ILBELRENE UNAVITA BRUCIATAIN 200 GIORNI · 2012. 10. 14. · scenza e pochi scampoli da adulto, è...

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90 L’EUROPEO L o scorso aprile Renato Vallanzasca esce un’altra volta dall’oblio per chiedere la (non) grazia al presiden- te della Repubblica, rinnovando co- sì nella memoria collettiva la sua storia maledetta caratterizzata da una condizione di galeotto che ormai si sta fa- cendo infinita. Dei suoi 55 anni da poco compiuti, il “Bel René” (uno dei tanti so- prannomi) ne ha trascorsi in carcere più di 35: tolti l’infanzia, una parte dell’adole- scenza e pochi scampoli da adulto, è pra- ticamente tutta la vita, meno un lustro. Un lasso di tempo infinito, sempre vissuto dietro le sbarre e spesso in isolamento. Ep- pure quello che si ricorda di lui è la fama di bandito spietato, di “re delle evasioni” (almeno sei o sette possibili, cinque tenta- te, due riuscite: un curriculum corposo, ma non certo unico per la categoria). Si ri- cordano anche i suoi occhi azzurri, ma- gnetici e freddi, in grado di far sognare schiere di ammiratrici che lo gratificano di attenzioni inviandogli anche 800 lettere al giorno nel periodo di massimo fulgore. Si ricorda ancora che lui era il boss della Co- masina: invece è cresciuto in via Porpora, dalle parti di piazzale Loreto, a Milano. Poi, che sarebbe nato il 14 febbraio; fa tan- to romanzo immaginare un rubacuori – ancorché maledetto – venire al mondo il giorno della festa degli innamorati, ma la data esatta è quella del 4 maggio 1950, al- l’inizio del mese della Madonna: non suo- nerebbe bene un riferimento così pio per un duro e puro della mala. Secondo Ca- millo Rosica, il suo avvocato ormai da sempre, «Renato ha fatto di tutto per rovi- narsi la vita, intorcinandosi in un’esisten- za che altrimenti sarebbe stata di succes- so. È un uomo intelligentissimo calato in una parte in larga misura cucita da altri e cresciuto nella leggenda di cui lui stesso si è nutrito. Di sé ama- va dire, ormai tanto tempo fa: “Sono nato Vent’anni libero, 35 in carcere. Nel frattempo alla Comasina è scomparsa la scritta “Viva Vallanzasca”. Tutto è cambiato nel quartiere. Anche lui è diverso. Dopo rapine, omicidi, sequestri. Tanti amori, veri, virtuali, fugaci, appassionati. Uno in particolare 90 L’EUROPEO di Tiziano Marelli L’EUROPEO 2005 N. 4 DOVE: Milano, quartiere della Comasina. VITTIME: Nel 1976, durante una rapina all’ufficio postale di piazza Vetra a Milano, Renato Vallanzasca commette il primo omicidio e uccide l’agente Giovanni Ripani. Si sposta poi al Sud, con la sua banda. Il percorso è lastricato di cadaveri: un poliziotto a Montecatini, un bancario ad Andria, poi un medico, un vigile urbano e, al ritorno al Nord, due poliziotti all’ingresso dell’autostrada A4. INDAGINI: Il “boss della Comasina” è stato condannato a quattro ergastoli più 260 anni di reclusione per sette omicidi, tre sequestri di persona, rapine ed evasioni. ILCASOÈ: Chiuso, ma lo scorso aprile René ha chiesto la grazia, per rivedere la sua mamma. IL BEL RENE , UNA VITA BRUCIATA IN 200 GIORNI

Transcript of ILBELRENE UNAVITA BRUCIATAIN 200 GIORNI · 2012. 10. 14. · scenza e pochi scampoli da adulto, è...

  • Renato Vallanzasca tentò la sua seconda evasione il 28 aprile 1980, ma venne acciuffato dopo una sparatoria, in cui rimase ferito a una gamba.

    90 L’EUROPEO

    Lo scorso aprile Renato Vallanzascaesce un’altra volta dall’oblio perchiedere la (non) grazia al presiden-te della Repubblica, rinnovando co-sì nella memoria collettiva la sua

    storia maledetta caratterizzata da unacondizione di galeotto che ormai si sta fa-cendo infinita. Dei suoi 55 anni da pococompiuti, il “Bel René” (uno dei tanti so-prannomi) ne ha trascorsi in carcere più di35: tolti l’infanzia, una parte dell’adole-scenza e pochi scampoli da adulto, è pra-ticamente tutta la vita, meno un lustro. Unlasso di tempo infinito, sempre vissutodietro le sbarre e spesso in isolamento. Ep-pure quello che si ricorda di lui è la famadi bandito spietato, di “re delle evasioni”(almeno sei o sette possibili, cinque tenta-te, due riuscite: un curriculum corposo,ma non certo unico per la categoria). Si ri-cordano anche i suoi occhi azzurri, ma-gnetici e freddi, in grado di far sognareschiere di ammiratrici che lo gratificano diattenzioni inviandogli anche 800 lettere al

    giorno nel periodo di massimo fulgore. Siricorda ancora che lui era il boss della Co-masina: invece è cresciuto in via Porpora,dalle parti di piazzale Loreto, a Milano.Poi, che sarebbe nato il 14 febbraio; fa tan-to romanzo immaginare un rubacuori – ancorché maledetto – venire al mondoil giorno della festa degli innamorati, ma ladata esatta è quella del 4 maggio 1950, al-l’inizio del mese della Madonna: non suo-nerebbe bene un riferimento così pio perun duro e puro della mala. Secondo Ca-millo Rosica, il suo avvocato ormai dasempre, «Renato ha fatto di tutto per rovi-narsi la vita, intorcinandosi in un’esisten-za che altrimenti sarebbe stata di succes-so. È un uomo intelligentissimo calato inuna parte in larga misura cucita daaltri e cresciuto nella leggenda dicui lui stesso si è nutrito. Di sé ama-va dire, ormai tanto tempo fa: “Sono nato

    Vent’anni libero, 35 in carcere. Nel frattempo alla Comasina è scomparsa la scritta“Viva Vallanzasca”. Tutto è cambiato nel quartiere. Anche lui è diverso. Dopo rapine,omicidi, sequestri. Tanti amori, veri, virtuali, fugaci, appassionati. Uno in particolare

    90 L’EUROPEO

    di Tiziano MarelliL’EUROPEO 2005 N. 4

    DOVE: Milano, quartieredella Comasina.

    VITTIME: Nel 1976, duranteuna rapina all’ufficiopostale di piazza Vetra aMilano, Renato Vallanzascacommette il primo omicidioe uccide l’agente GiovanniRipani. Si sposta poi al Sud, con la sua banda.Il percorso è lastricato di cadaveri: un poliziottoa Montecatini, un bancarioad Andria, poi un medico, un vigile urbano e, al ritorno al Nord, due poliziotti all’ingressodell’autostrada A4.

    INDAGINI: Il “boss dellaComasina” è statocondannato a quattroergastoli più 260 anni di reclusione per setteomicidi, tre sequestri dipersona, rapine ed evasioni.

    IL CASO È: Chiuso, ma lo scorso aprile René ha chiesto la grazia, per rivedere la sua mamma.

    IL BEL RENE’, UNA VITABRUCIATA IN 200 GIORNI

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  • Renato Vallanzasca tentò la sua seconda evasione il 28 aprile 1980, ma venne acciuffato dopo una sparatoria, in cui rimase ferito a una gamba.

    90 L’EUROPEO

    Lo scorso aprile Renato Vallanzascaesce un’altra volta dall’oblio perchiedere la (non) grazia al presiden-te della Repubblica, rinnovando co-sì nella memoria collettiva la sua

    storia maledetta caratterizzata da unacondizione di galeotto che ormai si sta fa-cendo infinita. Dei suoi 55 anni da pococompiuti, il “Bel René” (uno dei tanti so-prannomi) ne ha trascorsi in carcere più di35: tolti l’infanzia, una parte dell’adole-scenza e pochi scampoli da adulto, è pra-ticamente tutta la vita, meno un lustro. Unlasso di tempo infinito, sempre vissutodietro le sbarre e spesso in isolamento. Ep-pure quello che si ricorda di lui è la famadi bandito spietato, di “re delle evasioni”(almeno sei o sette possibili, cinque tenta-te, due riuscite: un curriculum corposo,ma non certo unico per la categoria). Si ri-cordano anche i suoi occhi azzurri, ma-gnetici e freddi, in grado di far sognareschiere di ammiratrici che lo gratificano diattenzioni inviandogli anche 800 lettere al

    giorno nel periodo di massimo fulgore. Siricorda ancora che lui era il boss della Co-masina: invece è cresciuto in via Porpora,dalle parti di piazzale Loreto, a Milano.Poi, che sarebbe nato il 14 febbraio; fa tan-to romanzo immaginare un rubacuori – ancorché maledetto – venire al mondoil giorno della festa degli innamorati, ma ladata esatta è quella del 4 maggio 1950, al-l’inizio del mese della Madonna: non suo-nerebbe bene un riferimento così pio perun duro e puro della mala. Secondo Ca-millo Rosica, il suo avvocato ormai dasempre, «Renato ha fatto di tutto per rovi-narsi la vita, intorcinandosi in un’esisten-za che altrimenti sarebbe stata di succes-so. È un uomo intelligentissimo calato inuna parte in larga misura cucita daaltri e cresciuto nella leggenda dicui lui stesso si è nutrito. Di sé ama-va dire, ormai tanto tempo fa: “Sono nato

    Vent’anni libero, 35 in carcere. Nel frattempo alla Comasina è scomparsa la scritta“Viva Vallanzasca”. Tutto è cambiato nel quartiere. Anche lui è diverso. Dopo rapine,omicidi, sequestri. Tanti amori, veri, virtuali, fugaci, appassionati. Uno in particolare

    90 L’EUROPEO

    di Tiziano MarelliL’EUROPEO 2005 N. 4

    DOVE: Milano, quartieredella Comasina.

    VITTIME: Nel 1976, duranteuna rapina all’ufficiopostale di piazza Vetra aMilano, Renato Vallanzascacommette il primo omicidioe uccide l’agente GiovanniRipani. Si sposta poi al Sud, con la sua banda.Il percorso è lastricato di cadaveri: un poliziottoa Montecatini, un bancarioad Andria, poi un medico, un vigile urbano e, al ritorno al Nord, due poliziotti all’ingressodell’autostrada A4.

    INDAGINI: Il “boss dellaComasina” è statocondannato a quattroergastoli più 260 anni di reclusione per setteomicidi, tre sequestri dipersona, rapine ed evasioni.

    IL CASO È: Chiuso, ma lo scorso aprile René ha chiesto la grazia, per rivedere la sua mamma.

    IL BEL RENE’, UNA VITABRUCIATA IN 200 GIORNI

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  • I genitori di Renato Vallanzasca attendono in un corridoio del tribunale di Milano l’esito di uno dei tanti processi cui il figlio è stato sottoposto.

    Un’altra foto del bandito, dopo la fallita fuga dal carcere milanese di San Vittore. Un anno prima René si era sposato in cella con Giuliana Brusa.

    più, ma questi ci ricade e usa addiritturauno scudiscio per rafforzare il concetto.Così non può evitare la sonora dose di bot-te, prima che un René scatenato vengaplaccato da una selva di bidelli e cacciatoper sempre da ogni scuola pubblica. Nonse ne fa un cruccio: gli studi verrannocompiuti privatamente e senza tropposforzo, di pari passo con l’impennata dellesue imprese, non più classificabili comemarachelle, ancorché borderline. Penseràdi iscriversi a ragioneria, ma abbandona ilproposito perché immagina sì di entrare inbanca, ma dall’altra parte, con una pistolae per rapinare, non per fare l’impiegato.

    LA “CARRIERA”È così che diventa maggiorenne, pas-

    sando dalle focacce “sgraffignate” ai suoicoetanei alle razzie dei magazzini di for-maggi e prosciutti razziati da giovanotto,fino ai “colpi in villa” eseguiti in compa-

    gnia di vecchi banditi della Milano balor-da, professionisti che sanno però spiegar-gli la differenza di un reato commesso sen-za pistola – che sarebbe solo un furto – daquello in armi, che diventa rapina con uncarico di pena, se si viene beccati, diecivolte superiore. Non presta moltoorecchio a consigli che possonosembrare perle di mala-saggezza e,puntuali, arrivano le prime latitanze e iprimi arresti. Viene rinchiuso nelle più di-verse carceri minorili e ne sperimenta ladurezza, prova generale per il soggiornonelle galere per grandi (la prima volta saràa San Vittore per una rapina, nel ’69: unanno e dieci mesi per rapina, ma un annoè condonato), anche nel mettere a puntopiani di evasione. Voglia di scappareche tornerà, nel tempo, sempre co-me un chiodo fisso. Un’altra dellesue disgrazie.

    Il trasferimento, armi (il termine ci sta

    dini e compagni di ventura e mai – atteg-giamento mantenuto a tutt’oggi – si sareb-be sognato di chiedere un permesso, la se-milibertà o qualsivoglia favore da partedell’autorità precostituita. Ma tutto questo,in fondo, fa parte della sua storia. La storiadura e affascinante, da leggenda o da fu-mettone tragico di Renato Vallanzasca, ilBel René della Comasina.

    APPRENDISTA DEL CRIMINEUn suo coetaneo, compagno di scuola e

    di giochi di un’età che dovrebbe essere so-lo tenera, mi ha raccontato che, più o me-no verso i dieci anni, con Renato e ungruppo di amici erano in un campo a ru-bare frutta, dalle parti del Parco Lambro.Arriva il proprietario sbraitando e tutti sela danno a gambe, meno Vallanzasca.Questi fa arrivare l’uomo vicino, lo lasciaurlare e minacciare, poi gli tira, semplice-mente e di scatto, un tremendo calcio al

    basso ventre. Quindi gli dà le spalle, rag-giunge gli amici e tutti se ne vanno tran-quilli. Facile farsi la leggenda del duro, co-sì. Anche se, in verità, Renato aveva co-minciato molto prima. A sei anni, il primogiorno di scuola. Ci va a piedi da casa – viaLulli è a qualche centinaio di metri – co-me tutti i futuri compagni, meno uno chearriva su un macchinone guidato dall’au-tista. Si ritrovano in classe insieme e allaprima occasione, lo stesso giorno, lo suo-na come un tamburo. Sospensione e mi-naccia di espulsione da tutte le scuole d’I-talia. Al primo anno di medie, dopo avergià conosciuto il riformatorio per non avertrovato niente di meglio da fare che aprirele gabbie degli animali feroci di un circo diperiferia e aver seminato il terrore, capitache un professore prenda di mira un com-pagno di classe “debole” che il piccoloboss ha messo “sotto protezione”. Lui ave-va avvisato l’insegnante di non provarci

    bandito, e questo so fare”. Ma se avesse de-ciso di essere manager o ingegnere, gior-nalista o avvocato sono certo che sarebbestato un uomo di successo, di un successotutt’altro che deleterio rispetto a quelloche l’ha marchiato purtroppo fino a oggi».

    Quando lo scorso aprile è uscito dall’o-blio per chiedere la (non) grazia, lo ha fat-to a modo suo: come sempre eclatan-te ma tutto sommato ancora per-dente, nei modi e nei tempi. Nei mo-di, dopo uno sciopero della fame forse so-lo minacciato e mandando a dire a Ciam-pi che di lì a poco con una lettera si sareb-be rivolto a lui per l’atto di clemenza spe-cificando di ben sapere, in fondo, di nonmeritarsela; poi, usando, per diffondere lanotizia, un quotidiano come Libero: sceltaforse freudiana, magari dovuta alla sem-plice evocazione data della testata del quo-tidiano rispetto a quella che auspichereb-be essere oggi la sua condizione (di uomolibero, appunto). Nei tempi, perché neglistessi giorni Angelo Izzo riusciva a com-piere l’incredibile, 30 anni dopo l’orroredel Circeo, rendendo così improbabileogni afflato di clemenza verso il mondo deidetenuti – almeno nell’immediato – daparte della stragrande maggioranza dell’o-pinione pubblica. Ci ha guadagnato subi-to, comunque, la solidarietà del prefetto diRoma Achille Serra (che da segugio sullesue tracce in tempi ormai remoti si è tra-sformato adesso in suo sponsor, forte di unintreccio epistolare ormai pluriennale) etre ore in compagnia della vecchia madremalata, proprio nella vecchia casa di viaPorpora che lo ha visto bambino, chémamma Marie non ce la fa più ad andarefino a Voghera (ultimo “domicilio” cono-sciuto del figlio) a trovarlo.

    Già questo – da interpretare sicuramen-te come un atto di disponibilità da partedello Stato – è evento inimmaginabile so-lo fino a qualche anno fa, quando Vallan-zasca si trovava in uno qualsiasi dei tantibuchi profondi di una delle tante prigioniche lo hanno avuto ospite per niente gra-dito da parte di direttore di turno, secon-

    92 L’EUROPEO

    Più di 35 anni in carcere su 55 di vita: rari ergastolani nehanno trascorsi tanti dentro. E così pochi da uomini liberi

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  • I genitori di Renato Vallanzasca attendono in un corridoio del tribunale di Milano l’esito di uno dei tanti processi cui il figlio è stato sottoposto.

    Un’altra foto del bandito, dopo la fallita fuga dal carcere milanese di San Vittore. Un anno prima René si era sposato in cella con Giuliana Brusa.

    più, ma questi ci ricade e usa addiritturauno scudiscio per rafforzare il concetto.Così non può evitare la sonora dose di bot-te, prima che un René scatenato vengaplaccato da una selva di bidelli e cacciatoper sempre da ogni scuola pubblica. Nonse ne fa un cruccio: gli studi verrannocompiuti privatamente e senza tropposforzo, di pari passo con l’impennata dellesue imprese, non più classificabili comemarachelle, ancorché borderline. Penseràdi iscriversi a ragioneria, ma abbandona ilproposito perché immagina sì di entrare inbanca, ma dall’altra parte, con una pistolae per rapinare, non per fare l’impiegato.

    LA “CARRIERA”È così che diventa maggiorenne, pas-

    sando dalle focacce “sgraffignate” ai suoicoetanei alle razzie dei magazzini di for-maggi e prosciutti razziati da giovanotto,fino ai “colpi in villa” eseguiti in compa-

    gnia di vecchi banditi della Milano balor-da, professionisti che sanno però spiegar-gli la differenza di un reato commesso sen-za pistola – che sarebbe solo un furto – daquello in armi, che diventa rapina con uncarico di pena, se si viene beccati, diecivolte superiore. Non presta moltoorecchio a consigli che possonosembrare perle di mala-saggezza e,puntuali, arrivano le prime latitanze e iprimi arresti. Viene rinchiuso nelle più di-verse carceri minorili e ne sperimenta ladurezza, prova generale per il soggiornonelle galere per grandi (la prima volta saràa San Vittore per una rapina, nel ’69: unanno e dieci mesi per rapina, ma un annoè condonato), anche nel mettere a puntopiani di evasione. Voglia di scappareche tornerà, nel tempo, sempre co-me un chiodo fisso. Un’altra dellesue disgrazie.

    Il trasferimento, armi (il termine ci sta

    dini e compagni di ventura e mai – atteg-giamento mantenuto a tutt’oggi – si sareb-be sognato di chiedere un permesso, la se-milibertà o qualsivoglia favore da partedell’autorità precostituita. Ma tutto questo,in fondo, fa parte della sua storia. La storiadura e affascinante, da leggenda o da fu-mettone tragico di Renato Vallanzasca, ilBel René della Comasina.

    APPRENDISTA DEL CRIMINEUn suo coetaneo, compagno di scuola e

    di giochi di un’età che dovrebbe essere so-lo tenera, mi ha raccontato che, più o me-no verso i dieci anni, con Renato e ungruppo di amici erano in un campo a ru-bare frutta, dalle parti del Parco Lambro.Arriva il proprietario sbraitando e tutti sela danno a gambe, meno Vallanzasca.Questi fa arrivare l’uomo vicino, lo lasciaurlare e minacciare, poi gli tira, semplice-mente e di scatto, un tremendo calcio al

    basso ventre. Quindi gli dà le spalle, rag-giunge gli amici e tutti se ne vanno tran-quilli. Facile farsi la leggenda del duro, co-sì. Anche se, in verità, Renato aveva co-minciato molto prima. A sei anni, il primogiorno di scuola. Ci va a piedi da casa – viaLulli è a qualche centinaio di metri – co-me tutti i futuri compagni, meno uno chearriva su un macchinone guidato dall’au-tista. Si ritrovano in classe insieme e allaprima occasione, lo stesso giorno, lo suo-na come un tamburo. Sospensione e mi-naccia di espulsione da tutte le scuole d’I-talia. Al primo anno di medie, dopo avergià conosciuto il riformatorio per non avertrovato niente di meglio da fare che aprirele gabbie degli animali feroci di un circo diperiferia e aver seminato il terrore, capitache un professore prenda di mira un com-pagno di classe “debole” che il piccoloboss ha messo “sotto protezione”. Lui ave-va avvisato l’insegnante di non provarci

    bandito, e questo so fare”. Ma se avesse de-ciso di essere manager o ingegnere, gior-nalista o avvocato sono certo che sarebbestato un uomo di successo, di un successotutt’altro che deleterio rispetto a quelloche l’ha marchiato purtroppo fino a oggi».

    Quando lo scorso aprile è uscito dall’o-blio per chiedere la (non) grazia, lo ha fat-to a modo suo: come sempre eclatan-te ma tutto sommato ancora per-dente, nei modi e nei tempi. Nei mo-di, dopo uno sciopero della fame forse so-lo minacciato e mandando a dire a Ciam-pi che di lì a poco con una lettera si sareb-be rivolto a lui per l’atto di clemenza spe-cificando di ben sapere, in fondo, di nonmeritarsela; poi, usando, per diffondere lanotizia, un quotidiano come Libero: sceltaforse freudiana, magari dovuta alla sem-plice evocazione data della testata del quo-tidiano rispetto a quella che auspichereb-be essere oggi la sua condizione (di uomolibero, appunto). Nei tempi, perché neglistessi giorni Angelo Izzo riusciva a com-piere l’incredibile, 30 anni dopo l’orroredel Circeo, rendendo così improbabileogni afflato di clemenza verso il mondo deidetenuti – almeno nell’immediato – daparte della stragrande maggioranza dell’o-pinione pubblica. Ci ha guadagnato subi-to, comunque, la solidarietà del prefetto diRoma Achille Serra (che da segugio sullesue tracce in tempi ormai remoti si è tra-sformato adesso in suo sponsor, forte di unintreccio epistolare ormai pluriennale) etre ore in compagnia della vecchia madremalata, proprio nella vecchia casa di viaPorpora che lo ha visto bambino, chémamma Marie non ce la fa più ad andarefino a Voghera (ultimo “domicilio” cono-sciuto del figlio) a trovarlo.

    Già questo – da interpretare sicuramen-te come un atto di disponibilità da partedello Stato – è evento inimmaginabile so-lo fino a qualche anno fa, quando Vallan-zasca si trovava in uno qualsiasi dei tantibuchi profondi di una delle tante prigioniche lo hanno avuto ospite per niente gra-dito da parte di direttore di turno, secon-

    92 L’EUROPEO

    Più di 35 anni in carcere su 55 di vita: rari ergastolani nehanno trascorsi tanti dentro. E così pochi da uomini liberi

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  • A destra il “bel René”, nel giorno del matrimonio, assieme all’ex rivale, il gangster milanese Francis Turatello, che gli fece da testimone di nozze.

    limone, e la diagnosi è facile: l’epatite sem-bra devastarlo. Così viene ricoverato e cu-rato al Bassini di Milano, e una sera d’esta-te ne esce tranquillamente, in pigiama econ l’aiuto di un secondino, dal portoneprincipale, dove due complici lo aspettanoin auto. E se ne va, per la prima volta.

    UNA RAPINA OGNI TRE GIORNIAttenzione, è il 25 luglio 1976, la data è

    importante. Perché da questo momentofino al suo prossimo arresto – meno di set-te mesi dopo – si concentra il suo destinocriminale, con tutto il carico di tragicheconseguenze per sé, ma soprattutto per glialtri. Sono i 200 giorni più intensi e incre-dibili che si possono immaginare. Rimes-sa insieme la banda, Renato concentra inquella manciata di tempo rapine (nonmeno di settanta, in media una ogni tregiorni), sequestri di persona (almenoquattro), investimenti immobiliari con iproventi dei colpi, controllo e gestione dibische clandestine, lotta fra bande…

    Insomma, violenze di ogni tipo. Eomicidi. Di parecchi reati che gli verran-no affibbiati si proclamerà sempre inno-cente, su altri glissa le possibili responsa-bilità, su altri ancora adombra la sua par-tecipazione senza mai fornire spiegazioniche possano farvi luce. Nessun dubbiosulla sua regìa rispetto al rapimento diEmanuela Trapani, così come lui stessoalimenterà le voci – senza mai calcare lamano: con le donne è sempre stato un si-gnore, va riconosciuto – di una love storycon la sequestrata, presi in un turbinio dasindrome di Stoccolma che fa perdere aentrambi quasi la testa e – in barba a ognilogica di sicurezza – addirittura porta alla“riconsegna a domicilio” della bella Ema-nuela, comunque dopo il pagamento dirobusto riscatto. Gli viene contestato an-che il sequestro di Pino Balconi, del qua-le Renato dirà invece (e la vittima di fattolo confermerà), di avere in realtà salvato lavita al malcapitato, vittima di un’altra ban-da. Mistero, invece, su altri sequestri-lam-po portati a termine senza nessun coin-

    Bari e Lecce arrivano anche le prime gran-dinate di bastonate da parte dei secondinicome conseguenza del suo essere strafot-tente, tanto che spesso è difficile rimetter-lo in piedi per renderlo presentabile in oc-casione di processi e interrogatori. In gale-ra diventa padre di Maxim (avuto da Con-suelo) e un giorno, a Milano, glielo porta-no in visita; nella carrozzina, sotto il mate-rassino, qualcuno ha nascosto due pistole.Lui, inorridito, rifiuta di coinvolgereil bambino nell’ipotesi di fuga, tantoci sta già pensando attivamente da solo. Ilpiano è ingegnoso e terribile insieme. De-cide di farsi venire l’epatite, e si inietta ilsangue di compagni di cella già colpiti daquella malattia; a “sostegno” dell’infezionesi nutre di uova lasciate a macerare al solee del tutto marcite. Diventa giallo come un

    tutto) e bagagli, alla Comasina arriva conla maggiore età. La zona è periferica, ab-bastanza squallida per far sì che possa farcrescere in fretta un alone da leggenda sulpersonaggio, e anche fertile per trovarecompagni e complici di scorribanda. Fraimmaginabili messe a punto e prove gene-rali del gran colpo, la banda – solo alcu-ni nomi, i più conosciuti: Claudio Gatti,Vito Pesce, Massimo Loi, Rossano Co-chis – si prepara alla prima vera prova delfuoco. La svolta, nella carriera criminale diVallanzasca, arriva proprio un 14 febbraio,quello del 1972. Semplice immaginare chei giornali definiscano la “rapina di San Va-lentino” quella compiuta all’Esselunga divia Monte Rosa, a Milano.

    Fa freddo, e quella che poi verrà descrit-to dai giornali come un colpo magistrale èinvece frutto di un campionario di erroriclamorosi, perché quello che doveva esse-re l’ultimo prelievo dei portavalori è inveceuno dei primi: il “giro” per la raccolta deldenaro viene effettuato al contrario, ren-dendo così vani dieci giorni di accurati appostamenti e attenzioni cronologichemesse a punto da Renato e quattro com-plici. Il bottino, dopo una sparatoria tre-menda con la polizia subito accorsa, è mol-to inferiore al previsto. In più, la macchinarubata per la fuga è inutilizzabile perchél’autista della banda ha perso le chiavi! Ibanditi scappano in ordine sparso, Renatoè anche costretto a nascondere parte deldenaro nel locale immondizia di uno sta-bile vicino. Quando tornerà per prendere isoldi in compagnia di Consuelo (la suadonna), il portinaio li avrà già trovati e no-terà – riferendolo poi alla polizia – anchequel ragazzotto che gira intorno ai bidoniinsieme con una donna bellissima con vi-stosi stivaloni bianchi e pelliccia.

    LA PISTOLA SOTTO IL PUPOIl suo arresto sarà solo questione di

    giorni. Stavolta in carcere ci starà quattroanni, e non solo a San Vittore. Dopo pocotempo, per una protesta dei detenuti, co-mincia una girandola di trasferimenti, e a

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    Il bel René amato dalle donne ha avuto i suoiemuli. Felice Maniero, capo della mafia delBrenta detto “faccia d’angelo”, è celebre perle rapine miliardarie, ma anche per la fugad’amore dal carcere nel 1994. Clamoroso,nel 1975, il caso di Stefania Chiusoli, che siinnamorò di Virgilio Floris, un ergastolanoassistito dal marito avvocato. Il personaggiodel gangster rubacuori ha avuto successoanche al cinema con attori come AlainDelon, Jean-Paul Belmondo, Frank Sinatra,George Clooney. Il primo è stato un killerinnamorato nel film Frank Costello facciad’angelo (1967, di Jean-Pierre Melville).Belmondo ha fatto la parte del gangsterconquistatore in Fino all’ultimo respiro(1960, di Jean-Luc Godard). Di Frank Sinatraricordiamo la commedia parodistica I quattrodi Chicago (1964, di Gordon Douglas).Al film Colpo grosso con lo stesso Sinatra si èispirato Ocean’s Eleven (2001, di StevenSoderbergh), storia di un ladro “idealista” conGeorge Clooney, già protagonista in Out ofSight (1998, di Steven Soderbergh) dell’amoredi un malvivente con una donna-sceriffo.

    CASANOVA CON LA PISTOLA

    QUELLA FACCIA D’ANGELO

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  • A destra il “bel René”, nel giorno del matrimonio, assieme all’ex rivale, il gangster milanese Francis Turatello, che gli fece da testimone di nozze.

    limone, e la diagnosi è facile: l’epatite sem-bra devastarlo. Così viene ricoverato e cu-rato al Bassini di Milano, e una sera d’esta-te ne esce tranquillamente, in pigiama econ l’aiuto di un secondino, dal portoneprincipale, dove due complici lo aspettanoin auto. E se ne va, per la prima volta.

    UNA RAPINA OGNI TRE GIORNIAttenzione, è il 25 luglio 1976, la data è

    importante. Perché da questo momentofino al suo prossimo arresto – meno di set-te mesi dopo – si concentra il suo destinocriminale, con tutto il carico di tragicheconseguenze per sé, ma soprattutto per glialtri. Sono i 200 giorni più intensi e incre-dibili che si possono immaginare. Rimes-sa insieme la banda, Renato concentra inquella manciata di tempo rapine (nonmeno di settanta, in media una ogni tregiorni), sequestri di persona (almenoquattro), investimenti immobiliari con iproventi dei colpi, controllo e gestione dibische clandestine, lotta fra bande…

    Insomma, violenze di ogni tipo. Eomicidi. Di parecchi reati che gli verran-no affibbiati si proclamerà sempre inno-cente, su altri glissa le possibili responsa-bilità, su altri ancora adombra la sua par-tecipazione senza mai fornire spiegazioniche possano farvi luce. Nessun dubbiosulla sua regìa rispetto al rapimento diEmanuela Trapani, così come lui stessoalimenterà le voci – senza mai calcare lamano: con le donne è sempre stato un si-gnore, va riconosciuto – di una love storycon la sequestrata, presi in un turbinio dasindrome di Stoccolma che fa perdere aentrambi quasi la testa e – in barba a ognilogica di sicurezza – addirittura porta alla“riconsegna a domicilio” della bella Ema-nuela, comunque dopo il pagamento dirobusto riscatto. Gli viene contestato an-che il sequestro di Pino Balconi, del qua-le Renato dirà invece (e la vittima di fattolo confermerà), di avere in realtà salvato lavita al malcapitato, vittima di un’altra ban-da. Mistero, invece, su altri sequestri-lam-po portati a termine senza nessun coin-

    Bari e Lecce arrivano anche le prime gran-dinate di bastonate da parte dei secondinicome conseguenza del suo essere strafot-tente, tanto che spesso è difficile rimetter-lo in piedi per renderlo presentabile in oc-casione di processi e interrogatori. In gale-ra diventa padre di Maxim (avuto da Con-suelo) e un giorno, a Milano, glielo porta-no in visita; nella carrozzina, sotto il mate-rassino, qualcuno ha nascosto due pistole.Lui, inorridito, rifiuta di coinvolgereil bambino nell’ipotesi di fuga, tantoci sta già pensando attivamente da solo. Ilpiano è ingegnoso e terribile insieme. De-cide di farsi venire l’epatite, e si inietta ilsangue di compagni di cella già colpiti daquella malattia; a “sostegno” dell’infezionesi nutre di uova lasciate a macerare al solee del tutto marcite. Diventa giallo come un

    tutto) e bagagli, alla Comasina arriva conla maggiore età. La zona è periferica, ab-bastanza squallida per far sì che possa farcrescere in fretta un alone da leggenda sulpersonaggio, e anche fertile per trovarecompagni e complici di scorribanda. Fraimmaginabili messe a punto e prove gene-rali del gran colpo, la banda – solo alcu-ni nomi, i più conosciuti: Claudio Gatti,Vito Pesce, Massimo Loi, Rossano Co-chis – si prepara alla prima vera prova delfuoco. La svolta, nella carriera criminale diVallanzasca, arriva proprio un 14 febbraio,quello del 1972. Semplice immaginare chei giornali definiscano la “rapina di San Va-lentino” quella compiuta all’Esselunga divia Monte Rosa, a Milano.

    Fa freddo, e quella che poi verrà descrit-to dai giornali come un colpo magistrale èinvece frutto di un campionario di erroriclamorosi, perché quello che doveva esse-re l’ultimo prelievo dei portavalori è inveceuno dei primi: il “giro” per la raccolta deldenaro viene effettuato al contrario, ren-dendo così vani dieci giorni di accurati appostamenti e attenzioni cronologichemesse a punto da Renato e quattro com-plici. Il bottino, dopo una sparatoria tre-menda con la polizia subito accorsa, è mol-to inferiore al previsto. In più, la macchinarubata per la fuga è inutilizzabile perchél’autista della banda ha perso le chiavi! Ibanditi scappano in ordine sparso, Renatoè anche costretto a nascondere parte deldenaro nel locale immondizia di uno sta-bile vicino. Quando tornerà per prendere isoldi in compagnia di Consuelo (la suadonna), il portinaio li avrà già trovati e no-terà – riferendolo poi alla polizia – anchequel ragazzotto che gira intorno ai bidoniinsieme con una donna bellissima con vi-stosi stivaloni bianchi e pelliccia.

    LA PISTOLA SOTTO IL PUPOIl suo arresto sarà solo questione di

    giorni. Stavolta in carcere ci starà quattroanni, e non solo a San Vittore. Dopo pocotempo, per una protesta dei detenuti, co-mincia una girandola di trasferimenti, e a

    94 L’EUROPEO

    Il bel René amato dalle donne ha avuto i suoiemuli. Felice Maniero, capo della mafia delBrenta detto “faccia d’angelo”, è celebre perle rapine miliardarie, ma anche per la fugad’amore dal carcere nel 1994. Clamoroso,nel 1975, il caso di Stefania Chiusoli, che siinnamorò di Virgilio Floris, un ergastolanoassistito dal marito avvocato. Il personaggiodel gangster rubacuori ha avuto successoanche al cinema con attori come AlainDelon, Jean-Paul Belmondo, Frank Sinatra,George Clooney. Il primo è stato un killerinnamorato nel film Frank Costello facciad’angelo (1967, di Jean-Pierre Melville).Belmondo ha fatto la parte del gangsterconquistatore in Fino all’ultimo respiro(1960, di Jean-Luc Godard). Di Frank Sinatraricordiamo la commedia parodistica I quattrodi Chicago (1964, di Gordon Douglas).Al film Colpo grosso con lo stesso Sinatra si èispirato Ocean’s Eleven (2001, di StevenSoderbergh), storia di un ladro “idealista” conGeorge Clooney, già protagonista in Out ofSight (1998, di Steven Soderbergh) dell’amoredi un malvivente con una donna-sceriffo.

    CASANOVA CON LA PISTOLA

    QUELLA FACCIA D’ANGELO

    g

  • A San Vittore gli investigatori cercano di capire la dinamica della rocambolesca fuga tentata da Vallanzasca, assieme al terrorista Corrado Alunni.

    diventerò un topo”, dice a se stesso Renéprima di sgusciare fuori dal buco approfit-tando della cena, che i militi vanno a fare,tutti insieme!, al ristorante della nave. Sgu-scia fuori in un attimo, scende dalla nave,si confonde ai vacanzieri, esce dalla città esuperando a piedi il passo del Turchino ar-riva a Voghera; poi in treno a Milano, perandare nell’unico posto dove nessunopensa di cercarlo: la casa di via Porpora.

    DOPO LA FUGA, DOLCE VITAPadre e madre lo accolgono increduli e

    felici. Sarà il suo canto del cigno, ma saràanche un bel finale. Anzitutto, “canta” pro-prio: il giorno dopo, dalle onde di RadioPopolare racconta per filo e per segno l’e-vasione, la storia del gatto e del topo, e deicaramba sprovveduti. Sembra che telefonidall’esterno a Umberto Gay – giornalistadell’emittente e suo amico, che lo avevaseguito in molti processi – invece è pro-

    prio negli studi della radio, in un’altrastanza, dove, in un momento di distrazio-ne, ruberà la patente a un altro redattore,Fabio Poletti. Con quella in tasca, con unamacchina e con soldi procurati chissà co-me, la mattina successiva prenderà la tan-genziale e, dopo aver ascoltato tutta la re-gistrazione della sua intervista, si ritroveràal bivio per l’autostrada in direzione Vene-zia. Non ha una mèta precisa, passare daDalmine può non essere benaugurante,ma in Veneto ha tante “sbarbine” cono-sciute epistolarmente che forse lo aspetta-no. Ha anche un incidente, ma quandomostra la patente per affittare un’altra au-to, al “signor Poletti” che si presenta comegiornalista, perché non dare credito?Quelli che seguono sono 20 giorni di va-canza (in fondo, le classiche ferie dei tra-vet) fra champagne, mangiate di pesce econquiste femminili: è bello, ancora gio-vane, affascinante e con una carica eroti-

    tostrada è forte anche per un duro comelui. E sarà sempre un milite dell’Arma aproteggerlo, in un’altra tentata evasioneche ha fatto storia, qualche anno dopo, il28 aprile dell’80. Ci prova da San Vittore,insieme a brigatisti (come Corrado Alun-ni), neofascisti (Pierluigi Concutelli) edetenuti comuni. Riesce a uscire dal por-tone principale, ma un proiettile sparatodagli agenti appostati sulle garitte lo colpi-sce di rimbalzo e lo ferisce gravemente allatesta: proprio un carabiniere spiana ilmitra davanti ai poliziotti che vo-gliono finirlo sul posto, e lo salva.

    Il conto totale delle pene che gli verran-no inflitte, alla fine di questo periodo follee criminale, è pesantissimo: quattro erga-stoli e 260 anni di carcere, e la dicitura pre-vista a suggello del suo fascicolo carcera-rio (“Fine pena: mai”) ha il sapore defini-tivo della pietra tombale. In più, la suaconclamata pericolosità lo fa finire nel cir-

    cuito degli istituti di massima sicurezzache il generale Dalla Chiesa ha messo apunto per costringere al massimo isola-mento una lista di detenuti, soprattuttoterroristi, in un momento di scontro parti-colarmente acuto come quello in atto nelPaese in quegli anni di piombo.

    Renato, in quel “giro”, entra subito di di-ritto. Novara, Cuneo, Trani, Ascoli Piceno,Nuoro sono tutti posti che “visita”, senzaeccezione. E proprio per un trasferimentoda Cuneo a Nuoro si crea l’occasione perle sue ultime imprese da “uomo libero”. Èil 18 luglio 1987, e cinque carabinieri fre-schi di traduzioni lo accompagnano nelviaggio. Arrivati a Genova, il furgone peni-tenziario si infila nel traghetto Flaminia,poi si sale alle cabine. La scena dev’esseresurreale anche per lui, quando i militaridecidono di tenersi quella più grande la-sciando a lui quella con l’oblò, ché «tantoda qui non passa neanche un gatto». “E io

    volgimento delle forze dell’ordine: qui al-meno uno dei rapiti ha anche avuto mododi “divertirsi” nell’attesa del rilascio, insie-me a gentili signorine messe a disposizio-ne dall’organizzazione. C’è tempo ancheper una guerra con Francis Turatello, permiracolo non finita in un mare di sangue,e suggellata invece con una pace in carce-re, anni dopo, con Francis che addiritturaconsiglia il matrimonio a Renato, e saràanche testimone delle sue nozze in carce-re con Giuliana Brusa, nell’estate del ’79.

    GLI OMICIDIPoi, le rapine. Quella ad Andria, dove gli

    viene attribuito un assassinio (lui lo nega,e probabilmente è opera di Massimo Loi,che poi verrà ucciso in carcere a Novara,dove nello stesso periodo è rinchiuso Re-nato: omicidio del quale si assume la re-sponsabilità), così come gliene viene attri-buito uno commesso il giorno prima aMontecatini, vittima il poliziotto BrunoLucchesi: Vallanzasca se ne dichiareràsempre innocente, affermando che a spa-rare sia stato un complice (non ne riveleràmai il nome) che si stava recando in Pugliaa portargli un documento contraffatto conla sua foto, lo stesso lasciato nelle manidell’agente caduto durante il controllo.Anche rapine abbandonate alla sola fase distudio, come quella all’Esattoria civica dipiazza Vetra a Milano: scoperta nella fasedel sopralluogo, la banda scatena una spa-ratoria che costa la vita all’agente Giovan-ni Ripani e a uno dei malviventi, VitoCarluccio. Per finire con lo scontro a fuo-co al casello di Dalmine, dove nel tentati-vo di fuga a un posto di blocco restano persempre sull’asfalto due poliziotti dellastradale, Luigi D’Andrea e Renato Bar-borini. Quando, dopo quest’ultima im-presa, braccato, colpito seriamente a ungluteo (ferita malcurata forse apposta, chesi trascinerà per anni) e con la terra bru-ciata intorno, verrà arrestato a Roma, il 15febbraio ’77, vorrà assicurarsi che a pren-derlo siano i carabinieri: la paura di esseregiustiziato dai colleghi degli uccisi sull’au-

    96 L’EUROPEO

    La beffa dell’evasione prese risvolti inediti con il raccontodello stesso René dai microfoni di Radio Popolare, a Milano

    Il “bel René” alla sbarra con i complici nel processo per la fallita evasione del 1980. Solo sei dei 16 fuggiaschi riuscirono a darsi alla macchia.

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  • A San Vittore gli investigatori cercano di capire la dinamica della rocambolesca fuga tentata da Vallanzasca, assieme al terrorista Corrado Alunni.

    diventerò un topo”, dice a se stesso Renéprima di sgusciare fuori dal buco approfit-tando della cena, che i militi vanno a fare,tutti insieme!, al ristorante della nave. Sgu-scia fuori in un attimo, scende dalla nave,si confonde ai vacanzieri, esce dalla città esuperando a piedi il passo del Turchino ar-riva a Voghera; poi in treno a Milano, perandare nell’unico posto dove nessunopensa di cercarlo: la casa di via Porpora.

    DOPO LA FUGA, DOLCE VITAPadre e madre lo accolgono increduli e

    felici. Sarà il suo canto del cigno, ma saràanche un bel finale. Anzitutto, “canta” pro-prio: il giorno dopo, dalle onde di RadioPopolare racconta per filo e per segno l’e-vasione, la storia del gatto e del topo, e deicaramba sprovveduti. Sembra che telefonidall’esterno a Umberto Gay – giornalistadell’emittente e suo amico, che lo avevaseguito in molti processi – invece è pro-

    prio negli studi della radio, in un’altrastanza, dove, in un momento di distrazio-ne, ruberà la patente a un altro redattore,Fabio Poletti. Con quella in tasca, con unamacchina e con soldi procurati chissà co-me, la mattina successiva prenderà la tan-genziale e, dopo aver ascoltato tutta la re-gistrazione della sua intervista, si ritroveràal bivio per l’autostrada in direzione Vene-zia. Non ha una mèta precisa, passare daDalmine può non essere benaugurante,ma in Veneto ha tante “sbarbine” cono-sciute epistolarmente che forse lo aspetta-no. Ha anche un incidente, ma quandomostra la patente per affittare un’altra au-to, al “signor Poletti” che si presenta comegiornalista, perché non dare credito?Quelli che seguono sono 20 giorni di va-canza (in fondo, le classiche ferie dei tra-vet) fra champagne, mangiate di pesce econquiste femminili: è bello, ancora gio-vane, affascinante e con una carica eroti-

    tostrada è forte anche per un duro comelui. E sarà sempre un milite dell’Arma aproteggerlo, in un’altra tentata evasioneche ha fatto storia, qualche anno dopo, il28 aprile dell’80. Ci prova da San Vittore,insieme a brigatisti (come Corrado Alun-ni), neofascisti (Pierluigi Concutelli) edetenuti comuni. Riesce a uscire dal por-tone principale, ma un proiettile sparatodagli agenti appostati sulle garitte lo colpi-sce di rimbalzo e lo ferisce gravemente allatesta: proprio un carabiniere spiana ilmitra davanti ai poliziotti che vo-gliono finirlo sul posto, e lo salva.

    Il conto totale delle pene che gli verran-no inflitte, alla fine di questo periodo follee criminale, è pesantissimo: quattro erga-stoli e 260 anni di carcere, e la dicitura pre-vista a suggello del suo fascicolo carcera-rio (“Fine pena: mai”) ha il sapore defini-tivo della pietra tombale. In più, la suaconclamata pericolosità lo fa finire nel cir-

    cuito degli istituti di massima sicurezzache il generale Dalla Chiesa ha messo apunto per costringere al massimo isola-mento una lista di detenuti, soprattuttoterroristi, in un momento di scontro parti-colarmente acuto come quello in atto nelPaese in quegli anni di piombo.

    Renato, in quel “giro”, entra subito di di-ritto. Novara, Cuneo, Trani, Ascoli Piceno,Nuoro sono tutti posti che “visita”, senzaeccezione. E proprio per un trasferimentoda Cuneo a Nuoro si crea l’occasione perle sue ultime imprese da “uomo libero”. Èil 18 luglio 1987, e cinque carabinieri fre-schi di traduzioni lo accompagnano nelviaggio. Arrivati a Genova, il furgone peni-tenziario si infila nel traghetto Flaminia,poi si sale alle cabine. La scena dev’esseresurreale anche per lui, quando i militaridecidono di tenersi quella più grande la-sciando a lui quella con l’oblò, ché «tantoda qui non passa neanche un gatto». “E io

    volgimento delle forze dell’ordine: qui al-meno uno dei rapiti ha anche avuto mododi “divertirsi” nell’attesa del rilascio, insie-me a gentili signorine messe a disposizio-ne dall’organizzazione. C’è tempo ancheper una guerra con Francis Turatello, permiracolo non finita in un mare di sangue,e suggellata invece con una pace in carce-re, anni dopo, con Francis che addiritturaconsiglia il matrimonio a Renato, e saràanche testimone delle sue nozze in carce-re con Giuliana Brusa, nell’estate del ’79.

    GLI OMICIDIPoi, le rapine. Quella ad Andria, dove gli

    viene attribuito un assassinio (lui lo nega,e probabilmente è opera di Massimo Loi,che poi verrà ucciso in carcere a Novara,dove nello stesso periodo è rinchiuso Re-nato: omicidio del quale si assume la re-sponsabilità), così come gliene viene attri-buito uno commesso il giorno prima aMontecatini, vittima il poliziotto BrunoLucchesi: Vallanzasca se ne dichiareràsempre innocente, affermando che a spa-rare sia stato un complice (non ne riveleràmai il nome) che si stava recando in Pugliaa portargli un documento contraffatto conla sua foto, lo stesso lasciato nelle manidell’agente caduto durante il controllo.Anche rapine abbandonate alla sola fase distudio, come quella all’Esattoria civica dipiazza Vetra a Milano: scoperta nella fasedel sopralluogo, la banda scatena una spa-ratoria che costa la vita all’agente Giovan-ni Ripani e a uno dei malviventi, VitoCarluccio. Per finire con lo scontro a fuo-co al casello di Dalmine, dove nel tentati-vo di fuga a un posto di blocco restano persempre sull’asfalto due poliziotti dellastradale, Luigi D’Andrea e Renato Bar-borini. Quando, dopo quest’ultima im-presa, braccato, colpito seriamente a ungluteo (ferita malcurata forse apposta, chesi trascinerà per anni) e con la terra bru-ciata intorno, verrà arrestato a Roma, il 15febbraio ’77, vorrà assicurarsi che a pren-derlo siano i carabinieri: la paura di esseregiustiziato dai colleghi degli uccisi sull’au-

    96 L’EUROPEO

    La beffa dell’evasione prese risvolti inediti con il raccontodello stesso René dai microfoni di Radio Popolare, a Milano

    Il “bel René” alla sbarra con i complici nel processo per la fallita evasione del 1980. Solo sei dei 16 fuggiaschi riuscirono a darsi alla macchia.

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  • Nel 1977, in un posto di blocco a Dalmine (Bg) ci fu una sparatoria: morirono due agenti e Antonio Furiato (sopra). Vallanzasca rimase ferito.

    glie deve stargli vicino. Restano le due fi-glie: Roberta è poco più di una bambina,meglio l’adolescente Emanuela.

    Il sequestro avviene la mattina presto,nella zona di San Siro, all’uscita di casa perandare a scuola. Appena fuori dal cancel-lo la macchina con autista viene fermata,la Trapani trascinata fuori e narcotizzata.Quando si risveglierà sarà nel primo rifu-gio, in via Alessi, dalle parti della darsena.Fatica un po’ a capire che non si tratta diuna ragazzata, e quando riconosce il ban-dito scoppia in singhiozzi. All’inizio civuole pazienza e tanto valium per calmar-la, ma pian piano si adatterà alla situazio-ne. Nel libro, Vallanzasca spiega: “Con ilpassare dei giorni, che quello di Emanue-la fosse un sequestro anomalo diventòsempre più evidente oltre che a me ancheai miei soci. Spesso evitavo persino diuscire, e solo per il desiderio di stare conlei. Emanuela era bellissima, intelligente,

    spiritosa, e con quella timidezza tipica del-le ragazzine della sua età, sensuale e fem-mina come poche. Insomma, con lei sta-vo bene”. Per Manù, che la sera della vigi-lia di Natale è triste, vorrà comprare un al-bero di Natale ma, non trovandolo, “ne an-dammo a rubare uno stupendo che avevovisto nell’androne di uno stabile non lon-tano. E se penso che alle nove di una seradel dicembre ’76 avrebbero potuto arre-starci per il furto di un albero di Natale, miviene da ridere… O da piangere”. L’abetefarà bella mostra nel salotto di casa, unacasa – come ha detto recentementeEdoardo Raspelli, che a quel tempo eraun cronista di nera – allestita per quel ra-pimento “in squillante bianco veneziano”.Quel Natale trascorrerà nella visione (egrazie a una delle prime televisioni a colo-ri dell’epoca) del film dei Beatles YellowSubmarine, in questa cornice: “Noi due,seduti su puff e moquette. Gli altri alle no-

    per quell’epoca. Vallanzasca, dopo la“botta” di piazza Vetra, aveva deciso im-mediatamente di puntare sui sequestri,imponendo però una sorta di “codicedeontologico” ai suoi complici: i rapitiavrebbero dovuto essere trattati bene, luisi sarebbe presentato loro a viso scopertocon tanto di declinazione di nome e co-gnome, in nessun modo la prigioniaavrebbe dovuto essere anche una tortura,e se la faccenda si risolveva senza l’intro-missione della polizia sarebbe stato per-fetto: rapporto diretto con la famiglia, pa-gamenti lampo, e prima si finisce meglio èper tutti. L’incredibile è che in tutta questastoria c’entra il calcio.

    NEL SUPERATTICO IN ZONA FIERARenato – anche adesso, fortissi-

    mamente – è milanista; Nino Trapa-ni, padre di Emanuela, dichiara ai giorna-li dell’epoca di voler acquistare l’Inter per

    farne di nuovo uno squadrone dopo i fastiormai passati di Herrera. Tanto basta perspostare l’attenzione su di lui, escludendodi conseguenza dalla lista Angelo Colom-bo, invece vicepresidente della sua squa-dra del cuore. Ma tralasciando anche altriimprenditori, compreso un giovane Ber-lusconi che comincia a farsi conoscerenell’ambiente. Per avere le informazionigiuste, Renato ha un’idea geniale: si pre-senta – con tanto di auto blu d’ordinanzae tesserino taroccato –come capitano del-la Finanza a un impiegato del Fisco fru-strato dal lavoro, gli dice di essere in inco-gnito (quindi di non rivelare nulla ai colle-ghi) e di avere il compito di acquisire infor-mazioni su possibili evasori sui quali in-dagare. La lista che riceve è lunghissima, el’immobiliarista Nino Trapani è quasi incima all’elenco. L’imprenditore viene scar-tato come possibile vittima: lui deve trova-re i soldi e chiudere la trattativa, e la mo-

    ca repressa da anni da smaltire, e Grado inestate è tutto un programma. Il signor Po-letti è rispettato, paga in contanti e si sa farvoler bene da tutti. Meno che dal marito diuna sua vecchia fiamma “di penna”, checapisce chi vuole andare a trovare la mo-glie dopo una telefonata concitata conun’amica. Scatta l’allarme, e quando loprendono stentano a credere che sia lui.

    La sua vecchia ferita al gluteo serve dadefinitivo identikit. Lo “blindano” di nuo-vo e da allora, a tutt’oggi, la libertà sarà so-lo una chimera.

    CARCERIERE O PRIGIONIERO?Un capitolo a parte, nella storia di Val-

    lanzasca, merita la vicenda che lo vedeprotagonista del sequestro Trapani. Anzi,qui i protagonisti sono due: oltre a lui, pro-prio la vittima, Emanuela. Congetturesu quella che può anche essere sta-ta una vera e propria storia d’amorese ne sono fatte tante. Renato stesso,in occasione del suo arresto a Roma, dalbalconcino della caserma dei carabinieriin cui ha potuto fare una delle sue ultimepasserelle pubbliche, alle domande mira-te dei cronisti, risponderà: «Sono tutte bal-le di voi giornalisti». Ma il sorriso beffardostampato in volto per l’occasione testimo-nia chiaramente del contrario. A ognibuon conto, nessuna fonte può essere piùattendibile di lui stesso, e conviene quindirifarsi proprio alle sue parole, tratte dal li-bro – bellissimo – scritto a quattro conCarlo Bonini, Il fiore del male, uscito nel’99. Mai Vallanzasca accennerà a qualcosadi veramente intimo con Emanuela, ma ilrapporto che si crea nell’occasione fra car-ceriere e prigioniera – e riportato quasicon tenerezza dal primo – lascia ben tra-pelare la reale situazione che si creò a par-tire dal 13 dicembre ’76 fino al 22 gennaio’77: 40 giorni insieme, uno dopo l’altrosempre più estranei al mondo di fuori, fi-no all’addio. Che non dev’essere statosemplice per entrambi, anche se per Re-nato reso meno duro dal pagamento di unmiliardo di lire, una somma stratosferica

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    «Emanuela era bellissima, intelligente, spiritosa.Insomma con lei stavo bene», ha raccontato Vallanzasca

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  • Nel 1977, in un posto di blocco a Dalmine (Bg) ci fu una sparatoria: morirono due agenti e Antonio Furiato (sopra). Vallanzasca rimase ferito.

    glie deve stargli vicino. Restano le due fi-glie: Roberta è poco più di una bambina,meglio l’adolescente Emanuela.

    Il sequestro avviene la mattina presto,nella zona di San Siro, all’uscita di casa perandare a scuola. Appena fuori dal cancel-lo la macchina con autista viene fermata,la Trapani trascinata fuori e narcotizzata.Quando si risveglierà sarà nel primo rifu-gio, in via Alessi, dalle parti della darsena.Fatica un po’ a capire che non si tratta diuna ragazzata, e quando riconosce il ban-dito scoppia in singhiozzi. All’inizio civuole pazienza e tanto valium per calmar-la, ma pian piano si adatterà alla situazio-ne. Nel libro, Vallanzasca spiega: “Con ilpassare dei giorni, che quello di Emanue-la fosse un sequestro anomalo diventòsempre più evidente oltre che a me ancheai miei soci. Spesso evitavo persino diuscire, e solo per il desiderio di stare conlei. Emanuela era bellissima, intelligente,

    spiritosa, e con quella timidezza tipica del-le ragazzine della sua età, sensuale e fem-mina come poche. Insomma, con lei sta-vo bene”. Per Manù, che la sera della vigi-lia di Natale è triste, vorrà comprare un al-bero di Natale ma, non trovandolo, “ne an-dammo a rubare uno stupendo che avevovisto nell’androne di uno stabile non lon-tano. E se penso che alle nove di una seradel dicembre ’76 avrebbero potuto arre-starci per il furto di un albero di Natale, miviene da ridere… O da piangere”. L’abetefarà bella mostra nel salotto di casa, unacasa – come ha detto recentementeEdoardo Raspelli, che a quel tempo eraun cronista di nera – allestita per quel ra-pimento “in squillante bianco veneziano”.Quel Natale trascorrerà nella visione (egrazie a una delle prime televisioni a colo-ri dell’epoca) del film dei Beatles YellowSubmarine, in questa cornice: “Noi due,seduti su puff e moquette. Gli altri alle no-

    per quell’epoca. Vallanzasca, dopo la“botta” di piazza Vetra, aveva deciso im-mediatamente di puntare sui sequestri,imponendo però una sorta di “codicedeontologico” ai suoi complici: i rapitiavrebbero dovuto essere trattati bene, luisi sarebbe presentato loro a viso scopertocon tanto di declinazione di nome e co-gnome, in nessun modo la prigioniaavrebbe dovuto essere anche una tortura,e se la faccenda si risolveva senza l’intro-missione della polizia sarebbe stato per-fetto: rapporto diretto con la famiglia, pa-gamenti lampo, e prima si finisce meglio èper tutti. L’incredibile è che in tutta questastoria c’entra il calcio.

    NEL SUPERATTICO IN ZONA FIERARenato – anche adesso, fortissi-

    mamente – è milanista; Nino Trapa-ni, padre di Emanuela, dichiara ai giorna-li dell’epoca di voler acquistare l’Inter per

    farne di nuovo uno squadrone dopo i fastiormai passati di Herrera. Tanto basta perspostare l’attenzione su di lui, escludendodi conseguenza dalla lista Angelo Colom-bo, invece vicepresidente della sua squa-dra del cuore. Ma tralasciando anche altriimprenditori, compreso un giovane Ber-lusconi che comincia a farsi conoscerenell’ambiente. Per avere le informazionigiuste, Renato ha un’idea geniale: si pre-senta – con tanto di auto blu d’ordinanzae tesserino taroccato –come capitano del-la Finanza a un impiegato del Fisco fru-strato dal lavoro, gli dice di essere in inco-gnito (quindi di non rivelare nulla ai colle-ghi) e di avere il compito di acquisire infor-mazioni su possibili evasori sui quali in-dagare. La lista che riceve è lunghissima, el’immobiliarista Nino Trapani è quasi incima all’elenco. L’imprenditore viene scar-tato come possibile vittima: lui deve trova-re i soldi e chiudere la trattativa, e la mo-

    ca repressa da anni da smaltire, e Grado inestate è tutto un programma. Il signor Po-letti è rispettato, paga in contanti e si sa farvoler bene da tutti. Meno che dal marito diuna sua vecchia fiamma “di penna”, checapisce chi vuole andare a trovare la mo-glie dopo una telefonata concitata conun’amica. Scatta l’allarme, e quando loprendono stentano a credere che sia lui.

    La sua vecchia ferita al gluteo serve dadefinitivo identikit. Lo “blindano” di nuo-vo e da allora, a tutt’oggi, la libertà sarà so-lo una chimera.

    CARCERIERE O PRIGIONIERO?Un capitolo a parte, nella storia di Val-

    lanzasca, merita la vicenda che lo vedeprotagonista del sequestro Trapani. Anzi,qui i protagonisti sono due: oltre a lui, pro-prio la vittima, Emanuela. Congetturesu quella che può anche essere sta-ta una vera e propria storia d’amorese ne sono fatte tante. Renato stesso,in occasione del suo arresto a Roma, dalbalconcino della caserma dei carabinieriin cui ha potuto fare una delle sue ultimepasserelle pubbliche, alle domande mira-te dei cronisti, risponderà: «Sono tutte bal-le di voi giornalisti». Ma il sorriso beffardostampato in volto per l’occasione testimo-nia chiaramente del contrario. A ognibuon conto, nessuna fonte può essere piùattendibile di lui stesso, e conviene quindirifarsi proprio alle sue parole, tratte dal li-bro – bellissimo – scritto a quattro conCarlo Bonini, Il fiore del male, uscito nel’99. Mai Vallanzasca accennerà a qualcosadi veramente intimo con Emanuela, ma ilrapporto che si crea nell’occasione fra car-ceriere e prigioniera – e riportato quasicon tenerezza dal primo – lascia ben tra-pelare la reale situazione che si creò a par-tire dal 13 dicembre ’76 fino al 22 gennaio’77: 40 giorni insieme, uno dopo l’altrosempre più estranei al mondo di fuori, fi-no all’addio. Che non dev’essere statosemplice per entrambi, anche se per Re-nato reso meno duro dal pagamento di unmiliardo di lire, una somma stratosferica

    98 L’EUROPEO

    «Emanuela era bellissima, intelligente, spiritosa.Insomma con lei stavo bene», ha raccontato Vallanzasca

    g

  • nemmeno più. La mancanza di una fami-glia e di un figlio sono il vero dolore di Re-nato Vallanzasca, espresso in più occasioni.

    Donne, da libero (quindi realmente) eda detenuto (solo virtualmente, per usareun termine in voga oggi), ne ha avute tan-te. Ma in fondo la sua storia ne sottolineala mancanza. Anche se a ogni trasferi-mento da un carcere all’altro il suo baga-glio consiste soprattutto in scatoloni a rac-colta di tutte le lettere accumulate dalleammiratrici in sette lustri di fitta corri-spondenza, a Renato manca una famiglia,manca di poter crescere un figlio, mancaforse la prospettiva di un avvenire non piùblindato fra quattro mura vissuto in com-pagnia di qualcuno da amare.

    Anche se il termine “arrendersi” non louserà mai, sono almeno dieci anni che Re-nato lo ha fatto, in maniera tanto silentequanto evidente. Non ha più manifestatointenzioni di fuga, lavora regolarmente in

    carcere, l’unica sua battaglia concla-mata è quella contro le sigarette: haintenzione di smettere, forse ce la farà, an-che se passare da 120 “bionde” a zero è du-ra per uno che ha fumato tutta la vita.

    Proprio alla fine del libro scritto con Bo-nini, il bel René si chiede se la celeberrimascritta Viva Vallanzasca comparsa 30 annifa su un muro della Comasina sia ancora alsuo posto. Sono andato a controllare: nonc’è più, e nemmeno esiste la memoria esat-ta di dove fosse mai stata tracciata. I ragaz-zini del quartiere, se glielo si domanda,non sanno quasi chi sia Renato Vallanza-sca. Rispetto ad allora la Comasina hacambiato volto, integrandosi e allungan-dosi verso Milano, cessando di esserne sol-tanto una brutta e pericolosa appendice.Quasi una tabula rasa sul passato: un buonmodo per guardare al futuro, se il destinogli farà mai il regalo di poterne vivere an-cora un pezzo da uomo libero davvero.

    rispetto all’evoluzione di una persona, e ineffetti quelle di Renato rivelano più di qual-cosa. Lui nasce come frutto dell’amore fraMarie e Osvaldo, anche se Osvaldo ha giàun’altra famiglia “regolare”: è sposato conRosa e ha altri due figli, Ennio e Giorgio.Nonostante siano gli anni dell’immediatodopoguerra, i protagonisti di questa stranafamiglia “allargata” sembrano accettare i lo-ro ruoli, tanto che nei momenti di difficoltà“zia Rosa” si occupa di Renato e dell’altrofratello nato da quell’unione, Roberto, percrescerli e tenerli per lungo tempo a casasua, al Giambellino. Di quei personaggi, og-gi, resta poco. Oltre a chi se ne è andato na-turalmente – come il padre Osvaldo – c’èanche la tragedia del fratellastro suicida, En-nio: a scoprire il corpo sarà proprio Renato,alla Darsena del Naviglio, e sarà un episodioche lo segnerà moltissimo. Fra gli altri fratellic’è anche chi ha deciso di rompere definiti-vamente i ponti, come del resto ha fatto il fi-

    glio, Maxim. Vallanzasca lo ha visto l’ulti-ma volta, a una fermata di taxi in viale Cor-sica, a Milano, un giorno d’estate di quelterribile ’76, giusto in tempo per dire aConsuelo di andarsene prima che scop-piasse uno dei tanti conflitti a fuoco in-gaggiati con chi lo stava braccando. Ladonna se ne è andata quella volta,ma è stato per sempre: si è rifattauna vita, con suo figlio e con un al-tro compagno.

    E Maxim – che oggi ha 31 anni – ha fat-to sapere da tempo al papà naturale di nonvoler mai più avere a che fare con lui. Co-sì come forse ha fatto Giuliana Brusa, “da-ma bianca” per anni, da quando rispose“sì” alla proposta di matrimonio, che perquell’unione smise subito di lavorare easpettò fedelmente il suo uomo libero peranni e anni. Si “lasciarono” e si “ripresero”,senza poter mai consumare alcunché di fi-sico, e adesso pare che non si scrivano

    stre spalle, accomodati su divani e poltro-ne. Non dovetti neppure dirle di non gira-re indietro la testa. Ci divertimmo molto”.Il trasferimento in un nuovo covo, nellazona della Fiera Campionaria, è soprattut-to dettato dalla voglia di stare insieme. Èun superattico mansardato e, a parte chi èaddetto agli approvvigionamenti, nessunopraticamente “disturberà” più i due finoalla fine dell’avventura. Emanuela ha tal-mente mano libera che una notte, addor-mentatosi Renato, esce tranquillamente dicasa, prende un taxi e tenta di tornare dal-la famiglia. La riprenderà proprio sul por-tone della villa per trascinarla di nuovo alcovo; lei gli chiederà scusa, tracciando conil rossetto la parola “Perdonami” sullospecchio del bagno… Sembra quasi unastoria d’amore fra ragazzini, ma ci sonopur sempre di mezzo i soldi. Che arrivano.E con loro l’obbligo di rispettare i patti e ri-consegnare il “pacco”, che adesso è diven-tato davvero un bagaglio ingombrante. Co-sì Renato racconta l’ultima fase: «Eravamoin auto io e lei da soli. Avrei dovuto lasciar-la nei pressi di un telefono pubblico, ma laaccompagnai fino a casa della sorellastra,in zona Sempione. La mamma la aspetta-va oltre la porta a vetri. Quando ci vide siprecipitò fuori. Scesi per aprire la portieraa Manù [...]. Feci per risalire in macchina,ma Manuela mi bloccò. Mi strinse all’im-provviso, imprigionandomi le braccia lun-go i fianchi, e mi baciò. Poi mi disse: “Nondimenticarmi. Io non ti scorderò mai”».

    FAMIGLIA, AMORI, UN FIGLIOEmanuela Trapani, per lungo tempo, la-

    scerà Milano. Se ci è tornata, e quando, lecronache hanno evitato di dirlo. Su di lei esulla sua famiglia è sceso un silenzio fer-reo, peraltro comprensibile. L’Inter, co-munque, avrebbe avuto di lì a poco un al-tro presidente: come scrive sempre Vallan-zasca, “io decisi di intervenire prima chebuttasse i soldi per quel giocattolo”. Un in-tervento dai risvolti del tutto inaspettati,forse anche per un duro come lui. Si dice che le origini possano contare molto

    100 L’EUROPEO

    Il figlio Maxim, che ha visto per l’ultima volta nel 1976, gliha fatto sapere di non voler avere a che fare con lui

    “René” assieme alla sua amata “mammetta”, durante un processo. Il bandito e l’avvocato Simona Pinna, con cui avrebbe avuto una storia.

    In alto, a destra, la guardia di Ps che rispose al fuoco della banda di Vallanzasca a Milano, nel 1976, colpendo a morte Mario Carluccio (sopra).

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  • nemmeno più. La mancanza di una fami-glia e di un figlio sono il vero dolore di Re-nato Vallanzasca, espresso in più occasioni.

    Donne, da libero (quindi realmente) eda detenuto (solo virtualmente, per usareun termine in voga oggi), ne ha avute tan-te. Ma in fondo la sua storia ne sottolineala mancanza. Anche se a ogni trasferi-mento da un carcere all’altro il suo baga-glio consiste soprattutto in scatoloni a rac-colta di tutte le lettere accumulate dalleammiratrici in sette lustri di fitta corri-spondenza, a Renato manca una famiglia,manca di poter crescere un figlio, mancaforse la prospettiva di un avvenire non piùblindato fra quattro mura vissuto in com-pagnia di qualcuno da amare.

    Anche se il termine “arrendersi” non louserà mai, sono almeno dieci anni che Re-nato lo ha fatto, in maniera tanto silentequanto evidente. Non ha più manifestatointenzioni di fuga, lavora regolarmente in

    carcere, l’unica sua battaglia concla-mata è quella contro le sigarette: haintenzione di smettere, forse ce la farà, an-che se passare da 120 “bionde” a zero è du-ra per uno che ha fumato tutta la vita.

    Proprio alla fine del libro scritto con Bo-nini, il bel René si chiede se la celeberrimascritta Viva Vallanzasca comparsa 30 annifa su un muro della Comasina sia ancora alsuo posto. Sono andato a controllare: nonc’è più, e nemmeno esiste la memoria esat-ta di dove fosse mai stata tracciata. I ragaz-zini del quartiere, se glielo si domanda,non sanno quasi chi sia Renato Vallanza-sca. Rispetto ad allora la Comasina hacambiato volto, integrandosi e allungan-dosi verso Milano, cessando di esserne sol-tanto una brutta e pericolosa appendice.Quasi una tabula rasa sul passato: un buonmodo per guardare al futuro, se il destinogli farà mai il regalo di poterne vivere an-cora un pezzo da uomo libero davvero.

    rispetto all’evoluzione di una persona, e ineffetti quelle di Renato rivelano più di qual-cosa. Lui nasce come frutto dell’amore fraMarie e Osvaldo, anche se Osvaldo ha giàun’altra famiglia “regolare”: è sposato conRosa e ha altri due figli, Ennio e Giorgio.Nonostante siano gli anni dell’immediatodopoguerra, i protagonisti di questa stranafamiglia “allargata” sembrano accettare i lo-ro ruoli, tanto che nei momenti di difficoltà“zia Rosa” si occupa di Renato e dell’altrofratello nato da quell’unione, Roberto, percrescerli e tenerli per lungo tempo a casasua, al Giambellino. Di quei personaggi, og-gi, resta poco. Oltre a chi se ne è andato na-turalmente – come il padre Osvaldo – c’èanche la tragedia del fratellastro suicida, En-nio: a scoprire il corpo sarà proprio Renato,alla Darsena del Naviglio, e sarà un episodioche lo segnerà moltissimo. Fra gli altri fratellic’è anche chi ha deciso di rompere definiti-vamente i ponti, come del resto ha fatto il fi-

    glio, Maxim. Vallanzasca lo ha visto l’ulti-ma volta, a una fermata di taxi in viale Cor-sica, a Milano, un giorno d’estate di quelterribile ’76, giusto in tempo per dire aConsuelo di andarsene prima che scop-piasse uno dei tanti conflitti a fuoco in-gaggiati con chi lo stava braccando. Ladonna se ne è andata quella volta,ma è stato per sempre: si è rifattauna vita, con suo figlio e con un al-tro compagno.

    E Maxim – che oggi ha 31 anni – ha fat-to sapere da tempo al papà naturale di nonvoler mai più avere a che fare con lui. Co-sì come forse ha fatto Giuliana Brusa, “da-ma bianca” per anni, da quando rispose“sì” alla proposta di matrimonio, che perquell’unione smise subito di lavorare easpettò fedelmente il suo uomo libero peranni e anni. Si “lasciarono” e si “ripresero”,senza poter mai consumare alcunché di fi-sico, e adesso pare che non si scrivano

    stre spalle, accomodati su divani e poltro-ne. Non dovetti neppure dirle di non gira-re indietro la testa. Ci divertimmo molto”.Il trasferimento in un nuovo covo, nellazona della Fiera Campionaria, è soprattut-to dettato dalla voglia di stare insieme. Èun superattico mansardato e, a parte chi èaddetto agli approvvigionamenti, nessunopraticamente “disturberà” più i due finoalla fine dell’avventura. Emanuela ha tal-mente mano libera che una notte, addor-mentatosi Renato, esce tranquillamente dicasa, prende un taxi e tenta di tornare dal-la famiglia. La riprenderà proprio sul por-tone della villa per trascinarla di nuovo alcovo; lei gli chiederà scusa, tracciando conil rossetto la parola “Perdonami” sullospecchio del bagno… Sembra quasi unastoria d’amore fra ragazzini, ma ci sonopur sempre di mezzo i soldi. Che arrivano.E con loro l’obbligo di rispettare i patti e ri-consegnare il “pacco”, che adesso è diven-tato davvero un bagaglio ingombrante. Co-sì Renato racconta l’ultima fase: «Eravamoin auto io e lei da soli. Avrei dovuto lasciar-la nei pressi di un telefono pubblico, ma laaccompagnai fino a casa della sorellastra,in zona Sempione. La mamma la aspetta-va oltre la porta a vetri. Quando ci vide siprecipitò fuori. Scesi per aprire la portieraa Manù [...]. Feci per risalire in macchina,ma Manuela mi bloccò. Mi strinse all’im-provviso, imprigionandomi le braccia lun-go i fianchi, e mi baciò. Poi mi disse: “Nondimenticarmi. Io non ti scorderò mai”».

    FAMIGLIA, AMORI, UN FIGLIOEmanuela Trapani, per lungo tempo, la-

    scerà Milano. Se ci è tornata, e quando, lecronache hanno evitato di dirlo. Su di lei esulla sua famiglia è sceso un silenzio fer-reo, peraltro comprensibile. L’Inter, co-munque, avrebbe avuto di lì a poco un al-tro presidente: come scrive sempre Vallan-zasca, “io decisi di intervenire prima chebuttasse i soldi per quel giocattolo”. Un in-tervento dai risvolti del tutto inaspettati,forse anche per un duro come lui. Si dice che le origini possano contare molto

    100 L’EUROPEO

    Il figlio Maxim, che ha visto per l’ultima volta nel 1976, gliha fatto sapere di non voler avere a che fare con lui

    “René” assieme alla sua amata “mammetta”, durante un processo. Il bandito e l’avvocato Simona Pinna, con cui avrebbe avuto una storia.

    In alto, a destra, la guardia di Ps che rispose al fuoco della banda di Vallanzasca a Milano, nel 1976, colpendo a morte Mario Carluccio (sopra).

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  • Vallanzasca fu processato a Novara nel 1981, per un atto di rara efferatezza: giocò a pallone con la testa di un detenuto, che aveva decapitato.

    di Tiziano MarelliL’EUROPEO 2005 N. 4

    comunicammo per tutto il tempo di quel-la sua breve latitanza. Un altro aneddotomi rimanda al suo senso di correttezza,molti anni fa legato a codici ora assoluta-mente incomprensibili. Anche se quelcontesto è discutibile, credo sia abbastan-za significativo un episodio che finora hotenuto per me.

    Nel periodo in cui Renato era latitante,a cavallo fra il ’76 e il ’77, noi comunica-vano quotidianamente. Lui era il ricerca-to numero uno, ma ci eravamo inventatiun codice con cui scambiarci le informa-zioni; avevamo stabilito una chiave cifra-ta, e lui mi chiamava per darmi i suoi nu-meri di telefono (che cambiavano conti-nuamente) usando quel codice, com-prensibile solo a noi.

    Durante il sequestro di Emanuela Tra-pani, la famiglia mi telefonò per chieder-mi se Renato avesse ricevuto il riscatto. Iolo chiamo, glielo domando, e lui rispondedi aver ricevuto la rata. Allora io sottolineoil termine “riscatto” e chiedo se mi può da-re la sua parola che avrebbe rilasciato laragazza. Renato ci pensa un po’, poi dice disì. Anni dopo mi dirà che il fatto di averdovuto rispettare la parola gli era costatodue miliardi. Ma il sequestro di EmanuelaTrapani si concluse felicemente.

    Al contrario di altri episodi…Certo, anche se Renato, spesso, ha dato

    spiegazioni diverse sulla dinamica degliepisodi che lo hanno condannato. Ma an-che questo, mi pare, fa parte del passato, etutti se ne dovrebbero rendere conto. Ameno che l’ergastolo, quello vero, in Italiavalga solo per Renato Vallanzasca e pochialtri. Io non credo debba essere così, nonfoss’altro perché quella che viene chiama-ta “possibilità di recupero” lui non avreb-be modo di esercitarla.

    E non mi pare che il nostro ordinamen-to vada in questa direzione: l’ergastolonon equivale e non deve equivalere a unacondanna a morte di fatto. Io mi aspetto emi auguro un futuro anche fuori dal car-cere, per Renato Vallanzasca.

    mentichiamo un’altra cosa: sarebbe liberoda molto tempo se solo avesse deciso diraccontare quello che sapeva, con tutte leconfidenze ricevute in carcere. Non hamai approfittato di niente di tuttoquesto, e ha pagato fino in fondo.Questo gli va senz’altro riconosciuto.

    Che cosa si aspetta Renato Vallanzascadal futuro?

    Anzitutto, di averne uno. Poi, credo cheil suo desiderio più grande sia di avere unafamiglia e un figlio. È stato troppo grandeil dolore per il distacco da Maxim, per ilfatto che questi non abbia più voluto ave-re a che fare con lui. Dimostrare di esserediverso potrebbe rivelarsi un messaggioanche per il figlio che lo ha rifiutato.

    Quale aneddoto ricorda, in particolare,del vostro rapporto?

    Un episodio singolare che non ci ha fat-to, per fortuna, incontrare. Mi ricordo chein occasione della sua evasione dall’oblò,io dovevo prendere lo stesso traghetto perla Sardegna. Non trovai posto, e prenotaiper il giorno dopo. Se fossi stato su quellanave – la Flaminia, lo ricordo bene – nes-suno avrebbe creduto alla casualità,e chissà quali congetture di compli-cità si sarebbero fatte!

    Invece me ne andai in vacanza tranquil-lo, e allora non c’erano telefonini, così non

    Camillo Rosica ha 58 anni, e dal1975 è il difensore di Renato Val-lanzasca. Una fiducia ormai tren-tennale, dovuta, dice lui: «a un rap-porto di assoluta stima».

    Lei che lo conosce bene, avvocato, perchécrede non abbia chiesto perdono,finora,alle famiglie delle sue vittime?

    Semplicemente per una questione di di-gnità. Se lo facesse, se si “pentisse”, tuttipenserebbero che si tratta soltanto di unamanovra per uscire di prigione. Sincera-mente, credo che Renato abbia una cosasola di cui pentirsi: aver buttato via una vi-ta che poteva essere splendida. L’ho dettoanche a lui, tante volte.

    Perché il presidente della Repubblicadovrebbe concedergli la grazia? Qualepotrebbe essere la garanzia che lui noncommetterebbe più reati?

    Credo che 35 anni siano abbastanza,come pena da scontare. Come si dice inquesti casi, adesso è un “detenuto model-lo”, ed è ormai da tantissimo tempo chenon crea problemi di nessun genere. È di-ventato un esperto di informatica, cosache potrebbe anche favorire un suo rein-serimento professionale nella società. Ri-spetto alla garanzia, sono convinto chebasterebbe chiedergli di dare la sua paro-la. Se lo facesse, se dicesse che con il cri-mine ha chiuso, potremmo star certi che ècosì davvero. Lui non è assolutamente ca-pace di fare una cosa: fingere. E non di-

    102 L’EUROPEO

    È giusto concedergli una speranza, sostiene il legale di Vallanzasca, Camillo Rosica.Ha 55 anni, ne ha fatti 35 in galera, può ancora avere una famiglia, un figlio, vivereuna nuova vita. Oppure l’ergastolo, quello vero, in Italia vale solo per lui?

    L’AVVOCATO: «RENE’ HAPAGATO ABBASTANZA»

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  • Vallanzasca fu processato a Novara nel 1981, per un atto di rara efferatezza: giocò a pallone con la testa di un detenuto, che aveva decapitato.

    di Tiziano MarelliL’EUROPEO 2005 N. 4

    comunicammo per tutto il tempo di quel-la sua breve latitanza. Un altro aneddotomi rimanda al suo senso di correttezza,molti anni fa legato a codici ora assoluta-mente incomprensibili. Anche se quelcontesto è discutibile, credo sia abbastan-za significativo un episodio che finora hotenuto per me.

    Nel periodo in cui Renato era latitante,a cavallo fra il ’76 e il ’77, noi comunica-vano quotidianamente. Lui era il ricerca-to numero uno, ma ci eravamo inventatiun codice con cui scambiarci le informa-zioni; avevamo stabilito una chiave cifra-ta, e lui mi chiamava per darmi i suoi nu-meri di telefono (che cambiavano conti-nuamente) usando quel codice, com-prensibile solo a noi.

    Durante il sequestro di Emanuela Tra-pani, la famiglia mi telefonò per chieder-mi se Renato avesse ricevuto il riscatto. Iolo chiamo, glielo domando, e lui rispondedi aver ricevuto la rata. Allora io sottolineoil termine “riscatto” e chiedo se mi può da-re la sua parola che avrebbe rilasciato laragazza. Renato ci pensa un po’, poi dice disì. Anni dopo mi dirà che il fatto di averdovuto rispettare la parola gli era costatodue miliardi. Ma il sequestro di EmanuelaTrapani si concluse felicemente.

    Al contrario di altri episodi…Certo, anche se Renato, spesso, ha dato

    spiegazioni diverse sulla dinamica degliepisodi che lo hanno condannato. Ma an-che questo, mi pare, fa parte del passato, etutti se ne dovrebbero rendere conto. Ameno che l’ergastolo, quello vero, in Italiavalga solo per Renato Vallanzasca e pochialtri. Io non credo debba essere così, nonfoss’altro perché quella che viene chiama-ta “possibilità di recupero” lui non avreb-be modo di esercitarla.

    E non mi pare che il nostro ordinamen-to vada in questa direzione: l’ergastolonon equivale e non deve equivalere a unacondanna a morte di fatto. Io mi aspetto emi auguro un futuro anche fuori dal car-cere, per Renato Vallanzasca.

    mentichiamo un’altra cosa: sarebbe liberoda molto tempo se solo avesse deciso diraccontare quello che sapeva, con tutte leconfidenze ricevute in carcere. Non hamai approfittato di niente di tuttoquesto, e ha pagato fino in fondo.Questo gli va senz’altro riconosciuto.

    Che cosa si aspetta Renato Vallanzascadal futuro?

    Anzitutto, di averne uno. Poi, credo cheil suo desiderio più grande sia di avere unafamiglia e un figlio. È stato troppo grandeil dolore per il distacco da Maxim, per ilfatto che questi non abbia più voluto ave-re a che fare con lui. Dimostrare di esserediverso potrebbe rivelarsi un messaggioanche per il figlio che lo ha rifiutato.

    Quale aneddoto ricorda, in particolare,del vostro rapporto?

    Un episodio singolare che non ci ha fat-to, per fortuna, incontrare. Mi ricordo chein occasione della sua evasione dall’oblò,io dovevo prendere lo stesso traghetto perla Sardegna. Non trovai posto, e prenotaiper il giorno dopo. Se fossi stato su quellanave – la Flaminia, lo ricordo bene – nes-suno avrebbe creduto alla casualità,e chissà quali congetture di compli-cità si sarebbero fatte!

    Invece me ne andai in vacanza tranquil-lo, e allora non c’erano telefonini, così non

    Camillo Rosica ha 58 anni, e dal1975 è il difensore di Renato Val-lanzasca. Una fiducia ormai tren-tennale, dovuta, dice lui: «a un rap-porto di assoluta stima».

    Lei che lo conosce bene, avvocato, perchécrede non abbia chiesto perdono,finora,alle famiglie delle sue vittime?

    Semplicemente per una questione di di-gnità. Se lo facesse, se si “pentisse”, tuttipenserebbero che si tratta soltanto di unamanovra per uscire di prigione. Sincera-mente, credo che Renato abbia una cosasola di cui pentirsi: aver buttato via una vi-ta che poteva essere splendida. L’ho dettoanche a lui, tante volte.

    Perché il presidente della Repubblicadovrebbe concedergli la grazia? Qualepotrebbe essere la garanzia che lui noncommetterebbe più reati?

    Credo che 35 anni siano abbastanza,come pena da scontare. Come si dice inquesti casi, adesso è un “detenuto model-lo”, ed è ormai da tantissimo tempo chenon crea problemi di nessun genere. È di-ventato un esperto di informatica, cosache potrebbe anche favorire un suo rein-serimento professionale nella società. Ri-spetto alla garanzia, sono convinto chebasterebbe chiedergli di dare la sua paro-la. Se lo facesse, se dicesse che con il cri-mine ha chiuso, potremmo star certi che ècosì davvero. Lui non è assolutamente ca-pace di fare una cosa: fingere. E non di-

    102 L’EUROPEO

    È giusto concedergli una speranza, sostiene il legale di Vallanzasca, Camillo Rosica.Ha 55 anni, ne ha fatti 35 in galera, può ancora avere una famiglia, un figlio, vivereuna nuova vita. Oppure l’ergastolo, quello vero, in Italia vale solo per lui?

    L’AVVOCATO: «RENE’ HAPAGATO ABBASTANZA»

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    vallanzasca storiarosica