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sardex, il nuovo baratto

L’ultima frontiera del commercio è una moneta virtuale made in Serramanna per acquisti reali

case di paglia

Parla Giampietro Tronci,l’ingegnere ambientale checostruisce villette da 10mila euro

l’intervista: massimo fini

‘Ora più che mai il dogmaproduci-consuma-crepamostra il suo volto annichilente’

marZo 2012numero 13

torneremo alla terra

Qual è la giusta ricetta per rinasceree ripartire? Alcune ricette, tra chi credeal futuro e chi guarda al passato

ROSSELLAURRU

LIBERA

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Indietro tutta di Guido Garau

Scusi, qual è il suo cognome? Piras, Meloni o Demelas? Nelle radici dell’araldica potrebbe essere racchiuso il nostro destino, passato e futuro. Nomen omen dicevano i latini. Con l’economia al palo, la mancanza di lavoro, il crollo del potere d’acquisto del denaro, la via d’uscita potrebbe essere una vecchia strada: il caro, vecchio baratto. Comprare un terreno, curare l’orticello. Scambiare i propri prodotti senza denaro: do ut des. In questo scenario si salverà solo chi avrà la capacità di adattarsi e soprav-vivere al peggio: e se nel proprio albero genealogico fosse già scritto ciò che siamo – e che saremo - qualcuno potrebbe partire avvantaggiato.

In Sardegna Sardex ha un’idea bella e innovativa per uscire dalla crisi. Non è l’unica. Bisogna trovare nuove strade.

Sembra uno scherzo, ma il mondo cambia davvero. La profezia dei Maya, in qualche modo, si sta avverando. Sembra impossibile da capire, ma stiamo vivendo una fine del mondo: quella in cui le attività del fare e del fabbricare, peculiari dell’homo faber, stanno diventando inessenziali. Cosa significa? Significa che sta cam-biando il modello di produzione o di sviluppo su cui fino a oggi si è regolato il nostro universo-mondo. Ovvero, se fino a oggi abbiamo ridotto ogni cosa al principio del profitto, del guadagno, e ogni forma di pensiero è sfociata nella produzione di oggetti e strumenti da vendere, adesso si torna a una natura come madre (madre natura, appunto), a una solidarietà fatta di attenzioni, di favori fatti e ricevuti, di cortesie.

Torneremo alla terra? Chissà. Quel che è certo è che dopo il crol-lo delle ideologie nessuno più è stato capace di disegnare, di pensare un’utopia, di immaginare un’alternativa al modello capi-talistico che regola la nostra economia. Così è nato questo nu-mero di CagliariPad: per andare alla ricerca di pareri autorevoli che indicassero una ricetta per rinascere, per ripartire.

Intanto che fare? Io sono ottimista di natura, ma tra il lusco e il brusco ho comprato un terreno. Mi mancano solo le capre. A pro-posito, chi ne scambia una con un articolo di giornale?

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INDICE

Intervista con Eugenio BenettazzoTre idee per salvare la Sardegna

di Michela Seupag. 6

“I giovani puntino sulla culturae sull’industria sostenibile”

di Claudia Sarritzupag. 7

Parco GeominerarioUltimatum dell’Unesco

di Maria Grazia Pusceddupag. 8

L’inchiesta: tra gli ambulanti di Cagliarioffrendo un posto di lavoro

di Alessandra Ghianipag. 11

Don Cannavera e le reliquie del Papa“Trovo il gesto ricco di superstizione”

di Michela Seupag. 13

pag. 3

Pag. 15: Gli usai nel regno dei vipdi Alessandra Ghiani

EDITORIALE

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L’uLtima frontiera deL commercio è iL barattonasce sardex, moneta virtuaLe per acquisti reaLi

di Laura [email protected]

Da poco più di due anni è presente in Sar-degna un circuito di credito commerciale rivoluziona-rio, creato per combattere la crisi e rilanciare la no-stra economia. Si tratta di Sardex.net, che permette di effettuare acquisti senza spendere del denaro ma utilizzando, come mezzo di pagamento, la moneta complementare locale, il sardex. Uno di essi equiva-le a un euro e sulla base di questo valore si eseguono le transazioni.

Il sistema funziona in questo modo: per acceder-vi, è necessaria un’iscrizio-ne. Da quel momento in poi, sarà possibile vendere i propri servizi o prodotti a chi faccia parte del circuito,

e da questi ultimi comprare ciò di cui si ha bisogno.

Se si effettua un acqui-sto, nasce un debito di quel valore e, per ripagarlo, ci saranno a disposizione dodici mesi per vendere i propri prodotti, sempre all’interno del circuito stes-so. Altrimenti, alla scaden-za, il passivo sarà saldato

in euro, a interessi zero. La valutazione della som-ma da pagare sarà fatta sulla base del fatto che un credito sardex equivale a un euro. Se il debito è di trecento sardex, occorrerà versare la stessa somma in euro. Questi soldi verran-no utilizzati per acquistare servizi o prodotti utili alle aziende che in quel mo-mento hanno il conto in atti-

vo. Infatti, se si effettua una vendita, nasce un credito. Attenzione, però. Non esi-stono banconote sardex, si tratta di una moneta ricono-sciuta solo dagli associati. I crediti dunque non sono mai convertibili in denaro corrente. Se si accumula un attivo di duemila sardex, non si può pretendere di cambiarli in euro. Ma si po-

tranno fare degli acquisti di ugual valore all’interno del circuito.

Non bisogna confonde-re questo metodo con il baratto: ad esempio, un macellaio non potrebbe ottenere un computer solo scambiando la sua mer-ce. Con Sardex.net potrà comunque comprarlo ed estinguerà il suo debito ce-

dendo entro 12 mesi della carne, non unicamente al venditore del pc, ma a tutti gli iscritti.

Possono far parte del circuito solo le aziende che operino in Sardegna, di ogni genere e dimensio-ne. Il costo per l’iscrizione varia da centocinquanta a mille euro, in base alla grandezza dell’impresa. Il vantaggio per tutti è la pos-sibilità di acquistare imme-diatamente qualcosa (so-prattutto nel caso in cui non si disponga di liquidità) e di estinguere il proprio debito in un momento successivo. La convenienza è maggio-re per le piccole aziende rispetto alle grandi, infatti sono previste delle regole specifiche per aiutare chi commercia prodotti a un prezzo elevato. Naturalmente solo una par-te del mercato può essere investita in sardex, perché il denaro è necessario. Semplicemente, per i pro-pri affari si utilizza una dop-pia valuta: la prima è l’euro, che oggi è difficile da in-cassare ma facilissima da spendere. E scappa velo-cemente dalla nostra isola. La seconda è il sardex, che è molto facile da incassare e altrettanto da spendere.

Da poco più di due anni è presente in Sardegna un circuito di credito commerciale rivoluzionario, creato per combattere la crisi e rilanciare la nostra economia. Ecco come funziona.

CAGLIARIpad.itANNO II • Numero 13 • 28 febbraio 2012EditoreGCS Green Comm Services S.r.l.

Direttore responsabileGuido Garau

Hanno collaborato:Alessandra GhianiLexaCarlo PoddigheLaura PudduMaria Grazia PuscedduClaudia SarritzuMichela Seu

FotografieGuido GarauAlessandra GhianiProgetto grafico e impaginazioneCesare Giombetti

VignetteBob Marongiu

StampaGrafiche Ghiani • Monastir

Sede legaleVia Giotto, 5 • 09121 • CagliariRedazioneLargo Carlo Felice, 1809124 [email protected]. 070.3321559 • 366.4376649Autorizzazione Tribunale di Cagliari15/11 del 6 settembre 2011

PRIMO PIANO

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Ed essendo valida solo in Sardegna, incrementa il mercato locale.

Sardex.net è nato dalla genialità di tre giovanissimi ragazzi (hanno attualmen-te dai ventisette ai trentuno anni): Carlo Mancosu, Giu-seppe Littera e Gabriele Littera, nel 2006, decidono di creare un metodo che aiuti le piccole-medie im-prese. L’ispirazione arriva dal circuito svizzero Wir, nato nel 1934, immediata-mente dopo la grande de-pressione. Prevedeva che, tra gli iscritti, chi acquistava aveva un debito mentre chi vendeva aveva un credito. Inizialmente i partecipanti erano 16, gli ideatori stessi. Oggi quel sistema racco-glie ben settantacinquemila imprese.

Carlo, Giuseppe e Ga-briele fondano così, alla fine del 2009, il circuito di Sardex, un progetto di ban-ca di scambio basato sul-la finanza etica. Circa un anno fa, al gruppo si è unito

anche Piero Sanna. Tutti e quattro sono di Serra-manna, dove si trova la sede.

“Cercare imprese all’i-nizio – racconta Carlo Mancosu – non è stato facile. Ci sono voluti al-meno cento appunta-menti per ottenere la pri-ma iscrizione”. Solo dopo un anno però il numero è salito a duecento e oggi sono circa cinquecento le aziende che hanno ade-rito all’iniziativa, offrendo una vastissima scelta tra prodotti di ogni tipo. Si va dal panettiere al vendito-re di auto, passando dal dentista e dal consulente del lavoro.

Il circuito Sardex cre-sce di mese in mese e le aspettative di questi quat-tro ragazzi sono grandi: puntano ad avere quat-tromila imprese iscritte entro il 2014. Sentiremo ancora parlare di loro. Il futuro è un consapevole passo indietro.•

I ragazzi di Sardex nella loro sede di Serramanna

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di Michela [email protected]

La crisi c’è. È nei nostri por-tafogli vuoti, nei negozi pieni nonostante i saldi, sulle nostre labbra mentre siamo in fila alla posta o in banca. Impossibile riuscire a non pensarci. Ma se anziché lamentarci e basta provassimo a immaginare un rimedio per guarire dal males-sere? Un’ipotesi per risollevare le sorti di Cagliari e dell’Isola?Ne abbiamo parlato con uno che di economia e previsioni a lungo termine se ne intende parecchio: Eugenio Benetaz-zo, “il più autorevole econo-mista fuori dal coro in Italia”, come recita l’home del suo sito web. Classe 1973, veneto, Benetazzo è consulente di in-vestimento, brillante operatore di borsa indipendente, scrittore di best seller di settore ma, so-prattutto, il Nostradamus delle sciagure economiche: aveva predetto date e modalità del-la crisi odierna in tempi assai poco sospetti. Per questo lo abbiamo interrogato: perché guardasse nella palla di vetro e ci rivelasse le strategie da adottare in Sardegna. Ecco le

tre principali.

Consiglio numero uno: investire di più sui prodotti di nicchia, specie in campo enogastronomico. I salumi e i formaggi, i vini e i dolci an-drebbero tutelati e valorizzati maggiormente all’estero at-traverso un mirato progetto di marketing. “La tipicità dei vostri prodotti è una carta vincente, giocatevela”, suggerisce Be-netazzo. La “old economy”,

caratterizzata dai profitti de-rivanti dalle miniere prima e dalle industrie poi, sta ineso-rabilmente cessando: “Se la Sardegna insistesse su que-sto tipo di economia – prevede l’economista – non andrebbe da nessuna parte”.

Consiglio numero due: rilan-ciare il turismo d’élite, l’unico in grado di arricchire l’Isola per-ché immune alla contrazione economica. In questo preciso periodo di crisi occorre puntare sui ricchi, secondo Benetaz-zo, gli unici a poter generare il cosiddetto “indotto a cascata”. Privilegiare il turismo a cinque stelle piuttosto che quello di massa significherebbe, se-condo il Benetazzo-pensiero, non solo rendere tutto il litorale

come la Costa Smeralda, ma anche attrezzare le strutture ricettive dell’entroterra con op-tional di lusso. “È il momento di targetizzare l’offerta rivolta ai ricchi, perché quella rivolta ai poveri è satura di concor-renti, come il nord Africa e la Grecia”. Meno bed&breakfast

e più alberghi deve diventa-re la condicio sine qua non di chiunque intenda investire sul turismo. “Che non significa necessariamente costruire da zero – osserva il guru dell’eco-nomia - ma anche effettuare recuperi edilizi, conferendo tuttavia sempre un aspetto lus-suoso alla struttura”.

Consiglio numero tre: pun-tare sulle energie alternative, ovunque vi sia un po’ di sole e un po’ di vento. Figurarsi in Sardegna. “Io stesso sono amministratore di due parchi solari molto estesi in provincia di Puglia e di Potenza”. Striz-zando l’occhio alla letteratura si definisce infatti “Il Signore dei Pannelli”: “Il fotovoltaico in Italia è forse uno dei pochi settori in cui ha ancora senso investire, non è un caso che il nostro Paese garantisca la mi-gliore redditività del mondo”, si legge in un suo articolo. Se ve-nisse posta come priorità - pre-rogativa attualmente in mano solo agli imprenditori stranieri - il mercato potrebbe ampia-mente rivoluzionarsi: secondo una sua stima la realizzazione e la gestione di infrastrutture fotovoltaiche e parchi eolici creerebbe dai seicento agli ot-tocentomila posti di lavoro.In fila alla posta o in banca po-tremmo continuare a lamen-tarci ancora per i portafogli vuoti e i negozi pieni, ma non potremmo più far finta di non sapere. Qualcuno, fuori dal coro, ce l’aveva detto..•

Così parlò il guru eugenio benettazzomorte e rinasCita dell’isola in tre mosse Consiglio numero uno: investire di più sui prodotti di nicchia. Consiglio numero due: rilanciare il turismo d’élite. Consiglio numero tre: puntare forte su tutte le energie alternative, soprattutto in Sardegna

Eugenio Benetazzo è conosciuto alla stampa di settore come il Nouriel Roubini italiano o lo Steve Jobs dei mercati per il suo modo irriverente e dissacratore con cui analizza e racconta lo scenario macroeconomico contemporaneo. È consi-derato un vero e proprio guru finanziario.

Il più autorevole economista fuori dal coronel 2003 predisse l’attuale crisi finanziaria

PUNTI DI VISTA

Eugenio Benettazzo

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PUNTI DI VISTA

di Claudia [email protected]

“La Sardegna prima di inve-stire deve avere una visione complessiva dei settori sui quali puntare, occorre un pro-getto strutturato basato su pri-orità e scelte. Coerentemente con il nostro territorio questo progetto non potrà prescinde-re da cinque pilastri: ricerca, cultura, sostegno alle giovani imprese, industria sostenibile e internazionalizzazione.”

A dirlo è Marco Meloni, classe 1989, presidente del Consi-glio degli studenti dell’Univer-sità di Cagliari. Rappresenta la prima generazione di gio-vani senza un futuro certo in Italia e ancor più nell’isola. Gli abbiamo chiesto in concreto cosa potrebbe e dovrebbe fare la Sardegna per far ripar-tire la propria economia, pur coscienti che la nostra isola è dipendente da scelte nazio-nali e internazionali. Secondo Meloni occorre investire su progetti di ricerca per mettere nelle condizioni le università dell’isola e gli enti di ricerca di produrre nuove conoscenze e scoperte. Imprescindibile però in quest’ottica mettere a disposizione delle realtà pro-duttive sarde le innovazioni raggiunte e creare un colle-gamento stabile e duraturo tra chi ricerca e chi produce. In secondo luogo ricorda la tutela della cultura. “Ma non attraverso una celebrazio-ne morta in un mausoleo di quello che fu, bensì facendo rivivere i luoghi del passato, creandone di nuovi, al fine di

per L’isoLa è arrivato iL momento deLLe sceLte “i giovani puntano su ricerca e cuLtura”A tu per tu con Marco Meloni, classe 1989, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Cagliari,: “Diamo alle nuove generazioni la possibilità di gestire i centri culturali, siti archeologici, i consorzi, i musei”

far esplodere una cultura atti-va e dilagante.

Diamo ai giovani la possibi-lità di gestire i centri culturali, i consorzi di valorizzazione del territorio, i siti archeologici, i musei, le sale conferenze e i piccoli cinema.” In questa ricetta per ripartire non può mancare il sostegno alle gio-vani imprese, secondo Mar-

co Meloni bisogna smetterla con i salti nel buio, dietro il finanziamento e il supporto devono esserci idee con-crete, studiate e percorribili. Non si può continuare a fi-nanziare unicamen-te chi può offrire le garanzie necessarie che oggi le banche pretendono, secon-

do Meloni si devono premiare le buone idee. Indispensabile è anche l’accompagnamen-to della nuova impresa, dalla sua ideazione, alla sua realiz-zazione, al suo sviluppo.

Ancora industria sostenibi-le “C’è uno sviluppo possibile e concreto che passa per la conversione delle aziende più inquinanti, bisogna ripartire

con le bonifiche e la riqualificazione delle aree maggiormente compromesse, e per la creazione di nuove realtà indu-striali che puntino sul riciclaggio, le energie rinnovabili e l’efficienza ener-getica.” Non si può prescindere secon-do Marco Meloni

dall’internazionalizzazione.

Le nostre aziende, dal tu-rismo all’enogastronomia, dall’industria meccanica a quella tessile, dal settore lattiero-caseario alle società di servizi, devono presenta-re i nostri prodotti e la nostra qualità ai consumatori di tut-to il mondo perché possano acquistarli e apprezzarli. In-

fine non può mancare il co-raggio, “dobbiamo smetterla di abbandonare un lavora-tore per anni in cassa inte-grazione, non è sostenibile in primis per la sua dignità. Partendo dalla qualifica di ciascuno investiamo perché possano trovare spazio e realizzazione in nuove realtà rigenerate, vincenti e soste-nibili.” •

CHI È

Marco Meloni, classe 1989, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Cagliari. Rappre-senta la prima generazione di giovani senza un futuro certo in Italia e ancor più nell’isola

Marco Meloni

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di Michela [email protected]

Se il porcellino dell’antica fiaba si fosse consultato con Giampietro Tronci, prima di costruire la casetta in paglia, il lupo cattivo non lo avreb-be certo mangiato “in un sol boccone”. Perché lui la casa gliel’avrebbe costruita solida e sicura, a prova di lupi e di altre avversità. Giampietro Tronci, iglesiente di quasi 32 anni, è un ingegnere am-bientale col pallino, da sem-pre, della bioedilizia.

Due anni fa ha importato nel sud dell’Isola l’idea del futuro o, se vogliamo, del passato remoto: la casa in paglia. Ha iniziato a proget-tarla in un terreno di famiglia a Barega, località campestre fra Iglesias e Carbonia; ad aprile 2011 ha edificato la struttura in legno, da maggio a settembre ha frequentato dei corsi in Repubblica Ceca e in Polonia e ora è pronto a ultimarla. Occorrono solo pa-glia, terra, un po’ di legname ed eventualmente lana di pe-cora, per un costo comples-sivo di cento euro a metro quadro o poco più. “La nostra sfida è quella di costruire una casa economica ed ecologi-ca – spiega Tronci – serven-doci di materie prime già pre-senti in natura e a chilometro zero. Come la paglia e l’ar-gilla che, impastate insieme per costruire le mura a sud e

a est, ottimizzano i vantaggi che la casa in paglia pos-siede”. Qualche esempio? “Le balle di paglia sono un ottimo isolante termico (tre volte superiore ai parame-tri standard) mentre la terra cruda autoregola l’umidità col risultato che la casa è fresca d’estate e calda d’inverno, e ben protetta dall’umidità”: l’impianto elettrico sarà ali-mentato, ovviamente, da pannelli fotovoltaici.

Non è tutto: “Anche l’am-biente trae beneficio da que-ste costruzioni, in quanto non bruciando quella paglia, ma anzi utilizzandola, evitiamo l’immissione nell’atmosfera di CO2“. Inoltre gode della pro-prietà di isolamento acustico ed è resistente alle vibrazioni sismiche. Ed essendo uti-lizzati prodotti naturali, tutti possono lavorare alla costru-zione anche a mani nude, senza alcun rischio per la salute. Tetto e pavimento? “Il pavimento sarà costruito con dell’argilla, materiale che evita la polverosità – illustra Tronci – e del parquet artigia-nale; per il rivestimento del tetto si può utilizzare la lana di pecora, dalle eccellenti doti di regolazione termica e con un bassissimo costo energetico in quanto derivante unica-mente dalla tosatura”.

Le forme della casa in pa-glia possono essere perfet-tamente squadrate oppure arrotondate: anche dal punto di vista estetico la rivoluziona-

ria abitazione ha il vantaggio di poter assumere la forma che si preferisce, poiché il materiale è completamente modellabile.

Unico neo, al momento, è la scarsa diffusione della conoscenza di tecniche di costruzione. Ma l’ingegnere “bio” sta già provvedendo a porre rimedio: il sito 2xeco.wikispaces.com non è infat-ti il classico portale web ma un open source: “Al concet-to di “copy right” ho voluto contrapporre quello di “copy left” – racconta l’ideatore – con una bacheca in cui si discute su tecniche, materiali di rivestimento e argomenti dei prossimi workshop. At-tualmente ne sono previsti quattro principali, ma il pro-getto è un work in progress: cercheremo di soddisfare anche le esigenze di chi, per esempio, chiede supporto per edificare gli interni”.

Innovativo e aperto a tutti, Barega (diventato l’acroni-mo di “Bioarchitettura rete economica gruppo d’azio-ne”) non a caso ha ottenuto un alto gradimento al Pe-chaKucha di Cagliari poche settimane fa ed è giunto terzo al concorso Bam 2012 di Barcellona, per la sua at-tenzione verso l’ambiente e le tasche dei proprietari. E la capacità di ribaltare anche le fiabe più famose.•

Casa di paglia, un affare da Cento euro mq“sono molti gli sCettiCi, ma è super siCura”Parla Giampietro Tronci, il giovane ingegnere ambientale di Iglesias con il pallino per la bioedilizia:“La nostra sfida è quella di costruire una casa economica servendoci di materie prime già presenti in natura”

New economy, green economy, spread e bond. Questo sembra il futuro, nel bene e nel male. La cer-tezza è tanta confusione. Nel dubbio, l’associazione Terraterra di Settimo San Pietro, da qualche anno, propone via alternative, dall’orto urbano al mercati-no dello scambio. L’associa-zione nasce con l’obiettivo, anzitutto, di offrire alterna-tive a un paese diventato, come tanti, dormitorio. E le attività sono tutte tentativi di risposta a un modo che corre senza conoscere la meta. La più nota è l’orto ur-bano, ovvero un appezza-mento ceduto dal Comune e gestito dagli interessati al progetto in maniera comuni-taria e senza scopo di lucro. Risultato: verdura fresca per buona parte dell’anno e socializzazione. L’idea più recente è quella del merca-tino dello scambio. Troppo radical chic? Qualcuno può pensarlo. Ma oggi forse queste sono le uniche rispo-ste possibili.

Zappa e baratto

VISIONI

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PARCO GEOMINERARIOULTIMATUM DELL’UNESCO

mulacro burocratico” perché è un luogo con grosse po-tenzialità che a causa della gestione complessa non si è evoluto ma anzi è regredito”.

Il futuro incerto del parco. Per le associazioni che fan-no parte della consulta solo con l’approvazione della riforma si potrà inaugurare una nuova fase nella storia del parco. “Innanzitutto per-ché il parco funzioni – ha aggiunto infatti Giampiero Pinna – occorre che la so-cietà regionale Igea si occu-pi di fare le bonifiche e non dell’accoglienza come spes-so accade. Inoltre ci deve essere una gestione mista tra comuni e parco in cui le associazioni si occupino di gestire tutta la promozione e l’organizzazione museale, come è accaduto, ad esem-pio, per la miniera di Serba-riu a Carbonia e la miniera Rosas a Narcao”.

Se a questi problemi si aggiunge la cronica man-canza di un piano di comu-nicazione internazionale si comprende il perché non solo i turisti ma anche tanti sardi non conoscono il par-co geominerario. •

Una risorsa importante per il rilancio del Sulcis rischia di scomparire se non

diventerà operativa entro il 2013E Tore Cherchi lancia le sue accuse

Il parco geominerario della Sardegna rischia la chiusura se entro il 2013 non diventerà operativo. È quanto ha deciso l’Unesco lo scorso settembre che, dopo averlo inserito nel 1997 nella rete europea e mondiale dei geoparchi, ora minaccia di escluderlo. Una situazione veramente pesan-te che ha spinto la consulta delle associazioni del parco a un presidio che dura da quasi cinque mesi davanti a Villa Devoto, sede della giunta regionale sarda. L’obiettivo è quello di rilanciare il parco con l’aiuto di Regione e Governo.

“Finora il parco non ha fun-zionato per tantissime ragio-ni - ha dichiarato Giampiero Pinna, coordinatore della con-sulta delle associazioni - ma soprattutto perché era inge-stibile dal punto di vista dell’or-ganizzazione del consorzio. Inoltre quando nel 2001 è

stato istituito, tutti quanti si sono buttati su questo parco non per farlo funzionare ma per prendersi le posizioni di potere”. La protesta andrà avanti fino a quando il pre-sidente Cappellacci non farà approvare la riforma in giunta e sottoscriverà l’intesa con il ministro dell’Ambiente.

Una volta approvata la ri-forma, che prevede una rior-ganizzazione del consorzio, potranno essere realizzati tut-ti i progetti rimasti finora sulla carta. “La riunione conclusiva – ha dichiarato il Presidente della Provincia di Carbonia Iglesias Salvatore Cherchi - è prevista per il prossimo 6 marzo e dovrebbe portare finalmente all’approvazione definitiva della riforma”.

Il commissariamento e i progetti mai realizzati. Il parco geominerario occupa l’area più estesa nella zona del Sulcis Inglesiente per va-rietà e diffusione delle attività

minerarie. Nei primi cinque anni di attività sono stati ide-ati tutta una serie di progetti finalizzati al recupero e alla valorizzazione di un patrimo-nio storico-culturale legato all’attività mineraria. Inoltre fin dalla sua istituzione, un altro obiettivo del parco è stato quello di garantire una continuità con le generazioni future, impiegando i giovani nei settori della ricerca, delle attività culturali e turistiche. Purtroppo però tutti questi progetti non sono mai stati realizzati e le risorse messe a disposizione del parco ri-sultano ancora inutilizzate. Questo stallo ha portato a due commissariamenti, nel 2007 e nel 2009, che però non hanno sbloccato la situa-zione.

Da qui l’ultimatum dell’U-nesco e la conseguente protesta da parte della con-sulta delle associazioni. “Ho definito il parco – ha aggiunto Salvatore Cherchi - un “si-

di Maria Grazia [email protected]

VISIONI

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di Carlo [email protected]

Sono in molti a fare previsioni sugli sviluppi della grave si-tuazione economica e socia-le in cui ci troviamo, ma esse-re una Cassandra non è da tutti. E’ più complicato, molto più complicato. In primo luo-go perché a nessuno piace sentire infauste prospettive sul proprio futuro, in secon-do perché una Cassandra le previsioni le azzecca.Massimo Fini, giornalista e scrittore, rivendica con orgo-glio il fatto di aver previsto dal 1985, anno di uscita del suo libro “La ragione aveva torto?”, i limiti e gli sciagurati esiti a cui ci avrebbe condot-to una visione ostinatamente positivista, materialista e pro-gressista del mondo, dell’e-conomia e della vita del sin-golo uomo.

“This is the end” cantava-no i Doors. Questa è vera-mente la fine dei piani ela-borati, di un sistema?

Viviamo in un periodo di crisi che dal piano economico si sposta sempre più su quello esistenziale. Di sicuro, saran-no chiesti ulteriori sacrifici a tutti i popoli occidentali. Ora più che mai il dogma produci-consuma-crepa mostra il suo volto annichilente. In passa-to, forse stavamo peggio, ma eravamo più sereni. Bastava avere il minimo necessario: qualcosa da mangiare, una fidanzata, una moglie, dei fi-gli. Essere poveri quando tutti sono poveri non è un proble-ma. Il disagio, la frustrazione si prova quando tutt’intorno c’è opulenza e disparità so-ciale. Nel più misero villaggio africano sono più felici che nella ricca Scandinavia dove il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani.

Questa è la base del suo Manifesto dell’antimoder-nità, per una decrescita felice: “riportare al cen-tro l’uomo, r e l e g a n d o economia e tecnologia al ruolo margi-nale che loro compete”.

Le leadership mondiali vo-

gliono una crescita che non ci può più essere. La cresci-ta infinita esiste solo in ma-tematica. Il loro modello di sviluppo è paragonabile ad una potente macchina che, arrivata davanti ad un muro, continua a dare di gas finché il motore non fonde.

Quali sono queste leader-ship mondiali e perché tanta ostinazione per un modello di progresso che sembra suicida?

Sono i governi occidentali e quelli dei paesi emergenti. Anche i banchieri sono una parte di questo sistema. Non so se agiscano per cecità o malafede. Molto probabil-mente ritengono che le con-seguenze ultime e più dram-matiche del loro modello di sviluppo non li riguarderanno direttamente, quindi non se ne curano. Per questo tocca a noi passare all’azione. Bi-sogna cambiare il modello:

meglio governa-re una decresci-ta che subire di colpo il collasso.

Quale modello e quale vita, al-lora?

Un ritorno alla

campagna, alla coltivazio-ne della terra, limitandosi all’autoproduzione e all’au-toconsumo. Probabilmente, in un futuro prossimo, le città saranno abbandonate e re-cintato un pezzo di terra lo si difenderà con le armi. Se tutto crolla inizierà una lotta sanguinosa per la sopravvi-venza. Favoriti a quel punto saranno i giovani, i più sacrifi-cati dall’attuale sistema. Con la loro energia e forza, e pur-ché recuperino una manuali-tà dimenticata, saranno i più adatti ad affrontare questo futuro. E poi ci siete voi Sardi.

Noi sardi?

Sì. Se si dovrà tornare alla campagna, un popolo come il vostro che conosce una vita diversa, legata da sem-pre alla terra, sarà favorito. Essere pastore non sarà più un limite, ma un punto di for-za. Vedo con favore anche i movimenti indipendentisti, quello sardo, ma soprattutto quello corso che ragiona già in un’ottica di minor sviluppo, ma che mantiene integre le tradizioni. In più voi sardi sie-te gente di coltello, non avre-te problemi a difendere ciò che è vostro. Gli abitanti di Milano, per dire, sono spac-ciati in partenza. •

MassimoFiniGiornalista e scrittore

“sistema aL coLLasso iL futuro? dei giovani e di voi sardi”

“In un futuro prossimo le città saranno abbandonate e recintato un pezzo di terra lo si difenderà con le armi”

“Siete gentedi coltello, non avrete problemi

a far valereciò che è vostro”

L’INTErVISTA

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OPINIONI

LA bATTAgLIA DELLE PArOLE

HerbertMarcuse*

Il fatto che la gran-de maggioranza

della popolazione ac-cetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazio-nale e meno riprove-vole. La distinzione

tra coscienza autenti-ca e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distin-zione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono ren-dersene conto e trova-re la via che porta dal-la falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse imme-diato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il biso-

gno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente que-sto bisogno che la so-cietà costituita si ado-pera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di “distribui-re dei beni” su scala sempre piú ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scien-tifica dell’uomo.

* tratto da “L’uomo a una dimensione”

scrivici: [email protected] manda un sms al 342.5995701

Irrazionalità nella ragioneL’angolino del filosofo

Turismo e green economyL’intervento

SandroPilleri*

Come può essere rimessa in moto l’economia della Sarde-gna? Il Presidente della Repub-blica Napolitano, in visita a Ca-gliari, l’ha spiegato molto bene: l’Isola, e il Mezzogiorno più in generale, possono ripartire indi-viduando alcuni punti strategici. Il primo, salvare tutti i settori pro-duttivi di ciò che resta del nostro modello industriale. Il secondo, riconvertire tutti quei settori che invece non sono produttivi e dunque non generano svilup-po e ricchezza. Terzo, puntare sulla green economy: la chi-

mica verde è una delle nuove, affascinanti strade che bisogna avere la forza e il coraggio di percorrere.La premessa necessaria a que-sto discorso è che gran parte del modello industriale su cui si è basato il nostro sistema eco-nomico, fino a oggi, si è rivela-to fallimentare. La Sardegna deve tornare ad avere il primato dell’allevamento ovino-caprino e rilanciare la sua offerta turi-stica. Capitolo a parte merita il Sulcis, dove un ruolo importante giocheranno i lavori di bonifica di alcune aree.In questo scenario, la Giunta re-gionale ha fatto qualche passo, ma è ancora troppo poco. Il 13 marzo sarà sciopero generale e anche noi come Ugl faremo sentire la nostra voce: sarà l’ul-tima chiamata per chiudere po-sitivamente questa legislatura.

* Segretario regionale Ugl

Anfiteatro, cosa fare?Il guastafeste

SimoneSpiga

Cagliari, Sar-degna, tanti problemi, tante questioni irri-solte e le solu-

zioni sono lontane.Noi le affronteremo in una nuova rubrica, una provoca-zione, un pungo nei denti al potere: il Guastafeste.Cagliari, per noi che ci vivia-mo, è sinonimo di amore, identità e radici e, guardando dall’alto la splendida Capitale del Mediterraneo, ci colpisce la maestosità dell’Anfiteatro romano di Cagliari.Nel 2000, l’allora sindaco Mariano Delogu decise di rendere fruibile l’Anfiteatro si-stemandovi una struttura per ospitare i concerti estivi. Subi-to scoppiarono le polemiche. Da quel giorno si sono susse-

guiti anni di utilizzo inappro-priato, senza regole e con la mancanza totale di controllo sulla struttura. Anni in cui dello spazio ha visto una gestione allegra: niente gare d’appalto, tant’è che la Magistratura ha aperto un’inchiesta di cui vi parleremo in futuro.Lo scorso gennaio, la Giunta Zedda ha deciso di smantel-lare la cosiddetta” legnaia”. Ma anche questa decisione ha suscitato polemiche. Lo spazio va sicuramente salva-guardato e il principale mo-numento di epoca romana in Sardegna non può essere la-sciato allo sbando. Dobbiamo tutti pensare un nuovo modo di vivere il nostro rapporto con l’arte per tutelare e salvaguar-dare la nostra identità, senza dimenticare, però, che Ca-gliari ha diritto ad uno spazio adatto per i grandi eventi mu-sicali e teatrali internazionali.

Il giornalista e filosofo Michelangelo Pira anti-cipa di quasi trent’anni il “villaggio informatico” di Internet. Nel suo raccon-to profetico, scritto nel 1970, immagina una rete di computer che consen-te all’umanità, attraverso l’elettronica, la fruibilità e lo scambio della cultura universale ma soprattutto il recupero della sponta-neità di comunicazione e delle proprie radici culturali.

Il libro da leggere“Il villaggio elettronico”

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extraComunitari: se un pezzo di Carta nega il diritto al lavoro e all’esistenza

Quanti tra gli ambulanti presenti a Cagliari sono disposti a lasciare accendini e calze per dedicarsi a un faticoso impiego da manovale per 800 euro al mese? Ecco la risposta.

L’INCHIESTA

di Alessandra [email protected]

Massamba, Cheikh, Khadim, Gueie, Bassirou, Diop, Diaw, Babu. Non è uno scioglilin-gua, sono nomi, sono perso-ne, sono, anche se ufficial-mente non esistono. Dalla nostra redazione nel largo Carlo Felice all’Ospedale Ci-vile ci sono solo una mancia-ta di passi, poche centinaia di metri che però separano due mondi: il centro riconosciu-to della nostra città e la realtà nascosta, ma non troppo, degli extracomunitari ambu-lanti -molti dei quali clande-stini- dei parcheggi di via San Giorgio.

Una salita, in mente una domanda: quanti tra gli im-migrati ambulanti presenti a Cagliari che hanno un lavoro non lavoro - come loro stes-si lo definiscono - sarebbero disposti a lasciare buste e borsoni di calze, fazzolettini e accendini, per dedicarsi a un faticoso impiego da manova-le per 800 euro al mese? Lo abbiamo chiesto a un gruppo di 20 senegalesi tra i 20 e i 40 anni con lo scopo di sot-tolineare la disponibilità –o meno- all’impegno vincolan-te di un lavoro fisso non trop-po ben retribuito. Oltre a que-sto abbiamo chiesto nome, cognome e l’esibizione di un documento di identità per constatare la predisposizio-

ne alla lealtà nelle risposte.

Il risultato. Tra gli intervi-stati 6 si sono detti, senza dare una spiegazione esau-riente e senza mostrare un documento, non disposti a cambiare lavoro. Solo uno di loro, che non ci ha permesso

di annotare il suo nome, ha confessato che la nostra pro-posta non gli sarebbe conve-nuta perché non gli avrebbe permesso di autogestirsi e soprattutto di muoversi per l’Italia così come aveva in programma di fare. I 14 ri-manenti sarebbero pronti a cambiare attività anche su-bito ma 8 di loro non posse-dendo un regolare permes-

so di soggiorno -lo hanno dichiarato apertamente- non possono essere regolarmen-te assunti.

Testare la voglia di lavora-re (volgarmente detto) era l’obiettivo di partenza, il pro-blema del non-lavoro e una

presa di coscienza della di-sperazione di molti dei nostri vicini di casa il nostro punto d’approdo. Vedere una scin-tilla accendersi nei loro occhi davanti alla remota possibili-tà di un lavoro vero anche se mal retribuito. Sentire l’infini-ta tristezza di un padre che è lontano dai suoi figli, di un marito separato dalla sua donna. Dover comunicare in

francese con persone in cit-tà da ormai quattro anni ma che non parlano ancora una parola della nostra lingua e capire dai loro discorsi che dormono anche in dieci all’in-terno della stessa stanza. Qualcosa, evidentemente, non quadra.

Voler capire qualcosa dalla direttiva comunitaria, in tema di clandestinità e rimpatri, è un’impresa. L’espulsione di un cittadino irregolare infatti dipende di volta in volta dalla valutazione effettuata da cia-scun ufficio competente. La conseguenza è che cittadini nella stessa situazione si tro-vano ad esser allontanati con regole differenti. Qualcuno più fortunato magari riesce ad ottenere il permesso di soggiorno provvisorio (lo pre-vede la direttiva), altri invece vengono invitati a lasciare il Paese e ad appartenere quindi – poiché non lasceran-no mai il Paese di loro inizia-tiva - a tutta quella schiera di irregolari che si fa finta di non vedere.

Le domande nascono spon-tanee: esiste un punto di rife-rimento per queste persone? Chi se ne occupa? Perché, tra i 20 da noi intervistati, nes-suno di loro, nemmeno quelli in possesso del permesso di soggiorno, è a conoscenza del fatto, per esempio, che dovrebbero aver diritto a dei corsi di lingua italiana bandi-ti dal Comune apposta per agevolare la loro integrazio-ne? E soprattutto, perché chi non è in regola e dovrebbe essere rimpatriato continua a restare in città come un di-menticato da Dio? •

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Il clero cagliaritano in trepi-dazione, quarantatremila fe-deli in marcia verso il cuore della città in soli sei giorni: il potere è concentrato in alcu-ne gocce di sangue di Papa Giovanni Paolo II estratte da un prelievo in ospedale, riposte in un’ampolla di ve-tro di Murano ed esposte, dal 13 al 16 febbraio scor-so, nella navata centrale della Cattedrale in Castello.C’è chi a tutto questo ha contrapposto un secco “no”.

È don Ettore Cannavera, uomo di grande fede ma so-prattutto psicologo e fondato-re della comunità La Collina a Serdiana. Che durante i gior-ni di adorazione della reliquia non ha esitato a dichiarare apertamente la sua avversio-ne in merito alla volontà, del vescovo di Cagliari Monsi-gnor Giuseppe Mani, del par-roco della Cattedrale Alberto Pala e di tutto il clero locale, di ospitare in città un’ampolla contenente gocce di sangue dell’amato Carol Wojtyla. “Ho

profondo rispetto per la per-sona che è stata il Papa Be-ato – precisa don Cannavera – e d’altra parte non è mia intenzione giudicare le perso-ne che hanno partecipato alla venerazione della reliquia (ha preso parte anche mia mam-ma di ottantaquattro anni, non mi sono certo opposto). La mia posizione è critica uni-camente nei confronti di chi ha organizzato l’evento. Ho trovato il gesto diseducativo, superstizioso e a tratti maca-

bro”. In che senso? “Macabro perché si tratta pur sempre del sangue di un uomo che non c’è più; superstizioso perché mi sembra che al-lontani le persone dai veri problemi, lasciando quasi in-tendere o comunque sperare che l’ampolla possa risolverli o sollevare dalle proprie re-sponsabilità. E l’ho trovato di-seducativo, poi, perché lo re-puto piuttosto un tentativo di strumentalizzare la fede, spe-cie fra le persone anziane.

Credo sia più opportu-no educare non ad ave-re fede negli oggetti ma, al contrario, negli uomini”.Esattamente come ha scelto di fare lui dal 1995, anno in cui decise di fondare la comu-nità di Serdiana: un luogo in cui finire di scontare la pena prima di essere completa-mente reinseriti in società; un luogo in cui se non lavori non puoi restare; un luogo, infine, in cui impari a relazionarti con gli altri ospiti, a condividere il tuo tempo, spesso la tua oc-

cupazione e parte del tuo sti-pendio. I primi su cui ripose la sua “fede” furono due ragazzi condannati per omicidio: fu allora che venne aperta l’a-zienda agricola, dove i due cominciarono a lavorare. Da allora di ragazzi in Collina ne sono passati 65 (attualmen-te ce ne sono nove): “Solo quattro di questi sono tornati in carcere, facendo registrare il 6, 7 percento di recidività nella commissione di reati – spiega don Ettore – contro il 65 percento che si registra nei casi in cui non venga somministrata una pena di-versa dal carcere”. “Ecco perché sono fermamente convinto che le esperienze al-ternative siano le più utili. Ed ecco perché ho trovato poco edificante il gesto di ospitare la reliquia da venerare: credo sia necessario mostrare più attenzione agli uomini che alle cose e avvicinarsi di più ai veri problemi della società”.

di Michela Seu

Questo spazio è dedicato alle persone che quotidianamente conducono una battaglia silenziosa. Racconta anche Tu la tua storia. Le migliori verranno pubblicate. Scrivi a:

[email protected] o manda un sms al 342.5995701

“adorare Le reLiquie di papa wojtyLa?Lo trovo diseducativo e a tratti pure macabro”

Parla don Ettore Cannave-ra, fondatore della comuni-tà La Collina di Serdiana

CHI È

STORIE

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CUrIOSITÀ

L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori s’intitola “reintegrazio-ne sul posto di lavoro” e disciplina le con-seguenze in caso di licenziamento illegitti-mo (perché effettuato senza comunicazione dei motivi, perché ingiustificato o perché discriminatorio) nelle aziende con più di 15 dipendenti. Il giudice, qualora accerti l’illegit-timità del licenziamen-to per uno dei motivi indicati nella legge

n. 604/1966 (difetto di forma, ingiustifica-to, discriminatorio), ordina la reintegra-zione del lavoratore nel posto di lavoro. Al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro un’indennità.

Che Cos’èl’artiColo 18?

DOMANDE E RISPOSTE

Il loden è un tessuto di lana tipico del Tirolo e dell’Alto Adige. La paro-la loden può essere fatta derivare da lodo, che in un arcaico tedesco si tra-duceva in “balla di lana”, oppure ancora può es-sere tradotto in “tessuto grezzo”.Tessuto di aspetto cal-do e morbido è molto resistente e duraturo, viene follato (infeltrito) per renderlo impermea-bile e molto garzato per ottenere un lato peloso, per queste sue caratte-ristiche è un panno. Uti-lizzato per confezionare cappotti, mantelli, gonne

e pantaloni. Grazie alla sua impermeabilità e alla sua traspirabilità il loden è talora chiamato “il go-re-tex medievale”.

Che cos’è il loden,il cappotto che indossa Monti?

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di Alessandra Ghiani

Ottima giornata di sole in quel di Monserrato. Finalmente dopo giorni di freddo polare Marietto, che è uno dei mi-gliori fabbri ferrai di tutta la Sardegna, può iniziare nel cortile della sua attività quei lavori che da tempo si era riproposto di finire entro la pri-mavera. Arrivato in via Zud-das, dove ha aperto la sua nuova fucina, ha appena iniziato a dare disposizioni ai suoi dipendenti quando gli squilla il telefono. Dopo una decina di minuti di tele-fonata corre nel suo ufficio, si infila il giubbotto e men-tre informa i suoi collabo-ratori che si assenterà per le prossime 24 ore salta in auto e sparisce.

“Oh Lilli! Movirindi, stiramì sa camisa che devo partire in Costa Smeralda per un lavoretto nella casa nuova di Valeria Marini!”

Così Marietto, ingaggiato per la realizzazione di com-plementi d’arredo in ferro battuto per la nuova casa di Valeria Marini ad Arza-chena, in giacca, cravatta, jeans e camperos si mette al volante della sua Ford del ‘94 e con il fratello Peppi jr, chiamato per fargli compa-gnia, parte per la Costa Sme-ralda.

Ad accoglierli sul luogo dell’appuntamento la sou-brette in persona che fa ca-polino in fondo a un lungo viale alberato che dà su una piscina. Vestitino aderentissi-mo, corto, e sandali con tacco 12 a spillo.

“Sciabolaaa!!” commenta Peppi jr che non riesce a trat-tenersi.“Cittirì balosso, cicca de ti trat-tenni, qui siamo in mezzo a gente di alta località!” lo rim-provera Marietto.

Valeria alza un braccio per far cenno ai due di avvicinarsi.

“Se volete fare delle foto fac-ciamole subito, poi sotto a lavoro!” propone Valeria abi-tuata ai suoi fan.“No grazie” risponde pronto Marietto “non siamo fotoigie-nici. Se l’aggrada iniziamo subito così me ne tolgo que-sto paté d’animo”. La Marini allibita.

Nel frattempo Peppi jr sem-bra un po’ spiazzato e alla prima occasione si informa:

“Ha sbruncato da qualche parte?”.Marietto entra nel panico e con permesso si apparta in un angolino con il fratello:“Ma itta sesi scimpru??? Du bisi che ha le labbra rifatte! Non è gonfia! ”.

Intanto Valeria li raggiunge

e li invita ad entrare in casa. Il suo desiderio è quello di avere dei bellissimi letti a bal-dacchino tutti in ferro battuto. Marietto fa prendere tutte le misure a Peppi Jr che nel frat-tempo rassicura Valeria:“Stia tranquilla, mio fratello è un vero luminario del mestie-re!”.

Lei ad un certo punto si inchi-na per prendere il gatto che si aggira sornione per la stanza

e Peppi, ovviamente, fà per esternare i suoi pensieri ma Marietto lo fulmina con lo sguardo.

“Signor Marietto allora come rimaniamo? Vuole un antici-po?” taglia corto la Marini.“O Vale, ma figurarì! Tran-quilla, faccio il lavoro e tu mi paghi procapite, quando ti

capita mih” risponde Mariet-to che vuole fare quello easy che non ha bisogno di soldi.

“Ayò Marietto, accabbau eusu? Movirì ch’è serrendi s’Elledì (LD) po’ fai sa spesa. Altrimenti qui al ristorante ci spennano!”•

AYÒ IN COSTA SMERALDAI FRATELLI USAI NEL REGNO DEI VIP

Marietto, ottimo fabbro ferraio, viene ingaggiato da Valeria Marini per la realizzazione di letti in ferro battuto: “Mischina con quelle labbra, ha sbruncato da qualche parte?”

LAIF STAIL

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Sono una donna, eppure certe sfumature non le capisco.

Il mondo dei colori per esempio. Ho sempre avuto un rapporto semplice con i colori. La vista del mondo me ne ha sempre reso, da quando sono nata, una tavoloz-za ristretta. Ecco quindi che per me non esiste celeste, turchese, zaffiro o ceruleo ma solo l’azzur-ro. Tutto quello che è scuro poi, molto scuro, lo inglobo nel nero, nel blu o nel marrone. Non c’è senape né paglierino o pergame-na, ma solo giallo.

Mi rendo conto che, essendo questo il punto di partenza,

ho motivo di rimanere disarma-ta di fronte a quello sconfinato e incomprensibile pianeta delle tonalità di colore. Per una come me, per cui blu e nero sono pa-renti stretti, l’antracite è un con-cetto indimostrato. Sentir parla-re di verde acqua o blu cobalto poi mi lascia perplessa, da una parte perché l’acqua a casa mia scorre fortunatamente incolore, dall’altra perché non ho una mi-nima idea di come sia il cobalto.

Ci sono poi dei colori che mi hanno segnato. Da piccola,

quando come tutti avevo i pa-

stelli a cera e scarabocchiavo sui fogli Fabriano ruvidi, non riusci-vo a capire perché esistesse un color terra di Siena bruciata. Im-maginavo Siena come un posto avvolto dalla cenere e abitato da povera gente ustionata, la cosa mi inquietava parecchio. Poi ho scoperto che la città godeva di buona salute e che in realtà era circondata da un’ infinita e me-ravigliosa distesa di terra color marrone.

Per parecchio ho pensato che queste sfumature fossero pe-

culiari del mondo femminile fin-ché non mi sono trovata a do-ver acquistare un’auto. Qui ho dovuto leggermente allargare le mie vedute ed ammettere anche l’esistenza di un paio di blu, del beige e dei metallizzati. Ma mai avrei immaginato di trovarmi catapultata in un altro pianeta, quello dei colori delle automobi-li.

Di fronte ad un catalogo onli-ne di autovetture ogni mia

certezza ha vacillato. Esisteva un giallo ottimista e un rosso sfrontato, che immagino fosse ben diverso dal rosso arzillo. E il blu bastian contrario? Il bian-

co poi, unica sicurezza nella mia vita, che per definizione è bianco e basta era diventato bianco gar-denia, bianco ghiaccio, bianco banchisa e anche bianco bianco che suppongo dovesse essere il bianco DOC. Ho scoperto l’esi-stenza del nero provocatore,del mirtillo monello, e il beige spu-meggiante. Il grigio poi, che per me era al massimo bianco spor-co o nero chiaro, è diventato gri-gio perbene, grigio sfrenato, gri-gio indio e grigio Stromboli.

Ad un certo punto ho creduto che quella pagina dei colo-

ri fosse uno scherzo e ho preso la via più semplice, mio padre, che mi ha detto di comprare un bianco gardenia che è una spe-cie di bianco un po’ ingiallito che se non altro è utile a nascondere lo sporco quando uno non va a lavare l’auto tutte le settimane.

Così per pigrizia, o se vogliamo per la mia natura semplice,

ho deciso che la mia spoglia ta-volozza iniziale avrebbe conti-nuato a guidarmi nel mondo con i suoi cinque o sei colori, e che avrei fuggito come la peste tutte le complicazioni superflue.

“Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu:era nato l’impressionismo.”

Pierre-Auguste Renoir

Il pianeta dei colori

Il corsivo