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Slope stability and stilisig works

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Linee guida per la progettazione della viabilità forestale in Lombardia: stabilità delle

scarpate e opere di stabilizzazione

Prof. Gian Battista Bischetti

Dr. Tommaso Simonato

Istituto di Idraulica Agraria dell’Università degli Studi di Milano

Via Celoria, 2 – 20133 Milano

Documento redatto nell’ambito del contratto di ricerca tra Università degli Studi di Milano,

Regione Lombardia – D.G. Agricoltura e C.M. della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esine e

riviera, “Interazione tra processi idrologici e viabilità forestale nel bacino sperimentale del t.

Pioverna orientale (Valsassina) - ipotesi di criteri di progettazione della viabilità forestale”.

Milano, 2005

La viabilità agro-silvo-pastorale rappresenta un fattore strategico per il mantenimento e lo sviluppo socio-economico delle popolazioni residenti nelle aree montane e collinari della regione Lombardia. Per tutelare le attività agro-forestali in questi territori, è necessario ampliare e conservare una diffusa ed efficiente rete viaria che permetta una corretta e moderna gestione agricola e forestale. Bisogna però prendere atto che la realizzazione di nuove strade agro-silvo-pastorali, costruite senza idonee opere di regimazione delle acque superficiali e di contenimento dei versanti, nonché la carente manutenzione della viabilità esistente, costituiscono una delle potenziali cause d’innesco dei fenomeni di dissesto idrogeologico. La Regione Lombardia, già con la direttiva adottata con deliberazione n. VII/14016 del 8 agosto 2003, ha definito le strade agro-silvo-pastorali suddividendole in classi di transitabilità, anche sulla base delle caratteristiche costruttive (larghezza, pendenza ecc.). Inoltre ha fornito una metodologia per il loro censimento anche in funzione della programmazione degli interventi di manutenzione, ed ha indicato delle soluzioni tecniche-amministrative atte a migliorarne le caratteristiche costruttive, promuoverne la gestione e la regolamentazione del transito. Con questo manuale la Regione Lombardia intende fornire ai tecnici di tutti gli enti competenti, Comunità Montane, Amministrazioni Provinciali e Comuni, e ai liberi professionisti uno strumento per una corretta progettazione e realizzazione delle strade agro-silvo-pastorali. Attualmente nella pratica progettuale e realizzativa corrente della viabilità continuano ad essere ripetute una serie di “cattive pratiche”. Generalmente i progettisti non sviluppano a sufficienza i progetti che risultano carenti nella raccolta dei dati topografici, geomorfologici, idrologici, idrogeologici. Inoltre non vengono generalmente utilizzate al meglio le informazioni territoriali che la Regione rende disponibili attraverso il suo Sistema Informativo Territoriale. Spesso la limitata disponibilità finanziaria determina la scelta di privilegiare lo sviluppo lineare della strada a discapito della realizzazione delle opere “accessorie” di regimazione delle acque superficiali e di consolidamento delle scarpate, anche se questo può comportare maggiori oneri costruttivi. Mentre queste opere di fatto risultano determinanti nella riduzione dell’impatto ambientale e consentono di limitare gli interventi di manutenzione e quindi i costi di gestione. In particolare il volume ha come finalità di riassumere le conoscenze e le innovazioni tecniche relative ai rapporti tra la circolazione idrica, la stabilità del pendii e la viabilità agro-silvo-pastorale, cercando di fornire una revisione critica ed un aggiornamento alle tecniche di regimazione delle acque e di consolidamento dei versanti fino ad oggi adottate, anche alla luce delle diverse esigenze connesse all’aumento della fruizione turistico-ricreativa.

Vicepresidente della Regione Lombardia e Assessore all’Agricoltura

Viviana Beccalossi

I

INDICE

1 INTRODUZIONE .............................................................................................................1

2 DISSESTI E VIABILITÀ FORESTALE .........................................................................3

2.1 Introduzione..............................................................................................................3

2.2 Instabilità di versante...............................................................................................3

2.2.1 Definizione .........................................................................................................3

2.2.2 Tipologie di movimento .....................................................................................3

2.2.3 Attività................................................................................................................6

2.2.4 Cause delle frane ................................................................................................8

2.2.5 Ruolo dell’acqua nell’instabilità di versante ......................................................8

2.3 Instabilità dei pendii artificiali ................................................................................9

2.4 Tipologie di dissesto più frequenti nell’ambito della viabilità agro-silvo-

pastorale ..............................................................................................................................11

2.5 Valutazione della stabilità dei versanti.................................................................12

2.6 Identificazione delle aree suscettive d’instabilità ................................................15

3 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SEZIONI.....................................17

3.1 Introduzione............................................................................................................17

3.2 Tecniche costruttive ...............................................................................................17

3.2.1 Compensazione scavo-riporto ..........................................................................18

3.2.2 Riporto parziale ................................................................................................19

3.2.3 Scavo ................................................................................................................19

3.2.4 Rilevato ............................................................................................................20

3.2.5 Gradonatura ......................................................................................................20

3.2.6 Attraversamento di frane superficiali con meccanismo rotazionale.................21

3.3 Pendenza delle scarpate .........................................................................................21

3.3.1 Scarpate in roccia .............................................................................................22

3.3.2 Scarpate in terreni.............................................................................................23

4 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DELLE SEZIONI ........................................26

4.1 Introduzione............................................................................................................26

II

4.2 Opere di drenaggio della scarpata ........................................................................27

I metodi che possono essere applicati per migliorare le condizioni di drenaggio, sia

superficiale che profondo, e conseguentemente per migliorare le condizioni di stabilità

di una scarpata sono prioritari rispetto ad altri metodi di stabilizzazione, perché

generalmente producono sostanziali benefici a costi significativamente inferiori. ......27

4.2.1 Fosso di guardia................................................................................................28

4.2.2 Dreni suborizzontali .........................................................................................28

4.2.3 Cuneo drenante.................................................................................................29

4.3 Opere di sostegno....................................................................................................29

4.3.1 Generalità .........................................................................................................29

4.3.2 Criteri di progetto .............................................................................................30

4.3.3 Palificate...........................................................................................................32

4.3.3.1 Generalità .....................................................................................................32

4.3.3.2 Tecnica costruttiva .......................................................................................34

4.3.3.3 Materiali impiegati e tempi di realizzazione ................................................37

4.3.3.4 Messa a dimora delle talee ...........................................................................39

4.3.3.5 Dimensionamento delle palificate a parete doppia.......................................40

4.3.4 Scogliere e muri in pietrame ............................................................................43

4.4 OPERE DI RINFORZO E DI COPERTURA.....................................................45

4.4.1 Gradonate .........................................................................................................45

4.4.1.1 Dimensionamento.........................................................................................46

4.4.2 Grate vive .........................................................................................................49

4.4.3 Inerbimenti .......................................................................................................50

4.4.4 Coperture diffuse..............................................................................................51

5 BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................53

APPENDICE 1: ANALISI DI STABILITA’ DEI PENDII ..................................................58

Introduzione........................................................................................................................58

Metodo del pendio indefinito.............................................................................................58

Scivolamenti planari...........................................................................................................60

Presenza di acqua lungo il pendio ....................................................................................61

Frattura di trazione ...........................................................................................................62

Carico uniformemente distribuito ....................................................................................63

III

Metodo di Bishop semplificato (1955) ..............................................................................64

APPENDICE 2: VERIFICHE DELLE OPERE DI SOSTEGNO........................................68

Forze agenti e cenni sul calcolo della spinta delle terre ..................................................68

Estensione teoria di Rankine .............................................................................................70

Presenza di una falda........................................................................................................70

Effetto di un sovraccarico uniforme.................................................................................70

Opera con base inclinata...................................................................................................72

Verifiche dei muri di sostegno...........................................................................................72

Verifica alla traslazione....................................................................................................73

5.1.1 Verifica al ribaltamento....................................................................................75

5.1.2 Verifica al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento)....76

APPENDICE 3: TERMINI DELLA LEGENDA DELLA CARTA LITOLOGICA ALLA

SCALA 1:10.000 (CARTOGRAFIA GEOAMBIENTALE, REGIONE LOMBARDIA) .....83

INDICE delle FIGURE

Figura 1: tipologie di frana maggiormente diffuse in ambito agro-silvo-pastorale: a) Frana di

crollo, b) Scivolamento rotazionale, c) Scivolamento traslazionale, d) Colamenti o flussi.

............................................................................................................................................5

Figura 2: Principali dissesti che possono verificarsi lungo una strada forestale: A) frana

lungo la scarpata di scavo (“cutslope slide”); B) frana che ha interessato la scarpata di

riporto (“fillslope slide”); C) colata detritica che attraversa la strada in corrispondenza

di un impluvio. ..................................................................................................................12

Figura 3: effetto della diversione di un corso d’acqua (da Furniss et al., 1997) ....................12

Figura 4: compensazione scavo-riporto ..................................................................................18

Figura 5: realizzazione dell’unghia di valle ............................................................................18

Figura 6: schema di realizzazione con riporto parziale ..........................................................19

Figura 7: realizzazione in scavo ..............................................................................................19

Figura 8: realizzazione in rilevato ...........................................................................................20

Figura 9: realizzazione con gradonatura ................................................................................20

Figura 10: alleggerimento della testata e carico del piede di una frana potenziale nell’ambito

della costruzione di una strada agro-silvo-pastorale mediante compensazione sterri-

riporti ...............................................................................................................................21

IV

Figura 11: fosso di guardia......................................................................................................28

Figura 12: drenaggio suborizzontale.......................................................................................28

Figura 13: cuneo drenante con grata e palificata ...................................................................28

Figura 14: Tipologie di muro di contenimento. .......................................................................30

Figura 15: verifica di stabilità globale dell’insieme muro-terreno. ........................................32

Figura 16: Palificata (vista frontale). ......................................................................................32

Figura 17: palificate a parete semplice e a parete doppia (sezione).......................................33

Figura 18: Drenaggio delle fondazioni....................................................................................34

Figura 19: Congiunzione dei tronchi (da: Regione Lombardia, 2000). ..................................34

Figura 20: Disposizione continua ed alternata degli elementi trasversali (vista frontale). ....35

Figura 21: Vista assonometrica di una palificata e del relativo riempimento (ridisegnato da

D’Agostino, 2000). ...........................................................................................................36

Figura 22: Messa a dimora delle talee (da: Regione Lombardia, 2000). ...............................40

Figura 23 Rappresentazione schematica di un’opera di sostegno in pietrame .......................44

Figura 24: Schema di costruzione di un muro in pietrame con terreno di riporto e tubo

drenante a tergo (ridisegnato da Gray e Sotir, 1996)......................................................44

Figura 25:schema costruttivo delle gradonate (da Regione Lombardia, 2000)......................45

Figura 26: similitudine tra rinforzo sintetico e con talea ........................................................46

Figura 27: schema di rinforzo di un pendio sistemato a gradonata ........................................47

Figura 28: schema costruttivo della grata viva (da Regione Lombardia, 2000).....................50

Figura 29: idrosemina su scarpate stradali .............................................................................51

Figura 30: copertura diffusa su scarpata stradale ..................................................................52

Figura 31: schema del pendio indefinito .................................................................................59

Figura 32: schema dello scivolamento planare di un cuneo di riporto ...................................61

Figura 33:distribuzione delle pressioni con valore massimo a metà altezza ..........................62

Figura 34: scivolamento del blocco in presenza di una frattura di trazione ...........................63

Figura 35: schema delle forze nel caso di cuneo caricato.......................................................64

Figura 36: schema delle forze sul concio nel metodo di Bishop..............................................65

Figura 37: schema delle forze nel metodo di Bishop semplificato ..........................................66

Figura 38: schema delle forze agenti su un’opera di sostegno................................................68

Figura 39: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo su una parete verticale

liscia .................................................................................................................................69

Figura 40: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo sottoposto ad un

sovraccarico uniformemente distribuito. .........................................................................71

V

Figura 41: Schema statico di una palificata inclinata rispetto all’orizzontale (sezione). .......74

Figura 42: Sezione basale della palificata. Centro di sollecitazione (a) interno al nocciolo

centrale della sezione di base; (b) coincidente con l’estremo del nocciolo centrale; (c)

interno al terzo medio di valle..........................................................................................78

Figura 43: Schema di rottura del terreno per il calcolo di qlim ...............................................80

INDICE delle TABELLE

Tabella I– Tipologia dei movimenti franosi (modificato da: Varnes, 1978)..............................4

Tabella II: scala dell’intensità delle frane in base alla velocità................................................7

Tabella III: classificazione di Cruden e Varnes (1994) .............................................................8

Tabella IV: fattori che governano la stabilità dei versanti (in evidenza i fattori che

maggiormente interessano la viabilità agro-silvo-pastorale) ..........................................10

Tabella V: Valori medi delle pendenze di scarpate in roccia. .................................................23

Tabella VI: Linee guida per la pendenza delle scarpate di scavo e di riporto (modificato da

British Columbia Forest Code, 1995) ..............................................................................24

Tabella VII: Proprietà fisico-meccaniche e indicazioni a scopo ingegneristico dei terreni (da:

Washington Division of Geology and Earth Resources Bulletin 78-1989, modificato) ...25

Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni

meccaniche (da Giordano, 1988). ....................................................................................38

Tabella IX: durabilità nei confronti dei patogeni e resistenza nei confronti degli insetti del

legname (mod. da De Antonis e Molinari, 2003) .............................................................39

Tabella X: Materiale e tempi di costruzione per m2 di paramento esterno (da Carbonari e

Mezzanotte, 1993). ...........................................................................................................39

Tabella XI: Formule per il calcolo della base B dell’opera. ...................................................41

Tabella XII: Parametri utilizzati nel calcolo del rapporto B/H delle palificate. ....................41

Tabella XIII: Valori del rapporto B/H. ...................................................................................42

Tabella XIV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la

pendenza del versante a fine lavori, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di

diametro e 10 pezzi/m.......................................................................................................48

Tabella XV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la

pendenza del versante dopo 15 mesi dall’impianto, per talee di salice rosso di 1 m di

lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m ........................................................................49

VI

Tabella XVI: Valori di φ in relazione alla granulometria del terreno (da Terzaghi e Peck,

1967).................................................................................................................................72

Tabella XVII: Valori del carico di sicurezza del terreno in relazione alla caratteristiche del

terreno di fondazione (modificato da Colombo, 1977). ...................................................77

Tabella XVIII: Valori dei fattori di capacità portante secondo Terzaghi (da Lancellotta,

1993).................................................................................................................................81

1

1 INTRODUZIONE

Tra tutti i possibili impatti della presenza di una strada agro-silvo-pastorale in ambito

montano e collinare vi sono quelli relativi al dissesto idrogeologico, che possono costituire

un fattore rilevante sia ai fini dell’efficienza della strada stessa (riduzione della sicurezza di

transito fino alla totale interruzione), sia un fattore di degrado a scala di versante e di

bacino (aumento del sedimento prodotto e peggioramento della qualità dei corpi idrici,

sovralluvionamento degli alvei e predisposizione all’innesco di colate detritiche).

In diverse aree del mondo numerosi Autori (McCashion e Rice, 1983; Meghan, 1984;

Rood, 1984; Amaranthus et al., 1985; Sidle, 1985; McClelland et al., 1999), hanno

dimostrato che la presenza di strade negli ambienti agro-silvo-pastorali è una causa

importante per l’innesco di fenomeni di franamento superficiale; secondo Gucinski et al.

(2000) in ambito forestale la presenza di strade comporterebbe un aumento di frane in

proporzione variabile tra 1 a 30 e 1 a 300.

In genere, le frane associate alle strade agro-silvo-pastorali sono fenomeni di tipo

superficiale che mobilitano piccole quantità di materiale che a causa del loro numero

(McClelland et al., 1999), tuttavia, possono costituire un grosso problema di sicurezza

della strada e un notevole onere in termini di manutenzione. La movimentazione diffusa di

materiale solido, inoltre, può intasare gli impluvi predisponendo le condizioni per l’innesco

di colate detritiche.

La presenza di strade come causa dei franamenti, in particolare, sembra essere

particolarmente rilevante in ambienti caratterizzati da pendenze modeste dove in

condizioni naturali non si avrebbero fenomeni di dissesto (McClelland et al., 1999; Jakob,

2000).

Le cause dei franamenti innescati dalla presenza di una strada sono dovuti sostanzialmente

a tre ordini di fattori:

• la creazione di scarpate con minor stabilità rispetto al versante naturale, a causa

della maggiore pendenza e delle caratteristiche del terreno (poco compatto con

forte presenza di materiale organico) che è anche più facilmente erodibile perché

privo di copertura vegetale;

• la maggior probabilità di saturazione della scarpata di valle, a causa della cattiva

gestione del deflusso superficiale che vi si riversa;

2

• la diversione dei piccoli impluvi, dovuta all’inadeguatezza e soprattutto

all’inefficienza dei manufatti idraulici (Donald et al., 1996; Furniss et al., 1997) che

fa sì che il deflusso si riversi dapprima sulla sede stradale e poi sulla scarpata di

valle, determinandone l’erosione o la saturazione.

Il presente documento si pone l’obiettivo di riassumere le conoscenze relative ai rapporti

tra la stabilità dei versanti e viabilità agro-silvo-pastorale e di fornire elementi utili per una

corretta progettazione e realizzazione degli interventi sistematori maggiormente indicati in

tale contesto.

Per quanto riguarda la struttura del documento, esso può essere idealmente diviso in due

parti: la prima è di carattere prevalentemente metodologico e richiama i principi di stabilità

dei versanti con riferimento alle tipologie di dissesto, alla loro attività, alle possibili cause

d’innesco, per concludere con una rassegna dei più comuni dissesti associati alla

realizzazione delle strade agro-silvo-pastorali; la seconda è invece di carattere applicativo e

tratta degli elementi progettuali e realizzativi delle opere di sostegno e di rinforzo più

diffuse in ambito forestale, che consentono di prevenire fenomeni di dissesto lungo le

scarpate di valle e/o monte.

3

2 DISSESTI E VIABILITÀ FORESTALE

2.1 Introduzione

Le relazioni fra strade e territorio montano sono molto più intense di quanto si possa

pensare soprattutto in un territorio, quale quello lombardo, dove la natura dei terreni e del

clima portano a fenomeni di dissesto idrogeologico (in atto o potenziale) che risultano

spesso problematici rispetto alle esigenze di mobilità dell’uomo. L’abbandono del

territorio montano, inoltre, ha spesso contribuito ad alterare il già precario equilibrio tra

uomo e montagna, venendo meno l’attenta opera di vigilanza e di capillare e tempestivo

intervento eseguito sia dai proprietari, che dal personale degli Enti preposti. La

conseguenza di ciò è l’attivazione (o la riattivazione) di fenomeni gravitativi indesiderati

(frane, caduta massi e smottamenti di terreno) che risulta particolarmente accentuata in

concomitanza delle infrastrutture viarie in occasione degli eventi meteorici intensi.

Nel presente capitolo verranno richiamati i principi inerenti la stabilità dei versanti e delle

scarpate artificiali e descritte le principali forme che interessano la viabilità agro-silvo-

pastorale.

2.2 Instabilità di versante

2.2.1 Definizione

In accordo con Varnes (1978) con il termine frana s’intende un fenomeno naturale in cui,

sotto l’azione della forza di gravità, si verifica lungo una superficie definita un movimento

verso il basso o verso l’esterno del pendio, del materiale (roccia, terreno, rinterri, ecc.) che

costituisce il versante (naturale o artificiale). Tali fenomeni vengono comunemente definiti

anche come movimenti in massa, cioè movimenti di versante che si realizzano sotto

l’influenza della gravità e senza un vero mezzo di trasporto; a questo termine può essere

opposto quello di trasporto in massa, ossia di materiale trasportato (sempre a causa della

gravità) in un mezzo di movimento, come ad esempio l’acqua (Crosta, 2001).

2.2.2 Tipologie di movimento

La distinzione in diversi tipi di movimento secondo cui può avvenire una frana costituisce,

oltre che un comune e affermato sistema di classificazione, un punto di partenza sia per la

scelta del modello di analisi di stabilità, sia per la programmazione d’indagini specifiche,

sia per l’individuazione delle tecniche sistematorie più opportune.

4

La classificazione dei fenomeni franosi più nota ed utilizzata è senza dubbio quella di

Varnes (1978), riportata in Tabella I; di seguito si riportano le definizioni relative alle

diverse tipologie di fenomeno:

Crolli: movimenti di una massa di dimensioni variabili che si stacca da una parete lungo

una superficie con minimo spostamento di taglio e procede per caduta libera, rimbalzi,

rotolamento e talora scivolamento (Figura 1a). Il movimento è molto rapido od

estremamente rapido e normalmente il pendio da cui ha origine il crollo è fortemente

inclinato (> 70°).

Ribaltamenti: movimenti per rotazione verso l’esterno del pendio in genere di elementi

rocciosi attorno ad un punto di rotazione situato al di sotto del baricentro della massa

interessata, per azione della gravità, di fluidi e/o di sollecitazioni sismiche.

Scivolamenti: spostamenti a blocchi multipli o a blocco singolo intatto per scorrimento

lungo una o più superfici di rottura o lungo una zona di limitato spessore soggetta a intense

deformazioni di taglio. Nel caso di scivolamenti rotazionali (Figura 1b) la superficie di

rottura è curva e concava verso l’alto; essi sono dovuti a forze che producono quindi un

movimento di rotazione attorno ad un punto situato al di sopra del centro di gravità della

massa. Gli scivolamenti traslazionali (Figura 1c) si verificano, invece, in prevalenza

lungo una superficie piana o debolmente ondulata che corrisponde spesso a discontinuità

geologico-strutturali come piani di faglia o di strato e fratture maggiori, oppure lungo

superfici di contatto tra substrato roccioso e copertura di terreno.

Tabella I– Tipologia dei movimenti franosi (modificato da: Varnes, 1978).

TIPO DI MATERIALE TIPO DI MOVIMENTO

terra (earth) detrito (debris) roccia (rock) crolli (falls) crollo di terra crollo di detrito crollo di roccia ribaltamenti (topples) ribaltamenti di

terra ribaltamenti di detrito

ribaltamenti di roccia

rotazionaliscivolamenti rotazionali di terra

scivolamenti rotazionali di detrito

scivolamenti rotazionali di roccia scivolamenti

(slides) traslativi

scivolamenti traslazionali di terra

scivolamenti traslazionali di detrito

scivolamenti traslazionali di roccia

espandimenti laterali (lateral spreads)

espandimenti laterali di terra

espandimenti laterali di detrito

espandimenti laterali di roccia

colamenti o flussi (flows) colata di terra colata di detrito flusso in roccia frane complesse (complex) combinazione di due o più tipi di movimento

6

profilo a V e lasciano depositi laterali. Le colate in terra o fango (earthflow e mudflow)

coinvolgono in genere materiali fini, con morfologie variabili in funzione del contenuto

d’acqua, ma generalmente presentano una forma stretta e allungata con una zona di

svuotamento prevalente a monte e con lobo di accumulo al piede, mentre la zona

intermedia è caratterizzata da un settore più o meno incanalato (Crosta, 2001).

Frane complesse: la definizione di frana complessa è stata proposta e impiegata più volte

con significati differenti e quindi diverse tipologie di fenomeno sono state classificate in

tale gruppo. Varnes (1978), ad esempio, intende con tale termine il movimento di una

massa risultante dalla combinazione di una o più tipologie di movimento sia in settori

diversi (suddivisione spaziale) sia in fasi diverse di sviluppo del movimento stesso

(suddivisione temporale), mentre per frane composite intende quelle in cui la superficie di

movimento è formata dalla combinazione di elementi piani e curvi. Secondo le indicazioni

del Working Party on World Lanslide Inventory (WP/WLI 1993, 1994) le frane composite

prevedono invece la combinazione simultanea di più tipologie di movimento.

2.2.3 Attività

Nell’ambito degli studi relativi alla stabilità dei versanti è fondamentale, oltre

all’individuazione della tipologia del fenomeno, anche la valutazione dello stato

d’attività, stile e distribuzione dell'attività del movimento (WP\WLI, 1993, 1994).

Senza entrare nel dettaglio, di seguito vengono trattati alcuni aspetti riguardanti lo stato di

attività di una frana, mentre per quanto riguarda lo stile e la distribuzione di attività se ne

danno solo le definizioni rimandando a testi specialistici per un approfondimento.

Lo stato di attività descrive le informazioni disponibili circa il momento in cui si è

realizzato il movimento ed è quindi utile per prevedere il tipo di evoluzione temporale; il

fenomeno può quindi essere distinto in:

• Attivo: se attualmente in movimento, ossia se al momento dell’osservazione o

dell’esecuzione dello studio si sono rilevati indizi di movimento

• Sospeso: se mossasi nell’ultimo ciclo stagionale ma non è attualmente attiva

• Riattivato: se attiva dopo essere stata inattiva

• Inattivo: se mossasi per l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale. Può dividersi

inoltre secondo le classi seguenti:

o Quiescente: quando inattiva ma riattivabile dalle sue cause originali tuttora

esistenti

7

o Naturalmente stabilizzato: se inattiva e non più influenzata dalle sue cause

originali

o Artificialmente stabilizzato: se inattiva e protetta dalle cause originali tramite

misure di stabilizzazione di origine antropica

o Relitto: se inattiva e sviluppatasi in condizioni morfologiche e climatiche

considerevolmente diverse dalle attuali. Sinonimi di relitta ritrovabili in

letteratura sono antica, fossile e paleofrana

Lo stile di attività descrive il modo con cui i diversi meccanismi di movimento

contribuiscano alla frana in esame.

La distribuzione di attività, infine, descrive il modo in cui la frana si sta evolvendo o

muovendo, e quindi fornisce informazioni circa l’evoluzione spaziale del dissesto.

Risulta inoltre evidente come lo stato di attività influenzi notevolmente qualsiasi analisi del

rischio di frana, influenzando l’intensità del fenomeno di instabilità e, di conseguenza,

sono state proposte diverse classificazioni riguardanti la velocità di movimento (Tabella

II).

Tabella II: scala dell’intensità delle frane in base alla velocità

Varnes (1978) Cruden e Varnes (1994) Hungr (1981)

mm/s classe descrizione mm/s mm/s 3 m/s 3*103 VII estremamente

rapido 5 m/s 5*103 1.1*103

0.3 m/min 5*100 VI molto rapido 3 m/min. 50 1.5 m/g 17*10-3 V rapido 1.8 m/h 0.5

1.5 m/mese 0.6*10-3 IV moderato 13 m/mese 5*10-3 3.5*10-3 1.5 m/anno 48*10-6 III lento 16 m/a 5*10-5 3.5*10-5 0.06 m/anno 1.*10-6 II molto lento 16 mm/a 0.5*10-6

I estremamente lento

In particolare, la scala di Cruden e Varnes (1994) comprende anche una classificazione

dell’intensità del fenomeno franoso sulla base dei danni attesi per le classi di velocità

individuate (Tabella III)

8

Tabella III: classificazione di Cruden e Varnes (1994)

CLASSE DESCRIZIONE

VII Edifici distrutti per impatto del materiale; qualsiasi tentativo di porsi in salvo è impossibile; catastrofe di eccezionale violenza

VI perdita di alcune vite umane, l'evacuazione completa della popolazione è impossibile

V l'evacuazione della popolazione è possibile, distruzione di immobili ed installazioni permanenti

IV possibile mantenimento di strutture temporanee o poco danneggiabili

III possibilità di intraprendere lavori di rinforzo e restauro durante il movimento; strutture meno danneggiabili e mantenibili con frequenti lavori di rinforzo, salvo accelerazioni del movimento

II alcune strutture permanenti possono essere danneggiate dal movimento

I movimento impercettibile senza monitoraggio; costruzione edifici possibile con precauzioni

2.2.4 Cause delle frane

L’identificazione, la classificazione, l’analisi di un fenomeno franoso sono fortemente

influenzate dal riconoscimento dei fattori che ne controllano il processo, e in particolare

delle cause predisponenti e innescanti (Sowers e Sowers, 1970). Le cause principali dei

movimenti franosi sono da ascrivere a fattori tettonici (storia tettonica e neotettonica,

sismicità), litologici (composizione, tessitura, alterazione dei materiali), morfologici

(topografia e morfometria dei versanti), idrogeologici (idrografia, drenaggio,

caratteristiche delle falde acquifere), meteorologici (condizioni climatiche generali),

pedologici (tipo di suolo), antropici (azioni dell’uomo che influenzano l’equilibrio del

versante).

Tali fattori si ripercuotono in termini di forze agenti sul versante, sforzi di taglio che

agiscono in senso destabilizzante e resistenza al taglio che agisce in senso stabilizzante e

possono essere distinti in due gruppi: fattori che aumentano le tensioni di taglio e fattori

che riducono la resistenza al taglio (Tabella IV).

2.2.5 Ruolo dell’acqua nell’instabilità di versante

Da quanto precedentemente illustrato l’acqua rappresenta un fattore dominante

nell’instabilità di versante e in particolare nell’innesco dei movimenti franosi, come del

resto è evidente anche dalla concomitanza tra frane ed eventi meteorici caratterizzati da

precipitazioni abbondanti e/o intense. La presenza dell’acqua nel terreno può essere dovuta

a fenomeni di tipo differente quali la presenza di falde sotterranee o sospese, l’umidità del

terreno nella zona non satura, il deflusso superficiale e sottosuperficiale, l’acqua di

9

idratazione dei minerali. In tali fenomeni può essere rilevante, oltre alle condizioni

climatiche (entità e caratteristiche spazio-temporali delle precipitazioni) ed al regime

idrologico, anche l’azione dell’uomo in termini di gestione delle acque superficiali e

sottosuperficiali (presenza e gestione di invasi naturali e/o artificiali, perdite dai

sottoservizi o serbatoi e gestione del deflusso in corrispondenza della rete viaria).

2.3 Instabilità dei pendii artificiali

I pendii artificiali possono essere realizzati tramite scavo (trincee), riporto (rilevati), o

scavo e parziale riporto sopra la topografia preesistente (il caso più frequente nelle strade

Agro-Silvo-Pastorali) e possono essere realizzati con materiale naturale (terreno di scavo)

o artificiale (inerti, rifiuti vari, ecc.) disposto senza tecniche particolari, con tecniche

semplici (compattazione), o rinforzato (terre rinforzate), con appoggio diretto sulla vecchia

topografia o su una topografia modificata (Crosta, 2001).

Nel caso di scarpate realizzate in scavo su terreno naturale, chiaramente, vale quanto

esposto in precedenza per i pendii naturali, anche se per essi nello studio dei problemi di

stabilità si dovrà prestare particolare attenzione ad alcuni fattori che possono influenzare la

tipologia delle superfici di rottura; tra essi ricordiamo:

• la struttura dell’opera (geometria, eterogeneità, anisotropia, ecc.);

• il metodo e i tempi di esecuzione;

• le caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali impiegati nella realizzazione;

• le caratteristiche dei terreni di fondazione;

• le tipologie degli eventuali elementi di rinforzo (geometria, posizione, resistenza, ecc.);

• le condizioni idrauliche e idrogeologiche dell’area.

Per quanto riguarda la viabilità minore, i dissesti possono essenzialmente riguardare la

scarpata di monte e quella di valle. Per quest’ultima, secondo Gray e Sotir (1996), i

fenomeni più comuni si originano dal materiale di riporto e sono caratterizzati da

movimenti più o meno superficiali lungo superfici approssimativamente planari,

essenzialmente secondo tre diverse modalità:

• una prima tipologia è quella in cui si ha uno scivolamento superficiale del margine

esterno del riporto. Si tratta di una sorta di scivolamento traslazionale, che può essere

analizzato attraverso il metodo del “pendio indefinito”, in quanto lo spessore della

massa instabile è molto inferiore alla lunghezza del riporto stesso (Gonsior e Gardner,

1971, suggeriscono un valore minimo del rapporto “lunghezza/spessore” pari a 20);

10

Tabella IV: fattori che governano la stabilità dei versanti (in evidenza i fattori che maggiormente interessano la viabilità agro-silvo-pastorale)

erosione glaciale, fluviale, marina frane che modificano la topografia del versante Rimozione del

supporto laterale azioni antropiche: strade, cave, scavo/riporto, canali, ecc. sottoescavazione fluviale alterazione ed erosione “sotterranea” di rocce solubili o materiali argillosi

Rimozione del supporto sottostante

estrazione mineraria naturale (precipitazioni solide e/o liquide; accumulo di detrito di versante; vegetazione; pressioni di filtrazione)

Sovraccarico antropico (es.: rinterri e rilevati; discariche; peso di strutture varie e/o mezzi meccanici; perdite di acqua dai sottoservizi) spinta idrostatica dell’acqua in fratture o cavità spinta dovuta alla presenza di ghiaccio nelle fratture effetto del vento Spinta laterale rigonfiamento per fenomeni di idratazione delle argille,

dei gessi o di anidrite

movimenti positivi o negativi dei versanti in seguito a variazioni di pressione nella camera magmatica terremoti con collasso della colonna eruttiva intrusione di dicchi

Processi vulcanici

esplosioni freatomagmatiche terremoti

Sforzi transitori vibrazioni (es.: esplosivi, transito mezzi, ecc.) F

AT

TO

RI

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UM

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TA

NO

GL

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OR

ZI

DI

TA

GL

IO

Tettonica regionale rammollimento delle argille fessurate essicazione delle argille migrazione delle acque verso il fronte di saturazione disintegrazione fisica di rocce granulari

Processi d’alterazione fisico-chimica

idratazione di minerali Variazione delle forze intergranulari per contenuto d’acqua e pressione nei pori e/ o nelle fratture

immersione in acqua totale o parziale del versante

fessurazione Variazioni nella struttura rimaneggiamento di materiali strutturati

riduzione dell’azione delle radici Disboscamento

riduzione dell’evapotraspirazione perdita progressiva di resistenza per creep presenza di tane di animali

FA

TT

OR

I C

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CA

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NO

UN

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INU

ZIO

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DE

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A

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SIST

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AL

TA

GL

IO

Altre cause ...

11

• una seconda tipologia di rottura prevede lo scivolamento dell’intera massa riportata,

lungo il contatto con la superficie naturale del pendio (sia essa costituita da depositi

superficiali o da roccia in posto). Tale fenomenologia è comune secondo gli Autori nel

caso di riporti costituiti da materiale sciolto, semplicemente accatastato a valle e non

costipato, lungo pendii ripidi, come nel caso delle strade realizzate attraverso la

consueta tecnica “scavo-riporto”); in tale caso risulta maggiormente appropriata più

appropriata l’analisi di stabilità secondo il metodo dello “scivolamento a cuneo” (cfr.

Appendice 1);

• una terza tipologia, infine, è costituita dai dissesti più complessi che finiscono per

interessare il materiale posto al di sotto del riporto; in questi casi la superficie di

scivolamento può essere anche più profonda del contatto riporto-versante e presentare

forme articolate. In queste situazioni si consiglia di eseguire tutte le verifiche del caso

(ad esempio attraverso il “metodo dei conci”; cfr. Appendice 1), ipotizzando una serie

di superfici di scivolamento curve, al fine di individuare la più critica, e prevedere la

realizzazione di opere accessorie di sostegno del versante.

2.4 Tipologie di dissesto più frequenti nell’ambito della viabilità agro-

silvo-pastorale

La presenza di una strada agro-silvo-pastorale, come precedentemente accennato,

comporta una serie di alterazioni che interessano la geometria del versante, la dinamica

della circolazione idrica e le caratteristiche del substrato (Bischetti, 2005). Queste incidono

direttamente sui fattori che regolano la stabilità sia del versante naturale, che delle scarpate

che si formano con la realizzazione della strada, aumentando la probabilità d’innesco di

alcune tipologie di dissesti.

In particolare si può avere il collasso della scarpata o del versante a monte

dell’infrastruttura (Figura 2A), il cedimento della scarpata di riporto (spesso non rinforzata

con adeguate opere di sostegno; Figura 2B), erosione o deposito di materiale solido in

corrispondenza degli impluvi che convogliano colate detritiche originatesi nel tratto di

monte dell’impluvio stesso (Figura 2C).

Una delle cause del cedimento della scarpata di valle è sicuramente l’aumento del

contenuto idrico causato dall’alterazione del naturale percorso dell’acqua o, molto più

spesso, dalla deviazione del deflusso inalveato (ad esempio a causa dell’inefficienza del

manufatto realizzato per il suo attraversamento) che una volta arrivato sulla sede stradale la

12

segue fino a sfociare su una

porzione di versante non

protetta (Figura 3). Si tenga

presente che questo tipo di

fenomeno è molto spesso la

fonte primaria di detrito e la

causa principale di cedimento

delle strade agro-silvo-

pastorali (Furniss et al.,

1997); le conseguenze della

diversione e del successivo

deflusso sul versante non

protetto, infatti, consistono

nell’incisione di un nuovo

canale che rimane instabile per un periodo più o

meno lungo, nell’innesco di franamenti che

evolvono in colate detritiche che si riversano a valle

nella rete idrografica o su tratti sottostanti della

strada con un effetto cascata.

In ogni caso, l’interazione tra le strade e i fenomeni

di dissesto può modificare la magnitudo e la

direzione del deflusso superficiale e delle colate

detritiche e può facilitare il passaggio da semplice

deflusso a colata di detriti e materiale vegetale,

causando notevoli danni alle infrastrutture.

2.5 Valutazione della stabilità dei

versanti

La valutazione della stabilità di un versante, sia esso

naturale o artificiale, è tesa a verificarne le condizioni di sicurezza in senso globale. A tal

fine è possibile ricorrere a diversi metodi, tra cui i metodi per l’equilibrio limite (per

valutare la rottura o lo stato limite) e i metodi numerici (differenze finite, elementi finiti,

A

B

C

Figura 2: Principali dissesti che possono verificarsi lungo una strada forestale: A) frana lungo la scarpata di scavo (“cutslope slide”); B) frana che ha interessato la scarpata di riporto (“fillslope slide”); C) colata detritica che attraversa la strada in corrispondenza di un impluvio.

Figura 3: effetto della diversione di un corso d’acqua (da Furniss et al., 1997)

13

ecc.) per la valutazione dei limiti di funzionalità delle strutture naturali o non (Crosta,

2001).

L’analisi della stabilità globale di un versante effettuata tramite l’applicazione dei metodi

dell’equilibrio limite, in genere, ha come risultato il calcolo di un fattore di sicurezza. I

metodi dell’equilibrio limite, infatti, risolvono il problema dell’equilibrio globale della

massa di terreno delimitato dalla superficie di rottura e inteso come corpo rigido; essi si

basano sulle seguenti ipotesi:

• si assume un meccanismo di rottura specifico (reale per frane avvenute, potenziale -la

più critica- per frane temute);

• il criterio di rottura è in genere assunto lineare e solitamente è quello di Mohr-

Coulomb:

''' tanφστ += c [1]

che intoduce due parametri principali di resistenza (coesione, c’, e angolo di resistenza

al teglio, φ’) e fa uso della componente normale dello sforzo agente sul piano di

rottura;

• il materiale è assunto rigido perfettamente plastico;

• non sono considerati gli sforzi interni ai singoli blocchi assunti rigidi;

• i metodi devono risultare versatili nel consentire analisi con superfici di tipo diverso,

terreni eterogenei e condizioni idrauliche differenti;

• il valore della resistenza al taglio mobilizzata o necessaria all’equilibrio è rapportata a

quella disponibile a meno di un determinato fattore di sicurezza (FS), ossia:

mob

fFSτ

τ= [2]

• il fattore di sicurezza è uniforme lungo la superficie di scorrimento, ossia la medesima

percentuale di resistenza al taglio è mobilitata sull’intera superficie di scorrimento e lo

stesso fattore di sicurezza è applicato ad entrambi i termini di resistenza:

FSFS

cf

''

' tanφστ += [3]

All’equilibrio si ha τf =τmob (cioè FS = 1) ed i pendii per cui FS>1 potrebbero essere

considerati in linea di principio stabili. In realtà occorre tenere conto dell’incertezza

introdotta dalle ipotesi semplificatrici degli schemi di calcolo e soprattutto dell’incertezza e

dell’elevata variabilità spaziale che caratterizza i parametri geotecnici. Nella prassi

14

applicativa, di conseguenza, vengono considerati stabili i versanti in cui la resistenza al

taglio supera le tensioni di taglio di una certa quota; secondo la normativa geotecnica

vigente (D.M. 11/3/1988) tale quota è fissata nel 30 % ed il progettista è tenuto a verificare

o garantire un FS ≥ 1.3 per:

• fronti di scavo in terreni omogenei;

• rilevati stradali di tutti i tipi;

• pendii naturali interessati da lavori di qualsiasi tipo.

Valori diversi (ma sempre maggiori di 1.3) possono essere giustificati, caso per caso,

tenendo conto della complessità geologica e dell'importanza dell'opera.

Per quanto riguarda invece i versanti naturali, la scelta è lasciata direttamente al

progettista, ossia in funzione delle condizioni locali e ambientali, delle caratteristiche dei

materiali, del rischio connesso, ecc., sarà possibile determinare un fattore di sicurezza

significativo.

In relazione ai valori del fattore di sicurezza, si possono perciò distinguere tre casi:

• FS < 1 : il pendio si trova in condizioni di instabilità globale;

• 1 ≤ FS ≤ 1.3 : il pendio si trova in condizioni prossime all’equilibrio limite, anche un

piccolo incremento degli sforzi tangenziali o una riduzione delle resistenze al taglio

sulla superficie potenziale di rottura può innescare un fenomeno franoso;

• FS > 1.3 : il pendio si trova in condizioni di stabilità globale.

I metodi che fanno riferimento al principio dell’equilibrio limite possono a loro volta

essere distinti in lineari e non lineari.

I metodi lineari dell’equilibrio limite sono di uso semplice poiché per essi esiste

un’equazione lineare per il calcolo di FS (Nash, 1987). I casi che possono essere analizzati

con i metodi di tipo lineare sono quelli del pendio indefinito, dell’analisi “φu = 0”, del

metodo ordinario dei conci, dello scivolamento di blocco o cuneo, del ribaltamento (gli

ultimi due sono generalmente adatti a problemi di instabilità in roccia).

Poiché il pendio non sempre è omogeneo e possono sussistere condizioni di flusso non

facilmente schematizzabili, per un’analisi in condizioni drenate è indispensabile far ricorso

a metodi che suddividono la massa interessata da un movimento in un numero conveniente

di conci, in modo da valutare in diversi punti lungo la superficie di rottura gli sforzi

efficaci. Tuttavia in questi approcci di calcolo molte delle forze in gioco non sono note

15

all’inizio dell’analisi per cui si devono introdurre ipotesi che portano a soluzioni di tipo

non lineare.

Alcuni dei metodi, lineari e non lineari, d’interesse per la viabilità agro-silvo-pastorale

sono illustrati in Appendice 1.

2.6 Identificazione delle aree suscettive d’instabilità

Nell’ambito della progettazione e della realizzazione della viabilità agro-silvo-pastorale il

riconoscimento delle aree o dei punti suscettivi d’instabilità costituisce un elemento di

primaria importanza sia per la sicurezza del transito, sia per la funzionalità e la durata

dell’infrastruttura. Evitare l’attraversamento di aree caratterizzate da un’instabilità in atto o

potenziale, infatti, costituisce il primo e fondamentale metodo per non dover effettuare

interventi di stabilizzazione in fase di realizzazione o fine lavori; sebbene tale

considerazione appaia del tutto ovvia, nella realtà non è quasi mai tenuta in debito conto

durante le fasi di pianificazione della viabilità agro-silvo-pastorale, che dovrebbe essere

proprio il momento più adatto per recuperare tutte le informazioni disponibili per l’area in

esame sottoforma di carte di base e tematiche (topografia, geolitologia, geomorfologia,

pedologia, uso del suolo, idrologia, ecc.), di inventario dei dissesti idrogeologici

(cartografia e schede frane), di fotografie aeree, di studi e rapporti specialistici. A tale

proposito, negli ultimi anni la Regione Lombardia ha pubblicato un certo numero di

monografie sui dissesti idrogeologici, riferite a zone specifiche del territorio lombardo, tra

cui ricordiamo:

• Cartografia geoambientale (in scala 1:10.000);

• Carte del Censimento dei Dissesti della Regione Lombardia (in scala 1:25.000);

• Atlanti dei Centri Abitati Instabili (nell’ambito del progetto SCAI);

• Atlante dei Conoidi (in corso di allestimento);

• Carte Inventario delle Frane e dei Dissesti Idrogeologici della Regione Lombardia (in

scala 1:10.000).

Le considerazioni che possono essere tratte dall’analisi della documentazione reperita, non

devono prescindere dall’affidabilità, dall’aggiornamento e, nel caso delle carte, dalla scala

di rilevamento e di restituzione; nel caso in cui dalla documentazione emergesse una anche

moderata suscettività d’instabilità (in atto o potenziale) delle aree interessate

dall’infrastruttura, diviene quanto mai opportuno eseguire un sopralluogo con tecnici

competenti.

16

Anche nel caso in cui la documentazione disponibile per la zona non presenti elementi di

preoccupazione è bene, sia nel corso dei sopralluoghi per la definizione del tracciato, sia

durante la realizzazione delle infrastrutture, prestare attenzione ad alcuni semplici

indicatori di instabilità che sono di seguito richiamati:

• dissesti recenti che indicano una propensione al dissesto dell’area;

• erosioni o depositi di detrito sciolto o di materiale legnoso in concomitanza di impluvi

o alla base dei versanti che indicano il verificarsi di fenomeni di colate detritiche;

• fratture di trazione che indicano la presenza di movimenti in atto;

• segni di distacco recente da affioramenti rocciosi (sono costituiti da zone di colore più

chiaro) o da accumulo di detrito alla base del pendio;

• segni di saturazione ricorrente (dati da orizzonti di suolo grigiastri o macchie giallo-

rossastre);

• affioramenti di deflusso sottosuperficiale;

• depressioni del terreno sia nel senso della pendenza che trasversali, le prime indicano

una possibile scarpata di frana relitta o un punto di deflusso concentrato, le seconde

indicano una zona di concentrazione del deflusso sottosuperficiale;

• anomalie della rete di drenaggio superficiale;

• masse di terreno di forma irregolare più o meno lobata, rigonfiamenti lungo il versante

che indicano aree di accumulo;

• elementi rettilinei (strade, tubazioni, linee elettriche) traslati localmente o spezzati o

ribassati;

• presenza di vegetazione igrofila;

• piante eccessivamente inclinate o curvate (tronchi a J) che indicano un movimento

degli strati superficiali del terreno.

Qualora, anche durante la costruzione dell’infrastruttura si riscontrasse la presenza di

alcuni di questi caratteri e/o delle loro associazioni tipici delle aree in frana o suscettibili a

franare, occorre considerare la possibilità di cambiare il tracciato o se ciò non fosse

possibile, di intervenire con opere di sostegno e di rinforzo. Gli interventi eseguiti in fase

di costruzione, infatti, risultano sicuramente più efficaci ed economici (senza considerare

la sicurezza del transito), rispetto a quelli che andranno eseguiti a fronte di un fenomeno di

dissesto in atto.

17

3 PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SEZIONI

3.1 Introduzione

La realizzazione di una strada che attraversa un versante comporta, come precedentemente

accennato, una serie di alterazioni alla geometria originaria del versante che possono essere

causa di successivi dissesti. In particolare, occorrerà prestare particolare attenzione ai

seguenti aspetti:

• avere cura che l’eventuale sbancamento non provochi il cedimento del versante a

monte e che la pendenza della relativa scarpata sia compatibile con le caratteristiche

del materiale e le condizioni idrologiche (ricorrendo eventualmente alla realizzazione

di opere di rinforzo o di sostegno);

• avere cura che la scarpata di valle garantisca la stabilità del versante anche in

condizioni di eventi meteorici intensi, evitando un eccessivo appesantimento del

versante dovuto al peso del materiale e soprattutto all’eccesso idrico ed evitando il

rischio di diversioni degli impluvi (cfr. § 2.4).

Dal punto di vista progettuale e costruttivo si tratta di realizzare scarpate di pendenza

compatibile con le caratteristiche del materiale, di utilizzare tecniche costruttive adeguate e

di gestire adeguatamente il deflusso superficiale e sottosuperficiale.

3.2 Tecniche costruttive

Una delle cause più diffuse di dissesti legati alla viabilità agro-silvo-pastorale è costituita

dal sovraccarico del riporto che costituisce la scarpata di valle (Chatwin et al., 1994) e

soprattutto in concomitanza di un elevato contenuto d’acqua, dovuto alla pendenza del

piano stradale verso valle o da un’inefficace gestione del deflusso.

Le strade agro-silvo-pastorali che attraversano un versante possono essere realizzate

seguendo differenti tecniche costruttive; in genere, questo tipo di strade vengono realizzate

secondo il principio della compensazione tra scavi e riporti (Bortoli, 1982; Mazzalai,

1984), mentre dal punto di vista della stabilità andrebbe adottato lo schema più adeguato

alle caratteristiche di ciascuna sezione. Nei paragrafi seguenti vengono illustrati sia lo

schema della compensazione tra scavo e riporto, sia alcuni metodi poco utilizzati in Italia

ma che andrebbero presi in considerazione nelle situazioni particolarmente problematiche.

18

3.2.1 Compensazione scavo-riporto

Il metodo prevede di eseguire una prima

pista per l’avanzamento dell’escavatore

che verrà poi progressivamente allargata

realizzando in scavo la scarpata di monte

e con riporto quella di valle (Figura 4). Il

materiale più superficiale è bene sia

accantonato per poter essere utilizzato per

la finitura delle scarpate; il terreno più

grossolano può essere invece utilizzato

per realizzare un’“unghia” che consenta il

deposito del materiale derivante dallo

scavo (riducendo il rotolamento di

materiale a valle) e sia di supporto per la

scarpata di riporto (Figura 5). L’utilizzo

di piante messe di traverso per ancorare il

materiale, suggerito in diversi manuali di

origine statunitense, è una soluzione

valida solo per tracciati temporanei, in

quanto dopo 5÷7 anni il legname non è

più in grado di esercitare una funzione di supporto (Chatwin et al., 1994). La scarpata di

valle, infine, deve essere adeguatamente compattata al fine di aumentarne la resistenza al

taglio.

Il materiale grossolano derivante dallo scavo della scarpata di monte può essere utilizzato

anche per la realizzazione dello strato di base della sede viaria.

Al fine di ridurre la possibilità di scivolamento della scarpata di valle, in generale, occorre

limitare il più possibile la quantità di materiale riportato sul versante di valle; tale quantità

è legata alla larghezza della strada ed alla pendenza del versante. Per una larghezza del

riporto di 1.5 m, infatti, passando da una pendenza del versante del 50% al 70% il volume

del materiale depositato sul versante di valle raddoppia e per una pendenza del 50%

passando da una larghezza del riporto da 1.5 a 2 m il volume aumenta del 50%.

Per quanto riguarda le pendenze limite che possono essere assegnate alla scarpata di valle,

Chatwin et al. (1994) indicano 55-60% (circa 30°), tali valori si riducono drasticamente

Figura 4: compensazione scavo-riporto

Figura 5: realizzazione dell’unghia di valle

19

quando il grado di saturazione della scarpata aumenta per l’inefficienza del sistema di

drenaggio. Tali indicazioni sono anche confermate dalle analisi condotte secondo lo

schema del cuneo (cfr. Appendice 1 (Bassi, 2002).

3.2.2 Riporto parziale

Questo tipo di schema viene utilizzato

su pendenze elevate, superiori al 60%,

dove il materiale proveniente dallo

scavo e riversato sul versante di valle

non riesce a formare un cuneo

sufficientemente stabile, ma solamente

uno strato di terreno che si prolunga sul

versante fino ad una variazione di

pendenza o a ridosso di grossi massi o

ceppaie; in quest’ultimo caso, tuttavia,

occorre avere cura che non si formino zone con pendenze eccessive, in quanto massi e

ceppaie non garantiscono la stabilità sul lungo periodo. Lo scavo della banchina nel terreno

naturale raggiunge i ¾ della larghezza dell’intera strada.

Secondo Chatwin et al. (1994), questa soluzione è attuabile solamente in presenza di

materiale grossolano, mentre è da evitare in terreni a tessitura fine.

3.2.3 Scavo

Il metodo prevede la realizzazione della sede

stradale interamente in scavo (Figura 7) e

viene utilizzato quando le caratteristiche del

materiale e/o le pendenze in gioco non

garantiscono la realizzazione di una seppur

minima scarpata di riporto. Il materiale di

scavo viene riversato sul versante di valle,

con un forte impatto sull’ambiente

circostante, oppure riutilizzato per proteggere

il fondo stradale altrove o portato dove non crea problemi richiedendo oneri aggiuntivi.

Questa soluzione è da evitare in presenza di un substrato instabile e in terreni a matrice fine

e di spessore elevato, dove può innescare movimenti profondi di tipo rotazionale anche

consistenti.

Figura 6: schema di realizzazione con riporto parziale

Figura 7: realizzazione in scavo

20

3.2.4 Rilevato

Questo schema prevede lo scavo di una

banchina interamente nel versante

naturale ed il deposito del materiale sul

tratto retrostante; in questo modo si viene

a creare un rilevato rispetto al versante

naturale (Figura 8). È una soluzione che

può essere attuata per evitare di riversare

il materiale sul versante di valle o di

doverlo trasportare altrove con costi

aggiuntivi.

Condizione indispensabile affinché questa soluzione non crei problemi è che il materiale

sia sufficientemente grossolano e drenante.

3.2.5 Gradonatura

Si tratta di realizzare una piccola

banchina completamente in scavo alcuni

metri sotto il piano stradale di progetto;

a causa del ridotto volume il materiale

può essere riversato sul versante senza

grossi problemi. Completata la prima

banchina, ci si muove verso monte

scavandone un’altra e riversando il

materiale sulla prima banchina e così via

fino alla quota di progetto del piano stradale (Figura 9). È una buona soluzione per

ottenere un piano stradale stabile minimizzando la quantità di materiale riversato lungo il

versante; occorre però prestare molta attenzione al drenaggio per evitare la saturazione

della scarpata di valle. Le banchine interposte tra i gradoni dovranno pertanto essere

equipaggiate con canalette drenanti che intercettano le acque di dilavamento.

La costruzione di gradonature comporta indubbiamente un aumento delle attività e

conseguentemente un aumento dei costi di scavo, tuttavia può successivamente ridurre i

costi di manutenzione.

Figura 8: realizzazione in rilevato

Figura 9: realizzazione con gradonatura

21

3.2.6 Attraversamento di frane

superficiali con meccanismo

rotazionale

Nel caso in cui non sia possibile evitare

l’attraversamento di aree interessate da

un dissesto di tipo rotazionale, in atto o

potenziale, è possibile realizzare

l’infrastruttura minimizzando il rischio o

addirittura incrementando la stabilità del

versante (Chatwin et al., 1994). In

generale, infatti, su di una frana si può

agire caricandone il piede ed

alleggerendo la testata; nella costruzione

della strada scavi e riporti, quindi dovranno essere effettuati seguendo tale schema (Figura

10). Nel caso l’unico tracciato possibile vada ad interagire con dissesti estesi (Chatwin et

al., 1994), la strada dovrebbe attraversarne il piede minimizzando lo sbancamento ed

effettuando un riporto adeguato alla pendenza; qualora si debba invece attraversarne la

testata, occorre lavorare completamente in scavo evitando il riporto sul versante di valle

instabile. In nessun caso lo si deve attraversare nella porzione mediana.

Si sottolinea che una tale soluzione richiede tassativamente che la superficie di

scivolamento e le caratteristiche geomeccaniche siano correttamente identificate e

supportate da adeguate campagne di misura, e che la valutazione della stabilità sia eseguita

da parte di tecnici specializzati con comprovata esperienza nel settore.

3.3 Pendenza delle scarpate

Per scarpata s’intende la superficie di raccordo tra il solido stradale e il terreno naturale. La

progettazione di un fronte di scavo ha come scopo quello di determinare un’altezza e

un’inclinazione media del fronte tale da garantire, nel rispetto delle esigenze economiche

in fase di realizzazione, la stabilità dello scavo per un previsto periodo di tempo.

In generale, le scarpate hanno pendenza unica che dipende da molteplici fattori quali le

caratteristiche del terreno/roccia, la stabilità geotecnica, la presenza o meno di acqua sia in

superficie che nel sottosuolo, gli interventi di consolidamento previsti, la possibilità di

erosione e i problemi d’impatto ambientale.

Figura 10: alleggerimento della testata e carico del piede di una frana potenziale nell’ambito della costruzione di una strada agro-silvo-pastorale mediante compensazione sterri-riporti

22

La normativa nazionale per le strade “civili” (C.N.R., 1980) e per scarpate d’altezza non

elevate (intorno ai 3 metri) dà alcune indicazioni di massima, consigliando pendenze non

superiori ad 1:5. Quando per motivi pratici tale pendenza non risulti adottabile, e

comunque per altezze maggiori di 3 metri, diventa più conveniente arrivare gradatamente a

pendenze di 2:3, realizzando contemporaneamente opere di contenimento del terreno e di

drenaggio. Volendo affrontare l’argomento con un maggior dettaglio, occorre innanzitutto

differenziare la pendenza da assegnare alle scarpate in funzione del tipo di “substrato” in

cui si realizza lo scavo, distinguendo tra scarpate in roccia e scarpate in terreni.

3.3.1 Scarpate in roccia

Nelle situazioni di scavo in rocce compatte, non alterate e con modesta anisotropia

meccanica, in genere non si manifestano grossi problemi di stabilità per cui, in linea di

principio, sarebbe possibile adottare pendenze elevate, pressoché verticali. Tale soluzione,

sebbene minimizzi lo scavo, è sconsigliabile in termini di sicurezza del transito e di costi di

manutenzione; essa, infatti, può portare ad un degrado della scarpata più o meno rapido in

funzione del tipo di roccia e dell’intensità dei fenomeni atmosferici, con conseguente

caduta di elementi di varia grandezza sulla sede stradale. Per ovviare a tali inconvenienti è

buona norma assegnare alle scarpate pendenze minori di quelle strettamente richieste in

termini di stabilità; in generale, per altezze inferiori a 8-10 metri si può far riferimento ai

valori di massima riportati nella Tabella V. La letteratura, in ogni caso, riporta valori della

pendenza delle scarpate di scavo in roccia mai superiori ad un rapporto di 4 a 1 (76°). In

genere, inoltre, le scarpate di riporto si realizzeranno secondo un’inclinazione inferiore

rispetto a quelle di scavo.

Nel caso di rocce “tenere”, come ad esempio marne, conglomerati o argilloscisti, la tecnica

costruttiva può prevedere la realizzazione di una gradonatura che ha il vantaggio da un

lato, di minimizzare i rischi di cadute di massi e blocchi sulla strada, dall’altro di rallentare

e ridurre il degrado e l’erosione dell’ammasso roccioso, dovuti a fenomeni di dilavamento,

poiché il gradone dissipa l’energia della corrente.

Se lo scavo viene realizzato in rocce stratificate e fratturate (caso piuttosto frequente nella

pratica), possono verificarsi problemi di stabilità anche molto complessi in funzione delle

caratteristiche geomeccaniche dell’ammasso roccioso e delle caratteristiche delle

discontinuità presenti. Lo studio della stabilità in questi casi può diventare complesso, sia

per la quantità di informazioni geologiche necessarie, sia perché molto spesso la superficie

di distacco non può essere considerata piana. Per situazioni di questo tipo si raccomanda di

23

ricorrere a tecnici specializzati in grado di utilizzare una schematizzazione adeguata dei

problemi di stabilità dei pendii in roccia.

3.3.2 Scarpate in terreni

Quando lo scavo interessa i terreni sciolti, la pendenza della scarpata deve essere assegnata

in modo tale da garantire la stabilità del pendio con un opportuno coefficiente di sicurezza

(si ricorda che la normativa geotecnica in materia di pendii fissa il Fattore di Sicurezza

minimo nel valore di 1.3). Tralasciando qui ogni dettaglio circa i diversi metodi d’analisi di

stabilità dei pendii, vengono di seguito proposte alcune indicazioni di massima circa

l’inclinazione delle scarpate.

Nel caso in cui non siano disponibili studi specifici (per esempio relazioni geotecniche)

riguardanti la tipologia del terreno interessato dalle operazioni di scavo, di norma in Italia

la scarpata di monte si realizza con una pendenza di 1:1, anche se sono tuttavia possibili

inclinazioni maggiori sino a 3:2 sui terreni più stabili (di natura grossolana). Dovranno

invece essere ridotte a 2:3 per terreni fini coesivi, soprattutto in presenza di acque

sottosuperficiali. Nelle scarpate di riporto, il materiale può essere disposto secondo

l’angolo naturale di attrito interno (Bortoli, 1982).

Anche nella letteratura straniera i riferimenti relativi all’inclinazione delle scarpate sono

scarsi, soprattutto in relazione alla classificazione granulometrica del terreno interessato

dallo scavo. In Tabella VI si riportano i valori utilizzati in Canada e negli Stati Uniti

d’America, in funzione della granulometria del materiale.

1 Per una definizione particolareggiata delle litologie si rimanda all’Appendice 3.

Tabella V: Valori medi delle pendenze di scarpate in roccia.

Tipo di roccia Legenda Carta Litologica

Cartografia GeoambientaleRegione Lombardia1

Pendenza scarpata

(vert/orizz)Rocce ignee IA, IB, EA, EB, FL 4/1 – 2/1 Rocce sedimentarie arenarie e calcari massicci rocce stratificate (orizzontali o a reggipoggio) marne e argilliti

Ac, As, Cm, Cn, Dm

Cs, Dm (se stratificata) Al, Fl, Am, Mc, Ss

4/1 – 2/1

2/1 – 1.33/11.33/1 – 1/1

Rocce metamorfiche gneiss, scisti, serpentiniti, marmi ardesie, filladi

GN, MQ, MC

FD

4/1 – 2/1

2/1 – 1.33/1

24

Si noti che tali valori nell’ambiente italiano devono essere intesi come indicativi e

soprattutto, essi valgono per scarpate d’altezza inferiore a 3 metri. La fonte stessa della

tabella, inoltre, consiglia di ridurre le pendenze in corso d’opera, nel caso vi sia la presenza

di fratture di trazione di neoformazione (o a monte della scarpata o sulla superficie

stradale) o nel caso in cui insorgano fenomeni di instabilità lungo il pendio interessato

dall’opera.

Altri valori che oltre alla classificazione granulometrica del terreno fanno riferimento

anche alla sua origine sono riportati in Tabella VII, che fornisce anche l’indicazione di

alcuni parametri geotecnici utili per i principali impieghi dei materiali in ambito

ingegneristico.

Tabella VI: Linee guida per la pendenza delle scarpate di scavo e di riporto (modificato da British Columbia Forest Code, 1995)

Scarpate di scavo Scarpate di riporto materiale2 pendenza materiale pendenza

miscele di sabbia e ghiaia (GP) sabbie da sciolte ad addensate

(SW, SP) 1/1.5

sabbie limose (SM) 1/1

miscele di sabbia e ghiaia (GP)

sabbie (SW, SP) miscele di ghiaia,

sabbia, limo e argilla (GM, GC)

1/1.5

limi da addensati a molto addensati

sino a cementati (ML) 1/0.75

limi soffici, limi argillosi (MH) 1/1.5 argille limose (CL)

argille inorganiche (CH) 1/1

limi (ML, MH) argille (CL, CH)

1/2.5

2 classificazione USCS (Unified Soil Classification System)riportata nell’Appendice 4.

25

Tabella VII: Proprietà fisico-meccaniche e indicazioni a scopo ingegneristico dei terreni (da: Washington Division of Geology and Earth Resources Bulletin 78-1989, modificato)

classificazione

origine USCS

Peso di volume secco

angolo diresistenza al taglio

coesione

erodibilità relativa

capacità portante

difficoltà di scavo

inclinazione scarpata

g/cm3 ° kg/cm2 kg/ cm2 %

alluvionali alta energia

GW, GP,

GM 1,85 - 2,10 30 - 35 0 bassa 0,75 – 1,00 bassa 50÷65

bassa energia

ML, SM, SP, SW

1,45 - 1,85 15 - 30 0 – 0,25 medio-

alta 0,25 – 0,75 bassa 25÷50

glaciali

till SM, ML 1,90 - 2,25 35 - 45 0,50 – 2,00medio- bassa

0,75 – 2,50medio-

alta 50÷100

fluvioglaciali

GW, GP SW,SP,SM

1,85 - 2,10 30 - 40 0 – 0,50 medio- bassa

0,75 – 1,50medio- bassa 50÷70

glaciolacustri

ML, SP,SM

1,60 - 1,90 30 - 40 0 – 1,50 medio-

alta 0,50 – 1,00 media

25÷50

lacustri inorganici

ML, SM,

MH 1,10 - 1,60 5,0 - 20 0 – 0,10 alta 0 – 0,25 bassa 0÷25

organici

OL, PT 0,15 - 1,10 0 - 10 0 – 0,10 alta 0 – 0,25 bassa 0÷25

eolici

loess ML, SM 1,25 - 1,60 20 - 30 0,25 – 0,50molto alta

0,25 – 0,50 bassa 25÷50

26

4 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DELLE SEZIONI

4.1 Introduzione

Il principale modo per rendere stabili le sezioni che compongono la viabilità agro-silvo-

pastorale è, come precedentemente illustrato, quello di evitare di attraversare aree

potenzialmente instabili o peggio con dissesti in atto. Poiché ciò non è sempre possibile e

la precisa identificazione di tali aree non è né semplice, né scevra da incertezza, spesso ci

si trova a dover effettuare interventi di stabilizzazione in corso d’opera o su strade già

realizzate. Nel caso della viabilità agro-silvo-pastorale, gli interventi dovranno combinare

la sicurezza con l’economicità delle opere ed il ridotto impatto ambientale.

Gli interventi che possono essere realizzati in ambito agro-silvo-pastorale possono essere

essenzialmente suddivisi nei seguenti tipi:

• protezione del corpo stradale da caduta massi e franamenti:

la caduta massi è un fenomeno sottovalutato nell’ambito della viabilità agro-silvo-

pastorale anche se dal punto di vista del rischio per il transito rappresenta un evento

estremamente pericoloso, data anche la rapidità con cui si manifesta. Per questo motivo

è fondamentale in fase di realizzazione o di completamento dei lavori rimuovere gli

ammassi instabili di maggiore dimensione. Gli interventi di sistemazione sono costituiti

da interventi puntuali di disgaggio, effettuati mediante rimozione meccanica dei blocchi

rocciosi pericolanti, e da interventi di copertura e messa in sicurezza delle pendici di

monte, costituiti dalla posa in opera di reti metalliche tirantate e funi in acciaio; in taluni

casi può essere sufficiente la posa di stuoie e l’idrosemina. Le reti in aderenza, in

particolare, ben si adattano alla morfologia del territorio, costituiscono soluzione valida

ed economicamente poco onerosa pur necessitando di mano d’opera specializzata per la

manutenzione ordinaria e straordinaria;

• consolidamento delle scarpate di monte:

in generale, la stabilità delle scarpate di monte dipende dalla pendenza che viene loro

conferita durante la realizzazione del corpo stradale, in relazione al tipo di substrato ed

alla presenza di acqua. Talvolta le condizioni del versante attraversato richiedono di

realizzare scarpate con una pendenza che da sola non ne garantirebbe la stabilità con

ragionevole sicurezza; in tali casi, di conseguenza, occorre effettuare adeguati interventi

che contribuiscono da una parte a favorire lo smaltimento delle acque, dall’altra a

rinforzare o sostenere la scarpata stessa.

27

In tale situazione è essenziale la ricerca della provenienza delle acque superficiali e

d’infiltrazione e la loro regimazione che può essere conseguita mediante fossi di guardia

costruiti sul versante a monte della scarpata e sistemi di drenaggio superficiale,

sottosuperficiale e profondo. In taluni casi può essere necessario ricorrere al principio

del cuneo drenante ricostruendo la scarpata con materiale grossolano ad elevata capacità

drenante. Le opere di sostegno più indicate nell’ambito della viabilità agro-silvo-

pastorale sono le palificate, le gabbionate metalliche, i muri e/o le scogliere a secco,

limitando ai casi più critici la costruzione di muri in calcestruzzo o in cemento armato e

le terre rinforzate con elementi sintetici. Le opere di rinforzo e copertura possono essere

realizzate mediante gradonate, fascinate, inerbimento, geostuoie, ecc.;

• consolidamento delle scarpate a valle:

l’instabilità delle scarpate di valle si verifica nella maggior parte dei casi a causa del

sovraccarico del cuneo di riporto dovuto alle sue dimensioni ed alla presenza di acqua;

ulteriore causa d’instabilità è l’erosione dovuta al deflusso convogliato sulla scarpata

dal piano viario o dall’inefficienza del sistema di drenaggio. Un’ultima causa, seppure

meno frequente, è l’erosione spondale di corsi d’acqua fiancheggianti la strada stessa.

Gli interventi, in questo caso, consisteranno quindi in un’attenta progettazione,

esecuzione e manutenzione della rete di smaltimento dei deflussi provenienti dal piano

stradale e dagli impluvi (Bischetti, 2005), e in opere di sostegno e di rinforzo come per

la scarpata di monte.

Al fine di scongiurare invece le erosioni spondali è consigliato in molti casi procedere

alla costruzione di scogliere in materiale lapideo, oltre alla regimazione idraulica per

mezzo di briglie, soglie e pennelli.

4.2 Opere di drenaggio della scarpata

I metodi che possono essere applicati per migliorare le condizioni di drenaggio, sia

superficiale che profondo, e conseguentemente per migliorare le condizioni di stabilità di

una scarpata sono prioritari rispetto ad altri metodi di stabilizzazione, perché generalmente

producono sostanziali benefici a costi significativamente inferiori.

Nel presente paragrafo verranno illustrati i sistemi di drenaggio che interessano il corpo

della scarpata, mentre per i sistemi di drenaggio superficiale si rimanda a Bischetti (2005).

I drenaggi profondi potranno essere correttamente progettati e realizzati solamente dopo

aver effettuato studi idrologici ed idrogeologici in un intorno significativo dell’area, in

29

fini fino a 10-15 m in terreni sabbiosi (Chatwin et al., 1994).

4.2.3 Cuneo drenante

Si tratta di riempire il piede della scarpata con pietrame in modo da avere un duplice

effetto, da una parte viene favorito il drenaggio, dall’altra viene aumentato il carico alla

base della scarpata stessa. In genere per favorire il trattenimento del materiale grossolano

viene realizzata una grata viva, a sua volta fondata su una scogliera a secco o una palificata

(Figura 13).

4.3 Opere di sostegno

4.3.1 Generalità

Le opere di sostegno possono essere definite come strutture in grado di contenere e

contrastare le spinte esercitate da un fronte di terreno. In generale si distinguono in opere

rigide o flessibili, le seconde a differenza delle prime sono caratterizzate da una certa

deformabilità (Lancellotta, 1993). In entrambi i casi l’entità e la distribuzione delle azioni

che il terreno esercita sull’opera dipendono dall’entità e dalla tipologia di movimento che

la struttura manifesta e pertanto la determinazione di queste azioni richiede la risoluzione

di un problema legato all’interazione terreno-opera di sostegno. Nella totalità dei casi per

le opere rigide si ricorre a soluzioni di tipo approssimato (ad esempio quelle ricavabili con

il metodo “dell’equilibrio limite globale”), la cui validità applicativa è giustificata non

tanto dall’impostazione del problema fisico più o meno corretta, quanto dalle conferme che

le previsioni teoriche hanno avuto da osservazioni e sperimentazioni sul comportamento

delle strutture reali o in scala (Lancellotta, 1993; Lambe e Whitman, 1997).

In base ai materiali con cui vengono costruiti, si possono individuare diverse tipologie di

muro di sostegno: muri in cemento armato, in calcestruzzo, in malta e pietrame, cellulari

(“crib walls”), in pietrame a secco, misti in legno e pietrame (“palificate”), gabbionate,

terre rinforzate.

In ogni caso, fatta eccezione per i muri in cemento armato che consentono svariate

soluzioni costruttive tali da “alleggerire” l’intera struttura di sostegno, le tipologie sopra

elencate possono essere considerate a tutti gli effetti “muri a gravità” essendo opere

massicce e pesanti che si oppongo con il proprio peso alle sollecitazioni cui sono

sottoposte.

I muri di sostegno vengono utilizzati frequentemente per sostenere terrapieni e manufatti

quando, per esigenze costruttive o topografiche, non si riesca a dare ai terreni rimossi una

30

pendenza inferiore all’angolo di attrito del materiale. Tali opere trovano largo impiego

nell’ambito delle costruzioni stradali (ordinarie e agro-silvo-pastorali) lungo i versanti.

Nell’ambito della viabilità ordinaria e non, i muri di sostegno (indipendentemente dal

materiale con cui vengono realizzati) in base alla loro funzione possono essere distinti in

(Figura 14):

• muri di sostegno propriamente detti, che sostengono un rilevato raggiungendo in

genere il piano della carreggiata;

• muri di sottoscarpa, che pur sostenendo un rilevato non si sviluppano in altezza sino al

piano viabile, per cui tra tale piano e il muro di contenimento, in genere, il terreno si

dispone secondo la scarpata naturale;

• muri di controripa, destinati a limitare la scarpata di una trincea o di uno scavo,

sostengono cioè il terreno dalla parte verso monte.

muro di sostegno muro di sottoscarpa muro di controripamuro di sostegno muro di sottoscarpa muro di controripa

Piano stradale

Figura 14: Tipologie di muro di contenimento.

Nei primi due casi l’opera, indipendentemente dalle sue caratteristiche costruttive, sarà

sottoposta sia all’azione della spinta delle terre del rilevato che dei carichi che transitano

sulla strada; i muri di controripa invece saranno, in linea di massima, sollecitati solo dalla

spinta delle terre. Da ciò risulta chiaro che forma e dimensioni di un’opera di sostegno

dipendono, oltre che dal materiale e dagli accorgimenti costruttivi che si intendono

adottare, da vari fattori relativi alla natura e condizioni dei terreni da contenere, nonché dai

sovraccarichi ammissibili sul piano viabile.

4.3.2 Criteri di progetto

Il comportamento dell’opera di sostegno, intesa come complesso struttura-terreno, deve

essere esaminata tenendo conto di diversi fattori, fra cui:

• topografia del terreno prima e dopo l’inserimento dell’opera;

• modalità di esecuzione dell’opera e del rinterro;

31

• successione stratigrafica e proprietà fisico-meccaniche dei terreni di fondazione e di

eventuali materiali di riporto interessati dall’opera;

• eventuali falde idriche;

• drenaggi e opere accessorie per lo smaltimento delle acque superficiali e sotterranee;

• manufatti o altre opere antropiche circostanti;

• caratteristiche di resistenza e deformabilità dell’opera.

Andranno inoltre effettuate le verifiche previste dalla normativa vigente nel campo delle

opere di sostegno nelle condizioni corrispondenti alle diverse fasi costruttive ed al termine

della costruzione, tenendo conto delle eventuali oscillazioni del livello dell’acqua nel

sottosuolo.

Nella progettazione di un’opera di sostegno, così come previsto dal DM 11/03/88 (sezione

D), a prescindere dal materiale con cui si realizza il manufatto, devono essere eseguite le

seguenti verifiche di stabilità:

• alla traslazione sul piano di posa:

se le forze di attrito al contatto fondazione-terreno non sono in grado di contrastare la

componente orizzontale della spinta attiva, il muro cede, scivolando lungo il piano di

posa. Per la sicurezza nei confronti di tale instabilità, il rapporto tra la somma delle

forze resistenti nella direzione dello scorrimento e la somma delle componenti nella

medesima direzione delle azioni sul muro dovrà essere ≥ 1.3;

• al ribaltamento:

affinché l’opera non si ribalti attorno allo spigolo di valle, la risultante dei carichi non

deve cadere al di fuori del nocciolo d’inerzia dell’intera sezione di base del muro.

Perciò, per assicurarne la stabilità, il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti e

quello delle forze ribaltanti calcolati rispetto allo spigolo di valle dovrà essere ≥ 1.5;

• al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento):

la stabilità allo schiacciamento è verificata quando la tensione di compressione

massima, cui è sottoposta l’opera, è minore del carico di sicurezza a compressione (Cs)

del terreno di fondazione;

• globale dell’insieme opera-terreno:

32

Dopo aver verificato le tre condizioni di

stabilità esterna dell’opera di sostegno,

soprattutto in presenza di strati coesivi

profondi di scarse caratteristiche

meccaniche, dovrà essere analizzata la

stabilità globale del complesso opera-

terreno nei confronti dei fenomeni di

scorrimento più o meno profondo (Figura

15). Il metodo di calcolo per la verifica

della stabilità deve essere scelto tenendo conto della posizione e della forma delle

possibili superfici di scorrimento, dell'assetto strutturale, delle caratteristiche

meccaniche del terreno, nonché della distribuzione delle pressioni neutre. Quando

sussistano condizioni tali da non consentire una esatta valutazione delle pressioni

neutre, i calcoli di verifica devono essere effettuati assumendo le più sfavorevoli

condizioni che ragionevolmente si possono prevedere per la situazione in esame. In ogni

caso si procederà valutando le superfici di scorrimento cinematicamente possibili, in

numero sufficiente per ricercare la superficie cui corrisponde, nella situazione

considerata, il coefficiente di sicurezza più basso.

Nel caso di terreni omogenei e nei quali le pressioni neutre siano note con sufficiente

attendibilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1.3 (DM 11/03/88,

Sezione G).

Per una trattazione di maggior dettaglio sulle verifiche delle opere di sostegno si rimanda

all’Appendice 2 ed ai testi di scienza e tecnica delle costruzioni.

4.3.3 Palificate

4.3.3.1 Generalità

La palificata, o muro in legname e

pietrame, è costituita da una struttura

portante in legno formata da elementi

longitudinali (correnti) e da elementi

trasversali (traversi o tiranti). La

sovrapposizione di un piano di correnti

e uno di tiranti si definisce strato (o

Figura 15: verifica di stabilità globale dell’insieme muro-terreno.

Figura 16: Palificata (vista frontale).

33

piano) e l’opera viene realizzata sovrapponendo

con cura uno strato all’altro sino a raggiungere

l’altezza di progetto (Figura 16).

Nel campo delle sistemazioni di versante, in

funzione delle modalità costruttive le palificate

di sostegno si dividono in:

• Palificate a parete semplice, con

correnti disposti su una sola fila

orizzontale esterna, mentre i traversi

appoggiano con la parte terminale (in

genere infissa) nella parete dello scavo;

• Palificate a parete doppia, con i correnti

disposti su due file orizzontali, una

esterna e una interna alla struttura

(Figura 17).

L’unione tra correnti e tiranti, rafforzata dall’infissione di chiodi o bulloni, determina la

formazione di una sorta di gabbia di legno che successivamente viene stabilizzata dal peso

del materiale di riempimento (normalmente il materiale lapideo o la terra di riempimento

vengono scavati o comunque reperiti in loco). Il riempimento della struttura con materiale

lapideo e/o terroso conferisce all’opera alcune caratteristiche, tra cui ricordiamo peso,

rigidità, stabilità e permeabilità, che fanno della palificata un pregevole intervento

sistematorio nel campo dell'ingegneria naturalistica. L’opera, inoltre, possiede anche una

certa elasticità che le permette di sopportare gli assestamenti del terreno senza subire

significative alterazioni strutturali.

È possibile inserire tra i correnti delle talee (palificata viva) che, una volta radicate,

permettono di combinare la funzione di sostegno con quella di rinforzo che si prolunga nel

tempo, oltre la durata dell'opera stessa. Le piante sviluppate, infatti, sostituiscono

gradualmente la funzione di sostegno della palificata che via, via si disgrega, e riducono il

contenuto idrico della scarpata retrostante assorbendo acqua.

Le dimensioni delle opere sono molto variabili a seconda del tipo di dissesto, di norma

però per le palificate a doppia parete si mantiene una profondità di 2 m e un’altezza non

superiore ai 2-2.5 m, in modo da garantirne la stabilità. Nell’ambito delle dimensioni

indicate, infatti, il rispetto della regola secondo cui l’altezza dell’opera (H) è pressoché

Figura 17: palificate a parete semplice e a parete doppia (sezione)

34

uguale alla sua base (B) offre soddisfacenti

garanzie di stabilità globale anche nei terreni caratterizzanti da ridotta capacità portante.

4.3.3.2 Tecnica costruttiva

Per la costruzione delle palificate, la prima operazione da realizzare è lo scavo della

banchina. Le fasi costruttive di tali opere seguono una procedura ormai consolidata nel

tempo (Regione Lombardia, 2000; D’Agostino, 2000). Una volta preparato il legname

necessario, si procede allo scavo del piano di posa a forma di “L”, realizzandolo a

reggipoggio con una leggera pendenza verso monte (indicativamente 5°-10°). Lo scavo

deve raggiungere un piano di fondazione stabile ed una profondità in cui compaiono

eventuali infiltrazioni d’acqua. In questo caso per evitare che le acque si accumulino lungo

il piano di posa, garantendo così stabilità e una maggior durata all’opera, è necessario

captare l’acqua che fuoriesce mediante la posa in opera (partendo dal paramento di monte)

di elementi drenanti longitudinali (tubazioni da 100-130 mm di diametro; Figura 18),

collegati con elementi ortogonali inclinati verso valle; affinché il sistema drenante risulti

efficiente, andrà garantita una pendenza di scarico verso valle di almeno 3-4%

(D’Agostino, 2000). Per limitare l’innesco di fenomeni erosivi è poi necessario prevedere

la realizzazione di una protezione all’uscita verso valle del tubo drenante. Successivamente

si procede alla posa in opera della prima fila di correnti (legname disposto parallelamente

al versante) posizionandoli in modo che appoggino sul terreno per tutta la loro lunghezza

(favorendo in tal modo la distribuzione uniforme dei carichi), realizzando gli appoggi e i

fissaggi con tondini in ferro tra legni successivi. Sopra i correnti viene poi posta in opera la

prima serie dei traversi, fissati saldamente ai correnti mediante chiodi (diametro minimo 10

mm), bulloni e graffe.

tubo drenante

Figura 18: Drenaggio delle fondazioni.

Figura 19: Congiunzione dei tronchi (da: Regione Lombardia, 2000).

35

Successivamente viene controllata la sporgenza e l’altezza dei tronchetti dei traversi con un

cordino teso dal primo all'ultimo tronco. Nel caso di palificate lunghe è importante

controllare anche che la curvatura non sia eccessiva (<1 m). Per aumentare la stabilità della

struttura bisogna realizzare inoltre degli intagli che migliorano il collegamento tra gli

elementi strutturali e che consentono alla chiodatura una maggior profondità di

penetrazione (Figura 19). Gli elementi trasversali dei diversi corsi possono essere

posizionati lungo la stessa linea verticale, disposizione continua, oppure in maniera sfalsata

tra di loro, disposizione alternata (Figura 20). Nel primo caso, la palificata risulterà più

rigida e “robusta”, mentre nel secondo sarà caratterizzata da una maggior elasticità, pur

conservando una sua stabilità. Per quanto riguarda l’interasse tra gli elementi trasversali,

esso è compreso generalmente, tra 0.8 e 2 metri (D’Agostino, 2000).

Nel caso delle palificate vive, è bene ricordare che gli strati successivi di tronchi di legno

vengono messi in posto secondo lo schema descritto, avendo cura di posizionare i diversi

ordini di correnti in posizione più arretrata rispetto al sottostante, in modo da conferire al

fronte dell’opera una inclinazione di circa 20°-30° per garantire la migliore crescita delle

piante.

Durante la costruzione del telaio (Figura 21), in genere dopo 2-4 ordini di legname, si

procede al riempimento della struttura, avendo cura di posizionare gli elementi lapidei di

maggiori dimensioni in corrispondenza degli spazi vuoti del paramento di valle, per evitare

che, in caso di pioggia, il terreno venga asportato. Il materiale di riempimento utilizzato è

costituito principalmente da pietrame trovato sul posto, da inerti provenienti dallo scavo o

da scarti di cava. La granulometria del riempimento influenza direttamente la capacità

drenante dell’opera e conseguentemente la stabilità dell’intera struttura. Per tale motivo la

Figura 20: Disposizione continua ed alternata degli elementi trasversali (vista frontale).

36

granulometria del materiale non deve

essere troppo ridotta e il diametro

ottimale può indicativamente essere

compreso tra i 15 e i 20 cm.

Nel caso di palificate vive parte del

riempimento deve essere effettuato con

terreno vegetale, opportunamente

compattato. Le talee vengono poi messe

a dimora negli interstizi tra i tronchi

disposti orizzontalmente; esse devono

sporgere di circa 25 cm dal fronte della

palificata e raggiungere il terreno naturale nella parte posteriore del manufatto. Da notare

come l’impiego delle terre a grana fine (terreni limoso-sabbiosi e argillosi) porta a due tipi

di inconveniente. Da un lato l’elevata probabilità che si verifichi la fuoriuscita del

materiale di riempimento per opera dell’azione dell’acqua, che può essere ovviato con

l’utilizzo di geotessuto posto a ridosso del paramento di valle a partire dal piano di

fondazione a formare una sorta di sacco; dall’altro una diminuzione della capacità filtrante

dell’opera con conseguente incremento della spinta agente a monte, nonché della

vulnerabilità della struttura. A ciò si cerca di porre rimedio prevedendo drenaggi alla base,

avvolti in geotessile e posti in prossimità del piano di fondazione; con la medesima

funzione drenante possono essere impiegati anche letti di ramaglia (ottimale risulta essere

l’abete bianco; D’Agostino, 2000).

A fine lavori, la palificata viene ultimata mediante copertura con terreno e livellamento del

pendio retrostante a mano o con mezzo meccanico, in modo da raccordare il terreno di

riporto con il versante a tergo. Durante la copertura, la costipazione deve essere eseguita

con cura soprattutto dove non sono tollerabili cedimenti.

La palificata può anche essere ancorata in profondità attraverso piloti in legno o in

profilato metallico di lunghezza di 2 m, infissi nel terreno per almeno ¾ della lunghezza.

Questa metodologia costruttiva viene normalmente utilizzata nel caso di sistemazione e

consolidamento di scarpate di frana ed è da utilizzarsi con cautela, poiché questo tipo di

strutture in legname, con un piano di fondazione ridotto, non si prestano in genere a

situazioni caratterizzate da superfici di scivolamento profonde.

Figura 21: Vista assonometrica di una palificata e del relativo riempimento (ridisegnato da D’Agostino, 2000).

37

4.3.3.3 Materiali impiegati e tempi di realizzazione

I materiali costruttivi utilizzati per la realizzazione delle palificata possono essere distinti

in base alla loro funzione in (Cavalli e D’Agostino, 2000):

• materiali di struttura: legname tondo, legname squadrato, traversine ferroviarie in

legno, alberi scortecciati;

• materiali di assemblamento: chiodi, tondini di ferro o acciaio, graffe, bulloni da legno.

A seconda delle modalità e dei problemi costruttivi possono essere necessari:

• materiali di completamento: tubi drenanti, fascine drenanti, ramaglia, geotessuti di

contenimento, reti metalliche di acciaio zincato, funi;

• materiali di riempimento: pietrame per vespai drenanti, ciottoli, pietrisco, terra;

• materiali vivi: talee, piantine radicate.

La conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche del legname utilizzato per la

realizzazione dell’opera condiziona sia la scelta operata dal progettista, che la previsione

della durata della palificata nel tempo. Al fine di garantire un tempo di esercizio

sufficiente, indipendente dal tipo di legno utilizzato, sarebbe conveniente scortecciare tutte

le parti della costruzione non ricoperte da terra per almeno 20 cm. Nella pratica di cantiere

è però ormai consueto utilizzare tondame interamente scortecciato, in quanto il maggior

onere costruttivo costituisce una garanzia di maggior durata soprattutto delle parti destinate

alla fondazione del manufatto (Cavalli e D’Agostino, 2000).

Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche del legno, va ricordato innanzitutto che

tale materiale è meccanicamente anisotropo, presentando valori di resistenza differenti in

funzione del tipo di sollecitazione a cui è sottoposto. Senza entrare nel dettaglio circa le

sollecitazioni cui può essere sottoposto il legno utilizzato nelle sistemazioni forestali, di

seguito (Tabella VIII) vengono proposti una serie di valori di resistenza per diverse specie

legnose di facile reperimento in Regione Lombardia:

La scelta del legname da costruzione, oltre che dalle caratteristiche di resistenza

meccanica, deve essere guidata anche dalla resistenza dello stesso, in particolare per

quanto riguarda la resistenza all’attacco di batteri, muffe e funghi lignivori (Tabella IX). In

questo senso il campo della scelta del legname da impiegare nella realizzazione delle

palificate si restringe a quello del larice, per le conifere, e quello di castagno, per le

latifoglie, poiché entrambi soddisfano sia la condizione di resistenza meccanica che di

durabilità all’attacco dei funghi. Caratteristiche simili di resistenza vengono offerte anche

38

dalla robinia e dalla quercia, ma i costi e la limitata disponibilità, in termini di pezzi

impiegabili nelle costruzioni, fanno sì che entrambe le specie perdano di validità nel campo

delle sistemazioni forestali.

Per la realizzazione di una palificata, secondo il “Quaderno opere tipo di ingegneria

naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) si può far indicativamente riferimento alle

seguenti tipologie di materiali:

• legname tondo scortecciato, avente diametro compreso tra 20 e 30 cm di lunghezza

superiore a 1,5-2 m;

• chiodi di ferro o tondini di ferro con diametro compreso tra 10 e 14 mm;

• filo di ferro zincato con diametro pari a 3 mm;

• talee e/o piantine di specie legnose, dotate di buona capacità vegetativa, con lunghezza

di 25 cm maggiore rispetto alla profondità della palificata e tale da arrivare al terreno

naturale;

• stuoie e georeti in materiale biodegradabile (paglia-legno, juta, fibra di cocco, ecc.).

Per quanto riguarda i tempi di costruzione valori indicativi sono riportati in Tabella X,

mentre per quanto riguarda la quantità di legname necessario, Palmeri e Zanoni (1999)

propongono una procedura di calcolo speditiva per avere un’indicazione circa la quantità di

pali e il numero di chiodi necessari per la realizzazione di una palificata viva di sostegno a

doppia parete.

Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni meccaniche (da Giordano, 1988).

Resistenza specie Compressione

trasversale alle fibre (N/mm2)

trazione parallela alle fibre (N/mm2)

flessione statica

(N/mm2)

taglio

(N/mm2) abete bianco

5.0÷13.0 75.0÷195.0 41.0÷130.0 3.4÷6.7

abete rosso 4.2÷12.4 63.0÷186.0 49.0÷118.0 4.3÷11.2 larice 5.4÷14.8 81.0÷222.0 47.0÷132.0 4.9÷10.3 castagno 4.3÷12.8 64.5÷192.0 50.0÷140.0 5.7÷9.2

39

4.3.3.4 Messa a dimora delle talee

Nella realizzazione delle palificate vive si utilizzano talee e ramaglia (in genere di salice

per la loro capacità di radicazione); esse devono essere sistemate sui correnti (Figura 22)

ed inserite nel terreno retrostante, in modo che radichino più facilmente. Le talee dovranno

essere disposte a pettine una accanto all’altra con una densità variabile secondo la specie e

le condizioni pedoclimatiche, da 5 a 10 per metro. Come già detto, le talee devono

sporgere per circa 10÷25 cm dal paramento esterno della palificata, infisse nel terreno per

15÷20 cm. Le talee devono essere prelevate durante il riposo vegetativo e conservate in

maniera adeguata fino all’impiego per evitare la differenziazione delle gemme e

l’essiccamento. La raccolta deve avvenire con tagli netti delle piante che diventeranno così

nuove ceppaie e riserva per altro materiale. Per la scelta del materiale più idoneo nelle

diverse situazioni, si rimanda al Quaderno delle opere tipo di Ingegneria Naturalistica

Tabella IX: durabilità nei confronti dei patogeni e resistenza nei confronti degli insetti del legname (mod. da De Antonis e Molinari, 2003)

specie funghi insetti abete bianco poco durabile non resistente abete di Douglas durabile resistente abete rosso poco durabile non resistente larice durame estremam. durabile resistente alburno durabile resistente pino silvestre durame durabile resistente alburno poco durabile resistente castagno durame molto durabile resistente alburno poco durabile non resistente quercia durame estremam. durabile molto resistente alburno poco durabile non resistente robinia durame Estremam. durabile resistente alburno poco durabile non resistente

Tabella X: Materiale e tempi di costruzione per m2 di paramento esterno (da Carbonari e Mezzanotte, 1993).

Manodopera 4 h/operaio noleggi (ragno meccanico e trattore) 0.6 h legname tondo scortecciato (diametro 15-35 cm) 0.4 m3 chiodi o cambre 8 piantine a radice nuda o in fitocella 10 talee di salice 20

40

(Regione Lombardia, 2000) ed ai numerosi testi disponibili sul tema dell’ingegneria

naturalistica.

4.3.3.5 Dimensionamento delle palificate a parete doppia

Nella progettazione delle palificate di sostegno a parete doppia molto spesso ci si basa solo

sull’esperienza e sulle tradizioni locali, senza le necessarie verifiche statiche. Per analogia

alle briglie in legname e pietrame, in genere, le palificate vengono costruite con una base

(B) di larghezza superiore alla metà dell’altezza (H) (D’Agostino e Mantovani, 2000),

anche se già all’inizio del secolo scorso Valentini (1912) suggeriva invece di porre la base

pari all’altezza (B/H=1).

Rimanendo nell’ambito di una trattazione semplificata, in sintonia con l’elementarità di

queste opere, è comunque possibile definire dei criteri di dimensionamento trattando il

problema della stabilità esterna delle palificate attraverso l’analisi statica del manufatto

considerato come corpo un rigido indeformabile; occorre tuttavia ricordare che a

complemento andrebbe sempre eseguita la verifica dell’equilibrio globale prevista dalla

normativa vigente (cfr. § 2.5).

Per la sola stabilità esterna, riferendosi ad una schematizzazione del problema in termini

bidimensionali (i calcoli si riferiscono sempre ad un metro di struttura), applicando lo

schema delle forze agenti sull’opera riportato nell’Appendice 2 e il metodo dell’analisi

all’equilibrio limite, Simonato e Bischetti (2003) hanno sviluppato le relazioni del fattore

di sicurezza relative alla verifica alla traslazione lungo il piano di posa dell’opera e alla

verifica al ribaltamento attorno al vertice esterno. Nella Tabella XI sono riportate le

formule utilizzabili per il calcolo della base B della palificata, ricavate in condizioni

asciutte e di completa saturazione del terreno di monte. Sulla base delle relazioni

sviluppate, una volta assegnate le

caratteristiche dell’opera, è possibile

determinare i valori del rapporto

base/altezza corrispondenti a

differenti condizioni di pendenza e

caratteristiche del substrato (riassunte

in Tabella XII), tali da garantire i

coefficienti di sicurezza allo

scivolamento e al ribaltamento. Figura 22: Messa a dimora delle talee (da: Regione Lombardia, 2000).

41

Tabella XI: Formule per il calcolo della base B dell’opera.

terreno asciutto

��

��

�+∗

+≥ a

opa

op

ter

sc

sc KQ

HKFSf

FSB

γα

γγ

αcos

2tan verifica allo scivolamento

2

tancos

2cos

2

tan2

αα

γα

γα H

QKHKHFSH

B aater

op

rib −��

���

�+∗+�

���

�≥ verifica al ribaltamento

terreno saturo

��

��

�++∗

+≥ a

opa

opop

w

sc

sc KQ

HKhFSf

FSB

γα

γγ

αγγ

αcos

2

'cos

2tan verifica allo scivolamento

2

tancos

2

'cos

2cos

2

tan2

αα

γα

γα

γα H

QKHKHHFSH

B aaw

op

rib −��

���

�++∗+�

���

�≥

verifica al ribaltamento

Tabella XII: Parametri utilizzati nel calcolo del rapporto B/H delle palificate.

altezza h dell’opera (m)

inclinazione αdella base (°)

inclinazione idel pendio (°)

angolo φ di resistenza al taglio (°)

1.0 1.5 2.0 2.5

0 5

10 20

27° (1 a 2) 34° (2 a 3) 45° (1 a 1) 56° (3 a 2)

27 30 35 40

Per quanto riguarda il peso proprio dell’opera, in accordo con quanto reperito in letteratura,

si è ipotizzata una disposizione del legname e del riempimento tale da garantire all’opera la

massima “leggerezza” (Pugi et al., 2000) in modo da operare a favore di sicurezza visto

(l’opera deve resistere per gravità alle sollecitazioni esterne). L’analisi dei pochi dati

esistenti ha consentito di assumere un valore per il peso dell’unità di volume dell’opera

pari a 15 kN/m3 in caso di riempimento asciutto e di 18 kN/m3 quando lo stesso risulti

saturo (ipotizzando una porosità del 30%).

Per quanto riguarda, invece, la spinta delle terre, sono state analizzate le condizioni di

terreno asciutto e saturo; nel caso di terreno saturo è stato ipotizzato che il materiale di

riempimento della palificata si intasi con il passare del tempo impedendo la filtrazione

dell’acqua, e che di conseguenza a monte dell’opera si instaurino condizioni

sostanzialmente idrostatiche, (Pugi et al., 2000). Anche per il terreno naturale a tergo

dell’opera sono stati ipotizzati valori del peso dell’unità di volume, utilizzando 18 kN/m3

in caso di materiale asciutto e di 21 kN/m3 in condizioni sature (porosità pari al 30%).

I risultati ottenuti sono riportati in Tabella XIII, distinti per i casi esaminati con terreno

asciutto e terreno saturo. Una volta ottenuti i valori di B/H per ciascuna combinazione sono

42

stati scartati i valori del rapporto maggiori dell’unità (B/H>1) in quanto rappresentano

soluzioni costruttive troppo onerose ed è stato riportato, sempre a favore di sicurezza, il

valore più alto di B/H, confrontando di volta in volta la verifica allo scivolamento e quella

al ribaltamento della palificata.

In accordo con quanto riportato in letteratura per le briglie (D’Agostino e Mantovani,

2000; Pugi et al., 2000) appare evidente come la regola empirica secondo cui la base

dell’opera a cassoni deve essere pari a 0.5 volte l’altezza della stessa, non garantisce il

raggiungimento dei coefficienti di sicurezza indicati dalla normativa vigente, ad eccezione

di terreni caratterizzati da buone proprietà meccaniche in condizioni asciutte e/o con

contropendenze elevate. Nel caso più critico, di spinta delle terre in condizioni sature,

Tabella XIII: Valori del rapporto B/H.

CONDIZIONI ASCIUTTE CONDIZIONI SATURE φ = 27° φ = 27°

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) - 1.0 (1) 0.9 0.6 27° (2 a 1) - - 1.0 (3) 0.8 34° (2 a 3) - 1.0 (3) 1.0 (1) 0.7 34° (3 a 2) - - - 1.0

45° (1 a 1) - - 1.0 (3) 0.9 (2) 45° (1 a 1) - - - 0.9 (3)

56° (3 a 2) - - - - 56° (3 a 2) - - - - φ = 30° φ = 30°

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 1.0 (2) 0.9 0.7 0.5 27° (2 a 1) - - 1.0 (2) 0.7

34° (2 a 3) 1.0 (3) 1.0 (1) 0.9 0.6 34° (3 a 2) - - 1.0 (2) 0.8

45° (1 a 1) - - 0.9 (3) 1.0 45° (1 a 1) - - - 1.0 (1)

56° (3 a 2) - - - - 56° (3 a 2) - - - - φ = 35° φ = 35°

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 0.7 0.6 0.5 0.4 27° (2 a 1) - 1.0 0.8 0.6 34° (2 a 3) 0.8 0.7 0.5 0.5 34° (3 a 2) - 1.0 (2) 0.9 0.6

45° (1 a 1) 1.0 (1) 0.9 0.8 0.5 45° (1 a 1) - - 1.0 (1) 0.8

56° (3 a 2) - - 0.9 (3) 1.0 (1) 56° (3 a 2) - - - 0.9 (3)

φ = 40° φ = 40° Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 0.5 0.5 0.4 0.3 27° (2 a 1) 1.0 0.8 0.7 0.6 34° (2 a 3) 0.5 0.5 0.5 0.4 34° (3 a 2) 1.0 (1) 0.9 0.7 0.6

45° (1 a 1) 0.7 0.6 0.5 0.4 45° (1 a 1) 1.0 (3) 1.0 0.8 0.6

56° (3 a 2) 1.0 (1) 1.0 0.8 0.6 56° (3 a 2) - 1.0 (3) 0.9 (2) 0.9 (1) per H < 2.5 m (1) per H < 2.5 m (2) per H < 2.0 m (2) per H < 2.0 m NOTE (3) per H < 1.5 m

NOTE (3) per H < 1.5 m

43

risulta altrettanto evidente che il criterio empirico per cui la base è pari all’altezza si

avvicini maggiormente alle condizioni che assicurano la stabilità allo scivolamento e al

ribaltamento; è tuttavia vero che la palificata è un’opera di sostegno per sua natura

drenante, ed i valori relativi alle condizioni sature potrebbero sembrare eccessivamente

cautelativi. Tale scelta è compito del progettista in relazione alla situazione locale specifica

ed a valutazioni inerenti il rischio che si genererebbe in caso di cedimento.

Nonostante la manutenzione sia spesso trascurata, controlli regolari e piccoli interventi di

riparazione eseguiti periodicamente sono fondamentali per garantire la durata di esercizio

delle opere di sostegno in legno, a vantaggio della sicurezza.

4.3.4 Scogliere e muri in pietrame

Sono interventi che utilizzano come materiale da costruzione il pietrame a secco ed hanno

lo scopo di aumentare la stabilità del versante incrementando le forze resistenti e

diminuendo, quindi, la resistenza al taglio mobilitata. Tali opere possono anche essere

utilizzate come opere di difesa spondale longitudinale, disposte cioè parallelamente al

corso d’acqua.

Le scogliere sono costituite da grossi massi (0.5 ÷1 m3) o da blocchi di roccia nei cui

interstizi possono essere inseriti fino a raggiungere il terreno naturale talee e astoni di

salice (scogliere in massi rinverdite) o di altre specie dotate di analoghe capacità

biotecniche che radicando consentono una maggiore stabilizzazione del manufatto. Questo

tipo di opere deve possedere fondazioni profonde, appoggiate su porzioni stabili del

versante (per esempio a profondità maggiore della superficie di scivolamento).

In genere le opere in pietrame sono realizzate con materiale reperito in loco, che deve

essere lavorato in modo da conferirgli una forma il più possibile poliedrica ed evitando

blocchi eccessivamente arrotondati, in modo da assicurare la massima superficie

d’appoggio e il miglior incastro possibile. Solitamente il muro ha una sezione trapezoidale

ottenuta posizionando in basso i blocchi di dimensione maggiore, mentre le fondazioni

hanno una base rettangolare in leggera contropendenza (massimo 10°); possono essere

costruiti con varie pendenze e quindi essere adattati all’inclinazione della scarpata naturale

o artificiale da proteggere. L’altezza di queste opere mediamente non supera i 2 metri,

anche se in casi particolari e con l’impiego di mezzi meccanici adeguati è possibile

realizzare muri di sostegno e/o scogliere fino ad altezze di 3-4 metri (purché lo spessore

della base venga adeguatamente proporzionato all’altezza).

44

Dal punto di vista del dimensionamento, l’unico riferimento bibliografico reperito per

questo tipo di opere è quello di Gray e Sotir (1996), secondo i quali il Fattore di Sicurezza

nei confronti del ribaltamento dell’opera in pietrame (Figura 23) può essere scritto (nel

caso di terreno privo di coesione) come:

( )( ) ( ) φαφγ

γααγ

sin/sin/cos/33.05.0

5.0sin/cos/5.02

2

BHBHK

BHFS

At

RRrib

+= [ 4]

Dove H è l’altezza dell’opera, B è la larghezza dell’opera (misurata alla base), α è

l’inclinazione dell’opera (riferita

all’orizzontale), γR è il peso di volume dei

blocchi rocciosi, γt è il peso di volume del

terreno a tergo dell’opera, φ è l’angolo di

resistenza al taglio del terreno, KA è il

coefficiente di spinta attiva del terreno.

Risolvendo l’equazione [ 4] può essere

ricavato il valore del rapporto (H/B) in

funzione del valore del fattore di sicurezza

adottato:

( ) αφγ

αφγγ

sin/cos33.0

sin/cos)(33.05.0 2

FSK

KFSbb

B

H

At

ARt+±= [ 5]

dove:

( ) φγααγ sinsin/cos5.0 2 FSKb AtR += [ 6]

Gli Autori raccomandano poi di realizzare

sempre una fondazione o di ammorsare il

blocco basale in una trincea scavata

appositamente nel terreno naturale avendo

cura di costipare preventivamente il terreno.

Inoltre, per limitare le pressioni interstiziali a

tergo del muro, gli stessi consigliano di

realizzare un filtro in ghiaia tra lo scavo e il

manufatto o di posizione un tubo drenante per

allontanare le acque dalla base dell’opera

(Figura 24).

Figura 23 Rappresentazione schematica di un’opera di sostegno in pietrame

1

2

Figura 24: Schema di costruzione di un muro in pietrame con terreno di riporto e tubo drenante a tergo (ridisegnato da Gray e Sotir, 1996).

45

Indicazioni più dettagliate circa le modalità costruttive, gli interventi sistematori collegati e

il periodo di intervento per le opere in pietrame (rinverdite o meno) si trovano all’interno

del “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000). È bene

comunque ricordare che tali opere offrono notevoli vantaggi nei riguardi delle opere in

malta e pietrame o in calcestruzzo, ascrivibili alla loro “permeabilità”, che in genere

consente un buon drenaggio del terreno a tergo e di conseguenza una diminuzione della

spinta delle terre e delle sovrapressioni idrauliche. A tutto ciò si aggiungono la semplicità

costruttiva, il costo ridotto e la perfetta integrazione paesaggistica nell’ambiente montano;

di contro, necessitano di periodiche manutenzioni.

4.4 OPERE DI RINFORZO E DI COPERTURA

4.4.1 Gradonate

Le gradonate vengono realizzate collocando a dimora talee (o piantine radicate) sul fondo

di banchine scavate nel versante o nelle scarpate (Figura 25), sono opere che combinano la

funzione di copertura esercitata dall’apparato epigeo con quella di stabilizzazione

esercitata dall’apparato ipogeo. Oltre all’azione di rinforzo esercitata dalle radici, le talee

(o i fusti delle piantine) fungono da rinforzi in maniera analoga agli elementi sintetici delle

terre rinforzate (Figura 26).

L’esecuzione avviene procedendo dal basso verso l’alto, realizzando nel versante un

gradone cui viene conferita una pendenza verso monte di circa il 10%; sul fondo della

banchina vengono poi poste in tutta profondità talee (in genere di salice), astoni o piantine

radicate con una densità di almeno 10 pezzi/metro. La banchina viene poi riempita con il

materiale proveniente dallo scavo della banchina superiore. Per ulteriori dettagli si rimanda

al Manuale delle opere tipo di Ingegneria Naturalistica (Regione Lombardia, 2000) ed ai

numerosi testi specializzati.

Figura 25:schema costruttivo delle gradonate (da Regione Lombardia, 2000)

46

RINFORZO

PARAMENTOESTERNO

TALEA RADICATA

R

Figura 26: similitudine tra rinforzo sintetico e con talea

4.4.1.1 Dimensionamento

Facendo riferimento agli schemi sviluppati per le terre rinforzate, Bischetti e D’Agostino

(2002) hanno sviluppato uno schema di calcolo per valutare il fattore di sicurezza dei

versanti sistemati a gradonata in funzione sia delle caratteristiche geometriche e

geotecniche del versante, sia ai parametri progettuali della sistemazione (numero,

lunghezza e diametro delle talee, distanza tra i gradoni). In analogia a tali schemi il

rinforzo esercitato dalle talee può essere calcolato basandosi sull’analisi delle forze

all’equilibrio limite (cfr. Appendice 1) ed in particolare calcolando la resistenza

mobilizzata dal rinforzo al di sotto del generico piano di scivolamento. Con riferimento

alla Figura 27, il fattore di sicurezza (FS) del pendio è dato dalla seguente relazione:

( ) ( )( )βαββγ

φβγγβα+−

−+++=

coscossin

cossin

1

12

1

nRzl

tglzmnRlcFS

t

at [7]

dove z è la profondità del generico piano di scivolamento [m], m è la frazione di z

interessata dalla falda, γt è il peso nell’unità di volume del terreno [kN/m3], γa è il peso

specifico dell’acqua [kN/m3], c è la coesione del terreno [kN/m2], n è la densità delle talee

[numero/m], s è lo spessore del terreno al di sopra del piano di scivolamento [m], s* è la

lunghezza della talea sopra il piano di scivolamento [m], l3 è la lunghezza della talea [m],

( )*3 sl − è la lunghezza della talea al di sotto del generico piano di scivolamento [m], β è

l’inclinazione del versante, α è l’inclinazione del piano di posa delle talee, φ è l’angolo di

resistenza al taglio del terreno, R è la resistenza allo sfilamento mobilizzata dalla talea

[kN/m].

47

Nel caso dei rinforzi sintetici, si assume che la forza mobilizzata, R, sia rappresentata dalla

resistenza allo sfilamento assicurata dalle forze d’attrito all’interfaccia terreno-rinforzo.

Nel caso delle talee tale meccanismo è valido solamente nel primo periodo dopo la messa a

dimora, in quanto già dopo pochi mesi la talea ha emesso una significativa quantità di

germogli radicali. Bischetti e Vitali (2001) hanno osservato per talee di salice rosso dopo

tre mesi dalla messa a dimora, un numero medio dei germogli radicali (sebbene solamente

di pochi centimetri) che andava da alcune decine fino ad oltre cento per metro.

Nel caso delle talee radicate, quindi, oltre alle forze di attrito durante lo sfilamento, viene

mobilizzata una resistenza dovuta alla presenza delle radici che si originano dalla talea

stessa. Per valutare tale resistenza è ragionevole ipotizzare che il punto più debole dei

germogli radicali sia la loro inserzione sulla talea. La forza d’attrito complessiva che si

genera tra il terreno e le singole radici che compongono le ramificazioni di ciascun

germoglio, infatti, può essere assunta superiore alla resistenza alla trazione del germoglio

nel suo punto d’inserzione.

Applicando lo schema illustrato sulla base dei dati di Bischetti e Vitali (2001) sono state

calcolate le distanze massime tra i gradoni affinché sia garantito un fattore di sicurezza

superiore a 1.3 nel caso di una gradonata realizzata con talee di salice rosso di 1 metro di

lunghezza, poste a dimora con un angolo di 10° e una densità di 10 talee/m. In Tabella XIV

sono riportati i valori per diverse tipologie di terreno, caratterizzati da angoli di resistenza

al taglio di 27, 30, 35 e 40°, senza considerare, in via cautelativa, l’eventuale coesione del

terreno ed adottando un peso del terreno di 20 kN/m3 (in tali casi il Fattore di Sicurezza per

Figura 27: schema di rinforzo di un pendio sistemato a gradonata

48

versanti non sistemati è sempre inferiore a 1.3, salvo il caso di un terreno con φ di 40° e

pendenza 25°). I calcoli sono stati effettuati per due diversi gradi di saturazione (0.5 e 0.7)

e per profondità di 50 cm e 70 cm, ponendosi nella condizione di fine lavori, trascurando

cioè il contributo delle radici. I valori calcolati per la medesima situazione dopo un periodo

di 15 mesi sono invece riportati in Tabella XV.

Dai risultati riportati è possibile evidenziare che l’efficacia della sistemazione aumenta

all’aumentare della pendenza del versante; tale effetto è dovuto sostanzialmente al fatto

che a parità di profondità (z, cfr. Figura 27) e mantenendo un’inclinazione della talea di

10°, la porzione di talea che si trova dietro il piano di taglio aumenta con la pendenza del

piano stesso (si ricorda che nel caso del pendio indefinito, il piano di taglio viene ipotizzato

parallelo alla superficie). Nel caso di pendenze inferiori a 30°, la porzione di terreno che

può essere stabilizzata (FS>1.3) con talee di 1 m, in genere non supera i 50 cm, mentre

oltre i 30° supera i 70 cm. Per quanto riguarda la distanza tra i gradoni, per versanti

caratterizzati da materiale avente angolo di resistenza al taglio fino a 35°, la distanza

minima non supera i 3 m (fino a 5 m per φ pari a 40°) al termine dei lavori; dopo 15 mesi,

l’effetto delle radici permette di ottenere la stabilizzazione del versante anche con distanze

tra i gradoni di 7-10 m.

Si ritiene comunque opportuno consigliare una certa cautela nell’adozione generalizzata di

tali valori, che pur essendo cautelativi (è stata trascurata l’eventuale coesione del terreno ed

è stato assunto un peso del terreno piuttosto elevato), sono frutto di una sperimentazione al

Tabella XIV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la pendenza del versante a fine lavori, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m

m=0.5 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40 pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 4.5 - 6.5 - 10.0 - 10.0 - 30 4.5 - 6.0 - 9.0 - 10.0 - 35 5.0 2.5 6.0 2.5 8.0 2.5 10.0 4.0 40 5.0 2.5 6.5 2.5 8.0 3.0 9.5 5.0 45 5.5 2.5 7.0 3.5 8.0 4.0 9.0 5.0

m=0.7 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40

pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 4.0 - 4.5 - 7.0 - 10.0 -

30 4.5 - 4.5 - 7.0 - 10.0 -

35 4.5 2.5 5.0 2.5 7.5 2.5 9.0 3.0 40 4.5 2.5 5.0 2.5 7.5 2.5 9.0 4.0 45 4.5 2.5 5.5 2.5 8.5 3.0 9.0 4.5

49

momento limitata e che andrà estesa ad altre specie e contesti di crescita.

Dal punto di vista puramente meccanico, infine, dai risultati emerge che al fine di

mantenere la maggior porzione possibile di talea oltre il piano di taglio sarebbe opportuno

variare l’inclinazione delle talee in relazione all’inclinazione del versante; tali osservazioni

devono però essere contemperate con considerazioni relative alla distribuzione delle

sostanze responsabili della radicazione, che sono influenzate dall’inclinazione data alla

talea stessa.

4.4.2 Grate vive

Si tratta di opere realizzate con pali in legname disposti tra loro perpendicolarmente a

formare dei riquadri (camere) in cui vengono messe a dimora talee e/o piantine radicate

(Figura 28). La grata viva agisce quindi come sostegno del terreno fino a che non si sono

sviluppati gli elementi vivi che, con lo sviluppo degli apparati radicali, producono un

effetto stabilizzante.

Queste opere sono utilizzate con successo negli interventi di sistemazione e stabilizzazione

di pendii in erosione o in frana, caratterizzati da inclinazioni molto elevate (anche superiori

a 45°), dove non è possibile ridurre con mezzi meccanici la pendenza del versante e non

sono applicabili altre tecniche di ingegneria naturalistica.

La tecnica costruttiva consiste nel rivestire l’area interessata con una griglia di pali in larice

o castagno aventi diametro di 15÷20 cm, disposti a formare camere di 1,5÷2,0 metri di

lato. La difficoltà consiste nel fare aderire il più possibile questa struttura rigida alla

Tabella XV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la pendenza del versante dopo 15 mesi dall’impianto, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m

m=0.5 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40 pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 10.0 - 10.0 - 10.0 - 10.0 stabile 30 10.0 7.5 10.0 8.5 10.0 10.0 10.0 10.0 35 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 10.0 10.0 10.0 40 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 10.0 10.0 10.0 45 10.0 8.5 10.0 8.5 10.0 10.0 10.0 10.0

m=0.7 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40

pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 10.0 - 10.0 - 10.0 - 10.0 - 30 10.0 6.0 10.0 7.5 10.0 9.0 10.0 10.0 35 10.0 8.0 10.0 8.5 10.0 9.5 10.0 10.0 40 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 9.5 10.0 10.0 45 10.0 9.0 10.0 9.0 10.0 9.5 10.0 10.0

50

superficie del terreno, che deve

essere fissata al substrato stabile

mediante l’infissione di picchetti

di legno della lunghezza di 1

metro circa. Si procede poi al

riempimento delle camere con

materiale inerte e terreno

vegetale ed alla messa a dimora

di talee, ramaglia e/o piantine

radicate (con l’eventuale

supporto di una rete metallica o

di una biostuoia per il

contenimento del terreno fine).

La superficie esterna della grata

può poi essere inerbita per una

migliore resistenza all’erosione.

Maggiori indicazioni circa le

modalità costruttive, gli

interventi sistematori collegati e

il periodo di intervento per le

grate vive si trovano all’interno

del “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) e

vengono ampiamente trattate all’interno dei numerosi manuali e testi scientifici di

ingegneria naturalistica.

4.4.3 Inerbimenti

Il rivestimento delle scarpate con specie erbacee, è di norma sufficiente a proteggere gli

strati più superficiali del terreno dall’azione battente delle acque meteoriche e dal deflusso

superficiale. L’inerbimento di pendii e scarpate rappresenta una delle soluzioni a minor

impatto ambientale, combinando l’efficacia tecnico-funzionale agli aspetti paesaggistici e

naturalistici.

Le tecniche ed i materiali impiegati sono differenti in relazione al campo di impiego

(versanti franosi, scarpate naturali ed artificiali, argini fluviali, ecc.) e alle caratteristiche

litologiche, pedologiche, morfologiche e climatiche dell’area d’intervento. Diverse sono le

Figura 28: schema costruttivo della grata viva (da Regione Lombardia, 2000)

51

tipologie di inerbimento per semina o per posa in opera di rivestimenti vegetali, tra cui si

ricordano la semina a spaglio, la copertura con zolle erbose, il sistema nero-verde,

l’idrosemina. In questa sede si ritiene di dover sottolineare come nel caso dell’inerbimento

delle scarpate stradali, sia particolarmente indicato il ricorso all’idrosemina, che per essere

realizzata necessita di un’attrezzatura che solitamente è caricata su mezzi (Figura 29). Per

indicazioni dettagliate circa la scelta della specie, le modalità e il periodo d’intervento, gli

interventi sistematori collegati si rimanda al “Quaderno opere tipo di ingegneria

naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) ed agli ormai numerosi testi che si occupano di

ingegneria naturalistica e di sistemazioni idraulico-forestali.

Figura 29: idrosemina su scarpate stradali

4.4.4 Coperture diffuse

Si tratta di opere usate tipicamente in ambito di sistemazione delle sponde dei corsi

d’acqua, ma che possono essere efficacemente utilizzate anche per la stabilizzazione delle

scarpate stradali, talvolta in combinazione con opere di sostegno quali le palificate (Figura

30) Oltre all’azione di copertura ad opera dell’apparato epigeo, le radici che si originano

dagli astoni forniscono un rinforzo che può essere espresso in termini di coesione

aggiuntiva, consentendo di creare scarpate con una pendenza superiore a quella consentita

dal solo materiale. Tale effetto che può esercitarsi fino ad una profondità nell’ordine del

metro, può essere quantificato da alcuni kPa ad alcune decine di kPa, in funzione della

specie e soprattutto della densità (Hammod et al., 1992; Bischetti, 2001; Bischetti et al.,

2002).

52

L’esecuzione dell’opera, nel caso delle

scarpate stradali, si riduce alla posa di uno

strato continuo di astoni di salice o talee in

senso trasversale alla strada, collocando la

base in un fosso al piede della scarpata

stessa; al fine di mantenere gli astoni a

contatto con il terreno e facilitarne la

radicazione, è opportuno fissare gli astoni

con filo di ferro zincato ancorato a paletti ed

effettuare una copertura con un sottile strato

di terreno vegetale.

Figura 30: copertura diffusa su scarpata stradale

53

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58

APPENDICE 1: ANALISI DI STABILITA’ DEI PENDII

Introduzione

Quando il piano campagna non è orizzontale, come nel caso dei pendii naturali e delle

scarpate artificiali, le tensioni di taglio indotte dalle forze gravitazionali tendono ad

innescare il movimento del terreno stesso (o della roccia) lungo potenziali superfici di

scorrimento. Quando le tensioni tangenziali superano le resistenze al taglio vengono a

mancare le condizioni di equilibrio globale per cui la massa di terreno scivola verso valle

fino al raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio.

La complessità del sistema versante, la variabilità delle condizioni climatico-ambientali e i

diversi scopi di analisi fanno sì che i fattori da considerare nel corso di un’analisi di

stabilità siano differenti; tra questi ricordiamo:

• la geometria del pendio;

• il tipo di pendio (naturale, artificiale, in rilevato, in scavo);

• la struttura geologica dell’area in esame;

• il materiale geologico coinvolto (roccia, terreno, ecc.);

• le condizioni idrogeologiche (e loro variazioni);

• le forze esterne (sovraccarichi, sismicità, ecc.);

• le conseguenze di una ipotetica rottura.

Tra i diversi metodi a disposizione, quelli maggiormente utilizzati fanno riferimento al

principio dell’equilibrio limite; nel caso dei movimenti che caratterizzano l’ambiente agro-

silvo-pastorale particolarmente utili, sebbene drasticamente semplificati, sono i metodi

lineari del pendio indefinito, degli scivolamenti planari e quello non lineare di Bishop.

Metodo del pendio indefinito

Il metodo del pendio indefinito è stato sviluppato da Skempton e Delory (1957) per

l’analisi di tutti quei versanti in cui la lunghezza del fenomeno di instabilità è di gran lunga

più grande rispetto alla profondità e in cui non esistono forti effetti dovuti al controllo

laterale. Il caso tipico è quello dell’instabilità delle coperture detritiche o di terreni sciolti

in genere (di spessore contenuto) posti al di sopra di un substrato resistente. La superficie

di scivolamento è quindi assunta coincidente con il piano di contatto roccia-terreno e tale

piano è assunto essere parallelo alla superficie topografica e, se esiste, alla superficie della

falda. Tutte queste ipotesi facilitano la risoluzione e consentono di analizzare la stabilità

59

del pendio

analizzando quella

di un singolo

elemento di

lunghezza unitaria,

poiché l’estensione

longitudinale della

schematizzazione

consente di

trascurare l’azione

delle forze di

interconcio (Figura

31).

Le variabili necessarie per l’analisi comprendono:

• le proprietà del terreno: c’ (coesione efficace), φ’ (angolo di resistenza al taglio

efficace), γt peso di volume del terreno;

• il peso di volume dell’acqua: γw;

• il peso dell’elemento di terreno: W=γtzb;

• la pressione neutra alla base del piano di scivolamento: u=γwhw e ru=u/γtz;

Poiché il versante è infinitamente esteso, le risultanti interconcio sono pari sui due lati:

IL=IR. Le forze agenti alla base del concio saranno le due componenti (P normale, T

tangenziale) dovute al peso del concio stesso:

P=W cosβ [ 8]

T=W sinβ [ 9]

ed i relativi sforzi (forza/area) alla base del concio saranno:

σ = (W/b) cos2β [ 10]

τ = (W/b) sinβ cosβ [ 11]

La resistenza a rottura sulla base del principio di Mohr-Coulomb sarà:

s = c’ + σ’ tanφ’ = c’ + (σ-u) tanφ’ [ 12]

e all’equilibrio deve valere:

Figura 31: schema del pendio indefinito

60

FS

s=τ [ 13]

per cui utilizzando le espressioni sopra riportate, si ottiene:

ββγφβγ

cos sin z

'tancos ' 2

t

uzcFS

−+= [ 14]

oppure:

ββ

φβγ

cos sin

'tancosz

' 2u

t

rc

FS

−+

= [ 15]

dove ru avrà valore controllato dalla pendenza del versante; nel caso di filtrazione parallela

al versante ed esprimendo l’altezza della superficie piezometrica in termini di frazione (m)

della profondità z:

( )ββγ

φβγγcos sin z

'tan cos' 2

t

wt mzcFS

−+= [ 16]

Un caso particolare è rappresentato dalla presenza di terreni incoerenti (c’=0) con falda a

piano campagna (m=1):

( )βγ

φγγ tan

'tan

t

wtFS−

= [ 17]

In assenza di acqua nel versante (sempre per terreni non coesivi), il fattore di sicurezza si

riduce a:

βφ

tan

'tan=FS [ 18]

Casi decisamente più complessi, e in verità più realistici, saranno quelli con linee di flusso

non parallele all’inclinazione del versante e di conseguenza in grado di considerare

condizioni di deflusso locali o particolari. La soluzione generalizzata della stabilità di un

pendio indefinito in caso di filtrazione variabile è decisamente più complicata, pertanto si

rimanda a pubblicazioni specifiche di stabilità e di idrologia dei versanti.

Scivolamenti planari

Come già accennato, questo tipo di analisi si utilizza in genere per frane in roccia anche se

la procedura può essere applicata agli scivolamenti nei terreni. Indipendentemente dal

materiale coinvolto, le analisi per gli scivolamenti planari possono essere condotte in

diverso modo in funzione della geometria del blocco interessato. Tali verifiche possono

essere effettuate con il metodo dell’equilibrio limite, verificando in diverse condizioni il

61

grado di stabilità del blocco stesso.

Indipendentemente dalla geometria,

lo schema implica alcune

condizioni (Figura 32):

• venuta a giorno del piano di

scivolamento: α > β;

• inclinazione del piano di

scivolamento superiore

all’angolo di attrito del

materiale: β > ϕ;

• immersione del piano di scivolamento entro l’intervallo ± 20° dall’immersione della

scarpata esterna del blocco;

• presenza di due piani laterali e ortogonali al piano di scivolamento tali da isolare un

blocco e che non sviluppino resistenza ai lati della massa in movimento, oppure profilo

trasversale del pendio convesso (sperone).

In termini generali lo scivolamento di un cuneo (ma anche di blocchi di forma complessa)

può essere schematizzato nell’ambito dell’equilibrio alla traslazione lungo il piano

inclinato, ottenendo per le condizioni asciutte la seguente espressione generale per il

calcolo del fattore di sicurezza:

βφβ

sin

'tancos

W

WACFS

+⋅= [ 19]

dove:

A è l’area del tratto di superficie di scivolamento considerato (che considerando una

larghezza unitaria coincide con la sua lunghezza L), β è l’angolo di inclinazione della

superficie di scivolamento, W è il peso del blocco, C è la coesione totale (dovuta cioè alla

coesione del terreno e al contributo della vegetazione), φ è l’angolo di resistenza al taglio

del materiale.

Di seguito vengono proposte le soluzioni per alcuni casi particolari.

Presenza di acqua lungo il pendio

Per tener conto della presenza dell’acqua nei calcoli del fattore di sicurezza con i metodi

dell’equilibrio limite, è possibile introdurre la sottospinta idraulica U dovuta alle pressioni

neutre distribuite lungo la superficie di scivolamento. La definizione delle condizioni

Figura 32: schema dello scivolamento planare di un cuneo di riporto

62

idrauliche realmente esistenti è

però problematica; in assenza di

fratture e supponendo che il

pendio sia completamente saturo, è

ragionevole ipotizzare che la

pressione massima si abbia in

corrispondenza di metà

dell’altezza del blocco (RocPlane -

Theory Manual, 2001; Figura 33).

Di conseguenza, la pressione

massima dell’acqua nei pori

(condizione idrostatica) è:

HP ww γ2

1= [ 20]

e la relativa sottospinta idraulica:

HLLPU ww γ4

1

2

1== [ 21]

Il Fattore di Sicurezza può quindi essere scritto come:

βφβ

sin

'tan)cos(

W

UWACFS

⋅−+⋅= [22]

Un’ulteriore opzione, meno rigorosa, è quella di trascurare le forze esterne e utilizzare

nelle verifiche il peso di volume sommerso del terreno γ’, dato dalla differenza tra il peso

di volume saturo del terreno e il peso di volume dell'acqua. Tale soluzione può essere

utilizzata in prima approssimazione nei casi in cui non si riesca a tener conto della reale

distribuzione delle pressioni neutre.

Frattura di trazione

In presenza di movimenti franosi incipienti o in evoluzione è frequente che in superficie si

formino fratture di trazione. Queste, oltre a rappresentare vie preferenziali per

l’infiltrazione e lo scorrimento delle acque di superficiali nel corpo di frana, a lungo

termine possono portare alla formazione di ristagni superficiali agenti come sovraccarichi

sul pendio.

Figura 33:distribuzione delle pressioni con valore massimo a metà altezza

63

In questi casi è possibile adottare

il meccanismo di rottura per

scivolamento planare, senza

scorrimento o resistenza

mobilitata lungo la frattura di

trazione.

Per il calcolo di FS in questo caso

si deve tenere conto anche della

spinta idrostatica V (Figura 34)

esercitata dall’acqua presente

nell’eventuale frattura di trazione

posta a monte del blocco instabile:

)cossin(

tan)sincos(

ββφββ

VW

VUWACFS

+⋅−−+⋅

= [ 23]

dove

2

2

1zV wγ= [ 24]

LzU w ⋅= γ2

1 [ 25]

con z altezza dell’acqua nella frattura di trazione e L lunghezza della superficie di

scivolamento.

Carico uniformemente distribuito

Un ulteriore caso, frequente nell’ambito della viabilità agro-silvo-pastorale, è quello in cui

sulla superficie del blocco viene posizionato un sovraccarico, come ad esempio un mezzo

meccanico (Figura 35). Con l’applicazione di un carico generico, Q, assunto

uniformemente distribuito si ha una variazione positiva o negativa (a seconda

dell’inclinazione θ del sovraccarico rispetto alla superficie potenziale di rottura) sia delle

forze normali sia di quelle tangenziali, con conseguente modifica dei valori di resistenza al

taglio massima e di quella mobilitata. Il fattore di sicurezza diventa:

Figura 34: scivolamento del blocco in presenza di una frattura di trazione

64

θβφθβ

sinsin

tan)coscos(

QW

QWcAFS

+++

= [ 26]

Ovviamente questa soluzione può essere accoppiata con la soluzione del caso precedente,

anzi nel caso in cui la strada sia realizzata con materiali scadenti, per nulla o poco costipati,

e sia priva di un adeguato strato protettivo in superficie, il passaggio di mezzi

eccessivamente pesanti può contribuire alla formazione di fratture di trazione. Queste,

approfondendosi e saturandosi (caso frequente in aree particolarmente umide e piovose)

possono portare alla rottura del solido stradale secondo la geometria indicata in Figura 34.

Allo stato attuale delle conoscenze, nella letteratura statunitense questi meccanismi di

rottura, che associano il transito di mezzi pesanti alla formazione di fratture di trazione sul

piano viario e alla neoformazione di frane che finiscono per coinvolgere la scarpata di

valle, sono ben documentati (Bartle, 1999; Higman e Patrick, 2001); in Italia non vi sono

informazioni sufficienti su tali tipologie di dissesto lungo le strade agro-silvo-pastorali.

Metodo di Bishop semplificato (1955)

Poiché il pendio non sempre è omogeneo e possono sussistere condizioni di flusso non

facilmente schematizzabili, per un’analisi in termini di sforzi efficaci è indispensabile far

ricorso a metodi che suddividono la massa interessata da un movimento in un numero

conveniente di conci. Se si hanno n conci (Figura 36) il problema presenta le seguenti

incognite:

• n valori delle forze

normali Ni agenti alla

base di ciascun concio

• n valori della

coordinata del punto di

applicazione delle Ni

• (n-1) forze normali e

(n-1) forze tangenziali

agenti sull’interfaccia

dei conci

• (n-1) valori della

coordinata del punto di

Figura 35: schema delle forze nel caso di cuneo caricato

65

applicazione delle forze normali

agenti sull’interfaccia.

Sommate all’ulteriore incognita costituita da

FS, richiedono (5n-2) condizioni per rendere

staticamente determinato il problema, mentre

si dispone solamente di 3n equazioni di

equilibrio.

Occorre quindi introdurre alcune ipotesi

aggiuntive; quelle più comunemente adottate

sono:

• n punti di applicazione delle forze N

al centro della base del concio.

• (n-1) inclinazioni θ delle forze interconcio o posizione, altezza, h della linea di

spinta

In questo modo il numero totale delle assunzioni (2n-1) è maggiore di quelle richieste

rendendo di conseguenza il problema sovradeterminato; ciò è risolto valutando due fattori

di sicurezza, rispettivamente per i momenti e per le forze. I valori di FSM e FSF sono uguali

per un certo valore di θ, ossia di inclinazione delle forze interconcio. I diversi metodi

reperibili in letteratura si differenziano tra loro nell’introduzione delle condizioni relative

alle forze interconcio.

Il metodo di Bishop semplificato si basa sulle seguenti ipotesi (Figura 37):

• la rottura avviene per scorrimento della massa di terreno lungo una superficie cilindrica

centrata in O;

• le forze interconcio sono orizzontali, quelle di taglio verticale sono trascurate (XR-

XL=0);

• si esamina l’equilibrio dei momenti;

• il criterio di rottura è quello di Mohr-Coloumb (cfr. [ 12])

Sulla base di tale schema, le forze agenti alla base del concio sono:

P = σl

T = τl [ 27]

da cui si ricava

Figura 36: schema delle forze sul concio nel metodo di Bishop

66

( )[ ]'tan'1

φulPlcFS

T −+= [ 28]

Risolvendo verticalmente si avrà:

P cosα + T sinα = W - (XR-XL) [ 29]

e assumendo che XR=XL=0 (ossia forze interconcio orizzontali):

( )

α

αφα

m

ullcFS

WP

��

���

� −−=

sin'tansin'1

[ 30]

dove:

��

���

� +=FS

ααα

tantan1cos

[ 31]

Per l’equilibrio dei momenti rispetto al centro O si ha:

� �= TRWR αsin [ 32]

e sostituendo per T si otterrà:

( )[ ]�

� −+=

α

φ

sin

'tan'

W

ulPlcFSm [ 33]

Questa equazione contiene FS nel termine di destra e la risoluzione è ottenuta in modo

iterativo con convergenza rapida; il metodo è accurato salvo nel caso di problemi numerici.

L’errore insito nel metodo, infatti, è modesto e in genere minore del 5% ma tende a

crescere per cerchi profondi (10-15%).

In ogni caso, al fine di ridurre al minimo le incertezze sui risultati ottenuti è opportuno

confrontare tali valori con quelli ottenuti da analisi in condizioni simili, eseguire le

Figura 37: schema delle forze nel metodo di Bishop semplificato

67

verifiche con altri metodi sia più semplici, che più complessi ed, infine, effettuare una

analisi di sensitività in modo da verificare se i risultati delle analisi condotte con parametri

differenti mantengono una loro ragionevolezza (Crosta, 2001).

Il metodo semplificato di Bishop è inoltre utilizzabile per superfici di scivolamento non

circolari, adottando un centro di rotazione fittizio. Comunque per quanto riguarda le

assunzioni circa la geometria della superficie di scivolamento, si ritiene che le superfici di

forma circolare rappresentino in genere le più critiche per tutti i casi che interessano

materiali omogenei in assenza di discontinuità geologiche e/o strutturali particolari.

68

APPENDICE 2: VERIFICHE DELLE OPERE DI SOSTEGNO

Forze agenti e cenni sul calcolo della spinta delle terre

Secondo quanto previsto dalla normativa vigente circa le opere di sostegno, le forze agenti

sul manufatto dovranno essere calcolate in modo da pervenire, di volta in volta, alla

condizione più sfavorevole nei confronti delle diverse verifiche da effettuare. In

particolare, tutte le ipotesi di calcolo delle spinte sulle opere di sostegno devono essere

giustificate con considerazioni sui prevedibili spostamenti relativi del manufatto rispetto al

terreno (D.M. 11/03/88).

Di conseguenza, per dimensionare correttamente opera di sostegno ( p. es. una palificata) si

devono considerare le principali

forze che entrano in gioco,

assicurandosi che le

semplificazioni introdotte nello

schema di calcolo siano sempre a

favore di sicurezza.

Se consideriamo lo schema

riportato in Figura 38, è evidente

come le forze agenti sull’opera

siano:

• il peso proprio dell’opera (P),

di facile determinazione noti il

volume del manufatto e il peso

nell’unità di volume del

materiale;

• la spinta attiva del terreno (Sa), che dipende dall’altezza della palificata e dalle

caratteristiche del terreno;

• la spinta passiva del terreno (Sp), rappresenta la resistenza (forza stabilizzante) del

terreno alla pressione esercitata dal manufatto, poiché ne ostacola il ribaltamento e lo

scivolamento lungo il piano di posa dell’opera stessa (in genere risulta modesta rispetto

alle altre azioni sollecitanti e, a favore di sicurezza, si preferisce trascurarla nei calcoli);

• l’eventuale sovraccarico (Q) esistente a tergo dell’opera, assunto uniformemente

distribuito.

Figura 38: schema delle forze agenti su un’opera di sostegno

69

Per il calcolo della spinta delle terre si può far riferimento alla teoria degli stati di

equilibrio limite di Rankine (1857), della quale si richiamano brevemente le ipotesi:

• il terreno è assunto privo di coesione (c=0; φ≠0);

• la superficie di rottura è piana così come la superficie del terrapieno (che però può

anche essere inclinato);

• il cuneo di terreno contro il muro si comporta come un corpo rigido che subisce lo

spostamento senza deformarsi;

• non viene considerato l’attrito terreno-opera;

• la parete interna del muro è considerata verticale;

• il problema si riferisce ad una unità di opera (o terreno).

Come è noto, tali ipotesi portano a valori di spinta superiori, e quindi a favore di sicurezza,

rispetto a quelli calcolati secondo la teoria di Coulomb (1773) che tiene conto anche

dell’attrito che si genera tra l’opera di sostegno e il terreno.

Secondo la teoria di Rankine, in condizione di equilibrio limite attivo lo sforzo che agisce

su un piano verticale posto alla generica profondità z sotto il piano campagna, è

perpendicolare al piano stesso e vale:

ata zKγσ = [ 34]

dove γt è il peso dell’unità di volume del terreno e Ka è il coefficiente di spinta attiva del

terreno, il quale, sempre secondo Rankine, può essere calcolato come:

��

���

� −°=2

45tan2 φaK [ 35]

con φ angolo di resistenza al taglio del terreno.

Il diagramma delle pressioni che ne risulta è di forma triangolare (lo sforzo attivo aumenta

infatti linearmente con la

profondità) e per unità di

opera vale (area del triangolo

nella Figura 39):

Figura 39: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo su una parete verticale liscia

70

at

H

aa KHdzS 2

0 2

1γσ� == [ 36]

dove H è l’altezza del terreno considerato (che coincide con l’altezza dell’opera di

sostegno indicata in figura), misurata dal piano di fondazione.

La spinta attiva così calcolata è applicata ad una distanza pari a 1/3 H dal piano stesso (o a

profondità 2/3 H dal piano campagna).

Estensione teoria di Rankine

Presenza di una falda

Nel caso di terreno completamente saturo, in condizioni idrostatiche in assenza cioè di

moti di filtrazione dietro l’opera, il valore della spinta attiva del terreno (spinta efficace)

diviene:

aa KHS 2' '2

1γ= [ 37]

dove γ’ è il peso dell’unità di volume di terreno immerso in acqua, calcolato come (γsat -

γw) con γsat peso dell’unità di volume di terreno saturo e γw peso specifico dell’acqua.

Anche in questo caso la spinta è applicata ad un terzo dell’altezza dell’opera a partire dal

piano di fondazione.

Per ottenere la spinta attiva totale agente a tergo dell’opera occorre aggiungere la pressione

idrostatica totale:

2

2

1HS ww γ= [ 38]

Per cui la spinta attiva totale varrà:

awtota KHHS 22 '

2

1

2

1γγ += [ 39]

Anche in questo caso il diagramma delle pressioni che ne deriva è di tipo triangolare e la

presenza dell’acqua non altera il coefficiente di spinta Ka del terreno, né la posizione della

superficie di rottura, mentre si modifica sensibilmente il valore della spinta totale agente

sul manufatto.

Effetto di un sovraccarico uniforme

Nel caso in cui il terrapieno sia soggetto ad un carico Q uniformemente distribuito

applicato su un’area infinitamente estesa, il problema può essere risolto notando che la

pressione che agisce alla generica profondità z sotto il piano campagna è perpendicolare al

piano stesso e la [ 34] diviene:

71

aata QKzK += γσ [ 40]

Il diagramma delle pressioni che ne risulta è di forma trapezioidale (aree del triangolo e del

rettangolo nella Figura 40) e l’espressione della spinta attiva diviene:

aata QHKKHS 2

1 2 += γ [ 41]

In maniera analoga, nel caso di terreno completamente saturo, il carico Q viene inserito nel

calcolo della spinta attiva totale (cfr. [ 39].

Per identificare il punto d’applicazione della spinta, il carico può essere opportunamente

trasformato in altezza di terra equivalente:

teq

QH

γ=

[ 42]

a partire dal piano di fondazione dell’opera e può essere calcolata come:

eq

eq

HH

HHHH

2

3

3'

+

+⋅=

[ 43]

In presenza del sovraccarico, quindi, la spinta attiva totale è applicata ad una distanza che

varia da 1/3 H sino a 1/2 H.

Per tutte le situazioni considerate in precedenza, i parametri del terreno (γt e φ) necessari

per determinare la spinta delle terre dovrebbero essere ricavati, ogni qualvolta ve ne sia la

possibilità, mediante apposite indagini geognostiche e prove di laboratorio. In alternativa, i

valori dei parametri del terreno possono essere stimati in funzione della granulometria del

Figura 40: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo sottoposto ad un sovraccarico uniformemente distribuito.

72

terrapieno, avvalendosi eventualmente dell’esperienza acquisita dal progettista e/o di dati

già reperiti in situazioni analoghe. Nella Tabella XVI, ad esempio in relazione alla

composizione granulometrica del terreno sono riportati alcuni valori dell’angolo di

resistenza al taglio φ del terreno.

Tabella XVI: Valori di φ in relazione alla granulometria del terreno (da Terzaghi e Peck, 1967).

Addensamento Terreno

sciolto compatto sabbia a granuli arrotondati, uniforme

27.5 34

sabbia a spigoli vivi, ben gradata

33 45

ghiaia sabbiosa 35 50 sabbia limosa 27-33 30-35 limo inorganico 27-30 30-35

Opera con base inclinata

Secondo la teoria degli stati di equilibrio limite di Rankine (1857), il paramento interno

dell’opera dovrebbe essere verticale, cioè l’angolo d’inclinazione della base (α) pressoché

nullo. Il calcolo della spinta delle terre con tale teoria può però essere esteso anche al caso

di opere realizzate in lieve contropendenza (massimo 10-15%, che ad esempio per le

palificate il legno e pietrame costituisce tra l’altro la prassi costruttiva), introducendo nelle

verifiche di stabilità, la scomposizione della spinta attiva in due componenti, una normale e

l’altra parallela al piano di appoggio del manufatto.

Verifiche dei muri di sostegno

Come previsto dal DM 11/03/88 (cfr. § 4.3.2), per quanto riguarda la verifica della stabilità

esterna le opere a gravità devono soddisfare le seguenti condizioni, dettate dai consueti

criteri di equilibrio:

• stabilità alla traslazione sul piano di posa;

• stabilità al ribaltamento;

• stabilità al carico limite dell’insieme fondazione-terreno;

• stabilità globale dell’insieme opera-terreno;

Prima di esaminare nel dettaglio le relazioni per il dimensionamento e le verifiche delle

opere di sostegno, vale la pena ricordare che normalmente i calcoli statici sviluppati si

73

riferiscono ad una schematizzazione del problema in termini bidimensionali, ovvero tali

calcoli si riferiscono sempre ad una unità di struttura.

Verifica alla traslazione

Per la verifica allo scorrimento si ipotizza che l’opera di sostegno possa scorrere senza

alcuna deformazione propria lungo piano di posa, sotto l’azione della componente

tangenziale della risultante delle forze agenti (T). A questa azione si oppone la resistenza di

attrito (f⋅N), che si ha sempre lungo il piano di posa del muro, dove f è il coefficiente di

attrito tra la fondazione e il terreno.

Secondo Terzaghi e Peck (1967) il coefficiente di attrito può essere calcolato,

prudenzialmente, come f=tanδ ponendo usualmente:

φδ3

2

2

1÷= [ 44]

con φ=angolo di resistenza al taglio del terreno.

Traducendo tutto questo in termini di Fattore di Sicurezza, si può quindi scrivere:

T

NfFSs

⋅= [ 45]

per cui all’equilibrio risulta:

TFSNf s ⋅=⋅ [ 46]

Facendo riferimento alla Figura 41, lungo la base dell’opera si ricava:

( ) ( )αα PsenSFSPf as −⋅=⋅ cos [47]

dove:

BHP op ⋅⋅= γ [48]

equivale al peso proprio dell’opera (adef), con γop peso di volume della palificata, H

altezza e B larghezza dell’opera stessa; e

aawa KQHKHHS ⋅+⋅⋅+⋅= ⊥⊥⊥22 '

2

1

2

1γγ

[ 49]

è la spinta attiva totale a tergo del muro e agisce perpendicolarmente alla parete di monte

del manufatto; essa comprende tre termini:

• la spinta esercitata dall’acqua interstiziale presente nel caso di terreno completamente

saturo. La sua intensità coincide con quella che l’acqua eserciterebbe sul muro in

assenza del terreno (spinta idrostatica);

74

• la spinta esercitata dallo

scheletro solido (grani) del

terreno per effetto del peso

proprio. Si noti che in questo

caso compare il peso dell’unità

di volume del terreno

sommerso (γ’ = γsat - γw):

• la spinta esercitata sul muro dal

terreno per effetto di un

eventuale carico Q

(uniformemente distribuito)

presente a tergo del muro.

H⊥ è l’altezza verticale dell’opera

αcosHH =⊥ e Ka coefficiente di spinta attiva (cfr. Figura 40).

La [ 49] introduce una serie di semplificazioni: nel caso di terreno a tergo saturo si suppone

che esso sia a grana grossolana in modo da poter considerare il problema in condizioni

drenate e trascurare il contributo della coesione, il fondo e l’opera sono considerate

impermeabili, le pressioni neutre a tergo sono idrostatiche in modo da non avere un moto

di filtrazione.

Ovviamente, nel caso di terreno asciutto e in assenza di carichi sulla superficie il primo e il

terzo termine della [ 49] si elidono e nel secondo compare in luogo di γ’, il peso di volume

del terreno (γt).

Sostituendo la [48] e la [ 49] nella [47], si ottiene:

��

���

� −++=⋅⋅ αγααγαγαγ BHsenHQKHKHFSHBf opaawsop coscos'2

1cos

2

1cos 2222

[50]

e con opportuni passaggi si ricava:

( )��

��

�++⋅=+⋅ a

opa

opop

wss K

QHKHFSFSfB

γα

γγ

αγγ

α cos2

'cos

2tan

[ 51]

infine, si arriva alla condizione:

Figura 41: Schema statico di una palificata inclinata rispetto all’orizzontale (sezione).

75

α

γα

γγ

αγγ

tan

cos2

'cos

2

s

aop

aopop

ws

FSf

KQ

HKHFS

B+

��

��

�++⋅

=

[ 52]

Adottando per FS il valore di 1.3 come previsto dal DM 11/03/88, si ottiene:

��

��

�++⋅

+≥ a

opa

opop

w KQ

HKHf

αγγ

αγγ

αcos

2

'cos

2tan3.1

3.1

[ 53]

Nel caso di terreno asciutto sempre con carico esterno uniformemente distribuito la

[ 53] si semplifica:

��

��

�+⋅

+≥ a

opa

op

t KQ

HKf

αγγ

αcos

2tan3.1

3.1

[ 54]

dove γt è il peso dell’unità di volume del terreno allo stato naturale.

5.1.1 Verifica al ribaltamento

Per assicurarne la stabilità, il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti (Ms) e quello

delle forze ribaltanti (Mr) calcolati rispetto allo spigolo di valle, dovrà essere ≥ 1.5.

Tradotto in termini di Fattore di Sicurezza, si può scrivere:

Mr

MsFSr = [ 55]

Lavorando nell’ambito della statica dei sistemi rigidi e con riferimento alla Figura 41,

risulta

SA

Pr bS

bPFS

⋅⋅

= [ 56]

dove bP è il braccio della forza peso:

( ) ααα costan2

1cos HBxbP +=⋅= [ 57]

e bS è il braccio della spinta attiva.

Sebbene in realtà il punto di applicazione della spinta attiva cada tra 1/3 e 1/2 dell’altezza

dell’opera (cfr. § 0), in genere in assenza di carichi la spinta è applicata ad un terzo

dell’altezza dell’opera misurata verticalmente (come precedentemente illustrato e in

accordo con D’Agostino e Mantovani, 2000):

αcos3

1

3

1HHbS =≅ ⊥ [ 58]

76

Nel caso sia presente un sovraccarico, invece, il punto di applicazione della spinta totale

viene assunto, a favore di sicurezza, pari a H2

1:

αcos2

1

2

1HHbS =≅ ⊥ [ 59]

La [ 57] diviene quindi:

( )

2'

2

1

2

1

tancos2

1

22 ⊥⊥⊥⊥ ⋅�

���

� ⋅+⋅⋅+⋅

+⋅⋅=

HKQHKHH

HBHBFS

aaw

op

r

γγ

ααγ [ 60]

da cui, risolvendo per B si ricava:

��

���

�++⋅−⋅+ aa

w

op

r QKHKHHFS

HBB αγ

αγ

αγ

α cos2

'cos

2costan2 [ 61]

Considerando la sola radice positiva in B, si arriva alla condizione:

( )2

tancos

2

'cos

2cos

4

tan 2α

αγ

αγ

αγ

α−

��

��

�++⋅+= aa

w

op

rQKHKHH

FSHB b [ 62]

Assumendo come valore di FS quello di 1.5, come previsto dal DM 11/03/88 si ottiene la

condizione per la verifica al ribaltamento:

( )2

tancos

2

'cos

2cos

5.1

4

tan 2α

αγ

αγ

αγ

α−

��

��

�++⋅+> aa

w

op

QKHKHHH

B [ 63]

Nel caso di terreno asciutto, la [ 63] diviene:

( )2

tancos

2cos

5.1

4

tan 2α

αγ

αγ

α−�

��

�+⋅+> aa

t

op

QKHKHH

B [ 64]

5.1.2 Verifica al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento)

La stabilità allo schiacciamento è verificata quando la tensione di compressione massima

(σM), cui è sottoposta l’opera di sostegno, è minore del carico di sicurezza a compressione

(Cs) del terreno di fondazione. Traducendo tutto questo in termini di Fattore di Sicurezza,

si può scrivere:

M

ss

CFS

σ= [ 65]

77

I carichi di sicurezza del terreno sono reperibili nella letteratura relativa alla meccanica

delle terre; in Tabella XVII se ne riporta un esempio.

Tabella XVII: Valori del carico di sicurezza del terreno in relazione alla caratteristiche del terreno di fondazione (modificato da Colombo, 1977).

Tipi di terreno

Carico di sicurezza Cs (kPa)

Terreni smossi, non compattati, di riporto 0÷98 Terreni incoerenti compatti sabbia con particelle di dimensione inferiore a 1 mm 196 sabbia con particelle tra 1 e 3 mm 294 sabbia e ghiaia (almeno 1/3 di ghiaia) 392 Terreni coerenti (classificabili in base al contenuto d’acqua presente allo stato naturale)

fluido, fluido-plastico 0 molle-plastico 39 solido-plastico 78 semisolido 147 solido 294 Rocce in buone condizioni (se fessurate o disgregabili i carichi di sicurezza indicati vanno ridotti almeno della metà)

arenarie, calcari, rocce vulcaniche, ecc. 980÷1470

Fissate le dimensioni dell’opera di sostegno, la risultante (R) delle forze agenti sulla

struttura (peso proprio dell’opera, P, e spinta delle terre, Sa) può essere scomposta in una

componente normale ed una tangente alla base del manufatto, V e O; il in cui la retta di

azione di R incontra la base dell’opera, rappresenta il centro di sollecitazione C.

Con riferimento alla Figura 42 si possono distinguere tre casi (Benini, 1990):

• il centro di sollecitazione è interno al nocciolo centrale di inerzia della sezione di base:

Se definiamo eccentricità (e) la distanza del centro di sollecitazione C dal baricentro

della sezione, per un’opera con sezione rettangolare e base B vale:

78

Figura 42: Sezione basale della palificata. Centro di sollecitazione (a) interno al nocciolo centrale della sezione di base; (b) coincidente con l’estremo del nocciolo centrale; (c) interno al terzo medio di valle

uB

e −=2

[ 66]

dove u è la distanza della risultante dallo spigolo di valle della sezione:

V

MMu ribstab −= [ 67]

Quando C è interno al nocciolo centrale, la condizione può essere vista come e<B/6 (o

u>B/3).

La tensione di pressoflessione massima viene esplicata dalla reazione del terreno in

corrispondenza dello spigolo di valle del piano di appoggio e vale:

��

���

� +=B

e

B

VM

61σ [ 68]

mentre la sollecitazione minima vale:

��

���

� −=B

e

B

Vm

61σ [ 69]

In questo caso tutta la sezione di base è sollecitata a compressione e il diagramma delle

sollecitazioni è di tipo trapezoidale (Figura 42).

• il centro di sollecitazione coincide con uno degli estremi del nocciolo centrale di

inerzia.

79

Se il centro di sollecitazione coincide con uno degli estremi del nocciolo centrale del

muro, cioè risulta che e=B/6 (o u=B/3), il diagramma delle sollecitazioni diventa

triangolare poiché σm=0 nello spigolo di monte, e la sollecitazione massima sul lembo

di valle si ricava facilmente come:

B

VM

2=σ [ 70]

• il centro di sollecitazione è interno al terzo medio di valle

nel caso di opere di sostegno realizzate con materiali sopportano male gli sforzi di

trazione (ad es. muratura in pietrame; Benini, 1990), le formule viste in precedenza non

valgono più, e per determinare il diagramma delle tensioni si deve considerare solo la

porzione di sezione reagente. Perciò, quando il centro di sollecitazione C cade nel terzo

medio di valle della sezione (condizione per e>B/6, oppure u<B/3), la [ 67] deve essere

sostituita con l’espressione che considera come reagente la sola zona dell’opera

sollecitata a compressione,; questa può essere valutata come:

u

VM 3

2=σ [ 71]

mentre la σm è nulla ad una distanza dallo spigolo di valle pari a 3u.

La verifica allo schiacciamento può anche essere effettuata considerando il carico limite

(Qlim) dell’insieme fondazione-terreno, un parametro che dipende sia dalle caratteristiche

fisico-meccaniche del terreno sia dalla geometria dell’opera di sostegno, anziché il carico

di sicurezza del terreno. La verifica dovrà inoltre essere effettuata tenendo conto

dell’inclinazione e dell’eccentricità della risultante delle forze trasmesse dal manufatto al

terreno di fondazione e il fattore di sicurezza dovrà essere ≥ 2 (DM 11/03/88, Sezione D).

Tale verifica prevede quindi il calcolo della capacità portante del complesso terreno-

fondazione (DM 11/03/88, Sezione C).

In termini di Fattore di Sicurezza deve risultare:

V

QFScl

lim= [ 72]

dove V è la componente normale della forza risultante delle azioni agenti sul piano di posa

della palificata.

Il carico limite è valutato sulla base della pressione limite, qlim:

LBqQ 'limlim = [ 73]

80

Una volta ricavata la pressione limite

del terreno di fondazione qlim si può

calcolare il carico limite Qlim e

successivamente il Fattore di

Sicurezza al carico limite

dell’insieme terreno-fondazione

secondo la [ 72].

Per calcolare il valore di qlim occorre

conoscere l’esatta forma della

superficie di rottura del terreno;

poiché solitamente questa non è nota,

in genere viene ipotizzato che il

terreno si rompa in seguito al cedimento verticale della fondazione in maniera solidale con

un cuneo di terra sottostante, che provoca la rottura laterale del terreno lungo una

superficie arcuata (Figura 43).

In letteratura è possibile reperire diverse equazioni per calcolare la pressione limite, ma le

più diffuse sono tutte composte da tre termini che tengono conto delle forze di attrito

dovute al peso proprio del terreno, della coesione del terreno agente lungo la superficie di

rottura e del sovraccarico dello strato di terreno ai lati della fondazione; tale caratteristiche

sono riflesse in coefficienti, adimensionali, detti coefficienti di capacità portante variabili

in funzione dell’angolo di resistenza al taglio, indicati come Nγ , Nc e Nq.

La relazione più diffusa e verificata per il calcolo di qlim, è senza dubbio quella di Terzaghi

(1943) valida per risultante dei carichi (R) verticale e centrata sulla fondazione. Essa è

affidabile per fondazioni superficiali, cioè per profondità d’incastro della fondazione (D)

minori della larghezza della fondazione (B):

qcct qNscNsBNq +⋅+⋅= γγγ2

1lim [ 74]

in cui c è la coesione e γt il peso di volume del terreno di fondazione, D è la profondità del

piano di posa del manufatto a partire dal piano campagna, q è il sovraccarico agente ai lati

della fondazione pari a γtD, Nγ , Nc e Nq sono i fattori di capacità portante (Tabella XVIII),

sγ, sc sono i fattori di forma della fondazione (sγ = 1.0 per fondazioni nastriformi, cioè con

una lunghezza L>> della sua larghezza B, sγ = 0.8 per fondazioni quadrate; sc = 1.0 per

fondazioni nastriformi e sc = 1.3 per fondazioni quadrate).

Figura 43: Schema di rottura del terreno per il calcolo di qlim

81

Poiché Terzaghi ipotizza un terreno molto addensato, nel caso di terreni poco addensati

l’Autore stesso consiglia di ridurre i fattori di capacità portante effettuando i calcoli con

valori di φ’ e di c’ ridotti a 2/3 del loro valore effettivo.

Tabella XVIII: Valori dei fattori di capacità portante secondo Terzaghi (da Lancellotta, 1993).

φ (°)

(-) Nc

(-) Nq

(-) 0 0 5.7 1 5 0.5 7.3 1.6

10 1.2 9.6 2.7 15 2.5 13 4.4 20 5.0 18 7.5 25 10 25 13 30 20 37 22 35 42 53 41 40 100 95 81

Nel caso ci ritrovi in condizioni in cui si verifichi un’eccentricità della risultante sul piano

di base della fondazione e la conseguente deviazione di R dalla verticale, la [ 74] non è più

valida e deve essere modificata per tenere conto dei relativi effetti:

qqccct iqNiscNisNBq ⋅+⋅⋅+⋅⋅= γγγγ '2

1lim [ 75]

dove B’ è la larghezza ridotta della fondazione, introdotta per tenere conto dell’eccentricità

e della risultante e pari a eBB 2' −= ; iγ, ic e iq sono i fattori correttivi che tengono conto

dell’inclinazione del carico rispetto alla verticale.

Secondo Vesic (1970) per ricavare tali fattori correttivi si possono utilizzare le seguenti

espressioni ricavate empiricamente:

1

cot1

+

���

����

⋅+−=

m

gBLcV

Oi

φγ [ 76]

m

qgBLcV

Oi ��

����

⋅+−=

φcot1 [ 77]

φtan

1

−−=

c

qqc N

iii [ 78]

con LB

LBm

/1

/2

++

=

82

I fattori di capacità portante possono essere valutati anche mediante espressioni diverse da

quelle proposte da Terzaghi (1943); per quanto Nc e Nq, ad esempio, in letteratura

normalmente si fa riferimento alle espressioni ricavate da Prandtl (1921) e Reissner (1924):

'tan2

2

'45tan φπφ ⋅⋅�

���

�+°= eNq [ 79]

'cot1 φ⋅−= qc NN [ 80]

mentre per Nγ la soluzione più accreditata risulta quella proposta da Caquot e Kérisel

(1953), approssimabile con l’espressione di Vesic (1970):

'tan12 φγ ⋅+⋅= qNN [ 81]

In letteratura, infine, si possono trovare molte altre relazioni analitiche per valutare la

capacità portante di una fondazione di tipo superficiale, tra cui le più utilizzate e attendibili

sono quelle di Meyerhof (1951), Brinch Hansen (1970) e Vesic (1973), che introducono

una serie di fattori correttivi rispetto alla formulazione originale di Terzaghi (1943), per

tener conto ad esempio della profondità di posa e inclinazione della base della fondazione

e/o della topografia originaria (es. fondazioni su pendio).

83

APPENDICE 3: TERMINI DELLA LEGENDA DELLA CARTA LITOLOGICA ALLA SCALA 1:10.000 (CARTOGRAFIA GEOAMBIENTALE, REGIONE LOMBARDIA)

Simbolo Descrizione

Rocce Ignee

IA rocce intrusive acide

IB rocce intrusive basiche

EA rocce effusive acide

EB rocce effusive basiche

FL rocce filoniane

Rocce sedimentarie

Ac arenaria massiccia o stratificata ben cementata

As arenaria poco cementata

Al argillite

Fl flysch

Am argille e marne con livelli e lenti arenacei e/o calcarei

Cm calcare massiccio e stratificato in grossi banchi

Cs calcare mediamente e sottilmente stratificato, non selcifero

Cn calcare selcifero

Dm dolomia massiccia o stratificata

Mc marna e marna calcarea

Ss roccia sedimentaria silicea

Rocce Metamorfiche

GN gneiss

FD filladi e argilloscisti

MQ micascisti

SR serpentiniti e altre rocce ultramafiche

MC rocce metamorfiche carbonatiche

84

APPENDICE 4: CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI USCS (UNIFIED SOIL CLASSIFICATION SYSTEM)

Casi particolari: - termini doppi: i terreni con caratteristiche a cavallo di due gruppi vengono designati con i simboli di entrambi i gruppi. Ad esempio: GW-GC, GP-GM, etc. necessari qualora la % di fini sia compresa tra il 5 ed il 12%, o per intervalli particolari della carta di plasticità; - termini di confine: da adottare per terreni le cui proprietà variano in modo tale da non consentire una precisa identificazione in un singolo gruppo (CL/CH, SC/CL, GM/SM, etc.). Per esempio quando la percentuale dei fini varia tra 45% e 55% (es.: GM/ML, CL/SC) o quando la percentuale di sabbia e di ghiaia varia tra il 45% ed il 55% (es.: GP/SP, SC/GC, GM/SM, etc.) mentre è difficile avere un simbolo del tipo GW/SW; nel caso di difficile distinzione tra limo e argilla, specie in campagna, potremo avere: CL/ML, CH/MH, SC/SM così come quando sarà difficile distinguere tra terreni molto o poco compressibili: CL/CH, MH/ML. In genere le sigle saranno ordinate in funzione della frequenza e importanza con cui altri terreni sono stati classificati in prossimità delle aree dubbie

Simbolo del

gruppo Denominazioni tipiche

Terreni a grana grossolana (più del 50% è costituito da particelle con diametro > di 75 µm) GW ghiaie ben classate, miscele di ghiaia e sabbia, senza o con poco fine

GP ghiaie mal classate, miscele di ghiaia e sabbia, senza o con poco fine

GM ghiaie limose, miscele di ghiaia-sabbia-limo mal classate

GC ghiaie argillose, miscele di ghiaia-sabbia-argilla mal classate

SW sabbie ben classate, sabbie ghiaiose, senza o con poco fine

SP sabbie mal classate, sabbie ghiaiose, senza o con poco fine

SM sabbie limose, miscele di sabbia e limo mal classate

SC sabbie argillose, miscele di sabbia e argilla mal classate

Terreni a grana fine (più del 50% è costituito da particelle con diametro < di 75 µm) ML limi inorganici e sabbie molto fini, sabbie fini limose o argillose di bassa

plasticità, terreni limosi o sabbiosi fini CL argille inorganiche di plasticità da media a bassa, argille ghiaiose, argille

sabbiose, argille limose; argille “magre” OL limi organici e argille limose organiche di bassa plasticità

MH limi inorganici, terreni sabbiosi (sabbie fini) o limosi micacei, limi “elastici”

CH argille inorganiche di elevata plasticità; argille “grasse”

OH argille organiche di plasticità da media ad elevata

Terreni ad alto contenuto di sostanza organica Pt torbe e altri terreni ricchi di materia organica