Linee guida per la progettazione della viabilità forestale in Lombardia: stabilità delle
scarpate e opere di stabilizzazione
Prof. Gian Battista Bischetti
Dr. Tommaso Simonato
Istituto di Idraulica Agraria dell’Università degli Studi di Milano
Via Celoria, 2 – 20133 Milano
Documento redatto nell’ambito del contratto di ricerca tra Università degli Studi di Milano,
Regione Lombardia – D.G. Agricoltura e C.M. della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esine e
riviera, “Interazione tra processi idrologici e viabilità forestale nel bacino sperimentale del t.
Pioverna orientale (Valsassina) - ipotesi di criteri di progettazione della viabilità forestale”.
Milano, 2005
La viabilità agro-silvo-pastorale rappresenta un fattore strategico per il mantenimento e lo sviluppo socio-economico delle popolazioni residenti nelle aree montane e collinari della regione Lombardia. Per tutelare le attività agro-forestali in questi territori, è necessario ampliare e conservare una diffusa ed efficiente rete viaria che permetta una corretta e moderna gestione agricola e forestale. Bisogna però prendere atto che la realizzazione di nuove strade agro-silvo-pastorali, costruite senza idonee opere di regimazione delle acque superficiali e di contenimento dei versanti, nonché la carente manutenzione della viabilità esistente, costituiscono una delle potenziali cause d’innesco dei fenomeni di dissesto idrogeologico. La Regione Lombardia, già con la direttiva adottata con deliberazione n. VII/14016 del 8 agosto 2003, ha definito le strade agro-silvo-pastorali suddividendole in classi di transitabilità, anche sulla base delle caratteristiche costruttive (larghezza, pendenza ecc.). Inoltre ha fornito una metodologia per il loro censimento anche in funzione della programmazione degli interventi di manutenzione, ed ha indicato delle soluzioni tecniche-amministrative atte a migliorarne le caratteristiche costruttive, promuoverne la gestione e la regolamentazione del transito. Con questo manuale la Regione Lombardia intende fornire ai tecnici di tutti gli enti competenti, Comunità Montane, Amministrazioni Provinciali e Comuni, e ai liberi professionisti uno strumento per una corretta progettazione e realizzazione delle strade agro-silvo-pastorali. Attualmente nella pratica progettuale e realizzativa corrente della viabilità continuano ad essere ripetute una serie di “cattive pratiche”. Generalmente i progettisti non sviluppano a sufficienza i progetti che risultano carenti nella raccolta dei dati topografici, geomorfologici, idrologici, idrogeologici. Inoltre non vengono generalmente utilizzate al meglio le informazioni territoriali che la Regione rende disponibili attraverso il suo Sistema Informativo Territoriale. Spesso la limitata disponibilità finanziaria determina la scelta di privilegiare lo sviluppo lineare della strada a discapito della realizzazione delle opere “accessorie” di regimazione delle acque superficiali e di consolidamento delle scarpate, anche se questo può comportare maggiori oneri costruttivi. Mentre queste opere di fatto risultano determinanti nella riduzione dell’impatto ambientale e consentono di limitare gli interventi di manutenzione e quindi i costi di gestione. In particolare il volume ha come finalità di riassumere le conoscenze e le innovazioni tecniche relative ai rapporti tra la circolazione idrica, la stabilità del pendii e la viabilità agro-silvo-pastorale, cercando di fornire una revisione critica ed un aggiornamento alle tecniche di regimazione delle acque e di consolidamento dei versanti fino ad oggi adottate, anche alla luce delle diverse esigenze connesse all’aumento della fruizione turistico-ricreativa.
Vicepresidente della Regione Lombardia e Assessore all’Agricoltura
Viviana Beccalossi
I
INDICE
1 INTRODUZIONE .............................................................................................................1
2 DISSESTI E VIABILITÀ FORESTALE .........................................................................3
2.1 Introduzione..............................................................................................................3
2.2 Instabilità di versante...............................................................................................3
2.2.1 Definizione .........................................................................................................3
2.2.2 Tipologie di movimento .....................................................................................3
2.2.3 Attività................................................................................................................6
2.2.4 Cause delle frane ................................................................................................8
2.2.5 Ruolo dell’acqua nell’instabilità di versante ......................................................8
2.3 Instabilità dei pendii artificiali ................................................................................9
2.4 Tipologie di dissesto più frequenti nell’ambito della viabilità agro-silvo-
pastorale ..............................................................................................................................11
2.5 Valutazione della stabilità dei versanti.................................................................12
2.6 Identificazione delle aree suscettive d’instabilità ................................................15
3 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SEZIONI.....................................17
3.1 Introduzione............................................................................................................17
3.2 Tecniche costruttive ...............................................................................................17
3.2.1 Compensazione scavo-riporto ..........................................................................18
3.2.2 Riporto parziale ................................................................................................19
3.2.3 Scavo ................................................................................................................19
3.2.4 Rilevato ............................................................................................................20
3.2.5 Gradonatura ......................................................................................................20
3.2.6 Attraversamento di frane superficiali con meccanismo rotazionale.................21
3.3 Pendenza delle scarpate .........................................................................................21
3.3.1 Scarpate in roccia .............................................................................................22
3.3.2 Scarpate in terreni.............................................................................................23
4 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DELLE SEZIONI ........................................26
4.1 Introduzione............................................................................................................26
II
4.2 Opere di drenaggio della scarpata ........................................................................27
I metodi che possono essere applicati per migliorare le condizioni di drenaggio, sia
superficiale che profondo, e conseguentemente per migliorare le condizioni di stabilità
di una scarpata sono prioritari rispetto ad altri metodi di stabilizzazione, perché
generalmente producono sostanziali benefici a costi significativamente inferiori. ......27
4.2.1 Fosso di guardia................................................................................................28
4.2.2 Dreni suborizzontali .........................................................................................28
4.2.3 Cuneo drenante.................................................................................................29
4.3 Opere di sostegno....................................................................................................29
4.3.1 Generalità .........................................................................................................29
4.3.2 Criteri di progetto .............................................................................................30
4.3.3 Palificate...........................................................................................................32
4.3.3.1 Generalità .....................................................................................................32
4.3.3.2 Tecnica costruttiva .......................................................................................34
4.3.3.3 Materiali impiegati e tempi di realizzazione ................................................37
4.3.3.4 Messa a dimora delle talee ...........................................................................39
4.3.3.5 Dimensionamento delle palificate a parete doppia.......................................40
4.3.4 Scogliere e muri in pietrame ............................................................................43
4.4 OPERE DI RINFORZO E DI COPERTURA.....................................................45
4.4.1 Gradonate .........................................................................................................45
4.4.1.1 Dimensionamento.........................................................................................46
4.4.2 Grate vive .........................................................................................................49
4.4.3 Inerbimenti .......................................................................................................50
4.4.4 Coperture diffuse..............................................................................................51
5 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................53
APPENDICE 1: ANALISI DI STABILITA’ DEI PENDII ..................................................58
Introduzione........................................................................................................................58
Metodo del pendio indefinito.............................................................................................58
Scivolamenti planari...........................................................................................................60
Presenza di acqua lungo il pendio ....................................................................................61
Frattura di trazione ...........................................................................................................62
Carico uniformemente distribuito ....................................................................................63
III
Metodo di Bishop semplificato (1955) ..............................................................................64
APPENDICE 2: VERIFICHE DELLE OPERE DI SOSTEGNO........................................68
Forze agenti e cenni sul calcolo della spinta delle terre ..................................................68
Estensione teoria di Rankine .............................................................................................70
Presenza di una falda........................................................................................................70
Effetto di un sovraccarico uniforme.................................................................................70
Opera con base inclinata...................................................................................................72
Verifiche dei muri di sostegno...........................................................................................72
Verifica alla traslazione....................................................................................................73
5.1.1 Verifica al ribaltamento....................................................................................75
5.1.2 Verifica al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento)....76
APPENDICE 3: TERMINI DELLA LEGENDA DELLA CARTA LITOLOGICA ALLA
SCALA 1:10.000 (CARTOGRAFIA GEOAMBIENTALE, REGIONE LOMBARDIA) .....83
INDICE delle FIGURE
Figura 1: tipologie di frana maggiormente diffuse in ambito agro-silvo-pastorale: a) Frana di
crollo, b) Scivolamento rotazionale, c) Scivolamento traslazionale, d) Colamenti o flussi.
............................................................................................................................................5
Figura 2: Principali dissesti che possono verificarsi lungo una strada forestale: A) frana
lungo la scarpata di scavo (“cutslope slide”); B) frana che ha interessato la scarpata di
riporto (“fillslope slide”); C) colata detritica che attraversa la strada in corrispondenza
di un impluvio. ..................................................................................................................12
Figura 3: effetto della diversione di un corso d’acqua (da Furniss et al., 1997) ....................12
Figura 4: compensazione scavo-riporto ..................................................................................18
Figura 5: realizzazione dell’unghia di valle ............................................................................18
Figura 6: schema di realizzazione con riporto parziale ..........................................................19
Figura 7: realizzazione in scavo ..............................................................................................19
Figura 8: realizzazione in rilevato ...........................................................................................20
Figura 9: realizzazione con gradonatura ................................................................................20
Figura 10: alleggerimento della testata e carico del piede di una frana potenziale nell’ambito
della costruzione di una strada agro-silvo-pastorale mediante compensazione sterri-
riporti ...............................................................................................................................21
IV
Figura 11: fosso di guardia......................................................................................................28
Figura 12: drenaggio suborizzontale.......................................................................................28
Figura 13: cuneo drenante con grata e palificata ...................................................................28
Figura 14: Tipologie di muro di contenimento. .......................................................................30
Figura 15: verifica di stabilità globale dell’insieme muro-terreno. ........................................32
Figura 16: Palificata (vista frontale). ......................................................................................32
Figura 17: palificate a parete semplice e a parete doppia (sezione).......................................33
Figura 18: Drenaggio delle fondazioni....................................................................................34
Figura 19: Congiunzione dei tronchi (da: Regione Lombardia, 2000). ..................................34
Figura 20: Disposizione continua ed alternata degli elementi trasversali (vista frontale). ....35
Figura 21: Vista assonometrica di una palificata e del relativo riempimento (ridisegnato da
D’Agostino, 2000). ...........................................................................................................36
Figura 22: Messa a dimora delle talee (da: Regione Lombardia, 2000). ...............................40
Figura 23 Rappresentazione schematica di un’opera di sostegno in pietrame .......................44
Figura 24: Schema di costruzione di un muro in pietrame con terreno di riporto e tubo
drenante a tergo (ridisegnato da Gray e Sotir, 1996)......................................................44
Figura 25:schema costruttivo delle gradonate (da Regione Lombardia, 2000)......................45
Figura 26: similitudine tra rinforzo sintetico e con talea ........................................................46
Figura 27: schema di rinforzo di un pendio sistemato a gradonata ........................................47
Figura 28: schema costruttivo della grata viva (da Regione Lombardia, 2000).....................50
Figura 29: idrosemina su scarpate stradali .............................................................................51
Figura 30: copertura diffusa su scarpata stradale ..................................................................52
Figura 31: schema del pendio indefinito .................................................................................59
Figura 32: schema dello scivolamento planare di un cuneo di riporto ...................................61
Figura 33:distribuzione delle pressioni con valore massimo a metà altezza ..........................62
Figura 34: scivolamento del blocco in presenza di una frattura di trazione ...........................63
Figura 35: schema delle forze nel caso di cuneo caricato.......................................................64
Figura 36: schema delle forze sul concio nel metodo di Bishop..............................................65
Figura 37: schema delle forze nel metodo di Bishop semplificato ..........................................66
Figura 38: schema delle forze agenti su un’opera di sostegno................................................68
Figura 39: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo su una parete verticale
liscia .................................................................................................................................69
Figura 40: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo sottoposto ad un
sovraccarico uniformemente distribuito. .........................................................................71
V
Figura 41: Schema statico di una palificata inclinata rispetto all’orizzontale (sezione). .......74
Figura 42: Sezione basale della palificata. Centro di sollecitazione (a) interno al nocciolo
centrale della sezione di base; (b) coincidente con l’estremo del nocciolo centrale; (c)
interno al terzo medio di valle..........................................................................................78
Figura 43: Schema di rottura del terreno per il calcolo di qlim ...............................................80
INDICE delle TABELLE
Tabella I– Tipologia dei movimenti franosi (modificato da: Varnes, 1978)..............................4
Tabella II: scala dell’intensità delle frane in base alla velocità................................................7
Tabella III: classificazione di Cruden e Varnes (1994) .............................................................8
Tabella IV: fattori che governano la stabilità dei versanti (in evidenza i fattori che
maggiormente interessano la viabilità agro-silvo-pastorale) ..........................................10
Tabella V: Valori medi delle pendenze di scarpate in roccia. .................................................23
Tabella VI: Linee guida per la pendenza delle scarpate di scavo e di riporto (modificato da
British Columbia Forest Code, 1995) ..............................................................................24
Tabella VII: Proprietà fisico-meccaniche e indicazioni a scopo ingegneristico dei terreni (da:
Washington Division of Geology and Earth Resources Bulletin 78-1989, modificato) ...25
Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni
meccaniche (da Giordano, 1988). ....................................................................................38
Tabella IX: durabilità nei confronti dei patogeni e resistenza nei confronti degli insetti del
legname (mod. da De Antonis e Molinari, 2003) .............................................................39
Tabella X: Materiale e tempi di costruzione per m2 di paramento esterno (da Carbonari e
Mezzanotte, 1993). ...........................................................................................................39
Tabella XI: Formule per il calcolo della base B dell’opera. ...................................................41
Tabella XII: Parametri utilizzati nel calcolo del rapporto B/H delle palificate. ....................41
Tabella XIII: Valori del rapporto B/H. ...................................................................................42
Tabella XIV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la
pendenza del versante a fine lavori, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di
diametro e 10 pezzi/m.......................................................................................................48
Tabella XV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la
pendenza del versante dopo 15 mesi dall’impianto, per talee di salice rosso di 1 m di
lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m ........................................................................49
VI
Tabella XVI: Valori di φ in relazione alla granulometria del terreno (da Terzaghi e Peck,
1967).................................................................................................................................72
Tabella XVII: Valori del carico di sicurezza del terreno in relazione alla caratteristiche del
terreno di fondazione (modificato da Colombo, 1977). ...................................................77
Tabella XVIII: Valori dei fattori di capacità portante secondo Terzaghi (da Lancellotta,
1993).................................................................................................................................81
1
1 INTRODUZIONE
Tra tutti i possibili impatti della presenza di una strada agro-silvo-pastorale in ambito
montano e collinare vi sono quelli relativi al dissesto idrogeologico, che possono costituire
un fattore rilevante sia ai fini dell’efficienza della strada stessa (riduzione della sicurezza di
transito fino alla totale interruzione), sia un fattore di degrado a scala di versante e di
bacino (aumento del sedimento prodotto e peggioramento della qualità dei corpi idrici,
sovralluvionamento degli alvei e predisposizione all’innesco di colate detritiche).
In diverse aree del mondo numerosi Autori (McCashion e Rice, 1983; Meghan, 1984;
Rood, 1984; Amaranthus et al., 1985; Sidle, 1985; McClelland et al., 1999), hanno
dimostrato che la presenza di strade negli ambienti agro-silvo-pastorali è una causa
importante per l’innesco di fenomeni di franamento superficiale; secondo Gucinski et al.
(2000) in ambito forestale la presenza di strade comporterebbe un aumento di frane in
proporzione variabile tra 1 a 30 e 1 a 300.
In genere, le frane associate alle strade agro-silvo-pastorali sono fenomeni di tipo
superficiale che mobilitano piccole quantità di materiale che a causa del loro numero
(McClelland et al., 1999), tuttavia, possono costituire un grosso problema di sicurezza
della strada e un notevole onere in termini di manutenzione. La movimentazione diffusa di
materiale solido, inoltre, può intasare gli impluvi predisponendo le condizioni per l’innesco
di colate detritiche.
La presenza di strade come causa dei franamenti, in particolare, sembra essere
particolarmente rilevante in ambienti caratterizzati da pendenze modeste dove in
condizioni naturali non si avrebbero fenomeni di dissesto (McClelland et al., 1999; Jakob,
2000).
Le cause dei franamenti innescati dalla presenza di una strada sono dovuti sostanzialmente
a tre ordini di fattori:
• la creazione di scarpate con minor stabilità rispetto al versante naturale, a causa
della maggiore pendenza e delle caratteristiche del terreno (poco compatto con
forte presenza di materiale organico) che è anche più facilmente erodibile perché
privo di copertura vegetale;
• la maggior probabilità di saturazione della scarpata di valle, a causa della cattiva
gestione del deflusso superficiale che vi si riversa;
2
• la diversione dei piccoli impluvi, dovuta all’inadeguatezza e soprattutto
all’inefficienza dei manufatti idraulici (Donald et al., 1996; Furniss et al., 1997) che
fa sì che il deflusso si riversi dapprima sulla sede stradale e poi sulla scarpata di
valle, determinandone l’erosione o la saturazione.
Il presente documento si pone l’obiettivo di riassumere le conoscenze relative ai rapporti
tra la stabilità dei versanti e viabilità agro-silvo-pastorale e di fornire elementi utili per una
corretta progettazione e realizzazione degli interventi sistematori maggiormente indicati in
tale contesto.
Per quanto riguarda la struttura del documento, esso può essere idealmente diviso in due
parti: la prima è di carattere prevalentemente metodologico e richiama i principi di stabilità
dei versanti con riferimento alle tipologie di dissesto, alla loro attività, alle possibili cause
d’innesco, per concludere con una rassegna dei più comuni dissesti associati alla
realizzazione delle strade agro-silvo-pastorali; la seconda è invece di carattere applicativo e
tratta degli elementi progettuali e realizzativi delle opere di sostegno e di rinforzo più
diffuse in ambito forestale, che consentono di prevenire fenomeni di dissesto lungo le
scarpate di valle e/o monte.
3
2 DISSESTI E VIABILITÀ FORESTALE
2.1 Introduzione
Le relazioni fra strade e territorio montano sono molto più intense di quanto si possa
pensare soprattutto in un territorio, quale quello lombardo, dove la natura dei terreni e del
clima portano a fenomeni di dissesto idrogeologico (in atto o potenziale) che risultano
spesso problematici rispetto alle esigenze di mobilità dell’uomo. L’abbandono del
territorio montano, inoltre, ha spesso contribuito ad alterare il già precario equilibrio tra
uomo e montagna, venendo meno l’attenta opera di vigilanza e di capillare e tempestivo
intervento eseguito sia dai proprietari, che dal personale degli Enti preposti. La
conseguenza di ciò è l’attivazione (o la riattivazione) di fenomeni gravitativi indesiderati
(frane, caduta massi e smottamenti di terreno) che risulta particolarmente accentuata in
concomitanza delle infrastrutture viarie in occasione degli eventi meteorici intensi.
Nel presente capitolo verranno richiamati i principi inerenti la stabilità dei versanti e delle
scarpate artificiali e descritte le principali forme che interessano la viabilità agro-silvo-
pastorale.
2.2 Instabilità di versante
2.2.1 Definizione
In accordo con Varnes (1978) con il termine frana s’intende un fenomeno naturale in cui,
sotto l’azione della forza di gravità, si verifica lungo una superficie definita un movimento
verso il basso o verso l’esterno del pendio, del materiale (roccia, terreno, rinterri, ecc.) che
costituisce il versante (naturale o artificiale). Tali fenomeni vengono comunemente definiti
anche come movimenti in massa, cioè movimenti di versante che si realizzano sotto
l’influenza della gravità e senza un vero mezzo di trasporto; a questo termine può essere
opposto quello di trasporto in massa, ossia di materiale trasportato (sempre a causa della
gravità) in un mezzo di movimento, come ad esempio l’acqua (Crosta, 2001).
2.2.2 Tipologie di movimento
La distinzione in diversi tipi di movimento secondo cui può avvenire una frana costituisce,
oltre che un comune e affermato sistema di classificazione, un punto di partenza sia per la
scelta del modello di analisi di stabilità, sia per la programmazione d’indagini specifiche,
sia per l’individuazione delle tecniche sistematorie più opportune.
4
La classificazione dei fenomeni franosi più nota ed utilizzata è senza dubbio quella di
Varnes (1978), riportata in Tabella I; di seguito si riportano le definizioni relative alle
diverse tipologie di fenomeno:
Crolli: movimenti di una massa di dimensioni variabili che si stacca da una parete lungo
una superficie con minimo spostamento di taglio e procede per caduta libera, rimbalzi,
rotolamento e talora scivolamento (Figura 1a). Il movimento è molto rapido od
estremamente rapido e normalmente il pendio da cui ha origine il crollo è fortemente
inclinato (> 70°).
Ribaltamenti: movimenti per rotazione verso l’esterno del pendio in genere di elementi
rocciosi attorno ad un punto di rotazione situato al di sotto del baricentro della massa
interessata, per azione della gravità, di fluidi e/o di sollecitazioni sismiche.
Scivolamenti: spostamenti a blocchi multipli o a blocco singolo intatto per scorrimento
lungo una o più superfici di rottura o lungo una zona di limitato spessore soggetta a intense
deformazioni di taglio. Nel caso di scivolamenti rotazionali (Figura 1b) la superficie di
rottura è curva e concava verso l’alto; essi sono dovuti a forze che producono quindi un
movimento di rotazione attorno ad un punto situato al di sopra del centro di gravità della
massa. Gli scivolamenti traslazionali (Figura 1c) si verificano, invece, in prevalenza
lungo una superficie piana o debolmente ondulata che corrisponde spesso a discontinuità
geologico-strutturali come piani di faglia o di strato e fratture maggiori, oppure lungo
superfici di contatto tra substrato roccioso e copertura di terreno.
Tabella I– Tipologia dei movimenti franosi (modificato da: Varnes, 1978).
TIPO DI MATERIALE TIPO DI MOVIMENTO
terra (earth) detrito (debris) roccia (rock) crolli (falls) crollo di terra crollo di detrito crollo di roccia ribaltamenti (topples) ribaltamenti di
terra ribaltamenti di detrito
ribaltamenti di roccia
rotazionaliscivolamenti rotazionali di terra
scivolamenti rotazionali di detrito
scivolamenti rotazionali di roccia scivolamenti
(slides) traslativi
scivolamenti traslazionali di terra
scivolamenti traslazionali di detrito
scivolamenti traslazionali di roccia
espandimenti laterali (lateral spreads)
espandimenti laterali di terra
espandimenti laterali di detrito
espandimenti laterali di roccia
colamenti o flussi (flows) colata di terra colata di detrito flusso in roccia frane complesse (complex) combinazione di due o più tipi di movimento
6
profilo a V e lasciano depositi laterali. Le colate in terra o fango (earthflow e mudflow)
coinvolgono in genere materiali fini, con morfologie variabili in funzione del contenuto
d’acqua, ma generalmente presentano una forma stretta e allungata con una zona di
svuotamento prevalente a monte e con lobo di accumulo al piede, mentre la zona
intermedia è caratterizzata da un settore più o meno incanalato (Crosta, 2001).
Frane complesse: la definizione di frana complessa è stata proposta e impiegata più volte
con significati differenti e quindi diverse tipologie di fenomeno sono state classificate in
tale gruppo. Varnes (1978), ad esempio, intende con tale termine il movimento di una
massa risultante dalla combinazione di una o più tipologie di movimento sia in settori
diversi (suddivisione spaziale) sia in fasi diverse di sviluppo del movimento stesso
(suddivisione temporale), mentre per frane composite intende quelle in cui la superficie di
movimento è formata dalla combinazione di elementi piani e curvi. Secondo le indicazioni
del Working Party on World Lanslide Inventory (WP/WLI 1993, 1994) le frane composite
prevedono invece la combinazione simultanea di più tipologie di movimento.
2.2.3 Attività
Nell’ambito degli studi relativi alla stabilità dei versanti è fondamentale, oltre
all’individuazione della tipologia del fenomeno, anche la valutazione dello stato
d’attività, stile e distribuzione dell'attività del movimento (WP\WLI, 1993, 1994).
Senza entrare nel dettaglio, di seguito vengono trattati alcuni aspetti riguardanti lo stato di
attività di una frana, mentre per quanto riguarda lo stile e la distribuzione di attività se ne
danno solo le definizioni rimandando a testi specialistici per un approfondimento.
Lo stato di attività descrive le informazioni disponibili circa il momento in cui si è
realizzato il movimento ed è quindi utile per prevedere il tipo di evoluzione temporale; il
fenomeno può quindi essere distinto in:
• Attivo: se attualmente in movimento, ossia se al momento dell’osservazione o
dell’esecuzione dello studio si sono rilevati indizi di movimento
• Sospeso: se mossasi nell’ultimo ciclo stagionale ma non è attualmente attiva
• Riattivato: se attiva dopo essere stata inattiva
• Inattivo: se mossasi per l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale. Può dividersi
inoltre secondo le classi seguenti:
o Quiescente: quando inattiva ma riattivabile dalle sue cause originali tuttora
esistenti
7
o Naturalmente stabilizzato: se inattiva e non più influenzata dalle sue cause
originali
o Artificialmente stabilizzato: se inattiva e protetta dalle cause originali tramite
misure di stabilizzazione di origine antropica
o Relitto: se inattiva e sviluppatasi in condizioni morfologiche e climatiche
considerevolmente diverse dalle attuali. Sinonimi di relitta ritrovabili in
letteratura sono antica, fossile e paleofrana
Lo stile di attività descrive il modo con cui i diversi meccanismi di movimento
contribuiscano alla frana in esame.
La distribuzione di attività, infine, descrive il modo in cui la frana si sta evolvendo o
muovendo, e quindi fornisce informazioni circa l’evoluzione spaziale del dissesto.
Risulta inoltre evidente come lo stato di attività influenzi notevolmente qualsiasi analisi del
rischio di frana, influenzando l’intensità del fenomeno di instabilità e, di conseguenza,
sono state proposte diverse classificazioni riguardanti la velocità di movimento (Tabella
II).
Tabella II: scala dell’intensità delle frane in base alla velocità
Varnes (1978) Cruden e Varnes (1994) Hungr (1981)
mm/s classe descrizione mm/s mm/s 3 m/s 3*103 VII estremamente
rapido 5 m/s 5*103 1.1*103
0.3 m/min 5*100 VI molto rapido 3 m/min. 50 1.5 m/g 17*10-3 V rapido 1.8 m/h 0.5
1.5 m/mese 0.6*10-3 IV moderato 13 m/mese 5*10-3 3.5*10-3 1.5 m/anno 48*10-6 III lento 16 m/a 5*10-5 3.5*10-5 0.06 m/anno 1.*10-6 II molto lento 16 mm/a 0.5*10-6
I estremamente lento
In particolare, la scala di Cruden e Varnes (1994) comprende anche una classificazione
dell’intensità del fenomeno franoso sulla base dei danni attesi per le classi di velocità
individuate (Tabella III)
8
Tabella III: classificazione di Cruden e Varnes (1994)
CLASSE DESCRIZIONE
VII Edifici distrutti per impatto del materiale; qualsiasi tentativo di porsi in salvo è impossibile; catastrofe di eccezionale violenza
VI perdita di alcune vite umane, l'evacuazione completa della popolazione è impossibile
V l'evacuazione della popolazione è possibile, distruzione di immobili ed installazioni permanenti
IV possibile mantenimento di strutture temporanee o poco danneggiabili
III possibilità di intraprendere lavori di rinforzo e restauro durante il movimento; strutture meno danneggiabili e mantenibili con frequenti lavori di rinforzo, salvo accelerazioni del movimento
II alcune strutture permanenti possono essere danneggiate dal movimento
I movimento impercettibile senza monitoraggio; costruzione edifici possibile con precauzioni
2.2.4 Cause delle frane
L’identificazione, la classificazione, l’analisi di un fenomeno franoso sono fortemente
influenzate dal riconoscimento dei fattori che ne controllano il processo, e in particolare
delle cause predisponenti e innescanti (Sowers e Sowers, 1970). Le cause principali dei
movimenti franosi sono da ascrivere a fattori tettonici (storia tettonica e neotettonica,
sismicità), litologici (composizione, tessitura, alterazione dei materiali), morfologici
(topografia e morfometria dei versanti), idrogeologici (idrografia, drenaggio,
caratteristiche delle falde acquifere), meteorologici (condizioni climatiche generali),
pedologici (tipo di suolo), antropici (azioni dell’uomo che influenzano l’equilibrio del
versante).
Tali fattori si ripercuotono in termini di forze agenti sul versante, sforzi di taglio che
agiscono in senso destabilizzante e resistenza al taglio che agisce in senso stabilizzante e
possono essere distinti in due gruppi: fattori che aumentano le tensioni di taglio e fattori
che riducono la resistenza al taglio (Tabella IV).
2.2.5 Ruolo dell’acqua nell’instabilità di versante
Da quanto precedentemente illustrato l’acqua rappresenta un fattore dominante
nell’instabilità di versante e in particolare nell’innesco dei movimenti franosi, come del
resto è evidente anche dalla concomitanza tra frane ed eventi meteorici caratterizzati da
precipitazioni abbondanti e/o intense. La presenza dell’acqua nel terreno può essere dovuta
a fenomeni di tipo differente quali la presenza di falde sotterranee o sospese, l’umidità del
terreno nella zona non satura, il deflusso superficiale e sottosuperficiale, l’acqua di
9
idratazione dei minerali. In tali fenomeni può essere rilevante, oltre alle condizioni
climatiche (entità e caratteristiche spazio-temporali delle precipitazioni) ed al regime
idrologico, anche l’azione dell’uomo in termini di gestione delle acque superficiali e
sottosuperficiali (presenza e gestione di invasi naturali e/o artificiali, perdite dai
sottoservizi o serbatoi e gestione del deflusso in corrispondenza della rete viaria).
2.3 Instabilità dei pendii artificiali
I pendii artificiali possono essere realizzati tramite scavo (trincee), riporto (rilevati), o
scavo e parziale riporto sopra la topografia preesistente (il caso più frequente nelle strade
Agro-Silvo-Pastorali) e possono essere realizzati con materiale naturale (terreno di scavo)
o artificiale (inerti, rifiuti vari, ecc.) disposto senza tecniche particolari, con tecniche
semplici (compattazione), o rinforzato (terre rinforzate), con appoggio diretto sulla vecchia
topografia o su una topografia modificata (Crosta, 2001).
Nel caso di scarpate realizzate in scavo su terreno naturale, chiaramente, vale quanto
esposto in precedenza per i pendii naturali, anche se per essi nello studio dei problemi di
stabilità si dovrà prestare particolare attenzione ad alcuni fattori che possono influenzare la
tipologia delle superfici di rottura; tra essi ricordiamo:
• la struttura dell’opera (geometria, eterogeneità, anisotropia, ecc.);
• il metodo e i tempi di esecuzione;
• le caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali impiegati nella realizzazione;
• le caratteristiche dei terreni di fondazione;
• le tipologie degli eventuali elementi di rinforzo (geometria, posizione, resistenza, ecc.);
• le condizioni idrauliche e idrogeologiche dell’area.
Per quanto riguarda la viabilità minore, i dissesti possono essenzialmente riguardare la
scarpata di monte e quella di valle. Per quest’ultima, secondo Gray e Sotir (1996), i
fenomeni più comuni si originano dal materiale di riporto e sono caratterizzati da
movimenti più o meno superficiali lungo superfici approssimativamente planari,
essenzialmente secondo tre diverse modalità:
• una prima tipologia è quella in cui si ha uno scivolamento superficiale del margine
esterno del riporto. Si tratta di una sorta di scivolamento traslazionale, che può essere
analizzato attraverso il metodo del “pendio indefinito”, in quanto lo spessore della
massa instabile è molto inferiore alla lunghezza del riporto stesso (Gonsior e Gardner,
1971, suggeriscono un valore minimo del rapporto “lunghezza/spessore” pari a 20);
10
Tabella IV: fattori che governano la stabilità dei versanti (in evidenza i fattori che maggiormente interessano la viabilità agro-silvo-pastorale)
erosione glaciale, fluviale, marina frane che modificano la topografia del versante Rimozione del
supporto laterale azioni antropiche: strade, cave, scavo/riporto, canali, ecc. sottoescavazione fluviale alterazione ed erosione “sotterranea” di rocce solubili o materiali argillosi
Rimozione del supporto sottostante
estrazione mineraria naturale (precipitazioni solide e/o liquide; accumulo di detrito di versante; vegetazione; pressioni di filtrazione)
Sovraccarico antropico (es.: rinterri e rilevati; discariche; peso di strutture varie e/o mezzi meccanici; perdite di acqua dai sottoservizi) spinta idrostatica dell’acqua in fratture o cavità spinta dovuta alla presenza di ghiaccio nelle fratture effetto del vento Spinta laterale rigonfiamento per fenomeni di idratazione delle argille,
dei gessi o di anidrite
movimenti positivi o negativi dei versanti in seguito a variazioni di pressione nella camera magmatica terremoti con collasso della colonna eruttiva intrusione di dicchi
Processi vulcanici
esplosioni freatomagmatiche terremoti
Sforzi transitori vibrazioni (es.: esplosivi, transito mezzi, ecc.) F
AT
TO
RI
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DI
TA
GL
IO
Tettonica regionale rammollimento delle argille fessurate essicazione delle argille migrazione delle acque verso il fronte di saturazione disintegrazione fisica di rocce granulari
Processi d’alterazione fisico-chimica
idratazione di minerali Variazione delle forze intergranulari per contenuto d’acqua e pressione nei pori e/ o nelle fratture
immersione in acqua totale o parziale del versante
fessurazione Variazioni nella struttura rimaneggiamento di materiali strutturati
riduzione dell’azione delle radici Disboscamento
riduzione dell’evapotraspirazione perdita progressiva di resistenza per creep presenza di tane di animali
FA
TT
OR
I C
HE
CA
USA
NO
UN
A
DIM
INU
ZIO
NE
DE
LL
A
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SIST
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ZA
AL
TA
GL
IO
Altre cause ...
11
• una seconda tipologia di rottura prevede lo scivolamento dell’intera massa riportata,
lungo il contatto con la superficie naturale del pendio (sia essa costituita da depositi
superficiali o da roccia in posto). Tale fenomenologia è comune secondo gli Autori nel
caso di riporti costituiti da materiale sciolto, semplicemente accatastato a valle e non
costipato, lungo pendii ripidi, come nel caso delle strade realizzate attraverso la
consueta tecnica “scavo-riporto”); in tale caso risulta maggiormente appropriata più
appropriata l’analisi di stabilità secondo il metodo dello “scivolamento a cuneo” (cfr.
Appendice 1);
• una terza tipologia, infine, è costituita dai dissesti più complessi che finiscono per
interessare il materiale posto al di sotto del riporto; in questi casi la superficie di
scivolamento può essere anche più profonda del contatto riporto-versante e presentare
forme articolate. In queste situazioni si consiglia di eseguire tutte le verifiche del caso
(ad esempio attraverso il “metodo dei conci”; cfr. Appendice 1), ipotizzando una serie
di superfici di scivolamento curve, al fine di individuare la più critica, e prevedere la
realizzazione di opere accessorie di sostegno del versante.
2.4 Tipologie di dissesto più frequenti nell’ambito della viabilità agro-
silvo-pastorale
La presenza di una strada agro-silvo-pastorale, come precedentemente accennato,
comporta una serie di alterazioni che interessano la geometria del versante, la dinamica
della circolazione idrica e le caratteristiche del substrato (Bischetti, 2005). Queste incidono
direttamente sui fattori che regolano la stabilità sia del versante naturale, che delle scarpate
che si formano con la realizzazione della strada, aumentando la probabilità d’innesco di
alcune tipologie di dissesti.
In particolare si può avere il collasso della scarpata o del versante a monte
dell’infrastruttura (Figura 2A), il cedimento della scarpata di riporto (spesso non rinforzata
con adeguate opere di sostegno; Figura 2B), erosione o deposito di materiale solido in
corrispondenza degli impluvi che convogliano colate detritiche originatesi nel tratto di
monte dell’impluvio stesso (Figura 2C).
Una delle cause del cedimento della scarpata di valle è sicuramente l’aumento del
contenuto idrico causato dall’alterazione del naturale percorso dell’acqua o, molto più
spesso, dalla deviazione del deflusso inalveato (ad esempio a causa dell’inefficienza del
manufatto realizzato per il suo attraversamento) che una volta arrivato sulla sede stradale la
12
segue fino a sfociare su una
porzione di versante non
protetta (Figura 3). Si tenga
presente che questo tipo di
fenomeno è molto spesso la
fonte primaria di detrito e la
causa principale di cedimento
delle strade agro-silvo-
pastorali (Furniss et al.,
1997); le conseguenze della
diversione e del successivo
deflusso sul versante non
protetto, infatti, consistono
nell’incisione di un nuovo
canale che rimane instabile per un periodo più o
meno lungo, nell’innesco di franamenti che
evolvono in colate detritiche che si riversano a valle
nella rete idrografica o su tratti sottostanti della
strada con un effetto cascata.
In ogni caso, l’interazione tra le strade e i fenomeni
di dissesto può modificare la magnitudo e la
direzione del deflusso superficiale e delle colate
detritiche e può facilitare il passaggio da semplice
deflusso a colata di detriti e materiale vegetale,
causando notevoli danni alle infrastrutture.
2.5 Valutazione della stabilità dei
versanti
La valutazione della stabilità di un versante, sia esso
naturale o artificiale, è tesa a verificarne le condizioni di sicurezza in senso globale. A tal
fine è possibile ricorrere a diversi metodi, tra cui i metodi per l’equilibrio limite (per
valutare la rottura o lo stato limite) e i metodi numerici (differenze finite, elementi finiti,
A
B
C
Figura 2: Principali dissesti che possono verificarsi lungo una strada forestale: A) frana lungo la scarpata di scavo (“cutslope slide”); B) frana che ha interessato la scarpata di riporto (“fillslope slide”); C) colata detritica che attraversa la strada in corrispondenza di un impluvio.
Figura 3: effetto della diversione di un corso d’acqua (da Furniss et al., 1997)
13
ecc.) per la valutazione dei limiti di funzionalità delle strutture naturali o non (Crosta,
2001).
L’analisi della stabilità globale di un versante effettuata tramite l’applicazione dei metodi
dell’equilibrio limite, in genere, ha come risultato il calcolo di un fattore di sicurezza. I
metodi dell’equilibrio limite, infatti, risolvono il problema dell’equilibrio globale della
massa di terreno delimitato dalla superficie di rottura e inteso come corpo rigido; essi si
basano sulle seguenti ipotesi:
• si assume un meccanismo di rottura specifico (reale per frane avvenute, potenziale -la
più critica- per frane temute);
• il criterio di rottura è in genere assunto lineare e solitamente è quello di Mohr-
Coulomb:
''' tanφστ += c [1]
che intoduce due parametri principali di resistenza (coesione, c’, e angolo di resistenza
al teglio, φ’) e fa uso della componente normale dello sforzo agente sul piano di
rottura;
• il materiale è assunto rigido perfettamente plastico;
• non sono considerati gli sforzi interni ai singoli blocchi assunti rigidi;
• i metodi devono risultare versatili nel consentire analisi con superfici di tipo diverso,
terreni eterogenei e condizioni idrauliche differenti;
• il valore della resistenza al taglio mobilizzata o necessaria all’equilibrio è rapportata a
quella disponibile a meno di un determinato fattore di sicurezza (FS), ossia:
mob
fFSτ
τ= [2]
• il fattore di sicurezza è uniforme lungo la superficie di scorrimento, ossia la medesima
percentuale di resistenza al taglio è mobilitata sull’intera superficie di scorrimento e lo
stesso fattore di sicurezza è applicato ad entrambi i termini di resistenza:
FSFS
cf
''
' tanφστ += [3]
All’equilibrio si ha τf =τmob (cioè FS = 1) ed i pendii per cui FS>1 potrebbero essere
considerati in linea di principio stabili. In realtà occorre tenere conto dell’incertezza
introdotta dalle ipotesi semplificatrici degli schemi di calcolo e soprattutto dell’incertezza e
dell’elevata variabilità spaziale che caratterizza i parametri geotecnici. Nella prassi
14
applicativa, di conseguenza, vengono considerati stabili i versanti in cui la resistenza al
taglio supera le tensioni di taglio di una certa quota; secondo la normativa geotecnica
vigente (D.M. 11/3/1988) tale quota è fissata nel 30 % ed il progettista è tenuto a verificare
o garantire un FS ≥ 1.3 per:
• fronti di scavo in terreni omogenei;
• rilevati stradali di tutti i tipi;
• pendii naturali interessati da lavori di qualsiasi tipo.
Valori diversi (ma sempre maggiori di 1.3) possono essere giustificati, caso per caso,
tenendo conto della complessità geologica e dell'importanza dell'opera.
Per quanto riguarda invece i versanti naturali, la scelta è lasciata direttamente al
progettista, ossia in funzione delle condizioni locali e ambientali, delle caratteristiche dei
materiali, del rischio connesso, ecc., sarà possibile determinare un fattore di sicurezza
significativo.
In relazione ai valori del fattore di sicurezza, si possono perciò distinguere tre casi:
• FS < 1 : il pendio si trova in condizioni di instabilità globale;
• 1 ≤ FS ≤ 1.3 : il pendio si trova in condizioni prossime all’equilibrio limite, anche un
piccolo incremento degli sforzi tangenziali o una riduzione delle resistenze al taglio
sulla superficie potenziale di rottura può innescare un fenomeno franoso;
• FS > 1.3 : il pendio si trova in condizioni di stabilità globale.
I metodi che fanno riferimento al principio dell’equilibrio limite possono a loro volta
essere distinti in lineari e non lineari.
I metodi lineari dell’equilibrio limite sono di uso semplice poiché per essi esiste
un’equazione lineare per il calcolo di FS (Nash, 1987). I casi che possono essere analizzati
con i metodi di tipo lineare sono quelli del pendio indefinito, dell’analisi “φu = 0”, del
metodo ordinario dei conci, dello scivolamento di blocco o cuneo, del ribaltamento (gli
ultimi due sono generalmente adatti a problemi di instabilità in roccia).
Poiché il pendio non sempre è omogeneo e possono sussistere condizioni di flusso non
facilmente schematizzabili, per un’analisi in condizioni drenate è indispensabile far ricorso
a metodi che suddividono la massa interessata da un movimento in un numero conveniente
di conci, in modo da valutare in diversi punti lungo la superficie di rottura gli sforzi
efficaci. Tuttavia in questi approcci di calcolo molte delle forze in gioco non sono note
15
all’inizio dell’analisi per cui si devono introdurre ipotesi che portano a soluzioni di tipo
non lineare.
Alcuni dei metodi, lineari e non lineari, d’interesse per la viabilità agro-silvo-pastorale
sono illustrati in Appendice 1.
2.6 Identificazione delle aree suscettive d’instabilità
Nell’ambito della progettazione e della realizzazione della viabilità agro-silvo-pastorale il
riconoscimento delle aree o dei punti suscettivi d’instabilità costituisce un elemento di
primaria importanza sia per la sicurezza del transito, sia per la funzionalità e la durata
dell’infrastruttura. Evitare l’attraversamento di aree caratterizzate da un’instabilità in atto o
potenziale, infatti, costituisce il primo e fondamentale metodo per non dover effettuare
interventi di stabilizzazione in fase di realizzazione o fine lavori; sebbene tale
considerazione appaia del tutto ovvia, nella realtà non è quasi mai tenuta in debito conto
durante le fasi di pianificazione della viabilità agro-silvo-pastorale, che dovrebbe essere
proprio il momento più adatto per recuperare tutte le informazioni disponibili per l’area in
esame sottoforma di carte di base e tematiche (topografia, geolitologia, geomorfologia,
pedologia, uso del suolo, idrologia, ecc.), di inventario dei dissesti idrogeologici
(cartografia e schede frane), di fotografie aeree, di studi e rapporti specialistici. A tale
proposito, negli ultimi anni la Regione Lombardia ha pubblicato un certo numero di
monografie sui dissesti idrogeologici, riferite a zone specifiche del territorio lombardo, tra
cui ricordiamo:
• Cartografia geoambientale (in scala 1:10.000);
• Carte del Censimento dei Dissesti della Regione Lombardia (in scala 1:25.000);
• Atlanti dei Centri Abitati Instabili (nell’ambito del progetto SCAI);
• Atlante dei Conoidi (in corso di allestimento);
• Carte Inventario delle Frane e dei Dissesti Idrogeologici della Regione Lombardia (in
scala 1:10.000).
Le considerazioni che possono essere tratte dall’analisi della documentazione reperita, non
devono prescindere dall’affidabilità, dall’aggiornamento e, nel caso delle carte, dalla scala
di rilevamento e di restituzione; nel caso in cui dalla documentazione emergesse una anche
moderata suscettività d’instabilità (in atto o potenziale) delle aree interessate
dall’infrastruttura, diviene quanto mai opportuno eseguire un sopralluogo con tecnici
competenti.
16
Anche nel caso in cui la documentazione disponibile per la zona non presenti elementi di
preoccupazione è bene, sia nel corso dei sopralluoghi per la definizione del tracciato, sia
durante la realizzazione delle infrastrutture, prestare attenzione ad alcuni semplici
indicatori di instabilità che sono di seguito richiamati:
• dissesti recenti che indicano una propensione al dissesto dell’area;
• erosioni o depositi di detrito sciolto o di materiale legnoso in concomitanza di impluvi
o alla base dei versanti che indicano il verificarsi di fenomeni di colate detritiche;
• fratture di trazione che indicano la presenza di movimenti in atto;
• segni di distacco recente da affioramenti rocciosi (sono costituiti da zone di colore più
chiaro) o da accumulo di detrito alla base del pendio;
• segni di saturazione ricorrente (dati da orizzonti di suolo grigiastri o macchie giallo-
rossastre);
• affioramenti di deflusso sottosuperficiale;
• depressioni del terreno sia nel senso della pendenza che trasversali, le prime indicano
una possibile scarpata di frana relitta o un punto di deflusso concentrato, le seconde
indicano una zona di concentrazione del deflusso sottosuperficiale;
• anomalie della rete di drenaggio superficiale;
• masse di terreno di forma irregolare più o meno lobata, rigonfiamenti lungo il versante
che indicano aree di accumulo;
• elementi rettilinei (strade, tubazioni, linee elettriche) traslati localmente o spezzati o
ribassati;
• presenza di vegetazione igrofila;
• piante eccessivamente inclinate o curvate (tronchi a J) che indicano un movimento
degli strati superficiali del terreno.
Qualora, anche durante la costruzione dell’infrastruttura si riscontrasse la presenza di
alcuni di questi caratteri e/o delle loro associazioni tipici delle aree in frana o suscettibili a
franare, occorre considerare la possibilità di cambiare il tracciato o se ciò non fosse
possibile, di intervenire con opere di sostegno e di rinforzo. Gli interventi eseguiti in fase
di costruzione, infatti, risultano sicuramente più efficaci ed economici (senza considerare
la sicurezza del transito), rispetto a quelli che andranno eseguiti a fronte di un fenomeno di
dissesto in atto.
17
3 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SEZIONI
3.1 Introduzione
La realizzazione di una strada che attraversa un versante comporta, come precedentemente
accennato, una serie di alterazioni alla geometria originaria del versante che possono essere
causa di successivi dissesti. In particolare, occorrerà prestare particolare attenzione ai
seguenti aspetti:
• avere cura che l’eventuale sbancamento non provochi il cedimento del versante a
monte e che la pendenza della relativa scarpata sia compatibile con le caratteristiche
del materiale e le condizioni idrologiche (ricorrendo eventualmente alla realizzazione
di opere di rinforzo o di sostegno);
• avere cura che la scarpata di valle garantisca la stabilità del versante anche in
condizioni di eventi meteorici intensi, evitando un eccessivo appesantimento del
versante dovuto al peso del materiale e soprattutto all’eccesso idrico ed evitando il
rischio di diversioni degli impluvi (cfr. § 2.4).
Dal punto di vista progettuale e costruttivo si tratta di realizzare scarpate di pendenza
compatibile con le caratteristiche del materiale, di utilizzare tecniche costruttive adeguate e
di gestire adeguatamente il deflusso superficiale e sottosuperficiale.
3.2 Tecniche costruttive
Una delle cause più diffuse di dissesti legati alla viabilità agro-silvo-pastorale è costituita
dal sovraccarico del riporto che costituisce la scarpata di valle (Chatwin et al., 1994) e
soprattutto in concomitanza di un elevato contenuto d’acqua, dovuto alla pendenza del
piano stradale verso valle o da un’inefficace gestione del deflusso.
Le strade agro-silvo-pastorali che attraversano un versante possono essere realizzate
seguendo differenti tecniche costruttive; in genere, questo tipo di strade vengono realizzate
secondo il principio della compensazione tra scavi e riporti (Bortoli, 1982; Mazzalai,
1984), mentre dal punto di vista della stabilità andrebbe adottato lo schema più adeguato
alle caratteristiche di ciascuna sezione. Nei paragrafi seguenti vengono illustrati sia lo
schema della compensazione tra scavo e riporto, sia alcuni metodi poco utilizzati in Italia
ma che andrebbero presi in considerazione nelle situazioni particolarmente problematiche.
18
3.2.1 Compensazione scavo-riporto
Il metodo prevede di eseguire una prima
pista per l’avanzamento dell’escavatore
che verrà poi progressivamente allargata
realizzando in scavo la scarpata di monte
e con riporto quella di valle (Figura 4). Il
materiale più superficiale è bene sia
accantonato per poter essere utilizzato per
la finitura delle scarpate; il terreno più
grossolano può essere invece utilizzato
per realizzare un’“unghia” che consenta il
deposito del materiale derivante dallo
scavo (riducendo il rotolamento di
materiale a valle) e sia di supporto per la
scarpata di riporto (Figura 5). L’utilizzo
di piante messe di traverso per ancorare il
materiale, suggerito in diversi manuali di
origine statunitense, è una soluzione
valida solo per tracciati temporanei, in
quanto dopo 5÷7 anni il legname non è
più in grado di esercitare una funzione di supporto (Chatwin et al., 1994). La scarpata di
valle, infine, deve essere adeguatamente compattata al fine di aumentarne la resistenza al
taglio.
Il materiale grossolano derivante dallo scavo della scarpata di monte può essere utilizzato
anche per la realizzazione dello strato di base della sede viaria.
Al fine di ridurre la possibilità di scivolamento della scarpata di valle, in generale, occorre
limitare il più possibile la quantità di materiale riportato sul versante di valle; tale quantità
è legata alla larghezza della strada ed alla pendenza del versante. Per una larghezza del
riporto di 1.5 m, infatti, passando da una pendenza del versante del 50% al 70% il volume
del materiale depositato sul versante di valle raddoppia e per una pendenza del 50%
passando da una larghezza del riporto da 1.5 a 2 m il volume aumenta del 50%.
Per quanto riguarda le pendenze limite che possono essere assegnate alla scarpata di valle,
Chatwin et al. (1994) indicano 55-60% (circa 30°), tali valori si riducono drasticamente
Figura 4: compensazione scavo-riporto
Figura 5: realizzazione dell’unghia di valle
19
quando il grado di saturazione della scarpata aumenta per l’inefficienza del sistema di
drenaggio. Tali indicazioni sono anche confermate dalle analisi condotte secondo lo
schema del cuneo (cfr. Appendice 1 (Bassi, 2002).
3.2.2 Riporto parziale
Questo tipo di schema viene utilizzato
su pendenze elevate, superiori al 60%,
dove il materiale proveniente dallo
scavo e riversato sul versante di valle
non riesce a formare un cuneo
sufficientemente stabile, ma solamente
uno strato di terreno che si prolunga sul
versante fino ad una variazione di
pendenza o a ridosso di grossi massi o
ceppaie; in quest’ultimo caso, tuttavia,
occorre avere cura che non si formino zone con pendenze eccessive, in quanto massi e
ceppaie non garantiscono la stabilità sul lungo periodo. Lo scavo della banchina nel terreno
naturale raggiunge i ¾ della larghezza dell’intera strada.
Secondo Chatwin et al. (1994), questa soluzione è attuabile solamente in presenza di
materiale grossolano, mentre è da evitare in terreni a tessitura fine.
3.2.3 Scavo
Il metodo prevede la realizzazione della sede
stradale interamente in scavo (Figura 7) e
viene utilizzato quando le caratteristiche del
materiale e/o le pendenze in gioco non
garantiscono la realizzazione di una seppur
minima scarpata di riporto. Il materiale di
scavo viene riversato sul versante di valle,
con un forte impatto sull’ambiente
circostante, oppure riutilizzato per proteggere
il fondo stradale altrove o portato dove non crea problemi richiedendo oneri aggiuntivi.
Questa soluzione è da evitare in presenza di un substrato instabile e in terreni a matrice fine
e di spessore elevato, dove può innescare movimenti profondi di tipo rotazionale anche
consistenti.
Figura 6: schema di realizzazione con riporto parziale
Figura 7: realizzazione in scavo
20
3.2.4 Rilevato
Questo schema prevede lo scavo di una
banchina interamente nel versante
naturale ed il deposito del materiale sul
tratto retrostante; in questo modo si viene
a creare un rilevato rispetto al versante
naturale (Figura 8). È una soluzione che
può essere attuata per evitare di riversare
il materiale sul versante di valle o di
doverlo trasportare altrove con costi
aggiuntivi.
Condizione indispensabile affinché questa soluzione non crei problemi è che il materiale
sia sufficientemente grossolano e drenante.
3.2.5 Gradonatura
Si tratta di realizzare una piccola
banchina completamente in scavo alcuni
metri sotto il piano stradale di progetto;
a causa del ridotto volume il materiale
può essere riversato sul versante senza
grossi problemi. Completata la prima
banchina, ci si muove verso monte
scavandone un’altra e riversando il
materiale sulla prima banchina e così via
fino alla quota di progetto del piano stradale (Figura 9). È una buona soluzione per
ottenere un piano stradale stabile minimizzando la quantità di materiale riversato lungo il
versante; occorre però prestare molta attenzione al drenaggio per evitare la saturazione
della scarpata di valle. Le banchine interposte tra i gradoni dovranno pertanto essere
equipaggiate con canalette drenanti che intercettano le acque di dilavamento.
La costruzione di gradonature comporta indubbiamente un aumento delle attività e
conseguentemente un aumento dei costi di scavo, tuttavia può successivamente ridurre i
costi di manutenzione.
Figura 8: realizzazione in rilevato
Figura 9: realizzazione con gradonatura
21
3.2.6 Attraversamento di frane
superficiali con meccanismo
rotazionale
Nel caso in cui non sia possibile evitare
l’attraversamento di aree interessate da
un dissesto di tipo rotazionale, in atto o
potenziale, è possibile realizzare
l’infrastruttura minimizzando il rischio o
addirittura incrementando la stabilità del
versante (Chatwin et al., 1994). In
generale, infatti, su di una frana si può
agire caricandone il piede ed
alleggerendo la testata; nella costruzione
della strada scavi e riporti, quindi dovranno essere effettuati seguendo tale schema (Figura
10). Nel caso l’unico tracciato possibile vada ad interagire con dissesti estesi (Chatwin et
al., 1994), la strada dovrebbe attraversarne il piede minimizzando lo sbancamento ed
effettuando un riporto adeguato alla pendenza; qualora si debba invece attraversarne la
testata, occorre lavorare completamente in scavo evitando il riporto sul versante di valle
instabile. In nessun caso lo si deve attraversare nella porzione mediana.
Si sottolinea che una tale soluzione richiede tassativamente che la superficie di
scivolamento e le caratteristiche geomeccaniche siano correttamente identificate e
supportate da adeguate campagne di misura, e che la valutazione della stabilità sia eseguita
da parte di tecnici specializzati con comprovata esperienza nel settore.
3.3 Pendenza delle scarpate
Per scarpata s’intende la superficie di raccordo tra il solido stradale e il terreno naturale. La
progettazione di un fronte di scavo ha come scopo quello di determinare un’altezza e
un’inclinazione media del fronte tale da garantire, nel rispetto delle esigenze economiche
in fase di realizzazione, la stabilità dello scavo per un previsto periodo di tempo.
In generale, le scarpate hanno pendenza unica che dipende da molteplici fattori quali le
caratteristiche del terreno/roccia, la stabilità geotecnica, la presenza o meno di acqua sia in
superficie che nel sottosuolo, gli interventi di consolidamento previsti, la possibilità di
erosione e i problemi d’impatto ambientale.
Figura 10: alleggerimento della testata e carico del piede di una frana potenziale nell’ambito della costruzione di una strada agro-silvo-pastorale mediante compensazione sterri-riporti
22
La normativa nazionale per le strade “civili” (C.N.R., 1980) e per scarpate d’altezza non
elevate (intorno ai 3 metri) dà alcune indicazioni di massima, consigliando pendenze non
superiori ad 1:5. Quando per motivi pratici tale pendenza non risulti adottabile, e
comunque per altezze maggiori di 3 metri, diventa più conveniente arrivare gradatamente a
pendenze di 2:3, realizzando contemporaneamente opere di contenimento del terreno e di
drenaggio. Volendo affrontare l’argomento con un maggior dettaglio, occorre innanzitutto
differenziare la pendenza da assegnare alle scarpate in funzione del tipo di “substrato” in
cui si realizza lo scavo, distinguendo tra scarpate in roccia e scarpate in terreni.
3.3.1 Scarpate in roccia
Nelle situazioni di scavo in rocce compatte, non alterate e con modesta anisotropia
meccanica, in genere non si manifestano grossi problemi di stabilità per cui, in linea di
principio, sarebbe possibile adottare pendenze elevate, pressoché verticali. Tale soluzione,
sebbene minimizzi lo scavo, è sconsigliabile in termini di sicurezza del transito e di costi di
manutenzione; essa, infatti, può portare ad un degrado della scarpata più o meno rapido in
funzione del tipo di roccia e dell’intensità dei fenomeni atmosferici, con conseguente
caduta di elementi di varia grandezza sulla sede stradale. Per ovviare a tali inconvenienti è
buona norma assegnare alle scarpate pendenze minori di quelle strettamente richieste in
termini di stabilità; in generale, per altezze inferiori a 8-10 metri si può far riferimento ai
valori di massima riportati nella Tabella V. La letteratura, in ogni caso, riporta valori della
pendenza delle scarpate di scavo in roccia mai superiori ad un rapporto di 4 a 1 (76°). In
genere, inoltre, le scarpate di riporto si realizzeranno secondo un’inclinazione inferiore
rispetto a quelle di scavo.
Nel caso di rocce “tenere”, come ad esempio marne, conglomerati o argilloscisti, la tecnica
costruttiva può prevedere la realizzazione di una gradonatura che ha il vantaggio da un
lato, di minimizzare i rischi di cadute di massi e blocchi sulla strada, dall’altro di rallentare
e ridurre il degrado e l’erosione dell’ammasso roccioso, dovuti a fenomeni di dilavamento,
poiché il gradone dissipa l’energia della corrente.
Se lo scavo viene realizzato in rocce stratificate e fratturate (caso piuttosto frequente nella
pratica), possono verificarsi problemi di stabilità anche molto complessi in funzione delle
caratteristiche geomeccaniche dell’ammasso roccioso e delle caratteristiche delle
discontinuità presenti. Lo studio della stabilità in questi casi può diventare complesso, sia
per la quantità di informazioni geologiche necessarie, sia perché molto spesso la superficie
di distacco non può essere considerata piana. Per situazioni di questo tipo si raccomanda di
23
ricorrere a tecnici specializzati in grado di utilizzare una schematizzazione adeguata dei
problemi di stabilità dei pendii in roccia.
3.3.2 Scarpate in terreni
Quando lo scavo interessa i terreni sciolti, la pendenza della scarpata deve essere assegnata
in modo tale da garantire la stabilità del pendio con un opportuno coefficiente di sicurezza
(si ricorda che la normativa geotecnica in materia di pendii fissa il Fattore di Sicurezza
minimo nel valore di 1.3). Tralasciando qui ogni dettaglio circa i diversi metodi d’analisi di
stabilità dei pendii, vengono di seguito proposte alcune indicazioni di massima circa
l’inclinazione delle scarpate.
Nel caso in cui non siano disponibili studi specifici (per esempio relazioni geotecniche)
riguardanti la tipologia del terreno interessato dalle operazioni di scavo, di norma in Italia
la scarpata di monte si realizza con una pendenza di 1:1, anche se sono tuttavia possibili
inclinazioni maggiori sino a 3:2 sui terreni più stabili (di natura grossolana). Dovranno
invece essere ridotte a 2:3 per terreni fini coesivi, soprattutto in presenza di acque
sottosuperficiali. Nelle scarpate di riporto, il materiale può essere disposto secondo
l’angolo naturale di attrito interno (Bortoli, 1982).
Anche nella letteratura straniera i riferimenti relativi all’inclinazione delle scarpate sono
scarsi, soprattutto in relazione alla classificazione granulometrica del terreno interessato
dallo scavo. In Tabella VI si riportano i valori utilizzati in Canada e negli Stati Uniti
d’America, in funzione della granulometria del materiale.
1 Per una definizione particolareggiata delle litologie si rimanda all’Appendice 3.
Tabella V: Valori medi delle pendenze di scarpate in roccia.
Tipo di roccia Legenda Carta Litologica
Cartografia GeoambientaleRegione Lombardia1
Pendenza scarpata
(vert/orizz)Rocce ignee IA, IB, EA, EB, FL 4/1 – 2/1 Rocce sedimentarie arenarie e calcari massicci rocce stratificate (orizzontali o a reggipoggio) marne e argilliti
Ac, As, Cm, Cn, Dm
Cs, Dm (se stratificata) Al, Fl, Am, Mc, Ss
4/1 – 2/1
2/1 – 1.33/11.33/1 – 1/1
Rocce metamorfiche gneiss, scisti, serpentiniti, marmi ardesie, filladi
GN, MQ, MC
FD
4/1 – 2/1
2/1 – 1.33/1
24
Si noti che tali valori nell’ambiente italiano devono essere intesi come indicativi e
soprattutto, essi valgono per scarpate d’altezza inferiore a 3 metri. La fonte stessa della
tabella, inoltre, consiglia di ridurre le pendenze in corso d’opera, nel caso vi sia la presenza
di fratture di trazione di neoformazione (o a monte della scarpata o sulla superficie
stradale) o nel caso in cui insorgano fenomeni di instabilità lungo il pendio interessato
dall’opera.
Altri valori che oltre alla classificazione granulometrica del terreno fanno riferimento
anche alla sua origine sono riportati in Tabella VII, che fornisce anche l’indicazione di
alcuni parametri geotecnici utili per i principali impieghi dei materiali in ambito
ingegneristico.
Tabella VI: Linee guida per la pendenza delle scarpate di scavo e di riporto (modificato da British Columbia Forest Code, 1995)
Scarpate di scavo Scarpate di riporto materiale2 pendenza materiale pendenza
miscele di sabbia e ghiaia (GP) sabbie da sciolte ad addensate
(SW, SP) 1/1.5
sabbie limose (SM) 1/1
miscele di sabbia e ghiaia (GP)
sabbie (SW, SP) miscele di ghiaia,
sabbia, limo e argilla (GM, GC)
1/1.5
limi da addensati a molto addensati
sino a cementati (ML) 1/0.75
limi soffici, limi argillosi (MH) 1/1.5 argille limose (CL)
argille inorganiche (CH) 1/1
limi (ML, MH) argille (CL, CH)
1/2.5
2 classificazione USCS (Unified Soil Classification System)riportata nell’Appendice 4.
25
Tabella VII: Proprietà fisico-meccaniche e indicazioni a scopo ingegneristico dei terreni (da: Washington Division of Geology and Earth Resources Bulletin 78-1989, modificato)
classificazione
origine USCS
Peso di volume secco
angolo diresistenza al taglio
coesione
erodibilità relativa
capacità portante
difficoltà di scavo
inclinazione scarpata
g/cm3 ° kg/cm2 kg/ cm2 %
alluvionali alta energia
GW, GP,
GM 1,85 - 2,10 30 - 35 0 bassa 0,75 – 1,00 bassa 50÷65
bassa energia
ML, SM, SP, SW
1,45 - 1,85 15 - 30 0 – 0,25 medio-
alta 0,25 – 0,75 bassa 25÷50
glaciali
till SM, ML 1,90 - 2,25 35 - 45 0,50 – 2,00medio- bassa
0,75 – 2,50medio-
alta 50÷100
fluvioglaciali
GW, GP SW,SP,SM
1,85 - 2,10 30 - 40 0 – 0,50 medio- bassa
0,75 – 1,50medio- bassa 50÷70
glaciolacustri
ML, SP,SM
1,60 - 1,90 30 - 40 0 – 1,50 medio-
alta 0,50 – 1,00 media
25÷50
lacustri inorganici
ML, SM,
MH 1,10 - 1,60 5,0 - 20 0 – 0,10 alta 0 – 0,25 bassa 0÷25
organici
OL, PT 0,15 - 1,10 0 - 10 0 – 0,10 alta 0 – 0,25 bassa 0÷25
eolici
loess ML, SM 1,25 - 1,60 20 - 30 0,25 – 0,50molto alta
0,25 – 0,50 bassa 25÷50
26
4 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DELLE SEZIONI
4.1 Introduzione
Il principale modo per rendere stabili le sezioni che compongono la viabilità agro-silvo-
pastorale è, come precedentemente illustrato, quello di evitare di attraversare aree
potenzialmente instabili o peggio con dissesti in atto. Poiché ciò non è sempre possibile e
la precisa identificazione di tali aree non è né semplice, né scevra da incertezza, spesso ci
si trova a dover effettuare interventi di stabilizzazione in corso d’opera o su strade già
realizzate. Nel caso della viabilità agro-silvo-pastorale, gli interventi dovranno combinare
la sicurezza con l’economicità delle opere ed il ridotto impatto ambientale.
Gli interventi che possono essere realizzati in ambito agro-silvo-pastorale possono essere
essenzialmente suddivisi nei seguenti tipi:
• protezione del corpo stradale da caduta massi e franamenti:
la caduta massi è un fenomeno sottovalutato nell’ambito della viabilità agro-silvo-
pastorale anche se dal punto di vista del rischio per il transito rappresenta un evento
estremamente pericoloso, data anche la rapidità con cui si manifesta. Per questo motivo
è fondamentale in fase di realizzazione o di completamento dei lavori rimuovere gli
ammassi instabili di maggiore dimensione. Gli interventi di sistemazione sono costituiti
da interventi puntuali di disgaggio, effettuati mediante rimozione meccanica dei blocchi
rocciosi pericolanti, e da interventi di copertura e messa in sicurezza delle pendici di
monte, costituiti dalla posa in opera di reti metalliche tirantate e funi in acciaio; in taluni
casi può essere sufficiente la posa di stuoie e l’idrosemina. Le reti in aderenza, in
particolare, ben si adattano alla morfologia del territorio, costituiscono soluzione valida
ed economicamente poco onerosa pur necessitando di mano d’opera specializzata per la
manutenzione ordinaria e straordinaria;
• consolidamento delle scarpate di monte:
in generale, la stabilità delle scarpate di monte dipende dalla pendenza che viene loro
conferita durante la realizzazione del corpo stradale, in relazione al tipo di substrato ed
alla presenza di acqua. Talvolta le condizioni del versante attraversato richiedono di
realizzare scarpate con una pendenza che da sola non ne garantirebbe la stabilità con
ragionevole sicurezza; in tali casi, di conseguenza, occorre effettuare adeguati interventi
che contribuiscono da una parte a favorire lo smaltimento delle acque, dall’altra a
rinforzare o sostenere la scarpata stessa.
27
In tale situazione è essenziale la ricerca della provenienza delle acque superficiali e
d’infiltrazione e la loro regimazione che può essere conseguita mediante fossi di guardia
costruiti sul versante a monte della scarpata e sistemi di drenaggio superficiale,
sottosuperficiale e profondo. In taluni casi può essere necessario ricorrere al principio
del cuneo drenante ricostruendo la scarpata con materiale grossolano ad elevata capacità
drenante. Le opere di sostegno più indicate nell’ambito della viabilità agro-silvo-
pastorale sono le palificate, le gabbionate metalliche, i muri e/o le scogliere a secco,
limitando ai casi più critici la costruzione di muri in calcestruzzo o in cemento armato e
le terre rinforzate con elementi sintetici. Le opere di rinforzo e copertura possono essere
realizzate mediante gradonate, fascinate, inerbimento, geostuoie, ecc.;
• consolidamento delle scarpate a valle:
l’instabilità delle scarpate di valle si verifica nella maggior parte dei casi a causa del
sovraccarico del cuneo di riporto dovuto alle sue dimensioni ed alla presenza di acqua;
ulteriore causa d’instabilità è l’erosione dovuta al deflusso convogliato sulla scarpata
dal piano viario o dall’inefficienza del sistema di drenaggio. Un’ultima causa, seppure
meno frequente, è l’erosione spondale di corsi d’acqua fiancheggianti la strada stessa.
Gli interventi, in questo caso, consisteranno quindi in un’attenta progettazione,
esecuzione e manutenzione della rete di smaltimento dei deflussi provenienti dal piano
stradale e dagli impluvi (Bischetti, 2005), e in opere di sostegno e di rinforzo come per
la scarpata di monte.
Al fine di scongiurare invece le erosioni spondali è consigliato in molti casi procedere
alla costruzione di scogliere in materiale lapideo, oltre alla regimazione idraulica per
mezzo di briglie, soglie e pennelli.
4.2 Opere di drenaggio della scarpata
I metodi che possono essere applicati per migliorare le condizioni di drenaggio, sia
superficiale che profondo, e conseguentemente per migliorare le condizioni di stabilità di
una scarpata sono prioritari rispetto ad altri metodi di stabilizzazione, perché generalmente
producono sostanziali benefici a costi significativamente inferiori.
Nel presente paragrafo verranno illustrati i sistemi di drenaggio che interessano il corpo
della scarpata, mentre per i sistemi di drenaggio superficiale si rimanda a Bischetti (2005).
I drenaggi profondi potranno essere correttamente progettati e realizzati solamente dopo
aver effettuato studi idrologici ed idrogeologici in un intorno significativo dell’area, in
29
fini fino a 10-15 m in terreni sabbiosi (Chatwin et al., 1994).
4.2.3 Cuneo drenante
Si tratta di riempire il piede della scarpata con pietrame in modo da avere un duplice
effetto, da una parte viene favorito il drenaggio, dall’altra viene aumentato il carico alla
base della scarpata stessa. In genere per favorire il trattenimento del materiale grossolano
viene realizzata una grata viva, a sua volta fondata su una scogliera a secco o una palificata
(Figura 13).
4.3 Opere di sostegno
4.3.1 Generalità
Le opere di sostegno possono essere definite come strutture in grado di contenere e
contrastare le spinte esercitate da un fronte di terreno. In generale si distinguono in opere
rigide o flessibili, le seconde a differenza delle prime sono caratterizzate da una certa
deformabilità (Lancellotta, 1993). In entrambi i casi l’entità e la distribuzione delle azioni
che il terreno esercita sull’opera dipendono dall’entità e dalla tipologia di movimento che
la struttura manifesta e pertanto la determinazione di queste azioni richiede la risoluzione
di un problema legato all’interazione terreno-opera di sostegno. Nella totalità dei casi per
le opere rigide si ricorre a soluzioni di tipo approssimato (ad esempio quelle ricavabili con
il metodo “dell’equilibrio limite globale”), la cui validità applicativa è giustificata non
tanto dall’impostazione del problema fisico più o meno corretta, quanto dalle conferme che
le previsioni teoriche hanno avuto da osservazioni e sperimentazioni sul comportamento
delle strutture reali o in scala (Lancellotta, 1993; Lambe e Whitman, 1997).
In base ai materiali con cui vengono costruiti, si possono individuare diverse tipologie di
muro di sostegno: muri in cemento armato, in calcestruzzo, in malta e pietrame, cellulari
(“crib walls”), in pietrame a secco, misti in legno e pietrame (“palificate”), gabbionate,
terre rinforzate.
In ogni caso, fatta eccezione per i muri in cemento armato che consentono svariate
soluzioni costruttive tali da “alleggerire” l’intera struttura di sostegno, le tipologie sopra
elencate possono essere considerate a tutti gli effetti “muri a gravità” essendo opere
massicce e pesanti che si oppongo con il proprio peso alle sollecitazioni cui sono
sottoposte.
I muri di sostegno vengono utilizzati frequentemente per sostenere terrapieni e manufatti
quando, per esigenze costruttive o topografiche, non si riesca a dare ai terreni rimossi una
30
pendenza inferiore all’angolo di attrito del materiale. Tali opere trovano largo impiego
nell’ambito delle costruzioni stradali (ordinarie e agro-silvo-pastorali) lungo i versanti.
Nell’ambito della viabilità ordinaria e non, i muri di sostegno (indipendentemente dal
materiale con cui vengono realizzati) in base alla loro funzione possono essere distinti in
(Figura 14):
• muri di sostegno propriamente detti, che sostengono un rilevato raggiungendo in
genere il piano della carreggiata;
• muri di sottoscarpa, che pur sostenendo un rilevato non si sviluppano in altezza sino al
piano viabile, per cui tra tale piano e il muro di contenimento, in genere, il terreno si
dispone secondo la scarpata naturale;
• muri di controripa, destinati a limitare la scarpata di una trincea o di uno scavo,
sostengono cioè il terreno dalla parte verso monte.
muro di sostegno muro di sottoscarpa muro di controripamuro di sostegno muro di sottoscarpa muro di controripa
Piano stradale
Figura 14: Tipologie di muro di contenimento.
Nei primi due casi l’opera, indipendentemente dalle sue caratteristiche costruttive, sarà
sottoposta sia all’azione della spinta delle terre del rilevato che dei carichi che transitano
sulla strada; i muri di controripa invece saranno, in linea di massima, sollecitati solo dalla
spinta delle terre. Da ciò risulta chiaro che forma e dimensioni di un’opera di sostegno
dipendono, oltre che dal materiale e dagli accorgimenti costruttivi che si intendono
adottare, da vari fattori relativi alla natura e condizioni dei terreni da contenere, nonché dai
sovraccarichi ammissibili sul piano viabile.
4.3.2 Criteri di progetto
Il comportamento dell’opera di sostegno, intesa come complesso struttura-terreno, deve
essere esaminata tenendo conto di diversi fattori, fra cui:
• topografia del terreno prima e dopo l’inserimento dell’opera;
• modalità di esecuzione dell’opera e del rinterro;
31
• successione stratigrafica e proprietà fisico-meccaniche dei terreni di fondazione e di
eventuali materiali di riporto interessati dall’opera;
• eventuali falde idriche;
• drenaggi e opere accessorie per lo smaltimento delle acque superficiali e sotterranee;
• manufatti o altre opere antropiche circostanti;
• caratteristiche di resistenza e deformabilità dell’opera.
Andranno inoltre effettuate le verifiche previste dalla normativa vigente nel campo delle
opere di sostegno nelle condizioni corrispondenti alle diverse fasi costruttive ed al termine
della costruzione, tenendo conto delle eventuali oscillazioni del livello dell’acqua nel
sottosuolo.
Nella progettazione di un’opera di sostegno, così come previsto dal DM 11/03/88 (sezione
D), a prescindere dal materiale con cui si realizza il manufatto, devono essere eseguite le
seguenti verifiche di stabilità:
• alla traslazione sul piano di posa:
se le forze di attrito al contatto fondazione-terreno non sono in grado di contrastare la
componente orizzontale della spinta attiva, il muro cede, scivolando lungo il piano di
posa. Per la sicurezza nei confronti di tale instabilità, il rapporto tra la somma delle
forze resistenti nella direzione dello scorrimento e la somma delle componenti nella
medesima direzione delle azioni sul muro dovrà essere ≥ 1.3;
• al ribaltamento:
affinché l’opera non si ribalti attorno allo spigolo di valle, la risultante dei carichi non
deve cadere al di fuori del nocciolo d’inerzia dell’intera sezione di base del muro.
Perciò, per assicurarne la stabilità, il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti e
quello delle forze ribaltanti calcolati rispetto allo spigolo di valle dovrà essere ≥ 1.5;
• al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento):
la stabilità allo schiacciamento è verificata quando la tensione di compressione
massima, cui è sottoposta l’opera, è minore del carico di sicurezza a compressione (Cs)
del terreno di fondazione;
• globale dell’insieme opera-terreno:
32
Dopo aver verificato le tre condizioni di
stabilità esterna dell’opera di sostegno,
soprattutto in presenza di strati coesivi
profondi di scarse caratteristiche
meccaniche, dovrà essere analizzata la
stabilità globale del complesso opera-
terreno nei confronti dei fenomeni di
scorrimento più o meno profondo (Figura
15). Il metodo di calcolo per la verifica
della stabilità deve essere scelto tenendo conto della posizione e della forma delle
possibili superfici di scorrimento, dell'assetto strutturale, delle caratteristiche
meccaniche del terreno, nonché della distribuzione delle pressioni neutre. Quando
sussistano condizioni tali da non consentire una esatta valutazione delle pressioni
neutre, i calcoli di verifica devono essere effettuati assumendo le più sfavorevoli
condizioni che ragionevolmente si possono prevedere per la situazione in esame. In ogni
caso si procederà valutando le superfici di scorrimento cinematicamente possibili, in
numero sufficiente per ricercare la superficie cui corrisponde, nella situazione
considerata, il coefficiente di sicurezza più basso.
Nel caso di terreni omogenei e nei quali le pressioni neutre siano note con sufficiente
attendibilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1.3 (DM 11/03/88,
Sezione G).
Per una trattazione di maggior dettaglio sulle verifiche delle opere di sostegno si rimanda
all’Appendice 2 ed ai testi di scienza e tecnica delle costruzioni.
4.3.3 Palificate
4.3.3.1 Generalità
La palificata, o muro in legname e
pietrame, è costituita da una struttura
portante in legno formata da elementi
longitudinali (correnti) e da elementi
trasversali (traversi o tiranti). La
sovrapposizione di un piano di correnti
e uno di tiranti si definisce strato (o
Figura 15: verifica di stabilità globale dell’insieme muro-terreno.
Figura 16: Palificata (vista frontale).
33
piano) e l’opera viene realizzata sovrapponendo
con cura uno strato all’altro sino a raggiungere
l’altezza di progetto (Figura 16).
Nel campo delle sistemazioni di versante, in
funzione delle modalità costruttive le palificate
di sostegno si dividono in:
• Palificate a parete semplice, con
correnti disposti su una sola fila
orizzontale esterna, mentre i traversi
appoggiano con la parte terminale (in
genere infissa) nella parete dello scavo;
• Palificate a parete doppia, con i correnti
disposti su due file orizzontali, una
esterna e una interna alla struttura
(Figura 17).
L’unione tra correnti e tiranti, rafforzata dall’infissione di chiodi o bulloni, determina la
formazione di una sorta di gabbia di legno che successivamente viene stabilizzata dal peso
del materiale di riempimento (normalmente il materiale lapideo o la terra di riempimento
vengono scavati o comunque reperiti in loco). Il riempimento della struttura con materiale
lapideo e/o terroso conferisce all’opera alcune caratteristiche, tra cui ricordiamo peso,
rigidità, stabilità e permeabilità, che fanno della palificata un pregevole intervento
sistematorio nel campo dell'ingegneria naturalistica. L’opera, inoltre, possiede anche una
certa elasticità che le permette di sopportare gli assestamenti del terreno senza subire
significative alterazioni strutturali.
È possibile inserire tra i correnti delle talee (palificata viva) che, una volta radicate,
permettono di combinare la funzione di sostegno con quella di rinforzo che si prolunga nel
tempo, oltre la durata dell'opera stessa. Le piante sviluppate, infatti, sostituiscono
gradualmente la funzione di sostegno della palificata che via, via si disgrega, e riducono il
contenuto idrico della scarpata retrostante assorbendo acqua.
Le dimensioni delle opere sono molto variabili a seconda del tipo di dissesto, di norma
però per le palificate a doppia parete si mantiene una profondità di 2 m e un’altezza non
superiore ai 2-2.5 m, in modo da garantirne la stabilità. Nell’ambito delle dimensioni
indicate, infatti, il rispetto della regola secondo cui l’altezza dell’opera (H) è pressoché
Figura 17: palificate a parete semplice e a parete doppia (sezione)
34
uguale alla sua base (B) offre soddisfacenti
garanzie di stabilità globale anche nei terreni caratterizzanti da ridotta capacità portante.
4.3.3.2 Tecnica costruttiva
Per la costruzione delle palificate, la prima operazione da realizzare è lo scavo della
banchina. Le fasi costruttive di tali opere seguono una procedura ormai consolidata nel
tempo (Regione Lombardia, 2000; D’Agostino, 2000). Una volta preparato il legname
necessario, si procede allo scavo del piano di posa a forma di “L”, realizzandolo a
reggipoggio con una leggera pendenza verso monte (indicativamente 5°-10°). Lo scavo
deve raggiungere un piano di fondazione stabile ed una profondità in cui compaiono
eventuali infiltrazioni d’acqua. In questo caso per evitare che le acque si accumulino lungo
il piano di posa, garantendo così stabilità e una maggior durata all’opera, è necessario
captare l’acqua che fuoriesce mediante la posa in opera (partendo dal paramento di monte)
di elementi drenanti longitudinali (tubazioni da 100-130 mm di diametro; Figura 18),
collegati con elementi ortogonali inclinati verso valle; affinché il sistema drenante risulti
efficiente, andrà garantita una pendenza di scarico verso valle di almeno 3-4%
(D’Agostino, 2000). Per limitare l’innesco di fenomeni erosivi è poi necessario prevedere
la realizzazione di una protezione all’uscita verso valle del tubo drenante. Successivamente
si procede alla posa in opera della prima fila di correnti (legname disposto parallelamente
al versante) posizionandoli in modo che appoggino sul terreno per tutta la loro lunghezza
(favorendo in tal modo la distribuzione uniforme dei carichi), realizzando gli appoggi e i
fissaggi con tondini in ferro tra legni successivi. Sopra i correnti viene poi posta in opera la
prima serie dei traversi, fissati saldamente ai correnti mediante chiodi (diametro minimo 10
mm), bulloni e graffe.
tubo drenante
Figura 18: Drenaggio delle fondazioni.
Figura 19: Congiunzione dei tronchi (da: Regione Lombardia, 2000).
35
Successivamente viene controllata la sporgenza e l’altezza dei tronchetti dei traversi con un
cordino teso dal primo all'ultimo tronco. Nel caso di palificate lunghe è importante
controllare anche che la curvatura non sia eccessiva (<1 m). Per aumentare la stabilità della
struttura bisogna realizzare inoltre degli intagli che migliorano il collegamento tra gli
elementi strutturali e che consentono alla chiodatura una maggior profondità di
penetrazione (Figura 19). Gli elementi trasversali dei diversi corsi possono essere
posizionati lungo la stessa linea verticale, disposizione continua, oppure in maniera sfalsata
tra di loro, disposizione alternata (Figura 20). Nel primo caso, la palificata risulterà più
rigida e “robusta”, mentre nel secondo sarà caratterizzata da una maggior elasticità, pur
conservando una sua stabilità. Per quanto riguarda l’interasse tra gli elementi trasversali,
esso è compreso generalmente, tra 0.8 e 2 metri (D’Agostino, 2000).
Nel caso delle palificate vive, è bene ricordare che gli strati successivi di tronchi di legno
vengono messi in posto secondo lo schema descritto, avendo cura di posizionare i diversi
ordini di correnti in posizione più arretrata rispetto al sottostante, in modo da conferire al
fronte dell’opera una inclinazione di circa 20°-30° per garantire la migliore crescita delle
piante.
Durante la costruzione del telaio (Figura 21), in genere dopo 2-4 ordini di legname, si
procede al riempimento della struttura, avendo cura di posizionare gli elementi lapidei di
maggiori dimensioni in corrispondenza degli spazi vuoti del paramento di valle, per evitare
che, in caso di pioggia, il terreno venga asportato. Il materiale di riempimento utilizzato è
costituito principalmente da pietrame trovato sul posto, da inerti provenienti dallo scavo o
da scarti di cava. La granulometria del riempimento influenza direttamente la capacità
drenante dell’opera e conseguentemente la stabilità dell’intera struttura. Per tale motivo la
Figura 20: Disposizione continua ed alternata degli elementi trasversali (vista frontale).
36
granulometria del materiale non deve
essere troppo ridotta e il diametro
ottimale può indicativamente essere
compreso tra i 15 e i 20 cm.
Nel caso di palificate vive parte del
riempimento deve essere effettuato con
terreno vegetale, opportunamente
compattato. Le talee vengono poi messe
a dimora negli interstizi tra i tronchi
disposti orizzontalmente; esse devono
sporgere di circa 25 cm dal fronte della
palificata e raggiungere il terreno naturale nella parte posteriore del manufatto. Da notare
come l’impiego delle terre a grana fine (terreni limoso-sabbiosi e argillosi) porta a due tipi
di inconveniente. Da un lato l’elevata probabilità che si verifichi la fuoriuscita del
materiale di riempimento per opera dell’azione dell’acqua, che può essere ovviato con
l’utilizzo di geotessuto posto a ridosso del paramento di valle a partire dal piano di
fondazione a formare una sorta di sacco; dall’altro una diminuzione della capacità filtrante
dell’opera con conseguente incremento della spinta agente a monte, nonché della
vulnerabilità della struttura. A ciò si cerca di porre rimedio prevedendo drenaggi alla base,
avvolti in geotessile e posti in prossimità del piano di fondazione; con la medesima
funzione drenante possono essere impiegati anche letti di ramaglia (ottimale risulta essere
l’abete bianco; D’Agostino, 2000).
A fine lavori, la palificata viene ultimata mediante copertura con terreno e livellamento del
pendio retrostante a mano o con mezzo meccanico, in modo da raccordare il terreno di
riporto con il versante a tergo. Durante la copertura, la costipazione deve essere eseguita
con cura soprattutto dove non sono tollerabili cedimenti.
La palificata può anche essere ancorata in profondità attraverso piloti in legno o in
profilato metallico di lunghezza di 2 m, infissi nel terreno per almeno ¾ della lunghezza.
Questa metodologia costruttiva viene normalmente utilizzata nel caso di sistemazione e
consolidamento di scarpate di frana ed è da utilizzarsi con cautela, poiché questo tipo di
strutture in legname, con un piano di fondazione ridotto, non si prestano in genere a
situazioni caratterizzate da superfici di scivolamento profonde.
Figura 21: Vista assonometrica di una palificata e del relativo riempimento (ridisegnato da D’Agostino, 2000).
37
4.3.3.3 Materiali impiegati e tempi di realizzazione
I materiali costruttivi utilizzati per la realizzazione delle palificata possono essere distinti
in base alla loro funzione in (Cavalli e D’Agostino, 2000):
• materiali di struttura: legname tondo, legname squadrato, traversine ferroviarie in
legno, alberi scortecciati;
• materiali di assemblamento: chiodi, tondini di ferro o acciaio, graffe, bulloni da legno.
A seconda delle modalità e dei problemi costruttivi possono essere necessari:
• materiali di completamento: tubi drenanti, fascine drenanti, ramaglia, geotessuti di
contenimento, reti metalliche di acciaio zincato, funi;
• materiali di riempimento: pietrame per vespai drenanti, ciottoli, pietrisco, terra;
• materiali vivi: talee, piantine radicate.
La conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche del legname utilizzato per la
realizzazione dell’opera condiziona sia la scelta operata dal progettista, che la previsione
della durata della palificata nel tempo. Al fine di garantire un tempo di esercizio
sufficiente, indipendente dal tipo di legno utilizzato, sarebbe conveniente scortecciare tutte
le parti della costruzione non ricoperte da terra per almeno 20 cm. Nella pratica di cantiere
è però ormai consueto utilizzare tondame interamente scortecciato, in quanto il maggior
onere costruttivo costituisce una garanzia di maggior durata soprattutto delle parti destinate
alla fondazione del manufatto (Cavalli e D’Agostino, 2000).
Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche del legno, va ricordato innanzitutto che
tale materiale è meccanicamente anisotropo, presentando valori di resistenza differenti in
funzione del tipo di sollecitazione a cui è sottoposto. Senza entrare nel dettaglio circa le
sollecitazioni cui può essere sottoposto il legno utilizzato nelle sistemazioni forestali, di
seguito (Tabella VIII) vengono proposti una serie di valori di resistenza per diverse specie
legnose di facile reperimento in Regione Lombardia:
La scelta del legname da costruzione, oltre che dalle caratteristiche di resistenza
meccanica, deve essere guidata anche dalla resistenza dello stesso, in particolare per
quanto riguarda la resistenza all’attacco di batteri, muffe e funghi lignivori (Tabella IX). In
questo senso il campo della scelta del legname da impiegare nella realizzazione delle
palificate si restringe a quello del larice, per le conifere, e quello di castagno, per le
latifoglie, poiché entrambi soddisfano sia la condizione di resistenza meccanica che di
durabilità all’attacco dei funghi. Caratteristiche simili di resistenza vengono offerte anche
38
dalla robinia e dalla quercia, ma i costi e la limitata disponibilità, in termini di pezzi
impiegabili nelle costruzioni, fanno sì che entrambe le specie perdano di validità nel campo
delle sistemazioni forestali.
Per la realizzazione di una palificata, secondo il “Quaderno opere tipo di ingegneria
naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) si può far indicativamente riferimento alle
seguenti tipologie di materiali:
• legname tondo scortecciato, avente diametro compreso tra 20 e 30 cm di lunghezza
superiore a 1,5-2 m;
• chiodi di ferro o tondini di ferro con diametro compreso tra 10 e 14 mm;
• filo di ferro zincato con diametro pari a 3 mm;
• talee e/o piantine di specie legnose, dotate di buona capacità vegetativa, con lunghezza
di 25 cm maggiore rispetto alla profondità della palificata e tale da arrivare al terreno
naturale;
• stuoie e georeti in materiale biodegradabile (paglia-legno, juta, fibra di cocco, ecc.).
Per quanto riguarda i tempi di costruzione valori indicativi sono riportati in Tabella X,
mentre per quanto riguarda la quantità di legname necessario, Palmeri e Zanoni (1999)
propongono una procedura di calcolo speditiva per avere un’indicazione circa la quantità di
pali e il numero di chiodi necessari per la realizzazione di una palificata viva di sostegno a
doppia parete.
Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni meccaniche (da Giordano, 1988).
Resistenza specie Compressione
trasversale alle fibre (N/mm2)
trazione parallela alle fibre (N/mm2)
flessione statica
(N/mm2)
taglio
(N/mm2) abete bianco
5.0÷13.0 75.0÷195.0 41.0÷130.0 3.4÷6.7
abete rosso 4.2÷12.4 63.0÷186.0 49.0÷118.0 4.3÷11.2 larice 5.4÷14.8 81.0÷222.0 47.0÷132.0 4.9÷10.3 castagno 4.3÷12.8 64.5÷192.0 50.0÷140.0 5.7÷9.2
39
4.3.3.4 Messa a dimora delle talee
Nella realizzazione delle palificate vive si utilizzano talee e ramaglia (in genere di salice
per la loro capacità di radicazione); esse devono essere sistemate sui correnti (Figura 22)
ed inserite nel terreno retrostante, in modo che radichino più facilmente. Le talee dovranno
essere disposte a pettine una accanto all’altra con una densità variabile secondo la specie e
le condizioni pedoclimatiche, da 5 a 10 per metro. Come già detto, le talee devono
sporgere per circa 10÷25 cm dal paramento esterno della palificata, infisse nel terreno per
15÷20 cm. Le talee devono essere prelevate durante il riposo vegetativo e conservate in
maniera adeguata fino all’impiego per evitare la differenziazione delle gemme e
l’essiccamento. La raccolta deve avvenire con tagli netti delle piante che diventeranno così
nuove ceppaie e riserva per altro materiale. Per la scelta del materiale più idoneo nelle
diverse situazioni, si rimanda al Quaderno delle opere tipo di Ingegneria Naturalistica
Tabella IX: durabilità nei confronti dei patogeni e resistenza nei confronti degli insetti del legname (mod. da De Antonis e Molinari, 2003)
specie funghi insetti abete bianco poco durabile non resistente abete di Douglas durabile resistente abete rosso poco durabile non resistente larice durame estremam. durabile resistente alburno durabile resistente pino silvestre durame durabile resistente alburno poco durabile resistente castagno durame molto durabile resistente alburno poco durabile non resistente quercia durame estremam. durabile molto resistente alburno poco durabile non resistente robinia durame Estremam. durabile resistente alburno poco durabile non resistente
Tabella X: Materiale e tempi di costruzione per m2 di paramento esterno (da Carbonari e Mezzanotte, 1993).
Manodopera 4 h/operaio noleggi (ragno meccanico e trattore) 0.6 h legname tondo scortecciato (diametro 15-35 cm) 0.4 m3 chiodi o cambre 8 piantine a radice nuda o in fitocella 10 talee di salice 20
40
(Regione Lombardia, 2000) ed ai numerosi testi disponibili sul tema dell’ingegneria
naturalistica.
4.3.3.5 Dimensionamento delle palificate a parete doppia
Nella progettazione delle palificate di sostegno a parete doppia molto spesso ci si basa solo
sull’esperienza e sulle tradizioni locali, senza le necessarie verifiche statiche. Per analogia
alle briglie in legname e pietrame, in genere, le palificate vengono costruite con una base
(B) di larghezza superiore alla metà dell’altezza (H) (D’Agostino e Mantovani, 2000),
anche se già all’inizio del secolo scorso Valentini (1912) suggeriva invece di porre la base
pari all’altezza (B/H=1).
Rimanendo nell’ambito di una trattazione semplificata, in sintonia con l’elementarità di
queste opere, è comunque possibile definire dei criteri di dimensionamento trattando il
problema della stabilità esterna delle palificate attraverso l’analisi statica del manufatto
considerato come corpo un rigido indeformabile; occorre tuttavia ricordare che a
complemento andrebbe sempre eseguita la verifica dell’equilibrio globale prevista dalla
normativa vigente (cfr. § 2.5).
Per la sola stabilità esterna, riferendosi ad una schematizzazione del problema in termini
bidimensionali (i calcoli si riferiscono sempre ad un metro di struttura), applicando lo
schema delle forze agenti sull’opera riportato nell’Appendice 2 e il metodo dell’analisi
all’equilibrio limite, Simonato e Bischetti (2003) hanno sviluppato le relazioni del fattore
di sicurezza relative alla verifica alla traslazione lungo il piano di posa dell’opera e alla
verifica al ribaltamento attorno al vertice esterno. Nella Tabella XI sono riportate le
formule utilizzabili per il calcolo della base B della palificata, ricavate in condizioni
asciutte e di completa saturazione del terreno di monte. Sulla base delle relazioni
sviluppate, una volta assegnate le
caratteristiche dell’opera, è possibile
determinare i valori del rapporto
base/altezza corrispondenti a
differenti condizioni di pendenza e
caratteristiche del substrato (riassunte
in Tabella XII), tali da garantire i
coefficienti di sicurezza allo
scivolamento e al ribaltamento. Figura 22: Messa a dimora delle talee (da: Regione Lombardia, 2000).
41
Tabella XI: Formule per il calcolo della base B dell’opera.
terreno asciutto
��
�
�
��
�
�+∗
+≥ a
opa
op
ter
sc
sc KQ
HKFSf
FSB
γα
γγ
αcos
2tan verifica allo scivolamento
2
tancos
2cos
2
tan2
αα
γα
γα H
QKHKHFSH
B aater
op
rib −��
���
�+∗+�
�
���
�≥ verifica al ribaltamento
terreno saturo
��
�
�
��
�
�++∗
+≥ a
opa
opop
w
sc
sc KQ
HKhFSf
FSB
γα
γγ
αγγ
αcos
2
'cos
2tan verifica allo scivolamento
2
tancos
2
'cos
2cos
2
tan2
αα
γα
γα
γα H
QKHKHHFSH
B aaw
op
rib −��
���
�++∗+�
�
���
�≥
verifica al ribaltamento
Tabella XII: Parametri utilizzati nel calcolo del rapporto B/H delle palificate.
altezza h dell’opera (m)
inclinazione αdella base (°)
inclinazione idel pendio (°)
angolo φ di resistenza al taglio (°)
1.0 1.5 2.0 2.5
0 5
10 20
27° (1 a 2) 34° (2 a 3) 45° (1 a 1) 56° (3 a 2)
27 30 35 40
Per quanto riguarda il peso proprio dell’opera, in accordo con quanto reperito in letteratura,
si è ipotizzata una disposizione del legname e del riempimento tale da garantire all’opera la
massima “leggerezza” (Pugi et al., 2000) in modo da operare a favore di sicurezza visto
(l’opera deve resistere per gravità alle sollecitazioni esterne). L’analisi dei pochi dati
esistenti ha consentito di assumere un valore per il peso dell’unità di volume dell’opera
pari a 15 kN/m3 in caso di riempimento asciutto e di 18 kN/m3 quando lo stesso risulti
saturo (ipotizzando una porosità del 30%).
Per quanto riguarda, invece, la spinta delle terre, sono state analizzate le condizioni di
terreno asciutto e saturo; nel caso di terreno saturo è stato ipotizzato che il materiale di
riempimento della palificata si intasi con il passare del tempo impedendo la filtrazione
dell’acqua, e che di conseguenza a monte dell’opera si instaurino condizioni
sostanzialmente idrostatiche, (Pugi et al., 2000). Anche per il terreno naturale a tergo
dell’opera sono stati ipotizzati valori del peso dell’unità di volume, utilizzando 18 kN/m3
in caso di materiale asciutto e di 21 kN/m3 in condizioni sature (porosità pari al 30%).
I risultati ottenuti sono riportati in Tabella XIII, distinti per i casi esaminati con terreno
asciutto e terreno saturo. Una volta ottenuti i valori di B/H per ciascuna combinazione sono
42
stati scartati i valori del rapporto maggiori dell’unità (B/H>1) in quanto rappresentano
soluzioni costruttive troppo onerose ed è stato riportato, sempre a favore di sicurezza, il
valore più alto di B/H, confrontando di volta in volta la verifica allo scivolamento e quella
al ribaltamento della palificata.
In accordo con quanto riportato in letteratura per le briglie (D’Agostino e Mantovani,
2000; Pugi et al., 2000) appare evidente come la regola empirica secondo cui la base
dell’opera a cassoni deve essere pari a 0.5 volte l’altezza della stessa, non garantisce il
raggiungimento dei coefficienti di sicurezza indicati dalla normativa vigente, ad eccezione
di terreni caratterizzati da buone proprietà meccaniche in condizioni asciutte e/o con
contropendenze elevate. Nel caso più critico, di spinta delle terre in condizioni sature,
Tabella XIII: Valori del rapporto B/H.
CONDIZIONI ASCIUTTE CONDIZIONI SATURE φ = 27° φ = 27°
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
0° 5° 10° 20° 0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) - 1.0 (1) 0.9 0.6 27° (2 a 1) - - 1.0 (3) 0.8 34° (2 a 3) - 1.0 (3) 1.0 (1) 0.7 34° (3 a 2) - - - 1.0
45° (1 a 1) - - 1.0 (3) 0.9 (2) 45° (1 a 1) - - - 0.9 (3)
56° (3 a 2) - - - - 56° (3 a 2) - - - - φ = 30° φ = 30°
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 1.0 (2) 0.9 0.7 0.5 27° (2 a 1) - - 1.0 (2) 0.7
34° (2 a 3) 1.0 (3) 1.0 (1) 0.9 0.6 34° (3 a 2) - - 1.0 (2) 0.8
45° (1 a 1) - - 0.9 (3) 1.0 45° (1 a 1) - - - 1.0 (1)
56° (3 a 2) - - - - 56° (3 a 2) - - - - φ = 35° φ = 35°
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 0.7 0.6 0.5 0.4 27° (2 a 1) - 1.0 0.8 0.6 34° (2 a 3) 0.8 0.7 0.5 0.5 34° (3 a 2) - 1.0 (2) 0.9 0.6
45° (1 a 1) 1.0 (1) 0.9 0.8 0.5 45° (1 a 1) - - 1.0 (1) 0.8
56° (3 a 2) - - 0.9 (3) 1.0 (1) 56° (3 a 2) - - - 0.9 (3)
φ = 40° φ = 40° Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)
0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 0.5 0.5 0.4 0.3 27° (2 a 1) 1.0 0.8 0.7 0.6 34° (2 a 3) 0.5 0.5 0.5 0.4 34° (3 a 2) 1.0 (1) 0.9 0.7 0.6
45° (1 a 1) 0.7 0.6 0.5 0.4 45° (1 a 1) 1.0 (3) 1.0 0.8 0.6
56° (3 a 2) 1.0 (1) 1.0 0.8 0.6 56° (3 a 2) - 1.0 (3) 0.9 (2) 0.9 (1) per H < 2.5 m (1) per H < 2.5 m (2) per H < 2.0 m (2) per H < 2.0 m NOTE (3) per H < 1.5 m
NOTE (3) per H < 1.5 m
43
risulta altrettanto evidente che il criterio empirico per cui la base è pari all’altezza si
avvicini maggiormente alle condizioni che assicurano la stabilità allo scivolamento e al
ribaltamento; è tuttavia vero che la palificata è un’opera di sostegno per sua natura
drenante, ed i valori relativi alle condizioni sature potrebbero sembrare eccessivamente
cautelativi. Tale scelta è compito del progettista in relazione alla situazione locale specifica
ed a valutazioni inerenti il rischio che si genererebbe in caso di cedimento.
Nonostante la manutenzione sia spesso trascurata, controlli regolari e piccoli interventi di
riparazione eseguiti periodicamente sono fondamentali per garantire la durata di esercizio
delle opere di sostegno in legno, a vantaggio della sicurezza.
4.3.4 Scogliere e muri in pietrame
Sono interventi che utilizzano come materiale da costruzione il pietrame a secco ed hanno
lo scopo di aumentare la stabilità del versante incrementando le forze resistenti e
diminuendo, quindi, la resistenza al taglio mobilitata. Tali opere possono anche essere
utilizzate come opere di difesa spondale longitudinale, disposte cioè parallelamente al
corso d’acqua.
Le scogliere sono costituite da grossi massi (0.5 ÷1 m3) o da blocchi di roccia nei cui
interstizi possono essere inseriti fino a raggiungere il terreno naturale talee e astoni di
salice (scogliere in massi rinverdite) o di altre specie dotate di analoghe capacità
biotecniche che radicando consentono una maggiore stabilizzazione del manufatto. Questo
tipo di opere deve possedere fondazioni profonde, appoggiate su porzioni stabili del
versante (per esempio a profondità maggiore della superficie di scivolamento).
In genere le opere in pietrame sono realizzate con materiale reperito in loco, che deve
essere lavorato in modo da conferirgli una forma il più possibile poliedrica ed evitando
blocchi eccessivamente arrotondati, in modo da assicurare la massima superficie
d’appoggio e il miglior incastro possibile. Solitamente il muro ha una sezione trapezoidale
ottenuta posizionando in basso i blocchi di dimensione maggiore, mentre le fondazioni
hanno una base rettangolare in leggera contropendenza (massimo 10°); possono essere
costruiti con varie pendenze e quindi essere adattati all’inclinazione della scarpata naturale
o artificiale da proteggere. L’altezza di queste opere mediamente non supera i 2 metri,
anche se in casi particolari e con l’impiego di mezzi meccanici adeguati è possibile
realizzare muri di sostegno e/o scogliere fino ad altezze di 3-4 metri (purché lo spessore
della base venga adeguatamente proporzionato all’altezza).
44
Dal punto di vista del dimensionamento, l’unico riferimento bibliografico reperito per
questo tipo di opere è quello di Gray e Sotir (1996), secondo i quali il Fattore di Sicurezza
nei confronti del ribaltamento dell’opera in pietrame (Figura 23) può essere scritto (nel
caso di terreno privo di coesione) come:
( )( ) ( ) φαφγ
γααγ
sin/sin/cos/33.05.0
5.0sin/cos/5.02
2
BHBHK
BHFS
At
RRrib
−
+= [ 4]
Dove H è l’altezza dell’opera, B è la larghezza dell’opera (misurata alla base), α è
l’inclinazione dell’opera (riferita
all’orizzontale), γR è il peso di volume dei
blocchi rocciosi, γt è il peso di volume del
terreno a tergo dell’opera, φ è l’angolo di
resistenza al taglio del terreno, KA è il
coefficiente di spinta attiva del terreno.
Risolvendo l’equazione [ 4] può essere
ricavato il valore del rapporto (H/B) in
funzione del valore del fattore di sicurezza
adottato:
( ) αφγ
αφγγ
sin/cos33.0
sin/cos)(33.05.0 2
FSK
KFSbb
B
H
At
ARt+±= [ 5]
dove:
( ) φγααγ sinsin/cos5.0 2 FSKb AtR += [ 6]
Gli Autori raccomandano poi di realizzare
sempre una fondazione o di ammorsare il
blocco basale in una trincea scavata
appositamente nel terreno naturale avendo
cura di costipare preventivamente il terreno.
Inoltre, per limitare le pressioni interstiziali a
tergo del muro, gli stessi consigliano di
realizzare un filtro in ghiaia tra lo scavo e il
manufatto o di posizione un tubo drenante per
allontanare le acque dalla base dell’opera
(Figura 24).
Figura 23 Rappresentazione schematica di un’opera di sostegno in pietrame
1
2
Figura 24: Schema di costruzione di un muro in pietrame con terreno di riporto e tubo drenante a tergo (ridisegnato da Gray e Sotir, 1996).
45
Indicazioni più dettagliate circa le modalità costruttive, gli interventi sistematori collegati e
il periodo di intervento per le opere in pietrame (rinverdite o meno) si trovano all’interno
del “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000). È bene
comunque ricordare che tali opere offrono notevoli vantaggi nei riguardi delle opere in
malta e pietrame o in calcestruzzo, ascrivibili alla loro “permeabilità”, che in genere
consente un buon drenaggio del terreno a tergo e di conseguenza una diminuzione della
spinta delle terre e delle sovrapressioni idrauliche. A tutto ciò si aggiungono la semplicità
costruttiva, il costo ridotto e la perfetta integrazione paesaggistica nell’ambiente montano;
di contro, necessitano di periodiche manutenzioni.
4.4 OPERE DI RINFORZO E DI COPERTURA
4.4.1 Gradonate
Le gradonate vengono realizzate collocando a dimora talee (o piantine radicate) sul fondo
di banchine scavate nel versante o nelle scarpate (Figura 25), sono opere che combinano la
funzione di copertura esercitata dall’apparato epigeo con quella di stabilizzazione
esercitata dall’apparato ipogeo. Oltre all’azione di rinforzo esercitata dalle radici, le talee
(o i fusti delle piantine) fungono da rinforzi in maniera analoga agli elementi sintetici delle
terre rinforzate (Figura 26).
L’esecuzione avviene procedendo dal basso verso l’alto, realizzando nel versante un
gradone cui viene conferita una pendenza verso monte di circa il 10%; sul fondo della
banchina vengono poi poste in tutta profondità talee (in genere di salice), astoni o piantine
radicate con una densità di almeno 10 pezzi/metro. La banchina viene poi riempita con il
materiale proveniente dallo scavo della banchina superiore. Per ulteriori dettagli si rimanda
al Manuale delle opere tipo di Ingegneria Naturalistica (Regione Lombardia, 2000) ed ai
numerosi testi specializzati.
Figura 25:schema costruttivo delle gradonate (da Regione Lombardia, 2000)
46
RINFORZO
PARAMENTOESTERNO
TALEA RADICATA
R
Figura 26: similitudine tra rinforzo sintetico e con talea
4.4.1.1 Dimensionamento
Facendo riferimento agli schemi sviluppati per le terre rinforzate, Bischetti e D’Agostino
(2002) hanno sviluppato uno schema di calcolo per valutare il fattore di sicurezza dei
versanti sistemati a gradonata in funzione sia delle caratteristiche geometriche e
geotecniche del versante, sia ai parametri progettuali della sistemazione (numero,
lunghezza e diametro delle talee, distanza tra i gradoni). In analogia a tali schemi il
rinforzo esercitato dalle talee può essere calcolato basandosi sull’analisi delle forze
all’equilibrio limite (cfr. Appendice 1) ed in particolare calcolando la resistenza
mobilizzata dal rinforzo al di sotto del generico piano di scivolamento. Con riferimento
alla Figura 27, il fattore di sicurezza (FS) del pendio è dato dalla seguente relazione:
( ) ( )( )βαββγ
φβγγβα+−
−+++=
coscossin
cossin
1
12
1
nRzl
tglzmnRlcFS
t
at [7]
dove z è la profondità del generico piano di scivolamento [m], m è la frazione di z
interessata dalla falda, γt è il peso nell’unità di volume del terreno [kN/m3], γa è il peso
specifico dell’acqua [kN/m3], c è la coesione del terreno [kN/m2], n è la densità delle talee
[numero/m], s è lo spessore del terreno al di sopra del piano di scivolamento [m], s* è la
lunghezza della talea sopra il piano di scivolamento [m], l3 è la lunghezza della talea [m],
( )*3 sl − è la lunghezza della talea al di sotto del generico piano di scivolamento [m], β è
l’inclinazione del versante, α è l’inclinazione del piano di posa delle talee, φ è l’angolo di
resistenza al taglio del terreno, R è la resistenza allo sfilamento mobilizzata dalla talea
[kN/m].
47
Nel caso dei rinforzi sintetici, si assume che la forza mobilizzata, R, sia rappresentata dalla
resistenza allo sfilamento assicurata dalle forze d’attrito all’interfaccia terreno-rinforzo.
Nel caso delle talee tale meccanismo è valido solamente nel primo periodo dopo la messa a
dimora, in quanto già dopo pochi mesi la talea ha emesso una significativa quantità di
germogli radicali. Bischetti e Vitali (2001) hanno osservato per talee di salice rosso dopo
tre mesi dalla messa a dimora, un numero medio dei germogli radicali (sebbene solamente
di pochi centimetri) che andava da alcune decine fino ad oltre cento per metro.
Nel caso delle talee radicate, quindi, oltre alle forze di attrito durante lo sfilamento, viene
mobilizzata una resistenza dovuta alla presenza delle radici che si originano dalla talea
stessa. Per valutare tale resistenza è ragionevole ipotizzare che il punto più debole dei
germogli radicali sia la loro inserzione sulla talea. La forza d’attrito complessiva che si
genera tra il terreno e le singole radici che compongono le ramificazioni di ciascun
germoglio, infatti, può essere assunta superiore alla resistenza alla trazione del germoglio
nel suo punto d’inserzione.
Applicando lo schema illustrato sulla base dei dati di Bischetti e Vitali (2001) sono state
calcolate le distanze massime tra i gradoni affinché sia garantito un fattore di sicurezza
superiore a 1.3 nel caso di una gradonata realizzata con talee di salice rosso di 1 metro di
lunghezza, poste a dimora con un angolo di 10° e una densità di 10 talee/m. In Tabella XIV
sono riportati i valori per diverse tipologie di terreno, caratterizzati da angoli di resistenza
al taglio di 27, 30, 35 e 40°, senza considerare, in via cautelativa, l’eventuale coesione del
terreno ed adottando un peso del terreno di 20 kN/m3 (in tali casi il Fattore di Sicurezza per
Figura 27: schema di rinforzo di un pendio sistemato a gradonata
48
versanti non sistemati è sempre inferiore a 1.3, salvo il caso di un terreno con φ di 40° e
pendenza 25°). I calcoli sono stati effettuati per due diversi gradi di saturazione (0.5 e 0.7)
e per profondità di 50 cm e 70 cm, ponendosi nella condizione di fine lavori, trascurando
cioè il contributo delle radici. I valori calcolati per la medesima situazione dopo un periodo
di 15 mesi sono invece riportati in Tabella XV.
Dai risultati riportati è possibile evidenziare che l’efficacia della sistemazione aumenta
all’aumentare della pendenza del versante; tale effetto è dovuto sostanzialmente al fatto
che a parità di profondità (z, cfr. Figura 27) e mantenendo un’inclinazione della talea di
10°, la porzione di talea che si trova dietro il piano di taglio aumenta con la pendenza del
piano stesso (si ricorda che nel caso del pendio indefinito, il piano di taglio viene ipotizzato
parallelo alla superficie). Nel caso di pendenze inferiori a 30°, la porzione di terreno che
può essere stabilizzata (FS>1.3) con talee di 1 m, in genere non supera i 50 cm, mentre
oltre i 30° supera i 70 cm. Per quanto riguarda la distanza tra i gradoni, per versanti
caratterizzati da materiale avente angolo di resistenza al taglio fino a 35°, la distanza
minima non supera i 3 m (fino a 5 m per φ pari a 40°) al termine dei lavori; dopo 15 mesi,
l’effetto delle radici permette di ottenere la stabilizzazione del versante anche con distanze
tra i gradoni di 7-10 m.
Si ritiene comunque opportuno consigliare una certa cautela nell’adozione generalizzata di
tali valori, che pur essendo cautelativi (è stata trascurata l’eventuale coesione del terreno ed
è stato assunto un peso del terreno piuttosto elevato), sono frutto di una sperimentazione al
Tabella XIV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la pendenza del versante a fine lavori, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m
m=0.5 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40 pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7
25 4.5 - 6.5 - 10.0 - 10.0 - 30 4.5 - 6.0 - 9.0 - 10.0 - 35 5.0 2.5 6.0 2.5 8.0 2.5 10.0 4.0 40 5.0 2.5 6.5 2.5 8.0 3.0 9.5 5.0 45 5.5 2.5 7.0 3.5 8.0 4.0 9.0 5.0
m=0.7 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40
pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7
25 4.0 - 4.5 - 7.0 - 10.0 -
30 4.5 - 4.5 - 7.0 - 10.0 -
35 4.5 2.5 5.0 2.5 7.5 2.5 9.0 3.0 40 4.5 2.5 5.0 2.5 7.5 2.5 9.0 4.0 45 4.5 2.5 5.5 2.5 8.5 3.0 9.0 4.5
49
momento limitata e che andrà estesa ad altre specie e contesti di crescita.
Dal punto di vista puramente meccanico, infine, dai risultati emerge che al fine di
mantenere la maggior porzione possibile di talea oltre il piano di taglio sarebbe opportuno
variare l’inclinazione delle talee in relazione all’inclinazione del versante; tali osservazioni
devono però essere contemperate con considerazioni relative alla distribuzione delle
sostanze responsabili della radicazione, che sono influenzate dall’inclinazione data alla
talea stessa.
4.4.2 Grate vive
Si tratta di opere realizzate con pali in legname disposti tra loro perpendicolarmente a
formare dei riquadri (camere) in cui vengono messe a dimora talee e/o piantine radicate
(Figura 28). La grata viva agisce quindi come sostegno del terreno fino a che non si sono
sviluppati gli elementi vivi che, con lo sviluppo degli apparati radicali, producono un
effetto stabilizzante.
Queste opere sono utilizzate con successo negli interventi di sistemazione e stabilizzazione
di pendii in erosione o in frana, caratterizzati da inclinazioni molto elevate (anche superiori
a 45°), dove non è possibile ridurre con mezzi meccanici la pendenza del versante e non
sono applicabili altre tecniche di ingegneria naturalistica.
La tecnica costruttiva consiste nel rivestire l’area interessata con una griglia di pali in larice
o castagno aventi diametro di 15÷20 cm, disposti a formare camere di 1,5÷2,0 metri di
lato. La difficoltà consiste nel fare aderire il più possibile questa struttura rigida alla
Tabella XV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la pendenza del versante dopo 15 mesi dall’impianto, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m
m=0.5 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40 pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7
25 10.0 - 10.0 - 10.0 - 10.0 stabile 30 10.0 7.5 10.0 8.5 10.0 10.0 10.0 10.0 35 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 10.0 10.0 10.0 40 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 10.0 10.0 10.0 45 10.0 8.5 10.0 8.5 10.0 10.0 10.0 10.0
m=0.7 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40
pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7
25 10.0 - 10.0 - 10.0 - 10.0 - 30 10.0 6.0 10.0 7.5 10.0 9.0 10.0 10.0 35 10.0 8.0 10.0 8.5 10.0 9.5 10.0 10.0 40 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 9.5 10.0 10.0 45 10.0 9.0 10.0 9.0 10.0 9.5 10.0 10.0
50
superficie del terreno, che deve
essere fissata al substrato stabile
mediante l’infissione di picchetti
di legno della lunghezza di 1
metro circa. Si procede poi al
riempimento delle camere con
materiale inerte e terreno
vegetale ed alla messa a dimora
di talee, ramaglia e/o piantine
radicate (con l’eventuale
supporto di una rete metallica o
di una biostuoia per il
contenimento del terreno fine).
La superficie esterna della grata
può poi essere inerbita per una
migliore resistenza all’erosione.
Maggiori indicazioni circa le
modalità costruttive, gli
interventi sistematori collegati e
il periodo di intervento per le
grate vive si trovano all’interno
del “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) e
vengono ampiamente trattate all’interno dei numerosi manuali e testi scientifici di
ingegneria naturalistica.
4.4.3 Inerbimenti
Il rivestimento delle scarpate con specie erbacee, è di norma sufficiente a proteggere gli
strati più superficiali del terreno dall’azione battente delle acque meteoriche e dal deflusso
superficiale. L’inerbimento di pendii e scarpate rappresenta una delle soluzioni a minor
impatto ambientale, combinando l’efficacia tecnico-funzionale agli aspetti paesaggistici e
naturalistici.
Le tecniche ed i materiali impiegati sono differenti in relazione al campo di impiego
(versanti franosi, scarpate naturali ed artificiali, argini fluviali, ecc.) e alle caratteristiche
litologiche, pedologiche, morfologiche e climatiche dell’area d’intervento. Diverse sono le
Figura 28: schema costruttivo della grata viva (da Regione Lombardia, 2000)
51
tipologie di inerbimento per semina o per posa in opera di rivestimenti vegetali, tra cui si
ricordano la semina a spaglio, la copertura con zolle erbose, il sistema nero-verde,
l’idrosemina. In questa sede si ritiene di dover sottolineare come nel caso dell’inerbimento
delle scarpate stradali, sia particolarmente indicato il ricorso all’idrosemina, che per essere
realizzata necessita di un’attrezzatura che solitamente è caricata su mezzi (Figura 29). Per
indicazioni dettagliate circa la scelta della specie, le modalità e il periodo d’intervento, gli
interventi sistematori collegati si rimanda al “Quaderno opere tipo di ingegneria
naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) ed agli ormai numerosi testi che si occupano di
ingegneria naturalistica e di sistemazioni idraulico-forestali.
Figura 29: idrosemina su scarpate stradali
4.4.4 Coperture diffuse
Si tratta di opere usate tipicamente in ambito di sistemazione delle sponde dei corsi
d’acqua, ma che possono essere efficacemente utilizzate anche per la stabilizzazione delle
scarpate stradali, talvolta in combinazione con opere di sostegno quali le palificate (Figura
30) Oltre all’azione di copertura ad opera dell’apparato epigeo, le radici che si originano
dagli astoni forniscono un rinforzo che può essere espresso in termini di coesione
aggiuntiva, consentendo di creare scarpate con una pendenza superiore a quella consentita
dal solo materiale. Tale effetto che può esercitarsi fino ad una profondità nell’ordine del
metro, può essere quantificato da alcuni kPa ad alcune decine di kPa, in funzione della
specie e soprattutto della densità (Hammod et al., 1992; Bischetti, 2001; Bischetti et al.,
2002).
52
L’esecuzione dell’opera, nel caso delle
scarpate stradali, si riduce alla posa di uno
strato continuo di astoni di salice o talee in
senso trasversale alla strada, collocando la
base in un fosso al piede della scarpata
stessa; al fine di mantenere gli astoni a
contatto con il terreno e facilitarne la
radicazione, è opportuno fissare gli astoni
con filo di ferro zincato ancorato a paletti ed
effettuare una copertura con un sottile strato
di terreno vegetale.
Figura 30: copertura diffusa su scarpata stradale
53
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58
APPENDICE 1: ANALISI DI STABILITA’ DEI PENDII
Introduzione
Quando il piano campagna non è orizzontale, come nel caso dei pendii naturali e delle
scarpate artificiali, le tensioni di taglio indotte dalle forze gravitazionali tendono ad
innescare il movimento del terreno stesso (o della roccia) lungo potenziali superfici di
scorrimento. Quando le tensioni tangenziali superano le resistenze al taglio vengono a
mancare le condizioni di equilibrio globale per cui la massa di terreno scivola verso valle
fino al raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio.
La complessità del sistema versante, la variabilità delle condizioni climatico-ambientali e i
diversi scopi di analisi fanno sì che i fattori da considerare nel corso di un’analisi di
stabilità siano differenti; tra questi ricordiamo:
• la geometria del pendio;
• il tipo di pendio (naturale, artificiale, in rilevato, in scavo);
• la struttura geologica dell’area in esame;
• il materiale geologico coinvolto (roccia, terreno, ecc.);
• le condizioni idrogeologiche (e loro variazioni);
• le forze esterne (sovraccarichi, sismicità, ecc.);
• le conseguenze di una ipotetica rottura.
Tra i diversi metodi a disposizione, quelli maggiormente utilizzati fanno riferimento al
principio dell’equilibrio limite; nel caso dei movimenti che caratterizzano l’ambiente agro-
silvo-pastorale particolarmente utili, sebbene drasticamente semplificati, sono i metodi
lineari del pendio indefinito, degli scivolamenti planari e quello non lineare di Bishop.
Metodo del pendio indefinito
Il metodo del pendio indefinito è stato sviluppato da Skempton e Delory (1957) per
l’analisi di tutti quei versanti in cui la lunghezza del fenomeno di instabilità è di gran lunga
più grande rispetto alla profondità e in cui non esistono forti effetti dovuti al controllo
laterale. Il caso tipico è quello dell’instabilità delle coperture detritiche o di terreni sciolti
in genere (di spessore contenuto) posti al di sopra di un substrato resistente. La superficie
di scivolamento è quindi assunta coincidente con il piano di contatto roccia-terreno e tale
piano è assunto essere parallelo alla superficie topografica e, se esiste, alla superficie della
falda. Tutte queste ipotesi facilitano la risoluzione e consentono di analizzare la stabilità
59
del pendio
analizzando quella
di un singolo
elemento di
lunghezza unitaria,
poiché l’estensione
longitudinale della
schematizzazione
consente di
trascurare l’azione
delle forze di
interconcio (Figura
31).
Le variabili necessarie per l’analisi comprendono:
• le proprietà del terreno: c’ (coesione efficace), φ’ (angolo di resistenza al taglio
efficace), γt peso di volume del terreno;
• il peso di volume dell’acqua: γw;
• il peso dell’elemento di terreno: W=γtzb;
• la pressione neutra alla base del piano di scivolamento: u=γwhw e ru=u/γtz;
Poiché il versante è infinitamente esteso, le risultanti interconcio sono pari sui due lati:
IL=IR. Le forze agenti alla base del concio saranno le due componenti (P normale, T
tangenziale) dovute al peso del concio stesso:
P=W cosβ [ 8]
T=W sinβ [ 9]
ed i relativi sforzi (forza/area) alla base del concio saranno:
σ = (W/b) cos2β [ 10]
τ = (W/b) sinβ cosβ [ 11]
La resistenza a rottura sulla base del principio di Mohr-Coulomb sarà:
s = c’ + σ’ tanφ’ = c’ + (σ-u) tanφ’ [ 12]
e all’equilibrio deve valere:
Figura 31: schema del pendio indefinito
60
FS
s=τ [ 13]
per cui utilizzando le espressioni sopra riportate, si ottiene:
ββγφβγ
cos sin z
'tancos ' 2
t
uzcFS
−+= [ 14]
oppure:
ββ
φβγ
cos sin
'tancosz
' 2u
t
rc
FS
−+
= [ 15]
dove ru avrà valore controllato dalla pendenza del versante; nel caso di filtrazione parallela
al versante ed esprimendo l’altezza della superficie piezometrica in termini di frazione (m)
della profondità z:
( )ββγ
φβγγcos sin z
'tan cos' 2
t
wt mzcFS
−+= [ 16]
Un caso particolare è rappresentato dalla presenza di terreni incoerenti (c’=0) con falda a
piano campagna (m=1):
( )βγ
φγγ tan
'tan
t
wtFS−
= [ 17]
In assenza di acqua nel versante (sempre per terreni non coesivi), il fattore di sicurezza si
riduce a:
βφ
tan
'tan=FS [ 18]
Casi decisamente più complessi, e in verità più realistici, saranno quelli con linee di flusso
non parallele all’inclinazione del versante e di conseguenza in grado di considerare
condizioni di deflusso locali o particolari. La soluzione generalizzata della stabilità di un
pendio indefinito in caso di filtrazione variabile è decisamente più complicata, pertanto si
rimanda a pubblicazioni specifiche di stabilità e di idrologia dei versanti.
Scivolamenti planari
Come già accennato, questo tipo di analisi si utilizza in genere per frane in roccia anche se
la procedura può essere applicata agli scivolamenti nei terreni. Indipendentemente dal
materiale coinvolto, le analisi per gli scivolamenti planari possono essere condotte in
diverso modo in funzione della geometria del blocco interessato. Tali verifiche possono
essere effettuate con il metodo dell’equilibrio limite, verificando in diverse condizioni il
61
grado di stabilità del blocco stesso.
Indipendentemente dalla geometria,
lo schema implica alcune
condizioni (Figura 32):
• venuta a giorno del piano di
scivolamento: α > β;
• inclinazione del piano di
scivolamento superiore
all’angolo di attrito del
materiale: β > ϕ;
• immersione del piano di scivolamento entro l’intervallo ± 20° dall’immersione della
scarpata esterna del blocco;
• presenza di due piani laterali e ortogonali al piano di scivolamento tali da isolare un
blocco e che non sviluppino resistenza ai lati della massa in movimento, oppure profilo
trasversale del pendio convesso (sperone).
In termini generali lo scivolamento di un cuneo (ma anche di blocchi di forma complessa)
può essere schematizzato nell’ambito dell’equilibrio alla traslazione lungo il piano
inclinato, ottenendo per le condizioni asciutte la seguente espressione generale per il
calcolo del fattore di sicurezza:
βφβ
sin
'tancos
W
WACFS
+⋅= [ 19]
dove:
A è l’area del tratto di superficie di scivolamento considerato (che considerando una
larghezza unitaria coincide con la sua lunghezza L), β è l’angolo di inclinazione della
superficie di scivolamento, W è il peso del blocco, C è la coesione totale (dovuta cioè alla
coesione del terreno e al contributo della vegetazione), φ è l’angolo di resistenza al taglio
del materiale.
Di seguito vengono proposte le soluzioni per alcuni casi particolari.
Presenza di acqua lungo il pendio
Per tener conto della presenza dell’acqua nei calcoli del fattore di sicurezza con i metodi
dell’equilibrio limite, è possibile introdurre la sottospinta idraulica U dovuta alle pressioni
neutre distribuite lungo la superficie di scivolamento. La definizione delle condizioni
Figura 32: schema dello scivolamento planare di un cuneo di riporto
62
idrauliche realmente esistenti è
però problematica; in assenza di
fratture e supponendo che il
pendio sia completamente saturo, è
ragionevole ipotizzare che la
pressione massima si abbia in
corrispondenza di metà
dell’altezza del blocco (RocPlane -
Theory Manual, 2001; Figura 33).
Di conseguenza, la pressione
massima dell’acqua nei pori
(condizione idrostatica) è:
HP ww γ2
1= [ 20]
e la relativa sottospinta idraulica:
HLLPU ww γ4
1
2
1== [ 21]
Il Fattore di Sicurezza può quindi essere scritto come:
βφβ
sin
'tan)cos(
W
UWACFS
⋅−+⋅= [22]
Un’ulteriore opzione, meno rigorosa, è quella di trascurare le forze esterne e utilizzare
nelle verifiche il peso di volume sommerso del terreno γ’, dato dalla differenza tra il peso
di volume saturo del terreno e il peso di volume dell'acqua. Tale soluzione può essere
utilizzata in prima approssimazione nei casi in cui non si riesca a tener conto della reale
distribuzione delle pressioni neutre.
Frattura di trazione
In presenza di movimenti franosi incipienti o in evoluzione è frequente che in superficie si
formino fratture di trazione. Queste, oltre a rappresentare vie preferenziali per
l’infiltrazione e lo scorrimento delle acque di superficiali nel corpo di frana, a lungo
termine possono portare alla formazione di ristagni superficiali agenti come sovraccarichi
sul pendio.
Figura 33:distribuzione delle pressioni con valore massimo a metà altezza
63
In questi casi è possibile adottare
il meccanismo di rottura per
scivolamento planare, senza
scorrimento o resistenza
mobilitata lungo la frattura di
trazione.
Per il calcolo di FS in questo caso
si deve tenere conto anche della
spinta idrostatica V (Figura 34)
esercitata dall’acqua presente
nell’eventuale frattura di trazione
posta a monte del blocco instabile:
)cossin(
tan)sincos(
ββφββ
VW
VUWACFS
+⋅−−+⋅
= [ 23]
dove
2
2
1zV wγ= [ 24]
LzU w ⋅= γ2
1 [ 25]
con z altezza dell’acqua nella frattura di trazione e L lunghezza della superficie di
scivolamento.
Carico uniformemente distribuito
Un ulteriore caso, frequente nell’ambito della viabilità agro-silvo-pastorale, è quello in cui
sulla superficie del blocco viene posizionato un sovraccarico, come ad esempio un mezzo
meccanico (Figura 35). Con l’applicazione di un carico generico, Q, assunto
uniformemente distribuito si ha una variazione positiva o negativa (a seconda
dell’inclinazione θ del sovraccarico rispetto alla superficie potenziale di rottura) sia delle
forze normali sia di quelle tangenziali, con conseguente modifica dei valori di resistenza al
taglio massima e di quella mobilitata. Il fattore di sicurezza diventa:
Figura 34: scivolamento del blocco in presenza di una frattura di trazione
64
θβφθβ
sinsin
tan)coscos(
QW
QWcAFS
+++
= [ 26]
Ovviamente questa soluzione può essere accoppiata con la soluzione del caso precedente,
anzi nel caso in cui la strada sia realizzata con materiali scadenti, per nulla o poco costipati,
e sia priva di un adeguato strato protettivo in superficie, il passaggio di mezzi
eccessivamente pesanti può contribuire alla formazione di fratture di trazione. Queste,
approfondendosi e saturandosi (caso frequente in aree particolarmente umide e piovose)
possono portare alla rottura del solido stradale secondo la geometria indicata in Figura 34.
Allo stato attuale delle conoscenze, nella letteratura statunitense questi meccanismi di
rottura, che associano il transito di mezzi pesanti alla formazione di fratture di trazione sul
piano viario e alla neoformazione di frane che finiscono per coinvolgere la scarpata di
valle, sono ben documentati (Bartle, 1999; Higman e Patrick, 2001); in Italia non vi sono
informazioni sufficienti su tali tipologie di dissesto lungo le strade agro-silvo-pastorali.
Metodo di Bishop semplificato (1955)
Poiché il pendio non sempre è omogeneo e possono sussistere condizioni di flusso non
facilmente schematizzabili, per un’analisi in termini di sforzi efficaci è indispensabile far
ricorso a metodi che suddividono la massa interessata da un movimento in un numero
conveniente di conci. Se si hanno n conci (Figura 36) il problema presenta le seguenti
incognite:
• n valori delle forze
normali Ni agenti alla
base di ciascun concio
• n valori della
coordinata del punto di
applicazione delle Ni
• (n-1) forze normali e
(n-1) forze tangenziali
agenti sull’interfaccia
dei conci
• (n-1) valori della
coordinata del punto di
Figura 35: schema delle forze nel caso di cuneo caricato
65
applicazione delle forze normali
agenti sull’interfaccia.
Sommate all’ulteriore incognita costituita da
FS, richiedono (5n-2) condizioni per rendere
staticamente determinato il problema, mentre
si dispone solamente di 3n equazioni di
equilibrio.
Occorre quindi introdurre alcune ipotesi
aggiuntive; quelle più comunemente adottate
sono:
• n punti di applicazione delle forze N
al centro della base del concio.
• (n-1) inclinazioni θ delle forze interconcio o posizione, altezza, h della linea di
spinta
In questo modo il numero totale delle assunzioni (2n-1) è maggiore di quelle richieste
rendendo di conseguenza il problema sovradeterminato; ciò è risolto valutando due fattori
di sicurezza, rispettivamente per i momenti e per le forze. I valori di FSM e FSF sono uguali
per un certo valore di θ, ossia di inclinazione delle forze interconcio. I diversi metodi
reperibili in letteratura si differenziano tra loro nell’introduzione delle condizioni relative
alle forze interconcio.
Il metodo di Bishop semplificato si basa sulle seguenti ipotesi (Figura 37):
• la rottura avviene per scorrimento della massa di terreno lungo una superficie cilindrica
centrata in O;
• le forze interconcio sono orizzontali, quelle di taglio verticale sono trascurate (XR-
XL=0);
• si esamina l’equilibrio dei momenti;
• il criterio di rottura è quello di Mohr-Coloumb (cfr. [ 12])
Sulla base di tale schema, le forze agenti alla base del concio sono:
P = σl
T = τl [ 27]
da cui si ricava
Figura 36: schema delle forze sul concio nel metodo di Bishop
66
( )[ ]'tan'1
φulPlcFS
T −+= [ 28]
Risolvendo verticalmente si avrà:
P cosα + T sinα = W - (XR-XL) [ 29]
e assumendo che XR=XL=0 (ossia forze interconcio orizzontali):
( )
α
αφα
m
ullcFS
WP
��
���
� −−=
sin'tansin'1
[ 30]
dove:
��
���
� +=FS
mφ
ααα
tantan1cos
[ 31]
Per l’equilibrio dei momenti rispetto al centro O si ha:
� �= TRWR αsin [ 32]
e sostituendo per T si otterrà:
( )[ ]�
� −+=
α
φ
sin
'tan'
W
ulPlcFSm [ 33]
Questa equazione contiene FS nel termine di destra e la risoluzione è ottenuta in modo
iterativo con convergenza rapida; il metodo è accurato salvo nel caso di problemi numerici.
L’errore insito nel metodo, infatti, è modesto e in genere minore del 5% ma tende a
crescere per cerchi profondi (10-15%).
In ogni caso, al fine di ridurre al minimo le incertezze sui risultati ottenuti è opportuno
confrontare tali valori con quelli ottenuti da analisi in condizioni simili, eseguire le
Figura 37: schema delle forze nel metodo di Bishop semplificato
67
verifiche con altri metodi sia più semplici, che più complessi ed, infine, effettuare una
analisi di sensitività in modo da verificare se i risultati delle analisi condotte con parametri
differenti mantengono una loro ragionevolezza (Crosta, 2001).
Il metodo semplificato di Bishop è inoltre utilizzabile per superfici di scivolamento non
circolari, adottando un centro di rotazione fittizio. Comunque per quanto riguarda le
assunzioni circa la geometria della superficie di scivolamento, si ritiene che le superfici di
forma circolare rappresentino in genere le più critiche per tutti i casi che interessano
materiali omogenei in assenza di discontinuità geologiche e/o strutturali particolari.
68
APPENDICE 2: VERIFICHE DELLE OPERE DI SOSTEGNO
Forze agenti e cenni sul calcolo della spinta delle terre
Secondo quanto previsto dalla normativa vigente circa le opere di sostegno, le forze agenti
sul manufatto dovranno essere calcolate in modo da pervenire, di volta in volta, alla
condizione più sfavorevole nei confronti delle diverse verifiche da effettuare. In
particolare, tutte le ipotesi di calcolo delle spinte sulle opere di sostegno devono essere
giustificate con considerazioni sui prevedibili spostamenti relativi del manufatto rispetto al
terreno (D.M. 11/03/88).
Di conseguenza, per dimensionare correttamente opera di sostegno ( p. es. una palificata) si
devono considerare le principali
forze che entrano in gioco,
assicurandosi che le
semplificazioni introdotte nello
schema di calcolo siano sempre a
favore di sicurezza.
Se consideriamo lo schema
riportato in Figura 38, è evidente
come le forze agenti sull’opera
siano:
• il peso proprio dell’opera (P),
di facile determinazione noti il
volume del manufatto e il peso
nell’unità di volume del
materiale;
• la spinta attiva del terreno (Sa), che dipende dall’altezza della palificata e dalle
caratteristiche del terreno;
• la spinta passiva del terreno (Sp), rappresenta la resistenza (forza stabilizzante) del
terreno alla pressione esercitata dal manufatto, poiché ne ostacola il ribaltamento e lo
scivolamento lungo il piano di posa dell’opera stessa (in genere risulta modesta rispetto
alle altre azioni sollecitanti e, a favore di sicurezza, si preferisce trascurarla nei calcoli);
• l’eventuale sovraccarico (Q) esistente a tergo dell’opera, assunto uniformemente
distribuito.
Figura 38: schema delle forze agenti su un’opera di sostegno
69
Per il calcolo della spinta delle terre si può far riferimento alla teoria degli stati di
equilibrio limite di Rankine (1857), della quale si richiamano brevemente le ipotesi:
• il terreno è assunto privo di coesione (c=0; φ≠0);
• la superficie di rottura è piana così come la superficie del terrapieno (che però può
anche essere inclinato);
• il cuneo di terreno contro il muro si comporta come un corpo rigido che subisce lo
spostamento senza deformarsi;
• non viene considerato l’attrito terreno-opera;
• la parete interna del muro è considerata verticale;
• il problema si riferisce ad una unità di opera (o terreno).
Come è noto, tali ipotesi portano a valori di spinta superiori, e quindi a favore di sicurezza,
rispetto a quelli calcolati secondo la teoria di Coulomb (1773) che tiene conto anche
dell’attrito che si genera tra l’opera di sostegno e il terreno.
Secondo la teoria di Rankine, in condizione di equilibrio limite attivo lo sforzo che agisce
su un piano verticale posto alla generica profondità z sotto il piano campagna, è
perpendicolare al piano stesso e vale:
ata zKγσ = [ 34]
dove γt è il peso dell’unità di volume del terreno e Ka è il coefficiente di spinta attiva del
terreno, il quale, sempre secondo Rankine, può essere calcolato come:
��
���
� −°=2
45tan2 φaK [ 35]
con φ angolo di resistenza al taglio del terreno.
Il diagramma delle pressioni che ne risulta è di forma triangolare (lo sforzo attivo aumenta
infatti linearmente con la
profondità) e per unità di
opera vale (area del triangolo
nella Figura 39):
Figura 39: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo su una parete verticale liscia
70
at
H
aa KHdzS 2
0 2
1γσ� == [ 36]
dove H è l’altezza del terreno considerato (che coincide con l’altezza dell’opera di
sostegno indicata in figura), misurata dal piano di fondazione.
La spinta attiva così calcolata è applicata ad una distanza pari a 1/3 H dal piano stesso (o a
profondità 2/3 H dal piano campagna).
Estensione teoria di Rankine
Presenza di una falda
Nel caso di terreno completamente saturo, in condizioni idrostatiche in assenza cioè di
moti di filtrazione dietro l’opera, il valore della spinta attiva del terreno (spinta efficace)
diviene:
aa KHS 2' '2
1γ= [ 37]
dove γ’ è il peso dell’unità di volume di terreno immerso in acqua, calcolato come (γsat -
γw) con γsat peso dell’unità di volume di terreno saturo e γw peso specifico dell’acqua.
Anche in questo caso la spinta è applicata ad un terzo dell’altezza dell’opera a partire dal
piano di fondazione.
Per ottenere la spinta attiva totale agente a tergo dell’opera occorre aggiungere la pressione
idrostatica totale:
2
2
1HS ww γ= [ 38]
Per cui la spinta attiva totale varrà:
awtota KHHS 22 '
2
1
2
1γγ += [ 39]
Anche in questo caso il diagramma delle pressioni che ne deriva è di tipo triangolare e la
presenza dell’acqua non altera il coefficiente di spinta Ka del terreno, né la posizione della
superficie di rottura, mentre si modifica sensibilmente il valore della spinta totale agente
sul manufatto.
Effetto di un sovraccarico uniforme
Nel caso in cui il terrapieno sia soggetto ad un carico Q uniformemente distribuito
applicato su un’area infinitamente estesa, il problema può essere risolto notando che la
pressione che agisce alla generica profondità z sotto il piano campagna è perpendicolare al
piano stesso e la [ 34] diviene:
71
aata QKzK += γσ [ 40]
Il diagramma delle pressioni che ne risulta è di forma trapezioidale (aree del triangolo e del
rettangolo nella Figura 40) e l’espressione della spinta attiva diviene:
aata QHKKHS 2
1 2 += γ [ 41]
In maniera analoga, nel caso di terreno completamente saturo, il carico Q viene inserito nel
calcolo della spinta attiva totale (cfr. [ 39].
Per identificare il punto d’applicazione della spinta, il carico può essere opportunamente
trasformato in altezza di terra equivalente:
teq
QH
γ=
[ 42]
a partire dal piano di fondazione dell’opera e può essere calcolata come:
eq
eq
HH
HHHH
2
3
3'
+
+⋅=
[ 43]
In presenza del sovraccarico, quindi, la spinta attiva totale è applicata ad una distanza che
varia da 1/3 H sino a 1/2 H.
Per tutte le situazioni considerate in precedenza, i parametri del terreno (γt e φ) necessari
per determinare la spinta delle terre dovrebbero essere ricavati, ogni qualvolta ve ne sia la
possibilità, mediante apposite indagini geognostiche e prove di laboratorio. In alternativa, i
valori dei parametri del terreno possono essere stimati in funzione della granulometria del
Figura 40: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo sottoposto ad un sovraccarico uniformemente distribuito.
72
terrapieno, avvalendosi eventualmente dell’esperienza acquisita dal progettista e/o di dati
già reperiti in situazioni analoghe. Nella Tabella XVI, ad esempio in relazione alla
composizione granulometrica del terreno sono riportati alcuni valori dell’angolo di
resistenza al taglio φ del terreno.
Tabella XVI: Valori di φ in relazione alla granulometria del terreno (da Terzaghi e Peck, 1967).
Addensamento Terreno
sciolto compatto sabbia a granuli arrotondati, uniforme
27.5 34
sabbia a spigoli vivi, ben gradata
33 45
ghiaia sabbiosa 35 50 sabbia limosa 27-33 30-35 limo inorganico 27-30 30-35
Opera con base inclinata
Secondo la teoria degli stati di equilibrio limite di Rankine (1857), il paramento interno
dell’opera dovrebbe essere verticale, cioè l’angolo d’inclinazione della base (α) pressoché
nullo. Il calcolo della spinta delle terre con tale teoria può però essere esteso anche al caso
di opere realizzate in lieve contropendenza (massimo 10-15%, che ad esempio per le
palificate il legno e pietrame costituisce tra l’altro la prassi costruttiva), introducendo nelle
verifiche di stabilità, la scomposizione della spinta attiva in due componenti, una normale e
l’altra parallela al piano di appoggio del manufatto.
Verifiche dei muri di sostegno
Come previsto dal DM 11/03/88 (cfr. § 4.3.2), per quanto riguarda la verifica della stabilità
esterna le opere a gravità devono soddisfare le seguenti condizioni, dettate dai consueti
criteri di equilibrio:
• stabilità alla traslazione sul piano di posa;
• stabilità al ribaltamento;
• stabilità al carico limite dell’insieme fondazione-terreno;
• stabilità globale dell’insieme opera-terreno;
Prima di esaminare nel dettaglio le relazioni per il dimensionamento e le verifiche delle
opere di sostegno, vale la pena ricordare che normalmente i calcoli statici sviluppati si
73
riferiscono ad una schematizzazione del problema in termini bidimensionali, ovvero tali
calcoli si riferiscono sempre ad una unità di struttura.
Verifica alla traslazione
Per la verifica allo scorrimento si ipotizza che l’opera di sostegno possa scorrere senza
alcuna deformazione propria lungo piano di posa, sotto l’azione della componente
tangenziale della risultante delle forze agenti (T). A questa azione si oppone la resistenza di
attrito (f⋅N), che si ha sempre lungo il piano di posa del muro, dove f è il coefficiente di
attrito tra la fondazione e il terreno.
Secondo Terzaghi e Peck (1967) il coefficiente di attrito può essere calcolato,
prudenzialmente, come f=tanδ ponendo usualmente:
φδ3
2
2
1÷= [ 44]
con φ=angolo di resistenza al taglio del terreno.
Traducendo tutto questo in termini di Fattore di Sicurezza, si può quindi scrivere:
T
NfFSs
⋅= [ 45]
per cui all’equilibrio risulta:
TFSNf s ⋅=⋅ [ 46]
Facendo riferimento alla Figura 41, lungo la base dell’opera si ricava:
( ) ( )αα PsenSFSPf as −⋅=⋅ cos [47]
dove:
BHP op ⋅⋅= γ [48]
equivale al peso proprio dell’opera (adef), con γop peso di volume della palificata, H
altezza e B larghezza dell’opera stessa; e
aawa KQHKHHS ⋅+⋅⋅+⋅= ⊥⊥⊥22 '
2
1
2
1γγ
[ 49]
è la spinta attiva totale a tergo del muro e agisce perpendicolarmente alla parete di monte
del manufatto; essa comprende tre termini:
• la spinta esercitata dall’acqua interstiziale presente nel caso di terreno completamente
saturo. La sua intensità coincide con quella che l’acqua eserciterebbe sul muro in
assenza del terreno (spinta idrostatica);
74
• la spinta esercitata dallo
scheletro solido (grani) del
terreno per effetto del peso
proprio. Si noti che in questo
caso compare il peso dell’unità
di volume del terreno
sommerso (γ’ = γsat - γw):
• la spinta esercitata sul muro dal
terreno per effetto di un
eventuale carico Q
(uniformemente distribuito)
presente a tergo del muro.
H⊥ è l’altezza verticale dell’opera
αcosHH =⊥ e Ka coefficiente di spinta attiva (cfr. Figura 40).
La [ 49] introduce una serie di semplificazioni: nel caso di terreno a tergo saturo si suppone
che esso sia a grana grossolana in modo da poter considerare il problema in condizioni
drenate e trascurare il contributo della coesione, il fondo e l’opera sono considerate
impermeabili, le pressioni neutre a tergo sono idrostatiche in modo da non avere un moto
di filtrazione.
Ovviamente, nel caso di terreno asciutto e in assenza di carichi sulla superficie il primo e il
terzo termine della [ 49] si elidono e nel secondo compare in luogo di γ’, il peso di volume
del terreno (γt).
Sostituendo la [48] e la [ 49] nella [47], si ottiene:
��
���
� −++=⋅⋅ αγααγαγαγ BHsenHQKHKHFSHBf opaawsop coscos'2
1cos
2
1cos 2222
[50]
e con opportuni passaggi si ricava:
( )��
�
�
��
�
�++⋅=+⋅ a
opa
opop
wss K
QHKHFSFSfB
γα
γγ
αγγ
α cos2
'cos
2tan
[ 51]
infine, si arriva alla condizione:
Figura 41: Schema statico di una palificata inclinata rispetto all’orizzontale (sezione).
75
α
γα
γγ
αγγ
tan
cos2
'cos
2
s
aop
aopop
ws
FSf
KQ
HKHFS
B+
��
�
�
��
�
�++⋅
=
[ 52]
Adottando per FS il valore di 1.3 come previsto dal DM 11/03/88, si ottiene:
��
�
�
��
�
�++⋅
+≥ a
opa
opop
w KQ
HKHf
Bγ
αγγ
αγγ
αcos
2
'cos
2tan3.1
3.1
[ 53]
Nel caso di terreno asciutto sempre con carico esterno uniformemente distribuito la
[ 53] si semplifica:
��
�
�
��
�
�+⋅
+≥ a
opa
op
t KQ
HKf
Bγ
αγγ
αcos
2tan3.1
3.1
[ 54]
dove γt è il peso dell’unità di volume del terreno allo stato naturale.
5.1.1 Verifica al ribaltamento
Per assicurarne la stabilità, il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti (Ms) e quello
delle forze ribaltanti (Mr) calcolati rispetto allo spigolo di valle, dovrà essere ≥ 1.5.
Tradotto in termini di Fattore di Sicurezza, si può scrivere:
Mr
MsFSr = [ 55]
Lavorando nell’ambito della statica dei sistemi rigidi e con riferimento alla Figura 41,
risulta
SA
Pr bS
bPFS
⋅⋅
= [ 56]
dove bP è il braccio della forza peso:
( ) ααα costan2
1cos HBxbP +=⋅= [ 57]
e bS è il braccio della spinta attiva.
Sebbene in realtà il punto di applicazione della spinta attiva cada tra 1/3 e 1/2 dell’altezza
dell’opera (cfr. § 0), in genere in assenza di carichi la spinta è applicata ad un terzo
dell’altezza dell’opera misurata verticalmente (come precedentemente illustrato e in
accordo con D’Agostino e Mantovani, 2000):
αcos3
1
3
1HHbS =≅ ⊥ [ 58]
76
Nel caso sia presente un sovraccarico, invece, il punto di applicazione della spinta totale
viene assunto, a favore di sicurezza, pari a H2
1:
αcos2
1
2
1HHbS =≅ ⊥ [ 59]
La [ 57] diviene quindi:
( )
2'
2
1
2
1
tancos2
1
22 ⊥⊥⊥⊥ ⋅�
�
���
� ⋅+⋅⋅+⋅
+⋅⋅=
HKQHKHH
HBHBFS
aaw
op
r
γγ
ααγ [ 60]
da cui, risolvendo per B si ricava:
��
���
�++⋅−⋅+ aa
w
op
r QKHKHHFS
HBB αγ
αγ
αγ
α cos2
'cos
2costan2 [ 61]
Considerando la sola radice positiva in B, si arriva alla condizione:
( )2
tancos
2
'cos
2cos
4
tan 2α
αγ
αγ
αγ
α−
��
�
�
��
�
�++⋅+= aa
w
op
rQKHKHH
FSHB b [ 62]
Assumendo come valore di FS quello di 1.5, come previsto dal DM 11/03/88 si ottiene la
condizione per la verifica al ribaltamento:
( )2
tancos
2
'cos
2cos
5.1
4
tan 2α
αγ
αγ
αγ
α−
��
�
�
��
�
�++⋅+> aa
w
op
QKHKHHH
B [ 63]
Nel caso di terreno asciutto, la [ 63] diviene:
( )2
tancos
2cos
5.1
4
tan 2α
αγ
αγ
α−�
�
�
�
��
�
�+⋅+> aa
t
op
QKHKHH
B [ 64]
5.1.2 Verifica al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento)
La stabilità allo schiacciamento è verificata quando la tensione di compressione massima
(σM), cui è sottoposta l’opera di sostegno, è minore del carico di sicurezza a compressione
(Cs) del terreno di fondazione. Traducendo tutto questo in termini di Fattore di Sicurezza,
si può scrivere:
M
ss
CFS
σ= [ 65]
77
I carichi di sicurezza del terreno sono reperibili nella letteratura relativa alla meccanica
delle terre; in Tabella XVII se ne riporta un esempio.
Tabella XVII: Valori del carico di sicurezza del terreno in relazione alla caratteristiche del terreno di fondazione (modificato da Colombo, 1977).
Tipi di terreno
Carico di sicurezza Cs (kPa)
Terreni smossi, non compattati, di riporto 0÷98 Terreni incoerenti compatti sabbia con particelle di dimensione inferiore a 1 mm 196 sabbia con particelle tra 1 e 3 mm 294 sabbia e ghiaia (almeno 1/3 di ghiaia) 392 Terreni coerenti (classificabili in base al contenuto d’acqua presente allo stato naturale)
fluido, fluido-plastico 0 molle-plastico 39 solido-plastico 78 semisolido 147 solido 294 Rocce in buone condizioni (se fessurate o disgregabili i carichi di sicurezza indicati vanno ridotti almeno della metà)
arenarie, calcari, rocce vulcaniche, ecc. 980÷1470
Fissate le dimensioni dell’opera di sostegno, la risultante (R) delle forze agenti sulla
struttura (peso proprio dell’opera, P, e spinta delle terre, Sa) può essere scomposta in una
componente normale ed una tangente alla base del manufatto, V e O; il in cui la retta di
azione di R incontra la base dell’opera, rappresenta il centro di sollecitazione C.
Con riferimento alla Figura 42 si possono distinguere tre casi (Benini, 1990):
• il centro di sollecitazione è interno al nocciolo centrale di inerzia della sezione di base:
Se definiamo eccentricità (e) la distanza del centro di sollecitazione C dal baricentro
della sezione, per un’opera con sezione rettangolare e base B vale:
78
Figura 42: Sezione basale della palificata. Centro di sollecitazione (a) interno al nocciolo centrale della sezione di base; (b) coincidente con l’estremo del nocciolo centrale; (c) interno al terzo medio di valle
uB
e −=2
[ 66]
dove u è la distanza della risultante dallo spigolo di valle della sezione:
V
MMu ribstab −= [ 67]
Quando C è interno al nocciolo centrale, la condizione può essere vista come e<B/6 (o
u>B/3).
La tensione di pressoflessione massima viene esplicata dalla reazione del terreno in
corrispondenza dello spigolo di valle del piano di appoggio e vale:
��
���
� +=B
e
B
VM
61σ [ 68]
mentre la sollecitazione minima vale:
��
���
� −=B
e
B
Vm
61σ [ 69]
In questo caso tutta la sezione di base è sollecitata a compressione e il diagramma delle
sollecitazioni è di tipo trapezoidale (Figura 42).
• il centro di sollecitazione coincide con uno degli estremi del nocciolo centrale di
inerzia.
79
Se il centro di sollecitazione coincide con uno degli estremi del nocciolo centrale del
muro, cioè risulta che e=B/6 (o u=B/3), il diagramma delle sollecitazioni diventa
triangolare poiché σm=0 nello spigolo di monte, e la sollecitazione massima sul lembo
di valle si ricava facilmente come:
B
VM
2=σ [ 70]
• il centro di sollecitazione è interno al terzo medio di valle
nel caso di opere di sostegno realizzate con materiali sopportano male gli sforzi di
trazione (ad es. muratura in pietrame; Benini, 1990), le formule viste in precedenza non
valgono più, e per determinare il diagramma delle tensioni si deve considerare solo la
porzione di sezione reagente. Perciò, quando il centro di sollecitazione C cade nel terzo
medio di valle della sezione (condizione per e>B/6, oppure u<B/3), la [ 67] deve essere
sostituita con l’espressione che considera come reagente la sola zona dell’opera
sollecitata a compressione,; questa può essere valutata come:
u
VM 3
2=σ [ 71]
mentre la σm è nulla ad una distanza dallo spigolo di valle pari a 3u.
La verifica allo schiacciamento può anche essere effettuata considerando il carico limite
(Qlim) dell’insieme fondazione-terreno, un parametro che dipende sia dalle caratteristiche
fisico-meccaniche del terreno sia dalla geometria dell’opera di sostegno, anziché il carico
di sicurezza del terreno. La verifica dovrà inoltre essere effettuata tenendo conto
dell’inclinazione e dell’eccentricità della risultante delle forze trasmesse dal manufatto al
terreno di fondazione e il fattore di sicurezza dovrà essere ≥ 2 (DM 11/03/88, Sezione D).
Tale verifica prevede quindi il calcolo della capacità portante del complesso terreno-
fondazione (DM 11/03/88, Sezione C).
In termini di Fattore di Sicurezza deve risultare:
V
QFScl
lim= [ 72]
dove V è la componente normale della forza risultante delle azioni agenti sul piano di posa
della palificata.
Il carico limite è valutato sulla base della pressione limite, qlim:
LBqQ 'limlim = [ 73]
80
Una volta ricavata la pressione limite
del terreno di fondazione qlim si può
calcolare il carico limite Qlim e
successivamente il Fattore di
Sicurezza al carico limite
dell’insieme terreno-fondazione
secondo la [ 72].
Per calcolare il valore di qlim occorre
conoscere l’esatta forma della
superficie di rottura del terreno;
poiché solitamente questa non è nota,
in genere viene ipotizzato che il
terreno si rompa in seguito al cedimento verticale della fondazione in maniera solidale con
un cuneo di terra sottostante, che provoca la rottura laterale del terreno lungo una
superficie arcuata (Figura 43).
In letteratura è possibile reperire diverse equazioni per calcolare la pressione limite, ma le
più diffuse sono tutte composte da tre termini che tengono conto delle forze di attrito
dovute al peso proprio del terreno, della coesione del terreno agente lungo la superficie di
rottura e del sovraccarico dello strato di terreno ai lati della fondazione; tale caratteristiche
sono riflesse in coefficienti, adimensionali, detti coefficienti di capacità portante variabili
in funzione dell’angolo di resistenza al taglio, indicati come Nγ , Nc e Nq.
La relazione più diffusa e verificata per il calcolo di qlim, è senza dubbio quella di Terzaghi
(1943) valida per risultante dei carichi (R) verticale e centrata sulla fondazione. Essa è
affidabile per fondazioni superficiali, cioè per profondità d’incastro della fondazione (D)
minori della larghezza della fondazione (B):
qcct qNscNsBNq +⋅+⋅= γγγ2
1lim [ 74]
in cui c è la coesione e γt il peso di volume del terreno di fondazione, D è la profondità del
piano di posa del manufatto a partire dal piano campagna, q è il sovraccarico agente ai lati
della fondazione pari a γtD, Nγ , Nc e Nq sono i fattori di capacità portante (Tabella XVIII),
sγ, sc sono i fattori di forma della fondazione (sγ = 1.0 per fondazioni nastriformi, cioè con
una lunghezza L>> della sua larghezza B, sγ = 0.8 per fondazioni quadrate; sc = 1.0 per
fondazioni nastriformi e sc = 1.3 per fondazioni quadrate).
Figura 43: Schema di rottura del terreno per il calcolo di qlim
81
Poiché Terzaghi ipotizza un terreno molto addensato, nel caso di terreni poco addensati
l’Autore stesso consiglia di ridurre i fattori di capacità portante effettuando i calcoli con
valori di φ’ e di c’ ridotti a 2/3 del loro valore effettivo.
Tabella XVIII: Valori dei fattori di capacità portante secondo Terzaghi (da Lancellotta, 1993).
φ (°)
Nγ
(-) Nc
(-) Nq
(-) 0 0 5.7 1 5 0.5 7.3 1.6
10 1.2 9.6 2.7 15 2.5 13 4.4 20 5.0 18 7.5 25 10 25 13 30 20 37 22 35 42 53 41 40 100 95 81
Nel caso ci ritrovi in condizioni in cui si verifichi un’eccentricità della risultante sul piano
di base della fondazione e la conseguente deviazione di R dalla verticale, la [ 74] non è più
valida e deve essere modificata per tenere conto dei relativi effetti:
qqccct iqNiscNisNBq ⋅+⋅⋅+⋅⋅= γγγγ '2
1lim [ 75]
dove B’ è la larghezza ridotta della fondazione, introdotta per tenere conto dell’eccentricità
e della risultante e pari a eBB 2' −= ; iγ, ic e iq sono i fattori correttivi che tengono conto
dell’inclinazione del carico rispetto alla verticale.
Secondo Vesic (1970) per ricavare tali fattori correttivi si possono utilizzare le seguenti
espressioni ricavate empiricamente:
1
cot1
+
���
����
�
⋅+−=
m
gBLcV
Oi
φγ [ 76]
m
qgBLcV
Oi ��
�
����
�
⋅+−=
φcot1 [ 77]
φtan
1
⋅
−−=
c
qqc N
iii [ 78]
con LB
LBm
/1
/2
++
=
82
I fattori di capacità portante possono essere valutati anche mediante espressioni diverse da
quelle proposte da Terzaghi (1943); per quanto Nc e Nq, ad esempio, in letteratura
normalmente si fa riferimento alle espressioni ricavate da Prandtl (1921) e Reissner (1924):
'tan2
2
'45tan φπφ ⋅⋅�
�
���
�+°= eNq [ 79]
'cot1 φ⋅−= qc NN [ 80]
mentre per Nγ la soluzione più accreditata risulta quella proposta da Caquot e Kérisel
(1953), approssimabile con l’espressione di Vesic (1970):
'tan12 φγ ⋅+⋅= qNN [ 81]
In letteratura, infine, si possono trovare molte altre relazioni analitiche per valutare la
capacità portante di una fondazione di tipo superficiale, tra cui le più utilizzate e attendibili
sono quelle di Meyerhof (1951), Brinch Hansen (1970) e Vesic (1973), che introducono
una serie di fattori correttivi rispetto alla formulazione originale di Terzaghi (1943), per
tener conto ad esempio della profondità di posa e inclinazione della base della fondazione
e/o della topografia originaria (es. fondazioni su pendio).
83
APPENDICE 3: TERMINI DELLA LEGENDA DELLA CARTA LITOLOGICA ALLA SCALA 1:10.000 (CARTOGRAFIA GEOAMBIENTALE, REGIONE LOMBARDIA)
Simbolo Descrizione
Rocce Ignee
IA rocce intrusive acide
IB rocce intrusive basiche
EA rocce effusive acide
EB rocce effusive basiche
FL rocce filoniane
Rocce sedimentarie
Ac arenaria massiccia o stratificata ben cementata
As arenaria poco cementata
Al argillite
Fl flysch
Am argille e marne con livelli e lenti arenacei e/o calcarei
Cm calcare massiccio e stratificato in grossi banchi
Cs calcare mediamente e sottilmente stratificato, non selcifero
Cn calcare selcifero
Dm dolomia massiccia o stratificata
Mc marna e marna calcarea
Ss roccia sedimentaria silicea
Rocce Metamorfiche
GN gneiss
FD filladi e argilloscisti
MQ micascisti
SR serpentiniti e altre rocce ultramafiche
MC rocce metamorfiche carbonatiche
84
APPENDICE 4: CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI USCS (UNIFIED SOIL CLASSIFICATION SYSTEM)
Casi particolari: - termini doppi: i terreni con caratteristiche a cavallo di due gruppi vengono designati con i simboli di entrambi i gruppi. Ad esempio: GW-GC, GP-GM, etc. necessari qualora la % di fini sia compresa tra il 5 ed il 12%, o per intervalli particolari della carta di plasticità; - termini di confine: da adottare per terreni le cui proprietà variano in modo tale da non consentire una precisa identificazione in un singolo gruppo (CL/CH, SC/CL, GM/SM, etc.). Per esempio quando la percentuale dei fini varia tra 45% e 55% (es.: GM/ML, CL/SC) o quando la percentuale di sabbia e di ghiaia varia tra il 45% ed il 55% (es.: GP/SP, SC/GC, GM/SM, etc.) mentre è difficile avere un simbolo del tipo GW/SW; nel caso di difficile distinzione tra limo e argilla, specie in campagna, potremo avere: CL/ML, CH/MH, SC/SM così come quando sarà difficile distinguere tra terreni molto o poco compressibili: CL/CH, MH/ML. In genere le sigle saranno ordinate in funzione della frequenza e importanza con cui altri terreni sono stati classificati in prossimità delle aree dubbie
Simbolo del
gruppo Denominazioni tipiche
Terreni a grana grossolana (più del 50% è costituito da particelle con diametro > di 75 µm) GW ghiaie ben classate, miscele di ghiaia e sabbia, senza o con poco fine
GP ghiaie mal classate, miscele di ghiaia e sabbia, senza o con poco fine
GM ghiaie limose, miscele di ghiaia-sabbia-limo mal classate
GC ghiaie argillose, miscele di ghiaia-sabbia-argilla mal classate
SW sabbie ben classate, sabbie ghiaiose, senza o con poco fine
SP sabbie mal classate, sabbie ghiaiose, senza o con poco fine
SM sabbie limose, miscele di sabbia e limo mal classate
SC sabbie argillose, miscele di sabbia e argilla mal classate
Terreni a grana fine (più del 50% è costituito da particelle con diametro < di 75 µm) ML limi inorganici e sabbie molto fini, sabbie fini limose o argillose di bassa
plasticità, terreni limosi o sabbiosi fini CL argille inorganiche di plasticità da media a bassa, argille ghiaiose, argille
sabbiose, argille limose; argille “magre” OL limi organici e argille limose organiche di bassa plasticità
MH limi inorganici, terreni sabbiosi (sabbie fini) o limosi micacei, limi “elastici”
CH argille inorganiche di elevata plasticità; argille “grasse”
OH argille organiche di plasticità da media ad elevata
Terreni ad alto contenuto di sostanza organica Pt torbe e altri terreni ricchi di materia organica
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