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Da santalessandro.orgGiovanni Cominelli

GUERRA SUL CAMPO DISINTERESSE FUORISe scrivi del referendum costituzionale del 4

dicembre prossimo, ti trovi gettato nel bel mezzo

di un campo di battaglia, risonante di

esplosioni e denso di fumi. Politici,

costituzionalisti, giornalisti, opinionisti, politologi,

TV e social media… sono tutti presenti sul

campo. Tutti hanno consumato tutti gli argomenti.

Nessuno convince nessuno. Fuori, il Paese reale

pare poco interessato al merito tecnico delle

questioni. E’ più attento alle questioni

immigrazione, sicurezza, lavoro, sviluppo

economico: insomma al proprio destino. Il nesso

di questo con le riforme istituzionali ed elettorali

resta labile. Più che il merito tecnico delle

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domande referendarie, ciò che entra in gioco

è lo spirito collettivo, il trend psicologico del

Paese, la sua “pancia”. Piaccia o no, questo è il

terreno reale della battaglia. Come a dire: le

opposte truppe e rispettivi stati maggiori stanno

manovrando e combattendo fuori dal campo di

battaglia reale.

IL FRONTE DEL “NO” OSSIA COME RICONQUISTARE IL POTERE PERDUTOIl fronte del NO di D’Alema, Bersani,

Quagliariello, Berlusconi ha pochi argomenti

tecnici da opporre e molti clamorosi ribaltoni da

scontare: aver votato SI in Parlamento, fare

campagna per il NO nelle piazze. La loro è

una posizione principalmente politico-tattica, dove tattica vuol dire “come

riconquistare il potere perduto”. Nessuno pare

sfiorato dalla preoccupazione che se costoro

scuotono l’albero del NO, le mele finiranno nel

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cesto di Grillo. Il quale, avendo teorizzato che il

NO è la forma più alta della politica, è

probabilmente quello più in sintonia con la

“pancia” di una parte del Paese. Che cos’è la

pancia? E’ il deposito delle culture politiche, delle

tradizioni, delle abitudini buone e cattive, delle

paure, del sentire sociale e delle visioni del

mondo. Non è né di destra né di sinistra, è il

Paese reale. Secondo questa “visione di pancia”

a che cosa servono oggi, in un Paese moderno,

immerso nella feroce competizione

internazionale, europea e mondiale, le istituzioni

democratiche, progettate dalla Costituzione del

1948? Servono a dar voce al Paese, a eleggere

propri rappresentanti alla Camera e al Senato. Il

sistema elettorale – cioè il meccanismo che

trasforma i voti in seggi – deve garantire questo

diritto. Una volta mandati i propri rappresentanti

in Parlamento, per i cittadini il gioco finisce. Di lì

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in avanti sono i loro rappresentanti, eletti su base

partitica, a prendere le decisioni. I cittadini

delegano e si ritirano a vita privata, fino alle

prossime elezioni. Tocca ai loro delegati mettersi

d’accordo. L’importante che tutti siano

rappresentati e coperti.

LA DELEGA E LO SMARRIMENTO DEL SENSO DI RESPONSABILITÀLa storia dice che per fare un governo –

qualcuno dovrà pur governare – occorre mettersi

d’accordo tra molti. E aggiunge che questi

accordi tra molti eletti di partito sono sempre stati

instabili e ballerini: un governo ogni 9 mesi nella

Prima repubblica, ogni 17 mesi nella Seconda.

D’altronde governare vuol dire fare delle scelte,

assumersi responsabilità, mentre la delega

permette di astenersene e di lamentarsi

costantemente. Il vantaggio immediato delle

coalizioni è che nessuno è mai davvero

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imputabile di responsabilità, di successi o di

insuccessi. Questo funzionamento delle

istituzioni ha prodotto una cultura di lunga durata

nel Paese: quella dell’irresponsabilità propria e della colpa sempre altrui. Che, dunque, sente ora come un salto nel buio il

passaggio a istituzioni rappresentative e di

governo, che siano decise dai cittadini stessi.

Ora, “il combinato-disposto” di riforme

costituzionali e di Italicum porta esattamente a

questo: che il cittadino-elettore sceglie il proprio

rappresentante – sempre che si eliminino alcune

storture che i partiti stessi hanno imposto

(capilista bloccati e multipresentazioni) – e

sicuramente il capo del governo.

SI HA PAURA DEL CITTADINO SOVRANODel cittadino sovrano hanno paura i partiti, i

politici e i cittadini stessi. È una paura profonda,

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sulla quale tentano di costruire un ritorno al

sistema proporzionale e ai governi di coalizione

tutti i nostalgici dell’indecisionismo, oggi fautori

del NO.  Che all’ombra dei governi indecisionisti

siano cresciuti poteri sociali e istituzionali

decisionisti  – banche, finanza, mass media e

magistratura tra i primi – i quali hanno imposto gli

interessi privati e di casta come interessi di tutti,

finanziandoli con il denaro di tutti e con

conseguente debito pubblico; che il Parlamento

sia diventato una Camera delle corporazioni, che

filtra in peggio ogni progetto di legge e di riforma;

che un Paese ripiegato e indeciso conti come il

due di briscola nel consesso europeo e

internazionale, così da essere lasciato solo al

cospetto del fenomeno immigratorio… tutto ciò

viene paradossalmente imputato al progetto di

riforme, che vuole assegnare ai cittadini la scelta

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del governo e che vuole trarre il Paese dalle

sabbie mobili del declino.

SE VINCE IL “SÌ”Si ripete il meccanismo “logico” della favola di

Fedro: superior stabat lupus!… Posizione

palesemente autocontraddittoria, ma sostenuta

da gran parte del vecchio ceto politico, perché,

facendo leva sulle paure del Paese e

sull’intreccio tra società civile, corporazioni, poteri

forti, gli consentirebbe di tornare alla

negoziazione oligarchica. I cittadini devono stare

alla larga dalla formazione dei governi! Tutto ciò

in nome della difesa della democrazia.  Se vince

il SI’, non ritorneremo certo nel paradiso

terrestre, faremo un primo passo fuori dalla

palude. E se vince il NO, non andremo

all’inferno. Semplicemente, non succederà nulla:

rimarremo disperatamente nella plaude. Tocca

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ai cittadini spezzare il gioco perverso del declino e prendere in mano il destino del

Paese. Le vecchie oligarchie che oggi si

ripropongono pomposamente come cavalieri

della democrazia, ci hanno già dato un Paese in

stagnazione e in declino.