Zona 508 il giornale delle carceri bresciane - Giugno 2014

36
Giugno 2014 Zona 508 Trimestrale Dagli Istituti di pena BrescianiAutorizzazione del Tribunale di Brescia n.25/2007 del 21 giugno 2007 Zona 508 il trimestrale DAgli Istituti di pena Bresciani “Vorrei tornare a quando…”

description

Zona 508 è il giornale delle carceri bresciane. E' edito dalla associazione carcere e territorio e scritto dai detenuti delle carceri di Canton Mombello e Verziano.

Transcript of Zona 508 il giornale delle carceri bresciane - Giugno 2014

Giugno 2014

Zo

na 5

08

Trim

estrale Dag

li Istituti d

i pen

a Brescian

i—A

uto

rizzazione d

el Trib

unale d

i Brescia n

.25

/2007

del 2

1 g

iugn

o 2

007

Zona 508 il trimestrale DAgli

Istituti di pena Bresciani

“Vorrei tornare a

quando…”

2

Autorizzazione del Tribunale di

Brescia n.25/2007 del

21 Giugno 2007.

Direttore responsabile:

Marco Toresini

Editore:

Act

(Associazione Carcere e Territorio)

Vicolo Borgondio, 29 —Brescia

Redazione amministrativa:

c/o Act

Vicolo Borgondio, 29—Brescia

Tipografia:

Grafiche Cola Sr.

Via Rosmini, 12/b

23900 Lecco

Redazione:

Seguici sul nostro Blog:

http://vocidibrescia.corriere.it/author/

vocidalcarcere/

Francesco, Marco, Vincenzo,

Angelo, Flavio, Jawab,Stefano,

Carlo, Beqir, Vito, Mario,Fabrizio,

Eddy, Driton ,Redouane,

Annamaria, Omar,Bianca,

Mariapaola, Alessandro,Piova,

Laura, Giuseppe, Cesare,Daniela,

Lucia, Sofia, Alessio, Daniela,

Laura, Camilla,Roberta,

Alessandra, Francesca,Marta,

Andrea, Virginia, Enrica, Chiara,

Gianluca.

Editoriale 3

Speciale: “Vorrei

tornare a quando…”

10

Poesie 22

Rubrica Make Up:

“I consigli della

Bepa”

27

Rubrica Letteraria 28

Rubrica Musicale 29

Ricette 33

Oroscopo 34

Sommario

3

4

DOTT. ZAPPA

MAGISTRATO, GARANTISTA, UMANO E SPECIALE.

NEL 10° ANNIVERSARIO DELLA SUA SCOMPARSA

(10-02-2004)

Sarebbe troppo facile iniziare tessendo le lodi sull'operato di que-

sta persona che, dagli anni '80 al 2000, con il suo carisma ha la-

sciato una forte traccia tale da essere ancor oggi un riferimento ai

nuovi giudici, magistrati, educatori, ed a noi detenuti.

Il compianto dott. Giancarlo Zappa, magistrato del tribunale di sor-

veglianza di Brescia di allora, era veramente una persona speciale,

al di là del suo ruolo e dei suoi compiti.

Noi “vecchi” detenuti quando citiamo il suo nome, avendolo conosciuto, chiniamo il capo in

segno di riconoscenza e grande rispetto, provando sempre una forte commozione.

Non ne parlo bene perché abbiamo avuto un tornaconto positivo, questo sia chiaro a tutti co-

loro, nuovi detenuti compresi, che leggono questo personale articolo.

Lui era l'UOMO, prima di tutto, poi il MAGISTRATO, che voleva riabilitarti subito, senza

percorsi particolari ed osservazioni.

Zappa dava fiducia, e voleva solo essere ricambiato, tant'è che noi bonariamente lo chiama-

vamo “Zappa Tre Chances”.

Sì, perchè non te ne dava una sola pur rompendo il beneficio dato.

Sosteneva che il tempo era “miglior giudice” per veder realizzati certi obbiettivi comporta-

mentali, ma il suo metodo GARANTISTA ed UMANO contrastava spesso con quello di altri

giudici e magistrati.

Avrei decine e decine di aneddoti da raccontare, che all'epoca lasciarono un po' spiazzati gli

addetti ai lavori; forse proprio per questo Maurizio Costanzo quasi una volta al mese lo chia-

mava ospite alla trasmissione “Bontà loro”; egli qui appariva quasi come un

“Extemporaneo” che con i suoi principi attuati dava sempre riscontri positivi ed efficaci, da

sorprendere un po' tutti.

Io lo seguivo ogni volta che appariva, era un piacere sentirlo coi suoi modi semplici, efficaci,

ma anche fermi, inerenti alla sua funzione.

Lo scopo era unico: far raggiungere obbiettivi positivi a chi aveva commesso un crimine.

Lui si interessava personalmente con associazioni, ditte, comuni, per trovare, dentro o fuori

il carcere, un'occupazione da dare ai detenuti, una responsabilità che potesse nel tempo cul-

minare con obbiettivi utili, ma soprattutto rientrare nel sociale, e dare così una svolta positi-

va alla propria vita futura.

E LUI, IN QUESTO CI RIUSCÍ!!!

Lo voglio ricordare come nel giorno del suo saluto, la chiesa stracolma di gente fino al sa-

grato, le parole durante l'omelia del suo amico e cappellano Don Cavalli quasi fossero da

monito a proseguire il suo esempio, e quel piccolo cuscino con fiori gialli con scritto “i tuoi

detenuti” da l'esempio di quale persona “speciale” fosse veramente.

Piova54

Verziano, maggio 2014

5

IL MERLO E VINCENZO

di Vincenzo

“Con un pizzico di fantasia mi accingo ora a raccontarvi qualcosa e ci vorrà tutta la vostra

fiducia nella mia sincerità per crederci. Nonostante tutto, non solo è una storia vera, ma an-

che un vicenda della quale sono stato partecipe”.

Era un bel merlo: un giorno, con una specie di malinconico presagio, si è ferito ad un‟ala.

Caduto dall‟albero, barcollando, si mise a camminare e pensare. Gli buttavo briciole del pa-

ne fuori dalla finestra quotidianamente, diventammo amici. Mi guardava come per dirmi:

“Anche tu hai la tua ferita da curare”.

Non spiegava più le ali, non sfoggiava più il

piumaggio (BEL FRACK) nero, come se si

vergognasse della sua menomazione. Saltella-

va, tristemente, da un ramo all‟altro. Non ho

mai capito come faceva a salirvici sopra!

Continuava a conservare un vermicello in più

per la merla preferita. Ancora lanciava richia-

mi di sfida ai canti degli altri maschi, che pio-

vevano dagli alberi, con un senso di trionfale

tormento. Ma il suo canto aveva perso il suo suono speciale, era condizionato dalla sua ala

ferita, e lo sapeva; corpo e spirito dipendevano dalla sua ala. Ma la vita in lui era ferocemen-

te intatta, era l‟ala che doveva guarire.

Una mattina, al primo albeggio, con improvvisa forza spiccò, con ali spiegate, in volo. Salì

in alto, da lassù lanciò un fischio, forte e acuto, così forte che mi svegliò dal lieve sonno a

cui ero legato.

Un‟ondata di luce m‟invase gli occhi appena aperti. Di nuovo quel fischio! Mi alzai, buttai lo

sguardo attraverso le sbarre, niente! Alzai lo sguardo e, con mio felice stupore, vidi il mio

amico merlo “in FRACK” che volteggiava in alto, verso il cielo, dal cielo verso terra. Sem-

brava volesse dirmi: “Visto, io ce l‟ho fatta, ce la farai anche tu!”

Sono Giuseppe…

Ciao, sono Giuseppe. È arrivato il momento di esporre ciò che penso di questa iniziativa del

giornale di zona 508. Volevo rivelarvi che trovo bello incontrarci, il fatto che ognuno di noi

esponga ciò che pensa. È straordinario anche arrossire per i motivi diversi che la vita ti riser-

va. Ma in questo periodo ho notato tante tenerezze, tanta gioia in ognuno di voi. Trovarci,

guardarci in volto e sorriderci, ridere anche per delle banalità, in questo piccolo posto dove

ci confrontiamo, scriviamo. E tutti noi, come pittori, riusciamo a trasmettere, nei nostri scrit-

ti, colori straordinari.

E grazie a voi del volontariato, che riuscite a colorare i nostri pensieri e le nostre emozioni.

Infiniti ringraziamenti.

Giuseppe Grimaldi

6

IL TORNEO DI PALLAVOLO

Mercoledì 19 marzo ha preso il via il torneo di pallavolo interno alla C.C. di Brescia “Canton Mom-

bello”. Ciascuno degli 8 piani delle due sezioni è rappresentato da una squadra e l‟11 aprile chi avrà

raccolto più punti disputerà la finale per la proclamazione del vincitore.

La premiazione avverrà in sala teatro in concomitanza con la promozione della squadra vincitrice del

torneo di calcetto. Grazie all‟amministrazione penitenziale e al volontario che arbitra gli incontri è

stato possibile realizzare il torneo, valida occasione per praticare un poco di attività fisica, distrarre le

menti e far riposare i materassi di spugna dei nostri letti.

Un aspetto positivo dell‟iniziativa sta nel fatto che all‟interno della stessa squadra giocano detenuti di

diverse nazionalità; questo rappresenta un‟occasione per superare le reciproche differenze e migliora-

re, per quanto possibile, il clima carcerario reso difficile dal sovraffollamento.

Avere la possibilità di fare più di due passi consecutivi senza sbattere contro un armadietto o un tavo-

lino è per noi detenuti, ridotti ad “animali in gabbia” dal sovraffollamento, un assaggio di libertà e un

tentativo di rieducazione: conoscere e rispettare le regole di gioco di un match di pallavolo per segui-

re e rispettare la legge della vita post-carceraria.

Queste valide iniziative aiutano a distrarci, seppur momentaneamente, dalla malinconia e dalla dispe-

razione con cui tanti di noi convivono.

Il torneo di pallavolo, come la biblioteca, la yoga, la scuola e lo spinning ci aiutano a non perdere il

contatto con la realtà e a non abbandonarci all‟immobilità fisica e al torpore mentale della cella.

E‟ sorprendente come una semplice partita di pallavolo acquisisca a “Canton Mombello”un valore

più profondo rispetto alla vita esterna.

La pratica dello sport è uno strumento utile alla nostra rieducazione e il torneo di pallavolo combatte

la desolante umanità della carcerazione.

Certo la strada da percorrere per restituire dignità ai detenuti è ancora lunga, nonostante i padri costi-

tuenti lo prevedessero già nel lontano „47. Ringraziamo per l‟opportunità rappresentata dal torneo,

ma “Canton Mombello” resta, malgrado i tentativi un “magazzino di carne umana” come lo ha defi-

nito il giudice Giovanni Arcai nel suo libro intitolato ironicamente “L‟allegra galera di Canton Mom-

bello”.

GIAMPAOLO FEDRIGA

CELLA 28

7

Nuove Tecnologie

Le innovazioni tecnologiche, in particolare nelle comu-

nicazioni, hanno sicuramente migliorato la qualità della

nostra vita, nel tempo libero come nel mondo del lavoro.

Oramai siamo tutti contattabili, sempre ed ovunque, gra-

zie al cellulare. Le e-mail hanno sostituito il vetusto fax

e i social network rendono comoda e veloce la ricerca di

una vecchia compagna di scuola persa di vista , elevata

al rango di amica da face book.

Le immagine delle nostre televisioni al plasma o LCD sono incredibilmente nitide, internet

rende possibili cose prima inimmaginabili. Indubbiamente tutto è più comodo, veloce e pra-

tico; l‟utilizzo e il possesso delle nuove tecnologie può diventare però un‟ossessione.

Persone che utilizzano face book per rendere invidiabili e irreperibili esperienze personali

sono banali e insignificanti, l‟ansia di possedere l‟ultimo Iphone o l‟ultimo MAC, sono

network utilizzati per amplificare gesti di bullismo con le tragiche conseguenza portate alla

nostra attenzione dalla cronaca. Preferisco non esprimermi sulle ultime “mode” importate

dagli States quali il “knowout game” e la “neck nomination”; ogni parola è superflua e non

vorrei rubare il lavoro a Barbara D‟Urso.

Oggi giorno le scazzottate all‟uscita delle disco e le bevute in compagnia davanti al posticipo

TV di calcio sono cose da orsoline. L‟utilizzo delle nuove tecnologie ha eliminato la dimen-

sione umana nei rapporti. Chiedere l‟amicizia di una ragazza su facebook è sicuramente più

semplice che parlarle personalmente. Ahimè l‟emozione e l‟inevitabile imbarazzo che com-

porta vengono a mancare e probabilmente viene a mancare il significato stesso di

quell‟incontro. Ritengo quindi sia necessario non concentrarci sul possesso di uno strumento

tecnologico, ma porre attenzione alla capacità che abbiamo di gestirlo: ovvero individuare un

limite oltre cui l‟utilizzo peggiora la qualità della nostra vita.

Certamente per noi carcerati la tecnologia è un mondo lontano, si limita ad un televisore MI-

VAR anni ‟90 con 6 canali, altro che digitale terrestre. Senza contare le domandine che dob-

biamo presentare per qualsiasi richiesta all‟interno del carcere che recano ancora la dicitura

prestampata “prego la Signoria Vostra…….”, manco fossimo nelle patrie galere di fine „800

o sul set del film “Non ci resta che piangere” della coppia Benigni-Troisi. Purtroppo niente

„800 e niente film. Tutta realtà. La realtà surreale di Canton Mombello 2014. 2014 avanti o

dopo Cristo? GIAMPAOLO – MICHELE – GIOVANNI 3° NORD

8

CORSO DI FOTOGRAFIA

Sentiamo il bisogno, prima di tutto, di ringraziare gli studenti del corso di fotografia delle Belle Arti

di Brescia, che hanno scelto noi per approfondire il loro lavoro scolastico. E‟ stata, onestamente, una

grande soddisfazione e gratificazione essere entrati nei loro pensieri per sviluppare, con le fotografie,

la loro capacità, il loro interesse per i nostri visi, la loro voglia di scoprire dietro i nostri visi emozioni

che può nascondere una foto.

La foto: il ricordare un momento, l‟esprimere la gioia del cuore con uno scatto, imprimere nella men-

te un ricordo che rimane sempre vivo, che ti permette anche di vivere emozioni di gioia, ti fa ricorda-

re momenti intensi nell‟anima. Un bellissimo modo di stampare nell‟anima un sentimento di felicità,

di far scaturire nel cuore un battito più soave e sereno, pieno di gratificazione... l‟immortalare

un‟immagine, un viso, un paesaggio, qualsiasi cosa, che lo fa sentire tuo.

Sicuramente chi fa il fotografo è una persona più creativa del solito perché ricerca in una foto la bel-

lezza (che può regalare la curiosità, la semplicità), il gioco degli specchi con uno sfondo come se do-

vesse inserire una persona in un quadro, perché usa tanta fantasia nel proporre pose che facciano sca-

turire gioia e felicità. Noi abbiamo passato con loro dei momenti spensierati, di cui abbiamo bisogno

vista la situazione del momento, dei momenti di felicità da poter condividere con persone esterne al

carcere. Insomma, ci avete regalato con questo vostro gesto, la spensieratezza di essere coinvolti nel-

la vostra passione. Per tutto questo, dal nostro cuore, un immenso GRAZIE, semplicemente perché

con poco, con il vostro tempo donatoci, ci siamo sentiti importanti per un vostro futuro lavorativo, ci

siamo sentiti importanti per la realizzazione dei vostri obiettivi: grazie e grazie ancora. Con la speran-

za di poter essere rimasti anche noi, come una foto, nel vostro cuore… Voi ci siete entrati!

Un abbraccio,

Stefano e Beppe

Un ringraziamento speciale al fotografo Eros Mauroner

9

BRIAN E FILIPPO

Concorso Rotary International Letterario

Quella mattina, seduto dietro il banco di scuola, Brian avrebbe preferito cento volte di più

che la maestra lo interrogasse su qualsiasi materia, anche quelle che meno gli piacevano, co-

me matematica o geometria, e invece quel giorno stava chiedendo ad ognuno dei suoi alunni

quale fosse l'attività lavorativa dei loro padri. «Ora cosa mi invento?» pensò preoccupato

Brian. Doveva mantenere un profilo medio, senza esagerare, ed ebbe una reminiscenza.

Qualche settimana prima aveva sfogliato il libro di geografia, si era trattenuto sulla pagina

che descriveva il Perù, e quando fu il suo turno, senza indugio disse: «Mio padre è ingegnere

minerario, è in Perù da tre anni, dove estraggono la bauxite». Finita la frase si congelò, a-

spettando qualche commento, forse una domanda sulla bauxite, che non sapeva neanche cosa

fosse, forse aveva esagerato. Scongelò quel momento la maestra: «Wow! Che lavoro bello e

interessante». Lui timoroso proseguì: «Sì, ma è molto faticoso e anche pericoloso». Non sa-

peva più in che terreno si stesse addentrando, ma la maestra con un risolino lo interruppe,

spiegandogli effettivamente in cosa consiste il lavoro di un ingegnere, e passò oltre, al suo

vicino di banco: l'aveva scampata, era sembrato credibile. Stava per venire il turno di Filip-

po, che si trovava tre banchi più in là, ed era il primo anno che frequentavano la stessa clas-

se, per questo non c'era stato il tempo di fare amicizia ed entrare in confidenza. Filippo sem-

brava più grande della sua età, era silenzioso e scrutava gli altri con aria saggia, aveva quasi

sempre un accenno di sorriso sulla bocca. Quando fu il suo turno, con molta sicurezza, Filip-

po spiegò che suo padre da cinque anni girava il mondo, curava e allenava i più importanti

cavalli da corsa, tra il cui il famoso “D'Artagnan”, plurivincitore in tutti i più importanti

grand prix; inoltre addestrava i costosi cavallini arabi, degli sceicchi sauditi... Proseguì per

dieci minuti, esaltando il padre e affascinando l'intera classe e la maestra, finché suonò la

campanella che chiudeva l'ora.

«Già! Mio padre» pensò Brian sbuffando; era sabato mattina, in macchina con sua madre,

come tutte le settimane in quel giorno uscivano dalla città e percorrevano quei cinque chilo-

metri che li avrebbero condotti al carcere vicino. Da quando era nato, aveva compiuto quel

tratto di strada innumerevoli volte, per svariati anni a più riprese. Fece un calcolo mentale:

«Circa sei... forse anche sette!». Sbuffò ancora, e si chiuse in silenzio fino all'arrivo.

Presentarono i documenti, anche se ormai le guardie li conoscevano benissimo, e consegna-

rono il pacco settimanale con lenzuola e vestiario puliti; c'erano altri bambini, mamme, pa-

dri, zii, cugini, ci si conosceva tutti quanti da anni, erano ormai una specie di famiglia, le

mamme si confidavano tra loro, i padri si lamentavano della crisi, e i bambini giocavano.

Dopo dieci minuti di attesa, un agente gridò: «Andiamo!» picchiando le mani per sollecitare

le persone. Attraversarono il cortile come un corteo silenzioso per dirigersi verso una grande

porta blindata, da cui si entrava nella sala colloqui, quando improvvisamente Brian si sentì

toccare una spalla, e una voce che riconobbe subito gli disse: «Ma tu lo sai cos'è la bauxi-

te?». Girandosi a bocca aperta, si ritrovò di fronte Filippo tutto sorridente che gli rivolse an-

cora la parola: «Allora, dove vai?». Non ottenendo risposta, proseguì lui con naturalezza: «Io

vado a trovare mio padre, da poco l'hanno trasferito qui». A quella confessione Brian si rilas-

sò, non era più il solo in classe che doveva inventare bugie, che aveva un padre in carcere, e

accennando un sorriso rispose: «Mio papà», e mentre entravano indicò un uomo seduto die-

tro un tavolo, e Filippo fece lo stesso indicando il suo. «Va bene, ci vediamo dopo, cosa fai

oggi pomeriggio?». Brian rispose: «A dopo!» andando ad abbracciare suo padre.

Da quel giorno i due bambini cominciarono a frequentarsi anche nel doposcuola, diventando

buoni amici. Ogni sabato dalle dieci alle undici si ritrovavano in carcere, era il loro segreto,

erano i figli di due importanti uomini che giravano il mondo per lavoro.

Fine Carimati Luca

10

VORREI TORNARE AL MOMENTO IN CUI…

Da bambini la vita è tutta una corsa proiettata in avanti. Non ci sono ancora momenti ai quali

vorresti tornare, ma soltanto momenti che hai fretta di raggiungere: il tuo primo giorno di scuo-

la, la pubertà, l‟adolescenza, il primo bacio, il diciottesimo compleanno, la patente,

l‟indipendenza…

Poi, all‟improvviso ti scopri a guardare indietro nel tempo e capisci di essere ormai adulto.

Fermi i tuoi occhi all‟immagine che hai di te e ti chiedi: è questa la persona che volevo essere?

E‟ qui che volevo trovarmi a questo punto della mia vita? E‟ così che immagino di vivere?

E‟ allora che cerchi nel passato il momento decisivo, l‟istante in cui tutto è successo, l‟attimo

in cui tutto è cambiato senza che tu te ne accorgessi, senza aver idea di dove quel momento ti

avrebbe portato, senza aver dubbio alcuno sul fatto che se solo potessi tornare al momento in

cui…

Sì, se solo potessi tornare a quel momento, tu lo cambieresti quel momento, e oggi vivresti

un‟altra realtà, vedresti un‟altra persona, faresti un‟altra cosa, saresti altrove…

O forse va bene così, non cambieresti nulla perché sei la persona che volevi essere, ma vorresti

ugualmente tornare a quel momento in cui ti sei sentito particolarmente felice, vorresti rivivere

un momento con una certa persona a te cara o ritrovare luoghi e situazioni che ormai vivono

soltanto nella dimensione dei tuoi ricordi.

In un caso o nell‟altro, finisci sempre con il dirti che non è più tempo, che è troppo tardi per

cambiare le cose, che non c‟è più niente che tu possa fare, né momenti che potresti rivivere.

Invero, nell‟ineluttabile scorrere del caos della vita, rimpianti e nostalgie sono un bagaglio in-

gombrante di cui sarebbe bene sapersi liberare, ma c‟è comunque per tutti noi un momento in

cui si può e si deve tornare: possiamo e dobbiamo tornare al momento in cui abbiamo smesso

di sognare per riprenderci i nostri sogni e provare ancora a realizzarli. Possiamo e dobbiamo

tornare al momento in cui abbiamo rinun-

ciato a vivere pensando che tutto fosse

finito per riappropriarci della nostra fidu-

cia e da lì ricominciare: soprattutto, dob-

biamo saper vivere il momento del presen-

te, imparare a guardare avanti e voler cre-

dere nel buon momento che ci attende nel

domani.

Carmelo

11

SANI RICORDI

Cos‟è un sano ricordo? Ce ne sono diversi nella mia vita al punto che potrei fare un libro, quindi ne

cito uno soltanto.

In quel periodo avevo circa 8 anni e con mio padre siamo andati, col carretto ed il cavallo annesso,

partendo da Borgo Nuovo, una frazione di Palermo dove abitavo in quel periodo alle pendici del

monte chiamato “Bello Lampo”, per recarci a San Giuseppe Jato, paese situato a circa 30 km da Pa-

lermo.

Siamo partiti la mattina presto attraversando le varie località montane, tra cui il Monte Lepre e Porti-

nico, per giungere poi a San Giuseppe Jato.

Una volta arrivati siamo andati dal compare di mio padre,

che non menziono, e caricammo il carretto di meloni bian-

chi che da noi si chiamano “meloni d’inverno” in quanto

venivano appesi al muro singolarmente con dello spago, a

modo di gabbia, per la maturazione e per mangiarli poi nel

periodo invernale.

Il mio ricordo va al tragitto che avevo fatto attraversando e

salendo le montagne su questo carretto, trainato dal caval-

lo: dopo diverse ore di strada la stanchezza si cominciava a

sentire, ma io ero felice, ero con mio padre che mi raccon-

tava di quando era in guerra e di come l‟ha vissuta. Ma la

cosa importante, per me, era che ero lì con lui e non mi

importava se ero stanco: ero con mio padre. Questo è uno dei miei sani ricordi.

Franco

VECCHIA BRESCIA

Tanti anni fa, quando arrivai a Brescia nel 1970, mi recavo spesso su al castello a piedi, dopo la sosta

obbligata allo Chalet per un bicchiere di ristoro. Poi mi recavo allo zoo che era situato all’interno del

medesimo castello, nel quale risiedevano diversi animali, tra cui la tigre (che non ricordo se fosse del

Bengala o Siberiana, ma non ha importanza …); inoltre c‟erano tanti bambini in visita allo zoo con le

mamme o i genitori. Era un‟attrazione semplice ma bella allo stesso tempo, e in quel periodo, quando

Brescia non era ancora espansa come oggi,

trascorrevi una mattinata od un pomeriggio

piacevole, mentre adesso ti devi allontana-

re da Brescia per vedere e fare vedere degli

animali in cattività ai propri figli, devi fare

chilometri in macchina: una volta bastava

fare una passeggiata per vederli ed ammi-

rarli.

Franco

12

C’ERA UNA VOLTA

Spumador , salame, vino, il muleta, frate indovino, mosto, capiana e serraglio, meleti e vi-

gneti, uva brugnola e uva ciavenasca, supergulp e lo zecchino d‟oro, sono le parole che

associo alla mia infanzia. Oggi, con la mente lucida, i ricordi si fanno più chiari, con no-

stalgia riaffiorano, quando vissi cinque anni con i miei nonni. Gli anni settanta, un piccolo

paese dell‟arco alpino, dove le strade non erano ancora tutte asfaltate, molte pavimentate

col rish, i ciotoli. Vi scorrazzavano i cani liberi senza aver mai conosciuto guinzagli e col-

lari. Gli uomini andavano all‟osteria e tra un calice di rosso e l‟altro giocavano alla mora e

alle bocce. Le donne, con il classico “scusal” si ritrovavano alla fontana, per lavare i panni

e socializzare. I giovani non esistevano, dopo la scuola dell‟obbligo si era già troppo gran-

di e bisognava andare a lavorare. Mestieri ormai scomparsi, come lo strascè, lo spazzaca-

mini, il rutamat e quando arrivava era un evento. Il muleta che richiamava le donne con la

sua voce: “le chi „l muleta, forbes, cuttei, si consolano le vedove!”, i bambini gli andavano

incontro per vedere quel prodigio di ingegneria meccanica: una pietra circolare era collega-

ta tramite una cinghia al motore della vespa, la televisione aveva due canali e le trasmissio-

ni iniziavano alle quattro del pomeriggio. Ricordo mio nonno i suoi baffi che arricciava

agli estremi, un occhio bianco, causa di una cinese degli anni 50 sentivo dirgli.. immagina-

vo una donna con gli occhi a mandorla che gli infilzava l‟occhio con le unghie lunghe. Il

colbacco nei giorni di festa, il vecchio motocarro, suo unico e fedele mezzo di trasporto. I

racconti dei partigiani in Albania, dove andava a trascorrere le vacanze. Crescendo, mi son

sempre chiesto quanta gente andava a trascorrere le vacanze nel paese più povero d‟Europa

con una rigida dittatura. Ricordo che affermava di odiare i preti e non sarebbe entrato in

chiesa nemmeno da morto. Mia nonna era esattamente il contrario, donna di fede, in cucina

aveva la foto di papa Roncalli ,e tutti gli anni immancabile il

calendario di frate indovino. Aveva lunghissimi capelli neri,

lisci, che le arrivavano in fondo alla schiena. Nessuno a parte

noi l‟aveva vista così al naturale, perché li portava raccolti.

Era forte, con due braccia contadine. Tagliava la legna come

si taglia il burro. All‟uscita dell‟asilo mi veniva a prendere, mi

portava in “cabreta”, su per una ripida salita fino a casa, dove

poi mi sfamava con un panino al salame, oppure imbevuto di

vino e zucchero, come si diceva, il “vin al fa sanc”. Lei era la

padrona di casa, ma tutti e due si prendevano cura dei vigneti

dietro casa e i meleti che coprivano le pendici della montagna

sopra il paese.

Oggi penso molto a quei periodi, con nostalgia, forse è per

quello che ho scelto di tornare alla terra, una vita semplice,

senza fronzoli, una nuova età dell‟innocenza.

Luca

13

Colombia

È il paese dove sono nato, dove ho passato la mia infanzia e

l'inizio della mia gioventù.

Come per tutti, anche per me il mio paese è il migliore, senza

negare le cose negative che vi succedono.

Sono nato a Cali la città della salsa, sono cresciuto a Buena-

ventura la città del divertimento dove la gente lavora per vi-

vere, non vive per lavorare. La parola d'ordine è "divertirsi".

Un tempo Buonaventura era una città sana, dove la delin-

quenza occupava una piccola parte della città. Al giorno

d'oggi la delinquenza ne occupa la buona parte. Buona ven-

tura è arrivata ad essere la città più pericolosa della Colombia.

Mi ricordo quando ero bambino, mi piaceva quando mio padre mi portava in giro per vedere

gli addobbi delle strade, era una cosa che mi regalava tanta felicità.

In dicembre non potevano mancare le luminarie, in tutte le case venivano accese nei giardini

e nei balconi delle candele colorate.

Come sempre succede, tutto passa. Cominci a crescere e vedere la vita in maniera diversa.

Non conta più il giro che facevi con tuo padre, contano i soldi che puoi avere per portare in

giro la ragazza più bella del paese, cominciano le ambizioni.

Questo succede alla maggior parte dei giovani del mio Paese,è stato la maggior causa

dell'aumento della delinquenza, senza dimenticare la mancanza di lavoro e della voglia di

lavorare.

In Colombia, come in altri Paesi, c'è chi sta molto bene economicamente e chi sta male.

I ricchi che vogliono diventare sempre più ricchi, ogni tanto dimenticano che vengono dalla

povertà.

I poveri sempre più poveri, abituati ad avere la speranza che Dio provveda per loro per risol-

vere i loro problemi.

L'inizio della mia gioventù, finora, è stato uno dei momenti più belli che io abbia vissuto: un

giovane quindicenne con moto, soldi e ragazze.

In Colombia chi ha questi piccoli privilegi è visto con altri occhi. Per noi è qualcosa di nor-

male, come vedere un giovane di tredici anni con una pistola, una ragazzina di sedici anni

incinta oppure una coppia di quindicenni che convivono e non sotto il tetto dei loro genitori.

Nella sua negatività la cultura colombiana ha i suoi vantaggi, ci insegna a crescere per af-

frontare la vita e le sue diffi-

coltà e non lasciarci sconfig-

gere moralmente da nessun

tipo di problema. Ci insegna

anche una buona educazio-

ne, il rispetto per il prossimo

e la cosa più importante:

l'amore per i nostri genitori

ed i nostri cari.

Diego

Cristo Rey en Cali, Colombia

14

VORREI TORNARE QUANDO…

Nella mia infanzia, vivevo gioioso nella “CASCINA QUARTIERE”, così si chiamava, forse per la

sua imponenza, e per il numero di famiglie con relativi ed innumerevoli figli che davano vivacità e

animosità alla stessa.

Riassumervi tutto in modo sintetico sarebbe riduttivo per il valore di questa traccia della mia infan-

zia; cercherò di farvi sentire i profumi, i sapori, descrivervi i fatti, i personaggi, che con gli eventi

naturali contribuivano a far vivere in modo sereno, spensierato e soprattutto felice questo grande mio

ricordo. Oltre alla vastità enorme di ettari di terra adibiti alle varie coltivazioni, all'interno della casci-

na si allevavano MUCCHE FRISONE e tantissimi MAIALI. C'era un caseificio, cui mio PADRE era

CAPO CASARO, una CHIESETTA e LA SCUOLA.

Nasco io, e nasce la TV: era il 1954, il primo ricordo che dà inizio alla mia memoria infantile fu

quando mi presentai alla scuola interna per entrare in 1° elementare, accompagnato da mia madre.

Grembiulino NERO al ginocchio, colletto gigante bianco con fiocco rosso, relativa cartella di cartone

pressato contente due QUADERNI NERI (uno a righe, l'altro a quadri), due lapis, sì, così si chiama-

vano, perché le matite erano allora cosa raffinata, e l'immancabile cestino di plastica con le merendi-

ne, ed i favolosi CREMINI che mi toglievano il fiato quando li assaporavo.

In conclusione una MAESTRA, un MAESTRO, ed un PRETE per le tre classi elementari era l'essen-

ziale; poi dalla 4° alla 5° si cambiava... con inchiostro nei calamai sui banchi, pennini dalle variegate

forme, tenuti gelosamente nell'astuccio in legno, perché dovevano durare.

Con la chiusura dell'Anno Scolastico, la CASCINA iniziava a prendere ancor più vita con la nostra

presenza, quasi fosse un'esplosione di FESTA e di GIOIA.

PRIMAVERA-ESTATE con i soli zoccoli, o a piedi nudi per aver ancor più quel senso di Libertà

che gli stessi non ti davano; e via nei campi ad essere utili.

I più grandicelli già guidavano con le ridotte inserite un trattore chiamato “LA PICCOLA”, mentre

gli uomini e le donne raccoglievano con i forconi il fieno, e noi in tanti sul carretto attaccati alle

sponde per pressarlo, e sentire quel gradevole profumo che ti rimaneva sulla pelle fino a sera, quasi

da non volerlo togliere.

Poi la trebbiatura, e noi tutti in fila orizzontale come un esercito, pronti a scovare nidi e uova di qua-

glia per soddisfare i palati dei nostri nonni.

Non meno quando si irrigavano i CAMPI di MAIS; si chiudevano parte dei fossi per aprire le chiuse,

e nelle pozze d'acqua rimaste c'era un brulichio di pesci: VAIRONI, BOSE, GAMBERI, ANGUIL-

LE, che a mani nude prendevamo e ponevamo ognuno nei propri secchielli, quasi fosse un TROFEO

per donarlo alle rispettive madri, fiere di preparare una variante per cena ai propri mariti, stanchi

morti per il lavoro, che però si ringalluzzivano solo a sentire il gradevole odore.

La raccolta dei gelsi per i bachi da seta era compito nostro, dovuto alle madri che gelosamente sui

solai accudivano su enormi arelle, finché diventassero bozzoli biancastri, pronte a ricavarne l'utile,

con il solo scopo di acquistarsi un abitino e qualcosa per noi ragazzi.

Non dimentico però le grandi abbuffate dei frutti del gelso (NERI o BIANCHI) dolcissimi, che porta-

ti a casa rivolti nelle nostre magliette lasciavano quella traccia bluastra che nemmeno la candeggina

riusciva a togliere. E poi, le nostre scorribande nei campi di ANGURIE e MELONI, l'assalto alle

piante di CILIEGI ed ALBICOCCHE, pannocchie di MAIS abbrustolite erano sempre il motivo di-

vertente delle nostre merende di gruppo; e via tutti a tuffarsi nel Mella le cui acque chiare ora sono

solo un lontano ricordo.

15

LA RIVOLUZIONE DEL FILO DI PAGLIA

Il giorno in cui è arrivato il mio ordine di carcerazione ero nei campi a lavorare… Sì, perché da un paio d‟anni

avevo deciso che avrei fatto l‟agricoltore e tuttora è quello che desi-

dero fare, appena uscirò da qui.

Negli anni, vedendo l‟Italia, e non solo, sprofondare nell‟attuale

recessione economica, riflettei a lungo su quale fosse la miglior cosa

da fare. La conclusione fu: fare un passo indietro, per farne due a-

vanti. Per me era tornare alla terra, sfruttando così il mio amore per

la natura.

Il primo obiettivo era quello di rendermi autosufficiente, portare in

tavola quello che producevo, per me e per la mia famiglia.

Il secondo era quello di coltivare prodotti sani e genuini. Ovunque

andavo, vedevo un inquinamento spietato. Al supermercato, verdu-

re, frutta, più che essere coltivate, avrei detto fabbricate.

E l‟ultimo obiettivo, avere un possibile guadagno, meglio ancora

sottoforma di baratto. Chi fa una scelta radicale come questa deve liberarsi dal consumismo sfrenato e dal su-

perfluo. Questa pausa forzata in carcere mi ha dato modo di approfondire l‟argomento, poiché mi sono impe-

gnato in letture sull‟agricoltura alternativa, che sembrano più dei saggi di filosofia e teologia. Le idee di questi

libri ribaltano completamente il sapere della società occidentale, passato da generazione in generazione. Oggi la

gente crede che bisogna ammazzarsi di fatica per mantenere un campo, mentre bisognerebbe cooperare di più

coi cicli naturali; le colture intensive sono contro natura; i parassiti, le erbacce, il non arare, il non concimare

hanno un ruolo fondamentale nella fertilità di un terreno e nell‟equilibrio biologico. Possiamo osservare tutto

questo ovunque nella natura spontanea e selvaggia, durante tutto l‟anno.

Oggi, attendo con un po‟ di frustrazione il momento di uscire, per poter mettere in pratica il mio sapere e quello

che sto apprendendo ogni giorno, e per poter sperimentare, sedere ai bordi di un orto, sulla terra scaldata dal

sole, veder crescere quello che ho seminato. Un‟agricoltura sana e completa nutre l‟intera persona, corpo e ani-

ma. Luca Carimati

Al calar della sera tutti a nanna presto, con l'immancabile bicchiere di latte da bere.

Il canto dei grilli e delle ultime cicale, accompagnate dalla luminosità delle lucciole, era quasi un in-

vito a sognar favole dolcissime, quanta nostalgia mi viene ANCORA!

In AUTUNNO ed INVERNO, era un vero sacrificio per noi rimanere in casa. Allora le stagioni era-

no vere, ed il GENERALE INVERNO non perdonava.

Il camino, il fuoco, il tepore del focolare erano il salotto principale dove ci si riuniva quasi da entrare

dentro. Oserei dire il cuore pulsante di ogni casa, ove si svolgevano tutte le primarie attività.

Il fuoco parlava; rumoreggiava, emanava luce, profumi di legna, ombre di figure con l'immancabile

odore di cibo e polenta.

Noi tutti lo ascoltavamo, quasi fosse una persona cui dedicare molta attenzione.

Era la stagione dei CACHI, del CASTAGNACCIO, del melograno che adornavano il camino da ren-

derlo ancora più vivo, e l'AVVENTO DI S. MARTINO, l'11 novembre, con i ghiaccioli a candela

ben in vista sotto le grondaie, era il segnale malinconico di qualche trasferimento ed arrivo di nuovi

nuclei familiari, in cerca di una posizione economica migliore.

Il saluto affettuoso a chi partiva con i figli piccoli era sempre carico di grande commozione e profon-

di pianti.

Solo l'evento di S. Lucia, da noi atteso quasi spasmodico, e l'uccisione di tanti maiali, con il rito della

divisione per nucleo, erano una vera festa che ci teneva a casa da scuola.

Era un motivo per ridare allegria e vivacità alla CASCINA, avvolta dall'immancabile spessore di

nebbia, che a fatica non ci faceva distinguere l'uscio di casa nostra.

I nostri giochi quasi rudimentali creati da noi, le biglie, il CIANCÖL, il salto con la fune in due, un

fucile fatto con le mollette e come elastico gomma delle camere d'aria, le sfide con i tappi a corona...

Vorrei dedicarvi altri fogli di questi miei bellissimi ricordi, vissuti fino ai 9 anni, quando venni poi ad

abitare in città.

AAH... DIMENTICAVO, lo SCALDINO a brace che dava calore alle lenzuola umide e fredde.

SCUSATE, VOGLIO SALIRE IN CAMERA PER CONTINUARE A SOGNARE!

Piova54, Verziano, Maggio 2014

16

HO OCCHI SOLO PER TE Finché avrò vita avrò occhi solo per te: è una delle espressioni usate per descrivere lo stato

d'animo di una persona innamorata, intensamente e totalmente presa dall'amata o dall'amato.

Ciò che cattura il nostro occhio, cattura noi. E può anche succedere di non avere, invece, la

capacità di vedere.

Finché avrò vita avrò occhi solo per te, mi sembra che sia una questione che va ben al di là

della dimensione affettiva o romantica.

È invece una questione quasi drammatica che definisce interi modi di vivere. La capacità di

vedere non è legata tanto all'uso dei sensi, quanto all'uso del cuore e del discernimento. Ci

sono normovedenti che non vedono nulla, e non vedenti o ipovedenti con un'acuta capacità

di vedere. Il problema non è nuovo. Pensate, ad esempio, a quante volte nella Bibbia e nel

Vangelo ci sono brani tipo: hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non odono. A indi-

care varie forme di mancanza di vita: quella degli idoli costruiti dalle mani degli uomini, ma-

teria inerte; il non vedere la presenza di Dio, la salvezza che non viene colta; un annuncio di

pienezza disprezzato e ignorato. Vedere può essere doloroso, terrorizzante, rassicurante, bel-

lo, eccitante, emozionante. Puoi vedere il dolore del mondo; uno splendido panorama; gesti

di incredibile generosità, amore, intelligenza; abissi di cattiveria; puoi vedere il bene che si-

lenzioso si fa strada, e che non perde più le posizioni guadagnate. Vedere non ti lascia mai

uguale: vuol dire coinvolgersi, prendere parte, compromettersi, scegliere. Buttarsi fuori da se

stessi, lasciare le proprie sicurezze. Come abituare i propri occhi a vedere? Sarebbe davvero

bello vedere, ed essere in grado di insegnar-

lo. Sarebbe come sapere educare i cuori a

non nascondersi, a non avere paura, a sce-

gliere il meglio anziché il peggio o il medio-

cre. Perché poi alcuni vedono e altri no, ri-

mane un quesito al quale non so rispondere.

A parità di esperienza di vita ad alcuni gli

occhi si aprono, ma ad altri no. Chi poi sia

più fortunato lo lascio decidere a voi; vedere

può far davvero soffrire, ma anche riempire

di gioia e di senso vite che rischiano sempre di scorrere via senza lasciare tracce né sorrisi.

Fino a quando avrò vita avrò occhi solo per te. Io la direzione dove guardare l'ho trovata.

OMAR 138

Perché mi piace scrivere?

Mi è stata fatta questa domanda da Andrea ed è giusto che risponda. In questo contesto in

cui mi trovo adesso lo scrivere è fondamentale per tenere vivo un rapporto con l’esterno, di

amicizia con persone a te care per le quali provi affetto, e per tenersi informati sugli eventi

che si susseguono nel tempo. Questo è uno dei motivi piacevoli dello scrivere. Poi c’è lo

scrivere per il giornalino che ti permette di esprimere le tue sensazioni su argomenti ri-

guardo ai quali prima non immaginavi e non pensavi di poter scrivere. E’ anche rilassante

e ti aiuta a trascorrere alcune ore senza pensare a dove ti trovi. Ti permette, e lo trovi bello,

che altri leggano quello che tu hai scritto e, talvolta, apprezzino il tuo modo di esprimerti, e

lo fai non per attirare l’attenzione, ma perché alla fine piace anche a te stesso. Dai modo di

far capire in fondo quello che potresti essere e quello che sei stato narrando delle esperien-

ze vissute.

Sì, mi piace scrivere perché ti aiuta a riflettere.

FRANCO

17

IL PRIMO PERMESSO

di Vincenzo

Quando mi hanno concesso il primo permesso, “me lo hanno co-

municato il giorno prima”, non sentivo più niente intorno a me, o

non sapevo cosa sentivo. Per far trascorre il tempo mi sono messo a

camminare nel corridoio, mi mancava soltanto qualcosa su cui con-

centrare l‟attività mentale. Dolcemente, senza affanno, srotolavo

pensieri. Le ore che mi separavano da casa, dopo lungo tempo, non

volevano scorrere in fretta, ma la fatica della loro resistenza sem-

brava urlare la precarietà della loro durata.

Appena uscito, sentivo il cuore appartenermi più di ieri. Mi stava

parlando con maggior ricchezza; la mia felicità lo inebriava, dipin-

gendomi la vita di azzurro, come il cielo, che dopo tanto tempo

vedevo nella sua interezza!

QUANTA BELLEZZA HA IL VALORE DEL SILENZIO

Ci penso ogni volta, ci pensavo anche ieri

dopo aver ricevuto una straordinaria notizia

che aspettavo da mesi.

Poi in quel lungo corridoio

che porta in sezione

mi sono messo ad ascoltare in libertà

il suono del silenzio.

Sentire solo il battito del proprio cuore,

e dare forma ai pensieri futuri

quasi da sentirsi ancor più sprofondare nel silenzio,

in forma emotiva.Forse oggi il carcere mi ha insegnato ad ascoltare,

e soprattutto ad ascoltarmi;

e sono sicuro che per questo

uscirà da qui un uomo miglio-

re.

I rumori non riempiranno più

la mia vita,

così chiassosi,

che amplificano solo la super-

ficialità esteriore.

La mia libertà,

dopo,

sarà anche poter ascoltare

la ricchezza del silenzio.

Piova 54

18

PER LA MAMMA

Ciao mamma,

non so se è giusto cominciare così, ma voglio dirti che ti ho sempre voluto bene

e amata da figlio. Sei stata una mamma speciale e, nonostante la mia età,

mi manchi tanto... mi mancano i tuoi consigli e le tue severità.

Sei stata mamma silenziosa di segreti non confidati ma capiti dalla tua sag-

gezza; per mia colpa non ho potuto darti l’ultimo saluto e con gioia dico che

sei sempre con me e nei miei pensie-

ri, belli e brutti che siano: è per

questo che ti ringrazio sino al mio

ultimo respiro.

E’ triste non poterti dire “auguri ”

per la tua festa, ma posso fare tan-

ti auguri a tutte le mamme di que-

sto mondo .

Grazie di essere esistite e di esistere.

Franco

Scriverci una lettera

di Vincenzo

Scriverci una lettera è un modo per sentirci vicini an-

che quando non lo siamo.

Il tempo fa sbiadire anche i colori più forti, le parole

scritte no!

Nelle parole che ci scriviamo c‟è sempre qualcosa che

fa più grande il nostro amore, resteranno parole non inquinate da questo mondo che annulla

tutto; puoi scriverci anche parole semplici: saranno le più belle, le più grandi. Puoi dire di

tutto: le tue paure, le tue debolezze. Lei non chiacchiera e non sparla e non ti serviranno pa-

role romanzate per far felice chi la riceve. Anche se certe volte ne resterà solo fonte di ricor-

di amari.

19

Lettera di risposta alla testimonianza di Massimiliano da parte dei detenuti di Canton Mombello

Brescia, 20 aprile 2014 Caro Massimilano, proprio oggi Monsignor Mascher è venuto a trovarci per la celebrazione della messa. Dopo aver letto il Vangelo ha portato la tua testimonianza. Parlandoci di te e di quello che ti è successo, ma soprattutto di come sei salda-mente aggrappato al dono sacro della vita. Ci hai regalato una forte commozione e una carica immensa. Hai tutto il corag-gio nel parlare di coraggio, sono le persone come te autorizzate a farlo. Quanto al cuore, che come giustamente dici, genera coraggi, ci sembra che tu ne abbia da vendere. Sicuramente sei un uomo di grande fede, quella che troppo spesso al giorno d'og-gi viene accantonata senza capire che, privi di essa, non esiste amore, cuore, co-raggio. È anche grazie ad una testimonianza come la tua che la fiamma della fede con-tinua ad alimentare e riscaldare i cuori troppo freddi e ciechi della gente. È con il cuore riscaldato dalle tue parole che vogliamo ringraziarti e dirti che da oggi sarai il nostro rifugio nei momenti di sconforto. Continua sempre a lottare e a darci l 'esempio. Con infinita stima e ammirazione ci stringiamo a te, con un forte abbraccio e anche se tardi(ma meglio tardi che mai) buona Pasqua 2014.

I tuoi amici detenuti di Canton Mombello

POLITICI

Anche quest‟anno ci saranno le elezioni. E come al

solito, arrivano questi personaggi che ci prendono in

giro con le loro promesse e le loro bugie. Invece di

migliorare la vita dei cittadini, migliorano solo la

propria e quella delle loro famiglie.

Ogni volta spero che questa realtà cambi, altrimenti

che futuro può esserci per i ragazzi? Di certo non ci

sarà mai. E allora, vorrei dire una cosa: “Basta pen-

sare solo a voi ed iniziate a fare le cose per le quali vi

abbiamo eletto!”.

Sheik M.

Disegno di Mario

20

Un blu perfetto Pasqualino quando ancora frequentava la scuola doveva essere il classico secchione un po' sfigato di

cui tutti si burlavano, senza amici se non quei pochi come lui.

Da grande aveva deciso di entrare nella polizia penitenziaria dove aveva portato la sua indole di pre-

ciso e diligente secchione.

Chiaramente portava gli occhiali, sul viso un'espressione mite e mansueta, il suono della sua voce

aveva sempre la stessa frequenza bassa e flebile, parlava poco, ma non dimenticava di dare educata-

mente il buongiorno, la buonasera, la buonanotte a tutti, come fosse un gesto inderogabile.

La divisa sempre impeccabile, la indossava come una seconda pelle.

Era “afficionados” delle perquisizioni con grande spreco di guanti in lattice, ogni volta che gli passa-

vi davanti era un buon motivo per tastare, nel caso avessi portato armi di distruzione di massa, con sé

aveva il suo inseparabile metal detector, che suonava sempre in ogni caso, lo passava sopra i vestiti e

dopo averti spogliato, anche sulla pelle nuda, certo un buon imbosco!

Ma chi si sarebbe aperto il torace per nascondere un'arma fra le costole?

Aveva anche la sua fedele lampadina, che nei suoi giri notturni illuminava le nostre celle trasforman-

do la notte in giorno.

Durante i colloqui con i familiari non amava che tra questi ci fossero effusioni; tra consorti o partner

anche ad un innocente bacio, gli si rizzavano le antenne, picchiava sul vetro separatorio e gesticolava

per far smettere quello sconcio.

Faceva il suo lavoro con grande dedizione, scrupoloso e metodico, faceva le conte fino all'esaspera-

zione dei detenuti, non perdeva una battitura delle sbarre, molto scrupolosamente non ne tralasciava

una, sia verticali che orizzontali. Si accertava che i detenuti bevessero la terapia davanti a lui control-

lando bene che il gargarozzo andasse su e giù nell'atto dell'ingoio, si accertava anche che i reclusi

non fumassero anche dove si poteva.

Molte volte ho avuto il dubbio che facesse le perquisizioni e i rapporti pure ai colleghi, se non addi-

rittura al commissario.

Ma in lui c'era qualcosa di apprezzabile: al bisogno di qualsiasi detenuto si sarebbe fatto in quattro.

Dopo tanto tempo ho scoperto che si chiamava Pasquale ed era mio paesano.

Quando uscirò di qui, se dovessi incontrarlo in paese, lo inviterò a bere un caffè!

Marcello

IL DETENUTO Chi non conosce Del Moro… con quel suo viso scolpito nella roccia dura, la voce quasi roca come se avesse

urlato per tutta la vita, la sua falcata decisa quando passeggiava, aggredendo gli spazi del carcere.

Di sicuro, dalle sue parti, il lago di Garda, avrebbero potuto fargli un monumento maestoso, magari proprio in

cima, dove il lago incontra il Trentino, che domina quel grande specchio d‟acqua. Intanto era qui, e in ogni

modo, sentivi la sua presenza, essendo un grande egocentrico presuntuoso. In ogni corso o discussione riusciva

sempre a far divergere l‟argomento su di lui e sulla sua vita. Amava scrivere sonetti struggenti, così pieni di

enfasi, nostalgie e amore. Per fortuna in carcere erano proibite le corde: qualcuno troppo sensibile, dopo averli

sentiti, avrebbe potuto compiere un gesto inconsulto.

Con quei suoi foglietti gialli si aggirava per il piano alla ricerca di un critico letterario, di un‟ approvazione.

Allora vedevi i detenuti dileguarsi nelle loro celle pur di evitare il supplizio. Se non erano i suoi scritti, era

qualche sua avventura degli anni passati, o una barzelletta che riusciva a far diventare sua, come se l‟avesse

veramente vissuta, lasciando il dubbio in chi non lo conosceva bene.

Non era vecchio, ma pagava una certa età quando si giocava a carte, a parte l‟irruenza che gli faceva giocare la

carta senza riflettere, dimenticava tutto, e faceva cadere la colpa sul compagno di gioco, il viso gli diventava

viola, la vena sul collo si ingrossava e sbraitava, non volendo sentire altre ragioni. Era proprio lì, nella sconfit-

ta, che veniva colpito nel vivo, e lo faceva rosicare per ore. Allora, ricominciava ad andare su e giù per il corri-

doio, cercando di smaltire l‟umiliazione subita. Insomma, il Moro era un vulcano, un tornado, un iceberg, tutti

quegli elementi della terra che portano distruzione o fanno un gran fracasso. Ultimamente con nostro grande

sollievo aveva cominciato ad andare in permesso, lasciandoci così respirare. Se il magistrato lo lasciasse andare

definitivamente, sarebbe un sollievo per tutti, molta gente non soffrirebbe più delle tante ulcere causate da lui.

Carimati Luca

21

A SCUOLA DI LEGALITA' : PROGETTO

“IN-FORMIAMOCI”

Per la prima volta il progetto scuola “Ne Vale la Pena” promosso da alcuni anni

dall'associazione Carcere e Territorio nel-le scuole superiori di Brescia e Provincia, approda alla scuola media.

In accordo con la Scuola Secondaria di I grado Galileo Galilei e il patrocinio

del Comune di Nave nasce, in via spe-rimentale, il progetto “In-formiamici” per parlare di legalità e riparazione con i

ragazzi delle scuola media. L'obiettivo del progetto è quello di dif-

fondere tra gli studenti della scuola media la cultura della legalità, della solida-rietà e della condivisione dei valori e dei diritti, ma anche dei doveri, fondamen-

tali sanciti dalla Costituzione Italiana. Si sono voluti affrontare con i ragazzi ri-

flessioni sui comportamenti legali e non legali, sui comportamenti considerati

reati e non, al fine di diffondere condotte conformi alle norme giuridiche vigenti,

così come provare ad andare oltre gli stereotipi dell’immaginario comune legati

a “chi sta dentro” e “chi sta fuori” dal carcere. In questo contesto, utile è altresì l’approccio al concetto di giustizia riparativa, che considera il reato non solo come momento che riguarda vittima e reo, ma

anche come conflitto coinvolgente l’intera comunità, allo scopo di coinvolgere direttamente i giovani nella ricerca di possibili soluzioni a comportamenti de-vianti. 10 le classi coinvolte, 8 i volontari che di sono dedicati con impegno a sviluppa-re il progetto e a recarsi nelle classi per gli incontri.

Le classi prime si sono confrontate sul concetto di regola con lavori di gruppo e individuali per poi passare all'analisi di alcuni principi fondamentali contenuti nella nostra Costituzione.

I ragazzi di seconda si sono confrontati con il processo penale minorile e le con-seguenze con cui si può confrontare un pre-adolescente che commette un reato.

In seguito, in continuità con il progetto “monopattino” che prevede la costituzio-ne di un consiglio comunale interno alla classe, si è affrontato il tema della giu-stizia riparativa è si è svolta, in ogni classe, una simulazione di un possibile in-

contro tra: amministrazione comunale, un gruppo di minorenni che ha commes-so alcuni atti di vandalismo sul territorio e i genitori dei ragazzi, tutti coinvolti

nella ricerca di soluzione alternative a quelle meramente punitive in un'ottica di promozione della responsabilizzazione delle parti coinvolte e di benessere della

comunità. I ragazzi si sono dimostrati attenti e partecipativi, curiosi di affrontare la temati-ca della legalità e di scoprire nuovi aspetti di un argomento del quale forse non

sono abituati ad occuparsi. Esperimento ben riuscito!!

Marta

22

DONAZIONE DI ORGANI

Dall’incontro del 21.02.2014

Scrivo da “volontario” in quanto ho prestato servizio in un‟associazione che trasportava dializzati nei vari ospe-

dali di Brescia e provincia e ne ho ricavato un‟esperienza, una grande esperienza!

Accompagnare queste persone, carcerati della pro-

prio sofferenza, per tre volte alla settimana, ancorati

per quattro ore con la speranza di essere in lista e

che un giorno o l‟altro potranno essere sottoposti ad

un trapianto. Vivono tramite quella macchina che

purifica e lava loro il sangue, necessaria per tenerli

in vita. Tanti arrivano ad una sorta di “fine pena” del

loro “ergastolo” con la morte “liberatoria”; mentre

altri sono più fortunati nell‟aver trovato un benefat-

tore che, donando loro un rene, li ha fatti rinascere

dando loro la libertà di vivere una vita nuova.

E‟ un gesto meraviglioso e di massimo altruismo,

ma c‟è anche da dire che la cronaca nera dei mass

media ne ha fatto notizia, come è giusto che sia, in modo da far sì che non avvenga un traffico di organi, a dir

poco infamante, sfruttando la sofferenza di persone che la vivono in prima persona. Io, come detenuto in carce-

re, in tutta franchezza, dico, e ne sono convinto, che la mia situazione non è di sofferenza ma è semplicemente

di mancanza di cose e persone che in libertà non ti fai mancare. Concludo scrivendo un mio pensiero: “Sarebbe

importante informare la gente comune che una donazione di un organo non comporta reato; bisognerebbe sen-

sibilizzarla maggiormente tramite la TV e rivalutare l‟atto misericordioso (cioè donare qualcosa di tuo) ed esse-

re ricordati anche se nell‟anonimato, con la consapevolezza che il donatore ha fatto vivere altri esseri umani. E‟

importante informarsi su come fare”.

Grazie per l‟attenzione,

Franco

IL VOLONTARIO

Agostino: il ciuffo spavaldo e sfrontato è il suo tratto distintivo, da cui deriva il suo soprannome, “ciuff-man”.

Tanti potrebbero pensare che sui suoi capelli, invece del gel o la lacca, ci spalmi il viagra. Tiene la sigaretta

sempre in mano, che porta alla bocca con charme d‟altri tempi, come fosse uno di quegli attori dei film francesi

e degli anni Cinquanta. Gli basta alzare il sopracciglio sbarazzino e stuoli di donne sverrebbero. Agostino,

l‟arte e le donne … tutte le donne!

Molti pensano: “Figurati, l‟artista!”. Vita di eccessi, magari droghe, come la cocaina... La verità è che se lui

dovesse incontrare la cocaina, sarebbe quest‟ultima ad eccitarsi. Lui è l‟artista diligente: l‟arte per lui non vuol

dire eccesso, ma regole.

Come riesce a manipolare la creta e l‟argilla, può manipolare chiunque con la sua voce, sicura, sciolta e voluta-

mente suadente. Senza dimenticare il sopracciglio sbarazzino che dà il colpo finale.

Un‟opera da finire, uno sguardo, due colpi secchi e sicuri, zic zac, porta un dito alla bocca, osserva attentamen-

te, un cenno della testa, un ultimo colpo di spatola e zac! Perfetto, è nata una nuova opera!

Finisce la lezione, ci saluta con una forte stretta di mano, alla Jean Gabin, saluta le ragazze : “Ciao amori, te

quiero, vi adoro, baci e abbracci, ci vediamo martedì prossimo!”. È finita. Finalmente può abbassare il soprac-

ciglio.

Carimati Luca

23

PREGHIERA DIETRO LE SBARRE

di Vincenzo

Gesù! Io ti chiamo e tu non rispondi.

Ti chiamo di giorno ti chiamo di notte e tu non rispondi.

Ma io non smetterò di chiamarti, non lascerò che ti dimentichi di me!

So che tu sei qui, ti sento, respiri qui, tu vivi qui intorno, ti sento nell’aria che

pesa sul dolore.

Non ho più voce e non posso più urlare, ma dentro il mio cuore grida il tuo

nome.

Mi manchi, Gesù, anche se sento la tua presenza.

TU, TUTTA UNA VITA

E’ inevitabile Tornerò alla terra Preso per mano Dal destino onnipotente Mi tormenta il voler saper Se colei che mi è stata vicina Tutta una vita Sarà con me in quell’istante Tu, che hai condiviso Con il mio essere

Il bene e il male, sorrisi e gioie, cadute e risalite indiscussi sentimenti gustato i frutti dell’albero

della mia vita terrena mi logora il sol pensiero che tu mi possa abbandonare rivelandomi verità nascoste che io non volevo allor sapere per non essere complice di ingiustizie dannate e possa rompere il cordone ombelicale candido e puro che ci ha unito tutta una vita

spero vorrai concedermi un ultimo spirituale ballo eterno tu, cara dolce anima, tu.

Mario Perretta

"Ho scritto questa poesia per tutte le persone che hanno un talento, ma che non

sanno di avere oppure non lo sfruttano.

Nella speranza che un giorno qualcosa cambi per queste persone. La speranza di

ottenere qualcosa di migliore, lasciandosi cadere nell'abisso senza capire che la

speranza è nel presente, nell'attimo e nelle possibilità che noi, senza accorgerci,

lasciamo andare via"

La esperanza

La esperanza esta en el futuro.

Hoy no soy tan maduro quizas.

Para esplicar mas, lo puedo comparar con lo poco

que he vivido.

Estoy mas que convencido que para poder cambiar

solo debo analizarmis mas importantes pasos.

No creo que sea un caso.

El talento de cada uno lo veo tan oportuno

y considero valorar que el pasado

es igual al mismo presente.

Es mas elocuente del esfuerzo

y la importancia para muchos es

perseverancia, para mi es la simple.

Carlos Planche

24

SEI

6 una rosa nel deserto…

6 una rosa a cielo aperto…

sei un cerbiatto che si abbevera in un lago…

6 un ruscello di montagna…

6 un girasole in aperta campagna…

6 una perla in fondo al mare…

6 un veliero, il mio stupore …

6 l'aurora boreale, e come una stella polare

splendi e illumini il mio cuore…

6 un rubino, uno smeraldo,

e con il tuo pensiero mi riscaldo,

6 quel vuoto che mi manca,

e affermandolo non mi stanca…

6, 6, 6 imprevedibile nei giorni miei, e chissà

se sai…

6 la neve, acqua di sorgente…

6 indispensabile per la mia mente…

6 unica nei pensieri miei, e così semplice-

mente sei..

6 sempre e solo come ti vorrei

6 un arcobaleno dopo un temporale

e con te svanisce ogni mio dolore…

6 la mia vita,

6 una favola infinita,

6 come il sole nel cielo azzurro,

6 tu il sogno di cui io parlo,

6 una limpida mattina, un desiderio…

6 tanto dolce, così donna e un po’ bambina…

6 una poesie, con le sue rime

e più ti penso, più e senza fine,

fine a te o fine a se stessa,

6 e rimarrai per sempre la mia principes-

sa….

6,6,6 la mia aria, senza te non vivrei,

sbarre e tempesta, in questa casa di metalo…

amore… aspettiamo il sole e ci unirà in un

anello,

e la luna regina con la sua lucente corona

padrona delle ombre, e imperatrici delle notti

ci farà da madrina, in questo mondo di matti,

ipnotizzato te lo dico…

I love you forever cicho.

Tiziano

IL GIORNO Dal mattino in poi,

per tutto il giorno,

me ne sto in cella nel corridoio, un po’ con

gli amici intorno,

ma ogni notte parto per il paese dei sogni,

remoto e strano.

Sono da solo.

Risalgo verso i sogni misteriosi, strane cose

mi aspettano,

cose da guardare e visioni orride di questo

mondo.

Finché al mattino cambia lo sfondo.

Inutile ritrovare la vita di giorno in giorno.

Non ricordo dove sono,

non riesco esattamente a ricordare la stra-

na musica

che udivo risuonare nella mia vita.

Giuseppe Grimaldi

IL TEMPO PASSA

Il tempo passa, ma l’amore

che inizia a camminare nel

labirinto del tuo cuore non sa

più come uscire.

Il tempo passa, bacia la luna e

il sole, accarezza la pelle sen-

za far rumore.

Il tempo passa in questo posto

buio, dove ogni volta cerchi la

luce. Che non passa mai.

Cerchi chi ami, ma il tempo

passa e sei chiuso in una sfera

di cristallo senza porte da aprire.

Poi, solo guardandoci attraverso puoi capire … capire cosa?

Che il tempo passa.

Molto lentamente.

Ma non fa niente, perché alla fine del tempo, ci siete voi, i miei

figli.

Mari. Beni. Naomi.

Giuseppe Grimaldi

LE POESIE (di Piova 54)

Le poesie sono

per chi si sente solo

ed ha bisogno di due amici:

un foglio ed una penna.

Le poesie sono lacrime

che non scendono

ma sentimenti e dolori

che si leggono.

Le poesie sono

gocce d'amore

che tante volte

bagnano il tuo cuore.

Le poesie

sono loro

siamo noi

tu ed io.

25

La seguente poesia ha vinto il concorso “I BAMBINI VINCERANNO LA CRISI” promosso dall’associazione

Progetto Famiglia Onlus (federazione di enti no-profit per i minori e le famiglie). Il concorso è stato promosso

in preparazione alla quarta Settimana del Diritto alla Famiglia (9-18 maggio 2014) per favorire una sensibi-

lizzazione e riflessione sui diritti dei bambini, ragazzi e delle famiglie.

UNA PROMESSA COME IMPEGNO

E‟ giunto il momento

Di un nuovo canto

Che sia per tutti

Un grande vanto

“Giro giro tondo

Non casca il mondo

Non deve cascare la terra

E nessuna sarà giù per terra”

Questo è un messaggio

Per il mondo intero

Perche si realizzi per davvero

Rispettando la natura

Se ne avremo sempre più cura

Aiutiamo chi ha bisogno

Una promessa come un pegno

Solo così vinceremo la crisi

Con buone azioni e sinceri sorrisi

Prendiamoci per mano

E tutti insieme pensiamo

Come sconfiggere l‟indifferenza

Verso chi vive in sofferenza

E‟ una nobile missione

Se la diffondi con emozione

La vita è fatta per gioire

Con una preghiera e con un fiore

Urliamo al mondo

“VIVA L‟AMORE”.

Mario Perretta classe II A

Istituto d’Istruzione Superiore Statale

“Mariano Fortuny”- Produzioni Industriali e Artigianali

COMPAGNA DI UNA VITA

Ciao amore mio

Compagna di una vita trascorsa insieme. Compagna di gioie,

dolori , sensazioni e decisioni prese da un rapporto da amica,

amante, moglie.

Custode di timori e paure.

Sei stata genitrice e non hai potuto essere mamma.

Sempre di più mi accorgo quanto mi manchi, mi mancano le

tue scenate, i tuoi silenzi carichi di frasi mai dette.

Sei sempre nei miei pensieri.

Immagino la mamma che saresti stata con i nostri figli, mamma che avrebbe concesso mille capricci

di amore infinito ed eterno.

Sono certo che la lassù sorridi ogni qual volta il mio pensiero va a te e ai nostri figli che adesso stan-

no intraprendendo il lungo percorso della loro vita.

Ti vedo nonna e mi vedo nonno.

Tutto questo mi dà la forza per continuare.

Ti preso, non andare via dai miei pensieri,

Amore mio,

Compagna di vita.

Ciao, Franco

26

CRISTO TRA I POVERI CRISTI

Domenica 1 giugno presso l'Auditorium della

Chiesa Vecchia di Clusane, la compagnia Tea-

trale "Il clochard" ha organizzato una serata di

solidarietà mettendo in scena lo spettacolo

"Cristo e i poveri cristi" per sensibilizzare la po-

polazione nei confronti della questione peniten-

ziaria.

Il 2 giungo, ad Iseo, nell'ambito della manifesta-

zione ConsumAttori promossa dal Gruppo Gas

di Iseo, è stata promossa una raccolta fondi alla

quale hanno partecipato con entusiasmo e coin-

volgimento i bambini delle scuole. I ragazzi han-

no allestito banchetti di libri e giocattoli usati da

cedere ai partecipanti all'evento in cambio di una

piccola offerta.

L'impegno di tutti ha permesso di raccogliere

più di 300euro che sono stati devoluti in favore

delle attività di volontariato nel carcere brescia-

no di Canton Mombello

La bellezza

Parole con tante risposte e

Definizioni personali. Perché?

Esempio: Guardando un quadro anche non

Appartenente ad un noto autore

Puoi notare un qualche particolare

Che lo rende unico nel genere,

come la compattezza dei colori

o l‟espressione di un volto

che abbia una tristezza o esprima una gioia

che ti colpisce, è una bellezza ai tuoi occhi.

La bellezza è anche un passo montano

Con il suo manto di neve

Dove il riflesso del sole fa rispecchiare i suoi co-

lori

Unici e naturali nella sua bellezza.

Poi c‟è la bellezza dell‟altruismo.

Anche qui ci sono mille modi per discutere

Ma io ho il mio punto di vista

E lo voglio condividere con i lettori di

ZONA508.

La bellezza di essere altruista…

Ho sempre avuto il “difetto” di porgere una mano

al mio prossimo

Prestandomi con atti di misericordia

Se così posso dire

E quando mi accorgo che anche altri si comporta-

no con altruismo

Ecco i miei occhi intravedono i gesti e le azioni

di costoro,

essere di una bellezza speciale

agli occhi degli altri.

A mio parere non esiste bellezza più positiva

Quando uomo o donna che sia

Strappa anche con un piccolo aiuto

Un sorriso a chi riceve

Non solo cose materiali o parole confortevoli.

Semplicemente questa per me è una valida

Espressione di bellezza. Franco

27

RUBRICA MAKE-UP: I consigli della Bepa Proviamo, se riusciamo, a dare dei piccoli

consigli per far diventare ancora più belle,

in modo che si trovino ancora più femmi-

nili di quello che già sono, a chi completa

l'uomo, a chi è l'altra metà dell'anima: le

donne.

Due piccoli consigli per far sì che il trucco

resti perfetto.

La mia piccola esperienza nel modo del

make-up mi ha permesso di conoscere il

mondo delle donne e capire cosa si na-

sconde dietro il mondo del trucco.

Dico questo perché comprendere cosa si cela, quale sicurezza vi dà in più è difficile!

Caspita quanto siete complicate, quanto è difficile entrare nella vostra testa.

Siete così belle, così femminili, così sensuali. Nella vostra semplicità non vedo il motivo per

il quale vi dobbiate truccare! Siete sempre belle!

Un piccolo consiglio se dovete passare una serata in discoteca o restare in un posto caldo e

affollato è prendere un poco di acqua e di zucchero, unirli sciogliendoli in un piatto. Succes-

sivamente, passate il composto sul viso con del cotone, come se fosse una crema idratante.

Questo vi permetterà di tirare la pelle e togliere quelle piccole imperfezioni intorno agli oc-

chi, le piccole rughe sul collo e conferire uniformità e resistenza al trucco.

Applicandolo sul décolleté si noterà un lieve rialzamento del seno.

Il trucco non avrà quindi più problemi ad essere portato da voi in modo elegante.

Per quanto riguarda il rossetto invece, prima di applicarlo, mettere sulle labbra un po‟ di fon-

dotinta e tamponate con il latte detergente. In questo modo potrete bere e mangiare senza

lasciare segni.

Che la bellezza faccia furore per occhi di noi maschietti! E perché no… ci faccia sognare

con qualche pensiero audace… e già!

Beppe

28

RUBRICA letteraria “PAROLE CHIAVE PER CAPIRSI”

Il titolo di questo libro, scritto dalla Professoressa Carla

Boroni di Brescia, è un inno alla vita dal mio punto di

vista (lo consiglio vivamente, fa riflettere).

Nella nostra società, oggi come oggi, viene difficile farsi

capire quando esprimiamo le nostre emozioni perché

siamo più propensi ad indossare una maschera piutto-

sto che farsi conoscere per quello che siamo. Il giudizio,

il troppo essere impegnati nelle nostre faccende, il dare

per scontato tante volte quello di cui magari abbiamo più

bisogno (essere noi stessi), ci porta a travisare le parole

che ci dicono chi ci circonda.

Siamo più facilitati alle giustificazioni che prendere le

nostre responsabilità. Con questa azione usiamo più

energia di quanta ne potremmo usare nell’esprimere ciò

che viviamo o ciò che esprimiamo dal nostro cuore e il

più delle volte ne siamo delusi perché non vediamo rea-

lizzarsi quello che abbiamo bisogno: essere capiti!!!

La vita ci propone di tutto e di più, solo noi abbiamo la capacità di accogliere quell’istante

per renderla vera e bella, ancora di più, libera! Basta veramente poco: dare amore, trasmet-

tere fiducia, dare rispetto, essere onesti e sentirsi parte integrante di una famiglia, di un

gruppo di amici, di una struttura.

Oggi come oggi, nella mia situazione in cui mi trovo, questo non può essere vissuto con

gioia perché l’ambiente non lo permette. Si respira sempre aria di sofferenza, di aspettativa,

di delusione. La libertà, una lettera postale, il processo, le condanne sono i primi argomenti

di cui si parla. Poi con chi ti fidi, e sono pochi, parli della tua vita privata: la famiglia che ti

manca, che ti ha lasciato solo per i tuoi sbagli, il dolore dei figli che non vengono a trovarti e

non ti scrivono. Tante tante emozioni che lasciano quell’amaro, dopo anni di sofferenza,

sempre presente nella mente. Con questa pausa in carcere, ho avuto la possibilità di ascol-

tarmi, di riprendere i valori che avevo perduto per strada e ricominciare a vivere serena-

mente con me stesso. E’ dura perché la lontananza dai miei figli mi fa soffrire, la separazio-

ne dalla mia famiglia di origine scaturisce in me un dolore fortissimo, l’abbandono per quel

che ho fatto, e ancora di più, per quel che sono.

Insomma, quando avevo bisogno piuttosto che farmi aiutare ho agito d’istinto e mi sono fat-

to male con le mie stesse mani. Ne ho passate tante e sono ancora qua rimboccando le

maniche e pronto a ricominciare a crescere sempre più, volenteroso e bisognoso di amare

la mia vita, questa ho e non posso rovinarla. Ho bisogno di gustarmi la libertà nel cuore e

donare quello che sono a chi mi ama e mi vuole bene.

Beppe

29

RUBRICA musicale GRANDI ARTISTI

Oggi vorrei sottoporvi altri due grandi artisti del panorama musicale mondiale, appartenenti al passa-

to, ma, a parer mio, sempre verdi. Due cantanti e musicisti ognuno dei quali appartenente ad un gene-

re diverso e ben distinto.

John Mayall

Cantante, armonicista, chitarrista e tastierista inglese inglese

nato a Macclesfield il 29 novembre 1933.

Come di solito succede riguardo ad artisti del passato, molti di

voi si domanderanno: ma chi l'ha mai sentito questo qua? Ma-

le! Pensate che John è stato per lungo tempo un punto di riferi-

mento fondamentale per la scena blues del suo paese. Polistru-

mentista di fama internazionale, con il suo complesso The

Bluesbreakers ha rappresentato la formazione di transizione e

connessione tra il blues revival (anni '50) e il rock blues (anni

'60). Particolarmente capace nella scoperta di grandissimi ta-

lenti, dal suo gruppo sono nati musicisti del calibro di Eric

Clapton, Jack Bruce, Mick Taylor, Larry Taylor, Peter Green.

Figlio di Murray Mayall, musicista anch'egli, John si appassio-

nò fin dall'infanzia ai musicisti blues americani e imparò da

autodidatta a suonare il piano, la chitarra e l'armonica. Frequentò la scuola d'arte e nel 1956 cominciò

a suonare blues con il gruppo The Powerhouse Four e in seguito nella band The Blues Syndicate.

Sotto l'influenza di Alexis Korner, si trasferì a Londra e formò i John Mayall's Bluesbreakers. Con

l'arrivo di Eric Clapton, il gruppo raggiunse il suo primo successo commerciale. Clapton lo lasciò poi

per fondare i Cream, ma i Bluesbreakers presero tra le loro fila altri musicisti notevoli tra cui Peter

Green e Mick Taylor.

Scrisse Eric Clapton: «John Mayall ha gestito una scuola per musicisti incredibilmente buona!».

Nei primi anni '70, John raggiunse il successo commerciale negli Stati Uniti. Si trasferì quindi a Los

Angeles dove fornì un'importante influenza sulle carriere di musicisti come Blue Mitchell, Larry Ta-

ylor, Harvey Mandel, Red Holloway. Mayall continuò a dare concerti ricostituendo i Bluesbreakers

nel 1982.

Il 29 novembre 2003 ha effettuato un concerto a Liverpool portando sul palco Eric Clapton e Mick

Taylor.

John Mayall fu decorato OBE (Ordine dell'Impero Britannico, the Most Excellent Order of the Bri-

tish Empire), ordine cavalleresco istituito da Re Giorgio V il 4 giugno 1917, che è tra le onorificenze

più importanti del Regno Unito.

Tra gli album più importanti dei Bluesbreakers: Blues Breakers with Eric Clapton, Crusade,

The Turning Point e Jazz Blues Fusion.

Bob Marley

Grazie a lui, il genere reggae si diffuse e fu apprezzato in tutto il mondo.

Ancora oggi, quando si ascolta uno dei suoi brani, è difficile che non si

scateni una sana voglia di ballare. I suoi pezzi, infatti, generano allegria e

voglia di vivere, anche se i testi di molte sue canzoni denunciano l'emargi-

nazione dei poveri da parte del potere.

Robert Nesta Marley, detto Bob, nasce a Nine Mile in Giamaica nel 1945.

Suo padre, Norval Sinclair Marley, era un giamaicano bianco di discen-

denza inglese e sposò Cedella Booker quando era ancora diciottenne. La

loro relazione provocò subito uno scandalo, dato che lei era una giamaica-

na nera. Tanto che Norval fu diseredato dalla sua famiglia, ma continuò a

provvedere al sostentamento della moglie e del figlio, anche se prese poi la

30

decisione di abbandonarli mentre lei era incinta. Si presentò solo in occasione della nascita di Bob. Il

padre di Marley morì d'infarto dieci anni dopo.

Bob dichiarò: «Non ho mai avuto un padre. Mai conosciuto... mio padre era come quelle storie che si

leggono, storie di schiavi: l'uomo bianco che prende la donna nera e la mette incita.

Io non ho pregiudizi contro me stesso. Mio padre era bianco e mia madre nera. Mi chiamano mezzo-

sangue, o qualcosa del genere. Ma io non parteggio per nessuno, né per l'uomo bianco, né per quello

nero. Io sto dalla parte di Dio, colui che mi ha creato e che ha fatto in modo che io venissi generato

sia dal nero che dal bianco.»

All'età di dodici anni, Bob si trasferì con la madre a Trenchtown, un sobborgo di Kingston (la capita-

le della Giamaica). Disse: «Trenchtown non è in Giamaica, Trenchtown è ovunque, perché è il luogo

da cui vengono tutti i diseredati, tutti i disperati, perché Trenchtown è il ghetto, è qualsiasi ghetto di

qualsiasi città... E se sei nato a Trenchtown, non avrai la benché minima possibilità di farcela».

Gli ideali antisistema sono la caratteristica del movimento rasta al quale appartenevano i giovani neri

che vivevano ai margini della società. Marley non si avvicinò a loro ma non mancò di tentare di al-

lontanarli dalla violenza e dal loro atteggiamento negativo con i testi di alcune sue canzoni. Tuttavia

all'età di diciotto anni scoprì di voler diventare un rasta, e quattro anni dopo, nel 1967, si convertì dal

Cristianesimo al Rastafarianesimo. Fu costretto a imparare l'autodifesa dato che fu vittima di ripetuti

episodi di bullismo dovuti alla sua origine razziale e alla sua bassa statura (163 cm). Riuscì a guada-

gnarsi una reputazione grazie alla sua forza fisica che gli valse il soprannome di “Tuff Gong”.

La formazione musicale di Marley avvenne in un contesto di povertà. Fu Neville O'Riley Livingston

detto “Bunny” che lo introdusse nel mondo degli strumenti a corda e gli fece ascoltare i successi del

momento attraverso un'emittente di New Orleans. Aveva quindi anni quando insieme a Bunny costruì

uno strumento a corda dalle sembianze di una chitarra, non avendo i soldi per comprarne una. Era

costituita da una scatola di sardine vuota (cassa di risonanza), un manico di bambù per l'impugnatura

e dei fili elettrici come corde. I due amici riuscirono ad ascoltare, attraverso un vecchio apparecchio

radiofonico, il rhythm & blues di Ray Charles e anche Elvis Presley.

Nel loro tempo libero cominciarono a suonare con Joe Higgs, un cantante rastafariano, riconosciuto

come mentore di Bob. Durante una jam session con Higgs e Livingston, Marley incontrò Peter McIn-

tosh (Peter Tosh).

All'età di sedici anni Bob registrò i suoi primi due singoli: Judge Not e One Cup of Coffee prodotti

da Leslie Kong. Furono pubblicati sotto lo pseudonimo di Bobby Martell ma attirarono poco l'atten-

zione del mercato.

Nel 1964 Bob, Bunny e Peter fondarono un gruppo ska e rocksteady: The Teenagers. Più tardi il no-

me fu cambiato in The Wailing Rudeboys, quindi in The Wailing Wailers per poi diventare definitiva-

mente, nel 1966, The Wailers (“I Piagnoni”). Nel 1974, dopo l'uscita della band di Peter e Bunny,

Marley suonò assieme a Chaltron Barret (batteria), Aston Barret (basso), Al Andersonn e Junior Mar-

vin (alle chitarre), Alvin Pattersonn (percussioni) e alle coriste Judy Mowatt, Marcia Griffiths, Rita

Andersonn (sua moglie). Sotto il nome di Bob Marley and The Wailers si unirono a questo gruppo

anche Vin Gordon (trombone) e Glen Da Costa (sax). Bob, cantante e chitarrista, divenne il leader

della band.

Catch a Fire, il primo album dei Wailers, fu pubblicato in scala mondiale nel 1973. Riscosse enorme

successo e fu seguito, l'anno dopo, da Burnin', contenente i brani Get Up, Stand Up e I Shot the She-

riff, di cui Eric Clapton produsse una cover, contribuendo ad elevare il profilo internazionale di Bob.

Nel 1974 gli Wailers si sciolsero.

Nel 1975 Bob irruppe nel mercato con il primo singolo No Woman, No Cry.

Nel 1976 uscì Rastaman Vibration che rimase per quattro settimane nella top ten degli Stati Uniti.

Sempre nel 1976 si trasferì dalla Giamaica in Inghilterra dove registrò Exodus e Kaya. Exodus rimase

nelle classifiche inglesi per ben 56 settimane. Tale album includeva singoli famosi come Jammin',

One Love, Three Little Birds, Waiting in Vain e Exodus (canzone che si basa solo su un accordo in la

minore).

CURIOSITÀ

Dal matrimonio con Rita ebbe tre figli, più due adottati dalla precedente storia della donna, più otto

avuti da relazioni con altre donne, che portano il totale a tredici.

31

FONDAMENTA: STEVE WINWOOD

Ho scelto questo titolo perché quando si osserva un gratta-

cielo non si pensa mai al fatto che, se non avesse solide

fondamenta, non avrebbe potuto svilupparsi fino al punto

di attirare la nostra ammirazione visiva.

Lo stesso capita anche con la musica, che è in continua

evoluzione, sfornando generi ed artisti nuovi. Ma

all‟origine ci sono gruppi storici composti da musicisti

eccezionali che hanno creato. Per l‟appunto, le fondamen-

ta della musica.

Nel nostro caso di parla di musica leggera ed in particola-

re di uno dei suoi pionieri: STEPHEN LAWRENCE

WINWOOD. Sì, perche negli anni „60 non sono nati solo i

Beatles o i Rolling Stones. Meno famosi, ma non per questo qualitativamente meno validi, moltissimi

altri gruppi prendevano vita nella patria del rock: l‟Inghilterra. Band in grado di produrre brani stu-

pendi, senza tempo, al punto da essere coverizzati da gruppi più recenti divenuti famosi anche grazie

a questo.

Quindi ecco il tributo del grande Steve Windwood, nato a Birmingham il 12 maggio del 1948, com-

positore, cantante e polistrumentista britannico. Figlio di un musicista dilettante, compie i primi studi

di piano classico e partecipa agli spettacoli della band del padre assieme al fratello Muff. Nei primi

anni della sua adolescenza suona l‟hammond (tastiera) e la chitarra. Inoltre, canta nelle esibizioni

degli artisti americani in tour nella zona di Birmingham beneficiando delle esperienze di blues e soul,

per lui particolarmente formative. Incontra, infatti, musicisti del calibro di Muddy Waters, John Lee

Hooker, T-Bone Walker, B.B. King, Howlin Wolf, Sonny Boy Williamson II, Eddy Boyd, Otis

Spann, Chuck Berry e Bo Diddley. Questo gli permette di maturare un profondo stile soul-blues ed

adattarlo al suo potente timbro vocale.

Ha 17 anni quando nel 1965 entra a far parte del gruppo di British Rhythm‟n‟ Blues “The spencer

Davis Group” composto da Spencer Davis (chitarra-voce), Muff Winwood (basso-chitarra),

Con i proventi dei primi successi, Bob comprò una decappottabile e non a caso scelse una BMW

(320 i cabrio) per via delle iniziali riconducibili al nome del suo gruppo Bob Marley and the Wailers.

Nel 1980 il disco Uprising segna la fine della produzione di Bob. Denso di significato religioso, con-

tiene brani come Redemption Song, dove canta:

«Emancipate yourselves from «Emancipate voi stessi dalla

mental slavery, no one but schiavitù mentale, nessuno a

ourselves can free parte noi stessi può liberare

our minds...» la nostra mente...»

Morì di cancro nel 1981, l'undici maggio.

Fu sepolto in una cappella accanto alla sua casa natale di Nine Mile insieme alla sua chitarra, al suo

pallone da calcio, a una pianta di marijuana e ai suoi semi, a un anello donatogli dal principe etiope

Asfa Wossen e a una bibbia.

Morì senza fare testamento perché farlo significava rassegnarsi ad essere consapevole che la sua vita

fosse giunta al termine.

32

Pete York (batteria) e per l‟appunto Steve Winwood (voce-tastiera-chitarra). Partecipa alla composizione di

“Keep on running”, “Somebody hemp me”, ma è con “Gimme some lovin’” che il gruppo ottiene un grande suc-

cesso internazionale e raggiunge le prime posizioni anche nella speciale classifica americana dedicata alla mu-

sica nera. Il successo di vendite presso il pubblico di colore, che nemmeno immagina che la voce del brano

fosse di un bianco, fa ottenere alla band il primato di “primi artisti bianchi” a raggiungere i vertici della classifi-

ca nera.

I costanti e notevoli introiti ricavati dall‟interminabile sequela di esecuzioni e registrazioni di “I’m a man” e di

“Gimme some lovin’” da parte di innumerevoli artisti (tra i quali anche i Blues Brothers), hanno permesso a

Steve di dedicarsi alla composizione e alla ricerca artistica, libero da ansie commerciali, raggiungendo livelli di

straordinaria profondità espressiva.

Con grande spessore emotivo ed equilibrio estetico, Windwood si inserisce di diritto nell‟ambiente

dell‟avanguardia musicale della seconda metà degli anni „60.

Nel 1966 collabora alla registrazione di alcuni provini con Eric Clapton, Paul Jones e Jack Bruce. Nel 1967 dà

vita ad un nuovo gruppo, “TRAFFIC”, composto, oltre che da lui ovviamente, da Jim Capaldi (batteria - voce

e percussioni) Cris Wood (flauto - sassofono) e Dave Mason (chitarra e voce). Questa band era imperniata sul

genio compositivo ed interpretativo di Winwood, ma era composta anche da eccellenti musicisti, tutti inglesi. Il

loro stile originale era basato sul progressive-rock, sul folk e su alcuni aspetti tipici del jazz. E‟ nel 1970 che

compongono uno dei loro album più rappresentativi: “John Barleycorn”, dove spiccano il brano strumentale

“GLAD” (sigla del programma televisivo musicale MIXER condotto da Carlo Massarini negli anni „80 su RAI

2) e il funkeggiante Soul di “Empty Pages”. Tra i brani più emblematici della ricerca stilistica e sonora dei

“Traffic” vorrei citare “No face, no name, no number” (1967) tratto dal loro primo long playing “Mr. Fantasy”

che venne riproposta all‟epoca, in lingua italiana dall‟”Equipe 84” intitolata “Un anno”. Sempre nel 1967 il

brano “Dear Mr. Fantasy”, ma è nel 1968 che compongono, a mio personale giudizio, il loro pezzo migliore,

senza nulla togliere agli altri: “40.000 HEADMEN”.

A cavallo degli anni „60/70 durante una temporanea debacle della band Steve si aggrega ad Eric Clapton

(chitarra) Ginger Baker (batteria) e Ric Grech (basso) formando il super gruppo dei “BLIND FAITH” con

all‟attivo un unico omonimo eccellente album datato 1969.

Nel 1974, dopo la pubblicazione dell‟album “WHEN THE EAGLE FLIES”, i Traffic si sciolgono per riapparire

nel 1994 con un nuovo lavoro “Far for Home” dedicato a Cris Wood scomparso undici anni prima. Nel 2004 i

“TRAFFIC” vengono inseriti nella “ROCK END ROLL HALL OF FAME” proprio un anno prima della morte

di Jim Capaldi avvenuta nel gennaio del 2005. Ma la sete di sviluppo artistico di Steve non si placa. Collabora,

infatti, di continuo con molteplici artisti: George Harrison, David Gilmor, Billy Joel, Lou Reed, Phil Collins,

John Mayall, Jemes Brown, Pete Townshend, Mike Oldfield, Tina Turner.

Nel 2008 riprende la collaborazione con Clapton realizzando tour mondiali e album con le migliori esibizioni.

Questo articolo è dedicato a tutti gli artisti degli anni d‟oro della musica leggera, 1960/70, per non dimenticarci

di chi ha gettato le “fondamenta”!

Cantanti e musicisti come il grande STEVE WINWOOD e i suoi degni collaboratori.

Spero vivamente di avervi incuriosito e magari invogliato all‟ascolto dei loro brani, se ancora non li conoscete.

In tal caso buon ascolto e vi assicuro che non ve ne pentirete!

NICK CARTER

33

PEPERONI RIPIENI (ARDEA PERDE)

Ingredienti:

2 bicchieri di riso

500 gr macinato di bovino

2 peperoni tagliati a metà

Mezza cipolla tagliata fine

2 spicchi d’aglio tagliati a cubetti piccoli

300 gr di pomodori ciliegini tagliati a cubetti

Olio d‟oliva

Preparazione:

Far rosolare cipolla e aglio con l‟olio per 10 minuti.

Aggiungere: il macinato, i 2 bicchieri di riso (ancora crudo), i pomodorini e 2 bicchieri

di acqua bollente e fare cuocere tutto finché il riso sarà al dente.

Quando tutto è pronto va disposto nei peperoni facendone il ripieno.

Cottura a 160° per 20 minuti circa.

Radenko

RISO ALLA CUBANA (Ricetta per 4 persone)

Ingredienti:

360 gr di riso basmati

1 uovo alla “occhio di bue” a testa

250 gr di fagioli neri

300 gr di salsiccia

2 peperoncini piccanti

6 foglie di menta (più menta si mette e più diventa

afrodisiaco)

olio di semi

aglio

sale

Preparazione:

Fare bollire il riso con un cucchiaio di sale e 3 di olio di semi fino alla completa evapo-

razione dell‟acqua (deve rimanere completamente asciutto).

Fare bollire i fagioli in un litro di acqua con un pizzico di sale, la salsiccia a pezzi, una

testa d‟aglio ed i 2 peperoncini a pezzettini finché i fagioli non sono morbidi.

Aggiungere a fine cottura la menta.

Disporre il riso nel piatto e metterci sopra l‟uovo. Carlos

34

ARIETE: Vi sarà data la possibilità di fare un’esperienza nuova. In situazioni di emergen-

za e nel lavoro darete il meglio. In amore siete piuttosto freddi.

TORO: Avete fatto del vostro meglio per trarre tutto il vantaggio. Non giudicatevi con trop-

pa severità, non angosciatevi, perché gli astri sono favorevoli.

GEMELLI: Dovete frenare la vostra impulsività, affrontate con energia i vostri progetti.

Contatti sociali molto simpatici.

CANCRO: Un’occasione favorevole. I successi nel lavoro vi daranno ulteriore carica in

amore: basta con le ripicche.

LEONE: Vi sentite forti, ma non siete abbastanza sicuri ed intraprendenti. Occupatevi della

vostra vita personale e siate pazienti con la persona amata. Relax.

VERGINE: Occupatevi di un’idea brillante. Prendete nuove iniziative nel lavoro. Si profila

una serata molto interessante.

BILANCIA: Riuscite a risolvere bene problemi sul piano pratico ed economico. Incontri

con persone piacevoli vi metteranno in perfetta sintonia. In amore siete troppo esuberanti.

SCORPIONE: La vostra natura orgogliosa attira qualche antipatia. Riceverete proposte

nuove in ambito lavorativo. La felicità in amore si conquista poco alla volta.

SAGITTARIO: Siete precisi e puntuali nell’assolvere i vostri compiti. Avete grande biso-

gno di svago. Si profila per voi una giornata indimenticabile.

CAPRICORNO: Una modesta perdita di denaro vi metterà di cattivo umore. Non fatevi

eccessivi scrupoli con i vostri collaboratori. In amore state bruciando le tappe.

ACQUARIO: Non perdete mai la fiducia in voi stessi e nelle vostre capacità. Anche se le

cose dovessero andare in modo diverso. Denaro in arrivo. In amore va tutto per il meglio.

PESCI: Avete molte idee, che vi sembrano molto valide, non abbiate fretta di concretizzare.

Approfondite decisioni precipitose e drastiche. L’amore per voi è un mistero, usate la fanta-

sia.

35

Se vuoi contattare la redazione invia una mail a:

[email protected] ; ti risponderanno le redazioni di Zona508.

“Caro

amico ti scri-

vo…”

“ Caro amico

ti scrivo…”

SI RINGRAZIANO: Per la collaborazione

La Direttrice del Carcere

La polizia penitenziaria

Gli educatori ed educatrici

E tutti quelli che hanno

collaborato alla stesura del giornale

Sportello di

Segretariato

Sociale:

ACT Vicolo Borgondio 29,

Brescia

030/291582

Orari: Dal Martedì al

Venerdì,

dalle 9.30 alle 12

(su appuntamento)

VOL.CA Via Pulusella 14

Orari

Lunedì dalle 9 alle 12

dalle 17 alle 19;

Martedi 9.00-17.00;

Mercoledi, giovedi,

venerdi 9.00-12.00

Hai mai sentito parlare di Act? Www.act-bs.com

L‟Associazione Carcere e Territorio di Bre-

scia è orientata alla promozione, sostegno e

gestione di attività che sensibilizzino

l‟opinione pubblica riguardo alle tematiche

della giustizia penale, della vita interna al

carcere e del suo rapporto con il territorio.

Promuove e coordina intese interistituzionali

e collaborazioni, sui problemi carcerari, tra

l‟amministrazione penitenziaria, la magistra-

tura, le amministrazioni, le forze politiche, le

organizzazioni del privato sociale e del vo-

lontariato.

Promuove e realizza le iniziative che favori-

scono, all‟interno del carcere: l‟assistenza

socio-sanitaria, l‟organizzazione di attività

sportive, ricreative, formative, scolastiche,

culturali e lavorative, l‟organizzazione di

percorsi di formazione professionale e di

progetti sperimentali per l‟inserimento lavo-

rativo dei detenuti, il reinserimento sociale

del detenuto al termine della pena.

Vuoi una copia del nostro giornalino? Passa dalla nostra associazione o chiedi nella tua biblioteca.

36