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Virtù Romano Guardini Capitolo 1 La parola “virtù” è stata inaridita nella dominazione kantiana nel senso di “dovere”. Per i Greci era l’anima nobile, ricercata e coltivata. Per i Romani il marchio distintivo nella realtà dello stato e della vita. Nel Medioevo l’animo cavalleresco. Guardini le da una connotazione etica, la chiama energia o agire nel giusto. Prende ad esempio una virtù che definisce semplice: l’ordine. La virtù dell’ordine comporta il sapere dove si trova una certa cosa e il giusto momento dell’agire e si riflette nel privato, quanto nel lavoro e in ogni cosa. Un uomo ordinato rende la propria vita, anche in relazione con l’altro, chiara. Questa virtù però non deve divenire pesante e costrittiva, per essere giusta deve essere equilibrata e l’uomo in questione deve saper anche infrangere una regola, se necessario. Tale virtù può essere innata, riuscendo semplice a certe personalità, che però dovranno stare attente a non eccedere, portando aridità nella propria vita; in altre è invece ostile e una stanza in perfetto ordine diventa addirittura inabitabile. Programmare e organizzare diviene pedante. Queste persone dovranno riconoscere l’importanza dell’ordine per arrivare ad un traguardo e conquistarlo con fatica e consapevolezza, sottoponendosi a disciplina. Entrambe le vie sono giuste, è sbagliato affermare che è etico soltanto un valore innato, così come il contrario, ovvero solamente ciò che si conquista. Un uomo ordinato vedrà ordine e armonia in tutte cose, nel mondo, nella storia, provando piacere nel contemplarlo, ma non dovrà cadere in un determinismo muto, vedendo solamente ordine di natura e non considerare più la creatività e ricchezza dello spirito. Guardini fa n parallelismo con i miti antichi, dell’eroe che sconfigge il caos, visto come una inquietante minaccia (nomina Gilgamesh, Eracle e Sigfrido come eroi portatori di ordine). La virtù porta con sé il pericolo di anti-libertà, divenendo una esasperazione. L’uomo deve quindi trovare l’equilibrio e l’armonia che portano gioia e favoriscono la vita, poiché le virtù discendono direttamente da Dio (nomina Platone quando apostrofò Dio come Bene). Guardini afferma che l’ordine è costituito da Dio, poiché è proprio nell’ordine delle cose nella natura del mondo. L’uomo è creazione di Dio

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VirtùRomano Guardini

Capitolo 1La parola “virtù” è stata inaridita nella dominazione kantiana nel senso di “dovere”. Per i Greci era l’anima nobile, ricercata e coltivata.Per i Romani il marchio distintivo nella realtà dello stato e della vita.Nel Medioevo l’animo cavalleresco.Guardini le da una connotazione etica, la chiama energia o agire nel giusto.Prende ad esempio una virtù che definisce semplice: l’ordine.La virtù dell’ordine comporta il sapere dove si trova una certa cosa e il giusto momento dell’agire e si riflette nel privato, quanto nel lavoro e in ogni cosa. Un uomo ordinato rende la propria vita, anche in relazione con l’altro, chiara. Questa virtù però non deve divenire pesante e costrittiva, per essere giusta deve essere equilibrata e l’uomo in questione deve saper anche infrangere una regola, se necessario.Tale virtù può essere innata, riuscendo semplice a certe personalità, che però dovranno stare attente a non eccedere, portando aridità nella propria vita; in altre è invece ostile e una stanza in perfetto ordine diventa addirittura inabitabile. Programmare e organizzare diviene pedante. Queste persone dovranno riconoscere l’importanza dell’ordine per arrivare ad un traguardo e conquistarlo con fatica e consapevolezza, sottoponendosi a disciplina. Entrambe le vie sono giuste, è sbagliato affermare che è etico soltanto un valore innato, così come il contrario, ovvero solamente ciò che si conquista. Un uomo ordinato vedrà ordine e armonia in tutte cose, nel mondo, nella storia, provando piacere nel contemplarlo, ma non dovrà cadere in un determinismo muto, vedendo solamente ordine di natura e non considerare più la creatività e ricchezza dello spirito. Guardini fa n parallelismo con i miti antichi, dell’eroe che sconfigge il caos, visto come una inquietante minaccia (nomina Gilgamesh, Eracle e Sigfrido come eroi portatori di ordine).La virtù porta con sé il pericolo di anti-libertà, divenendo una esasperazione. L’uomo deve quindi trovare l’equilibrio e l’armonia che portano gioia e favoriscono la vita, poiché le virtù discendono direttamente da Dio (nomina Platone quando apostrofò Dio come Bene). Guardini afferma che l’ordine è costituito da Dio, poiché è proprio nell’ordine delle cose nella natura del mondo. L’uomo è creazione di Dio e questa gerarchia può portare solamente alla sua obbedienza. Questo porta Dio come garante dell’ordine che Guardini intende anche come giustizia. L’uomo infatti tende naturalmente al giusto e non sopporta il contrario. L’uomo si convince che il male fatto viene dimenticato col tempo, ma non è così, esso rimane nei sentimenti, nelle parole, nella storia e Dio garantisce che ogni male verrà espiato. A questo si aggancia con rivelazione del giudizio, che spetta solo a Dio; non all’opinione pubblica, alla scienza o alla storia stessa, (in quanto molta resta celata), ma solamente Lui potrà garantire la giustizia che deve essere necessariamente fatta. Guardini a questo punto mostra come le virtù siano connesse strettamente con Dio e con il Bene. Sono necessarie alla vita dell’uomo affinché egli sia felice. Seguiranno quindi delle immagini (non schemi o norme) che lo scrittore suggerisce in modo da garantire il benessere e il compimento dello scopo della vita.

Capitolo 2 - VeracitàVeracità = amore per la verità, che deve essere conosciuta e accettata.La verità è un valore fondamentale e va sempre seguito. Dire la verità è un obbligo e quando si parla la si deve sempre dire, senza nascondere e senza alterare. A questo assolutismo Guardini però pone dei limiti. In caso di violenza, dice, la parole perde significato e chi usa violenza non può pretendere verità, poiché l’oppresso si sente in pericolo e la parola diviene

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autodifesa. Chi è verace di natura viene considerato magnifico, orgoglioso e troppo puro per mentire, ma le virtù non esistono separate, quindi a questa va aggiunta l’amore e il riguardo per il prossimo. Dire infatti sempre e comunque la verità, senza capacità di giudizio e senza abilità nella parole, può essere nocivo, ingiusto e addirittura disastroso. La verità detta in certo termini o in momenti sbagliati, può sconvolgere l’ascoltatore. È quindi importante saper giudicare con saggezza tramite esperienza.[cit. di Paolo: “veritare, ma nell’amore”]C’è anche il rischio contrario, ovvero che chi prova troppa empatia, rischia di alterare la verità capendo i bisogni dell’interlocutore. Guardini riflette sul mistero dei rapporti umani, ovvero all’ignoto di ciò che ciascuno ha dentro di sé. I rapporti e la comprensione del prossimo si basano su azioni, su espressioni, ma è la parole che fa da ponte tra gli uomini ed essa deve essere degna fiducia per fortificare un rapporto. È dunque fondamentale avere esperienza di vita e il desiderio di comprenderla, altrimenti si farà violenza alla verità, pur amandola. Ad esempio un giudizio “quello è un vile, un vigliacco, ecc.” possono nascere da incomprensioni e quindi una presunta verità si rileva una bugia dettata dall’errore. Per poter capire e comunicare col prossimo è fondamentale soprattutto non ingannare noi stessi ed esaminarci con lealtà, senza fantasticare o essere superbi. La verità con il prossimo non può avvenire se non siamo veri con noi stessi. Guardini riconosce che l’esistenza dell’“altro” crea conflitti e che la vita è lotta, dunque ingannare e mentire potrebbero essere armi utili, ma ciò che dona sicurezza e fiducia è la verità, cosa di cui si ha più bisogno che non l’autodifesa. Infine lo scrittore riflette sulla consapevolezza e la certezza di alcune verità, prende ad esempio l’addizione 2+2=4. Questa verità è assoluta, il 4 è 4 e sempre sarà 4. Fa derivare questa consapevolezza assoluta da Dio, che è garante della realtà stessa, le da valore. Quindi non possiamo mettere in discussione Dio, poiché come 4 è 4, Dio è Dio. Chi mente si ribella a Lui e tradisce la radice significativa dell’essere. Guardini parla di nuovo del giudizio, stavolta come capolinea per il mentire. Infatti durante il giudizio non ci saranno bugie, la verità sarà dominante e nessuno potrà alterarla, finalmente.

Capitolo 3 - AccettazionePer iniziare un percorso di vita morale si può iniziare da qualsiasi parte, un difetto, un bisogno in amicizia, in famiglia, sociale. Ma un passo fondamentale è l’accettazione. Per accettazione si intende vedere e accettare la realtà per come è. L’uomo infatti non è un animale, immerso nella natura e identico a sé stesso, ma può plasmare, ingannare o fantasticare sulla realtà. Può mirare a un qualcosa di irraggiungibile, può credere in ciò che non esiste, il che potrebbe creare una vita fantasma. L’accettazione però non deve trasformarsi in uno stato passivo, ma vedere la realtà per come è e disporsi a suo riguardo risoluti alla fatica o la lotta per essa. I contenuti della realtà sono “io” a costituirli. Con i miei limiti, le mie debolezze, il mio temperamento tra tanti; questo va accettato e non è buono vivere in un alone di sogno per ciò che si vorrebbe, in quanto c’è anche la nausea e il disprezzo di sé stessi. Per il superamento dei propri difetti, è necessario anzitutto riconoscerli. Anche il contesto in cui vivo va accettato. I romantici vivono solo nel passato e vedono il bello solo in quel che è stato, gli utopistici guardano solo al futuro dandogli la caccia, questo non è leale con la realtà. Va inoltre accettato il destino, ovvero ciò che si è, dove si nasce e gli accadimenti fortuiti che influenzano la nostra vita inesorabilmente. Questa consapevolezza ci aiuta nell’affrontare le sventure e plasmare o indirizzare meglio il nostro destino. Il dolore inoltre va affrontato secondo la scuola di Cristo, che è opposta alla nostra indole. Infatti rifiutiamo il dolore e ci ribelliamo ad esso, ma il dolore intensifica e purifica la nostra esperienza e dobbiamo essere consapevoli che ogni accadimento è opera di Dio. Infine è necessario accettare di esistere. Talvolta può capitare di pensare che la vita ci è stata data, di non averla mai richiesta e che essa sia un peso insostenibile, di non volerla. Questo mistero e questo fardello sono risolvibili solamente andando a ritroso. La vita non è un caso, un evento, ma un dono. Un dono dei genitori, degli antenati, ma più in profondità di Dio. Questo dono viene dalla infinita saggezza e dall’infinito amore. Se ci si chiede se Dio sappia coscientemente cosa ci chiede, cosa ci dona, visto che lui prescinde da ogni

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destino, la risposta è chiara: Egli si è fatto uomo, uomo a tutti gli effetti, senza privilegi. Quindi egli è entrato nella storia e ha sofferto tramite Cristo, che dovuto accettare il proprio destino e percorrere la via del dolore e sofferenza.

Capitolo 4 - PazienzaGuardini riflette su come la pazienza sembrerebbe grigia, una meschinità che opprime la vita, ma subito rende questa virtù propria di Dio, definendolo l’eterno amante e paziente. Racconta il mito di Shiva, che ha origini in Oriente. Il mito vede questa divinità creare il mondo per poi distruggerlo, insoddisfatto. Lo ricrea e poi se ne disfa di nuovo, annoiato. Dio invece si prende cura del mondo, sempre. Eppure esso non gli da niente, Dio non ne ha bisogno, in quanto egli è infinito e la Terra è limitata. Eppure Dio, per un grande mistero che non ci è dato da sapere in vita, con infinita pazienza non si disfa di noi, nonostante maltrattiamo il suo volere e il Mondo che ci ha affidato, nonostante le follie, i crimini, le menzogne. Egli è la Pazienza prima, Egli non ha debolezze e può quindi riuscire nell’impresa, anche quando potrebbe usare violenza (paragone del giudizio universale, dove si dice “Dio si pentì d’aver creato l’uomo”, parole che Guardini sottolinea dovrebbero far paura). La pazienza deve essere rivolta verso il destino e non maledirlo (come il Faust di Goethe ) dimostrando solamente immaturità. L’impazienza è solo dell’uomo, l’animale vive il momento e non ha fantasie su ciò che potrebbe essere, l’uomo invece si proietta nel futuro e vuole subito ciò che potrebbe essere. La pazienza deve essere rivolta anche alle persone con le quali siamo legati, che siano genitori, figli o conoscenti. Talvolta una persona la si impara a memoria, si sa già come parla, come pensa o come agisce e annoiati vorremmo cambiarla, ma qui la fedeltà è soprattutto pazienza e con essa non va in fumo la possibilità di un rapporto. Infine è fondamentale la pazienza verso sé stesso. Molte volete si è nauseati dai propri difetti che non si riescono a cambiare, ma la pazienza ancora una volta porta ad una sana autocritica che può portare solo al miglioramento (e non si deve fantasticare creando una fuga da sé stessi). La pazienza per essere autentica deve essere affiancata dall’intelligenza, dalla saggezza. Infatti non si può essere pazienti se non si capisce la realtà delle cose, se non si è in grado di accettare la realtà per come è. La pazienza richiede forza, che ha infatti origine nell’onnipotenza di Dio, poiché un uomo paziente ma non forte è solo un sottomesso, è solo passivo. Paziente è dunque l’uomo che sa reggere la tensione tra ciò che desidera e ciò che realmente possiede, tra ciò che vorrebbe essere e ciò che realmente è.

Capitolo 5 - Giustizia“Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati”. Questa frase è stata pronunciata da Gesù, che con i termini “sete” e “fame” richiama ad un bisogno primordiale di giustizia, quasi biologico. Infatti nell’animale non esiste alcun tipo di concetto di giustizia, le cose sono come sono in modo naturale, la giustizia fa parte esclusivamente dell’uomo. La giustizia è quell’ordine in cui l’uomo può affermare la propria esistenza come persona, con la quale si conquista il suo posto nel mondo e non spetta solo al ricco o al felice, ma a tutti. La giustizia sarebbe più profonda se l’uomo giusto fosse dunque anche felice, se l’uomo onesto avesse successo, se il puro di cuore fosse necessariamente bello e così dovrebbe essere vero anche il contrario, che una colpa si vendichi su chi la commette, che un vile sia anche brutto e così via; ma non è forse vero il contrario? Qui si apre il mistero della giustizia dell’essere. “perché io?” è la domanda che viene posta in tutte le lingue e alla quale solo Dio può dare risposta. Ma la vera giustizia dell’ordine si rivolge alle piccole realtà, come in casa propria, in ufficio, con gli amici. (Guardini fa due esempi: 1=io devo spendere mille lire per me e mille per un altro. Nel primo caso sento “solo” mille e nel secondo “proprio” mille. La giustizia comporterebbe lo stesso giudizio, per il riconoscimento degli stessi bisogni. 2=anche nella propria famiglia non c’è un criterio giusto e uguale per tutti, infatti nonostante tutti siano parte di una stessa famiglia si prova per alcuni più simpatia che per altri e si reagisce in modo diverso, magari, di fronte ad un’offesa). Per applicare la giustizia nel quotidiano, potremmo per esempio non limitarci a giudicare

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dall’apparenza, ma penetrare nel profondo e capire il comportamento di questo o quello. In questo modo noi concediamo a lui il diritto di esistere per come egli è, senza avvelenare la giustizia con i nostri giudizi e senza limitare il diritto di esistere. Ma la vera giustizia potrà mai essere presente nel mondo? Guardini risponde di no, poiché l’uomo agisce secondo un caos primordiale che lo domina. Se anche milioni di uomini avessero realmente a cuore la giustizia, quanta delinquenza, quanta arroganza, quanto amor proprio si immischierebbero? Quanta ingiustizia verrebbe fatta in nome della giustizia? E se anche si facesse un immenso passo avanti e venissero conquistati molti diritti e miglioramenti per la vita di tutti, le ingiustizie subite non resterebbero nei cuori e nei sentimenti? La giustizia vera arriverà con il Giudizio di Dio, che finalmente farà divenire ogni cosa giusta.

Capitolo 6 - RispettoGuardini parla del rispetto come di una virtù che ha origini religiose, ovvero al mirare con soggezione alla grandezza del sacro, con il desiderio di farne parte ma anche col timore di non esserne degni. Il rispetto infatti, nella sua forma altissima, non attira a sé, bensì tiene a distanza. Il rispetto inoltre deve sfociare nel quotidiano, e qui prende il nome di riguardo. Il riguardo è quel sentimento elementare che comporta alla benevolenza tra gli uomini; ad esempio prendere in considerazione le opinioni altrui, anche quando io le ritengo errate. Non bisogna aggirare o usare violenza, si ha il diritto e talvolta il dovere di dire la verità su come vedo la realtà, ma sempre con riguardo rispetto l’altro, in modo che le visioni siano costruttive. Guardini parla del riguardo anche nella propria sfera privato, aprendo una parentesi dove critica aspramente i costumi della società moderna, in particolare riviste, cinema e televisione. Para di come si ha tendenza di snaturare, di mettere a nudo, di squarciare veli, mettendo su pubblica piazza pettegolezzi o dolori altrui. Dice inoltre che la “libera informazione” che mira a demolire i tabù, è in realtà molto più distruttiva, poiché è priva di ogni riguardo per le persone. Questo è dovuto anche all’invidia. L’invidia si ha di fronte alla grandezza di un individuo che non sono io, di fronte ad un gesto, un’opera che non ho compiuto. Riconosco la grandezza, ma poiché non mi appartiene la spio, cerco di demolirla, di trovare il modo di affermare che non sia poi tutto questa meraviglia. Ma un uomo rispettoso, è un uomo che riesce ad accettare la realtà e sé stesso dicendo “lui è grande e io no, ma poiché è un bene che ci sia la grandezza, pur se non sono io a possederla, la rispetto e venero”. Un uomo che abbia questa virtù però, non deve rivolgerla solamente dinnanzi alla grandezza, ma anche alla piccolezza. Onorevole è colui che riesce a provare rispetto anche per il debole, per l’indifeso e non solo la compassione e la voglia di dare aiuto. Fondamentale è infine il rispetto verso il sacro, che invece istiga in noi la tentazione di ribellarci ad esso, di cadere nella bestemmia, ma l’atto fondamentale del rispetto è la venerazione di Dio; anche perché Dio ha rispetto dell’uomo. Egli infatti avrebbe potuto affascinarci per natura al bene, creando così un mondo di sola perfezione e bontà, ma in tal caso non saremmo stati liberi. Questa libertà offertaci da Dio testimonia l’immenso rispetto che Egli ha per l’uomo, infatti (torna a parlare del Giudizio) solamente un uomo pienamente libero e cosciente può essere liberamente giudicato.

Capitolo 7 - FedeltàPer Guardini la fedeltà ha in sé qualcosa di eterno, prescinde dal tempo ed è ciò che assicura le cose nello scorrere di esso. Prende a esempio una coppia innamorata che decide di sposarsi; è ovvio che la passione e le affinità iniziali lentamente si vanno affievolendo, le persone crescono e lati del carattere emergono nuovi e diversi. Può succedere quindi che uno dei due dica a l’altro di non riconoscerlo più, di sentirsi ingannato. Questo è il tempo della vera fedeltà, ovvero la forza di resistere ai mutamenti e tener fede all’impegno preso, al vincolo sacro che ho scelto. Lo stesso discorso viene fatto per un investimento sul lavoro: se ho preso una parola con un socio non posso tirarmi indietro, anche se vedo dei pericoli o degli errori di calcolo. Fedeltà significa lottare per mantenere ciò che si è detto nel passato. Dalla fedeltà viene la fiducia, che si

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può riporre solamente in un uomo in grado di essere fedele. Un punto fondamentale della fedeltà è quella rivolta verso Dio. Se in un momento particolare della vita ci siamo sentiti vicini a Dio e la sua parola ci ha fatto del bene e scegliamo di dedicargli la fede, non possiamo in un secondo momento tornare sui nostri passi. Dio conta sulla nostra fede ed è proprio quando le nostre idee cambiano, che la sua parola si nasconde nel silenzio, nei momenti di sconforto che deve emergere la fedeltà e quindi la vera fede. Dobbiamo essere fedeli con Dio perché Lui è fedele con noi. Il mito del dio Shiva che distrugge il mondo più volte insoddisfatto e annoiato torna ancora una volta utile per questo concetto: dio ci è fedele, nonostante i nostri peccati, nonostante la sua Onnipotenza, nonostante il mondo non sia a Lui necessario, Egli ci mantiene nell’essere. la figura di Cristo inoltre è una grande testimonianza di fedeltà nei confronti dell’uomo, Dio ha deciso di divenire uomo e di essere vittima del destino che gli spetta, quale dolore e morte. La fedeltà viene al mondo da Dio.

Capitolo 8 - Assenza di intenzioniIn questo capitolo Guardini spiega come le intenzioni minano pericolosamente i rapporti tra l’uomo con l’uomo. Le intenzioni infatti riguardano sempre sé stessi e non c’è un atto puro da un uomo che ragiona in tal senso. Un piacere è fatto solamente per chiederne poi un altro, egli loda per essere lodato e così via. L’assenza di intenzioni da la possibilità di apprezzare ed agire per la cosa in sé, bella come deve essere. Guardini fa l’esempio di uno studente che impara nozioni solamente in vista di un esame, senza assaporare quel piacere di conoscenza che è bello e dovrebbe provare. Non è propriamente sbagliato, è necessario infatti avere nella vita delle mete da perseguire e dover raggiungere, ma esse non devono prendere il sopravvento. Anche Dio ha infatti degli scopi e agisce con criterio (altrimenti sarebbe il caos), ma per Egli il discorso è diverso. San Francesco è l’emblema di questo concetto: Guardini divide l’essere in due, uno vero e un falso; quest’ultimo è quello che è fatto “io”, “a me”, “mio”, l’altro invece prescinde da tutto questo, in altri termini è aperto a Dio, è una porta attraverso il quale Egli può condurre il proprio Bene e Amore, perché il corpo non è invaso da amore personale. Francesco, dopo il dono delle stimmate, torna dal popolo e si lascia venerare, pur essendo riluttante a questi comportamenti. Egli ormai è superiore, capisce che attraverso di lui adorano Dio. Guardini infine distingue le intenzioni di Dio con la sua infinita sapienza, ce regola i destini di tutti gli uomini e li lega gli uni agli altri. Noi ora non possiamo vedere il disegno completo, ma dopo il Giudizio potremo contemplare il completo disegno di Dio.

Capitolo 9 - AscesiL’ascesi è vista spesso con antipatia, poiché le si da un significato sbagliato, che è quello della rinuncia alla vita, alla privazione innaturale dei propri istinti. L’uomo ha effettivamente degli istinti, ma sono completamente diversi da quelli animali. Questi infatti si autoregolano e auto soddisfano. Se l’animale è sazio smette di mangiare, se ha dormito abbastanza non giace nell’ozio ecc. L’uomo invece ha lo spirito che agisce nei suoi istinti, dando sì bellezza e profondità alle cose, ma anche espone al rischio dell’eccesso, come per il cibo, il sesso o l’arte della guerra. Guardini critica le correnti che affermane che il materiale, il piacere e l’istinto siano il male stesso, poiché essi fanno parte della natura umana, ma tramite l’ascesi (esercizio dal greco) si deve riuscire a non trasformarli in perversioni o eccessi. Il matrimonio o un’amicizia richiede la via dell’ascesi, poiché dopo l’accettazione dell’altro serve combattere contro la suscettibilità, la pigrizia, e dare modo all’altro di esprimersi. Ascesi è inoltre saper scegliere, scartare il falso e il superficiale. Chi va spesso al cinema perde alla lunga il senso della bellezza dello spettacolo, chi legge tante banalità perderà il senso della lettura autentica e chi è abituato a discorrere e discutere tra la gente perderà la capacità di ritrovarsi solo. Ascesi è saper scremare tutto ciò. Guardini si oppone alla filosofia vitalista, che sostiene che la vita va spremuta e vissuta attimo per attimo, poiché è la vita stesse a dover compiere sé stessa. Si oppone in quanto non concorda con questa soluzione finalistica della vita, che prevede la perdita

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dei veri piaceri e la vera contemplazione. L’esercizio deve essere fatto tutti i giorni e non si parla di grandi cose, di digiuni, veglie notturne o aspre penitenze, ma di piccole cose ogni giorno. Dirsi no al cibo, alla bevanda o al fumo. Restare a casa soli piuttosto che uscire e così via. Questi piccoli gesti, questo esercizio, ci faranno apparire a Dio come pieni di grazia e pronti alla sua Presenza.

Capitolo 10 - CoraggioIl coraggio può essere innato, quindi avremo un uomo che non sente la paura, il pericolo, e quindi agisce in modo coraggioso, sicuro. Egli ha un sentire particolare, è meno avvezzo all’empatia, alla paura. È un bene, ma costui farà bene a mantenersi sempre riflessivo (e grato). Poi vi è il coraggio dettato dall’onore o l’orgoglio. Questo appartiene a quel tipo di uomo che percepisce i pericoli, sente la paura, ma nonostante tutto affronta i pericoli con calma e in modo accorto. Coraggio però è anche di più. Ci vuole prima di tutto il coraggio per accettare sé stessi e accettare la realtà. Poi ci vuole il coraggio di credere nella Provvidenza, di credere che tutto ciò che siamo, che deve avvenire, che è accaduto, siano opera di Dio. Noi dobbiamo avere il coraggio di accettare la realtà e noi stessi e proseguire con fiducia verso il futuro, con il coraggio di affrontare le prove che Dio ci porrà, poiché non esiste gioia senza il dolore.

Capitolo 11 - BontàLa bontà non deve essere confusa con la bonarietà, che ha ben poco di pregevole. E non va confusa nemmeno con l’amore, del quale si parla troppo e forse a sproposito. La bontà anzitutto l’essere ben disposti verso la vita, pensare bene di essa, lasciarla esprimere. Bontà è tenere a qualcuno, ma non volerlo soffocare. È non provare invidia per ciò che altri hanno e che a noi manca, è non provare il sentimento della vendetta quando subiamo un torto. Tutto ciò non può accedere se la bontà non ha due caratteristiche: forza e umorismo. La forza è necessaria alla sopportazione, alla pazienza; poiché i difetti altrui fastidiosi, le ingiustizie potrebbe far naufragare la bontà debole. L’umorismo invece serve per poter ridere della stranezza che esiste nella realtà, il saper vedere il comico che c’è in ogni uomo. Non significa certo non prendere sul serio il bisogno della bontà, ma il riso aiuta a concentrarsi ancor più seriamente, dopo. Infine analizziamo la fonte delle virtù, Dio. Egli è il Buono. Se ci si chiede come sia possibile allora che esista tutto il male che invade il mondo, la risposta è semplice: non è Dio che lo ha creato, ma l’uomo. Esso infatti non mira al Regno Divino e al Paradiso Terrestre, ma al proprio regno e da qui nascono tutte le ingiustizie e perversioni di cui l’uomo stesso si lamenta.

Capitolo 12 - ComprensionePer Guardini la comprensione è una virtù fondamentale. Egli intende anzitutto la comprensione dei sentimenti altrui, capire se dietro una durezza non stia in realtà una timidezza, se dietro un atteggiamento ostile non ci sia in realtà una ferita. Per far sì che questo accada dobbiamo essere immuni ai pregiudizi e ai giudizi. Tendiamo ad etichettare come amico o nemico qualsiasi essere umano e non gli lasciamo il diritto di essere sé stesso. Superato questo limite, una volta assicurata l’identità di ogni individuo, allora possiamo iniziare a comprenderlo, a capire i sentimenti reali che si celano dietro un’apparenza; l’esperienza è fondamentale in questo, alle nostre esperienza dobbiamo essere capaci di comprendere il prossimo e avere memoria dei nostri sentimenti. Ragionando in questo modo si arriva anche a guardare meglio sé stessi: se io mi chiedo “come mi vede l’altro” e non come vorrei che mi vedesse, come penso mi veda, ma mi interrogassi sulla realtà pura, allora vedrei qualcosa di spiacevole probabilmente, ma di sicuro questa consapevolezza mi aiuterà a migliorare. Come tutte le virtù, anche questa discende dall’alto. Dio è infatti comprensivo sopra ogni umana possibilità, poiché Egli stesso ci ha creati e dato un fine. Agli occhi di Dio noi siamo dunque esattamente ciò che siamo, non ci sminuisce, né ci ingrandisce; Egli ci vede unicamente per ciò che siamo realmente (in un matrimonio perfetto dovrebbe succedere la medesima cosa)

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Capitolo 13 - CortesiaLa cortesia non è altro che la buona educazione, l’essere ben disposti verso il prossimo. Con cortesia è prevista la benevolenza, l’oscurare i propri pregi per non mortificare l’altro, evitare situazioni spiacevoli o imbarazzanti. Ne parlò anche Paolo, di questa cosa piuttosto che altre più grandi e magnifiche; questo perché egli capiva che è nella quotidianità e dalle piccole cose che si comincia a fare il vero bene, lasciando spazio al prossimo, non rendendolo mai astioso: gli alleggerisce la vita. La cortesia richiede però tempo. Guardini non nasconde le perplessità che questo può comportare, in una società sempre più frenetica e riflette anche che l’assenza di cortesia porterebbe ad un crudo realismo abbastanza efficace e diretto, senza inutili cerimonie o false cortesie. Eppure, sostiene, la vita richiede tempo, ama vivere, le vie lunghe e la cortesia è dunque necessaria, alleggerisce la vita, la rende bella e impedisce che lo svolgersi di essa diventi solamente un susseguirsi di azioni meccaniche. Infine la cortesia anche viene attribuita a Dio, Egli è cortese con l’uomo poiché lo ha creato libero e tale lo fa rimanere, nonostante potrebbe sedurlo, manipolarlo, punirlo o distruggerlo. Egli “bussa alla porta”, nonostante potrebbe “sbarazzarsi di ogni ostacolo” (cit. antico testamento)

Capitolo 14 - RiconoscenzaLa riconoscenza è una di quelle virtù che si sta perdendo, vittima di dinamiche sociali sempre più meccaniche. La riconoscenza è possibile solamente tra un “tu” e un “io”[1°condizione]. Non ringrazio il sole che sorge o un’automobile che mi porta a destinazione, così come non ringrazio un servizio postale o un commesso che mi serve. La riconoscenza avviene in un contesto dove niente è dovuto, nella libertà [2° condizione]. In assenza di libertà avviene semplicemente ciò che doveva accadere. Per una vera riconoscenza, è necessario che chi dona o aiuta non faccia pesare la sua “superiorità”, altrimenti piuttosto che l’aiuto vive il rancore e l’umiliazione del più “debole” [3° condizione].La riconoscenza viene provata da noi verso qualcuno anche se apparentemente non ha fatto nulla, ma ci viene da ringraziarlo per il semplice motivo di esistere. Forse questo è dovuto ad azioni precedenti, ad una sintesi di ciò che egli è e fa, ma c’è di più. L’essere è rivolto a Dio, poiché è solamente Lui che ha fatto in modo che io esista e devo essere riconoscente ogni giorno, poiché ogni giorni lui vuole che continui ad essere.

Capitolo 15 - DisinteresseCon “disinteresse” Guardini intende il distaccamento dal calcolo per accrescere il proprio io. Se io faccio un lavoro pensando alla mia realizzazione personale, a come gli altri possono vedermi, a come giudichino la mia opera, il mio lavoro, esso non verrà bene e la mia immagine non ne uscirà migliorata. Il disinteresse comporta il compimento del proprio io, disinteressandosi di sé stessi. Il paradosso è che in questo modo io apro il cuore dell’altro e ne traggo benefici che mirandoli no otterrei. Disinteresse significa quindi essere sé stessi, in tutte le sue forme. Dio è la massima forma di disinteresse in questo senso; egli stesso si identifica come puro Essere, quando Mosè chiese il suo nome. «Io sono “l’Io-sono”».

Capitolo 16 - RaccoglimentoIl raccoglimento è una virtù che riguarda principalmente il rapporto tra uomo e Dio. Il raccoglimento è necessario per far sì che ci sia un dialogo tra uomo e Divino, o meglio, per far sì che l’uomo possa cogliere il momento in cui Dio ci parla. Saper ascoltare la parola di Dio significa anche saper ascoltare la nostra coscienza, che ci parla ogni giorno, dinnanzi ad ogni scelta. Ella ci suggerisce il bene, ci richiama al giusto e noi dobbiamo avere la forza di dirle di sì. Dare ascolto alla coscienza è il modo migliore per non cosificare le

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persone e trattarle come tali. Ma anche la natura stessa o l’arte sono ben interpretate e contemplate a pieno solamente da colui che è raccolto. Guardini definisce il chiasso, la radio, la TV, le vetrine per strada ecc. tentazioni che “mi portano via da me”, e sarebbe un buon esercizio resistervi. Infine Dio è infinitamente raccolto, identico a sé e quindi padrone di sé.

Capitolo 17 - SilenzioTacere può solo chi può parlare, e viceversa. La parola è un grande dono, che ha solo l’uomo e in essa immette grandi verità (scientifiche, religiose) e va in comunione con gli altri, ci si confronta, si apprende. Ma anche il silenzio è una grande virtù. Il silenzio è l’intimo dialogo con me stesso, è il luogo dove trovare risposte che parlando non si potrebbero trovare. Chi parla solamente fugge da sé stesso, poiché nel silenzio si riflette e si guarda sé stessi per come si è, e non ci si può nascondere dietro le parole. Solamente nel Silenzio infine si può ascoltare Dio. Egli ci onora della sua Parola e della sua Presenza solamente quando siamo raccolti nel silenzio, quando il caos esteriore e soprattutto quello interiore (frenesia, desideri, inquietudini) sono da noi placati. Per arrivare a questo serve, come per ogni virtù, esercizio. Il silenzio non è un vuoto, anzi, è una vita genuina e colma.

Capitolo 18 - La Giustizia Davanti A Dio