XXV Convegno SISP
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XXV Convegno SISP
Università degli Studi di Palermo – Dipartimento di Studi su Politica,
Diritto e Società “Gaetano Mosca”
8 - 10 settembre 2011
Sezione 4.4 Il mezzogiorno nel sistema politico italiano
Chairs: Antonio La Spina e Claudio Riolo
Discussant: Massimo Morisi
I politici rionali. Ceto politico locale e forme di aggregazione del consenso a
Napoli di Luciano Brancaccio e Vittorio Martone – Università di Napoli Federico II
Abstract
La tendenza alla personalizzazione ha cambiato profondamente forme e dinamiche della politica
in Italia. Ma la forza crescente del personalismo non riguarda solo la leadership monocratica. Si fa
strada, secondo modalità e forme ancora non ben messe a fuoco, un personalismo che interessa il
ceto politico di livello medio e basso, il cui ruolo nelle competizioni elettorali e nella vita politico-
istituzionale sembra assumere via via più rilievo. Il fenomeno è particolarmente chiaro a Napoli,
dove il processo di destrutturazione dei partiti politici a vantaggio di aggregazioni estemporanee e
personalistiche è stato accelerato dal clamoroso fallimento delle primarie del centrosinistra tenutesi
nel gennaio 2011 e dalla conflittualità endemica all‟interno della coalizione di centrodestra. Nel
vuoto lasciato dai partiti tradizionali, i collettori di voti che agiscono nei rioni e nei quartieri e che
siedono in consiglio comunale e nelle municipalità sub-comunali trovano ampi spazi di
affermazione per le proprie strategie e carriere politiche. Le recenti elezioni per il sindaco hanno
plasticamente mostrato la contemporanea presenza delle due forme di personalismo: la leadership
mediatica incarnata da De Magistris e la estrema concentrazione territoriale del voto di preferenza
dei candidati nelle liste. Nuove forme di aggregazione del consenso (i centri di assistenza fiscale
soprattutto) e di mediazione politica, reti particolaristiche di scambio/fiducia caratterizzano a un
livello fortemente territorializzato l‟incontro tra domanda e offerta politica. Il paper propone una
lettura di questi fenomeni sulla base di materiale empirico di carattere quantitativo e qualitativo.
1. Introduzione
La tendenza alla personalizzazione è probabilmente il fenomeno più chiaramente distinguibile
nella recente storia politica italiana. Beninteso, non si tratta di un fenomeno nuovo: già nelle prime
analisi disponibili sulla realtà politica italiana, autorevoli studiosi, da punti di vista teorici e
disciplinari differenti, hanno appuntato l‟attenzione sulla preminenza delle relazioni personali
rispetto ad ambiti di identificazione vasti e di carattere collettivo. Per tutta la fase del dopoguerra
fordista (1950-1980), poi, l‟Italia è stata considerata un caso di studio esemplare, caratterizzato da
rapidi processi di modernizzazione che tuttavia si accompagnavano a una certa vitalità dei modi di
aggregazione e di scambio politico di tipo tradizionale. Al punto da considerarla una delle patrie
elettive del clientelismo moderno1.
Il rapporto tra tradizione e modernità e il rilievo del personalismo hanno costituito temi centrali
nel dibattito delle scienze sociali in Italia. Non è un caso che proprio dalle ricerche sul
Mezzogiorno, nel corso degli anni 80 del novecento, siano partite alcune delle principali critiche ai
modelli teorici dello sviluppo modernista2. Uno dei riferimenti politologici più importanti delle
posizione teoriche contrarie all‟idea di uno sviluppo unilineare (secondo cui le istituzioni
“moderne” sostituirebbero in modo netto i “mondi” tradizionali, con la loro dotazione di rapporti
personalistici) viene dal volumetto di G. Roth “Potere personale e clientelismo”, tradotto da Einaudi
nel 1990. In quel lavoro lo studioso weberiano dimostrava come anche nei regimi che incarnavano
la quintessenza della modernità (Unione Sovietica, Stati Uniti e Cina), nei quali le istituzioni di
massa e il governo impersonale della burocrazia sembravano aver raggiunto la fase di piena
maturità, lo spazio per le relazioni personali fosse assai più ampio di quanto l‟opinione invalsa negli
ambienti accademici lasciasse intendere. A tal proposito distingueva due forme di personalismo: la
prima, definita “personalismo particolaristico”, era caratterizzata da circuiti di scambio e di
distribuzione delle risorse attraverso cui il ceto politico subordinava in modo clientelare ampie fasce
di popolazione, dando luogo ad assetti politici relativamente stabili; la seconda, il “personalismo
universalistico”, rappresentava uno sviluppo della modernità politica nel senso della democrazia
diretta e si realizzava attraverso un ampliamento della sfera personale sulla scena politica e
l‟affermazione di leadership monocratiche elette a suffragio universale. Elementi corollari di
quest‟ultima forma erano la mediatizzazione della politica e lo spoils system, visto come una forma
di neo-patrimonialismo in cui le relazioni personali erano più instabili, temporanee e collegate alla
competenza tecnica di quanto non accadesse nel patrimonialismo tradizionale classificato da Weber.
Ad ogni modo, in entrambi i casi, la modernità politica sembrava manifestarsi attraverso il ricorso
al personalismo, piuttosto che costituire una sua negazione. La distinzione operata da Roth consente
di avere uno sguardo complessivo sul fenomeno del personalismo, emancipandolo da una lettura
troppo schiacciata sulla mediatizzazione della politica e bilanciando con la giusta considerazione
dei concreti rapporti e circuiti personalistici il rilievo assegnato al “discorso” e alla presa delle
leadership monocratiche nei confronti dell‟opinione pubblica.
Il lavoro di Roth troverà ampia conferma nel tramonto delle culture politiche di massa, con il
relativo corredo di retorica collettivista e progressista e con il gigantismo organizzativo tipico della
politica modernista. In Italia in particolare, a partire dalla frattura di tangentopoli, si assiste al
ritorno in pompa magna di caratteri politici che sottotraccia, o, meglio, fuori dal cono di luce
1 Le prime pubblicazioni che in modo diretto o indiretto si sono occupate di questa particolare condizione del nostro
paese risalgono addirittura alla tradizione politologica italiana otto-novecentesca e agli studi sul trasformismo della
classe politica e sulle logiche di riproduzione delle “minoranze governanti” (Mosca 1958, Gobetti 1995, Dorso 1949); e
naturalmente, in relazione al tema più specifico del clientelismo, al meridionalismo classico (Franchetti e Sonnino 1974,
Fortunato 1973, Dorso 1945, Gramsci 1966, Salvemini 1955). Tuttavia è nel secondo dopoguerra che, nel campo degli
studi di politica comparata, si delineano quelle caratteristiche del nostro paese che ne farebbero un caso di
modernizzazione ibrida, segnata dal persistere di relazioni di tipo particolaristico nonostante l‟affermarsi delle
istituzioni repubblicane e delle organizzazioni di massa (Almond e Verba 1963). 2 Per una ricognizione del dibattito attorno a questi temi si vedano i numeri della rivista “Meridiana” tra gli anni 80 e la
metà dei 90 del secolo scorso.
dell‟osservatore troppo concentrato sulla dicotomia tradizione-modernità, avevano anche nelle fasi
precedenti rappresentato uno snodo fondamentale per comprendere le dinamiche politiche. Da
questo punto di vista il lungo dopoguerra delle culture politiche novecentesche appare un arco
temporale delimitato e debolmente connotato, piuttosto che un viatico verso l‟emancipazione da
forme di subordinazione personale. Pur essendosi radicata nel tempo una forte tradizione storica di
apparati politici e di rappresentanza sociale “di massa”, la dimensione collettiva della politica
sembra essere stata costantemente incalzata, e in molte circostanze decisamente superata, da circuiti
di interessi, fiducia, appartenenza, identificazione di carattere particolaristico e personale.
Abbiamo messo a punto questo contributo basandoci ampiamente sulle categorie e sulla visone
proposta da Roth (1990). In particolare, le nostre argomentazioni saranno centrate sui processi di
sedimentazione di un ceto politico di livello medio-basso e sulle dinamiche di aggregazione del
consenso al livello comunale e sub-comunale. Il framework teorico e il materiale empirico di
seguito illustrato sono il frutto di ricerche da noi condotte negli anni scorsi (Brancaccio e Zaccaria
2007, Martone 2008, 2010, Brancaccio 2011) aggiornate sulla base di nuove acquisizioni degli
ultimi mesi. Utilizzeremo principalmente i dati dei consiglieri municipali eletti nel 2006 e i dati
elettorali delle comunali del 2006 e del 2011. Faremo ricorso anche a materiale qualitativo
proveniente da una serie di interviste realizzate tra il 2007 e il 2011.
2. Quartieri o feudi? Personalizzazione e professionalizzazione nelle forme di
aggregazione del consenso rionale.
Dal 1980, contestualmente all‟elezione del sindaco, i cittadini napoletani sono chiamati a
scegliere anche i propri rappresentanti di quartiere eletti prima nei 21 Consigli Circoscrizionali e,
dal 2006, nei 10 Consigli di Municipalità3. Siamo dunque a quasi un trentennio dall‟introduzione di
un quarto livello di governo, che segna caratteri peculiari rispetto alla formazione di un personale
politico “di base”, assai radicato nei quartieri e tendenzialmente predisposto all‟autoriproduzione,
che adotta proprie strategie di ricerca e manutenzione del consenso elettorale. In questo quadro – ed
è la tesi che si intende sostenere – il livello decentrato della politica a Napoli sembra acquisire le
caratteristiche di un vero e proprio “ceto politico” rionale (Mastropaolo 1993), che si interpone tra
cittadini e istituzioni, si annida all‟interno di queste ultime e ne controlla l‟autorità intrecciando
attorno a sé una robusta cintura di relazioni edificata sullo scambio elettorale.
Queste considerazioni sono corroborate dal materiale empirico di seguito illustrato, che
ricostruisce i percorsi politici e le strategie elettorali degli eletti nei consigli di quartiere di Napoli.
Un ceto che presenta una ragguardevole stabilità nel tempo, con un basso ricambio di personale,
una lunga esperienza di militanza, spesso più che ventennale, e una lunga trafila di incarichi
elettorali e responsabilità istituzionali. Ma questi elementi di spiccata professionalizzazione
sembrano costantemente in bilico tra due forze opposte: l‟influenza partitica e la crescente
personalizzazione. Sebbene, infatti, il seguito elettorale resti territorializzato e personale, un certo
ruolo di regolazione spetta ancora ai partiti, che condizionano a vario titolo l‟aggregazione dei
consensi e la selezione delle candidature4. Di certo non si tratta di organizzazioni strutturate e
3 La recente introduzione delle Municipalità amplia i confini, le competenze e l‟autonomia dei governi di quartiere,
recependo i principi del d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che assegna ai
Comuni con più di 300.000 abitanti l‟opportunità di istituire “particolari e più accentuate forme di decentramento di
funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale” (Art. 17, comma 5). Per quanto concerne il sistema elettorale, con
le Municipalità si riduce il numero di consiglieri da 430 a 300 e viene introdotto un criterio elettorale sul modello di
quello previsto per i Comuni oltre i 15.000 abitanti (l. n. 81/1993). Viene confermata la preferenza unica, vige lo
sbarramento al 3% dei consensi e un premio di maggioranza al 60% per la lista che ottiene più preferenze. Non è
previsto il ballottaggio. 4 Dopo una fase di ridefinizione di indebolimento seguita al ciclone Tangentopoli, che a Napoli registra una eco quasi
celebrativa con la retorica del “rinascimento della città” (Geremicca 1997; Cilento 2000; Brancaccio 2002; Allum
2003), più contributi politologici e sociologici testimoniano un ritorno energico dei partiti al livello nazionale e locale.
Così scrivono ad esempio gli Autori di un importante studio sul tema: “I partiti tornano a farsi sentire imponendo
collegiali, ma più che altro di “partiti/lista” ai quali i candidati aderiscono in base a calcoli
opportunistici, legittimando in questo modo i consensi raccolti nei quartieri. Questi “partiti/lista”
assumono rilevanza quasi esclusivamente nei momenti elettorali, per almeno due ordini di motivi.
In primo luogo, destrutturata la presenza fisica del partito sul territorio, collegata alle sezioni o ai
circoli di quartiere, il relativo criterio di aggregazione – di stampo ideologico e collettivo – ha teso
via via a scomparire. L‟unico vero confronto tra politica e società urbana si riduce al momento del
rinnovo delle cariche, quando si rendono palesi tanto le tecniche di selezione dei candidati, quanto i
loro spazi di azione e le loro pratiche di proselitismo. In secondo luogo, una volta destrutturato il
loro apparato gerarchico – segreterie e uffici dirigenziali – per la progressiva penuria di risorse, la
politica tende ad organizzarsi secondo il modello del cartel party (Katz e Mair 1995). I partiti si
trasformano in organizzazioni edificate su una membership coincidente con i ruoli di governo e con
le rappresentanze nelle assemblee elettive. Un partito degli eletti, dunque, che risulta funzionale
anche sotto l‟aspetto dell‟accesso alle risorse. Infatti, la sopravvivenza di queste macchine politiche,
più simili a reti di sottogoverno che a organizzazioni di militanza politica, dipende sempre più dal
finanziamento dell‟attività politica di base, assicurata agli eletti da una remunerazione
quinquennale. In questo quadro, il consenso elettorale viene disputato sulla base di una vera e
propria competizione “di mercato”, basata sul controllo di pacchetti di voti territorialmente
delimitati e quantificabili in base alle preferenze – uniche – ottenute a ogni tornata elettorale.
L‟esito di questa tensione tra personalismo e partito è un equilibrio assai precario e, in ogni
caso, perennemente contrattabile. Il partito ha bisogno del politico che lavora sul territorio per
radicarsi e il politico ha bisogno del partito per ottenere canali di distribuzione delle risorse. Un
aspetto che interessa in particolar modo gli organi di governo sub-comunale, luogo in cui risiede un
notevole potenziale di seguito elettorale; qui si trova quel “bacino di interscambio tra società e
politica” che la destrutturazione e la perdita di radicamento dei partiti rende difficilmente
raggiungibile (Calise 2006, p. 93).
L‟analisi che segue mira dunque a delineare in termini più precisi questi equilibri, affrontando
due dimensioni: il percorso politico dei consiglieri eletti nel 2006, ricostruendone i termini della
militanza e gli elementi di stabilità nel tempo (par. 1.1); le strategie elettorali praticate, dalle quali
emergono più chiaramente i rapporti tra le scelte personali e le dinamiche di adesione ai partiti (par.
1.2). La base-dati è stata raccolta attraverso la somministrazione di un questionario strutturato (37
items, suddivisi in 5 sezioni) all‟intero universo degli eletti nelle Municipalità nella consigliatura
2006-2011. Al termine della rilevazione hanno acconsentito a rispondere 254 tra consiglieri e
assessori municipali, pari al 77 per cento dell‟universo. La ricognizione è stata arricchita di ulteriori
impressioni provenienti dall‟osservazione non partecipante, dai colloqui con testimoni qualificati5 e
dall‟analisi di altre fonti secondarie (quotidiani locali, indagini statistiche sul voto, verbali di
consigli di municipalità e altri atti amministrativi).
3. Il profilo politico. Il consolidamento del ceto politico rionale.
L‟analisi del profilo politico dei consiglieri fornisce chiari elementi alla tesi della configurazione
di un ceto ben consolidato. La connotazione professionistica poggia su almeno tre dimensioni: in
primo luogo sui percorsi politici, che si evolvono secondo traiettorie prevalentemente interne ai
partiti; in secondo luogo sulla durata della militanza, che nella maggior parte dei casi interessa un
arco temporale notevolmente esteso; in terzo luogo sulla straordinaria stabilità nel tempo,
dimostrata dai bassi tassi di ricambio nelle tornate elettorali.
«rimpasti» che tendono a reintrodurre le logiche della mediazione politica nella composizione delle giunte e nelle
dinamiche del governo cittadino […]; il pendolo delle risorse e della visibilità pubblica segnala un momento di
«ricentralizzazione» politica, sia su scala nazionale che regionale” (Catanzaro et al. 2002, p. 43). 5 Gli estratti di alcune delle interviste svolte vengono di seguito segnalati con un codice finalizzato alla tutela della
privacy degli intervistati.
Partendo dai percorsi politici, l‟adesione a un partito è l‟elemento prevalente per la gran parte
degli eletti. Il 76.5 per cento dei consiglieri censiti dichiara, infatti, di aver avuto un percorso tutto
interno ai partiti (tabella 1).
Tabella 1 – Percorsi interni al partito e anno di accesso alla politica, confronto tra schieramenti
(valori percentuali) Centrosinistra Centrodestra Tutti
Percorsi politici interni al partito Si 79,8 72,2 76.5
No 20,2 27,8 23.5
Totale 100 100 100
N = 231
Anno di prima iscrizione a partiti Fino al 1960 1,0 0 0,6
dal 1961 al 1970 9,0 3,3 6,5
dal 1971 al 1980 27,0 18,0 23,1
dal 1981 al 1990 15,0 26,2 18,9
dal 1991 al 2000 39,0 39,3 39,6
dal 2001 al 2006 9,0 13,1 11,2
Totale 100 100 100
N = 176
All‟iscrizione al partito, i consiglieri rionali affiancano un‟anzianità di servizio datata nel lungo o
addirittura lunghissimo periodo, nella grande maggioranza dei casi più che decennale. Nel
complesso, l‟88.7 per cento dei censiti aderisce al partito ben prima del 2000. Anche se una
cospicua porzione dichiara di essersi iscritta dopo il 1991 (50.8%), resta ancora una metà degli eletti
(49.1%) che colloca la propria iscrizione prima del 1990, e dunque l‟avvio di un percorso che
precede la cesura di Tangentopoli.
Figura 1 – Durata della militanza politica per classi, confronto tra schieramenti (valori
percentuali)
“di lungo corso” = iscritti a partiti fino al 1990
“new comers” = iscritti a partiti dal 1991 in poi
E per di più, tra questi ultimi, per la maggior parte dei casi si tratta di iscritti già prima degli anni
Ottanta (30.2%). Sulla base della durata della militanza è possibile suddividere allora gli eletti nel
52
47,5
49,1
48
52,5
50,9
Centrosinistra Centrodestra Tutti
di lungo corso
new comers
2006 in due gruppi a seconda dell‟ingresso nei partiti prima o dopo gli anni Novanta e la riforma
dell‟elezione diretta dei sindaci (Figura 1).
Ne emerge un campione suddiviso a metà. Un primo gruppo è composto dai politici che
potremmo definire di lungo corso, che maturano un prolungato cammino di militanza e di carriera
partitica (49.1%); un secondo è composto dai politici cosiddetti new comers, entrati nei partiti più
recentemente (50.9%)6. I tempi di ingresso in politica delineano tipi di socializzazione differenti che
è opportuno tenere distinti, ma non bisogna tuttavia pensare che quello degli anni Novanta
rappresenti un mutamento strutturale nelle dinamiche del ceto politico rionale. In effetti i tratti di
persistenza sono assai più consistenti rispetto a quelli di discontinuità. Nell‟ultimo decennio si avvia
infatti un processo di ri-professionalizzazione che interessa tutti i consiglieri. Anche gli eletti a
partire dagli anni Novanta collezionano ormai molti anni di esperienza nei ranghi del governo
urbano, e nel corso dei loro mandati tendono a uniformarsi al resto del gruppo. E ancora una volta
sono i partiti a fungere da fulcro attorno al quale ruota e si modella il ceto politico locale. Non è un
caso dunque che degli eletti nel 2006, il 91.3 per cento dei consiglieri dichiari di essere iscritto a un
partito (Figura 2a).
Figura 2 – a) Adesione a partito b) Cariche ricoperte (valori percentuali)
a) b)
N = 231 N = 231
Un dato che evidenzia con forza come le organizzazioni partitiche influenzino ancora in qualche
modo la rappresentanza nei governi suburbani tanto dal lato della scelta degli amministratori,
quanto da quello del controllo delle istituzioni. Rispetto al primo punto, basta dare uno sguardo ai
meccanismi di selezione delle candidature per comprendere l‟importanza di questo sistema (Tabella
2).
Tabella 2 – Meccanismi di selezione delle candidature (valori percentuali) Centrosinistra Centrodestra Tutti
Conseguenza della attività politica indipendente 21,3 25,0 23,7
Conseguenza della mia attività politica in seno al partito 35,4 34,1 34,7
Proposta da un politico di partito di livello cittadino o superiore 13,4 21,6 16,8
Proposta a livello locale, dalla sezione territoriale/circolo di partito 29,9 19,3 24,8
Totale 100 100 100
N = 231
Per i due terzi dei consiglieri la candidatura è l‟esito dell‟adesione al proprio partito politico
(77%). Nella maggioranza dei casi si tratta di candidature frutto dell‟attività svolta internamente al
partito (34.7%). Non manca tuttavia un meccanismo di nomina interna. In questo caso la scelta
passa in parte per un meccanismo di investitura che deriva dal quartiere e dalla sezione territoriale
6 La distinzione è mutuata da Ramella (2004).
No
39,5
Si
60,5
Si
91,3
No
8,7
del partito (24.8%), in parte per una vera e propria designazione operata dai leader di livello
superiore (16.8%).
Rispetto al controllo sulle istituzioni, la distribuzione delle cariche istituzionali tra i consiglieri
sembra seguire dinamiche di partito, contribuendo alla socializzazione di un ceto professionalizzato.
Anche in questo caso è la stragrande maggioranza dei casi ad aver ricoperto cariche istituzionali
pregresse (60.5%) (Figura 2b). Si tratta di incarichi interni, come ruoli di dirigenza nel partito,
segreteria di sezione o presidenza di circolo territoriale, dirigente di livello cittadino ed altre
esperienze nelle rappresentanze istituzionali (capogruppo, presidente commissione ecc.), e di
incarichi esterni, tra i quali spicca la presenza delle cariche sindacali. Non mancano poi le
tradizionali cariche di nomina politica nella pubblica amministrazione (incarichi nella sanità, enti
locali, enti ministeriali) o in società pubbliche e controllate (es. Arin, Anm, Asia ecc.).
Veniamo così alla terza e ultima dimensione, relativa alla stabilità della politica locale nel tempo.
Questo dato risulta abbastanza immediato dall‟esame del grado di ricambio del personale politico di
quartiere (Figura 3).
Figura 3 – Tassi di ricambio nei consigli circoscrizionali e di municipalità (anno 1983 - 2006)
Fonte: Comune di Napoli Servizio Sistema Informativo Amministrativo e Documentale – nostra
elaborazione
Negli anni Ottanta il tasso di ricambio – calcolato come percentuale di eletti non presenti nella
consigliatura precedente – è particolarmente basso, attestandosi al 49% sia nella seconda che nella
terza tornata elettorale (1983 e 1987). Poi nel passaggio degli anni Novanta, periodo in cui si aprono
nuove opportunità di accesso grazie alla frattura di tangentopoli, il tasso cresce notevolmente
raggiungendo i 60 punti del 1992, i 62 del 1993 ed i 63 punti percentuali del 1997. Tuttavia è già a
partire dalla fine del decennio che si avvia un evidente rallentamento del turn over, che riporta il
tasso di ricambio prima al 54 per cento del 2001 e poi al 49% del 2006, con l‟insediamento dei
primi consigli di municipalità.
Con la professionalizzazione della politica di base si delinea, dunque, un quadro simile a quello
descritto da Roth (1990) con la categoria del “personalismo particolaristico”: un ceto relativamente
stabile organizza l‟accesso alle risorse politiche attraverso una gestione neo-patrimonialistica delle
candidature e dei pacchetti di voti.
49 49
6062 63
54
49
1983 1987 1992 1993 1997 2001 2006
4. Strategie elettorali. Tra personalizzazione e partiti politici.
Se da un lato i percorsi interni ai partiti, la durata della militanza e la stabilità nel tempo
denotano un quadro pressoché statico, dall‟altro il livello decentrato della politica presenta caratteri
di maggiore effervescenza, di uso strumentale delle liste elettorali e di ancoraggio – personale – al
territorio come base per l‟aggregazione del consenso. In questo quadro, il dato più interessante ai
fini dell‟analisi è il sempre più acceso processo di personalizzazione. Nel caso specifico questo
processo si evolve in tre fasi successive, in cui assume diverse forme: una prima “di vertice”, che si
avvia negli anni Ottanta; una seconda “della base”, configuratasi negli anni Novanta. Una terza
fase, avviatasi nell‟ultimo decennio, che sembra essere l‟esito della tensione tra le prime due forme.
La prima fase riflette alcuni aspetti peculiari del quadro politico napoletano. Specie a partire
dall‟intervento straordinario successivo al terremoto del 1980, all‟interno delle macchine
organizzative dei partiti storici – specie di centro – si evidenziano determinate leadership personali.
Queste consolidano le proprie posizioni di influenza attraverso il controllo degli ingenti
trasferimenti di finanze statali. Si tratta di una personalizzazione di vertice poiché collegata a
leadership di rango nazionale, che attraverso l‟articolazione di correnti interne al partito controllano
anche l‟accesso alla cariche istituzionali al livello locale7. Questo sistema, che già nel corso del
decennio evidenzia al proprio interno i germi del suo indebolimento8, crolla repentinamente con le
inchieste di tangentopoli, che destrutturano gli apparati di partito aprendo un nuovo scenario di
competizione per l‟accesso alle cariche istituzionali, grazie anche alla nuova normativa
dell‟elezione diretta del sindaco (seconda fase). Si è già fatto cenno al mutamento in termini di
struttura delle opportunità politiche connesso a questa fase, caratterizzata dall‟emersione di
leadership monocratiche e da un forte ricambio di personale politico (anche esterno ai partiti
tradizionali). Così come sono già emersi alcuni elementi della fase successiva – la terza – avviatasi
nell‟ultimo decennio, che sembra riproporre un certo professionismo nella politica rionale. Ed è in
questo momento che si registra un apparente paradosso: a fronte di un ritorno del ruolo dei partiti
(seppur con modalità di azione e sostanza fortemente mutate) si consolida anche la diffusa pratica
individualistica nell‟approccio alla politica.
Occorre a questo punto ragionare su due aspetti dell‟attuale contingenza: da un lato sulle
modalità attraverso le quali si connota questa tensione anomala tra partiti e personalizzazione;
dall‟altro, sulle conseguenze pratiche che questa tensione produce rispetto ai meccanismi di
aggregazione del consenso a livello decentrato. È un quadro in cui i circuiti di reclutamento del
consenso si stabiliscono e si consolidano attorno a specifici territori di influenza, spesso assai
circoscritti. In cui la capacità di gestire il proprio pacchetto di voti è una delle principali risorse da
scambiare nel mercato elettorale. Tre componenti (partito, territorio, voti) evidentemente
compenetrate attraverso le quali è possibile ricostruire la tensione tra partiti e personalizzazione
politica.
Partiamo dalla prima componente, il partito. Ferma restando la connotazione leggera di
“partiti/lista” vista in apertura, nel paragrafo precedente è emerso che la loro influenza nella
selezione del personale politico di quartiere appare rinvigorita. Come abbiamo accennato, non si
tratta dei partiti tradizionali, dotati di strutture organizzative permanenti e articolate sul territorio.
Piuttosto abbiamo qui a che fare con reti personali organizzate attorno a cariche istituzionali di
7 Tra la fine degli anni 80 e l‟inizio dei 90 la città di Napoli esprimeva quattro leader nazionali particolarmente
influenti: Gava (Ministro dell‟Interno), Pomicino (Ministro del Bilancio); De Lorenzo (Ministro della Sanità) e Di
Donato (vicesegretario nazionale Psi). Sul modello delle correnti e sul peso che hanno nella configurazione dell‟ordine
locale della politica napoletana il riferimento è – tra gli altri – alle note analisi condotte da Percy Allum (1975). 8 Il sistema delle cordate entra in crisi già nel corso degli anni Ottanta. Una crisi che origina proprio nei meccanismi di
aggregazione del consenso. In altre parole, la massiccia distribuzione di risorse pubbliche produce ben presto la
cronicizzazione della gestione particolaristica, con un surplus di domanda clientelare e la conseguente destabilizzazione
della base di consenso. La staticità delle correnti, ostinate nella difesa delle posizioni ottenute, contribuisce in tal senso
al proprio stesso ridimensionamento (Brancaccio 2003). Ciò produce una frammentazione delle posizioni di potere, con
divisioni interne e l‟emersione di nuove leadership “provinciali” in conflitto con quelle precedenti (Allum 2003).
medio e basso livello, estremamente mutevoli, capaci di spostarsi da un partito all‟altro, ma sempre
collegate a qualche leadership di livello nazionale. Nel vuoto della politica organizzata, queste reti
rinvigoriscono: affossano il partito come struttura collettiva e allo stesso tempo assegnano una sorta
di monopolio politico agli intermediari che agiscono nei rioni e nei quartieri della città (Brancaccio
2011). Paradossalmente i partiti escono per certi versi rafforzati dalla loro crisi: perdono
legittimazione nei confronti dell‟opinione pubblica, ma contemporaneamente le leadership personali
al loro interno guadagnano potere, sostituendo agli incentivi universali e simbolici quelli selettivi e
materiali tipici della politica neo-patrimoniale (Ignazi 2004).
La nuova forza dei partiti – ovverossia delle reti personali che in essi si sviluppano – è
dimostrata dai seguenti dati. La stragrande maggioranza degli eletti è iscritta a un partito (91.3%),
che per tre quarti dei casi ne condiziona, a vario titolo, la candidatura (77%). Aderire a una sigla
resta dunque essenziale per l‟eleggibilità del politico di quartiere9, e su queste basi il partito
costituisce un bacino di relazioni strategiche che si sviluppa in direzioni opposte e complementari:
verso il basso, sostenendo la candidatura nel quadro degli equilibri politici di quartiere; verso l‟alto,
laddove il contatto con leadership di livello superiore può fungere da elemento decisivo per l‟ascesa
a più importanti cariche istituzionali e per ottenere quei contatti strategici che consentono poi di
presentarsi con le credenziali adatte nei propri territori di riferimento.
Fin qui il partito sembra rappresentare una componente prioritaria in quella permanente tensione
con il candidato. Ma il gioco tra le parti è ben lungi dall‟essere a senso unico. Per sopravvivere il
partito deve necessariamente rincorrere l‟elettorato sul quale ha da tempo perduto il controllo in
quanto organizzazione collettiva e soggetto di offerta politica. Ed è in questo vuoto che si configura
lo spazio d‟azione del politico rionale. Agendo dal basso, nei quartieri, l‟eletto si appropria di una
merce pregiata, che può mercanteggiare con il miglior acquirente e in ogni tornata elettorale.
Inquadrare la competizione in un lessico di mercato non è certo un caso10
. Come visto nel
paragrafo precedente, i politici di base operano sul territorio spesso da decenni, hanno dunque la
possibilità di realizzare un notevole seguito elettorale da proporre sulla piazza. Mercanteggiare
questo potenziale vuol dire offrirlo ai diversi partiti politici, scegliendo chi di questi propone le
opportunità più ghiotte. Il fenomeno di mobilità tra partiti è un importante indicatore di questa
dinamica. I passaggi di lista hanno una incidenza abbastanza rilevante tanto sulle carriere pregresse,
quanto sulla situazione attuale. Dei 231 consiglieri censiti, quasi un terzo dichiara di aver effettuato
passaggi di partito durante il proprio percorso politico (30.3%) (Tabella 3)11
. Una strategia che pare
interessare leggermente di più i consiglieri di centrodestra.
Nonostante nella stragrande maggioranza dei casi si tratti di un solo cambio (51 casi su 53), la
scelta strategica del partito sembra essere comunque una condizione influente nel definire le chance
per la rielezione. Infatti, su 156 consiglieri confermati – ovvero già presenti nella precedente
consigliatura – ben 34 risultano rieletti dopo un cambio di partito avvenuto nel corso della
consigliatura precedente.
9 Bisogna, inoltre, considerare che l‟importanza dell‟adesione al partito resta tecnicamente indispensabile in quei
sistemi – come le municipalità napoletane – in cui è previsto uno sbarramento al 3% dei consensi, che riduce in questo
modo le chance di accesso per i candidati esterni alle liste più rappresentative. Il candidato difficilmente può essere
eletto senza l‟appoggio del movimento o del partito a cui fa riferimento. Questo tendenzialmente spinge all‟adesione, o
almeno, rende meno netta la frammentazione. 10
Effettivamente non rappresenta neanche una novità. Il riferimento in tal senso è alle riflessioni di Joseph Schumpeter
(1942), che per spiegare il funzionamento della democrazia prende a prestito i concetti elaborati dalla dottrina
economica del capitalismo (voto/merce, leader/imprenditore; competizione per il potere/concorrenza per il profitto
ecc.). 11
Nel conteggio dei passaggi di partito si è ovviamente tenuto conto dell‟evoluzione del quadro politico generale. Per
passaggio di partito si è perciò inteso esclusivamente un movimento trasversale individuale, escludendo le aggregazioni
(ad es. Ppi – Margherita – PD, o PDS – DS – PD) o le scissioni di ordine collettivo (come nel caso di PDL – FLI).
Tabella 3 – Passaggi di partito, numero di passaggi, passaggi di coalizione e direzione del
passaggio Centrosinistra Centrodestra Tutti
Ha effettuato passaggi di partito (%)
Si 25,2 34,4 30,3
No 74,8 65,6 69,7
Totale 100 100 100
N = 231
Se sì, numero di passaggi (Valori assoluti)
Almeno uno 26 25 51
Due o più di due 0 2 2
Totale 26 27 53
N = 53
Ha effettuato passaggi di coalizione (Valori assoluti)
Si 9 15 24
No 17 12 29
Totale 26 27 53
N = 53
Lo stesso discorso vale per i passaggi da uno schieramento all‟altro. Sono 24 gli eletti che
durante il proprio percorso saltano di coalizione: in 14 passano dal centrodestra al centrosinistra, i
restanti 10 vanno nella direzione opposta. A uno sguardo più approfondito, e distinguendo gli eletti
per partito di appartenenza, un‟ulteriore evidenza riguarda il fatto che i passaggi di lista interessino
in maniera particolare i partiti di centro, ai quali aderisce quasi un terzo dei casi censiti (Figura
4a)12
:
Figura 4 – a) Consiglieri che hanno effettuato almeno un passaggio di partito per area di
appartenenza (valori assoluti) b) Consiglieri eletti nel 2006, iscrizione ad associazioni (valori
percentuali)
Si configura dunque una competizione di mercato, con un continuo confronto tra domanda e
offerta di un seguito elettorale che, peraltro, appare molto stabile. La persistenza dei politici di
quartiere dimostrata dai bassi tassi di ricambio registrati nel corso degli anni denota infatti un
ulteriore punto a loro favore. Sussiste un “nocciolo duro” di amministratori di quartiere che non
solo sedimenta un seguito consolidato, ma che é anche capace di mobilitarlo con cadenza
quinquennale. Veniamo così alla seconda delle tre componenti individuate, il territorio. Oltre a
12
L‟area di appartenenza è stata ottenuta accorpando unicamente i partiti interessati da fenomeni di trasformismo, e
seguendo il criterio seguente: «Sinistra», ex DS, Rifondazione, Pdci; «Destra», AN e MSI; «Centro», Italia dei Valori,
ex Margherita, Udeur, Sdi, Forza Italia e Udc.
Sinistra
15%
Centro
79%
Destra
6%
Iscritti
47,8%
Non iscritti
52,2%
essere stabile, il seguito costruito è sovente notevolmente circoscritto – sulla scala del rione o della
strada – e collegato a un capitale sociale fatto di relazioni informali, di parentela, amicizia e vicinato
intessute nei luoghi di origine13
. Vantare questo “consistente numero di elettori” vuol dire
emanciparsi sempre più dai vincoli partitici e dalle pratiche a essi collegate. L‟osservazione delle
modalità attraverso le quali i candidati conducono le loro campagne elettorali chiarisce
ulteriormente questo aspetto.
Tabella 4 – Collegamento con candidati di ordine superiore, modi di conduzione della campagna
elettorale e modalità comunicative (valori percentuali) Centrosinistra Centrodestra Tutti
Collegamenti con candidati di ordine superiore
Da solo 58,4 68,3 62,4
Coordinandomi con il candidato presidente 10,4 8,2 9,5
Coordinandomi con un candidato al Comune 31,2 23,5 28,1
Totale 100 100 100
N = 231
Modi di conduzione della campagna elettorale
Utilizzando una struttura organizzativa di supporto 12,4 14,9 14,1
Contando sull‟aiuto della sezione di partito 12,4 12,6 12,3
Utilizzando le conoscenze di cui già godevo nel quartiere 75,2 72,4 73,8
Totale 100 100 100
N = 231
Modalità comunicative
Comizi 3,1 10,1 5,7
Incontri in casa di amici 57,7 42,7 51,3
Incontri collettivi pubblici 14,6 9,0 12,2
Casa per casa 22,4 33,7 27,4
Affissione di manifesti 2,2 4,5 3,5
Totale 100 100 100
N = 231
Il primo dato a riguardo è un buon indicatore di quanto appena asserito: si tratta dei collegamenti
che i candidati nelle municipalità stipulano con i candidati di ordine superiore, in questo caso
consiglieri comunali e presidenti di municipalità (Tabella 4). Più del 60 per cento degli eletti non fa
ricorso all‟appoggio di candidati di ordine superiore (62.4%), né li appoggia a sua volta. La facoltà
di disporre di un seguito stabile e territorializzato è, in altre parole, un ulteriore accrescimento del
processo di personalizzazione politica sin qui discusso. Si conferma una consistente capacità
contrattuale dei consiglieri di municipalità, ma anche una loro elevata autonomia, riscontrabile nei
modi di conduzione delle campagne elettorali. A prescindere dalla coalizione di appartenenza,
infatti, i candidati nella maggioranza dei casi svolgono la propria attività di proselitismo
mobilitando le proprie reti preesistenti. Gli eletti non necessitano della sezione locale del partito, né
tantomeno di una struttura organizzativa più ampia, ma attivano costantemente la propria vasta – e
territorializzata – rete relazionale. Il quartiere è il “loro territorio”14
, in cui sedimentano nel tempo
una legittimazione coltivata costantemente attraverso rapporti diretti e personali, faccia a faccia con
13
Come spiega chiaramente un testimone ascoltato, parlandoci della campagna elettorale: “Prevale chi è riuscito a
rendere visibile l‟appoggio di un consistente numero di elettori: quello che praticamente si è presentato al tavolo,
dicendo: «io vi porto tutti i voti del rione dei fiori», oppure «io vi porto tutti i voti del rione Sanità» ecc.” (Int.
12.3.2008, dirigente). 14
Nell‟osservazione non partecipante operata durante e dopo la campagna elettorale emerge una terminologia spesso
geograficamente localizzata. Sovente si sente dire “Il mio territorio è questo..” o con maggiore precisione “Io mi prendo
tutti i Camaldoli”. O, in maniera più palese “Io i voti li prendo alla Stella, sopra il museo …”.
gli elettori15
. Anche la terza variabile indicata nella Tabella 4, relativa alle modalità comunicative,
conferma questa impressione. Più della metà degli eletti conduce una campagna elettorale basata
esclusivamente su rapporti di amicizia vantati nel quartiere. Gli “incontri in casa di amici” sono la
forma pubblica più utilizzata per attivare i conoscenti ed orientarli alle urne (51.3%). La prassi è
quella dell‟informalità, dei brindisi o dei buffet attorno ai quali si organizzano piccole “camere
confessionali” in cui far defluire gli elettori “amici degli amici” per ascoltarne le problematiche e
considerare assieme le possibili risposte. Una seconda modalità comunicativa è il tradizionale “casa
per casa” (27.4%), considerato assai produttivo per raggiungere i residenti con i quali si ha meno
familiarità o comunque un legame meno assiduo.
Ricapitolando, da un lato la capacità di accumulare consenso e di fissare i legami nel lungo
periodo è la chiave dello scambio degli eletti col partito. Dall‟altro, la delimitazione territoriale
dell‟attività di proselitismo e la cura costante dell‟elettorato è la chiave dell‟accumulare. Ma manca
un ultimo tassello, relativo alle regole (formali) che rappresentano il complemento funzionale di
tutta quest‟impalcatura. È questa l‟ultima delle tre componenti che hanno guidato il nostro
ragionamento, quella del voto. E la regola che fa da cornice al quadro sin qui tratteggiato risiede
proprio nel criterio elettorale: il meccanismo della preferenza unica. Questa modalità elettiva
conduce a una vera e propria sfida di “tutti contro tutti”, in cui il successo di un candidato
corrisponde spesso alla sconfitta di un collega di partito, secondo un gioco a somma zero. Non ci
sono rapporti di collaborazione o alleanze di cordata che tengano: l‟obiettivo è conquistare per sé il
maggior numero di preferenze16
. La necessità di convincere l‟elettore a indicare un nome come
unica opzione di scelta spinge all‟eccesso la competizione elettorale, rendendola ancora più
individualistica. Il consenso viene conteso condominio per condominio, famiglia per famiglia, fino
alla costituzione di un pacchetto di voti personali, conquistati con un‟azione di cura costante e
spesso più fidelizzati di quanto possa un qualsiasi orientamento elettorale17
. Il fenomeno può essere
rilevato esaminando l‟incidenza del voto di preferenza. Nelle elezioni municipali del 2006, quasi 7
voti su 10 sono voti personali (68.3%), con punte notevolmente più alte per taluni partiti (tabella 5).
In effetti, l‟incidenza del voto personale coinvolge in maniera particolare i partiti di centro. Il
ricorso più elevato si registra per lo Sdi (80.2%), seguito da La Margherita e l‟Udeur, che registrano
una percentuale attorno ai 78 punti, superiore di circa dieci lunghezze rispetto alla media cittadina.
In generale la pratica del voto personale sembra interessare meno i partiti di sinistra, dove ad
esempio il partito dei Comunisti Italiani segna un elevatissimo ricorso al voto di lista senza
indicazione di preferenza (per loro l‟incidenza raggiunge solo i 45 punti percentuali). L‟incidenza
del voto di preferenza nelle prime elezioni municipali conferma l‟importanza di questo meccanismo
nel configurare la rappresentanza politica a livello decentrato. L‟esito elettorale premia proprio quei
partiti che più fanno ricorso al proselitismo di stampo personale – i partiti di centro, per l‟appunto –
che registrano i maggiori avanzamenti rispetto alle elezioni precedenti del 200118
.
15
L‟esperienza di campo mostra chiaramente la figura di un consigliere “amico di tutti”. Non è semplice percorrere
pochi metri accanto ad un eletto senza dover continuamente fare “brevi soste di cortesia”, poiché il dovere del saluto è
osservato maniacalmente. Ogni commerciante adagiato di fronte al proprio esercizio, ogni anziano, ogni passante, va
sempre salutato. Lo si chiama rigorosamente “per nome” (sovente vezzeggiativo), gli si stringe la mano, gli si promette
un caffè “non appena il tempo lo permette”. Una pratica, questa fra tante, di una familiarità con il quartiere che diventa
cruciale per eletti ed elettori (VI Municipalità, appunti del 6 marzo 2008). 16
Per una analisi sulle conseguenze politiche della preferenza unica si vedano le tesi contenute in Pasquino (1993). Con
specifica attenzione al processo di personalizzazione, il rimando è a Calise (2000). 17
Come sostiene un consigliere comunale molto votato: “oggi è cambiato tutto, il voto politico è quasi completamente
voto di preferenza. Prima si esprimeva il voto di lista e poi si sceglieva se dare e a chi dare la preferenza. Quindi che
anche con poche preferenze uno poteva entrare in consiglio comunale. Il professionista messo in lista aveva buone
possibilità di essere eletto. Adesso invece si vota la persona che ti viene a chiedere il voto, senza curarsi a quale partito
o lista appartenga. Chi è in grado di costruire il consenso casa per casa viene eletto e di conseguenza la lista prende
voti” (Int. 13.05.2011, consigliere comunale). 18
Confrontando gli esiti delle tornate elettorali del 2001 e del 2006, a fronte di un arretramento dei partiti maggiori
(Democratici di Sinistra e Forza Italia), sono proprio La Margherita e l‟Udeur a segnare gli avanzamenti più elevati
(rispettivamente del 6.32 e del 5.25 per cento).
Tabella 5 – Elezioni municipalità 2006. Incidenza del voto di preferenza per partito e
municipalità (valori percentuali) Municipalità I II III IV V VI VII VIII XI X Napoli
DS 63,11 61,59 63,22 66,43 65,88 78,73 68,39 74,67 75,76 67,57 68,53
FI 65,45 47,57 58,38 49,64 50,82 53,84 63,55 61,58 61,05 45,44 55,73
DL 77,84 73,33 79,37 70,67 82,97 84,03 73 83,11 77,34 81,46 78,31
AN 70,69 73,5 76,84 76,68 67,98 67,46 76,09 78,28 75,88 70,59 73,39
UDEUR 80,24 80,21 76,41 73,34 83,38 85,14 50,56 81,95 79,98 86,68 77,8
Verdi 73,43 66,98 71,49 76,68 74,27 49,05 71,74 82,83 75,94 75,59 71,8
CI 20,94 43,14 55,93 54,73 61,91 48,89 27,69 66,2 36,15 38,33 45,39
PRC* ------ 55,98 61,19 52,06 61,27 65,19 58,64 63,05 59,58 65,37 60,26
Di Pietro 73,08 60,1 73,68 76,93 76,21 77,11 67,8 81,48 72,84 77,28 73,65
UDC 81,52 83,2 64,48 79,77 70,68 72,86 75,41 77,46 85,54 71,78 76,27
SDI 72,51 83,54 87,05 82,13 72,68 80,83 79,29 74,68 82,33 86,94 80,19
Nuovo PSI 58,89 37,81 54,33 65,16 56,52 50,35 57,24 57,71 73,82 71,18 58,3
Media 67,06 63,91 68,53 68,68 68,71 67,79 64,11 73,58 71,35 69,85 68,32
* Rif. Comunista non è presente tra le liste della municipalità I in quanto ricusata per un vizio di forma
L‟utilizzo così massiccio del voto di preferenza per gli eletti locali completa un quadro in cui gli
elementi di stabilità, che rimandano a una continuità con un passato a volte lontano
(consolidamento di un ceto politico rionale, alta percentuale di politici “di lungo corso”, percorsi
interni ai partiti), si associano ad alcuni importanti fattori di mobilità e di cambiamento: la
proliferazione delle candidature, la personalizzazione della competizione elettorale, i numerosi
passaggi di partito nell‟ottica di un sempre più marcato individualismo. Circuiti clientelari
relativamente stabili convivono con forme di dinamismo e di competizione mutevoli e fortemente
personalizzate.
È l‟aspetto effervescente della nuova forma di professionismo politico, che comprende senza
soluzione di continuità l‟afferenza a “partiti/lista” e una personalizzazione portata all‟eccesso. Ne
conseguono numerose problematiche per il funzionamento stesso degli organi collegiali.
L‟incapacità dei partiti di costruire coalizioni programmatiche all‟interno dei consigli, unita alla
conflittualità interna alle stesse maggioranze, rendono poco gestibili – e poco produttive – le
municipalità cittadine. Un dato che si evince dalla numerosità dei gruppi politici presenti nei
consigli municipali (Tabella 6)19
.
Tabella 6 – Gruppi consiliari presenti nei consigli di municipalità – valori assoluti e medie
(confronto anni 2008 e 2011) Gruppi consiliari costituiti
Progr. Municipalità Anno 2008 Anno 2011
I Chiaia Posillipo San Ferdinando 10 11
II Avvocata Montecalvario San Giuseppe Porto Mercato 15 9
III Stella San Carlo 13 12
IV Vicaria San Lorenzo Poggioreale Zona industriale 10 9
V Vomero Arenella 14 10
VI Barra San Giovanni Ponticelli 13 10
VII Miano Secondigliano San Pietro a Patierno 12 12
VIII Chiaiano Piscinola Marianella Scampia 12 11
IX Pianura Soccavo 11 11
X Bagnoli Fuorigrotta 12 12
Media 12 11
19
La frammentazione dei consigli è ancora accentuata dalla possibilità di formare gruppi consiliari anche composti da
un solo consigliere. Ognuno è capogruppo di se stesso e in definitiva, oltre i privilegi che ne derivano, diventa elemento
di una trattativa infinita a cui non deve che rispondere a se stesso.
La numerosità dei gruppi tocca tutti i consigli (in media 12 gruppi nel 2008 e 11 nel 2011), pur
risultando più alta in alcune municipalità. Riemergono in tal senso le problematiche relative al
processo di personalizzazione della politica di base viste in precedenza. Infatti, il mandato del
politico di quartiere, che ha un suo bacino di elettori molto circoscritto, generalmente residente in
rioni e caseggiati specifici, si traduce nella rappresentanza di istanze estremamente frammentate e di
carattere particolaristico, la cui promozione il più delle volte cozza con analoghi bisogni promossi
da altri colleghi consiglieri: da ciò deriva una condizione di diffusa conflittualità che conduce a una
perenne instabilità istituzionale dei parlamentini di quartiere. Il consigliere municipale si trova nella
necessità di dimostrare nei confronti dei suoi elettori il valore del proprio operato facendosi
portavoce di “istanze infra-municipali molto ristrette, neanche di quartiere, ma proprio di sub-
quartiere, quasi di mattonella per non dire di condominio, rappresentativo di determinate realtà e
facendo perdere di vista l‟azione di più ampio respiro” (int. 20, direttore).
In altre parole, l‟incontro tra politica e cittadini si basa in larga parte sul ricorso massiccio a
pratiche micro-particolaristiche: tra eletto ed elettore si attua uno scambio di beni, risorse e – più
che altro – servizi in cambio di voti o sostegno politico. L‟esperienza decennale nelle
amministrazioni locali fornisce agli eletti un‟ottima competenza degli ingranaggi della burocrazia
decentrata. “La mentalità tipica è quella dello spicciafaccende” (int. 4.4.2008, consigliere
comunale), che si offre come intermediario tra servizi municipali e cittadini, si reca negli uffici al
posto degli elettori, accelera i tempi del decorso delle pratiche, evita file.
5. Le nuove sedi della politica di base: i centri di assistenza fiscale.
Le dinamiche e i rapporti sin qui descritti potrebbero far pensare a una ipertrofia della politica,
che entra anche nella risoluzione di problemi spiccioli, piccoli diritti che potrebbero essere
facilmente ottemperati tramite il funzionamento ordinario della macchina amministrativa.
D‟altronde è diffusa l‟idea che i sistemi clientelari siano caratterizzati da una sorta di invasione di
campo della politica nei confronti delle altre sfere della vita sociale. Diversamente, riteniamo più
utile per i nostri fini analitici considerare il personalismo estremo qui tratteggiato come un esito
della scomparsa della politica, in particolare della sua funzione di aggregazione e rappresentanza
delle domande politiche. Ciò che si incontra frequentando il campo di ricerca della politica
napoletana di livello comunale o sub-comunale è mera amministrazione che funziona secondo
logiche privatistiche. La politica evapora e al suo posto emergono gli interessi non-organizzati,
micro, ascrivibili a circuiti di ridottissima dimensione. In definitiva, emerge il territorio, senza
alcuna sintesi.
Come sostiene un consigliere municipale di lungo corso: “non c‟è più la politica, né ci sono i
partiti, ci sono le persone, i candidati… le persone, e i loro interessi”. Anche la campagna elettorale,
la dimensione della politica che per antonomasia cerca il contatto col pubblico, in realtà “si svolge
in modo sotterraneo, non è programmatica, pubblica”. Il reclutamento del consenso tende a essere
realizzato su porzioni di territorio delimitate, entro circuiti chiusi di interessi minuti, di carattere
residenziale, di cui si cura la rappresentanza nelle sedi decisionali (municipalità, comune, istituti
case popolari, azienda di gestione del patrimonio immobiliare, uffici territoriali delle public utilities
ecc.). Quando il rapporto con l‟elettore assume giocoforza un rilievo pubblico, ad esempio nella
richiesta di soddisfacimento di un diritto collettivo come la manutenzione degli immobili di
proprietà comunale o l‟erogazione degli assegni sociali “si ha la privatizzazione del diritto di
godimento di quel servizio che solo il consigliere municipale, in quanto titolare o referente di un
Caf può sbloccare” (Int. 3.5.2011, consigliere municipale).
Con i Caf, i centri di assistenza fiscale, incontriamo la nuova istituzione strategica di formazione
del consenso elettorale. Dopo le sezioni di partito attive in città fino alla metà degli anni 80, le
associazioni culturali e i centri studi degli anni 90 (favoriti dal trattamento fiscale privilegiato), i
circoli di partito e i comitati elettorali dei primi anni duemila, ecco spuntare i Caf, che costituiscono
le nuove sedi della politica di base e che rappresentano il culmine del processo di privatizzazione
della pubblica amministrazione (i servizi sono erogati contro denaro o supporto elettorale, o
entrambe le cose).
I Caf nascono come agenzie per le pratiche fiscali ma hanno via via incrementato la loro offerta
fino a diventare centri di erogazione di servizi anche essenziali, grazie alle convenzioni siglate col
comune:
le politiche sociali, le politiche assistenziali hanno questo filtro, questa mediazione nella concessione dei
benefici che si ottiene attraverso i Caf. […] Il comune non è in grado di gestire questa cosa? fa una
convenzione con i Caf che diventano il loro braccio operativo dislocati sul territorio. […] L‟esponente
politico che vuole avere un consenso diretto gestisce il Caf in modo clientelare, quindi la domanda che io
ti faccio poi significa che tu mi dai il voto insomma… in periodo elettorale io ti chiamo e ti dico guarda
che io ti ho fatto la domanda per gli assegni familiari (Int. 11.05.2011, titolare di Caf).
Negli ultimi anni questi centri hanno ottenuto un riconoscimento istituzionale formale, e spesso
il monopolio nella gestione di funzioni importanti della pubblica amministrazione.
Significativamente sul sito dell‟assessorato delle politiche sociali del comune di Napoli campeggia
il seguente avviso:
I cittadini che intendono richiedere gli Assegni sociali per l‟anno 2010, dovranno presentare le relative
istanze esclusivamente presso i C.A.F. (centri di assistenza fiscale) convenzionati con l‟Amministrazione
Cittadina, che svolgeranno tali attività a titolo gratuito20
.
La gratuità della prestazione è naturalmente solo un elemento formale, l‟attività di erogazione –
in esclusiva – dei servizi pubblici crea quell‟obbligo morale tipico dello scambio clientelare. Tali
avvisi, inoltre, producono una legittimazione dei Caf sul territorio in quanto surrogati di sedi
pubbliche e un effetto deterrente per chi voglia rivolgersi alla pubblica amministrazione anche per
altre pratiche.
Ormai sono pochi i candidati alle elezioni (comunali o municipali) che non fanno riferimento a
un Caf (spesso come titolari, altre volte come responsabili di un settore, altre ancora siglando un
accordo con i titolari). Non si tratta semplicemente di una occasione per stabilire scambi di
prestazioni contro voti; piuttosto con i Caf si realizza una trasformazione della politica di base, che
ora utilizza questi centri come vere e proprie organizzazioni di controllo e reclutamento del voto:
“c‟è un database con tutti i numeri di telefono, gli indirizzi ecc.” (Int. 11.05.2011, titolare di Caf).
In questi successivi spostamenti di sede, dalle strutture di partito alle agenzie di servizi,
scompare anche lo spazio fisico della riunione politica: mentre le associazioni culturali e i centri
studi diffusi negli anni 90 erano organizzati con una sala riunioni o comunque con un luogo fisico
in cui era possibile (anche se il più delle volte poco probabile) ospitare un dibattito, nei Caf tutto lo
spazio è occupato da uffici che disbrigano pratiche. Qui la stanza riservata al pubblico è la sala
d‟attesa nella quale schiere di clienti ritirano dall‟erogatore il bigliettino numerato.
La crescita numerica dei Caf è negli ultimi anni esponenziale, così come le attività di cura
dell‟elettorato da essi fornite, fino a confondersi con gli stessi partiti politici: “come i sindacati
anche i partiti politici si trasformano in erogatori di servizi, non avendo più una chiara linea
programmatica, vengono incontro alle domande degli elettori erogando servizi attraverso i Caf”
(Int. 13.05.2011, consigliere comunale). Sempre più spesso la sigla Caf, viene sostituita dalla
definizione più evocativa e generalista di “centri polifunzionali” (Int. 12.05.2011, consigliere
municipale).
Significativo il caso del vicepresidente del consiglio comunale tra il 2006 e il 2011, rieletto alle
recenti amministrative con 2345 voti. Gestisce cinque Caf nella zona orientale della città, uno dei
20
http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/14269 (luglio 2011).
quali, particolarmente frequentato, organizza finanche visite mediche ambulatoriali gratuite. Sul sito
web del Caf si può leggere:
In una città poverissima di punti di riferimento e aiuto alla Famiglia è facile notare che in prossimità di
momenti elettorali spuntano come funghi accattivanti segreterie, Uffici, sportelli di ascolto per i cittadini,
che regalano sorrisi e le solite mega promesse di pinocchio... per poi sparire e dissolversi nel nulla dopo
poche settimane dal voto...abbandonando il quartiere a se stesso...
Noi invece viviamo tutto l‟anno a contatto con la gente, per la gente, stando quotidianamente e
seriamente al servizio della comunità, promuovendo i Valori della Famiglia, della Solidarietà e Giustizia
Sociale.
Da molti anni Vincenzo Moretto, grazie alla collaborazione di tanti giovani esperti, consulenti, mediatori
sociali, e avvocati, promuove dei veri e propri centri permanenti di Servizi, aiuto, sostegno,
orientamento, informazione per i cittadini21
.
Durante la campagna elettorale per le comunali del 2011, nel rione di case popolari dove ha sede
il centro ci sono quasi esclusivamente manifesti elettorali del vicepresidente in carica del consiglio
comunale. Sull‟insegna del Caf leggiamo i servizi erogati: modelli Ise, Red, 730; assegni per nuclei
familiari con tre figli minori, assegno di maternità, prestazioni scolastiche (libri, borse di studio
etc,); pensioni di vecchiaia e anzianità; prestazioni fiscali, assistenza legale, pensione di invalidità
più accompagnamento; integrazione di pensioni sociali; agevolazioni abbonamenti Anm (l‟azienda
locale di trasporti), Enel, gas, telefoni, fitto casa.
6. La concentrazione territoriale del voto.
Abbiamo detto che la crisi della politica lascia emergere gli interessi frammentati della società, e
con essi rende chiaramente visibile il territorio. In particolar modo nel Mezzogiorno, la politica dei
partiti tradizionali – anche nella variante democristiana del clientelismo di partito – era ancora in
grado di produrre una sintesi delle domande provenienti dai territori, pur se la regolazione avveniva
principalmente tramite la distribuzione di risorse pubbliche (posti di lavoro, appalti, sussidi,
prestazioni di welfare ecc.). In altri termini, la mediazione politica di carattere particolaristico si
realizzava dentro gli ambiti della pubblica amministrazione (enti locali, sanità, parastato). Forti di
un notevole potere di elargizione, i leader delle correnti di partito riuscivano a costruire ampie
cordate con i politici di base, i quali potevano aspirare a una propria carriera politica
amministrando risorse di sottogoverno. Un consigliere municipale con base elettorale in un rione di
periferia poteva così salire di grado, diventare per esempio consigliere comunale, accedendo a
nuovi bacini elettorali gestiti dalla stessa corrente attraverso altri mediatori territoriali. Una volta
ottenuta la “promozione”, era in grado di gestire nuove leve di potere, e dunque di conquistare
proseliti in altri territori, magari distanti dal suo bacino elettorale “naturale”. La cosa si traduceva in
un consenso elettorale distribuito su più zone della città, secondo l‟articolazione territoriale della
catena clientelare.
Con la crisi delle risorse pubbliche, queste catene gerarchiche si sono via via indebolite,
lasciando spazio alla concorrenza di mercato della politica di base. La proliferazione delle liste e la
mobilità dei politici rionali da un partito all‟altro testimoniano il collasso del clientelismo di partito.
Sul mercato della politica locale è ormai difficile trovare lo scambio clientelare centrato sulla
distribuzione di posti di lavoro, merce sempre più rara. Come abbiamo visto il reclutamento del
voto avviene a fronte di prestazioni di minore valore: una pratica al comune, la compilazione di un
modello fiscale, la semplice fornitura di informazioni che gli uffici della pubblica amministrazione
lesinano sempre più. Se consideriamo il voto la moneta di scambio di un ipotetico mercato della
politica, possiamo notare un forte fenomeno di inflazione. Il lavoro di raccolta del consenso
21
http://www.vincenzomoretto.it/caf_consulenza.php (luglio 2011).
elettorale (portare una famiglia a votare, convincere i propri condomini a indicare una preferenza)
che una volta era ripagato con merce pregiata oggi vale assai meno. Sul mercato elettorale
napoletano, nelle zone più povere della città, “un voto può essere comprato con appena 50 euro”
(int. 3.05.2011 consigliere municipale).
La conseguenza è la frammentazione e l‟instabilità delle catene clientelari. Alle elezioni
comunali del 2011 si sono presentate ben 33 liste, con il numero record di circa 7.500 candidati tra
comune e municipalità. È una lotta di tutti contro tutti, in cui prevalgono i candidati che riescono a
rendere efficace il lavoro di cura degli interessi minuti del territorio. Quelli che abbiamo definito
politici rionali, hanno un‟arma in più da brandire.
In un contesto del genere cambia completamente anche la strategia dei candidati sindaci.
Piuttosto che posizionarsi dentro la dialettica dei partiti, cercando di assicurarsi il sostegno dei capi-
cordata più influenti, i candidati sindaci tendono a reclutare eserciti di politici rionali. Il candidato
più votato al primo turno, Lettieri del centrodestra, poi superato da De Magistris al ballottaggio, era
sostenuto da ben 11 liste, presenti anche in tutte le municipalità cittadine.
La strategia di chi è candidato a sindaco consiste nel mettere in marcia molte persone che sperano di
trovare uno stipendio facendosi eleggere. Più persone metti in lista e più hai speranza di vincere. I
candidati minori ci credono veramente e quindi fanno la campagna elettorale per sé fino in fondo (int.
13.05.2011 consigliere comunale).
Per quanto riguarda invece le candidature al consiglio comunale, è tale la concorrenza nei rioni e
nei quartieri cittadini che è preferibile avere supporters a loro volta non candidati. In assenza di
risorse provenienti dai ruoli superiori della politica, le cordate tra candidati non reggono più.
Abbiamo visto che la quota di consiglieri municipali che fanno campagna elettorale assieme ai
consiglieri comunali è molto ridotta: 28,1% (tabella 4)22
.
Ma i consiglieri fanno campagna elettorale per loro, meglio avere persone che fanno campagna elettorale
per te senza essere candidati, perché se sono candidati difficilmente portano voti. Su 100 voti suoi del
candidato alla municipalità) al consigliere comunale ne arrivano 10 (int. 13.05.2011 consigliere
comunale).
Questo passaggio dal clientelismo di partito al mercato dei politici rionali può essere illustrato
analizzando la geografia del consenso elettorale dei consiglieri comunali più votati. Un confronto
tra la situazione del 2006 e quella del 2011 consente di apprezzare il rapido mutamento in direzione
della concentrazione territoriale del voto.
Nelle figure seguenti abbiamo rappresentato graficamente la distribuzione territoriale del voto di
preferenza dei 2 consiglieri più votati per ciascuna delle due tornate elettorali (2006 e 2011),
ordinando i seggi in modo decrescente secondo il risultato ottenuto in termini percentuali.
Il politico più votato alle elezioni comunali del 2006 è Montemarano (Margherita), figlio
dell‟assessore regionale alla Sanità, vecchio esponente politico democristiano. Montemarano figlio
ha ottenuto il più alto numero di preferenze (7.457) al consiglio comunale di Napoli mai registrato
(solo Berlusconi è riuscito a fare meglio, ma ha poi rinunciato alla carica). Come si può vedere
(figura 5) il voto di preferenza tende a distribuirsi in modo omogeneo sui seggi (dev st. 0.09). Nei
primi 10 seggi in cui ottiene più voti compaiono ben 8 quartieri differenti. Non è difficile spiegare
la ragione di una tale distribuzione: Montemarano ottiene voti principalmente attraverso la sanità
pubblica e le aziende convenzionate che sono collocate in tutti i quartieri cittadini.
Leggermente differente è la situazione di Paolucci (Ds), il quale è stato in passato funzionario
del Pci. Di stretta fede bassoliniana, Paolucci ottiene il sostegno delle sezioni territoriali dell‟area
22
Secondo una nostra ricerca condotta sulla consigliatura precedente a quella qui presa in considerazione (2001-2006),
la quota di consiglieri municipali che si presentava in cordata con un consigliere comunale era sensibilmente più elevata
(58,5%) (Brancaccio e Zaccaria 2007).
nord-occidentale della città (4593 voti). I primi dieci seggi sono collocati tutti nello stesso quartiere,
ma il suo consenso tende a distribuirsi anche in altre aree (dev. St. 0,24).
Figura 5 – Comunali 2006, concentrazione del voto di Montemarano (Margherita)
Montemarano %
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
10
2
56
3
73
5
78
6
54
5
98
96
12
2
10
71
2
55
7
47
4
51
7
78
0
69
7
Sezioni elettorali
Montemarano %
Totale voti = 7457
Dev. St. = 0,09
Nei primi 10 seggi = 4,9% (8 quartieri)
Figura 6 – Comunali 2006, concentrazione del voto di Paolucci (Ds)
Paolucci %
00,5
11,5
2
2,53
3,5
44,5
819
521
567
694
699
519
508
230
51
584
173
536
874
302
641
867
Sezioni elettorali
Paolucci %
Totale voti = 4593
Dev. St. = 0,24
Nei primi 10 seggi = 17,2% (1 quartiere)
Figura 7 – Comunali 2011, concentrazione del voto di Nonno (Pdl)
Nonno %
0
1
2
3
4
5
6687
722
608
86
214
846
479
859
186
369
551 4
71
130
193
272
353
425
511
585
651
748
849
Sezioni
Nonno %
Totale voti = 3604
Dev. St. = 0,38
Nei primi 10 seggi = 28,8% (1 quartiere)
Figura 8 – Comunali 2011, concentrazione del voto di Borriello (Pd)
Borriello %
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
29
9
66
5
21
1
63
3
76
7
26
7
86
3
77
7
70
7
56
5
48
6
40
7
33
4
20
2
12
9
60
sezioni
Borriello %
Totale voti = 3181
Dev. St. = 0,51
Nei primi 10 seggi = 38,1% (1 quartiere)
In entrambi questi casi abbiamo un sistema di reclutamento del voto che si basa su due grandi
campi di mediazione, relativamente indipendenti dal territorio: nel caso di Montemarano, la sanità
pubblica; nel caso di Paolucci, il partito e il sistema di distribuzione delle risorse che fa capo
direttamente al presidente della regione Bassolino. Si tratta di due esponenti che non hanno
ricoperto la carica di consiglieri municipali, la loro carriera si realizza in ambiti pubblici di livello
regionale e la loro credibilità politica deriva dal rapporto diretto con politici che gestiscono ingenti
risorse. Una sorta di coda della prima repubblica, possibile in una situazione permanenza al potere
del centrosinistra fin dal 1993.
Completamente diversa è la situazione nel 2011. Il più votato risulta Nonno (Pdl) con 3604 voti
fortemente concentrati nella zona di Pianura (periferia occidentale). Nonno è stato imputato e
incarcerato per gli scontri di Pianura del 2008, in cui gruppi organizzati protestarono per la
riapertura della discarica dei Pisani, dando l‟assalto ai camion che scaricavano immondizia. Già
consigliere municipale costruisce il suo consenso in virtù di una forte identificazione col territorio.
Nei primi dieci seggi raccoglie oltre un quarto delle proprie preferenze, che non vanno molto oltre
l‟area ristretta di riferimento (dev. St. 0,38).
Il caso più eclatante è tuttavia quello di Borriello (Pd) secondo in graduatoria per numero di voti
(3181). Borriello, fedelissimo di Bassolino e già presidente della VI municipalità (periferia
orientale), raccoglie voti principalmente in due rioni di case popolari. La curva di distribuzione
delle sue preferenze è particolarmente ripida: nei primi 10 seggi raccoglie il 38,1% dei voti con una
dev. St. di 0,51. Praticamente non prende voti fuori dalla municipalità di provenienza.
7. Spunti conclusivi
Riprendendo la distinzione di Roth, la forma prevalente di personalismo ai livelli decentrati
sembra essere quella di tipo “particolaristico”, e l‟incontro tra politica e cittadini – rinvigorito nei
momenti elettorali – riposa su una logica di scambio „micro‟ (erogazione di piccoli servizi).
L‟eletto, sia nei ranghi comunali che in quelli di quartiere, è un collettore di consensi, e svolge
quotidianamente un ruolo di interposizione tra l‟ente locale e il cittadino: raccoglie istanze
parcellizzate e cerca di farvi fronte ricorrendo agli uffici tecnici e amministrativi municipali o
comunali o – come nel caso dei Caf – offrendo direttamente forme di consulenza. È questo uno dei
tratti fondanti della personalizzazione “della base”, che induce i singoli candidati a praticare un
proselitismo di stampo personale connesso all‟uso discrezionale e neo-patrimoniale delle risorse
pubbliche.
Fungendo da intermediari tra servizi e cittadini, gli eletti modellano le proprie reti con elettori,
gruppi sociali, quartieri, confermando e consolidando il loro status di eleggibilità. Come è ovvio che
questa intermediazione non migliora né ottimizza la qualità del governo locale, ma anzi crea forme
diseguali di accesso al bene pubblico. In pratica, attraverso la redistribuzione particolaristica gli
eletti sviluppano meccanismi di inclusione ed esclusione sociale e politica, dai quali traggono
vantaggio le porzioni dell‟elettorato più strettamente collegate a ciascun consigliere, supportando
indirettamente la leadership locale.
Queste forme estreme di personalismo, che come già affermato possono rappresentare una
ipertrofia del politico nel funzionamento ordinario dell‟amministrazione pubblica, sono qui intesi
prevalentemente come l‟esito di un arretramento della politica, specie nella sua funzione di
aggregazione e rappresentanza delle istanze dell‟elettorato. In questo caso, la concentrazione
territoriale del voto è un elemento difettoso per il funzionamento stesso dei governi locali. Il seguito
elettorale dei consiglieri municipali e comunali è notevolmente circoscritto e collegato a un capitale
sociale fatto di relazioni informali intrecciate nei luoghi di origine. A questo si aggiunge una
incredibile stabilità nell‟occupazione degli incarichi elettivi, il che vuol dire che nella maggior parte
dei casi il consigliere ha una sua una quota elettorale di riferimento, con la quale stipula un vincolo
di mandato durevole. Si tratta ovviamente di un vincolo informale, e dunque da confermare
costantemente dimostrando la valenza del proprio operato, che si sostanzia nel ruolo di portavoce di
istanze estremamente frammentate e rionali. Un nesso così stringente al quartiere conduce a una
interpretazione riduttiva del proprio operato, conducendo ad almeno due ordini di disfunzioni. In
primo luogo l‟impossibilità di produrre interventi sistemici, capaci di tener conto delle accresciute
dimensioni territoriali dei municipi. In secondo luogo le divisioni interne ai consigli, dal momento
in cui l‟assenza di una dimensione collettiva del partito e la mancanza di una linea politica univoca
in termini di coalizione di appartenenza comporta un allineamento degli eletti basato sulla
provenienza territoriale.
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