Download - L'eco di Babele in Corriere della Sera, 16 ottobre 1956media.regesta.com/dm_0/INTESA/Digital-Library/allegati/...un paesaggio montano che nel-la luce fredda dì un tramon-to dì fine

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Martedì 16 ottobre 1956

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32 CORRIERE DELLA SERA

L'ECO DI BABBI In viaggio, alcune settimane

fa, da Monaco a Lindau, mi son trovato improvvisamente di fronte al Castello di Neusch-wanstein, alto sul picco roccio-so della Pdllatschlucht, circon-dato da foreste da leggenda, in un paesaggio montano che nel-la luce fredda dì un tramon-to dì fine estate appariva dav-vero come Luigi II di Baviera lo descriveva a Wagner « uno dei più belli e augusti che si possano trovare ». Di quest'ul-tima fantasia in pietra dell'infe-lice re avevo sentito parlare da estremi partecipi del romantici-smo ottocentesco, ma l'appari-zione della mole ascendente verso le nuvole con slancio di cattedrale, tra i piccoli laghi profondi — l'Alpsee e lo Schwan-see — mi diede l'indescrivibile sensazione di essere uscito dalla realtà presente e di esser giun-to — smarrendomi — alle soglie dì una reggia dei motti, costrui-ta follemente in un paese di sogno per un pauroso capriccio, a dispetto degli uomini: un in-cubo.

Non era, in verità, Che un gi- gantesco pasticcio architettoni-co, una ricomposizione di bor-go medioevale, riportato nel se-colo XIX con pessimo gusto da scenario dipinto, eppure con una sua impronta di maestà e di tra-gicità, che mi si imponeva e a cui non avrei saputo sottrarmi senza aver cercato di penetrar-ne il segreto.

Che era, anzitutto, il segreto di quel re, incompreso, amma-lato; ma di quale malattia se non quella del suo tempo? Non era che un adolescente quando nel 1864 era salito sul trono — bello come una di quelle crea-ture della leggenda germanica, che gli scorreva nel sangue e di cui dveva piena la fantasia. E subho aveva incantato i suoi sudditi col fascino della giovi-nezza. Quale sovranità più se-ducenti di quella di un princi-pe dì diciannove anni? Ma un demone lo travagliava: egli non poteva vivere che di musica e di sogno, obbediente a una ispi- razione, che sarebbe stata eva-sione dalla realtà, fuga dalla società presente, dal ritmo volga-re delle cure quotidiane. Il suo non avrebbe potuto essere che (il regno del bello > in cui solo il Genio avrebbe avuto diritti di cittadinanza. Accanto al tro-no è Riccardo Wagner, infatti, che egli chiamerà a Monaco per il primo e di cui sarà l'amico

il protettore per sempre. Le grandi date del suo regno saran-no le date stesse dell'opera di quel sovrano della musica e per-turbatore degli spiriti. Già nel giugno, a tre mesi di distanza dalla morte di suo padre, il re assisterà, rapito, alla prima rap-presentazione di Tristano e Isot-ta. La ideazione del castello di Neuschwanstein coinciderà coi Maestri Cantori. La posa della prima pietra della reggia fanta-sma è dello stesso mese (settem-bre 1869) della rappresentazio-ne dell'Oro del Reno al teatro di Monaco. Tra il '70 e il '71 nascono insieme la Walkiria

il teatro dei Festivals a Bay-reuth. Nell'agosto del '76 il gio-vane sovrano, già ammalato e ritirato dalla Corte, assiste in quella specie di tempio eretto al culto wagneriano alla prima rap-presentazione dell'Anello dei Ni-belungi. Il resto sarà per lui solitudine e silenzio.

EP Nella storia di un'epoca in cui

si formavano e crollavano im-peri, poche righe bastano per ricordare un romantico re mu-sicomane e costruttore di castel-li. Ma chi ha sentito l'ulti-mo colpo d'ala — anzi il bri-vido — della tragedia spiritua-le, che travagliava in profon-dità i filosofi e le plebi, scopre in questo smarrito sovrano un figlio del secolo, solo col suo tor-mento, l'esasperazione dell'« io,, nel suo sforzo di liberazione da un mondo borghese, positivo, ma-terialistico, che si cullava nella compiacenza delle proprie con-quiste: industrie, commerci, na-vigazione, comodità di vita — progresso... progresso; da una civiltà che correva sui binari.

Un re tentava l'esperienza del superamento di tutto ciò che li-mita e opprime — a cominciare dai doveri stessi della regalità — nella musica, per un bisogno di espansione dell'essere nell'ar-monia, con la coscienza superba di un privilegio unico di godi-mento e di estasi. Cos'erano mai i principati, i regni e gli imperi? Cos'erano il pesante e prepotente Stato Prussiano, che detestava, l'Inghilterra della regina Vitto-ria, così soddisfatta, l'Austria di Francesco Giuseppe, pedante nell'adempimento dei suoi do-veri fin dalle quattro del mat-tino, in confronto di questa sua libertà frenetica, che lo lasciava cavalcare con le Walchicie, fra le nuvole in tempesta?

Solo un nuovo Shakespeare sarebbe stato capace di cogliere in quella semi-demenza di un re, il senso più universale della tragica storia di un secolo, che tutto fu tranne che « stupido»: l'angosciosa interrogazione di Amleto. Solo un simile genio delle passioni umane avrebbe saputo cogliere in un gemito quella sovrana lontananza dispe-rata su quel picco di roccia, in una reggia incompiuta, nelle sa-le vuote — una sala del trono senza trono — la camera da letto lugubre — illuminata da poche candele — dove il Wit-telsbach vegliava senza sonno

senza amore, tra le figurazio-ni dei Miti che avevano travol-to la sua fragile giovinezza. E infine scrivere l'ultimo atto: 10 giugno 1886, quando giunge alla rupestre reggia la commissione incaricata di annunziargli che è deposto: persone gravi, dall'a-spetto funereo, sgomentante, di giustizieri politici e psichiatri. (Ah quelle terribili lenti profes-sorali che' si fissano su Lohen-grin come sopra una scientifica preda!). Invano il re li discac-cia e tenta resistere, mentre la popolazione di Schwangau, che l'ama ancora, si ribella. Due giorni dopo, il re prigioniero, è condotto nell'altro castello su le rive del lago di Starnberg, dove le acque profonde lo invi-tano alla fuga, verso la libertà.

EP Silvaplana. Capitolo di un li-

bro che non scriverò mai. Sto rileggendo Nietzsche con una esperienza ben diversa da quella degli < estetizzanti > e dei < su-

peruomini > della mia giovinez-za. Ciò che più mi tocca di lui è la parte piu vera del dramma del suo pensiero; il suo io > esasperato fino alla tensione massima della « volontà di po-tenza, che tenta di svincolar-si da ogni servitù ad un « non io »; il dramma dì una libertà senza limiti, che si lancia nei voli disperati (« noi areonauti dello spirito ») per « la cono-scenza portata fino alle più alte

remote stelle, e fin che non le rimanga da cacciare quanto nella onoscenza vi è di infinita-mente malefico ».

Sui prati verdissimi vado ri-cercando in ozio il luogo dove l'Anticristo randagio nella sua febbre superba credette per un momento di cogliere l'acme di una certezza demoniaca. Fu nel-l'agosto dell"81. Ma l'incanto dell'Engadina era eguale come in questa mia passeggiata d'au-tunno: eguale la luce, densa di azzurro, in cui le cime dei ghiac-ciai, i larici già appassiti rosso-ruggine e i laghi fino al Ma-loja con riflessi di acciaio e pal-piti d'argento, prendono aspetti irreali. Par che la terra non ab-bia più consistenza di materia: la si sente leggera, sospesa ne-gli spazi. E anche i pensieri son fatti sottilissimi, come le erbe che si piegano al vento.

« Camminavo quel giorno lun-go il lago di Silvaplana attra-verso le foreste. Presso un po-tente blocco di pietra in forma di piramide, non lontano da Sur-lei, mi fermai. E là mi venne questo pensiero: non volgere lo sguardo a lontane speranze e non attendere beatitudini scono-sciute; vivi così come si vorreb-be rivivere ancora, vivere nel-l'eternità come già abbiamo vis-suto. Questa è la tua vita eter-na, perchè tutto è eterno ritor-no...,. Il profeta perverso, il seduttore di un'epoca, che porta in sè lo spirito di rivolta e di istruzione, ecco, nel lampo di Lucifero ha colto il senso del-l'eternità senza Dio. E' il moti-vo centrale e tragico del suo Zarathoustra: «Dio è morto ».

Ma l'uomo ha sete di esser Dio. Nell'esitazione si interro- ga « Giorno singolare: eppur non sono un Dio e non un in-ferno di Dio. Chi dunque è egli mai, che vorrebbe creare un

superumano », a cui vorrebbe infondere solo la felicità della terra, i succhi vitali della terra, forza e gioia? e Ma ogni gioia vuole l'eternità — tutta la gioia vuole l'eternità di tutte le cose — vuole la profonda eternità. Parole disperate — mi sembra-no — che Nietzsche scriveva quando già l'ombra e il gelo l'avvolgevano; versi — e fra i più potenti della meditazione engadinese — di quell'angoscia-to personaggio solitario, che si sentiva vivere in « una atmosfe-ra di passione formidabile e di altezza vertiginosa > come chi ha lanciato contro il cielo la su sfida e il cui aspetto — per i mandriani che lo incontravano su questi stessi sentieri — dove-va sembrar veramente, come scri-veva l'ellenista Rhode e— quello « di ano che venisse da lonta-no, da un paese non abitato da nessuno ».

Ma l'epilogo di questo pauro-so dramma del pensiero, elle portò il soffio della violenza ne-gli spiriti e nelle idee fino a noi, è di qualche anno dopo, a To-rino, nel dicembre del 1888. Il rivoluzionario, il profeta erran-te di una nuova legge per cui l'uomo deve essere sorpassato;

l'immoralista », che ha tenta-to «la transvalutazione di tutti i valori, ed ha promesso un mondo nuovo e una terza epo-ca, è capitato nel suo vagabon-daggio nella città piemontese, cercando alloggio all'avventura, ospite come al solito di ignoti

ignoto sempre a se stesso. Il caso gli ha fatto trovar ca-

mera presso un venditore di giornali, che si chiama il « si-gnor Fino, e la cui abitazione di su l'angolo di via Carlo Al-berto è dirimpetto a palazzo Ca-rignano. E' gente per bene, di una certa agiatezza. La signo-rina Fino possiede un pianofor-te e per Nietzsche, l'amico-ne-mico di Wagner, la musica è il nutrimento vitale del suo pen-siero, che egli sente, di giorno in giorno, incupirsi. Mentre la signorina Fino dopo il pranzo accudisce alle faccende domesti-che, il poeta-filosofo cerca sul pianoforte qualche motivo musi-cale, che accompagni il Canto della mezzanotte, che ora gli ri-torna di lontano, dal Lej de Segl

da Chasté: e Ho dormito, ho dormito - da- un profondo son-no mi sono risvegliato - il mon-do è profondo e più profondo che non pensasse il giorno... ». Le dita esitanti tentano accordi in armonia con parole umane, troppo umane. « Dice il dolore: ' Spezzati, sanguina, cuore ' ».

Ma una mattina la strada sot-to alla sua finestra si fa a poco a poco nera di folla silenziosa. Truppe su l'attenti,, autorità in sussiego, uomini in cilindro e guanti neri, dame avvolte in ve-li di lutto, bandiere tricolori, carabinieri, marinai, ministri di Stato, la Corte, í principi del sangue e sopra un affusto di cannone una bara. Un funera-le pomposo, che esce a suon di tamburi dal palazzo di fronte: gli onori estremi resi a Eugenio Emanuele principe di Carigna-no, ammiraglio, più volte luo-gotenente del Regno. Nessuno avrebbe potuto immaginare un più bizzarro incontro di desti-ni: alla finestra un rivoluziona-rio delle idee, un odiatore di ogni inquadramento religioso e morale; e sulla via tutti quei preti e tutti qt!tei soldati e quel-le dame e quelle Altezze, al se-guito di un morto. I pensieri dovettero cominciare a confon-dersi nella mente di Nietsche. Senza esser visto era sceso in strada per mettersi anche lui nel corteo, suscitando lo scandalo delle marchese per quell'ignoto, vestito di grigio. Finchè a un tratto egli si mise a gridare: e Io sono Dio.., io sono Dio». Qual-cuno lo acciuffò e lo trascinò via, per consegnarlo ai poliziotti.

Si persuasero che era un paz-zo. Ma nessuno di quelle auto-revoli persone poteva pensare di aver assistito all'ultima scena di un grandioso dramma dei tor-menti spirituali del loro secolo, nè comprendere quelle parole in cui era l'eco tragica di Babele. Tommaso Gallarati Scotti