ZERO // Agricivismo

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N°00 APRILE 2013 testi di Romano Demicheli, Barbara Boschiroli, Francesco Guerini, Paolo Losco, Elisa Tagliati disegni di Francesco Guerini Agricivismo ZERO è una raccolta indipendente ed aperta di contributi su un tema, esce sul web quando serve ed è gratuito. ZERO ama la complessità.

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il modello capitalista e il primato del profitto lasciano senza possibilità di futuro un numero crescente di individui anche in occidente. Un nuovo modello va trovato e probabilmente va cercato sulla base di nuove parole d'ordine. Tra le priorità future può esserci una nuova attenzione per la terra e per le attività ad essa legate. Gli aspetti virtuosi di questo approccio sono già esplorati da minoranze creative e consapevoli che si muovono all'insegna di paradigmi nuovi, tra questi l'agricivismo è un movimento emblematico.

Transcript of ZERO // Agricivismo

N°00 APRILE 2013

testi di Romano Demicheli, Barbara Boschiroli, Francesco Guerini, Paolo Losco, Elisa Tagliati

disegni di Francesco Guerini

Agricivismo

ZERO è una raccolta indipendente ed aperta di contributi su un tema, esce sul web quando serve ed è gratuito.

ZERO ama la complessità.

2N°0 // AGRICIVISMO

3N°0 // AGRICIVISMO

Sommario4 -- Un luogo di riflessione e discussione

Romano Demicheli

6 -- Cambiare occhialiRomano Demicheli

8 -- Vita 2.0 Ritorno al futuro sostenibilePaolo Losco

10 - Orti sociali: una realtà in crescita.Romano Demicheli

12 - Agricoltura o Paesaggio?Barbara Boschiroli

16 - L'economia della terraFrancesco Guerini

18 - Autoproduzione AutorivoluzioneElisa Tagliati

20 - L'esperienza di PerpignànRomano Demicheli

22 - Agri-cultura del lavoroFrancesco Guerini

4N°0 // AGRICIVISMO

In questo momento di grande incertezza sul futuro personale e sociale è forte il senso d’inadeguatezza. Il convulso susseguirsi delle vicende politiche, occupa i nostri immaginari e riduce lo spazio di riflessione. Anzi, lo spazio tende a popolarsi di giudizi sommari e di “personaggi”, mentre ben poco sembra essere lasciato alle idee e ai programmi. La politica che vediamo nei media nazionali e locali vola assai basso, proprio mentre la vastità e la complessità dei problemi da affrontare richiedono di volare molto alto e guardare lontano.

L’approccio ai problemi amministrativi locali e la ricerca delle soluzioni risentono pesantemente di questo clima. Non dimentichiamo che le azioni concrete sono figlie della percezione della realtà e che un’errata percezione può essere esiziale.

Riprendere a ragionare, a esaminare le complessità e a cercare soluzioni adeguate è oggi più che mai una necessità. Da queste considerazioni nasce l’idea di realizzare a livello cremasco uno strumento di discussione, confronto e proposta che raccolga i contributi di che si riconosce partecipe di una visione politica progressista, indipendentemente delle appartenenze di partito, e che sia anche aperta a chi non desidera etichette di schieramento.

Un luogo di ri!essione e discussioneRomano Demichel i

5N°0 // AGRICIVISMO // UN LUOGO DI RIFLESSIONE E DISCUSSIONE // ROMANO DEMICHELI

La campagna elettorale appena terminata è stata giocata sul piano della propaganda semplificatrice e indottrinante, nemica della capacità di affrontare le complessità e di riflettere sulle cose con mente libera. Vogliamo affrancarci da tutto questo e cercheremo di farlo con questa iniziativa. Chi vuol partecipare è il benvenuto.

Semplificando un po’, le ipotesi di lavoro che a parere nostro vanno assunte sono sostanzialmente tre.

> Primo, il modello di sviluppo economico che si è venuto configurando nel passato è la causa originaria della crisi, la quale deve essere classificata come strutturale e non contingente.

> Secondo, le politiche liberiste non solo non sono in grado di risolvere la crisi, ma ne sono una causa.

> Terzo, la crisi è destinata a durare a lungo e probabilmente ad aggravarsi.

Il problema ha, quindi, una complessità notevole e gli interventi da fare sono molteplici. Un punto chiave, però, va tenuto fermo: l’organizzazione socio-economica è fatta per realizzare una vita degna per cittadini e non

per sacrificarla a non meglio definite dinamiche dei mercati. Perciò, la qualità della vita delle persone deve essere decisiva nelle scelte, ad esempio sulla qualità dei consumi da sostenere e quindi sul tipo di produzione. In questo senso, l’uso totemico del PIL come misura del benessere è assolutamente fuorviante e dovremmo tutti sottoporci a un processo di de-PILazione.

Un obiettivo chiave da perseguire in questa grave crisi è sicuramente la riduzione del rapporto costi/ricavi dei singoli cittadini, per permettere loro almeno di resistere. Vi sono molte cose che a livello locale si possono fare con questo scopo, ad esempio stimolando le azioni di risparmio energetico, di conservazione del suolo, di comportamenti singoli “virtuosi”.

Noi ci concentreremo in questi primi numeri della rivista sulla possibilità di ottenere sia il miglioramento del rapporto costi/ricavi sia quello della qualità della vita attraverso lo sviluppo di una relazione funzionale del centro urbano con il territorio a lui prossimo per quanto riguarda il cibo. Si tratta di una strada suggerita da importanti studiosi e, di fatto, già percorsa da alcune altre comunità con risultati notevoli ɵ

6N°0 // AGRICIVISMO

In realtà questi sconquassi sono solo l’ultimo atto di processi già identificabili in largo anticipo. La demenzialità dei meccanismi economici, l’ingiustizia intollerabile nella distribuzione delle ricchezze, l’incompatibilità del nostro modo di vivere con le risorse del pianeta, le lotte senza esclusione di colpi per il potere, la qualità sempre peggiore della vita e il malessere individuale e sociale sono fenomeni di lungo corso. E, oltretutto, sono fenomeni ben studiati e su cui sono state dette molte parole di allarme. È capitato come per i movimenti tellurici: le tensioni sotterranee sono conosciute, c’è chi parla e suggerisce misure antisismiche, ma, quando il terremoto accade e distrugge, e nessuno sa cosa fare perché impreparato, tutti si agitano come se fosse una sfortuna imprevista. Se volete cambiare esempio, pensate al dissesto idrogeologico e alle frane.

Non è il momento di recriminare, però. È il momento di cambiare gli occhiali con cui guardiamo la realtà. Perché il problema è ancora una volta quello, insito nella nostra essenza di esseri umani, di vivere assumendo per davvero reale quello che noi pensiamo sia la realtà. Anche nella scienza, cioè in un mondo razionale che vuole essere ancorato al reale, questa caratteristica umana è dominante. Ad esempio, per secoli gli astronomi hanno lavorato pensando che fosse valido il sistema tolemaico con la terra al centro

Cambiare occhialiRomano Demichel i

La realtà è mutevole. Come diceva Eraclito, “non si può scendere due volte nel medesimo fiume”. Spesso, i tempi cambiano sommessamente e solo alcune persone attente lo notano. Altre volte, però, il mutamento si presenta improvviso e clamoroso, sbattendo in faccia a tutti la propria ingombrante presenza, distruggendo fragili certezze e costringendo tutti guardalo fisso negli occhi. Che altro pensare oggi, di fronte al risultato delle elezioni con il Movimento 5 Stelle, che ha travolto gli equilibri dei e tra i partiti, e alle dimissioni del Papa di Roma!

7N°0 // AGRICIVISMO // CAMBIARE OCCHIALI // ROMANO DEMICHELI

dell’universo, salvo poi doversi convincere che l’idea non funzionava, e che era più accettabile una visione copernicana. Invece di essere sgomenti di fronte al nuovo, dobbiamo imparare dagli uomini di scienza che, quando convincimenti e realtà entrano in conflitto, allora sono i primi che devono essere messi in discussione. Occorre cioè cambiare gli occhiali con cui guardiamo il mondo.

Gli occhiali che abbiamo messo si propongono di guardare a modi alternativi di concepire e realizzare un modello di vita diverso. Abbiamo deciso di partire dalla quotidianità e dalla crisi in progressivo aggravamento che ci attanaglia. La nostra comunità locale ha la necessità vitale di “resistere” al meglio cercando di rendersi meno esposta ai capricci del “mercato”. Il che significa utilizzare e integrare le risorse esistenti localmente per migliorare il rapporto costi guadagni, soprattutto salvaguardando innanzi tutto i bisogni primari, in primo luogo alimentari. Inizieremo a parlare, perciò, di produzione agricola di prossimità, nella convinzione che si tratti di un nodo cruciale da sciogliere per un cambiamento reale. In questo tema convergono valutazioni di ordine ecologico, economico, organizzativo, sanitario, sociale e molte altre.

Abbiamo anche deciso di partire dall’individuo singolo o da piccoli gruppi, per riflettere sulle

motivazioni, sulle pratiche e sui risultati che sono stati per ora ottenuti. Ovviamente, limitarsi a questo sarebbe solo un modo molto radical-chic di affrontare il problema. La nostra riflessione si propone un ulteriore passo verso livelli strutturali maggiori, come al tema degli orti sociali e a quello delle reti di agricoltura di vicinanza. L’approccio non è velleitario, viste le oramai consolidate, anche se non così frequenti, esperienze esistenti.

Una questione non potrà essere ignorata: il raccordo di questo tipo di visione a livello locale con quella, imprescindibile, di un livello globale. Sento già chi commenta con stereotipi come “volete tornare alla società preindustriale”. Sciocchezze: questo tipo di approccio è funzionale al passaggio (che avverrà) a una società post-liberistica e post-consumistica, in cui conoscenza e tecnologia sono vitali. A una società preindustriale e anche peggio si passerà presto, invece, se si continuerà sulla strada attuale il cui fallimento è più che evidente.

Molto ambiziosi, si dirà. Confidiamo nel fatto che lungo la strada altri e più titolati redattori si uniscano a noi. Anzi, chiediamo esplicitamente che chi ha qualche contributo da dare si faccia avanti e si metta in contatto con noi. Nel momento di difficoltà generale che attraversiamo, il contributo di ogni singolo è importante ɵ

8N°0 // AGRICIVISMO

L’avere una casa. Due. Uno stipendio. Due. E poi un SUV. O due. Società di un finto benessere.

“Lavorare per vivere o vivere per lavorare”? Questo è il problema. Socrate disse che “i cattivi vivono per mangiare e bere, mentre i buoni mangiano e bevono per vivere”. E “siamo quello che mangiamo” dicono. Cosa mangiamo? Perché mangiamo? Come mangiamo? Cosa compriamo? Perché compriamo? Come compriamo? Sostenibilità. A prescindere.

Vita 2.0 Ritorno al futuro sostenibilePaolo Losco

C’è crisi. Quante volte capita di sentire queste parole, oramai divenute un luogo comune, una risposta a qualsivoglia aspettativa, un’affermazione priva del suo significato. C’è crisi. Di che crisi stiamo parlando? Pensi. Di quella economica. Ti rispondi. La crisi, o come vogliamo chiamarla, è invece ben più radicata. È una crisi sociale, una crisi di valori, di morale. Il frutto di decenni di capitalismo, di industrializzazione, di una mentalità che ha portato la società sempre più verso l’avere, allontanandola dall’essere.

9N°0 // AGRICIVISMO // VITA 2.0 RITORNO AL FUTURO SOSTENIBILE // PAOLO LOSCO

Chi fa da se fa per tre. Anche dove non l’avresti mai detto, nella grigia metropoli, nella cittadina. Nascono orti sui balconi. Single, famiglie, che decidono di ridurre buona parte dell’acquisto di ciò che consuma a tavola. E l’autoproduzione di quanto possibile. Dalla riscoperta del pane fatto in casa, la pasta, le confetture. Fino a prodotti che mai lo diresti (saponi, shampoo...). Ora so cosa consumo. Parte il downshifting. Chi è convinto che il lavoro (quando c’è, almeno) sia solo il mezzo per vivere al meglio la propria vita (e non il fine unico della stessa), un importante passo lo compie, rinunciando a parte delle ore lavorative (e, conseguentemente, del salario) in favore del tempo passato con la famiglia, con gli hobby e, soprattutto, con l’autoproduzione (che rende sostenibile questa rinuncia).

Ma l’unione fa la forza. Una volta riusciti ad “uccidere il Dio consumo” (perdonate la parafrasi di Nietzsche) e appurata l’acquisizione di un senso critico e del valore di sostenibilità (anche solo meramente economica) è far proprio il valore di solidarietà, cooperazione. Le vie che si aprono, una volta intrapresa questa strada sono molteplici, mai vicoli chiusi. Nascono, dal 1994, Gruppi di Acquisto Solidale, persone che si organizzano per un consumo critico

collettivo. Coinvolgono piccoli produttori locali sotto i valori di solidarietà e consapevolezza di ciò che si consuma. Più radicali, forse difficili da prendere, le scelte di “uscire” dalla società per crearne una propria, palestre, laboratori di ricerca, verso stili di vita alternativi a quanto la società globalizzata propone ed abitua. Comunità (come, ad esempio, quella degli Elfi a Pistoia), totalmente (o quasi) autosufficienti, che rinunciano ai comfort, basano tutta la loro vita sulla sostenibilità e il rispetto per l’ambiente e coltivano la terra senza l’aiuto di strumenti meccanici e inquinanti. Ecovillaggi, una sorta di “comunità” 2.0. Gruppi di persone che, senza rinunciare a comfort e svago, basano il loro stile di vita sulle energie rinnovabili e sull’impatto ambientale ridotto al minimo.

Le risposte alle esigenze di una vita che non sia una sovrastruttura fittizia di falso benessere, in fondo, non sono altro che qualcosa che già era, unite alla consapevolezza di ciò che non vogliamo che sia. E come spesso accade, quando ci si ferma a pensare, si trovano molteplici risposte, d’ogni tipo. Etiche, personali, collettive, impegnative, semplici, complesse, rivoluzionarie, radicali, chic, radical-chic. Piccole risposte d’ogni giorno, grandi cambiamenti di vita. A volte entrambi ɵ

10N°0 // AGRICIVISMO

rapporto più corretto con la natura.

In Olanda la Van Bergen Kolpa Architecten ha realizzato il progetto Park Supermarket che rovescia il rapporto tra città e produzione di cibo. Il Park come “supermercato” parte dall’esistente perverso meccanismo distributivo e cerca di gestire la transizione verso una produzione sostenibile ed altamente efficiente.

A Chiasso, nella Svizzera italiana, è partito un progetto di orti urbani permanenti aperti a giovani, famiglie, anziani, coppie di mezza età, rifugiati politici. La novità di questi orti consiste nella loro progettazione come luogo condiviso di socializzazione per tutti i cittadini. Il terreno è stato regalato dalle Ferrovie Federali Svizzere. Le coltivazioni saranno rigorosamente biologiche. La volontà di garantire la qualità e la sicurezza del cibo che si porta in tavola ogni giorno e la ricerca di un legame più diretto con la natura sono i principali motivi di quest’antica realtà sociale.

In Europa la gestione di orti familiari rientra in un progetto più ampio facente capo a “Coin de Terre” [1], un’organizzazione europea ( di cui, peraltro, l’Italia non fa parte) con sede a Lussemburgo che riunisce oltre 3 milioni di famiglie che gestiscono un orto urbano o un giardino familiare. I principi che orientano quest’organizzazione si basano sull’utilità sociale e sul benessere psico-fisico che l’orto può generare. Gli orti familiari sono considerati luoghi d’incontro e d’integrazione e, inoltre, un elemento essenziale per la qualità della vita di tutti i cittadini.

In Italia, la Conferenza delle Regioni ha preso posizione rispetto al tema dell’agricoltura sociale, approvando un (pubblicato sul sito www.regioni.it, “Conferenze”) che, però, dà al termine “agricoltura sociale” un significato restrittivo, limitandosi sostanzialmente alla funzione educativo assistenziale di strutture come gli agri-asili, gli agri-nidi, le fattorie didattiche al cui interno è possibile svolgere attività ludico-ricreative o attività rivolte a persone con situazione varie di fragilità (vedi ippoterapia, pet-therapy e l’orticoltura-terapia e simili).

Ben più interessante è il progetto nazionale di 1 http://www.jardins-familiaux.org/

Orti sociali: una realtà in crescita.Romano Demichel i

Gli orti sociali sono una realtà che comincia a svilupparsi anche nelle grandi metropoli del mondo occidentale, tra cui Londra e New York. L’orto biologico di Michelle Obama (che “biologico” non può essere, perché il suolo del giardino della casa Bianca è stato trattato in precedenza con sostanze tossiche) ne è un’espressione simbolicamente interessante. In generale gli orti sociali potrebbero essere una delle vie per rivitalizzare socialmente le metropoli e stimolare la maturazione di un

11N°0 // AGRICIVISMO // ORTI SOCIALI: UNA REALTÀ IN CRESCITA // ROMANO DEMICHELI

Italia Nostra “Orti Urbani”, che si rivolge a tutti quelli che, privati o enti pubblici, possedendo delle aree verdi e le vogliano destinare all’“arte del coltivare”, nel rispetto della memoria storica dei luoghi e di certe regole “etiche”. Sull’argomento è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra Italia Nostra e l’ANCI (Associazione dei comuni di Italia), al quale hanno poi aderito Coldiretti e la

Fondazione di Campagna Amica. In sostanza, pur nelle differenti caratterizzazioni

geomorfologiche dei luoghi, si parte dalle linee guida elaborate dalla Facoltà di

Agraria dell’Università di Perugia sul come “impiantare” o conservare

un “orto”. L’orto va inteso parco “culturale”, mirante a recuperare specie in via di estinzione

ma anche a coltivare prodotti di uso comune con metodologie

scientifiche e permettere la produzione di verdura e frutta che possa essere sia

consumata dagli interessati sia venduta a prezzi economici nella logica di accorciare la

filiera dal produttore al consumatore.

Progetti operativi di orti sociali sono in corso in diverse città italiane, tra cui, per restare in regione, Milano (dove sta gradualmente sostituendo gli orti abusivi esistenti da anni) e Lodi. Si tratta di progetti sostanzialmente intra-urbani che

sono visti come strumento di socializzazione tra i cittadini, valorizzazione di spazi inutilizzati della città e recupero di aree verdi, educazione al corretto utilizzo del territorio rispetto dell’ambiente. L’iniziativa, però, può essere ampliata al territorio peri-urbano. E’ di particolare interesse, infine, la deliberazione recente (ottobre 2012) del Comune di Torino volta a tutelare le aree agricole periurbane e incentivare l’utilizzo di orti urbani collettivi. In collaborazione con la Provincia di Torino e con i Comuni contermini, si vuole arrivare a una progettazione integrata di un Sistema del Verde urbano e periurbano, all’interno dei quali trovino un adeguato inserimento progetti di parchi agricoli di valenza intercomunale. L’obiettivo è preservare le aree e le attività agricole presenti sul territorio da nuovi elementi di degrado e dissipazione, con attenzione anche al mantenimento di vie d’acqua minori, siepi, alberature d’interesse ambientale e paesaggistico, di boschi e zone umide. Tutelando anche cascine e aziende rurali. Il documento inoltre chiede di sviluppare i cosiddetti “orti collettivi”, per realizzare i quali si prevede di utilizzare parte delle risorse che la Città introita annualmente da oneri di urbanizzazione. La delibera prevede una verifica della qualità ambientale dei prodotti, delle aziende agricole, dei conduttori di orti, con forme di “certificazione” per quanto riguarda l’utilizzo di fertilizzanti, ammendanti e fitofarmaci ɵ

12N°0 // AGRICIVISMO

La presentazione più commossa e partecipata dell’ultima edizione della Biennale del Paesaggio di Barcellona è stato l’intervento di Cristina Tenjiwe Kaba, co-direttrice del centro Abalimi Bazekhaya a Cape Town [2]. Cristina è una donna di circa 60 anni che quando si trasferì in una baraccopoli di Cape Town era solo una giovane donna. A causa della povertà per la famiglia di Cristina era difficile riuscire a mangiare frutta e verdura fresche più di una volta a settimana. Cristina iniziò quindi a coltivare il cortile di casa trasformandolo in un piccolo orto e seguendo i consigli del padre e del nonno, un tempo agricoltori. Anno dopo anno questa donna, insieme ad altre donne del quartiere, ha esteso la terra da coltivare e coinvolto gli abitanti degli slums fino a fondare il centro Abalimi. Ora il centro aiuta la promozione e gestione di orti comunitari all’interno degli slums e dei quartieri più poveri ed è una realtà importante perché dà lavoro a molte persone. Allo stesso tempo la qualità dei cortili e dei giardini delle piccole case è notevolmente migliorata: ora gli spazi sono curati con attenzione e costanza. Il discorso di Cristina ha ricordato ai presenti, tra cui architetti e paesaggisti tra i più affermati a livello mondiale, come il compito più alto che l’agricoltura urbana può assumere sia proprio quello di fornire il supporto per tessere relazioni, e significati, tra le persone e le comunità.2 www.abalimi.org.za

Agricoltura o Paesaggio?Barbara Boschiroli

«We must always remember where we come from. We are all here because of each other and we will only progress because of each other. We cannot do it alone. Working on the land together builds true community spirit and ubuntu [1]»

C. Tenjiwe Kaba.

1 In lingua bantu: benevolenza verso il prossimo.

13N°0 // AGRICIVISMO // AGRICOLTURA O PAESAGGIO // BARBARA BOSCHIROLI

La Convenzione Europea (2000) definisce il paesaggio attraverso 2 aspetti: la percezione da parte delle popolazioni e le interrelazioni tra fattori naturali e umani. Paesaggio quindi come risultato di un processo generato attraverso il tempo dalle azioni dell’uomo e della natura. Paesaggio perché identificato e riconosciuto come tale da parte degli abitanti, paesaggio perché genera un senso di identità e appartenenza rispetto ad una comunità. In tal senso l’agricoltura è una delle principali attività umane che plasmano il terreno e che generano paesaggio: un paesaggio agricolo è il risultato delle semine e dei raccolti, della variazione delle colture, dei segni lasciati dai macchinari, dagli animali e dal lavoro dell’uomo. Ma un paesaggio agricolo è anche lo specchio di una comunità e dei suoi abitanti.

L’esperienza di Cape Town è solo uno degli ultimi esempi di un fenomeno antico che nasce con l’affermarsi della città: la rivendicazione di spazi urbani e peri-urbani per la coltivazione e l’auto-sostentamento da destinare alla produzione di frutta e ortaggi. Altri esempi interessanti sono illustrati nel documentario God Save the green [3]: un documentario che racconta storie di persone che, attraverso il verde urbano, danno un nuovo senso alla parola comunità.

3 http://godsavethegreen.it/italiano/

L’esempio più antico di agricoltura urbana sono gli Hortus conclusus dei monasteri, luoghi privati e protetti destinati alla produzione di frutti e fiori anche per scopi medicinali. Ma erano anche il luogo di incontri e di passeggiate meditative. Durante il XVIII e il XIX sec. le forme di agricoltura urbane più diffuse vengono praticate negli ambiti degli orti sociali, istituiti da parte dei governi del Nord Europa, come forma di welfare per le classi meno abbienti.

Diverse sono le esperienze che si sviluppano durante le prime due guerre mondiali. I Victory Garden [4] erano orti privati o piccoli appezzamenti pubblici coltivati per far fronte alle carenze dovute alla guerra e promossi direttamente dal governo americano e inglese. L’obiettivo era fornire una fonte di nutrimento diretto alle famiglie, senza intaccare le risorse economiche ed umane già impegnate a scopi bellici, coinvolgendo spazi privati, giardini o terrazze, o pubblici, all’interno di parchi urbani consolidati come l’Hyde Park di Londra. Anche la legge italiana consentiva di coltivare qualsiasi terreno incolto per aumentare la produzione alimentare.

L’evoluzione naturale di questa cultura è sfociata nel movimento dei Community Garden, 4 http://archive.org/details/victory_garden

14N°0 // AGRICIVISMO

in particolare nella città di New York [5]. A partire dagli anni ’70 gruppi di cittadini americani hanno iniziato a riappropriarsi di piccoli lotti abbandonati all’interno della stessa Manhattan. In gruppo hanno iniziato a coltivare sia per la produzione di cibo sia per la realizzazione di piccoli giardini per migliorare le condizioni ambientali e spaziali del quartiere dando vita alle prime esperienze di Guerrilla Gardening. [6] Questi gruppi si sono auto- organizzati per la raccolta fondi, per i turni di manutenzione e per programmare le attività per rendere gli spazi utili e vivibili a tutti gli abitanti. I giardini sono nati soprattutto dall’esigenza di riappropriarsi di uno spazio da condividere, uno spazio pubblico perché patrimonio comune a tutti. Il Museum of Reclaimed Urban Space organizza visite guidate all’interno dei 39 community gardens tutt’ora attivi. Ad oggi i community gardens sono riconosciuti in tutti gli Stati Uniti e sono rappresentati dalla American Community Gardening Association (ACGA) sotto il motto: “In community gardening, ‘community’ comes first.” I giardini hanno inoltre costruito una rete ambientale all’interno degli spazi quotidiani del quartiere: controllo dell’irraggiamento solare o riduzione della velocità di smaltimento delle acque piovane sono solo alcuni dei vantaggi apportati.

5 M. Pasquali, I giardini di Manhattan. Storie di guerrilla gardens, Collana «Oltre i Giardini», Anno 2008.

6 video: Adam Purple and The Garden of Eden.

Anche in Italia negli anni sono emerse realtà differenti soprattutto nelle città più grandi. Tra tutte spicca Milano con l’esperienza consolidata del Giardino degli Aromi all’interno del parco dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini. Negli ultimi anni sono poi nate numerose realtà anche all’interno della città più densa: il giardino di via Montello, l’associazione delle Libere Rape Metropolitane, la Cascina Cuccagna o l’ OrtofficinaCordata ad esempio. Realtà nate prima di tutto in modo informale e poi consolidate attraverso forme di volontariato o di partenariato con le amministrazioni locali. Nel 2012 il Comune di Milano ha infatti approvato una delibera con cui riconosce le forme di cura del verde promosse dal basso, cioè da associazioni no profit, e ne guida gli interventi dando indirizzi per la progettazione. Citiamo per ultimo l’iniziativa ColtivaMi attraverso cui lo stesso comune ha individuato una serie di aree urbane da destinare alla creazione di 300 nuove particelle ortive. La realtà milanese è però influenzata dal dibattito scaturito in previsione della futura Expo il cui tema è strettamente legato all’agricoltura.

Solo negli ultimi decenni il tema dell’agricoltura urbana ha assunto un’importanza tale da diventare parte integrante di progetti di recupero e trasformazione urbana. Gli orti e la pratica agricola in città hanno assunto una dignità per

15N°0 // AGRICIVISMO // AGRICOLTURA O PAESAGGIO // BARBARA BOSCHIROLI

cui cambiano i luoghi in cui vengono praticati: terrazze private e tetti di grattacieli trasformati in orti comunitari, ristoranti con orto privato in cui coltivare direttamente i prodotti da cucinare. A Parigi sopra il tetto di una palestra si può trovare un orto urbano aperto agli abitanti, alle scolaresche e ai fruitori della palestra. Il progetto è stato realizzato dallo studio di architettura TOA Associés. Il BrooklynGrange [7] è un’area di 4000 mq: i tetti dei vecchi magazzini navali sono stati convertiti in vere e proprie fattorie urbane e i prodotti alimentano i green market della città.

All’interno di realtà urbane più piccole e immerse in territori agricoli le esperienze di agricoltura ‘urbana’ sono presenti in territori considerati ai margini, localizzati tra centro abitato e aperta campagna e spesso nascono e rimangono esperienze di carattere informale e legate all’iniziativa di singoli. Colpisce però come il sistema attuale agricolo sia ancora orientato ad una produzione che non considera l’ auto-sostentamento, nonostante la disponibilità di terreno, per cui i prodotti agricoli arrivano da luoghi lontani. Diverso è l’approccio delle Transition town [8] dove intere comunità si stanno preparando a nuove forme di sostentamento, sia

7 http://www.brooklyngrangefarm.com8 http://www.transitionnetwork.org

http://transitionitalia.wordpress.com/

dal punto di vista energetico che ambientale in senso lato. Un altro approccio interessante sono alcune iniziative private che sperimentano una nuova forma di agricoltura non solo orientata alla multifunzionalità ma anche ad una filiera corta completa. E’ il caso della Cascina Santa Brera nel Parco Agricolo Sud dove si stanno sviluppando forme di affitto di orti “a distanza”: si scelgono dimensione del terreno e tipo di prodotti da coltivare e una volta a settimana si può raccogliere direttamente ciò che si necessita mentre i proprietari della cascina si occupano di coltivare le unità orticole secondo i dettami della permacultura.

Tutte queste esperienze scaturiscono da una volontà condivisa di protezione e conservazione verso la terra e il territorio, considerati un bene comune. In tal senso l’agricoltura è uno degli strumenti più preziosi in nostro possesso per poterli proteggere. Gli agricoltori, siano urbani o tradizionali, con il loro lavoro creano e mantengono, in modo più o meno consapevole, elementi e caratteristiche propri del territorio e dei nostri paesaggi. Ciò che vediamo e riconosciamo come paesaggio agricolo, i filari alberati lungo le rogge, le siepi, la trama agricola e le stesse colture, è patrimonio di tutti e come tale dovrebbero essere trattato e custodito ɵ

16N°0 // AGRICIVISMO

La storia degli ultimi anni, ma soprattutto le riflessioni in seno ad una certa area politica stanno consentendo l’emergere di una critica ragionata sull’economia e sul modello che regola i processi umani in occidente. A partire dalla crisi finanziaria americana di qualche anno fa abbiamo assistito ad una serie di questioni legate al denaro e al rapporto fra il modello economico capitalista, il lavoro e le componenti sociali: il crollo di Lehman Brothers, il rating della salute economica degli stati e i problemi del debito, i differenziali di reddito fra i dirigenti e i lavoratori nelle compagnie multinazionali, il salvataggio statale delle banche, il collasso

improvviso di realtà industriali apparentemente sane (qualcuno si ricorda di Parmalat?).

In generale, cercando di mettere in fila le notizie con altre legate al mondo del lavoro (il generale calo di occupazione, il numero di aziende in crisi e conseguente numero di licenziati) emerge un quadro complessivo che ci permette di avanzare seri dubbi sulla salubrità e la razionalità del modello sociale ed economico in cui ci troviamo. Tentando una sintesi, anche semplicistica possiamo affermare quanto segue.

> la finanza smaterializza la produzione di ricchezza: si alimenta spostando capitali, non servono persone per produrla e quindi il ruolo del lavoratore che produce ricchezza attraverso il proprio contributo perde peso, e i lavoratori licenziati o “esodati” si trovano non saper come continuare a vivere senza erodere i propri risparmi;

> in questo contesto di riduzione della capacità di spesa l’approvvigionamento del necessario risponde a logiche comunque capitalistiche: la produzione e la distribuzione degli alimenti sono basate su logiche industriali, ovvero produzioni intensive e ingegnerizzate, a basso contenuto occupazionale e ad alto impatto ecologico, (chimica, trasporto, energia per la conservazione, l’esibizione, la vendita);

per approfondire > http://www.gruppoacquistoterreni.it

L'economia della terraFrancesco Guerini

17N°0 // AGRICIVISMO // L'ECONOMIA DELLA TERRA // FRANCESCO GUERINI

> la politica non ha ancora disegnato un nuovo modello di produzione (e redistribuzione) di ricchezza;

In estrema sintesi in questo modello cominciano a vacillare le garanzie di sopravvivenza per una consistente area sociale: è dannoso.

Fortunatamente in ogni società ci sono minoranze virtuose che praticano alternative sperimentali in grado di dare quelle risposte che larga parte della politica non ha ancora saputo immaginare (anche in politica in realtà ci sono piccolissimi partiti che hanno saputo fare una sintesi progressiva). Nel 2009 nasce nei pressi di Mantova il primo Gruppo Acquisto Terreni (GAT), 40 soci formano un gruppo che acquista una porzione di terreno agricolo a Quistello. In seguito nascono altri GAT, a Scansano (Toscana, nelle zone del Morellino) e ad Argenta (Ferrara), altri ne stanno nascendo.

Cos’è in pratica un GAT? Prima di tutto la partecipazione ad un GAT è un investimento patrimoniale in un bene non erodibile dalle speculazioni finanziare: terreno, la cosa più immobile che esista. Contestualmente alla salvaguardia del patrimonio personale si alimenta un circuito economico in cui si crea lavoro – i terreni ospitano imprese agricole non

necessariamente gestite dai detentori delle quote del GAT – si partecipa alla distribuzione degli utili dell’attività, si gode dei frutti della lavorazione della terra, si partecipa al mantenimento di territorio agricolo e quindi del paesaggio rurale, plausibilmente associato al recupero di aree non occupate dall’agricoltura industriale, quindi si tratta di restauro del paesaggio. Un patrimonio tutto italiano.

Un esempio banale di economia sostenibile dal punto di vista economico ed ambientale in grado di sottrarre spazio all’economia del profitto per sostituirla con l’economia della condivisione, della sobrietà e della responsabilità. Un piccolo uovo di Colombo. Se è vero che in Italia abbiamo problemi di occupazione, soprattutto giovanile, di erosione dei redditi, di decadimento del territorio allora probabilmente l’attivazione dei GAT è una delle possibili risposte in grado di condensare più soluzioni in una in una prospettiva duratura e salubre ɵ

18N°0 // AGRICIVISMO

inquinare il meno possibile, scegliere le materie prime. Questi sono solo alcuni degli aspetti dell’autoproduzione che possono comprendere la coltivazione di un piccolo orto (anche sul balcone), la produzione di cosmetici e detersivi, cucinare alcuni alimenti partendo dalle materie prime (dal pane allo yogurt, dalla pasta al dado). Il motivo che spinge una persona a scegliere l’autoproduzione di solito li contempla tutti. Partire dalle materie prime (sia per fare il pesto che per fare un detersivo) permette di conoscere esattamente ciò che si usa. Molto spesso noi non sappiamo cosa stiamo utilizzando per lavare il pavimento o cosa è contenuto in un dentifricio. Scegliere prodotti che inquinano meno, che sono meno nocivi per noi e per l’ambiente, che sono più semplici, nel senso di meno sofisticati, e che spesso costano

Autoproduzione AutorivoluzioneEl isa Tagliat i

«Siamo convinti che per avere un chilo di frutta dobbiamo dare in cambio dei soldi, decurtati dal nostro stipendio, proveniente dalla vendita del nostro lavoro a terzi. Non è un grande affare, se ci pensate bene. Sul vostro lavoro ci deve guadagnare prima di tutto il vostro datore di lavoro. Sul chilo di frutta ci devono guadagnare il coltivatore, il mediatore, il grossista, il trasportatore, il supermercato. In pratica, tra voi e il vostro chilo di frutta, c’è un esercito da mantenere. Con il vostro stipendio. Non state lavorando per troppe persone?» [1]

Grazia Cacciola

1 Grazia Cacciola, Scappo dalla città, Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione, 2012, Edizioni FAG, Milano, p.10

Perché parlare di autoproduzione quando tutto ciò che ci serve lo troviamo in commercio? Autoprodurre non significa creare qualcosa che non abbiamo, anzi, significa fare da sé quello che fino ad oggi abbiamo sempre cercato di evitare di fare. I motivi per cui ci si può avvicinare all’autoproduzione possono essere molti. Risparmiare,

19N°0 // AGRICIVISMO // AUTOPRODUZIONE AUTORIVOLUZIONE // ELISA TAGLIATI

affatto tra i prodotti in commercio e cominciare a fare da sé.

La scelta dell’autoproduzione è abbastanza radicale e non vuol dire rinnegare il progresso e tornare ad un epoca preindustriale, significa utilizzare le risorse culturali e tecnologiche che abbiamo oggi per operare un cambiamento dove si è generato un problema dato da una cattiva gestione delle risorse e del potere.

Non è una scelta “facile”, anzi. Facile è andare al supermercato e riempire il carrello a occhi chiusi.

Il primo passo verso un consumo consapevole potrebbe essere quello di aprire almeno un occhio e leggere le etichette (controllando gli ingredienti, la provenienza, se hanno delle certificazioni). Il secondo è quello di aprire anche l’altro occhio e informarsi sulle aziende (se sono multinazionali che inquinano, se sfruttano i lavoratori). A questo punto con due occhi aperti si possono cominciare a guardare anche le confezioni, prediligendo i prodotti con meno imballaggio o con imballaggi riciclabili, meglio ancora se sfusi o alla spina. Oppure scegliendo prodotti biologici ed ecologici o etici. Solo a questo punto si può essere pronti ad usare anche le mani, staccarle dal carrello e autoprodurre in casa la maggior parte dei prodotti che consumiamo.

In un periodo di crisi economica la scelta di autoprodurre può portare anche dei benefici economici. Ridurre i rifiuti, riutilizzare oggetti, riciclare materiali, sfruttare il potenziale di quello che abbiamo in casa, usare l’acqua, il gas e l’energia con oculatezza fa risparmiare denaro ma soprattutto è un risparmio di territorio e risorse naturali.

Il mondo che abbiamo è uno. Porci il problema della salvaguardia del nostro ambiente richiede una messa in gioco personale da parte di tutti. A volte bastano piccole informazioni per farci cambiare il punto di vista sulle cose che ci circondano ɵ

molto meno del prodotto finito (più inquinante o più inquinato) che compriamo al supermercato è una consapevolezza che deriva dalla conoscenza di ciò che il mondo della produzione industriale ha messo in atto negli ultimi decenni e che ha reso il consumatore cieco rispetto al prodotto che compra.

Per andare a fare la spesa ci vorrebbe una laurea in chimica, scienze dell’alimentazione, biologia, marketing, economia. Viviamo in un mondo complesso e questa complessità ha reso molto distanti i consumatori finali dalle materie prime. Questo fattore da un lato ha reso la vita più “comoda” (più pulito, più in fretta), dall’altro ha demandato alle aziende il compito di “nutrirci” (noi sappiamo ciò che è meglio per te) o di permetterci di venire in possesso di prodotti dei quali non possiamo più fare a meno (o così ci è dato credere). Andando a fare la spesa noi creiamo un mercato che sta distruggendo la nostra salute, l’ecosistema nel quale viviamo o sfruttando il lavoro di popolazioni deboli. Un modo per opporsi o per impedire che questo fenomeno arrivi davvero ai limiti è scegliere. È l’unica arma che abbiamo. È una forma di lotta culturale, politica e sociale. Leggere le etichette e informarsi costa impegno, fatica, tempo. Ecco allora che la scelta di comprare un prodotto rispetto a un altro è la chiave del meccanismo. Oppure non scegliere

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impoverimento, passando dal 54% del territorio nel 1981 al 30% nel 1997. La riduzione seguiva da vicino il processo d’industrializzazione della produzione agricola, la concomitante espulsione di agricoltori verso la città e il peggioramento del livello qualitativo della produzione.

Nel 1997, su iniziativa dell’amministrazione comunale, si costituì una commissione comprendente consiglieri e membri della locale Camera dell’Agricoltura, con lo scopo di intervenire in questo campo, considerato politicamente e socialmente rilevante. La commissione eseguì una ricognizione sul campo, visitando aziende e discutendo con i produttori una possibile via d’uscita dalla situazione di progressivo depauperamento del settore. Ci si rendeva conto, infatti, di una verità così sintetizzata di tecnico delle Camera dell’agricoltura: Oggi c’è un non-senso. Gli agricoltori di Perpignan sono persone che si trovano a 200 metri dal

centro della città, che mandano i loro prodotti ai quattro angoli dell’Europa ma che spesso non si conoscono neppure. Il risultato iniziale di questo lavoro d’indagine e riflessioni fu la creazione di un’associazione, comprendente i due enti e un gruppo di agricoltori, che fu chiamata “Les Hortes de Perpinya”. L’associazione era focalizzata sul rapporto tra città e territorio circostante e si proponeva di far scoprire, promuovere e valorizzare i prodotti … nella loro diversità.

L’anno successivo, Comune, Camera dell’Agricoltura, Les Hortes de Perpinya e una nuova associazione creata tra i produttori di vino, Les Vignobles de Perpignan iniziarono la loro strategia comunicative lanciando una prima giornata Porte Aperte, volta a suscitare una riflessione sul tema della qualità dei prodotti agricoli consumati e che coinvolse la cittadinanza in una visita diretta alle aziende. Fu un successo. E’ significativa la valutazione di un componente

In tema di organizzazione “virtuosa” del rapporto tra città e campagna contigua, è istruttivo e interessante rivedere la storia di un’esperienza francese iniziata una quindicina d’anni fa. La città di Perpignan, capoluogo del dipartimento dei Pirenei Orientali nella regione della Linguadoca-Rossiglione, a 40 km dal confine spagnolo, è una città di poco meno di 130 mila abitanti il cui circondario agricolo era in fase di rapido

L'esperienza di PerpignànRomano Demichel i

21N°0 // AGRICIVISMO // L'ESPERIENZA DI PERPIGNÀN // ROMANO DEMICHELI

dell’organizzazione, che registrava il fatto che la rotta era in fase di cambiamento dal quantitativo al qualitativo. Il buon risultato stimolò un nuovo progetto, un’inchiesta, da condurre in collaborazione con la scuola pubblica, sulle attese della popolazione riguardo ai prodotti e ai produttori. Alla base di questa iniziativa era la convinzione che nella conoscenza reciproca della filiera agricola, gli interessi dei cittadini divengono gli interessi degli agricoltori. Nel 1999 il progetto si realizzò attraverso la “settimana dell’inchiesta” sulle attese della cittadinanza riguardo a tre temi: uomini, territori e prodotti. I’Institut Universitaire de Technologie fornì conoscenza tecnica e intervistatori. I luoghi dell’inchiesta furono supermercati, mercati e negozi. I dati raccolti determinarono il successivo e decisivo passo.

Nel 2000. Infatti, viene registrato il marchio Jardin de Perpignan, che certifica origine, tracciatura e qualità dei prodotti (frutta e ortaggi) e che inizia a trasformare il mercato locale, con l’adesione di nuovi produttori, gli accordi con alcuni distributori, il recesso di altri e perfino tentativi di frode (prodotti importati marchiati abusivamente). La festa cittadina dell’agricoltura divenne un appuntamento annuale e trovò sponsorizzazioni in altre realtà economiche e nelle banche locali.

Negli anni seguenti, nuove realtà si affiancarono, come Les Hortes de Perpignan. Persino produttori di carni ottenute da bovini allevati in altura nei Pirenei si aggiunsero.

Nel 2006, infine, nacque il sito jardindeperpignan.com che consigliamo di visitare per rendersi conto dei risultati di un processo durato oltre 15anni e che resta un bell’esempio di quello che si può fare se si esce dagli schemi culturali dominanti. Oggi si possono comprare on line prodotti di filiera corta e certificati, per panieri o per singoli prodotti, che possono poi essere ritirati in diversi punti della città. Ovviamente i prodotti seguono i ritmi stagionali il cui calendario è facilmente consultabile sul sito. L’associazione Jardin de Perpignan e cresciuta progressivamente e commercializza più di 1500 tonnellate di prodotti, un volume anch’esso in progressiva crescita. Ma non è un fenomeno isolato nella zona: chi vuole saperne di più, può accedere al sito www.agriproxi.net dove potrà verificare la vitalità di un approccio realistico all’innovazione dei rapporti tra produzione e consumo nel campo dell’alimentazione. Equilibri biologici, energetici, economici e qualità di vita possono non solo coesistere ma anche potenziarsi a vicenda ɵ

22N°0 // AGRICIVISMO

un paradigma differente, coltivano secondo logiche ecocompatibili (certificate anche da un marchio specifico del Parco del Serio) e vendono direttamente i prodotti della terra. La vendita avviene nel proprio negozio di Sergnano e all’ortomercato di Crema, tre giorni la settimana. Approfitto della mia visita settimanale (ovviamente prendo la verdura da loro) e mi faccio raccontare da Enzo le motivazioni della loro scelta.

Enzo, ti conosco perché sei il fornitore del mio GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) ma tu non lavori solo per il GAS, la vendita è aperta a chiunque viene qui. Cosa ti spinge a fare questo lavoro? A coltivare la terra e a vendere direttamente?

Prima di tutto la passione, che è la cosa principale, la scelta di vendere direttamente è nata circa 10 anni fa per poter avere un rapporto preciso con quelli che vengono in azienda o qui al mercato ad acquistare la merce; e anche

perché non c’era più soddisfazione a lavorare su larga scala, ovvero cercando di fare più prodotto dovendo sacrificando la qualità. Abbiamo puntato di più sulla qualità.

Mi dici che è da 10 anni che fai questo lavoro, ed hai anche un negozio, c’è sostenibilità economica nell’impostare il tuo lavoro in questo modo?

Per noi piccoli produttori è la salvezza, si riesce ad andare avanti bene, non abbiamo l’illusione di arricchirci ma ci garantisce una prospettiva di salvezza. Almeno a noi che non siamo legati tanto alle tecnologie quanto alla passione per le lavorazioni antiche.

La vostra azienda è a Sergnano (CR), dove vivi. Vendi a Sergnano e a Crema. Sei in grado di avere una misura del tuo raggio d’azione? Conosci i tuoi acquirenti?

Si, si lavora bene anche per questo. Oggi ho raggiunto un bacino di vendita che per me è l’ideale, non voglio aumentarlo, rischierei di non riuscire a far bene le cose.

Hai investito anche in pubblicità o funziona tutto per passaparola?

No, do solo contributi alle attività per bambini, attività sportive e ricreative, preferisco essere conosciuto per quello che sono, che siamo – io e mio fratello – e per quello che facciamo ɵ

Agri-cultura del lavoroFrancesco Guerini

Intervistiamo Enzo Manenti, agricoltore nel vero senso della parola “Agricoltura”, ovvero “arte di coltivare i campi”. Come ogni arte necessita di passione, talento e un messaggio. Enzo ha qualcosa da dire attraverso il modo di coltivare, ha deciso, con il fratello, di prendere una strada diversa da quella dell’agricoltura industriale, massimamente diffusa in pianura padana. Enzo e Luigi investono su