comunione

P. GIUSEPPENon basterà ridurre,occorre che l’unitàattraversi ogni comunitàe soprattutto pervadatutte le coscienze

P. NICOLANon temo gli ostacoli,ma l’indifferenza.Sinora, però, ho notatotanta disponibilitàe buona volontà

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Speciale Unificazionedi Nicola Paparella

E l’esperienza sembra andarebene. Potrà migliorare, ma è giàben indirizzata.

Qualcosa di analogo si potràfare anche in altra direzione.

Mi piacerebbe far partire da su-bito, ad esempio, un progetto dipastorale vocazionale nazionale el’occasione ci può venire dalle sug-gestioni e i suggerimenti che ci ven-gono dal Consiglio generale allar-gato di agosto, e dalle testimonian-ze dell’ultima giornata mondialedella gioventù.

Potrebbe essere un campo di la-voro che, per la sua forza valorialee per il carattere simbolico che por-ta con sé, potrebbe risultare decisi-vo rispetto alla crescita della moti-vazione a favore dell’unificazione.

E lei, P. Giuseppe, puòdarci un altro esempio di lavorocondiviso da far partire subito?

Certamente, si potrebbe anchepensare ad una rete fra confratelliimpegnati nello stesso tipo di la-voro. Immagino, ad esempio, unarete fra Parrocchie affidate a Pa-dri Trinitari, per affrontare uno odue problemi comuni, mettendo in-sieme le risorse e le intelligenze ditutti. Si può pensare di realizzare,sempre a livello di rete di parroc-chie, ad iniziative comuni nel cam-po della pastorale familiare, nelcampo del disagio e della margi-nalità… Ce ne sarebbero di cose dafare.

E qualcosa occorrerà pur rea-lizzare nel tempo che ci manca ri-spetto al traguardo dell’unificazio-ne, in maniera da segnare una stra-da e di dare delle prospettive.

P. Nicola, per quella cheè la sua esperienza, lei pensa checi possa essere qualche ostacololungo il processo di unificazionedelle due Provincie?

Io non temo gli ostacoli, mal’indifferenza.

Sarebbe sciocco negare le dif-

ficoltà, ma si tratta di normalissi-me e comprensibilissime difficoltàlegate principalmente alle questioniburocratiche e giuridico formaliche non diventano mai ostacolo sesoltanto c’è la disponibilità e labuona volontà.

E sinora ho potuto registraretanta disponibilità e soprattutto tan-ta buona volontà.

Quello che temo è il rischio chequesto processo si possa compierequasi all’insaputa di alcuni, men-tre dovrebbe coinvolgere tutti, anzideve coinvolgere proprio tutti edeve trovare in ciascuno un effica-ce motore di cambiamento.

Non ci uniamo per lasciare tuttocome prima, ma ci unifichiamo perdare una nuova configurazione allanuova unica Provincia e quindi unnuovo progetto pastorale, una nuo-va attenzione alle questioni voca-zionali, un nuovo assetto alle operedi intervento nel sociale.

Occorre che gli attuali capitolisappiano accendere i cuori in fa-vore di questo slancio verso la no-vità. E’ questo quel che reputo es-senziale. Ed è per questo che invo-co la collaborazione di tutti e diciascuno.

P. Giuseppe, avete pen-sato a qualche misura transito-ria?

Le misure transitorie più effi-

caci sono quelle di cui abbiamo giàdetto, ossia alcune esperienze dicondivisione da mettere in atto dasubito. Si possono poi aggiungerealcune misure di tipo istituzionale,alle quali per il momento stiamosoltanto pensando. Anzi abbiamopersino avviato un’ampia consul-tazione per capire il livello di gra-dimento che può avere, ad esem-pio, una sorta di anno ponte chefaciliti il passaggio dall’attualestruttura gestionale a quella chepotrà venire ad unificazione effet-tuata.

Ma, per il momento sono sol-tanto ipotesi.

E lei, P. Nicola, che cosapensa di eventuali misure tran-sitorie fra l’attuale regime equello che potrà determinarsiper effetto dell’unità?

Vorrei stabilire (o soltanto ricor-dare) un criterio generale. Ognitransizione determina alcuni ele-menti di continuità ed alcuni ele-menti di discontinuità. Questo è in-negabile. Dobbiamo però preoccu-parci di tenere insieme discontinuitàe continuità. Come?

I nuovi organismi di governodovranno caratterizzare la loroazione - almeno per un certa faseiniziale - recuperando tutti i criterigià definiti dai precedenti organicapitolari. Le decisioni sarannonuove e dettate dai tempi e dalleesigenze, ma le regole di scelta sa-ranno quelle sin qui adottate dairispettivi Capitoli.

In questo senso e per questiobiettivi, si può anche giustificareuna fase transitoria, da interpreta-re come momento di creatività,come occasione per giungere a dellesintesi superiori, come possibilitàdi far crescere le nuove pianticellecon il supporto di quelle più an-ziane e più robuste.

Il dibattito nelle prossime setti-mane potrà servire a definire me-glio questa fase e i suoi obiettivi.

P. Giuseppe D’AgostinoP. Nicola Rocca

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Secondo le Scritture

LA VIA POST-MODERNAOggi è stata estromessa la responsabilitàdal normale orizzonte di vita, dandolei connotati di un’azione frenante della libertà

Due, due come gli occhi, comele braccia e le gambe. Due comel’uomo e la donna creati per il pa-radiso. Infatti il Signore disse: “Nonè bene che l’uomo sia solo: gli vo-glio fare un aiuto che gli sia simile…Il Signore Dio plasmò con la co-stola, che aveva tolta all’uomo,una donna e lacondusse al-l’uomo…”(Gen 2, 18.22).

Nel “due” è racchiuso il segre-to della bellezza originaria, e inelu-dibile, della relazione fra persone:per parlare, per gioire, per amare,occorre un “tu”, l’altro che mi fac-cia capire il senso delle mie azioni eche proprio perché resta altro dame, mi rafforza nella mia identità.

Senza un “tu”, infatti, del mioparlare resta solo un flatus vocis, ela mia gioia si trasforma in un sor-riso senza un volto; l’amore, che èdono di sé, poi, è irreale, perché senon c’è il perdersi nell’altro, nonposso gustare con la sua gioia, laforza della mia libertà. D’altra par-te, quel che rende ineffabile la Tri-nità è l’inesauribile “gioco” del donodi sé: il Padre dona senza riserve ilSuo Spirito al Figlio, il Figlio donatutto Se stesso al Padre e lo Spiri-to, “il terzo in Dio”, non comeun’aggiunta, ma come atto del lororeciproco donarsi, rende possibile

Il respirodel fratello

GRATUITÀ

tutto questo. Non possiamo nonvedere sullo sfondo di questa im-magine il fatto che proprio perchéil Padre e il Figlio, nello Spirito, siprendono reciprocamente cural’uno dell’altro e nel rispettivo as-sumersi la responsabilità dell’altrociascuno diventa più radicalmentese stesso. Potremmo per un istan-te riflettere a quanto ci aiuti il mi-stero dell’Incarnazione: la grandez-za sta nel fatto che essa ci fa “guar-dare Dio con gli occhi di Gesù”.Infatti, Dio che nella prima Allean-za si era rivelato agli uomini anchecon gesti di inaudita potenza ora,con l’Incarnazione del Verbo, rive-la più compiutamente Se Stesso inGesù, Uomo e Dio, “ponte” fral’umanità e il Padre, ma anche mo-dello da seguire per raggiungere unanostra piena realizzazione comepersone. Giovanni, l’evangelistacantore dell’amore, riporta alcuneaffermazioni di Gesù come: “Cometu, Padre, sei in me e io in te, sia-no anch’essi (gli uomini) una cosasola […] perché il mondo creda chetu mi hai mandato […] Io in loro etu in me, perché siano perfetti nel-l’unità e il mondo sappia che tu mihai mandato e li hai amati comehai amato me” (Gv 17, 21.23). Eanche: “Questo è il mio comanda-mento: che vi amiate gli uni gli altricome io vi ho amati. Nessuno haun amore più grande di questo.Dare la vita per i propri amici”(Gv 15, 12-13). La vocazione al-l’amore per il fratello, prendersicura di lui riceve così la più auto-revole delle conferme poiché è san-cita da Gesù stesso.

Provare un sentimento d’amo-re per l’altro significa, come Gesùlascia intendere, volere il bene del-l’altro e divenirne, in qualche modo,gli artefici. Cosa vuol dire alloravolere il bene dell’altro se non de-cidere di assumersene la cura? Tut-to questo, lungi dall’essere una de-minutio propria libertà, celebra lagrandezza di chi dona al punto dispogliarsi di sé come ha fatto Gesù,fino al supremo atto della croce.Decidersi per l’altro è assumere sudi sè la responsabilità della sua vita.Potremmo dire che in questo modosi giunge a giocarsi la forma più altadi libertà umana perché si compie

Provareun sentimentod’amore significa,come Gesù lasciaintendere, volereil bene dell’altroe divenirne,in qualche modo,gli artefici

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Secondo le Scritture

Il respirodel fratello

una scelta decisiva e radicale, in cuil’orientamento del proprio viverenon è condizionato da questo o daquest’altro, ma da un valore divinoed eterno nel quale si riconosce ilproprio bene. In altri termini nellaresponsabilità per l’altro si gioca lapropria libertà. Gesù ha insegnatoche la libertà è slancio e tensioneverso la Sua pace e verso la comu-nione con Dio. Infatti Dio, essereperfetto anche nella libertà, ha co-municato agli uomini per mezzo diGesù la strada per raggiungerla.Dice Paolo: “… e dove c’è lo spiri-to del Signore, c’è libertà” (2Cor3, 17). E ancora: “Cristo ci ha li-berati perché restassimo liberi; statedunque saldi e non lasciatevi im-porre di nuovo il giogo della schia-vitù […] Voi infatti, fratelli, sietestati chiamati a libertà. Purchèquesta libertà non divenga un pre-testo per vivere secondo la carne,ma mediante la carità siate a ser-vizio gli uni dagli altri” (Gal 5,1.13).

Nella prospettiva cristiana dellalibertà, dunque, vi è l’ampio spaziodella responsabilità come “motore”che alimenta la libertà stessa, finoa poter dire che senza responsabi-lità non vi è libertà. Al contrario,invece, la visione contemporanea,o post-moderna, ha estromesso laresponsabilità dal normale orizzon-te di vita, dandole i connotati diun’azione frenante della libertà.Senza la responsabilità la libertà siappiattisce su un presente miope ecarico di incertezze. Che cosa pos-so dare al fratello che incontro?

di Anna Maria Fiammata Senza dubbio intanto gli facciodono di qualcosa che non ha, equand’anche gli dessi ciò che oralui giudica superfluo, gli faccio donodi qualcosa che niente e nessunogli potrà offrire mai abbastanza: ladignità di essere creatura ricono-sciuta e amata, protetta e rispetta-ta.

Qual è allora la portata dell’an-nullamento post-moderno della re-sponsabilità? Sembra riecheggiaretristemente in quel “Sono forse ioil guardiano di mio fratello?” (Gen4, 9). Proprio in questa rinuncia siconsuma un gesto di chiusura inse stessi e di allontanamento dallacomunione con Dio. È il trionfo delnarcisismo, del culto di se stessi inuna reale dipendenza dai vizi e dallepassioni che si nascondono dietroil fragile paravento della libertà difare ciò che si vuole.

L’“altro”, invece, con la sua solaesistenza mi chiede di riconoscerloe ciò non per un limite alla mia li-bertà (cristianamente intesa), maalle mie dipendenze. Egli mi intro-duce in un mistero più grande dellavita, in quella parte inafferrabile, mapresente, che interpella il mio esse-re e si lascia interrogare, in un dia-logo in cui mi scopro “un nulla”senza una ragione di vita.

Ma come far comprendere al-l’uomo di oggi che la sua fuga dal-la responsabilità per il fratello, oltreche per se stesso, in realtà altro nonè se non una fuga dalla sua libertà?In realtà, questo è un compito mol-to difficile, perché la libertà cristia-na non fa parte di una dottrina chesi insegna, ma uno stile di vita chesi apprende vivendo con la convin-zione che nella storia degli uominiUno è venuto per mostrare di qualelibertà l’uomo sia degno. La cultu-ra contemporanea, con il suo mi-stificato senso del divino, si è ap-propriata dell’aspetto più appari-scente della libertà: “perché devoprivarmi del potere di fare ciò chevoglio?”, oppure “prima di tuttodevo stare bene con me stesso”, lìdove per “fare qualunque cosa” e“stare bene” sono le neo-divinità cuioffrire nuovi culti. Né si può igno-rare il fatto che malgrado i più sva-riati paradisi artificiali, l’inquietudi-ne dell’uomo moderno non passa ele fasi di una sua maggiore eviden-za si alternano a quelle della sua la-tenza.

La libertà cristiana si coniugacon la responsabilità per il fratello,perché nello spazio della responsa-bilità si gioca il vero potere di deci-dere.

INQUIETUDINELa libertà cristianasi coniugacon la responsabilitàper il fratello,perché nello spaziodella responsabilitàsi gioca sempreil veropotere di decidere

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Pagine Sante

Noi, quali foglie fa germoglia-re la stagione numerosa di fiori diprimavera, non appena crescono airaggi del sole / a quelle simili, peruna manciata di momenti, ci com-piacciamo dei fiori di giovinezza,non conoscendo da parte degli dèiné male, né bene / ci stanno perògià addosso le nere Chere, l’unadomina il termine della vecchiaiadolente e la seconda di morte / unframmento di tempo vive il fruttodi giovinezza, quanto sulla terra sidistende il sole / ma poi, dopo chesi sia oltrepassato questo terminedella stagione, subito esser morti èmeglio che la vita. È un’elegiasoffusa e dolorosa, questa del can-tore greco Mimnermo, l’insignepoeta pagano del VII sec. a. C., chearpeggiava la sua cetra cristallinatra i tramonti sulle spiagge di Smirnee i simposi, i banchetti notturni diColofone. E come poteva mai aprir-si il suo canto, se non con una fi-gura tra le più celebrate della storiadella poesia? Un autentico tòpos let-terario, un’immagine che dalla piùremota antichità classica viaggeràattraverso i secoli fino a ricompa-rire addirittura dalla penna diUngaretti, nel ricordo della GrandeGuerra, in una limpidezza concisa,ermetica, desolante. Noi uomini,siamo come foglie, che esistonosolo per l’intervallo fugace di unaprimavera. Trascorsa questa, pas-sata la giovinezza, è preferibile lamorte pur di sfuggire alle maledet-te Chere, le personificazioni mito-logiche della vecchiaia e del deca-dimento fisico. Già erano compar-se queste parole nei versi di Omero,dove il guerriero Glauco, campio-ne di parte troiana, secondo il piùalto modulo epico, poteva rispon-dere a Diomede: “Figlio di Tideo,perché mi interroghi sulla mia ra-dice? Quale la stirpe delle foglie,tale degli uomini: foglie che il ven-to disperde per terra, e altre la sel-va verdeggiante fa spuntare, quan-do è tempo di primavera…” (Iliade,canto VI). Sulle labbra del combat-tente, la similitudine assumeva al-meno uno smalto eroico per la men-talità arcaica del tempo: il profes-sionista della guerra deve esibire unadisincantata indifferenza sulla sor-

BERNARDINO REALINO DA CARPILa parabola del sacerdote poeta. Archetipodell’uomo giusto cresciuto all’ombra dei potenti

te che lo attende. Ogni giorno sulcampo di battaglia si uccide e si restauccisi. L’atteggiamento morale del-l’eroe è di superiorità rispetto al-l’inquietudine della morte in aggua-to. Egli può dare senso alla propriaesistenza solo aspirando a lasciareun ricordo perpetuo nei posteri, perla gloria ottenuta combattendo espirando con la spada in pugno.Nella ripresa di Mimnermo peròl’immagine delle foglie assume sepossibile un tono ancora più amaroe pessimistico. Qui non ha più la

funzione di esorcizzare la mortenella mischia, non mantiene il ruo-lo di armatura psicologica contro ilpanico della fine. A parlare non è ilduellante che sa di poter cadere dalsuo ramo, come foglia al soffio delvento autunnale. È il poeta stessoche riflette sulla natura dell’esisten-za. E il ritmo della vita prescrive,inevitabile il passaggio al decadi-mento fisico, dolorosa tappa primadella morte. Certo, nel ciclo inces-sante delle stagioni umane, torneràancora la primavera, altre fronde

di Andrea Pino

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Noi, quali foglie fagermogliare la stagione...

Pagine Sante

TESTIMONEEgli insegna ancoraall’uomo d’oggiad assaporareil gusto preziosodella speranzacristiana,non fuggendo dalpeso delle proprieresponsabilità, maleggendole alla lucedi quella mètaultima ed eternaverso cui si anela

verdeggeranno sui rami. Ma è dipoco conforto per chi appassisce.È singolare come anche nelSiracide, libro-perla in quello scri-gno di tesori rappresentato dai Te-sti Sapienziali dell’AT, si legga adun tratto qualcosa di simile: “Ognicorpo invecchia come un abito, èun legge da sempre: devi morire!Come foglie verdi su un alberofrondoso, alcune cadono e altregermogliano, così sono le genera-zioni umane: una muore e un’altranasce. Ogni opera corruttibilescompare e chi la compie se ne an-drà con essa” (Sir 14, 17-19).

Dovevano essere questi i pen-sieri di Bernardino Realino alla no-tizia tristissima della morte della suaChiara. Lui, giovane del ’500, poe-ta e letterato, rapito dalla passioneper la legge da quel vertiginoso epurissimo senso della giustizia chegli era connaturato nella persona.Lui, l’archetipo dell’uomo giusto:cresciuto sì all’ombra dei potentiin un tempo in cui il potere rendevainsindacabili e impunibili e facevacredere a chi lo possedeva di esse-re al di sopra di qualsiasi morale e achi ci stava intorno che doveva es-sere impossibile non stare al gioco.Lui, il podestà difensore dei miserie degli straccioni, nell’epoca in cuiai podestà non passava neanche perla testa l’idea di proteggere dai so-

prusi i poveri diavoli, tipo il Renzomanzoniano, perché era di gran lun-ga preferibile banchettare coi donRodrigo di turno. Può portare a tan-to l’amore per una donna? PerBernardino sì, tutto questo lo do-veva a lei, alla sua amata Chiara.Seguendo il modello dei classici,nelle sue poesie le aveva conferitopure un nome d’arte, Clòride. E aisuoi occhi, era lei che incarnava ilmodello di donna che la culturaumanistica aveva dipinto: “Signoraletterata, nobile e spirituale, poe-tessa e filosofa, di raro ingegno.Io mi sentivo attratto da un amoremeraviglioso e sentivo di dovere alei tutto quello che ci potesse esse-re di buono in me!”. Quest’ultimapotrebbe apparire l’espressioneiperbolica di un innamorato, eppu-re Chiara aveva saputo intuire ilvero Bernardino: un uomo che pro-prio non poteva fuggire dalle re-sponsabilità, un uomo che si sareb-be sentito davvero se stesso nellamisura in cui si fosse dedicato albene più universale degli altri per-ché bruciava in lui la volontà del-l’essere custode della pace e dellagioia di tutti! Ma ora che la suaamata non era più, caduta comefoglia autunnale nel pieno della gio-vinezza, poteva avere ancora unsenso la vita? La tristezza che pro-strava Bernardino divenne prestosconforto, angoscia, disperazionevera: “Diedesi senza ritegno alle la-crime, e con grande aborrimentodi qualsivoglia cosa di questo mon-do incominciò a bramar di morirequanto prima, per non sentir ognimomento pena di morte”, lasceran-no scritto i suoi primi biografi. ? inquesta drammatica, tormentata vi-cenda tutta umana, di un amore checommuove perché veramente de-gno di questo nome che all’improv-viso irrompe la luce divina nellastraordinaria grazia dei tre sogni.Nella notte del 17 Aprile 1560, comelui stesso racconterà, Chiara gliapparve per consolarlo e lo esorta-va “a servire di tutto cuore alla Di-vina Maestà, per un giorno venirelà su ove regna perfetto amore evita perpetuamente gioconda”. Po-chi mesi dopo, sempre in sogno,l’amata prova a confortarlo dicen-

do: “Amico, non sono io morta, no,ma vivo felicissima nella terra deiviventi. Acchèta dunque il dolorech’hai conceputo per la morte mia,ch’altrimenti mostrimi di dolerti delsommo bene ch’io godo”. E final-mente, il 1 Maggio 1561 gli indicanitidamente la sua missione: “Pur-troppo durano i pianti e i sospirituoi, Bernardino, né par che sap-piano ritrovar fine le tue querele.Sei in errore se aspetti pace ai tuoiaffanni da altro che da Dio Bene-detto: Egli solo può e vuol darte-la. Da Lui l’aspetta, di cui è pro-prio cangiar le pene in gaudii et inallegrezza l’afflizioni”. Questeesperienze interiori vissute doloro-samente dal nostro protagonista, gliaprono degli orizzonti mai pensatiprima. Non è semplicemente unsentimento amoroso che va placan-dosi col passare del tempo, per l’as-senza di ogni speranza. È inveceun sentimento nobile e ardente che,pur continuando i pianti e i sospiri,si va sublimando, e che determine-rà una linea e un programma di vitateso a mete superiori. Un amore chenon si spegne ma che giunge adaprirsi all’Assoluto, perché il dolo-re e la morte non sono l’ultima pa-rola, non è vero che tutto è perdu-to quando si cade dal ramo comeuna foglia secca e anzi, una rispo-sta splendida alla vita umana, chepuò apparire un enigma irrisolto edeterno, c’è ed è pure vicina. Bastasolo accoglierla. E una tale rispo-sta non può essere che Cristo stes-so, la sua Morte e Resurrezione.Così Bernardino Realino decideràfinalmente con gioia, vestendol’abito della Compagnia di Gesù, didedicarsi all’Amore Divino per leg-gere e fare partecipe di quest’otti-ca meravigliosa qualsiasi amoreumano, rendendo la sua vita sacer-dotale un poetico inno di benedi-zione al Signore. La parabola com-piuta da questo santo così grandee così singolare insegna ancora al-l’uomo d’oggi ad assaporare il gu-sto prezioso della speranza cristia-na, non fuggendo dal peso delle pro-prie responsabilità, ma leggendolealla luce intensa di quella mèta ulti-ma ed eterna verso la quale si è incammino e si anela.

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Catechesi&vita

di Franco Careglio ofm conv.I n base alle più recenti e pre-cise statistiche il numero deipoveri va aumentando in pro-gressione geometrica. La situa-zione socio-economica è grave.Noi comprendiamo sempre me-glio, oggi, che il destino di ognisingolo paese, nel futuro, è con-nesso inevitabilmente al desti-no di tutti gli altri paesi. Ormainon si può più pensare che in ter-mini universali, per ragioni direalismo e non di idealismo spi-ritualistico. Ecco perchè, già tantianni or sono, la B. Madre Tere-sa di Calcutta (1910-1997) dice-va (o scriveva) profeticamente:“il peggior male è l’indifferen-za”. Di fronte alla povertà chesoggioga tante famiglie (qui nelnostro paese, che ancora può ri-tenersi più che fortunato), allafame e alla sete stremanti checostituiscono lo strazio di tantipaesi poveri (ne abbiamo cono-scenza diretta attraverso i me-dia), sorge ineludibile la doman-da: la responsabilità è soltantodei governi o è anche mia? Senon avverto questa domanda(che pure mi solletica in fondoal cuore), devo rivedere con ur-genza il mio essere cristiano.

L’immagine più adeguata del-l’essere cristiano sta nel primo efondamentale comandamento ri-proposto con forza da Gesù: ame-rai il Signore tuo Dio, relativa-mente al quale ognuno dovrebbefarsi un profondo esame di co-scienza e confessarsene con piùfrequenza e sincerità. Ma comesi traduce nella pratica quotidia-na l’amore verso Dio? Anche quil’unica risposta vera viene dalVangelo: la parabola del buonsamaritano, nota a tutti.

Il prete e il levita passano ol-tre; fermarsi, chiamare l’ambu-lanza, chiamare il 118, è unagrossa seccatura; magari è sera,ci si è affaticati tutto il giorno,un pò di pace per favore.

Accade la stessa cosa quandoconosco quella famiglia, il cuipapà ha trentacinque anni, sichiama Giuseppe, la moglie Ma-ria, hanno due bambini di cin-que e tre anni; l’azienda di Giu-seppe è fallita, lui ora è disoccu-pato, Maria lavora come com-messa in un centro commercia-le, ci sono i piccoli da allevare,l’affitto da pagare... d’accordo,è penoso, ma si vedono semprefamiglie in difficoltà; non possomica farmi carico anche di loro.E poi, io che c’entro?

MADRE TERESA DI CALCUTTADi fronte a ogni forma di povertàsorge la domanda: di chi è la colpa?

Il male del secolo?La nostra indifferenza

C’è una vecchietta vedovasenza figli (anche li avesse cam-bierebbe forse poco, chissà) cheabita in fondo alla strada, pen-sione modestissima, arriva astento a fine mese, deve acqui-stare medicinali non mutuabili...si, lo so, ma quante ce ne sonosituazioni simili; come faccio apensarci, che ne ho già per con-to mio?

Il marocchino che stazionageneralmente presso l’ingressodella metropolitana viene daTunisi; vive di stenti e di strac-ci; ma ce n’è un’infinità, mioDio! Devo occuparmi anche diquelli?

Per grazia di Dio vi fu – ottosecoli fa – un prete, Giovanni deMatha, che lesse a fondo la pa-rabola del buon samaritano, nonsolo, lesse pure la Genesi, e ri-mase come senza fiato dinnanzialla risposta di un tizio a Dio chegli chiedeva di un suo parente:sono forse io il custode di mio fra-tello? E subito si diede da fare,non dormì più, neppure si co-struì una bella Tebaide per im-mergersi nella contemplazione enello studio, pur pregando tuttala notte. Spese se stesso fino alla

fine per dire a Dio sì, sono il cu-stode di mio fratello, la responsa-bilità è mia. Dopo e prima di lui,un’infinità di altri cristiani fe-cero altrettanto. Meno male.L’onore è salvo. I cristiani comeGiovanni ci tacitano la coscien-za. Possiamo dire che noi cristia-ni abbiamo fatto di tutto per sol-levare i poveri dalla miseria e gliinfelici dalla mala sorte. Il pro-blema è che tutto ciò non può es-sere delegato al Giovanni de Ma-tha o al Vincenzo de’ Paoli o allaMadre Teresa di turno. Se cosìfacessimo, inganneremmo in pri-mo luogo noi stessi e tenterem-mo, follemente, di ingannare Dioche continua a chiederci: dov’ètuo fratello? In questa domandasi ripercuote tutta la coscienzadel cristiano. Se rispondiamosono forse io il custode di mio fra-tello? interdiciamo totalmenteallo Spirito la fantasia, e a noi lacapacità di udire il “gemito del-la creazione” di cui parla SanPaolo (Rom 8,27); se rispondia-mo invece io mi sento custode dimio fratello liberiamo lo Spirito ediamo dignità a noi stessi e alleattese dell’uomo, perchè è appun-to con questo gemito che egli ten-

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Il male del secolo?La nostra indifferenza

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Catechesi &vita

A CHI APPARTIENE IL DOMANI?Nella consapevolezza del ‘mi riguarda’,si decide il futuro. Il gesto o la sceltache mi colloca nell’assunzione completaed onesta delle mie responsabilitàe nella giustizia evangelica darà all’amoreuniversale la piena e concreta traduzione pratica

Il male del secolo?La nostra indifferenza

ta di dar voce al proprio destino,alla propria ricerca di libertà.

Se vogliamo essere creatoridi libertà, come lo furono SanGiovanni, San Vincenzo e tuttigli altri, dobbiamo divenire uo-mini e donne dai gesti e dalle pa-role di verità, di coraggio, di tra-sparenza, di umiltà. I veri crea-tori di libertà, che si prendonocura dei loro fratelli e se ne sen-tono responsabili, anche pagan-do il prezzo del “disturbo”, del“perdere tempo”, del “fermar-si”, diventano costruttori diumanità, portando alla superfi-cie i tesori vecchi e nuovi comelo scriba saggio del Vangelo.

Il futuro è affidato - e benelo sanno coloro che le responsa-bilità se le vanno a cercare - nontanto agli uomini politici, che siaggirano nella strettoia terribi-le della ragion di stato, e nem-meno alle masse intere comeforza d’urto, ma a questa rivo-luzione sapienziale che si assu-me la tutela di ogni fratello, nel-la consapevolezza che centro cre-ativo della storia è la coscienzadell’uomo. Qui, nella consape-volezza del “mi riguarda”, si de-cide il futuro. Il gesto o la scelta

che mic o l l o c anell’assun-zione com-pleta edonesta del-le mie re-sponsabili-tà e nellag i u s t i z i ae v a n g e l i c adarà all’amoreuniversale lapiena e concretatraduzione pratica.La causa prima del-la crisi di fede che staattraversando il nostrotempo è la fuga da partedei cristiani delle loro re-sponsabilità. Il tempo dif-ficile in cui siamo entrati cirichiama, con la forza inesora-bile degli eventi, al ricupero diuna vita di gratuità e di amore,fuori dagli schemi conven-zionali e passionali delmomento, per essereuna testimonianzasofferta che si in-nesta nelle ra-gioni di speran- z adell’uomo.

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Magistero vivo

C’è l’altro.L’imperativo

Da diversi decenni assistiamo ad una esasperazio-ne, in senso individualista, della libertà: tutto ciò chemi fa comodo e che mi piace assurge a mio dirittosoggettivo, che prescinde da quello dell’altro. Si rea-lizza, in questo modo, una legittimazione della libertà ariduzione egoistica! Il diffondersi di questa tendenzaculturale crea una frattura innaturale nella identità del-la persona. L’autentica libertà individuale, infatti, èfondata sulla inseparabile relazione interpersonale esociale. La storia contemporanea, invece, ci vuoleconsegnare una eredità di contraddizioni e paradossilegati a false concezioni della tolleranza e dell’apertu-ra.

La tolleranza, originariamente, consiste nell’atteg-giamento pratico di chi rispetta l’agire o la opinionealtrui, pur non condividendole o addirittura condan-nandole. Oggi si identifica con il falso rispetto dellalibertà altrui, una tolleranza, cioè, fondata sullo scetti-cismo personale di chi non intende impegnarsi in al-cuna opinione, oppure accetta che altri vivano e pen-sino come vogliono, riducendo il tutto a stili di vita,gusti, preferenze intercambiabili. In mancanza di unfondamento comune del vivere insieme, la tolleranzadiventa indifferenza. Ma se tutte le azioni sono ugual-mente lecite e legittime e se hanno tutte il medesimovalore, allora io non potrò chiedere conto a nessunoné alcuno ha il diritto di chiedere a me qualcosa. Siperviene, così, alla solitudine personale e alla chiusuraall’altro. Quindi, la tolleranza e il rispetto come ac-cettazione indiscriminata di ogni azione e pensiero sonomiti che fanno comodamente fuggire da ogni forma diresponsabilità.

Non prendere posizione e non sviluppare opinionipersonali sono sintomi evidenti di un atteggiamento dipaura, di incapacità nel formarsi in modo critico e pro-fondo. Fare opera di discernimento fra azioni e pen-sieri buoni o cattivi, fra qualità buone o cattive, fraqualità apprezzabili e disprezzabili presuppone una in-terrogazione continua della propria coscienza; unavalutazione equilibrata e ragionevole delle conseguen-ze dei propri e altrui atti. Si tratta, in una parola, dellaresponsabilità personale in un’ottica di condivisionedei doveri e dei diritti.

Le paure e le indifferenze collettive si superanosolamente uscendo dall’individualismo narcisista e ildisimpegno noncurante. Si aprirà, allora, lo scenariodel vero successo come persona: la realizzazione e ilrispetto del proprio valore. Il valore si basa sulla digni-tà che ha ogni essere umano, sul rispetto dei suoi di-ritti inalienabili (primo tra tutti il diritto alla vita) e sul-l’assunzione del bene comune come obiettivo per sestessi. Se non riconosciamo che la dignità di ogni uomoè un diritto inviolabile, l’alternativa è la barbarie. Cosìcome l’alternativa ai diritti di ogni essere umano, è lapiù atroce ingiustizia. Una ingiustizia che si traduceinevitabilmente nella impossibilità di una convivenzaveramente umana e pacifica. Solo ancorando le pro-prie azioni alla legge morale, è possibile interiorizzare i

valori permanenti e irrinunciabili della pari dignità diognuno nella solidarietà reciproca. Si può parlare diconvivenza civile, cioè, solo quando coloro che vivo-no insieme si fanno carico di chi è più debole. Il mate-rialismo dominate vuole darci ad intendere che la civi-lizzazione consista nel progresso tecnologico, nel con-sumismo sfrenato, nell’aumento del PIL. Ma non sonola scienza e le tecnologie a poter dare un senso allanostra vita, così come “non è la scienza, ma l’amore aredimere l’uomo” (Spe Salvi, 26). In realtà il livello dicivilizzazione di una società si misura dalla diffusionedella cultura e dall’attenzione premurosa e solidale ver-so l’altro. Mettere ogni persona umana al centro delleproprie attività rappresenta la soluzione alla involuzioneculturale del presente. Un presente che si contraddicecon una legislazione apparentemente attenta ai diritti in-dividuali, ma realmente dissociata dall’obiettivo del benecomune. Lo scetticismo sostanzia una irresponsabilitàdi fondo, che legge la realtà con una grammatica disso-nante dalla verità autentica. Secondo il pensiero deboleè impossibile conoscere la verità, che sembra non esse-re più un dato oggettivo. Ma affermare che “è impossi-bile conoscere la verità” è già una presunzione di verità.Inoltre se ognuno ritiene di detenere la sua personaleverità senza sapere in che misura corrisponda alla realtàin se stessa, si chiude nel suo mondo e non ha senso

LA RIVOLUZIONE CRISTIANAHa trasformato gli individui in persone,le masse indistinte in una moltitudine di donne e uomini liberi,sciolti dalle catene del peccato e della morte

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Magistero vivo

di Giuseppina Capozzi

che comunichi con l’altro. La verità è, invece, nellacorrispondenza della mia intelligenza alla cosa; ed è undato oggettivo che si palesa nella sua evidenza a tutti e aciascuno, soprattutto nella relazione con gli altri. Eccoche nel confronto della mia persona con le resistenze ele potenzialità dell’altro, calato nella realtà della vita, sco-pro la misura del mio esistere. Scopro che se la miameta finale è il nulla, già ora vivo per niente. Se vivo perandare verso il nulla, la sostanza della mia vita è il nullastesso.

Qui si apre la logica del credente: per chi crede laregola non è solo la ragione, ma anche la volontà diDio che si manifesta in vari modi. La regola del cre-dente è costituita dalla ragione, quindi, che conosce lepiù ampie prospettive dell’essere umano, aperto allatrascendenza di un Dio buono e giusto che illumina lavolontà e la direziona verso il bene per se stessi e pergli altri. La volontà guida, quindi, la ragione nella rea-lizzazione della libertà vera. Questa libertà non è altroche la capacità di essere causa determinante delle pro-prie azioni, in modo consapevole, dopo essersi for-mati alla conoscenza completa di sé. La vera libertànon si limita perciò allo scegliere tra questo o quello,ma consiste nell’essere causa di se stessi. Dalla veralibertà deriva la vera responsabilità: la libertà continuaa proiettarsi, dopo la realizzazione dell’atto, nelle sue

conseguenze. Farsi carico delle conseguenze di un attoè giustamente la responsabilità. La responsabilità so-ciale è strettamente collegata alla evidenza che la per-sona umana è costitutivamente sociale; ma perché sipossa parlare di società umana deve esistere un insie-me di valori che configuri le formazioni sociali perchésiano veramente umane. I princìpi permanenti di rife-rimento sono legati alla integralità della persona (sog-getto, fondamento e fine di tutta la vita associata), albene comune (che è quello che favorisce lo sviluppopieno della persona), alla sussidiarietà (la società su-periore interviene, non sostituendosi ma integrandola,nell’attività costruttiva del bene comune della societàinferiore) e alla solidarietà. Nel dettato magisteriale dellaSollicitudo Rei Socialis, è evidenziato come la caritàcristiana possa realizzare pienamente la costruzionedel bene comune. “La Rivoluzione cristiana”, ha dettoBenedetto XVI a Verona, “ha trasformato gli individuiin persone; le masse indistinte in moltitudini di donnee uomini liberi, sciolti dalle catene del peccato e dellamorte”. La carità genera la solidarietà che è la capaci-tà di agire coerentemente al bene comune, al bene delprossimo: questo consiste nella partecipazione nellastessa umanità. Poiché il bene dell’umanità si realizzasolamente nel possesso dei beni che sono propri del-l’uomo come tale, si giunge così al significato più pro-fondo del termine ‘solidarietà’: “coloro che contanodi più, si sentano responsabili dei più deboli” (Sollieci-tudo Rei Socialis, 39). La solidarietà è la carità chediventa consapevole della interdipendenza di ogni uomonello stesso bene. Il contrario della solidarietà è il con-formismo. Il conformismo, come afferma il cardinaleC. Caffarra, è “la rinuncia a partecipare alla costruzio-ne del bene comune sia rifugiandosi nel proprio be-nessere sia uniformandosi alla mentalità comune. Ilconformismo, inteso in questo senso, nasce in fondodal rifiuto della persona di trascendere se stessa me-diante la scelta e l’autodeterminazione verso il benecomune”. È necessario, di conseguenza, un ordinenella e della carità, quell’ordo charitatis che metta sem-pre al primo posto le connotazioni di persona rispettoa quelle di appartenenza ad altri status inferiori.

Ma Benedetto XVI invita a riscoprire il volto au-tentico della carità: “senza la verità, la carità viene re-legata in un ambito ristretto e privato di relazioni, esclu-sa dai processi di costruzione di uno sviluppo umanodi portata universale, nel dialogo tra i saperi e le opera-tività” (Caritas in veritate, 4).

Uno sforzo non solo lessicale ma culturale, richie-de lo slittamento dal concetto di solidarietà a quello difraternità; dove per fraternità si deve intendere il su-peramento di interventi estemporanei nei confronti delpiù debole. Il senso di fraternità umana prevede il con-corso di tutti nel trovare soluzioni condivise per af-frontare i problemi dei nostri fratelli in modo struttu-rale. La riscoperta della fraternità umana può rappre-sentare un antidoto all’indifferenza e un potenziale peruna civiltà rinnovata.

BENEDETTO XVISenza la verità,la carità viene relegatain un ambito ristrettoe privato di relazioni,esclusa dai processidi costruzionedi uno sviluppo umanodi portata universale,nel dialogo tra i saperie le operatività

(Caritas in veritate, 4)

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A tu per tu

CARLO CASINI

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I più poveri tra i poverisono i bambini non ancora natiUccisi prima di nascere

LA DIGNITÀ UMANA COINCIDE CON LA VITA

Carlo Casini, “quello della vita”.Così è riconosciuto dappertutto. Ese di nomignolo non si tratta, di ungran complimento certamante sì.Se c’è, infatti, da fare un esempiovero di cristiano che si batte in po-litica per i valori che contano, il ri-tratto da disegnare non può essereche quello suo. Dal 1979 a tutt’og-gi ha sempre difeso “la questioneantropologica” o dagli scranni delParlamento italiano, o da quelli diStrasburgo. Con un debole parti-colare per la vita con la sua dignitàe per la famiglia con tutti i suoi di-ritti.

On. Casini, basterebbe leg-gere i titoli delle sue pubblica-zioni per formularle qualche do-manda. Ma preferiamo partireda un evento riportato nella suabiografia che salta subito agliocchi di chi conosce un pò i temie i valori del carisma trinitario.Lei, da magistrato, nel 1974 haricevuto la medaglia d’argentoal merito della redenzione socia-le per l’assistenza ai detenuti ealle loro famiglie. Perché?

Io avevo scelto la professionedi magistrato dopo aver a lungomeditato sull’idea di giustizia, in-tesa come la forza dei deboli. Neitredici anni in cui ho fatto il Pub-blico Ministero non mi pensavocome un “accusatore”, ma come un“promotore di giustizia”. Difenderele vittime dei reati significa pro-teggere i più “deboli”. Ma ancheil condannato è quasi sempre un“debole” e la pena rischia di ren-derlo ancora più povero. Tantevolte mi veniva in mente la frasedi Gesù: “non giudicate e non sa-rete giudicati” e mi domandavo“che cosa sto facendo?”. Poi miconfortavo riflettendo che io avreipotuto stare al posto della personadi cui chiedevo la condanna se lenostre condizioni familiari e am-bientali si fossero invertite. Mi di-cevo che non stavo giudicando lapersona nella sua intima verità,che è in rapporto con il bene ed ilmale, ma stavo giudicando i fattiche sono esterni alla persona. Que-sti pensieri portavano ad un atteg-giamento di “accoglienza” delcolpevole nel momento stesso in cuiera doveroso usare la severità ver-so di lui. Così sono divenuto talo-ra “amico” del condannato e del-

la sua famiglia. Ho verificato piùvolte l’importanza del “modo” concui si tratta l’imputato e il con-dannato, che può avvertire l’ini-micizia del magistrato anche quan-do questi chiede l’assoluzione el’amicizia anche quando vienechiesta la condanna.

Perché, dunque, una me-daglia?

In quel tempo fui de-legato a dirigere a Firen-ze il “Consiglio di Pa-tronato per i liberatidal carcere e le loro fa-miglie”, ente costitui-to presso tutte le Pro-cure della Repubblica,che aveva già costitu-ito una vera e propriafabbrica per dare la-voro agli exdetenuti(le “botteghe artigia-ne”), disponeva dellacollaborazione di un cor-po di insegnanti carcerarimeravigliosi, era in strettocontatto con uno specificogruppo della San Vincenzo(“opera delle carceri”), stava instretto rapporto con i padri Merce-dari, che in una apposita casa diaccoglienza (OASI) ospitavano gliexdetenuti. Io mi sono limitato adaccompagnare con gioia queste re-altà , ma non le avevo create, négestte io. Penso davvero che la me-daglia debba andare alle molte per-sone, magistrati, insegnanti, volon-tari, sacerdoti che oggi non ci sonopiù e che ho perso di vista.

Oggi, i Trinitari in Italia e nelmondo lavorano al servizio del-l’uomo per liberarlo dalle mo-derne catene che lo legano al-lontanandolo dalla felicità. An-cora oggi prestano il loro mini-stero nelle carceri e seguono idetenuti con le loro famiglie.Pensa che il loro carisma siaancora attuale?

Attualissimo. “Ero carcerato emi avete visitato”: la parola diGesù vale per tutti i tempi. Pur-troppo non siamo ancora riusciti atrovare uno strumento più efficacedella privazione della libertà perprevenire la maggior parte dei fat-ti socialmente più dannosi. Ma laprivazione della libertà resta sem-pre una degradante afflizione. Inol-

tre in carcere finiscono per lo piùpersone che sono esse stesse vitti-me di miserie, paure, fallimenti esi-stenziali, ferite, carenze affettive.Ed anche i “ricchi” che finisconotalora nelle prigioni sono precipi-tati da una grande altezza ed ilmale della caduta è particolarmen-

I più poveri tra i poverisono i bambini non ancora natiUccisi prima di nascere

LA DIGNITÀ UMANA COINCIDE CON LA VITA

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A tu per tu

di Vincenzo Paticchio

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I più poveri tra i poverisono i bambini non ancora natiUccisi prima di nascere

UMANA COINCIDE CON LA VITA

te doloroso. Qualcuno, come il fi-glio prodigo, dopo aver cammina-to per una vita in mezzo al fango,incontra il liberatore Gesù. Il sa-cerdote ha, perciò, nel carcere unaparticolarissima straordinaria fun-zione. Penso in questo momento adun paio di “cappellani del carce-re” che sono stati autentici santi,depositari di tutte le miserie uma-ne. Ricordo una rivolta nel carceredelle murate a Firenze (con unmorto) domata dalla parola delcappellano.

Quali sono secondo lei le nuo-ve schiavitù dalle quali l’uomoglobalizzato non riesce a svinco-larsi? In che modo lo può aiuta-re?

Ci sono i nuovi schiavi, tantopiù utili ai padroni in quanto nonsanno di esserlo: lavorano di buo-na lena. Penso soprattutto allaschiavitù della mente, colonizzatadai mezzi di informazione. Per re-cuperare la libertà occorre un gran-de impegno educativo.

Chi sono i nuovi poveri? Leistituzioni e la politica pensanomai a risollevare le sorti di chi,per un motivo o per l’altro, viag-gia sui binari di un’amnità pre-caria e poco dignitosa?

Noi pensiamo sempre in termi-ni economici ed è giusto. La disoc-cupazione è nella società industria-le la principale causa di povertà.C’è l’aggravarsi della fame e del-la sete nel terzo mondo. Il Comu-nismo aveva immaginato di riscat-tare i poveri attraverso l’annulla-

PRESIDENTE DEL MPVCarlo Casini è nato a Firenze il 4 marzo 1935.Laureato in giurisprudenza, magistrato della Cortedi Cassazione e giornalista pubblicista; è presiden-te del Movimento per la vita italiano ed autore disaggi su giustizia, famiglia, tossicodipendenza.Già esponente della Democrazia Cristiana, è statodeputato alla Camera, dove è stato eletto dal 1979 al1992: nella sua ultima legislatura nazionale, furelatore alla Camera dei deputati sulla proposta dilegge costituzionale che abolì l’autorizzazione aprocedere.È stato eletto parlamentare europeo nel 1984, nel1989 e nel 1994. Dopo lo scioglimento della Dc,aderisce al Ppi, in seguito passa al Centro Cristia-no Democratico (Ccd), per il quale è ricandidato alleeuropee ma non eletto, e successivamente all’Udc. Èdocente di diritti umani e bioetica presso l’Ateneopontificio Regina Apostolorum ed è membro dellaPontificia Accademia per la vita.Ritorna al Parlamento europeo nel maggio 2006,subentrando ad Armando Dionisi, nel frattempoeletto deputato nazionale. Casini, che porta lo stessocognome del leader dell’Udc Pier Ferdinando (nonv’è però legame di parentela, fra i due), èeurodeputato per la circoscrizione Centro e, alleelezioni europee del 2004 aveva ricevuto 54 milapreferenze. È iscritto al gruppo parlamentare delPartito Popolare Europeo.È membro della Commissione giuridica e dellaDelegazione per le relazioni con i paesi delMashrek; membro sostituto della Commissione perl’occupazione e gli affari sociali e della Delegazioneall’Assemblea parlamentare paritetica Acp-Ue.Viene rieletto al Parlamento europeo nelle elezionidel 2009 nelle file dell’Udc. Aderisce al gruppo delPartito popolare europeo.

I più poveri tra i poverisono i bambini non ancora natiUccisi prima di nascere

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A tu per tu

Ci sono i nuovi schiavi, tanto piùutili ai padroni in quanto non sannodi esserlo: lavorano di buona lena.Penso soprattutto alla schiavitùdella mente, colonizzata dai mezzidi informazione. Per recuperarela libertà occorre un grandeimpegno educativo

mento della libertà individuale, mail fallimento è sotto gli occhi di tut-ti. Sembrava vittorioso il liberismoeconomico e di mercato, ma proprioin questi giorni ne sperimentiamol’insufficienza. Nessuno ha ricettein tasca. Io posso solo riflettere checi sono altre povertà che nessunovuol vedere. Madre Teresa di Cal-cutta disse che i più poveri tra ipoveri sono i bambini non ancoranati, uccisi prima di nascere. C’è poila povertà dei giovani nel cui cuoreviene distrutta l’ansia dell’infinito,cioè della vera felicità, che è Dio, eche perciò si stordiscono nella dro-ga, nella violenza, nella banalizza-zione del sesso.

La biopolitica, di cui lei è ungran sostenitore, dovrà occupar-si soltanto della tutela della vitao non anche della sua dignità?Qual è il suo impegno personalecome europarlamentare cattoli-co?

La dignità umana coincide conla vita. Siamo tutti ugualmentedegni perché la nostra vita ha sem-pre un valore massimo e quindi nongraduabile. Il Presidente della Re-pubblica e l’ultimo barbone, il Pre-mio Nobel e il malato di mente, ilragazzo in carrozzella ed il vinci-tore delle olimpiadi hanno tutti lastessa dignità perché il loro valoreessenziale, al di là delle qualità edelle funzioni diverse, è il fatto chesono esseri umani. La loro vitaumana è la ricchezza decisiva.

La Camera ha licenziato laLegge sul fine vita. Ora il dispo-sitivo torna all’esame del Sena-to. È una buona legge? Ci saran-no altre Eluana?

La legge riafferma l’indisponi-bilità della vita umana; interpretacorrettamente la Costituzione; sbar-ra la strada all’eutanasia. I soste-nitori della “dolce morte” aveva-no delineato la loro strategia da

pietra è costituita dai c.d. “valorinon negoziabili”, in primo luogola vita. Essi sono il cemento uniti-vo, la base della politica. Per que-sto io sostengo da sempre la “cen-tralità politica del diritto alla vita”.Esso dovrebbe identificare almenoun partito, condizionare le allean-ze, sostanziare i programmi gover-nativi. Siamo lontani da questoobiettivo, ma è importante il fattoche sulla legge di fine vita e suquella sulla procreazione artificia-le l’ispirazione cristiana abbia ab-battuto la frontiera dei partiti.

Con l’introduzione dellaRu486 (la pillola del giorno dopo)negli ospedali, è tornato di gran-de attualità il tema dell’aborto.A volte si ha la sensazione chesi fa un passo in avanti e dueindietro nei confronti del dirittoalla vita del nascituro. È d’ac-cordo?

Sì. Penso che nella coscienzacollettiva si sia fatto strada il prin-cipio di “preferenza per la nasci-ta”. È ancora poco per giungereal riconoscimento del diritto allavita fin dal concepimento, ma è unpasso avanti per giungere all’af-fermazione di una autentica cultu-ra della vita e al superamento del-la iniqua Legge 194. I difensoridella legge dicono che essa ha ri-dotto l’aborto. È falso. Se gli abor-ti sono davvero diminuiti, ciò nonè stato causato dalla legge, ma dachi si oppone alla legge, cioè dalmagistero della Chiesa e dall’azio-ne assistenziale (130.000 bambinisono nati con l’aiuto dei Centri diaiuto alla vita!) educativa e cultu-rale dei pro-life. Ma dubitiamo cheuna diminuzione reale ci sia stata.C’è infatti un nuovo aborto tantoclandestino da essere non conosci-bile, causato da prodotti chimici.Basti pensare alle 380.000 confe-zioni della pillola del giorno ven-dute nel 2010, il che può aver de-

tempo. Basti riflettere che all’ini-zio del 1999 la Consulta di bioeti-ca laica presentò in Parlamento laproposta di legge per consentire lac.d. eutanasia passiva nello stessomomento in cui Beppino Englaropresentava il primo ricorso giudi-ziario per sospendere l’idratazionee l’alimentazione di Eluana. Allafine l’insistenza giudiziaria ha con-dotto a morte Eluana minando ilprincipio di indisponibilità dellavita. La legge ha riparato la brec-cia. Ma bisogna che sia rapidamen-te e definitivamente approvata an-che al Senato. Solo così non ci sa-ranno altre Elusane.

Può spiegarci bene che cos’èla Dat? In che cosa consiste lanon vincolatività del medico?

Il principio è che il bene è lacura. Ma occorre una alleanza tramedico e paziente. Perché la curasia efficace ci vuole collaborazio-ne tra loro. Sarebbe disumano por-tare con la forza in ospedale unmalato, ma è giusto consigliarlo arecarvisi. Ma il consiglio non èpossibile se il malato è incoscien-te, né sappiamo come reagirebbe ilpaziente. La presunzione è che tut-ti preferiscano vivere ed essere cu-rati. Ecco perché le eventuali di-chiarazioni del malato (che comun-que non possono chiedere compor-tamenti che conducono alla mor-te) non sono vincolanti per il me-dico. Egli ne deve tener conto, manon può essere un esecutore mate-riale.

Come per la Legge 40 sullaprocreazione medicalmente as-sistita anche per il fine vita si èregistrata una buona trasversai-lità nelle scelte della politica.Che cosa ne pensa?

È un segno di speranza. Peruscire dall’attuale crisi politicaoccorre un vero e proprio rinnova-mento civile e morale. La prima

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A tu per tu

terminato circa 70.000 aborti. Eccoun grande passo indietro.

Il Movimento per la vita chelei presiede si batte anche in fa-vore dei diritti della famiglia.Crede che i tentativi di ricono-scimento delle unioni di fatto edelle convivenze, che molto han-no preso piede in Italia tra i gio-vani, possano minarne ancor dipiù la sua stabilità? È secondolei prima di tutto un problemamorale o piuttosto sociale?

Nella laicissima DichiarazioneUniversale dei diritti dell’uomo silegge che “la famiglia è il nucleofondamentale della società e delloStato”. “Fondamentale” vuol direche se crolla la famiglia cadono lasocietà e lo Stato. Perché? Perchésenza la differenza sessuale non cisono i figli e quindi non c’è futu-ro; perché senza l’esperienza di unamore fedele e stabile non c’è edu-cazione civile adeguata. Non ognicompagnia può essere considerata“fondamento” dello Stato. Solo lafamiglia lo è. I legislatori dovreb-bero ricordarselo.

L’ultimo pensiero è per Gio-vanni Paolo II che lei stesso hadefinito “il Papa della vita”. Cifaccia dono di un suo ricordopersonale.

In questo momento di crisi ita-liana ed europea mi piace ricordarequello che Egli ci disse nel novem-bre 1988, dopo aver dichiaratol’aborto “sconfitta dell’Europa”. Cidisse: “l’Europa di domani è nellevostre mani. Siate degni di questocompito. Voi lavorate per restituireall’Europa la sua vera dignità:quella di essere il luogo dove la per-sona, ogni persona, è accolta nellasua incomparabile dignità”. Nel-l’anno della beatificazione stiamopensando di lanciare un concorsoin tutte le scuole d’Italia per farmeditare i giovani su queste parole.

PENSANDOCI BENEa cura di P. Luca Volpe

AutostopMi recavo per una visita alla miaterra e ai miei cari, in macchina.Giunto nei pressi di Benevento ilsemovente si impuntò e decise dinon proseguire la sua collabora-zione nell’area di trasporto conme. Non valsero a nulla preghie-re, suppliche, carezze,esortazioni e benedizioni. Conun senso di mutuo accordo esenza parole amare ci conge-dammo, l’automobile in unastazione di servizio ed io per lamia strada. Il paesello distanteuna cinquantina di Km, pertantomi incamminai verso Pietrelcinache ha visto tra i suoi nati P.Pio,la stessa meravigliosa persona èforse l’italiano più noto in tuttoil mondo. Camminavo sul latodestro ai margini della strada, ditanto in tanto esponendo il miopollice destro. Sono molti imessaggi che si scambiano trachi passa veloce e chi incede apiedi. Chi fa un segno che devegirare nei prossimi metri, chicon un certo disprezzo sfoggiaun sorriso ironico e beffardo, chisuona il clacson appena vicinoper spaventare. Si fermò final-mente un veicolo e mi fece segnodi salire. Mi accomodai nelsedile posteriore, dopo aversalutato la coppia davanti a meleggermente più attempati di me.In Pietrelcina vivevano alcunimiei parenti acquisiti. In dialogo.Fu grande la mia meravigliaquando sentii raccontare di loroamici, i quali in una situazionecome quella che stavamo vivendonoi dovettero registrare l’estra-zione di una pistola da parte dicolui che sedeva al mio posto e laminaccia di consegnare ilportafoglio, oppure di quell’altroche usando la sua sciarpa avevapreso per il collo l’autistasull’orlo di provocare unincidente e col il classico scopodi estorcere beni. Al che mipermisi di obiettare anzi pregaidi farmi toccare il suolo dellastrada, perché in quelle condi-zioni non mi sentivo a mio agio.Mi si disse: “questo non vale perlei, può succedere a volte di dareuna carezza senza rendersiconto che nella mano si nascon-de una spina. Molti anni or sono,quando le primavere vissute nonraggiungevano gli anta. Mi

recavo dal paese natio all’ospeda-le di Foggia per far visita a unapersona ammalata: mia mamma.Avevo sperimentato il percorsoin treno , in macchina guidata dame e quel giorno decisi diavventurarmi in autostop.Qualora non mi fosse andatasecondo il previsto, avrei potutotentare ancora una nuovaesperienza, cioè, a piedi; ladistanza di poco superiore aduna maratona. Sfrecciavanoalcuni prototipi e con miasorpresa si fermò una cinque-cento, immediatamente laragazza alzò il famoso sedile, siaccomodò nella parte posterioree lasciò a me il sedile anteriore afianco del suo fidanzatino.Apparivano in tutto lo splendoredella loro giovane età. Una voltaripreso il cammino, mi vennealla mente una solenne provoca-zione che cercai di esprimerecon parole abbastanza aspre.“Perché vi siete fermati? Nonstavate bene insieme? Non aveteniente da scambiarvi giacchè vifermate a dar passaggio a unterzo incomodo?”.Le parole di lui furono più dolcidello sguardo di lei per cuiprendendo la parola all’unisonoreplicarono “Tra poco vorremmoconvolare a nozze e vorremmoprepararci con un gesto nobileavremmo piacere di costruire ilnostro focolare. L’ospite in casao in macchina è un regalodall’alto che sarebbe belloscoprire. Un dono confezionato acui si deve togliere l’involucro”.“Ma tu chi sei?” - mi domandò lafidanzatina fissandomi negliocchi, carpendo l’attimo in cuimi voltai indietro. “Sono unmessaggero di gioia e di speran-za che ora calpesto questa terra,in realtà vivo al di là dell’OceanoAtlantico (Messico) e visitopersone che non possonoricambiare la cortesia (carcera-ti)”. Intanto l’ospedale siavvicinava e il sole era sulla viadel tramonto. Ascoltai parolesemplici: “vieni con noi, siamovicini alla nostra casa, ti presen-teremo i nostri cari”. Ricco dimille emozioni scesi dal veicolo,continuarono il loro cammino.Che sguardi con la codadegl’occhi!

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Nel cuore della capitalea due passi da S. Pietro

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Approfondimenti

di Annalisa NastriniCURA&RIABILITAZIONE

A colloquio con P. Nicola Rocca. L’accreditamento della Provinciadella Natività della B.V. M. per l’Educazione continua in medicina

Ecm, la formazione a braccetto col carismaI l carisma prima di tutto. Prima diogni servizio, di ogni attività sociale,di ogni esperienza orientata alla libe-razione integrale dell’uomo. Sembraquesto il fulcro e la motivazione del-l’accreditamento dell’Ente morale Pro-vincia della Natività dell’Osst all’ECM(Educazione continua in medicina). Percapirne di più ne parliamo con il Mini-stro Provinciale, Padre Nicola Rocca

Padre Nicola, la Provincia dellaNatività dell’OSST è stata accredi-tata dal Ministero della Salute al-l’ECM. Ci spiega questo sistema diaggiornamento grazie al quale chilavora presso le strutture sanitariedeve aggiornarsi? Perché questa ri-chiesta di accreditamento a nomedella Provincia Religiosa?

L’avvio del Programma naziona-le di Educazione Continua in Medi-cina è avvenuto nel 2002, in base alD.Lgs. 502/92 integrato dal D.lgs.229/99. La norma ha dunque previ-sto l’obbligo della formazione conti-nua per tutti i professionisti dellasanità (medici, psicologi, infermieried educatori professionali, terapistidella riabilitazione, logopedisti,ecc.), ciò significa che ogni anno ogniprofessionista deve acquisire un cer-to numero di crediti formativi ECMche dal 2008 sono 50 corrisponden-ti a circa 50 ore di attività formativa.

Indipendentemente dall’ECM eprima del 2002 nei nostri Istituti diAndria, Gagliano del Capo e Veno-sa si è sempre avuta una particolareattenzione per la formazione e l’ag-giornamento del personale che haportato all’organizzazione di varicorsi e seminari.

Per continuare questa attività diformazione era necessario accreditar-si come Provider ECM. L’accredita-mento come Provider ECM è il rico-noscimento da parte di un’Istituzio-ne pubblica, in questo caso dellaCommissione Nazionale per la For-mazione Continua, che un soggetto èattivo e qualificato nel campo dellaformazione in sanità e che pertanto èabilitato a realizzare attività forma-tive riconosciute idonee per l’ECM.

Dal 2002 tutti e tre i nostri Isti-tuti hanno provveduto ad accredi-tarsi singolarmente come Provider

ed ogni istituto ha più o meno orga-nizzato negli anni degli eventi for-mativi ai quali sono stati assegnatidalla Commissione Nazionale per laFormazione continua i crediti ECM.

Che cosa è avvenuto poi nel2007?

Con l’accordo Stato Regioni del2007 e l’entrata in vigore della Leg-ge n° 244, l’organizzazione e la ge-stione del Programma ECM sono sta-te sostanzialmente modificate e diconseguenza se si desiderava conti-nuare a realizzare attività formati-ve e di aggiornamento per il propriopersonale era necessario adeguarsialla nuova normativa.

Per questo motivo si è pensato dimettere in comune il patrimonio diesperienza e competenza acquisitonegli anni, di accreditare non più isingoli Istituti, ma l’Ente Provinciadella Natività, sicuri che insiemepossiamo essere testimonianza di im-pegno, punto di riferimento per tuttigli operatori che con noi lavorano erispettosi della Missione dell’Ordi-ne Trinitario così come indica l’art.37 dello Statuto della nostra Pro-vincia religiosa: “nei Centri il lavo-ro di tutti gli operatori risponda,oltre alla scienza ed alla tecnica,all’istanza dell’amore cristiano e delcarisma dell’Ordine della SS. Trini-tà…”.

Con questa nuova forma di ac-creditamento c’è già un piano di for-mazione comune a tutti e tre gli isti-tuti o ci stateancora lavorando?

Come tutte le fasi di transizioneil passaggio dal vecchio al nuovoaccreditamento ha comportato perl’anno in corso un sistema di forma-zione misto nel senso che alcune at-tività già realizzate nel primo seme-stre dell’anno hanno risposto almeccanismo del vecchio accredita-mento, mentre quelle che si realizze-ranno da questo momento in poi sa-ranno accreditate con il nuovo si-stema. Ciò significa che il piano diformazione 2011 è stato in parte re-alizzato ed in parte, proprio in que-sti giorni con la collaborazione deiresponsabili di tutti e tre i Centri, sista implementando per consentire la

realizzazione delle attività sino allafine dell’anno.

Inoltre si sta già lavorando perprogrammare le attività formativedel 2012. L’impegno è riuscire adassegnare ad ogni dipendente dellaProvincia, operatore della sanità, i50 crediti formativi ed al restantepersonale una congrua formazioneadeguata alla mansione svolta.

Quindi si sta pensando ad un ac-corpamento delle attività formativeper i tre istituti?

Ogni istituto lavora nel campodella disabilità, ma ogni Istituto sidifferenzia dall’altro, ha delle atti-vità in comune (residenzialità a Ga-gliano e a Venosa; semiresidenziali-tà, ambulatoriale e domiciliare adAndria e a Gagliano) e delle attivi-tà specifiche (centro diurno psichia-trico a Gagliano; ambulatori tera-pia fisica ad Andria). Ciò significache alcune attività di aggiornamen-to possono interessare operatori diuna sola sede oppure essere di co-mune interesse e quindi replicati inpiù sedi. Ciò dipende dal numero deipartecipanti e dai formatori. I for-matori possono essere nostri stessioperatori purchè in possesso dei ne-cessari titoli ed esperienza o ancheformatori esterni.

Enormi, dunque i vantaggi...Certamente, perché oltre a favo-

rire la condivisione delle varie espe-rienze significa poter realizzare at-tività formative corrispondenti ainostri bisogni che altro non sono chei bisogni dei nostri pazienti. Inoltreparticolare attenzione continueràad essere rivolta all’umanizzazionedei servizi nonché alla motivazione,all’accoglienza, alla relazione ed atutti quei valori che costituiscono ilvero significato della presenza tri-nitaria in questo particolare settoredi schiavitù.

Inoltre il personale non sarà piùcostretto a frequentare corsi fuorisede che comportano un dispendiodi risorse ed energie. Il tempo dedi-cato alla formazione sarà ben spesoperché finalizzato ad acquisire cono-scenze e competenze utili per miglio-rare la qualità del servizio offerto.

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In questo anno dedicato allaMadonna del Buon Rimedio, nel 50ºdella sua proclamazione qualePatrona coprincipale dell’OrdineTrinitario, continua la presentazio-ne di alcune immagini, santuari echiese intitolate a questo titolomariano in Italia. Ci siamo serviti,sopratutto, dell’opera dei PadriBonifacio Porres Alonso e NicolásArieta Orbe, “Santa María delRemedio”, Cordoba 1985.

Convento di Nostra Signoradel Pilar, detto “Trinità degliSpagnoli”

Fu fondato dai trinitari spagnolidella Provincia di Aragona nel 1560.Nel 1624 alcuni nobili spagnoli fon-darono una confraternita della Ma-donna “del Rimedio ovvero sia delRosario”; il 7 ottobre si teneva unaprocessione per i quartieri spagnolidi Napoli con l’immagine della Ma-donna del Rimedio. Nel 1745 que-sta confraternità si unì a quella del-la Santissima Trinità; papa Clemen-te XIII concesse a questo unito so-dalizio il titolo di arciconfraternita,avendo come scopo quello del ri-scatto degli schiavi e la sepolturadei poveri. Sopra la capella si leg-geva quest’iscrizione: Esta capillaes de la Real Congregación deNuestra Señora de los Remedios (=questa cappella appartiene alla Re-ale Congregazione di Nostra Signo-ra dei Rimedi).

Convento della Madonnadel Rimedio, detto “Trinitàalla Cesarea”

Nel convento della Trinità degliSpagnoli vivevano insieme frati ita-liani e spagnoli. Nel 1671 gli italianipassarono a vivere in una casa sitanella via Infrascata. Il 15.10.1715aprirono al pubblico la loro chiesa,intitolata alla Santissima Trinità e

alla Madonna del Rimedio; un qua-dro della Madonna del Buon Rime-dio fu posto ai piedi della Santissi-ma Trinità, che ancora si veneravanel 1845 (il convento fu soppressonel 1809). La festa si celebrava il 7ottobre. La chiesa esiste ancora,chiusa al culto dal 1980.

Convento di Santa Mariadelle Grazie al Trivio

Fondato nel 1886 è la sedeodierna della Provincia della Nati-vità della Beata Vergine Maria. Nel-la chiesa si venera un’immaginedella Madonna del Buon Rimedio,

Chiesa di Santa Mariadel Rimedio al Molo

Con questo titolo c’era una chie-sa nei pressi del porto di Napoli chevenne distrutta agli inizi del XXºsecolo.

Chiesa di San Nicolaalla Dogana

Nei primi anni del ‘800 si collo-cò in questa chiesa un quadro dellaMadonna del Buon Rimedio prove-niente da un’altra chiesa; forse sitratta di quello venerato alla Trinitàdegli Spagnoli.

Nel convento dei cappuccini si ve-nera un’immagine della Madonna delBuon Rimedio che salvò gli abitanti daun’epidemia di pestilenza.

CattedraleLa Madonna del Rimedio pos-

siede una splendida cappella a leidedicata nel Duomo, risalente alTrecento.

Santuario della Madonnadel Rimedio

Celebre santuario che gode di

20112011ANNO MARIANOdella Famiglia TrinitariaANNO MARIANOdella Famiglia Trinitaria

Napoli

CINQUANT’ANNIImmagini e santuari nel nostro Paeseintitolati alla Patrona dell’Osstnell’Anniversario della proclamazioneda parte di Papa Giovanni XXIII

Nulvi (Ss)

Maria SS. del Buon RimedioChiese e devozione

grande devozione popolare, sorgea 3 kilometri dalla città, in localitàNuracabra. In un documento del1665 si parla per la prima volta diquesta chiesa con il titolo del Ri-medio, detto in lingua catalana(Remey). I pellegrinaggi a questosantuario risalgono al 1820 circa;gli arcivescovi di Cagliari e Oristanoincoraggiarono questo pellegrinag-gio, al quale sovente presero parte.Nell’anno santo 1954, la Madonnadel Rimedio percorse in pellegrinag-gio tutti i paesi dell’arcidiocesi. Il7.9.1952, la Madonna del Rimediovenne coronata canonicamente dalcardinale Federico Tedeschini. Il31.5.1954 fu dichiarata da papa PioXII “ Patrona aeque principalis” ditutta l’arcidiocesi di Oristano. L’im-magine è in legno, la Madonna ap-pare in piedi con il bambino in brac-

Oristano

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cio, mentre nella mano sinistra por-ta lo scapolare trinitario con la cro-ce scalza; nella sua cappella apparescritta la frase: “In me remediummisit Deus ut curaret vos”.

Chiesa di Santa ChiaraSi venera un’immagine della

Madonna del Rimedio.

Chiesa di Sant’EfisioSi venera un’immagine della

Madonna del Rimedio.

La chiesa della Madonna delRimedio, posta ad un chilometrodalla città, è uno dei santuari piùnoti della diocesi di Nuoro; è statoreso celebre dal romanzo Canne alvento di Grazia Deledda. La chiesa

è del ‘600, grande e luminosa, conuna attigua casa per l’accoglienzadei pellegrini. Le festività della Ma-donna del Rimedio si celebrano neigiorni 10-12 settembre.

La chiesa dei Santi Cosma eDamiano venne affidata ai cappuc-cini nel 1593. L’immagine dellaMadonna del Rimedio risale al1600, e alla promozione che diquesta devozione fecero gli spa-gnoli in Sardegna. Porta in manolo scapolare trinitario, simbolo deidevoti e dei pellegrini ma anche dipenitenza.

È assai venerata dal popolo.Viene festeggiata l’ultima domeni-ca di settembre; accorrono fedelidi tutta la diocesi.

Convento di San DemetrioFondato dai trinitari spagnoli nel

1575, si sa che nel ‘700 si venera-va in esso un’immagine della Ma-donna del Buon Rimedio.

Convento del SantissimoCrocifisso all’Albergheria

Questo convento trinitario risa-le al 1616, quando padre FeliceCatoli, confessore del cardinaleDoria, ottenne la chiesa del Croci-fisso per il suo Ordine. C’era unacappella della Madonna dei Rime-di, rientrata rispetto alle Navate dellaChiesa, in cui venne fondata la Con-gregazione del Buon Rimedio cheoggi ha sede in Via Majali presso laChiesa di Maria SS. del Paradiso.

(continua nel prossimo numero)

Anno Mariano

Ozieri (Ss)

Maria SS. del Buon RimedioChiese e devozione in Italia

di P. Pedro Aliaga

Venite a me, voi tutti che sietestanchi della vita e avete soffertotanto, senza mai conoscere lagioia dell’amore e l’ebbrezza diun abbraccio fraterno; venite ame, voi tutti “rinchiusi in unacasa di riposo” dove i vostri figlie i vostri parenti vi hannodepositato nell’attesa chequalcuno chiuda i vostri occhi aquesto mondo e li apra per la vitaeterna; venite a me, voi tuttiammalati che giacete in fondoalla corsia di un ospedale, inmezzo a tanti disagi, freddezze eindifferenze e senza che nessu-no venga a lenire il vostrodolore, la vostra pena e la vostrasofferenza; venite a me, voi tuttihandicappati nel corpo e nellospirito, che non avete maiconosciuto la gioia della famigliae vi sentite perennemente soli,senza una carezza e privi di ogniconforto umano e fraterno;venite a me, voi spose e madri difamiglia, che avete conosciuto lapena del tradimento e non trovatepiù pace nel vostro cuore e visentite colpite nella vostradignità e nella vostra umanità;venite a me, voi tutti, che avetelasciato la patria e la famiglianella speranza di una sistema-zione che non si vede mai e chevi lascia ogni giorno delusi esfiduciati; venite a me, voi tutti

PERCHÈ SIGNORE?a cura di P. Orlando Navarra

Venite e meche lottate nella ricerca di unlavoro, che non si riesce mai atrovare e vivete sempre nell’an-gustia e nello scoraggiamento;venite a me soprattutto voipiccoli che siete il dono del mioamore e della mia predilezione.Sappiate che io vi porto nel cuoree soffro tanto nel vedervi sfrutta-ti, oppressi, maltrattati, mutilati,uccisi nella vostra innocenza enel vostro candore. Il mondo nonvi ama, perché è malvagio e lasua cattiveria arriva sino alpunto da farvi diventare merce discambio, oggetti da vendere e dacomprare, pezzi da offrire agliuomini ricchi, che però sonomiserabili, perché hanno tantapovertà nel loro cuore.Venite a me, voi tutti che vivetenella solitudine, nell’abbandonoe nello scoraggiamento. Gettatenel mio cuore di Padre ognivostra preoccupazione e ognivostro affanno. Io mi prendo curadi voi, perché siete mie creature,perché vi amo, perché ho dato lamia vita per voi, perché sono ilvostro rifugio e la vostra salvez-za, perché solamente in Mepotrete trovare la vera pace,solamente in Me potrete trovarela gioia di vivere e la forza perandare avanti. Io vi chiedo unasola cosa: abbiate fiducia in Me enon sarete delusi in eterno.

Orosei (Nu)

Palermo

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Istantanea

S. Mariaalle Fornaci

Roma

di Sergio A. Prado Flores

A giugno, abbiamo ricevuto la visitapastorale di S. Em. Card. AgostinoVallini nella nostra parrocchia.Non ho timore di sbagliarmidicendo che ci ha sorpreso a tuttiquanti andando fuori da tutti glischemi della tradizionale “formali-tà curiale”. Se potessimo riassu-mere la sua visita la chiameremmo“il chiodo fisso del 90%” Tutticoloro che sono stati presenti nelcolloquio precedente alla S. Messa,potranno capire cosa vuol dire“novanta percento” per il SantoPadre e per il Cardinale Vallini.Infatti, dopo aver ascoltato l’attivitàdegli operatori pastorali e di sapereche un 10% di persone delterritorio frequenta la Chiesa, ciha detto che “il rischio del nostrotempo è che Dio sparisca dall’oriz-zonte del mondo contemporaneo!”Il Santo Padre desidera che tuttiquanti noi ci adoperiamo con nuovoentusiasmo e nuovi metodi percollaborare più con il nostroparroco per fare sì le cose cambinonella Diocesi di Roma e nel mondointero. Non posso qui fare nemme-no un breve riassunto di quello checi ha detto ma tutti quanti abbiamosentito che un Fratello maggiorenella fede ci esortava a camminareverso la santità “con tanta umiltà esenza nessuna arroganza”...Tutti abbiamo bisogno dello Spiritodi Pentecoste che ci faccia “trafig-gere il cuore”, tutti abbiamobisogno della Parola viva di Gesùche ci faccia “riscaldare il cuore”e che ci spinga a condividere conaltri una vita da risorti. Tuttiabbiamo bisogno di una spinta forteche ci faccia uscire e dire come i

discepoli “non possiamo tenerciquesto dono solo per noi”; non sitratta di vivere una religione freddama di sperimentare e di condividereuna vita da risorti. Essere “creden-ti o religiosi” non è la stessa cosache essere cristiani! Parlando tradi noi, abbiamo condiviso la comunesensazione che il nostro Pastore, anome suo proprio e del Santo Padre“ci ha riscaldato il cuore”, come aidiscepoli di Emaus! Speriamo chetutto quello che noi abbiamocondiviso con Lui e tutto quello cheEgli ci ha esortato a vivere, riesca adiventare una nuova sintesi perfare un passo nuovo nella nostraparrocchia e nella Diocesi di Roma.Grazie a Lui ci siamo sentitiesortati a considerare la nostravicinanza a San Pietro come unimpegno nuovo per diventare unaparte molto più attiva della Diocesidi Roma e della grande ChiesaUniversale. La sfida è grande e perniente facile. Voglia lo SpiritoSanto concederci quella convinzio-ne profonda che il dono della fede èun dono che non può restare chiusonelle strutture rigide degli statutidel nostro movimento, associazioneo gruppo apostolico. “E’ l’ora di unanuova collaborazione intraecclesia-le che promuova la parrocchia piùche il proprio interesse di parte odi gruppo” ha detto una dellecatechiste. Se ascoltiamo questomessaggio urgente e accorato,dobbiamo prendere atto che hasuonato per noi l’ora di andare acondividere il dono della fede conuna testimonianza più credibile,più comunitaria e più semplice!Faccio una menzione al Sindaco di

Il chiodo fisso del 90%

Roma Gianni Alemanno e alle altreautorità civili che ci hanno accom-pagnato nella messa.Egli ha inaugurato la nuovastruttura infermieristica perl’attenzione ai bisognosi di curemediche semplici. Alla fine dellamessa, in ultimo, S. Em. Vallini habenedetto e ha tolto il telo al nuovoBronzo che raffigura in chiavemoderna la missione dei PadriTrinitari.

Il Card. Valliniin parrocchia.

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IL RISCHIODio non può spariredall’orizzontedel mondocontemporaneo

Il Card. Valliniin parrocchia.

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25rinitàTL iberazione

Istantanea

Un Cristo di bronzo cheaccoglie a braccia aperte uncristiano e un mussulmano e,per la prima volta sullafacciata di una chiesa roma-na, confinante con San Pie-tro, una scritta in arabo cheinneggia alla pace e allaconcordia. Il bassorilievo,del diametro di un metromezzo, che arricchisce conun messaggio attualissimo ilpanorama dell’arte sacraromana, è stato inauguratodomenica 19 giugno dalCardinale Vicario AgostinoVallini e dal sindaco GianniAlemanno. L’opera delloscultore Luciano Capri Ottiormai campeggia sulla faccia-ta seicentesca della Parroc-chia di Santa Maria alleFornaci, all’ombra dellacupola vaticana, lungo lastrada dei pellegrini che

transitano dallaStazione di SanPietro. Si trattadellarielaborazione inbronzo del celebremosaico medieva-le, realizzato daimaestricosmateschi peronorare GiovanniDe Matha, santo eobiettore di co-scienza, fondatoredei Padri Trinitari,con la missione diliberare i prigio-

IL SINDACOAlemanno e il Vicariohanno inauguratouna scultura dedicataal dialogo religioso

di P. Mario Castiglione

nieri di tutte le guerre sante,senza distinzione di razza o difede. “Il tempo di crociate egihad si è storicamentechiuso da ottocento anni, masoggiace vivo fino ai giorninostri, come tendenza nonsopita, nei rapporti tra mon-do occidentale ed islamico”ha dichiarato Padre GiulioCipollone, trinitario emedievista di fama interna-zionale.“All’indomani del grandeconvegno diocesanosull’iniziazione cristiana,abbiamo voluto iscriveresulle mura cittadine un segnovisibile di quell’amore che‘trafigge i cuori’ e può cam-biare indirizzo alla vita dellepersone e alla storia deipopoli” ha concluso P. MarioCastiglione, Parroco di SantaMaria alle Fornaci.

Il Card. Valliniin parrocchia.

Visita con regalo

L’abbraccio di Cristo

Il Card. Valliniin parrocchia.

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Presenza

QuiBernalda

Una nuova casa per disabili e anzianidi P. Angelo Cipollone*

Là dove ieri cresceva l’erba oggisorge una bella chiesa dedicata allaSS.ma Trinità ed una grande Casache ospiterà persone disabili ed an-ziane. L’Ordine Trinitario che è alservizio dell’Uomo sofferente da ot-tocento anni e da quaranta in Basili-cata, precisamente a Venosa (Pz),intende servire l’Uomo in nome diDio Trinità anche in questa bella ter-ra di Metaponto - a Bernalda (Mt) -che un tempo portava proprio ilnome di “Civitas Sanctae Trinita-tis”, Città della Santa Trinità. “Chivede la carità vede la Trinità” dice-va il grande Santo e Padre dellaChiesa S. Agostino. I Trinitari de-siderano che la chiesa e la loro Casain Bernalda diventino un unico gran-de santuario della SS.ma Trinitàdove il cristiano possa lodare il Si-gnore amando i fratelli e amare i fra-telli lodando il Signore: “Gloria di Dioè l’uomo vivente” diceva S. Ireneo,altro grande Santo e Padre dellaChiesa. Questo concetto di vicinan-za e somiglianza fra Dio e l’uomo loesprime molto bene il carisma deiTrinitari che è quello appunto di lo-dare Dio Trinità liberando l’Uomodai loro bisogni: “Gloria a Te Trinitàe libertà all’uomo prigioniero”, que-sto è il loro motto in conformità conla Chiesa la quale insegna che il pri-mo comandamento è amare Diosopra ogni cosa e il secondo è simi-le al primo: amare i fratelli come sestessi. Spontanea mi viene una pre-ghiera che mi auspico possa esseredi quanti sono chiamati a servirel’Uomo in questa “Casa Santuario”:“Signore Gesù tu che hai posto tan-ta attenzione verso i più deboli, imalati, i diversi, aiutaci a guardarechi ci sta accanto come fratello daascoltare, accogliere, amare, nonsolo a parole, ma con gesti concre-ti. Solo così scorgeremo il tuo verovolto, ricordando che l’unica via perconoscere Te e il Padre che Ti hamandato, è amare il prossimo”.

*Direttore dell’Istituto PadriTrinitari di Venosa e Bernalda

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Presenza

La nuova chiesa di Bernalda allarga il cuore dei Tri-nitari presenti a Venosa da quarant’anni. Come ci sonocarismi che sono difficili da spiegare, così ci sono ope-re che si fa fatica ad illustrare. Spesso le parole, perspiegare, circoscrivono, limitano, cercano di contene-re. Lo sguardo muto, ma intenso, dell’innamorato è piùeloquente di mille parole pronunciate per dire “ti amo”.Si può illustrare il carisma dei Trinitari che in tre paroleracchiudono tutta la loro missione, l’esistenza di unOrdine religioso? È una bella fatica. Proviamoci. “Ascol-tare, accogliere, amare”. Queste tre parole sono il pa-rallelo, la conseguenza, delle tre parole su cui si fondanon solo l’Ordine, ma la nostra stessa fede: il misterodella Trinità. Padre, Figlio, Spirito Santo. “Tutta la sto-ria della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero eunico: Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia eunisce a sè coloro che sono separati dal peccato”. Mase si fa fatica a capire e comunicare l’unicità del nostroDio, è facile vedere, lasciarsi coinvolgere, lasciarsi av-volgere dalla luce che illumina tutti i misteri della fede eche presenta singolarmente le tre Persone che costitu-iscono il nostro unico Dio. E dietro ad ogni Persona èrivelata la specificità della missione. L’Ordine dei PadriTrinitari ha scelto di manifestare, vivendo la sua mis-

sione, l’importanza di un così alto mi-stero. E lo presenta a noi, lo comunicacon una semplicità disarmante, tantoda farci dire, con S. Agostino, che noi“possiamo vedere la Trinità nella cari-tà”. E questa carità è il risultato, la te-stimonianza, di un vero cammino spi-rituale e umano fatto di ascolto e di ac-coglienza. Se vuoi arrivare al cuore deltuo interlocutore, devi ascoltarlo. Èquello che fanno i Trinitari, in contro-tendenza, proprio con chi ha moltopoco da dire con i linguaggi conven-zionali e troppo dice con la sua condi-zione fisica e psichica, da ultimo. Lanostra società, lo constatiamo con tut-ta evidenza, tiene in considerazione solochi è capace, chi è in grado di essereproduttivo, di arrivare sempre fra i “pri-mi”. La missione, l’opera, l’azione deiTrinitari, allora, non è forse l’invito fortee pressante a dilatare il cuore all’esi-stenza di una dimensione totalmente di-versa da quella con cui facciamo i contiogni giorno? È la tenda di Venosa cheha spostato fin qui i suoi paletti, fino aBernalda: ha allargato il suo spazio, haallungato i teli di quella dimora, ha di-steso le cordicelle, ha cambiato posto

ai sostegni del suo recinto per accogliere, per fare po-sto qui, a quanti ancora oggi sono all’ultimo posto. Quan-do, quelle persone, un posto ce l’hanno. Questa domusdi Bernalda doveva essere la casa per le loro ferie: sivoleva dare ai ragazzi il mare, la sabbia, il sole che peranni è stato cercato in situazioni di emergenza, da ac-campati, a Vico del Gargano e a Metaponto. Ma quel-l’idea, nata dal cuore e dalla premura di chi da sempreha messo al primo posto loro, gli ultimi, padre AngeloCipollone ha fatto sì che il suo Ordine potesse farlavivere in tutta la sua coerenza con la missione procla-mata e testimoniata. Questo posto era stato abbando-nato. Una vecchia masseria ormai disabitata: era il sim-bolo di una civiltà contadina che sempre più va estin-guendosi. C’è voluto il cuore e l’intuizione di chi per iragazzi vive, per pensare di arrivare al risultato che oggi,non senza ammirazione e gratitudine, è sotto i nostriocchi. Un vero e proprio villaggio della solidarietà.

Questa nuova Chiesa, consacrata da S.E. Mons. Sal-vatore Ligorio, Vescovo di Matera-Irsina, è dedicata allaSS. Trinità. È il cuore, il punto di arrivo e di partenza diquell’accoglienza che i Trinitari vogliono per le loro do-mus. La sua struttura accoglie i due vecchi silos checontenevano le scorte di cereali e di foraggio della vec-chia casa agricola. Oggi sono due piccole cappelle dellanuova chiesa: una raccoglie il tabernacolo del SS. Sa-cramento, l’altra l’icona della Madonna del Buon Rime-dio. Sarà il luogo benedetto nel quale la preghiera delcuore di tanti ospiti e visitatori potrà più agevolmenteelevarsi al Cielo, luogo di culto, arricchito, impreziositocom’è da mosaici carichi di luce, di colori, di segni, disimboli, di immagini della storia della Salvezza che maniabili, sapienti e umili di artisti e ragazzi hanno saputorealizzare. È qui che l’ascolto e l’accoglienza si fa amo-re, si fa pane di vita, si fa dono per molti. Non solooggi, nello splendore e nella condivisione della festa,ma tutti i giorni, nel sostegno e nel servizio di quantivorranno affidarsi alle cure e alla condivisione dei Tri-nitari, alla ricerca del bene integrale dell’uomo, della suapromozione. Un invito a non diventare noi segni sbiadi-ti, ripetitori distratti di riti e formule che possono pre-sentare in modo confuso l’essenza di quello che dicia-mo e facciamo “nel nome del Padre, del Figlio e delloSpirito Santo”.

Quando in questa chiesa, lentamente, si dissolve-ranno l’odore dell’incenso, l’armonia dei canti, il bisbi-glìo delle preghiere, ognuno potrà portarsi con gioia,nel cuore, l’intensità dello splendore della luce dei mo-saici, la forza dei loro simboli, la bellezza dei colori, deiloro segni, che restano ad illuminare la Sua presenzasacramentale accanto alle carezze materne di Colei cheper tutti e su tutti, con amore, pone rimedio, semprepronta a lenire fatiche, angosce, dolori e sofferenze.

di Franco Deramo

Dai carismi alle opere: Trinità e carità

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Presenza

QuiLivorno

di Monica Leonetti

Un dipinto del ‘700 per la festa di S. Ferdinando

Molti veneziani si sono recati nella loro amata Par-rocchia per celebrare la festa del Santo patrono cheha restituito all’antico splendore il quadro seicentescodove il Santo, re di Castiglia e di Leon, viene raffigu-rato con il mondo in mano, da una parte, e con laspada dall’altra; ma con lo sguardo rivolto al cielo per-ché consapevole che tutto quanto un uomo possiede,è dono di Dio. Veramente quella di san Ferdinando, èuna figura starordinaria. Nato nel 1205 e morto a cin-quant’anni, vissuto nell’epoca della “Reconquista”,riuscì per la sua valenza nell’arte della guerra, ma an-che per quella della pace, a riportare quasi tutta la Spa-gna al cattolicesimo. In questa sua opera, non fu unsanguinario, ma con la forza del dialogo e della pacecontribuì a pacificare i rapporti tra arabi, cristiani edebrei, tanto che alla sua morte, vicino alla tomba, nellacappella della Cattedrale di Siviglia, dove in una teca èvisibile il suo corpo incorrotto, troviamo una lapidescritta in quattro lingue: arabo, ebraico, latino e casti-gliano, dove si esaltano le sue qualità di uomo di dialo-go e di pace tra i popoli e le religioni.

Il quadro che nella Chiesa omonima è ritornato alsuo splendore originario, era stato nei secoli trascura-to, e fissato su una parete del corridoio del convento;casualmente il Parroco don Lorenzo Moretti in unmomento in cui la piena luce del giorno lo stava illumi-nando, si accorge che le bandiere dipinte facevanoriferimento alla Castiglia, Leon e Al-Andalus, i territoridel Re Ferdinando. Chiamata la Sopraintendenza delleBelle Arti, dopo un apposito studio, fu chiarito essereSan ferdinando e si offrì di restaurarlo e togliere cosìquella cupa e spessa patina che lo copriva. La Dotto-ressa della Sopraintendenza, Loredana Brancacci, in-tervenuta all’inaugurazione, ha espresso grande sod-disfazione per questo intervento conservativo e di re-stauro che ridona alla Parrocchia la visione del Re Santodi cui essa porta il nome.

La celebrazione eucaristica è stata presieduta daMons. Paolo Razzauti che, dopo aver scoperto e be-nedetto il dipinto, ha ricordato il parallelismo tra la fi-gura operatrice di pace e di dialogo del Santo con lapresenza dei Padri Trinitari che presenti fin dalla metàdel Seicento a Livorno sempre si sono adoperati eoperano per il dialogo e la liberazione dalle persecuzio-ni dei cristiani perseguitati. Per tale occasione è stataricordata anche la memorabile figura di Padre Sagliet-to, che per oltre cinquant’anni è stato punto di riferi-mento per il quartiere veneziano e la città. Una delega-zione delle Cantine del Venezia, insieme a Suardi Luigiha deposto un mazzo di fiori in sua memoria.

A conclusione della celebrazione, alla presenza diS.E. Monsignor Giusti, sono stati presentati i vari la-vori di restauro nella Chiesa attuati tra il 2010 e il 2011.

Gli archeologi dello Studio Thesan hanno mostrato imosaici del pavimento restaurati e le tombe che sonostate bonificate dall’acqua infiltrata. Interessante l’in-tervento dell’antropologo, il Dottor Carnieri il quale haspiegato come dallo studio delle ossa si possa risalirealla storia dell’individuo e della comunità. Nella Livornodel ‘700 alto era il tasso della mortalità infantile (30%) ele condizioni igienico sanitarie molto precarie. Diffusierano i reumatismi e quasi tutte le persone anziane nonavevano denti.

L’architetto Silvia Pagni ha poi presentato gli studiper i lavori di consolidamento strutturale che in parte èstato attualizzato e che dovrà essere realizzato non ap-pena saranno erogati i nuovi fondi. Infine la Cooperati-va CER delle Belle Arti di Firenze ha descritto l’inter-vento di restauro degli stucchi della calotta del catinoabsidale che presentava delle forti infiltrazioni che pote-vano causarne il crollo. Il restauro ha riportato in evi-denza la policromia degli stucchi con un elegante effet-to di chiaro-scuri.

Nelle cappelle laterali sono state allestite delle te-che contenenti gli oggetti raccolti e classificati e sonocorredati da pannelli illustrativi. Rimarranno espostial pubblico fino al 15 giugno.

Molte autorità erano presenti alla cerimonia: il Pre-sidente della Provincia Giorgio Kutufà, il Presidentedella Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, l’av-vocato Barsotti, il Provveditore agli Studi Elisa Ama-to, il Vice Console di Spagna, Cesare Fremura e laPresidente della Circoscrizione 2.

Monsignor Giusti nel suo intervento ha salutato consoddisfazione l’atteggiamento che si sta consolidandonella Diocesi, di una sinergia tra pubblico e privato persalvaguardare il patrimonio ecclesiastico che non è solopatrimonio dei credenti, ma è patrimonio di tutti. L’ar-te non ha una connotazione specifica ma è l’espres-sione dell’interiorità dell’uomo che parla al cuore ealla mente di chi la osserva.

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Presenza

Nel mese di giugno, si è tenutanella zona del porto di Livorno, laprocessione del mare in onore allaMadonna del Buon Rimedio. Que-sta processione, partita in sordinadiversi anni fa, col tempo ha vistouna accresciuta partecipazione nonsolo cittadina, ma del quartiere sto-rico della Venezia che ha avuto neiPadri Trinitari una presenza costan-te e autorevole durante i secoli eche ha annoverato figure di rilievotra cui l’indimenticabile Padre Sa-glietto. La Cantina del Venezia, hauna venerazione particolare per laParrocchia di San Ferdinando e perl’icona della Madonna del Buon Ri-medio alla quale ricorre sempre pri-ma che si svolga il Palio Marinaro.Pertanto, ecco che con l’inizio del-l’estate si è andata consolidandoquesta pia devozione popolare chevede la Madonna del Buon Rime-dio uscire dalla Chiesa e portata inspalla dai veneziani, attraversare leantiche strade del quartiere per poiarrivare alla Cantine del Venezia dovei rematori recitano la Preghiera dellasezione nautica: “Ti accogliamocon gioia e con fede o Madre delBuon Rimedio! Sorridi al nostroentusiasta spirito sportivo e allenostre fatiche! Mettiamo sotto la tuaprotezione la nostra Cantina, il no-stro competere e le nostre famiglie.Benedici i vogatori di ieri, di oggi edi domani e tutti gli appassionati chesi sono occupati e che si occupanodi questa sezione nautica e dei suoiatleti”. Dopo la benedizione del Ve-scovo, la “caricano” sul propriogozzo e seguita da altre imbarca-zioni con sopra il Vescovo, i sacer-doti del Vicariato e il coro sardo, laportano per una prima sosta allaCapitaneria di Porto e quindi all’An-dana degli anelli ossia la Calata Sie-na. Questo è il momento più com-movente perchè sbarcata la Madon-na, tutti le si fanno intorno e le vie-ne rivolta la preghiera per la gentedel mare e per i Caduti del Mare:“[...]Intercedano, per noi La Ver-

gine Maria, Madre del Buon Rime-dio, stella del Mare, Santa Giulia etutti i testimoni del Vangelo i cuinomi sono nel Libro della vita. Ri-splenda il tuo volto, o Padre, sucoloro che sono morti in mare, suimolti Padri trinitari imbarcatisi perandare a liberare gli schiavi, sui pa-racadutisti caduti alla Meloria, sul-le vittime del MobyPrince, sui ma-rinai, sui lavoratori del porto, suipescatori. La tua benedizione ci ac-compagni tutti nell’itinerario deltempo verso il porto dell’eternasalute”.Questa bellissima e sentitapreghiera suscita sempre una fortecommozione ed anche quest’annoi numerosi presenti che erano con-venuti, hanno avuto gli stessi sen-timenti, tanto che il silenzio si è fattoancora più attonito quando il trom-bettiere ha suonato le struggentinote del Silenzio. Al termine la fol-la, ha cominciato compostamentea lanciare i petali di rosa sulle ac-que del porto a significare che il ri-cordo per coloro che non ci sonopiù non consiste solo nel pensierodei cari che sono morti, ma dei pro-pri cari ancora presenti e tra noi eche ci accompagnano in questocammino terreno.

La Madonna accompagnata sta-

volta via terra, lungo le strade delquartiere ha fatto poi ritorno nellaChiesa di San Ferdinando. Mons.Giusti, dopo aver ringraziato il par-roco Padre Lorenzo e i Padri trini-tari unitamente ai parrocchiani e alleassociazioni che molto hanno con-tribuito alla riuscita della pro-cessione, ha sottolineato comeMaria sia molto invocata sia per ivivi che per i morti “perchè è unadonna, mortale come noi che ora èin paradiso e ci dimostra che an-che da lassù è sempre occupata esi da da fare per noi”. Guardandoalle sue numerose apparizioni, intutti i luoghi della terra, ci accor-giamo che essa si lega sempre adun fatto reale, vedi Lourdes conl’acqua miracolosa, o a Fatima, chemostrò la sua presenza ai settanta-mila convenuti facendo roteare ilsole.

Essa ci vuole testimoniare lasperanza che oltre la morte c’è ilParadiso e perchè anche per noi lesue porte siano aperte, basta dare ilprimato a Cristo, aderendo al Van-gelo. Essa soffre quando siamo lon-tano dal Vangelo e la processione èun invito a ricordare che Cristo hail primato anche sul porto e lungole vie del mare.

La Madonna del Buon Rimedio in processione

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Presenza

L’estate al Centro: spettacoli e viaggi a cavallo

QuiVenosa

Grandi e tanti avvenimenti han-no caratterizzato la lunga estate pres-so il Centro dei Padri Trinitari di Ve-nosa. Come di consueto, anche que-st’anno, l’arrivo della bella stagioneè stato salutato con la Festa d’Esta-te. Lo spettacolo, che ha visto pro-tagonisti i ragazzi dell’Istituto deiPadri Trinitari di Venosa, si è tenutoil 24 giugno scorso alla presenza diun pubblico numeroso ed affezio-nato che attende ogni anno questoappuntamento. In prima fila ancheil sindaco di Venosa che ha potutoassistere alle esibizioni dei nostri ar-tisti. Le performance diverse ed ori-ginalissime sono derivate dalle varieattività che, durante l’anno, i ragaz-zi svolgono con gli operatori delCentro: educatori, fisioterapisti as-sistenti e volontari del servizio civi-le. Sono nate così le musiche della“Banda senza problemi”, le recitedella “Compagnia dei burattini”, iballetti de “I Girasoli2 e le canzonied i musical dei “Rollinstò”. L’arte el’espressività come mezzo di tera-pia, come strumento per raggiun-gere l’autostima e l’autonomia, maanche semplicemente un fantasticospettacolo che ha tenuto tutti incol-lati alle sedie fino alla fine della sera-ta, accompagnando gli “Artisti” conapplausi a scena aperta.

Secondo importante evento del-l’estate venosina è stata la quartaedizione del viaggio a cavallo daVenosa (Pz) a Bernalda (Mt).

“Con questa impresa - terapeu-tica, sportiva e turistica – i ragazzidel Centro hanno voluto lanciare atutti, Istituzioni, Associazioni e cit-tadini, una richiesta: si aspettanouna mano di aiuto e di sostegno alleloro esigenze e ai loro bisogni”. Cosìpadre Angelo Cipollone, Diretto-re dell’Opera dei Padri Trinitari diVenosa, ha presentato l’avventuranella conferenza stampa di presen-tazione, tenutasi a Potenza. La lun-ga passeggiata si è conclusa nellanuova domus realizzata a Bernaldadai Padri Trinitari proprio per loroe che sarà sia la sede estiva per iragazzi ospiti dell’Opera di Venosa,

Qui Medea

in attività da oltre quaranta anni, siala sede per il nuovo impegno deiPadri Trinitari nel delicato compitodell’assistenza alle fasce deboli, aidisabili e agli anziani. Infine, in esta-te si è riunito il comitato del Pre-mio Viglione per valutarne le atti-vità e i lavori. Quest’anno il “Pre-mio Tomaso Viglione: Uguaglianza

nella diversità” ha coinvolto gli stu-denti di tutte le scuole del Distrettoscolastico n.1 della Basilicata (ol-tre 10 comuni). “La adesioni rice-vute rappresentano un dato di as-soluto rilievo - commenta ClaudioCiavatta. “Ciò testimonia una cul-tura ed una sensibilità nei confrontidelle persone con disabilità semprepiù mature. Sia le Istituzioni scola-stiche, attraverso le varie iniziativepromosse, sia gli studenti, attraver-so i vari contributi candidati al “Pre-mio Tomaso Viglione”, rappresen-tano esempi concreti che devonoentusiasmarci. È possibile supera-re lo “stigma”. È possibile ricono-scere pari dignità a tutte le perso-ne. Si sottolinea, inoltre, come ogniprogetto evidenzi, nella diversità deilinguaggi, la possibilità di accostarsia queste problematiche con delica-tezza e responsabilità”.

Alla tradizionale festa d’estate, tenutasi nel giardino del Centro Resi-denziale “Villa S. Maria della Pace” dei Padri Trinitari a Medea, hannopartecipato le massime autorità locali, dal sindaco di Medea Bergamin, alDirettore Generale dell’Asl 2 “Isontina” Gianni Cortiula, al prefetto MariaAugusta Marrosu, assieme a molte altre autorità politiche ed amministra-tive regionali. Il consulente Marco De Palma ha sviluppato la consuetaanalisi di quanto fatto nel corso di un anno e di quanto si sta facendo: c’èun sogno, importante, la realizzazione del Residence distinato a 24 perso-ne adulte con autismo in condizione di criticità, che dovrebbe essereultimato entro il prossimo anno; una struttura innovativa, la seconda delgenere in Italia, la quarta in Europa. Un obiettivo cruciale, che ha trovatogli elogi di quanti hanno preso la parola nel corso dell’incontro: il sindacoBergamin, il Direttore Generale Cortiula, il prefetto Marrosu ed il consi-gliere provinciale Alessandro Zanella, mentre l’ex consigliere regionaleAdriano Ritossa è stato applaudito per aver regalato un prezioso tapisroulant agli atleti dell’Associazione Sportivo-Dilettantistica “GiulianoSchultz”. Dopo una succinta esposizione dell’attività di detta associazio-ne, il responsabile tecnico Luciano De Mitri ha proclamato atleta dell’an-no Doriano Rizzi, ancora fresco della recente trasferta sportiva in Grecia,per essersi distinto in qualità di atleta polivalente. E dopo i discorsi, lospettacolo. Alcuni ospiti del Centro Residenziale hanno aperto le danze:prima sono venuti i balli folkloristici, con la partecipazione congiunta dei“Danzerini di Lucinico”; poi, i ritmi classici hanno ceduto il posto a quellipiù moderni.

Balli folkloristici alla Villa

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Ultima

QuiSS. Cosmae Damiano

Lettera aperta alle famiglie della comunitàIl cammino verso la costruzio-

ne della nuova chiesa aggiunge unaltro piccolo passo verso il raggiun-gimento dell’obiettivo. Il parroco,Padre Giuseppe D’Agostino, hascelto da subito di condividere talepercorso con i suoi fedeli, renden-doli partecipi di tutto ciò che è ine-rente l’aspetto tecnico e le strettevie burocratiche. È stato quindideciso di convocare un’assembleacittadina a fine giugno dove poteresporre tutte le problematiche, illu-strare il progetto della nuova chie-sa e soprattutto dare voce ad even-tuali richieste di chiarimento.Talecammino è proseguito con l’inviodi una lettera a tutti fedeli, rinno-vando l’invito a condividere taleprogetto. La lettera si apre con unricordo a Padre Massimo Tonti.Con lui, scrive Padre Giuseppe “hocondiviso, nel profondo, le gioie ele inquietudini della nostra comuni-tà. Tra queste ultime vi era sicura-mente la problematica strutturale eimpiantistica della chiesa: “motivoquesto di continui disappunti diPadre Massimo, di continue richie-ste di messa in sicurezza dalla Cu-ria ma soprattutto di continui esbor-si di denaro della Parrocchia perinterventi costosi e molto spessosenza soluzione del problema”. Pa-dre Giuseppe ricorda poi come nel-l’autunno del 2007, per dare unpunto fermo e affrontare meglio ladimensione del problema, tecnicidel settore esposero le criticità del-la struttura e degli impianti in unariunione pubblica. Da quel momentoè stato un continuo susseguirsi diiniziative, sopralluoghi, controlli eprese di coscienza del problema daparte di tecnici e rappresentanti delComune, della Provincia, della Cu-ria e della Cei. A seguito di questofermento, lo scorso anno, in occa-sione della festività parrocchiale inonore di S. Anna, la comunità rice-vette la notizia che la ConferenzaEpiscopale Italiana (dopo aver va-lutato attentamente costi/beneficidella ristrutturazione o ricostruzio-ne della chiesa) si impegnava for-

malmente allo stanziamento di fon-di per la ricostruzione, con abbatti-mento, della nostra Chiesa. “Hofermamente creduto - scrive PadreGiuseppe - che da quel momento,con questa operazione, l’attualestruttura, costruita grazie all’impe-gno pastorale intenso e senza sostedi Padri Trinitari presenti nella co-munità dagli anni ‘70 ma anche dalcontributo lodevole di benefattoridella comunità e residenti all’este-ro (per tutti Usa e Canada) portas-se con se a soluzione tutte le pro-blematiche e accompagnasse inopportuna continuità la costruzio-ne di una nuova chiesa bella e fun-zionale “sintesi tra continuità e no-vità, tradizione e creatività” proget-tata valutando ogni possibile rica-duta in termini acustici, sonori, ter-mici, estetici, ecc”. Da allora il cam-mino per accelerare i tempi è statointenso e talvolta faticoso. Con lalettera, Padre Giuseppe ha volutofare il punto, e ricordare alla Co-

munità, le problematiche che l’at-tuale struttura presenta, sia il pro-getto della nuova casa comune, siale motivazioni che hanno spinto laCei a “finanziare un contributo del75% sui lavori di ricostruzione nel-la chiesa e casa canonica per Euro1.365.787,50. (A memoria il con-tributo per la ristrutturazione sareb-be stato del 45%). A questo finan-ziamento va aggiunto un contribu-to della Provincia di Euro 100.000per i costi dell’abbattimento ed uncontributo regionale in via di defi-nizione. Anche in seguito a questainiziativa ho approntato un faldoneche contiene ogni documentazionepertinente: costi dell’opera, compu-ti estimativi di confronto tra ristrut-turazione e nuova edificazione, attideliberativi vari degli Enti coinvoltinell’iniziativa”. “Chiunque ne voles-se prendere visione e/o chiederemaggiori informazioni - concludeil parroco - può fare libera richie-sta in parrocchia”.

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