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"La sirena delle cinque" di Barbara Balzerani, ed. DeriveApprodi, 2003/2015 Davide Steccanella 10 giugno 2015 Guccini, nella sua iraconda L’Avvelenata cantava che a canzoni non si potevano fare né rivoluzioni né poesia, ed infatti Barbara Balzerani, che non è una cantante ma una che ai tempi la rivoluzione tentò di farla davvero, oggi fa la scrittrice e ogni tanto ci regala qualche squarcio di poesia. E’ il caso di questo libricino, di poco più di 70 pagine circa, come ricorda in prefazione Ivan Della Mea, che ai tempi ne curò la prima pubblicazione per la piccola casa editrice Jaca, che sono di base una serie di micro racconti di infanzia alternati a scampoli di vita più adulta di una protagonista nata e cresciuta in un brutto paese distante poco più di un ora dalla città eterna, e finita a scontare anni e anni di galera per avere partecipato a quel fallito assalto al cielo, che negli anni settanta coinvolse una bella fetta della penultima generazione del “secolo breve”. Ma che “poesia” potrà mai venire fuori, ci si potrebbe chiedere, dal racconto di una donna sconfitta dalla sua stessa volontà di emanciparsi da una realtà nativa che non le dava scampo, e ridotta a scrivere dall’antro di una cella dalle cui strette inferriate trapelano ormai filtrati i rumori assordanti del fallimento storico di quell’intero progetto cui aveva, come tanti altri, creduto ? Per di più quando questo libro uscì correva l’anno 2003 ed i più attenti conoscitori della biografia della autrice ben sapevano che anche quell’estremo tentativo di “evadere” attraverso la scrittura, dono evidentemente innato, visto che in gioventù Barbara Balzerani era come noto in altre ed assai meno letterarie faccende “affaccendata”, era 5 anni prima miseramente franato contro il potente quanto rigido ostracismo dell’autorevole penna che pose fine di colpo al cammino faticosamente destinato a farsi apprezzare del suo romanzo d’esordio Compagna luna. Dunque, quando la detenuta Barbara Balzerani inizia a

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"La sirena delle cinque" di Barbara Balzerani, ed. DeriveApprodi, 2003/2015Davide Steccanella 10 giugno 2015 Guccini, nella sua iraconda L’Avvelenata cantava che a canzoni non si potevano fare né rivoluzioni né poesia, ed infatti Barbara Balzerani, che non è una cantante ma una che ai tempi la rivoluzione tentò di farla davvero, oggi fa la scrittrice e ogni tanto ci regala qualche squarcio di poesia. E’ il caso di questo libricino, di poco più di 70 pagine circa, come ricorda in prefazione Ivan Della Mea, che ai tempi ne curò la prima pubblicazione per la piccola casa editrice Jaca, che sono di base una serie di micro racconti di infanzia alternati a scampoli di vita più adulta di una protagonista nata e cresciuta in un brutto paese distante poco più di un ora dalla città eterna, e finita a scontare anni e anni di galera per avere partecipato a quel fallito assalto al cielo, che negli anni settanta coinvolse una bella fetta della penultima generazione del “secolo breve”. Ma che “poesia” potrà mai venire fuori, ci si potrebbe chiedere, dal racconto di una donna sconfitta dalla sua stessa volontà di emanciparsi da una realtà nativa che non le dava scampo, e ridotta a scrivere dall’antro di una cella dalle cui strette inferriate trapelano ormai filtrati i rumori assordanti del fallimento storico di quell’intero progetto cui aveva, come tanti altri, creduto ? Per di più quando questo libro uscì correva l’anno 2003 ed i più attenti conoscitori della biografia della autrice ben sapevano che anche quell’estremo tentativo di “evadere” attraverso la scrittura, dono evidentemente innato, visto che in gioventù Barbara Balzerani era come noto in altre ed assai meno letterarie faccende “affaccendata”, era 5 anni prima miseramente franato contro il potente quanto rigido ostracismo dell’autorevole penna che pose fine di colpo al cammino faticosamente destinato a farsi apprezzare del suo romanzo d’esordio Compagna luna. Dunque, quando la detenuta Barbara Balzerani inizia a scrivere questa “sirena delle cinque” non ha un editore disposto a pubblicarla e non ha più nemmeno la sua storia di ex brigatista da raccontare per rimpolpare quella nicchia della memorialistica che non si nega a nessuno, anche se spesso inadeguata al vissuto che si vorrebbe spiegare. Eppure La sirena delle cinque è di gran lunga il libro più“poetico” di Barbara Balzerani, anzi potrei dire che è l’unico suo libro poetico. Proprio Ivan Della Mea infatti parla qui di una barbara gemella che intravede tra le righe di questo libro e chi ha letto i successivi libri della Balzerani non può che complimentarsi con lui per quella intuizione, perché effettivamente dei cinque romanzi fino ad oggi pubblicati, questo sembra un po’ fare storia a se. E’ vero che quella

madre che alle 5 di tutti i pomeriggi torna a casa dopo la dura giornata di lavoro al suono della sirena di quella fabbrica la ritroveremo tanti anni dopo nell’ultimo Lascia che il mare entri, protagonista di mezzo, di quella storia tutta al femminile del '900 italiano. Cosi pure ritroveremo in tutti gli altri libri autobiografici di Barbara quella bambina che giocava coi maschietti del paese per imparare quell’arte tutta proletaria e contadina di arrangiarsi, che molti anni dopo le consentirà di inventarsi, negli angusti spazi di una anaffettiva cella, i giochi distraenti per la bimba incolpevole della sua compagna di sbarre. Ma qui Barbara Balzerani, come si diceva all’inizio, fa poesia, si astrae per un po’ dalla realtà che da sempre e per scelta la muove, e si abbandona al mero ricordo che talune volte diviene anche struggente e delicato, come quando racconta il matrimonio della sorella della quale, come peraltro della madre, ebbe ad ammirarne da bambina eleganza e bellezza e non quella accettazione fatalistica da cui appena possibile quella bambina cresciuta vorrà prendere il largo. Non so se questa diversità narrativa dipenda dal fatto che questo libro sia stato scritto più per se stessi che per quegli ancora irraggiungibili futuri lettori, causa l’ostracismo sopra ricordato, ma sta di fatto che se lo stile è quello di sempre “asciutto e ricco di senso” come ha perfettamente sintetizzato Della Mea, il clima generale che si respira questa volta è più soffuso, più musicale, e quella prosa asciutta e ricca di senso si trasforma appunto, ed in più punti in…poesia. Bellissimo, eppure si era perduto, meno male che Derive Approdi ha colmato questa lacuna con la ristampa che compare da qualche mese in libreria.